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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissione VI
1.
Giovedì 22 novembre 2012
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Conte Gianfranco, Presidente ... 3

INDAGINE CONOSCITIVA NELL'AMBITO DELL'ESAME CONGIUNTO DELLA COMUNICAZIONE DELLA COMMISSIONE EUROPEA: UNA TABELLA DI MARCIA VERSO L'UNIONE BANCARIA (COM(2012)510 FINAL), DELLA PROPOSTA DI REGOLAMENTO CHE ATTRIBUISCE ALLA BCE COMPITI SPECIFICI IN MERITO ALLE POLITICHE IN MATERIA DI VIGILANZA PRUDENZIALE DEGLI ENTI CREDITIZI (COM(2012)511 FINAL) E DELLA PROPOSTA DI REGOLAMENTO RECANTE MODIFICA DEL REGOLAMENTO (UE) N. 1093/2010 CHE ISTITUISCE L'AUTORITÀ EUROPEA DI VIGILANZA (AUTORITÀ BANCARIA EUROPEA) PER QUANTO RIGUARDA L'INTERAZIONE DI DETTO REGOLAMENTO CON IL REGOLAMENTO CHE ATTRIBUISCE ALLA BCE COMPITI SPECIFICI IN MERITO ALLE POLITICHE IN MATERIA DI VIGILANZA PRUDENZIALE DEGLI ENTI CREDITIZI (COM(2012)512 FINAL)

Audizione del Direttore Centrale dell'Area Vigilanza bancaria e finanziaria della Banca d'Italia, Luigi Federico Signorini:

Conte Gianfranco, Presidente ... 3 9 14 19 22
Barbato Francesco (IdV) ... 20
Fluvi Alberto (PD) ... 12
Montagnoli Alessandro (LNP) ... 11
Pagano Alessandro (PdL) ... 10 11
Rinaldi Roberto, Condirettore centrale della Banca d'Italia ... 9
Signorini Luigi Federico, Direttore centrale dell'Area Vigilanza bancaria e finanziaria della Banca d'Italia ... 3 9 11 14 19 21
Ventucci Cosimo (PdL) ... 11

ALLEGATO: Documentazione consegnata dal Direttore dell'Area Vigilanza bancaria e finanziaria della Banca d'Italia ... 23
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro per il Terzo Polo: UdCpTP; Futuro e Libertà per il Terzo Polo: FLpTP; Popolo e Territorio (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, Democrazia Cristiana): PT; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling; Misto-Repubblicani-Azionisti: Misto-R-A; Misto-Autonomia Sud - Lega Sud Ausonia - Popoli Sovrani d'Europa: Misto-ASud; Misto-Fareitalia per la Costituente Popolare: Misto-FCP; Misto-Liberali per l'Italia-PLI: Misto-LI-PLI; Misto-Grande Sud-PPA: Misto-G.Sud-PPA; Misto-Iniziativa Liberale: Misto-IL.

[Avanti]
COMMISSIONE VI
FINANZE

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di giovedì 22 novembre 2012


Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GIANFRANCO CONTE

La seduta comincia alle 15,15.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione del Direttore Centrale dell'Area Vigilanza bancaria e finanziaria della Banca d'Italia, Luigi Federico Signorini.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla Comunicazione della Commissione europea: Una tabella di marcia verso l'Unione bancaria (COM(2012) 510 final), della Proposta di regolamento che attribuisce alla BCE compiti specifici in merito alle politiche in materia di vigilanza prudenziale degli enti creditizi (COM(2012) 511 final) e della Proposta di regolamento recante modifica del regolamento (UE) n. 1093/2010 che istituisce l'Autorità europea di vigilanza (Autorità bancaria europea) per quanto riguarda l'interazione di detto regolamento con il regolamento che attribuisce alla BCE compiti specifici in merito alle politiche in materia di vigilanza prudenziale degli enti creditizi (COM(2012) 512 final), l'audizione del direttore centrale dell'Area Vigilanza bancaria e finanziaria della Banca d'Italia, Luigi Federico Signorini.
Il direttore Signorini è accompagnato dal dottor Roberto Rinaldi, condirettore centrale della Banca d'Italia, e dal dottor Vittorio Tusini Cottafavi, anch'egli condirettore centrale della Banca d'Italia.

LUIGI FEDERICO SIGNORINI, Direttore centrale dell'Area Vigilanza bancaria e finanziaria della Banca d'Italia. La ringrazio, signor presidente, dell'opportunità, che ci viene offerta dalla Commissione, di fornire alcune delucidazioni e valutazioni su un processo che riteniamo di grande importanza. Poiché consegnerò un testo scritto, piuttosto che affliggere i presenti con la lettura di oltre venti pagine, preferirei, con il vostro permesso, discutere i problemi principali e darvi un'idea il più possibile generale delle questioni fondamentali, ovviamente esprimendo sin d'ora la mia disponibilità a rispondere a qualsiasi domanda vogliate porre.
La decisione di procedere con l'unione bancaria è di importanza paragonabile a quella dell'unione monetaria. Dal punto di vista istituzionale, i due processi sono, in qualche modo, paralleli. Dovendo inizialmente parlare delle ragioni per cui è opportuno questo passaggio fondamentale, credo si debbano distinguere i motivi di carattere strutturale e permanente da quelli relativi all'attuale situazione, alle difficoltà e alle tensioni sui mercati bancari e finanziari, che stiamo vivendo ormai da alcuni anni.
Invertendo l'ordine del testo scritto, mi piace cominciare, per maggiore chiarezza, da quelli che ritengo essere i motivi strutturali.
Nel momento in cui si decide di realizzare un mercato unico dei servizi bancari nella zona dell'euro, in cui c'è appunto anche un'unica moneta, è molto importante riflettere, nel caso delle banche,


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sull'assetto ottimale della funzione di supervisione. L'obiettivo è quello di abbattere tutti i vincoli e gli ostacoli al funzionamento di un mercato che deve diventare interno e consentire di sfruttare i guadagni di efficienza operativa e allocativa e quelli di diversificazione del rischio che la nuova costruzione istituzionale comporta.
Il sistema bancario è un'attività diversa da altre per il fatto che l'assetto del mercato è influenzato, molto più di altri settori, dalla presenza di una regolamentazione prudenziale stringente e dell'attività dell'autorità di vigilanza. Ora, nel momento in cui abbiamo un mercato unico, e specialmente un mercato ancora più integrato all'interno dell'area monetaria unica, diventa difficile conciliare questa situazione con l'esistenza di supervisori nazionali completamente indipendenti, i quali sono caratterizzati da vincoli e obiettivi istituzionali diversi, da un contesto legislativo, da culture, prassi e storie di vigilanza anch'essi diversi.
Data la natura del mercato bancario cui mi riferivo poc'anzi, è evidente che l'esistenza di questa differenza rende più difficile il pieno dispiegarsi del funzionamento del mercato unico. Dato l'obiettivo istituzionale delle autorità di vigilanza nazionali di assicurare, all'interno del Paese da cui istituzionalmente promanano, la stabilità del sistema bancario, è inevitabile che si guardi a una prospettiva e a una sicurezza nazionale, con provvedimenti di carattere interno. Da questo possono facilmente di scendere limiti, per esempio, al trasferimento di capitale, della liquidità o alla stessa libera organizzazione dei gruppi transnazionali attraverso i confini dei vari Paesi membri.
Ciò è logicamente connesso al concetto stesso dell'unione monetaria e del mercato unico bancario, ma ha assunto una rilevanza molto maggiore in presenza delle difficoltà determinate dalla crisi recente, nella quale è diventato più evidente quanto dicevo poc'anzi.
La tendenza, almeno in certa misura legittima e doverosa, da parte delle autorità nazionali di guardare al proprio ambito nazionale si è manifestata, appunto, nei limiti e negli ostacoli alla circolazione, alla liquidità del capitale, con vincoli anche operativi di vario genere che le varie autorità prudenziali hanno ritenuto di imporre.
Vorrei precisare, però, che non si tratta soltanto di una questione di efficienza, ma andiamo verso un mercato unico con l'idea che ciò possa far aumentare il livello di concorrenza, migliorare la scelta del consumatore o dell'utilizzatore finale dei prodotti e, quindi, in qualche misura, aiutare la crescita. Nel momento in cui si rinuncia a qualcosa, ristabilendo quelle barriere che si sarebbero volute abbattere, certamente si conseguono questi obiettivi di efficienza in misura minore.
Dal punto di vista dell'autorità di vigilanza prudenziale, vorrei dire che, oltre a ciò, è molto importante, anche per la stabilità e la sicurezza del sistema bancario, che questi limiti siano il meno possibile presenti, perché i benefici della diversificazione - in parole povere, la possibilità di compensare le cose che vanno male da una parte con quelle che vanno bene dall'altra - sono un elemento fondamentale della sana e prudente gestione bancaria.
In sintesi, vi è un problema strutturale che è diventato più acuto nel corso alla crisi. A ciò si è aggiunto un secondo elemento, molto specifico, relativo al rapporto tra il rischio sovrano e quello del sistema bancario, che va in due direzioni.
Abbiamo la direzione di causalità dal rischio sovrano a quello bancario, il cui esempio più evidente è quello della Grecia, dove la situazione di forte difficoltà dell'assetto della finanza pubblica del Paese si è riverberata sulla stabilità del sistema bancario perché, da un lato, veniva a mancare il garante di ultima istanza della stabilità, cioè il Governo, e, dall'altro, il clima di incertezza generale e le misure fiscalmente drastiche che si sono rese necessarie hanno fortemente influenzato l'economia complessiva del Paese e, quindi, indirettamente, il sistema bancario.
Il caso opposto è quello in cui le difficoltà del sistema bancario si riverberano


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sul debito sovrano. Quello più evidente riguarda l'Irlanda, dove, nel 2008, nel pieno della prima fase acuta della crisi, il Governo prese la decisione, forse in quel momento inevitabile - non ho elementi per giudicare - ma certamente gravida di conseguenze, di garantire le intere passività del proprio sistema bancario. Ora, si trattava di un sistema bancario che non solo si era sbilanciato molto nella direzione di prodotti finanziari e di attività non strettamente legate all'economia, soprattutto del Paese, ma che era anche molto grande rispetto alla dimensione dell'Irlanda e alla base economica su cui era insediato.
Di fronte al dissesto del sistema bancario, questa decisione ha fatto sì che il problema si trasmettesse da esso al sistema politico e più precisamente all'assetto istituzionale sovrano che se n'era fatto garante. Quando c'è una situazione in cui A può causare B e B può causare A, si innesca un circolo vizioso che si deve rompere. Dal punto di vista di un Paese come il nostro, è facile osservare quanto sia forte la necessità di rompere questo circolo vizioso, tenendo presente soprattutto l'influenza che lo spread sovrano ha sui costi e sulla possibilità di funding delle banche stesse. Insomma, si crea un circolo in cui debito sovrano e sistema bancario accentuano la debolezza e i problemi l'uno dell'altro. Il circolo vizioso va, quindi, interrotto. Ciò che ha determinato la forte accelerazione del processo nella direzione dell'unione bancaria è proprio la convinzione che, per rompere questo circolo, occorre scollegate il debito sovrano dal sistema bancario.
L'unione bancaria si compone di tre pezzi (com'è riportato chiaramente nel testo che abbiamo consegnato).
Il primo è il supervisore unico, oggetto specifico dell'insieme dei provvedimenti normativi a cui si riferisce questa audizione, che è una parte essenziale, ma non l'unica perché, accanto a esso, è necessario che ci siano gli altri due pezzi che costituiscono, insieme, la rete di sicurezza, cioè il sistema di garanzia dei depositi, e il framework per la risoluzione delle crisi, compresa la struttura dei fondi per la risoluzione delle crisi, appunto.
Sarebbe difficile accettare - come giustamente è stato fatto notare - una mutualizzazione anche parziale della rete di sicurezza, senza condividere il controllo e ridurre le asimmetrie informative che necessariamente ci sono fra Paesi e fra istituzioni. La mutualizzazione della rete di sicurezza richiede l'unificazione del sistema di vigilanza. Tuttavia, sarebbe molto difficile far funzionare il sistema di vigilanza senza un framework unico per la rete di sicurezza, perché ci saranno inevitabilmente altre crisi bancarie, piccole o grandi, per cui potrebbe creare una seria tensione avere un supervisore a livello europeo e una rete di sicurezza a livello esclusivamente nazionale, peraltro a carico del contribuente nazionale.
La prima questione importante su cui richiamo l'attenzione della Commissione è quella proclamata, al massimo livello politico, nelle conclusioni e nelle raccomandazioni dei vertici europei, cioè che le tre cose - supervisore unico, sistema unitario di garanzia dei depositi e una cornice unitaria per la risoluzione delle crisi - devono andare insieme. Su tutti e tre i temi c'è un impegno solenne dei Governi. In particolare, su uno di questi, cioè sul singolo supervisore, si sta procedendo rapidamente con l'idea di chiudere possibilmente entro la fine dell'anno.
In merito al singolo supervisore, nel testo scritto troverete informazioni di maggiore o minore dettaglio sulle caratteristiche, sul funzionamento e sui poteri che verrebbero ceduti e, in generale, sulle questioni di cui si sta discutendo. Vorrei, però, richiamare la vostra attenzione su alcuni punti di particolare interesse, alcuni dei quali sono anche al centro delle discussioni, il cui contenuto è, tra l'altro, in larga misura pubblico.
Prima di tutto, in merito alla base legale, quando il Consiglio europeo diede incarico alla Commissione di presentare una proposta per un singolo supervisore, la scelta è stata di basarsi sull'articolo 127, sezione 6, del Trattato sul funzionamento


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delle istituzioni europee. Questo articolo prevede che alla BCE (Banca centrale europea) possono essere assegnati specifici compiti nel campo della supervisione bancaria.
In primo luogo, sottolineo che alla BCE vuol dire all'istituzione BCE, così come definita dalla normativa che viene chiamata «primaria» in sede comunitaria e che noi italiani chiameremmo «superprimaria» o costituzionale, cioè il Trattato e lo Statuto della BCE, che ha la medesima dignità perché è un protocollo annesso, appunto, al trattato. Quindi, alla BCE vuol dire - ripeto - che questi compiti possono essere affidati a quella istituzione, con quelle particolari regole di governance stabilite nella normativa.
In secondo luogo, «specifici compiti» vuol dire che la normativa che attua questa decisione politica deve elencare i compiti che vengono trasferiti, quindi non può dare un potere generico di supervisione bancaria. Questo è contenuto, appunto, nella proposta di regolamento.
In terzo luogo, è necessario sottolineare che la scelta di avere come base legale l'articolo 127, sezione 6, significa che bisogna seguire le procedure secondo cui questi compiti possono essere assegnati con un regolamento del Consiglio approvato all'unanimità. Pertanto, la trattativa che si sta svolgendo in questo momento in sede di Consiglio e dei gruppi di lavoro che riferiscono a esso è basata sul concetto di unanimità. In pratica, i 27 Paesi devono essere tutti d'accordo, cosa non facile, dato il passo molto importante che si va a compiere, gli interessi non del tutto coincidenti dei vari Paesi e le opinioni diverse anche dal punto di vista culturale. Tuttavia, le conclusioni solenni prese dal Consiglio europeo indicano che non arrivare a un accordo rappresenterebbe un passo indietro considerevole, il che può dar fiducia che si vada nella direzione del mutuo consenso.
Passando alle questioni aperte nella definizione dell'accordo, poiché non ho il tempo di elencarle tutte, mi limiterò a quelle degne di maggiore attenzione.
La prima riguarda il cosiddetto scope, cioè l'estensione del meccanismo unico di supervisione. La proposta della Commissione prevede con molta chiarezza che il supervisore unico copra l'intero spettro del sistema bancario dell'area dell'euro. Come sapete, vi sono posizioni differenziate in merito. In particolare, c'è una posizione piuttosto forte della Germania, la quale tende a sostenere che il sistema migliore sarebbe quello di concentrarsi sulle banche che hanno una valenza sistemica a livello europeo, lasciando ai supervisori nazionali la responsabilità delle banche di media o piccola dimensione.
Quest'ultimo approccio pone due problemi. Il primo è rappresentato da una questione teorica e logica, la quale può anche avere, potenzialmente, un'importanza forte anche dal punto di vista pratico. La coesistenza di più regimi, cioè di due livelli di supervisione, metterebbe in discussione l'obiettivo di avere il mercato unico di cui parliamo. In presenza di vincoli nazionali di carattere istituzionale e normativo diversi e di differenze di prassi e di cultura di cui parlavamo poc'anzi e della naturale tendenza dei supervisori nazionali alla vicinanza rispetto al sistema bancario nazionale, si determinerebbe una situazione in cui esistono banche di due categorie, essendo la seconda categoria differenziata da Paese a Paese, con la possibilità di arbitraggi normativi, regolamentari e prudenziali che metterebbero in discussione lo stesso obiettivo per il quale nasce l'idea dell'unione monetaria.
Il secondo motivo - molto pratico, questa volta - per cui una soluzione a due tier è problematica è che, se consideriamo le banche che hanno creato problemi dal punto di vista della stabilità complessiva del sistema bancario europeo, non si tratta necessariamente di istituti grandissimi; viceversa, molti casi riguardano istituzioni di media dimensione che non sarebbero a priori classificate sistemiche, ma che per la natura dei problemi o per il fatto di essere ciascuna individualmente non particolarmente grande, ma tutte insieme rilevanti rispetto allo Stato di appartenenza - non


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ho bisogno di fare esempi perché sono ben presenti a tutti - hanno comunque determinato una situazione di instabilità, un clima di sfiducia e un problema di mercato che si è riverberato sull'intero sistema bancario europeo.
Per queste due ragioni, riteniamo opportuna la posizione iniziale della Commissione europea, che vede un unico tier, cioè un unico meccanismo che copre l'intero sistema bancario dell'area dell'euro.
Ciò nonostante, questo sistema è composta da circa 6.000 banche, per cui non è realistico immaginare che tutte vengano direttamente supervisionate giorno per giorno da un unico ufficio che si trova presso la BCE, a Francoforte. È, quindi, sicuramente necessario un decentramento dell'attività di vigilanza, anche di tipo decisionale.
Non vorrei entrare nello specifico, anche se sarò ben lieto di rispondere a eventuali domande sui meccanismi di dettaglio. Voglio solo dire che, dal nostro punto di vista di supervisore italiano, abbiamo portato un esempio. La Banca d'Italia vigila su circa 600 banche in Italia, non da Roma, bensì attraverso le sue sedi regionali e in qualche caso provinciali. Le sedi regionali hanno piena autonomia nell'attività di vigilanza quotidiana, ma questo non vuol dire che ci siano due livelli. In effetti, il sistema, le norme e le prassi sono unici; il coordinamento è molto forte; ci sono attività di formazione, di scambio e quant'altro. La procedura decisionale prevede, comunque, in capo a un unico organismo, ovvero al direttore della Banca d'Italia, il potere decisionale per tutte le banche. Questo viene esercitato in molti casi direttamente e in altri per delega, per cui esistono delle forme di decentramento anche decisionale, cosa che, però, non mette mai in questione l'unitarietà della funzione.
Fatti i debiti mutamenti, lo stesso sistema si può immaginare a livello europeo. Riteniamo che sia opportuno che il sistema sia unitario, ma anche realistico avere un decentramento dell'attività concreta. Sarebbe, inoltre, consigliabile anche un decentramento decisionale, purché il sistema, le norme e le prassi siano unici e le culture divengano gradualmente, ma, se è possibile rapidamente, uniche, garantendo la possibilità della Banca centrale europea di essere il decisore di ultima istanza, di fornire istruzioni e linee guida e, infine, di avocare a sé, quando necessario, le decisioni anche sulle singole istituzioni.
Mi riferisco, insomma, ad accorgimenti, norme e schemi di funzionamento che consentano di mantenere l'unicità dell'attività di supervisione, senza creare una situazione difficilmente gestibile, né disperdere il patrimonio di professionalità, di capacità e di conoscenze - in entrambi i sensi della parola, cioè conoscenze professionali, ma anche del territorio su cui insistono i sistemi bancari - che risiede nelle banche centrali nazionali e negli altri organi che, a livello nazionale, hanno la responsabilità della supervisione.
Da questo punto di vista, desidero dire che consideriamo - come, del resto, è stato anche nel caso dell'unione monetaria - l'eventuale trasferimento della responsabilità di vigilanza a livello europeo non come una perdita, ma come una condivisione di capacità decisionale. Questo non è uno slogan. Credo che l'esperienza di questi anni, anche dal punto di vista della politica monetaria, abbia dimostrato che la possibilità di mettere in comune le capacità professionali, le opinioni, i pareri, le elaborazioni e le valutazioni delle varie banche centrali nazionali sia stata una realtà che nel complesso ha funzionato bene.
In definitiva, fatte le debite differenze, visto che la politica monetaria e la vigilanza sono, dal punto di vista operativo e delle scelte che si compiono, due oggetti molto differenti, lo stesso schema istituzionale potrebbe e dovrebbe essere replicato anche per quanto riguarda l'attività di supervisione.
Passando ad altre questioni, ho finora parlato delle banche o dei supervisori dell'area dell'euro perché, come sapete, il progetto di regolamento che la Commissione ha prodotto prevede il passaggio della vigilanza esclusivamente per i Paesi


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appartenenti all'area dell'euro, quindi 17 su 27. Tuttavia, questo progetto non chiude la porta agli altri Paesi, prevedendo la possibilità che Stati esterni all'area dell'euro che volessero entrare nel meccanismo di supervisione unica possano chiedere di farlo tramite accordi di cooperazione specifici.
L'ampliamento dell'ambito della supervisione unica è sicuramente benvenuto, ma non si può nascondere che ciò crea la necessità di considerare con attenzione i meccanismi istituzionali. Come ho detto prima, nella scelta di utilizzare l'articolo 127, sezione 6, come base legale per questo passaggio, si è indicata la BCE. Ciò vuol dire che il potere decisionale ultimo deve spettare al Governing Council, che è attualmente composto dai soli Paesi che fanno parte dell'area dell'euro. Questo crea un problema di efficacia e anche di equità nei confronti degli altri Paesi che decidessero di entrare, ma che non sarebbero, né potrebbero essere rappresentati nel Governing Council.
Sia per cercare di affrontare questo problema, sia per realizzare, per quanto possibile, una separazione operativa tra l'attività di politica monetaria e quella di vigilanza, la proposta di regolamento che la Commissione ha presentato prevede la creazione di un organo ad hoc che si chiama Supervisory Board, ovvero consiglio di supervisione, che non è soggetto a questi vincoli legali, nel quale, presumibilmente, dovrebbero essere rappresentati su un piano di parità non soltanto i 17, ma anche gli altri eventuali Paesi che decidessero di entrare in questo meccanismo.
Tuttavia, per risolvere la questione, occorre l'approvazione dei 27 Paesi perché ricordo che si tratta di un regolamento che deve essere approvato dal Consiglio all'unanimità. Il punto è trovare il giusto bilanciamento istituzionale tra la responsabilità ultima del Governing Council, che non può non esserci per il vincolo legale di cui ho detto, e le responsabilità operative e propositive di attuazione che possono essere affidate al Supervisory Board, in modo da contemperare la necessità di mantenere l'impermeabilità legale, diciamo così, rispetto al Trattato e allo Statuto della BCE delle soluzioni che si troveranno e quella di assicurare un minimo di efficienza, efficacia, fairness ed equità nei confronti dei Paesi che non fanno parte dell'area dell'euro. Pertanto, questo è certamente uno dei temi da discutere.
L'altra difficoltà è rappresentata dal secondo elemento che è stato ricordato dal Presidente nella lettura del tema di quest'oggi. Infatti, il complesso degli atti normativi è fatto da due testi, il regolamento di cui ho parlato finora - cioè il nuovo regolamento del Consiglio che istituisce il sistema unico di supervisione bancaria - e un atto di modifica del regolamento che istituisce l'Autorità bancaria europea (EBA), per tenere conto dell'esistenza di questo oggetto nuovo, che non esisteva al momento dell'istituzione dell'EBA.
Da questo punto di vista, la preoccupazione di alcuni Paesi, che non solo sono fuori dall'euro, ma che non hanno alcuna intenzione di entrare neanche nel meccanismo di supervisione unica - uno per tutti, il Regno Unito - è di garantire che, laddove nel consiglio dell'EBA sia fortemente preponderante il peso di quei Paesi che appartengono al meccanismo di supervisione unica, non si determini una situazione per cui gli altri siano sistematicamente marginalizzati nelle decisioni dell'EBA.
Credo che questa sia una preoccupazione da tenere nella dovuta considerazione. Tuttavia, al tempo stesso, bisogna anche assicurare che non si diano a singoli Paesi dei poteri di veto o che, comunque, non ci siano delle situazioni in cui si possa determinare uno stallo operativo dell'Autorità bancaria europea. Insomma, occorre trovare un punto di equilibrio tra queste opposte esigenze, cosa a cui si sta, appunto, lavorando.
Prima di concludere, consentitemi un'ultima considerazione, affinché il mio discorso sia chiaro.
La Banca d'Italia sostiene fortemente il progetto di unione bancaria, dimenticando - com'è nostra abitudine - qualsiasi forma di gelosia istituzionale. Per i motivi


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che ho detto all'inizio, che spero di aver chiarito per quanto in mio potere, ma che possiamo ulteriormente discutere, credo sia un bene, dal punto di vista del buon funzionamento dell'attività di supervisione, che questo sistema sia messo in piedi. Pertanto, in questo contesto, stiamo dando tutto il contributo che possiamo dal punto di vista tecnico.
Tra l'altro, all'interno dell'Eurosistema, poiché il calendario è particolarmente stretto, non si aspetta il momento della definitiva approvazione di una proposta fin nei dettagli, ma ci si prepara. Quindi, abbiamo cominciato a interrogarci sull'effettivo, possibile funzionamento del meccanismo, tenendo presente un aspetto fondamentale: è importante che gli standard di supervisione siano unici ma, al tempo stesso, anche i migliori disponibili.
Da questo punto di vista, è opportuno che si prenda dall'insieme dei supervisori europei il meglio che ciascuno di essi ha da offrire. Sotto questo profilo, consentitemi di dire che abbiamo sicuramente molte cose da imparare, ma forse anche qualcuna da offrire. Grazie.

PRESIDENTE. Prima di dare corso alle richieste di chiarimenti da parte dei colleghi, vorrei che specificasse meglio, direttore, il meccanismo di voto all'interno dell'EBA, cui ha accennato. Poiché si dice che ci si sta mettendo d'accordo, mi piacerebbe capire come ci si sta orientando.
Esaurito l'argomento in discussione, dovremo trattare, colleghi, le questioni relative alle ulteriori modifiche e integrazioni al decreto legislativo n. 141 del 2010, relativo ai contratti di credito ai consumatori e, infine, chiederemo al direttore un chiarimento sulla situazione dell'Ivass, il nuovo istituto di vigilanza assicurativa.

LUIGI FEDERICO SIGNORINI, Direttore centrale dell'Area Vigilanza bancaria e finanziaria della Banca d'Italia. Se permette, signor presidente, sul tema del meccanismo di voto passerei la parola al mio collega Roberto Rinaldi, il quale è a capo del servizio che si occupa della normativa e, di conseguenza, ha più direttamente il polso della situazione. Oltretutto, si tratta di un meccanismo tecnicamente complesso - sono contemplati diversi sistemi di voto e con differenti modalità di computo a seconda dell'oggetto - che si interseca con i problemi concernenti il raggiungimento dell'equilibrio di cui dicevo poc'anzi.

PRESIDENTE. Do la parola al dottor Rinaldi.

ROBERTO RINALDI, Condirettore centrale della Banca d'Italia. Attualmente, il meccanismo di voto nel Board of supervisors, l'organo che prende le decisioni normative, di stress testing e via dicendo, prevede diverse modalità di voto. Tuttavia, il meccanismo più semplice è basato sulla maggioranza semplice dei rappresentanti dei 27 Paesi. Ora, nel momento in cui ci sarà il Single Supervisory Mechanism, esso raggrupperà 17 Paesi che, numericamente, rappresentano di fatto la maggioranza. Quindi, se sarà necessario, com'è previsto anche dal punto di vista operativo, avere un coordinamento tra i 17 Paesi che sono all'interno del meccanismo unico, quasi automaticamente tutte le decisioni potrebbero passare solo in base al voto dei Paesi che fanno parte l'area dell'euro. Come diceva il dottor Signorini, questo crea problemi molto forti per i Paesi che non sono parte dell'area dell'euro, in particolare per il Regno Unito e la Polonia.
Attualmente, sono diverse le ipotesi oggetto di esame, perché non è facile trovare una soluzione. Personalmente, ho in mentre tre proposte, ma non vorrei entrare nei dettagli. A ogni modo, una soluzione riguardo al meccanismo di voto potrebbe richiedere, in misure e forme diverse, un parere favorevole anche dei Paesi che non fanno parte dell'area dell'euro. Questo è lo spirito che sta informando l'idea di soluzione all'interno del Board of supervisors.

PRESIDENTE. Si tratterebbe, quindi, di introdurre una forma di limitazione del potere della maggioranza.


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Do ora la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

ALESSANDRO PAGANO. La ringrazio, direttore, del suo lucido intervento.
Vorrei proporre due elementi di riflessione.
Il primo è emerso qualche giorno fa a seguito delle dichiarazioni dei Ministri delle finanze della Germania e della Francia, i quali hanno fatto intendere, in maniera molto chiara, che c'è una volontà dilatatoria: insomma, è come se non avessero interesse a realizzare in tempi brevi l'unione bancaria, che porrebbe il nostro Paese in una condizione ideale. Infatti, il nostro sistema di vigilanza è sicuramente di alto livello e performante, al contrario di quelli di altri Paesi, che, invece, hanno interesse a che vi siano due pesi e due misure, come lei ha ben spiegato quando ha fatto riferimento alle difficoltà derivanti dalle criticità di alcuni istituti di credito non sistemici, che si vorrebbe mantenere in una sorta di «riserva indiana» (il che certamente preoccuperebbe i Paesi che hanno uno standard elevato in termini di qualità di controllo).
Ora, è chiara la tendenza di alcuni Paesi ad andare in questa direzione, com'è altrettanto evidente il fatto che abbiamo, invece, interesse a tenere l'asticella alta. Allora, secondo l'ipotesi del decentramento che lei fa intravedere, potrebbe realizzarsi, in un contesto diverso, una situazione analoga a quella italiana, con la vigilanza locale affidata alle sedi territoriali della Banca d'Italia. Potrebbe essere, questa, una proposta di mediazione su cui incentrare un ragionamento costruttivo? I Paesi critici l'accetterebbero? È chiaro, infatti, che su queste basi si potrebbe fare un ragionamento autenticamente costruttivo. Il problema, tuttavia, è capire se questa possa essere, eventualmente, la soluzione ottimale sulla quale sia possibile chiudere il negoziato, oppure se dobbiamo immaginare di assumere una posizione di rigidità, che, forse, potrebbe essere quella di tenere alta l'asticella, come si suole dire, per consentire ulteriori mediazioni. Le chiedo, quindi, una valutazione non soltanto tecnica, ma anche tattica, per capire come debba agire il nostro Paese e, soprattutto, per chiarire quali poteri questa Commissione deve attribuire a chi di dovere.
In secondo luogo, tutti parlano di evitare il rischio, cui accennavamo poc'anzi, della doppia velocità, che, invece, alcuni Paesi vorrebbero.
Esiste, però, un altro pericolo, altrettanto grave, a proposito delle banche sistemiche. Noi abbiamo un'unica banca sistemica, che leggiamo essere osteggiata a tutti i livelli in uno dei Paesi membri, mentre la liquidità prodotta in quel contesto potrebbe servire per realizzare virtuose opportunità reddituali, non solo in quell'ambito, ma anche per i nostri consumatori. Infatti, se oggi la Volkswagen vende più auto della Fiat, non è perché la sua tecnologia è superiore. Sarà anche così, ma il maggiore vantaggio competitivo deriva dal fatto che, in Germania, prendono il denaro a costo zero e, pertanto, possono offrire opportunità migliori ai potenziali acquirenti.
Allora, il problema è serio e ha risvolti economici a qualsiasi livello. È chiaro che il protezionismo eccessivo della Germania non aiuta: l'abbiamo detto, proprio in questi termini, ai colleghi del Bundestag, quando sono stati ospiti della Commissione. Comprendiamo di essere in difficoltà, ma non siamo stupidi, per cui non vogliamo perdere le nostre prerogative. In questo scenario, la Banca d'Italia cosa suggerisce, tecnicamente, alla Commissione? Come possiamo operare per evitare che anche le banche sistemiche siano private delle giuste opportunità previste dalle norme comunitarie, che in concreto non possono essere sfruttate a causa del protezionismo cui accennavo?
Inoltre, a questo punto, il Supervisory Board è un problema serio. Infatti, prima stabiliamo le regole, poi nasce questo comitato, al quale partecipano anche Paesi che non vogliono far parte dell'euro (come il Regno Unito, per fare nomi e cognomi), dopo di che questi decidono...


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LUIGI FEDERICO SIGNORINI, Direttore centrale dell'Area Vigilanza bancaria e finanziaria della Banca d'Italia. Se si riferisce al Supervisory Board all'interno della BCE, onorevole Pagano, ad esso parteciperebbero i Paesi che aderiscono al meccanismo: quindi, sicuramente i Paesi dell'euro, più gli altri che deciderebbero di aderire. Molti altri rimarrebbero completamente fuori, come il Regno Unito, che è, appunto, fuori dall'euro e che, per il momento, sembra non voler partecipare al meccanismo.

ALESSANDRO PAGANO. Per comprendere bene, c'è il rischio che i nostri capitali siano dirottati in Paesi che hanno regole diverse? Questo è un elemento di riflessione, anche se riguarda poco il Supervisory Board.
Infine, con riferimento a quanto diceva poc'anzi il dottor Rinaldi, è davvero necessario mantenere l'EBA o si potrebbe immaginare un unico organismo che possa contenere il tutto?

ALESSANDRO MONTAGNOLI. Ringrazio il direttore, che ha parlato, giustamente, di unione economica e bancaria.
Per quanto riguarda l'applicazione di Basilea 3, siamo stati molto critici e abbiamo espresso molte preoccupazioni, perché si considerano le banche tutte uguali. Ci sono, infatti, regole uguali per tutti, mentre il nostro Paese, anche in questo settore, ha alcune specificità: dalle banche piccole, a quelle più grandi, al sistema cooperativo e popolare, fino ad altre realtà. Quindi, non vorrei che la logica di un'unione bancaria con regole uguali per tutti, senza garantire le specificità del singolo Stato, mettesse in difficoltà il nostro Paese e le nostre banche, le quali, peraltro, si sono comportate, in questi anni, meglio delle altre.
Le chiedo, dunque, quali possibilità abbiamo di incidere, anche con proposte della Commissione, come abbiamo fatto nel caso di Basilea 3 (segnatamente, contestando l'operato dell'EBA, alla quale sembra che nessuno possa dire alcunché). La logica di una supervisione e di una verifica a livello europeo, per garantire i risparmiatori e gli Stati, va bene, ma con la certezza che sia salvaguardata l'autonomia nelle scelte locali.

COSIMO VENTUCCI. La ringrazio anch'io, direttore, del suo intervento.
Ho dato una scorsa al documento che ci ha consegnato, nel quale vi sono alcuni dettagli che dovremo approfondire in maniera più adeguata, anche perché non siamo esperti della materia, ma ci basiamo su una conoscenza che si affina progressivamente nello svolgimento dell'attività quotidiana.
Capisco che l'unione bancaria fondata sui tre pilastri - introduzione di un sistema europeo centralizzato di supervisione bancaria, istituzione di uno schema comune di garanzia dei depositi e avvio di un sistema europeo di risoluzione delle crisi bancaria - potrebbe amalgamare il sistema economico-finanziario europeo.
Rifacendomi alla memoria storica, senza la quale è illusorio proporsi di elaborare buoni progetti per il futuro, ricordo che, dopo circa 35 anni di gestazione, nel 1993, si aprì il mercato unico dell'Unione europea e finì tutto il processo di armonizzazione dei sistemi doganali dei Paesi europei. Il 1o gennaio 1993 le merci cominciarono a circolare liberamente. L'Italia era, però, completamente priva di istruzioni in merito ai comportamenti che gli operatori doganali dovevano adottare da quel momento in poi. Molti di noi hanno vissuto quell'esperienza, che fu tragica, perché soltanto dopo tre mesi, a marzo, furono emanate le prime disposizioni da parte dei Dicasteri competenti.
Nel 2002, a distanza di 11 anni, la moneta unica ha soppiantato la vecchia lira. Credo che ognuno di noi sappia quello che è successo nella fase iniziale, al di là degli sconquassi determinati, nel nostro Paese, dalla mancanza di dimestichezza con la moneta metallica e, soprattutto, dal fatto che non è stata stampata la banconota da un euro. Credo si sia trattato di uno dei peggiori disastri che noi italiani abbiamo subito. Gli altri Paesi, invece, dalla Francia alla Germania, erano


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già abituati alla circolazione della moneta metallica.
Nel 2013, ci accorgiamo che occorre realizzare un'unione bancaria. Tuttavia, da quello che lei ci ha detto, direttore, e da quello che leggo, le incertezze sono parecchie e non di poco conto. I compiti che dovrebbero essere affidati alla Banca centrale europea sono senza dubbio estremamente delicati, come le altre responsabilità - dal contrasto al riciclaggio fino alla vigilanza sulle banche di Paesi terzi che operano nell'Unione Europea -, che non sono in capo alla BCE, ma sono gestite dalle autorità nazionali. Comunque, tutto questo è in fieri.
Invece, nella prima pagina della relazione, si legge un'osservazione che mi è sembrata estremamente delicata: «Le difficoltà di alcuni sistemi bancari, in particolare in Paesi dove le prassi di vigilanza si sono rivelate carenti, hanno determinato un rapido deterioramento delle condizioni di finanza pubblica. Un sistema di supervisione unica è necessario per contribuire a evitare che ciò si ripeta».
Allora, direttore, le chiedo se la nostra vigilanza abbia operato in modo concreto in questo periodo. Sui famosi derivati, che i comuni nazionali hanno acquistato, la Banca d'Italia ha vigilato, o c'è stata una carenza anche da parte nostra nei confronti di questi prodotti? Dobbiamo ricominciare tutto daccapo? Nel frattempo, però, cosa succede, visto che i tempi di attuazione delle grandi riforme durano decenni e non giorni? Pensa che si possa arrivare rapidamente a un punto conclusivo? In altre parole, ritiene che l'auspicio contenuto nel documento consegnato - cioè che «non si dovrà prefigurare un diritto di veto tale da rendere troppo difficoltosa l'assunzione di decisioni in ambito EBA» - possa realizzarsi, oppure siamo ancora lontani dall'obiettivo?

ALBERTO FLUVI. Dopo essermi unito ai ringraziamenti al dottor Signorini per la relazione, vorrei fare alcune brevissime considerazioni, partendo da quanto il nostro ospite ha detto all'inizio del suo intervento.
Uno dei due temi è riuscire a separare il rischio sovrano da quello bancario, e viceversa; l'altro riguarda la raccolta da parte degli istituti di credito, il cosiddetto «funding». Questi sono i temi che oggi il nostro Paese, ma credo più o meno tutte le economie europee, hanno di fronte.
Non so quante siano le banche che fanno raccolta sul mercato, ma credo siano poche, perché molte si alimentano esclusivamente attraverso la Banca centrale europea. Gli esempi dell'Irlanda e della Grecia sono sotto gli occhi di tutti. Senza dubbio, bisogna dare atto alla Banca d'Italia di aver messo in campo, da sempre, un sistema di vigilanza che ha permesso al nostro Paese di non dover intervenire per il salvataggio degli istituti di credito, come più o meno tutti gli altri Paesi dell'Europa, e non solo, hanno fatto negli ultimi anni. Questo ci consente di proporci non dico come modello di riferimento, ma di offrire ai nostri partner europei un'esperienza che ha permesso di evitare crisi bancarie.
Partendo da queste considerazioni, sappiamo che, come ricordato dal dottor Signorini, i punti di partenza e le opinioni, all'interno della zona euro e dell'Unione europea, sono molto differenti. Quindi, dobbiamo apprezzare i passi in avanti che sono stati fatti. Ricordo di aver discusso pochi anni fa, in questa Commissione, del rapporto de Larosière, nella fase di avvio, in Europa, di un sistema di vigilanza sul sistema bancario e finanziario. Si trattava di un timido passo in avanti, che poi ha dato vita alle tre authority a livello europeo e, per quanto ci riguarda, all'EBA.
Oggi, stiamo ragionando di un supervisore unico del sistema bancario, con tutte le difficoltà che lei ci ha rappresentato e con i diversi punti di vista dei vari Stati che fanno parete dell'euro e dell'Unione europea, tutti rispettabili se li consideriamo dalla loro prospettiva, perché, a seconda delle diverse condizioni, si possono avere costi di raccolta inferiori, mutui o prestiti a tassi inferiori da parte delle imprese e delle famiglie e un Paese più o meno competitivo.


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Detto questo, il primo punto che vorrei sottolineare è che stiamo compiendo, io credo, un passo in avanti verso la graduale costruzione di un unico supervisore del sistema bancario europeo.
Certo, non ci possiamo accontentare di questo. Oggi siamo nella condizione di proporre un punto di vista avanzato. Il nostro sistema di vigilanza prudenziale non ha prodotto crisi bancarie, risultato che, di questi tempi, non è di poco conto. Perciò, dobbiamo mantenere il tema dell'unicità e dobbiamo mantenere alta l'asticella per immaginare di arrivare a un compromesso, abbassandola il meno possibile rispetto ai nostri standard.
Vengo alla prima domanda. Qual è il rapporto fra BCE ed EBA? Al di là della differenza tra i Paesi dell'Eurozona e quelli che non ne fanno parte, tra Paesi che saranno nel Board e quelli che non aderiranno all'accordo di cooperazione, non c'è il rischio di una sovrapposizione di competenze e di voci? Ricordo che il dottor Enria, nel corso di un'audizione in questa sede, ebbe a rimarcare più volte come uno dei compiti fondamentali dell'EBA fosse quello di redigere un Single rulebook. Se, però la vigilanza passa alla Banca centrale europea, forse, questo compito dovrebbe essere in capo a chi dovrebbe attuare la vigilanza prudenziale, quindi alla Banca centrale europea.
La seconda domanda riguarda il rapporto fra Banca centrale europea e singole autorità di vigilanza nazionali. A tale proposito, lei ha fatto un ragionamento molto interessante: si potrebbe proporre di mutuare il sistema della Banca d'Italia, con le sue articolazioni regionali e a volte provinciali. Mi consenta una semplificazione. Le banche centrali nazionali dovrebbero essere una sorta di braccio operativo della Banca centrale europea: in base al single rulebook e a metodi di vigilanza prudenziale stabiliti a livello di Banca centrale europea, le singole authority nazionali estenderebbero il controllo alle circa 6.000 banche presenti in Europa. Questo, però, è un tema molto delicato, perché ci sono diversi tipi di banche. Non sono nazionalista come il collega che mi ha preceduto, ma la vigilanza su una banca di credito cooperativo di piccole o piccolissime dimensioni, è oggettivamente diversa da quella su un istituto di credito che ha dimensioni sovranazionali o che può essere considerato sistemico. Allora, la necessità di amalgamare i sistemi di vigilanza non è un tema di poco conto.
Chiedo scusa per la mia ignoranza, ma non ho contezza delle tipologie di banche presenti negli altri Paesi, soprattutto di quelle di piccole dimensioni. Conosco bene le banche popolari e le banche di credito cooperativo italiane, ma non ho presente quanto di analogo possa esservi in Spagna o in Francia, se i sistemi siano equivalenti e quali siano, eventualmente, le differenze. Insomma, nel sistema che lei ha proposto, qual è il rapporto tra Banca centrale europea e singole banche nazionali?
Concludo il mio intervento con un riferimento, forse un po' fuori tema, alla tassa sulle transazioni finanziarie. Vorrei svolgere una considerazione di carattere generale e, in seguito, una più specifica sul sistema bancario.
La considerazione di carattere generale è la seguente: non ho capito perché il Governo abbia inserito la Financial transaction tax nel disegno di legge di stabilità. Due mesi fa, il Governo italiano era contrario all'introduzione della tassa, ma poi l'ha inserita nel disegno di legge di stabilità, prevedendo un gettito annuo di più di un miliardo di euro. Pur essendo favorevole all'introduzione dello strumento, esprimo la mia preoccupazione, dovuta al fallimento dell'esperimento nell'unico Paese che l'ha condotto. Un conto è stare dentro un contesto europeo, con regole comuni, in Francia, in Germania, in Italia e così via; un altro conto è vedere, da una parte, la Francia che parte per conto suo e, dall'altro, l'Italia che decide improvvisamente di aderire. Il rischio di un effetto boomerang è, a mio avviso, molto alto. Per questo, credo che l'introduzione dell'imposta debba essere gestita con molta attenzione.
Il Governo ha preannunciato che la norma sarà riscritta nel corso dell'esame presso il Senato. Immagino - o, almeno,


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voglio sperare - che in queste settimane vi siano stati, a tal fine, rapporti tra Ministero, Consob e Banca d'Italia. Non le chiedo di rivelare il contenuto di eventuali emendamenti del Governo, perché non sarebbe corretto da parte mia, ma siccome stiamo discutendo, tra i temi principali, di una differente tassazione di azioni e derivati, vorrei conoscere la consistenza del monte dei derivati in possesso delle banche italiane. Dalle notizie che abbiamo reperito, attraverso canali diretti con le singole istituzioni creditizie, ci siamo fatti l'idea che la cifra appostata nel disegno di legge di stabilità sia di molto sottostimata. Qual è la vostra idea?

PRESIDENTE. Se non ci sono altre domande, le chiedo quale sarà l'impatto della CRD IV (Capital Requirements Directive IV). Quando abbiamo incontrato i rappresentanti della Commissione finanze del Bundestag, ho mostrato loro uno schema dal quale si evinceva che, nell'ultimo triennio, il Governo italiano è intervenuto a sostegno delle banche italiane per circa 20 miliardi di euro - si tratta, in sostanza, dei cosiddetti «Tremonti bond» - mentre il Governo tedesco ha supportato il sistema bancario tedesco per 640 miliardi di euro (in gran parte garanzie, ma anche interventi diretti).
Se i numeri sono questi, capisco che i tedeschi non abbiano alcuna intenzione di mettere sotto controllo il proprio sistema bancario. Perciò mi preoccupo che, anche nella fase di approvazione della CRD IV, possano esserci sensibili differenze tra Paesi. Insomma, il rischio di uno shopping regolamentare diventa molto elevato. Vorrei sapere, quindi, cosa ne pensa, direttore.
Inoltre, come i colleghi, sono preoccupato dalla complessità strutturale della riforma. Anche quando furono istituiti l'EBA e le altre autorità di vigilanza sostenemmo che, rispetto al cosiddetto progetto de Larosière, la costruzione appariva troppo complicata, tanto è vero che poi è stata, di fatto, travolta. Infatti, mi sembra di capire che l'EBA si vada conformando come una sorta di camera di compensazione fra quelli che parteciperanno e quelli che rimarranno fuori dal sistema. Ha ragione l'onorevole Fluvi quando afferma che, se la Banca centrale europea deve fare le regole, allora bisogna che l'EBA agisca da camera di compensazione con gli altri Paesi, lasciando la potestà regolamentare a chi ha anche quella di vigilanza, evitando di creare situazioni singolari.
Abbiamo già vissuto l'esperienza di Basilea 3, che non si è ancora conclusa. Ora, anche rispetto alle indicazioni provenienti dall'EBA, occorre stabilire come considerare le inadeguatezze patrimoniali. Vorrei capire come si potrà intervenire anche su questo tipo di regolamentazione.
Vorrei sapere, infine, quando chiuderete la Banca d'Italia... Se il finanziamento per la vigilanza viene trasferito alla BCE, chi pagherà le spese per il vostro mantenimento?

LUIGI FEDERICO SIGNORINI, Direttore centrale dell'Area Vigilanza bancaria e finanziaria della Banca d'Italia. Signor presidente, le domande sono veramente molte, compresa l'ultima, con la quale ha voluto mettere un po' di pepe nella discussione. Non so se riuscirò a rispondere su tutto, perché il tempo non è molto. A ogni modo, consentitemi, prima di tutto, di ringraziarvi per gli apprezzamenti, venuti da numerose parti, sulla nostra attività.
Non voglio dire che siamo straordinariamente bravi o che abbiamo fatto particolari miracoli. Molto più semplicemente e modestamente, è stato mantenuto, in Italia, un tipo di vigilanza molto intrusiva e molto qualitativa, rifiutando quel modello che, invece, si era andato affermando soprattutto nel corso degli anni Novanta, tra l'altro, a mio avviso, non totalmente disgiunto dall'idea di separare la vigilanza dalla banca centrale. Le due tradizioni, infatti, stavano bene insieme per tanti motivi, ma questo sarebbe un discorso lungo su cui non posso dilungarmi in questo momento.
Vi era, comunque, la tendenza a una vigilanza che veniva descritta con vari tipi di espressioni inglesi come arm's length (a


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distanza di braccio) o risk based (basata sul rischio), espressione che, peraltro, suona molto bene perché certamente la vigilanza deve essere basata sul rischio. Tuttavia, essa indicava una vigilanza molto selettiva, che cercava di individuare come meglio poteva le istituzioni o le attività che, per dimensione o per inerente rischiosità, ponevano maggiori rischi al sistema bancario e ci si concentrava su quelle, esercitando una vigilanza molto più leggera sul resto. Si trattava di una vigilanza light touch (dal tocco leggero), per usare un'altra espressione inglese. Pur senza voler attribuire meriti indebiti al nostro Paese, il sistema istituzionale e la prassi del supervisore italiano non hanno mai funzionato in questo modo.
Qualche membro della Commissione ha affermato che bisogna cercare di esportare il nostro modello. Certamente, è molto importante che gli standard siano comuni, ma è altrettanto importante che essi siano i migliori. Da questo punto di vista, abbiamo la sensazione che la crisi, almeno per ora, abbia cambiato molto l'atteggiamento internazionale. La vigilanza light touch o arm's length è decisamente fuori moda. Proprio i Paesi che ne erano i più strenui paladini in passato hanno fatto un esame di coscienza e hanno preso decisioni abbastanza radicali di cambiamento di impostazione. Quindi, se la questione è di carattere generale e filosofico, adesso l'opinione prevalente tende ad andare verso la vigilanza intrusiva, che è ormai diventata la parola chiave a cui tutti si riferiscono. Poi, come ciò si realizza concretamente è una questione anche di prassi individuali.
Faccio un esempio molto semplice. Per noi, è molto importante il rapporto tra vigilanza ispettiva, cioè fatta in loco dagli ispettori inviati dalla Banca d'Italia presso le banche, ad aprire i cassetti, a parlare con le persone e via discorrendo, e vigilanza di tipo cartolare, fatta a distanza, ma continuamente, giorno per giorno. Il bilanciamento fra queste due tipologie, che hanno un peso più o meno equivalente nella nostra prassi, con ispezioni molto intrusive e qualitative, che durano a lungo (nei limiti della fallibilità umana, perché nessuno pretende di essere infallibile), è molto importante.
Altrove, per esempio, si agisce con ispezioni molto frequenti, ma molto rapide, che noi diremmo superficiali perché tendenti ad assicurare la presenza effettiva di determinati requisiti dal punto di vista formale più che a verificare come funzionano le cose dal punto di vista qualitativo. In altri Paesi, c'è la tendenza, che noi non abbiamo mai avuto - e siamo convinti che sia giusto così - a basarsi anche su auditor esterni, ovvero su società di revisione, per esempio delegando alcuni compiti di verifica ai privati. Noi crediamo che le società di revisione, nell'ambito dei mercati finanziari, abbiano un importantissimo ruolo da svolgere, ovvero certificare i bilanci e i dati contabili. Non riteniamo, invece, che sia loro compito esercitare funzioni di vigilanza nel senso prudenziale del termine: non è questo, secondo noi, il modo più efficace per operare. Non si tratta di grandi princìpi, ma comunque di aspetti molto importanti nella prassi comune.
In questo momento, si sta cercando di fare un inventario delle prassi di vigilanza nei vari Paesi, valutando i pro e i contro e imparando, per quanto possibile, gli uni dagli altri. Sono, quindi, pienamente d'accordo con le opinioni espresse da diversi componenti della Commissione: la direzione verso la quale bisogna cercare di andare è quella di adottare sempre le prassi che si sono rivelate più efficaci e profonde, anziché quelle più superficiali e meno efficaci.
L'onorevole Pagano mi ha posto due domande che mi hanno messo in imbarazzo per motivi opposti.
Sono un po' in difficoltà a entrare, in quanto componente di un'autorità tecnica, nella questione relativa alla dinamica tra vari Paesi e Governi. Tuttavia, la domanda ha toccato il punto vero della questione: come può effettivamente funzionare il decentramento, e se il decentramento all'italiana - il tema è stato proposto anche dall'onorevole Fluvi -, attuato dalla Banca d'Italia, possa rappresentare un modello.


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Credo sia possibile un forte decentramento operativo e anche decisionale, secondo un modello in cui la cornice e le prassi siano comuni, l'unicità degli andamenti sia assicurata dalla responsabilità decisionale ultima degli organi della BCE, dall'esistenza di linee-guida e dalla possibilità di avocare decisioni anche su singole banche e via dicendo.
Ho fatto l'esempio italiano, ma non vorrei essere preso troppo alla lettera. Diverse differenze impedirebbero un trapianto diretto del nostro modello, senza cambiamenti, in un contesto molto più complesso e più vasto qual è quello europeo. Crediamo, comunque, che il decentramento sia una possibile mediazione. Del resto, il Governo italiano - come si è letto anche sui giornali - sta tentando di andare in questa direzione, proponendo forme di decentramento che attenuino le preoccupazioni di chi vede irrealistico concentrare tutto a Francoforte e, al tempo stesso, mantengano fermo il principio di una vigilanza unica.
L'altra domanda dell'onorevole Pagano, che mi ha messo in imbarazzo per motivi opposti, ha fatto riferimento a una specifica banca, sulle cui vicende mi consentirete di non entrare nei dettagli. A ogni modo, ritengo che proprio il caso delle banche multinazionali - non faccio il caso di una particolare banca o di una specifica banca italiana - sia uno di quelli in cui è molto importante avere una vigilanza veramente europea, che, al di là delle divergenze di opinioni che possono di tanto in tanto esserci tra supervisori, per i motivi più vari, guardi al gruppo e al mercato nel suo complesso, evitando quei fenomeni di segmentazione a cui mi riferivo nella mia introduzione (che mi pare avessero suscitato anche la preoccupazione giustamente espressa dall'onorevole Pagano).
Rispondo all'onorevole Pagano e all'onorevole Fluvi, i quali hanno posto domande simili, richiamando il problema, non facile, dei rapporti tra il nuovo supervisore unico e l'EBA. Da un lato, la differenza è che l'EBA si riferisce ai 27 Paesi e il supervisore unico, almeno per il momento, soltanto a 17 (sperabilmente, in futuro, a un numero maggiore); dall'altro, la Banca centrale europea, nel progetto che è stato diffuso, avrà poteri di supervisione, ma non di regolamentazione, per cui l'aspetto regolamentare rimarrà tra le competenze dell'EBA.
Anche la Banca centrale europea potrà adottare regolamenti e strumenti normativi di vario genere - vedremo cosa stabilirà esattamente il testo finale -, ma questi non faranno «ambiente regolatorio», se mi consentite di usare un'espressione un po' bizzarra. In sostanza, non si tratta di stabilire la regolamentazione prudenziale, compito che, appunto, rimarrà all'EBA, bensì i regolamenti necessari per far funzionare la supervisione (relativi, ad esempio, ai dati che devono fornire le banche e alle modalità secondo le quali devono fornirli, ai comportamenti delle autorità nazionali in un caso oppure in un altro e via discorrendo).
Qualora mi si chiedesse se questa sia la soluzione più razionale possibile, parlando a titolo personale, risponderei probabilmente di no. Devo anche dire che, da questo punto di vista, nel caso italiano, non siamo mai stati eccessivamente preoccupati di mantenere completamente separata l'attività di supervisione da quella di regolamentazione o di risoluzione delle crisi. Certo, ci sono strutture separate, le quali si occupano di ciascuno di questi ambiti. Per esempio, il dottor Rinaldi è responsabile della struttura che si occupa di regolamentazione e di policy generale (semplificando, del lato EBA); altri servizi si occupano della supervisione o della risoluzione. Tuttavia, abbiamo sempre avvertito la necessità di avere un elemento che riduca ad unum queste varie attività, che non possono essere facilmente separate.
Da questo punto di vista, le culture e le sensibilità a livello europeo sono diverse. A parte ciò, bisogna anche dire - richiamando la scelta dell'articolo 127, paragrafo 6, del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea come base giuridica per l'attribuzione alla BCE della responsabilità in materia di vigilanza, con tutti i


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vincoli da essa derivanti - che questo si doveva fare sfruttando gli strumenti esistenti e, come spesso accade nella dinamica delle istituzioni europee, tenendo conto degli equilibri che si potevano effettivamente raggiungere.
Invece di procedere nel modo indicato, si poteva immaginare - come, di fatto, ipotizza qualcuno - una revisione completa del Trattato, volta ad attribuire alla BCE i poteri di vigilanza prudenziale in modo organico, prendendo in considerazione anche i vincoli un po' particolari di cui ho parlato, ponendo il problema del rapporto fra l'attività di supervisione e quella di regolamentazione e risolvendo alla radice, in una maniera, appunto, organica e auspicabilmente razionale, in un mondo ideale, tutti questi problemi.
Qualcuno sostiene che bisognerebbe passare attraverso la modifica del Trattato, ma vi rendete ben conto che, sebbene argomenti perfettamente razionali militino a favore di tale tesi, questo vorrebbe dire non concludere il processo avviato per i prossimi anni. Quindi, l'architettura che si viene creando è certamente complessa, perché vede varie dimensioni in gioco (supervisione versus regolamentazione versus risoluzione di crisi; 17 versus 27; attività di supervisione micro versus attività di supervisione macro, che è un altro argomento su cui non mi sono soffermato, ma di cui pure si sta discutendo in questo momento). Si tratta - ripeto - di un'architettura certamente molto complessa, cui si dovrà mettere mano nel corso del tempo, per procedere a razionalizzazioni e semplificazioni.
Vi ricordo, a questo proposito, che è già prevista, nel corso del prossimo anno, una rivisitazione del sistema delle autorità prudenziali europee. È auspicabile che essa vada nel senso di una semplificazione (o di uno streamlining, come si direbbe in certe sedi), la quale dovrà tenere conto dell'istituzione del supervisore unico (se effettivamente andrà in porto), adattandola al quadro complessivo. D'altra parte, è difficile andare avanti se si pensa di poter compiere tale opera quando tutti i tasselli saranno stati messi al loro posto. Consentitemi anche di aggiungere, senza nulla togliere alle parole che ho appena pronunciato, che bisogna stare attenti ad andare avanti in modo complessivo, comprendendo tutti gli elementi necessari.
L'unione bancaria è un animale, definiamola così, che ha bisogno di tre gambe: quella del supervisore unico, quella della garanzia dei depositi e quella della cornice normativa per la risoluzione delle crisi. Se rimane con una gamba sola, questo animale avrà qualche difficoltà a stare in piedi. È importante, quindi, che si seguano, a livello politico, quelle dichiarazioni di principio, molto chiare e solenni, secondo le quali si deve andare avanti sui tre fronti in maniera simultanea e rapidamente.
Le banche non sono tutte uguali. Questo è un altro tema che è stato segnalato dall'onorevole Montagnoli, dall'onorevole Fluvi e da altri deputati. È vero che le banche non sono tutte uguali. Nessuno sostiene - certamente, non noi - che sia opportuna una vigilanza non proporzionale, esercitata senza tenere conto delle differenze tra i modelli di business e di altri aspetti di diversità.
Apro una parentesi su Basilea 3 e sui modelli di business. Qualunque cosa si pensi di Basilea 3 - se volete, sarò ben lieto di venire un'altra volta per discutere dell'argomento in maniera più dettagliata -, è giusto che sia stato fatto un bilanciamento del peso dei rischi. Come sapete, Basilea 2 e Basilea 3 hanno il loro fulcro in alcune ratio, in cui il capitale, definito in un certo modo, viene posto a confronto con il totale degli attivi, definito in un altro modo. In questo secondo modo, gli attivi non sono presi al loro valore facciale, ma sono ragionevolmente ponderati per il rischio, perché non tutti gli attivi di una banca sono rischiosi allo stesso modo.
Ora, al di là degli infiniti problemi tecnici e di dettaglio, c'era un macroproblema che la crisi ha messo in luce molto chiaramente e che esacerbava le questioni a cui l'onorevole Montagnoli faceva riferimento. Infatti, il trattamento dei rischi di natura creditizia sotto Basilea 2 era molto più penalizzato, dal punto di vista dei pesi


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del risk waiting, rispetto al trattamento dei rischi di natura finanziaria, proprio mentre si scatenava la crisi nel 2007, fino alla vera crisi sistemica conclamata nel 2008, fondamentalmente dovuta al lato finanziario.
Questo aspetto cambia con Basilea 3. Per l'esattezza, devo dire che è già cambiato con «Basilea 2 e mezzo», che, con questo nome un po' bizzarro, è stata una sorta di toppa regolamentare, introdotta in attesa di ripensare completamente il peso dei rischi finanziari, ribilanciando il peso reciproco di questi due tipi di rischio, che sarà ulteriormente bilanciato, appunto, con Basilea 3. Si è, quindi, tenuto conto di queste differenze in maniera sicuramente più efficace di quanto non facesse il sistema passato.
Comunque, per ritornare al discorso più specifico sul supervisore unico, i sistemi bancari europei sono diversi l'uno dall'altro, ma hanno anche alcune somiglianze. Visto che è stata menzionata tante volte la Germania, si tratta di un altro Paese in cui ci sono poche grandi banche, una categoria di banche medie regionali (Sparkassen) somiglianti a quelle che erano le nostre casse di risparmio e le banche popolari (Volksbanken), simili alle nostre. Avendo riguardo, invece, alle banche di credito cooperativo, ci sono le Raiffeisen, che sono più o meno la stessa cosa. I soggetti che compongono il sistema bancario sono più numerosi che da noi. In Francia, invece, sono meno numerosi. Insomma, ogni Paese è diverso dagli altri per qualche aspetto.
È chiaro che il sistema di supervisione deve tenere conto non solo della differenza tra i Paesi, ma anche di quella tra le banche. Del resto, anche in casa abbiamo un supervisore unico, la Banca d'Italia, che si occupa di UniCredit e di Intesa Sanpaolo come della più piccola BCC o delle Raiffeisen (come si chiamano in Alto Adige). Non vedo, quindi, una contraddizione tra l'avere un supervisore unico a livello europeo e la necessità assolutamente imprescindibile - sono d'accordo con le osservazioni avanzate - di guardare con intelligenza e con ragionevolezza, individuando i rischi dove veramente sono. Non è che una banca grande sia più rischiosa e una piccola lo sia meno, o viceversa. Non è questione di grandezza, ma i rischi sono, ovviamente, diversi a seconda della dimensione e del modello di business e devono essere valutati in modo diverso da un'autorità di vigilanza intelligente.
L'onorevole Ventucci, ricordando casi verificatisi in passato, ha posto il problema della gestione, dal punto di vista temporale, di un passaggio così difficile. Il problema è sicuramente serio, e non è mia intenzione sottovalutare le difficoltà del compito.
In proposito, desidero svolgere due considerazioni.
La prima è che, quali che siano le decisioni finali sulla gradualità del passaggio istituzionale nell'esercizio effettivo dei poteri e delle attività di vigilanza, sarebbe importante che il regolamento, cioè lo strumento normativo che istituirà il supervisore unico, entrasse in vigore già il 1o gennaio 2013 - questo è l'obiettivo - o comunque molto presto, perché la proposta della Commissione già prevede un'attivazione graduale.
La proposta originaria, presentata il 12 settembre, prevede che il regolamento entrerà in vigore il 1o gennaio 2013, per cui, da questa data, la Banca centrale europea potrà assumere, in qualsiasi momento, la supervisione di alcune banche; dal 1o luglio successivo, essa assumerà la supervisione di un certo numero banche sistemiche; infine, dal 1o gennaio 2014, controllerà l'intero sistema. È già prefigurata, quindi, una scala di gradualità.
Ora, quale che sia la gradualità di attuazione che si può avere in mente, è importante che l'istituzione ufficiale del meccanismo di supervisione unica ci sia subito, perché questo porterà anche alla definizione della cornice legale per creare le condizioni effettive dei trasferimenti in tempi brevi. Ci tengo, comunque, a ripetere che ciò non rappresenta una cessione, ma dà vita a un pooling di attività. Del resto, dal nostro punto di vista, la Banca


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centrale europea non è un organismo estraneo perché ne siamo parte integrante e vi contribuiamo attivamente.
La seconda osservazione, proponendo la quale rispondo almeno parzialmente al quesito che l'onorevole Ventucci ha posto, è che non si parte da zero. Voglio dire che il sistema di supervisione europeo si fonda su supervisori nazionali già esistenti e perfettamente attivi, con le loro professionalità e - non voglio negarlo - anche con i loro limiti e difetti. Tuttavia, è importante che, nella fase di transizione, quale che sia, non venga meno in nessun momento l'attenzione costante. Il passaggio deve essere tale che non ci sia mai il dubbio su chi sia responsabile di cosa, su chi debba fare cosa e via dicendo. Quindi, occorre che l'attenzione non si allenti mai.

PRESIDENTE. Non ha risposto per quanto riguarda il finanziamento della Banca d'Italia.

LUIGI FEDERICO SIGNORINI, Direttore centrale dell'Area Vigilanza bancaria e finanziaria della Banca d'Italia. Attualmente, l'attività di vigilanza viene finanziata, in molti Paesi, tramite un prelievo a carico del sistema bancario, fondato su diversi criteri. Questa non è la situazione italiana perché l'attività di vigilanza è finanziata dalla Banca centrale, attraverso, appunto, le sue attività di banca centrale.
Ciò detto, devo naturalmente aggiungere che lei, signor presidente, ha ragione a porre la questione. Poiché la proposta di regolamento prevede che ci sia un finanziamento tramite prelievo sulle banche, i criteri per determinare l'entità del finanziamento e il modo di distribuirlo all'interno del sistema sono certamente fra i punti a cui occorrerà prestare attenzione.

PRESIDENTE. Abbiamo ancora un po' di tempo.
Delle due questioni che ci proponevamo di affrontare, una riguarda lo schema di decreto legislativo recante ulteriori modificazioni e integrazioni al decreto legislativo n. 141 del 2010, relativo ai contratti di credito ai consumatori e un'altra l'Ivass. Poiché l'esame del primo provvedimento richiede più tempo, le chiederei, direttore, di fare un accenno alla vicenda dell'Ivass.
Per quanto riguarda il primo argomento, vorrei ricordare che il termine per l'esercizio della delega è ampiamente scaduto. Pertanto, non sarà possibile intervenire nuovamente utilizzando tale strumento. Abbiamo avuto alcuni problemi, poiché, dopo una prima condivisione con il Ministero dell'economia e delle finanze e con la Banca d'Italia, il testo approvato dal Consiglio dei ministri presentava significative differenze rispetto a quello inizialmente concordato. D'altronde, i temi da affrontare sono tanti. Tengo a far presente, inoltre, che sembrano essere in ritardo anche i provvedimenti attuativi.
Voglio ricordare ai colleghi che una situazione analoga si sta verificando per quanto riguarda il costo delle commissioni delle carte di credito, perché, a causa di rimpalli tra il Ministero e la Banca d'Italia, ancora non si è visto uno straccio di documento.
Pertanto, proporrei di affrontare in altra sede le questioni relative ai contratti di credito ai consumatori, magari insieme a quelle concernenti le predette commissioni, e di chiarire subito, invece, la vicenda dell'Ivass.

LUIGI FEDERICO SIGNORINI, Direttore centrale dell'Area Vigilanza bancaria e finanziaria della Banca d'Italia. Farò riferimento, sia pure brevemente, al documento consegnato.
La riforma ha perseguito l'obiettivo di un collegamento più stretto tra la funzione di vigilanza bancaria e quella assicurativa. Per favorire questa integrazione, la legge ha previsto una condivisione parziale degli organi di vertice tra le due autorità, con il Direttorio della Banca d'Italia che, opportunamente allargato, diventa anche l'organo di vertice del nuovo organismo assicurativo, che, appunto, è l'Ivass.
Le norme prefigurano un assetto istituzionale il cui obiettivo è accrescere l'efficacia sia della complessiva funzione di supervisione prudenziale, sia delle due


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autorità responsabili. Sono previste, quindi, specifiche norme per consentire il raccordo operativo. Questa soluzione somiglia a quella adottata in altri Paesi, in cui la vigilanza bancaria e quella assicurativa sono affidate al medesimo soggetto o, comunque, legate istituzionalmente.
La Banca d'Italia ha fatto quello che la legge chiedeva di fare: entro il 31 ottobre scorso ha deliberato lo statuto del nuovo organismo, che è stato trasmesso, come previsto, al Governo e poi al Presidente della Repubblica per la definitiva approvazione, e ha proposto, per l'integrazione del Direttorio, la nomina di due esperti, i quali, al momento dell'entrata in vigore dello statuto, affiancheranno il presidente, che è ex officio il direttore generale della Banca d'Italia, nel consiglio dell'Ivass.
Nello Statuto, tenendo conto delle indicazioni della legge, si è cercato di riaffermare, anche per l'Ivass, i princìpi di autonomia, indipendenza e trasparenza che sono applicabili alla Banca d'Italia. Dal punto di vista operativo, lo Statuto attribuisce al consiglio l'individuazione di determinate forme di collaborazione con la Banca d'Italia che, come prescritto dalla legge, servono a garantire una gestione efficiente dell'attività di supervisione. Infatti, il costo dell'attività di supervisione deve essere minimizzato, cercando anche delle sinergie.
Il consiglio dovrà ben presto definire il trattamento giuridico, economico e previdenziale del personale e definire un piano di riassetto organizzativo. Anche su questo, la legge pone vincoli stringenti in termini di costi. In analogia a quanto avvenuto in relazione alle attività preparatorie per l'unione bancaria da parte del sistema europeo delle banche centrali, la Banca d'Italia, in attesa dell'avvio formale dell'Ivass, fissato al 1o gennaio dell'anno prossimo, ha già dato inizio alle necessarie attività preparatorie e, in particolare, sta svolgendo approfondimenti in merito alle esigenze, ai margini di convergenza delle attività e al modus operandi. Vengono in considerazione, infatti, autorità che lavorano in modo diverso, sia per la natura diversa dei due sistemi vigilati - quello assicurativo e quello bancario - sia per differenti tradizioni. Comunque, anche in questo caso, vi posso assicurare che l'obiettivo è optare per le forme di vigilanza più efficaci.

FRANCESCO BARBATO. In primis, ringrazio, anche a nome del gruppo parlamentare dell'Italia dei Valori, il direttore centrale, dottor Signorini, e i condirettori, dottor Rinaldi e dottor Tusini Cottafavi.
Ho presentato, di recente, un'interrogazione nella quale ho evidenziato, nelle premesse, come a Piergiorgio Peluso, figlio del Ministro Cancellieri, sia stata liquidata un buonuscita pari a circa 3,7 milioni di euro dopo soli quattordici mesi di lavoro presso Fonsai, la società assicurativa dell'imprenditore Salvatore Ligresti, già arrestato per tangenti e indagato per corruzione. I fatti da me denunciati nell'atto di sindacato ispettivo sono anche oggetto di un'indagine della Procura di Torino, nella quale pare essere coinvolto, tra l'altro, anche l'ex presidente dell'Isvap, commissario per l'ordinaria e straordinaria amministrazione dell'Istituto fino al prossimo 1o gennaio. Mi sembra, infatti, che lo statuto dell'Ivass entrerà in vigore da tale data.
Ora, come lei afferma nella relazione, il presidente dell'Isvap, ora commissario, ha puntualmente adempiuto al dovere di informativa posto a suo carico. A cosa ha adempiuto, direttore? A riferirvi con cadenza quindicinale? Lei si ritiene soddisfatto dell'attività del commissario dell'Isvap, malgrado il suo operato abbia presentato una zona d'ombra su cui la magistratura sta indagando? Insomma, in seno all'Isvap e, oggi, a Bankitalia, vi è un profilo sub iudice, in relazione a una vicenda abbastanza inquietante, che ha visto l'Isvap, probabilmente, non svolgere fino in fondo la sua attività di vigilanza e di controllo in merito alla solidità finanziaria di Fondiaria Sai, tanto traballante da avere indotto i vertici della società a presentare bilanci non veritieri.
Come se ciò non bastasse, a colui che ha contribuito alla redazione dei predetti bilanci, cioè al direttore generale Peluso,


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figlio del Ministro Cancellieri, è stata addirittura corrisposta una buonuscita di circa 3,7 milioni di euro. Insomma, sembra che il Governo abbia tenuto tutti e due gli occhi chiusi, probabilmente su cattiva indicazione dell'Isvap.
Ciò detto, in un momento in cui si chiedono maggiore trasparenza della pubblica amministrazione e, soprattutto, dirigenti sui quali non ci sia l'ombra del sospetto, le chiedo se Bankitalia ritenga di poter continuare a camminare in simile compagnia anche per quanto riguarda il nuovo Istituto di vigilanza sulle assicurazioni.
Inoltre, leggo che il Governatore ha proposto per la nomina nel consiglio dell'Ivass, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico, i nomi di due esperti, Alberto Contini e Riccardo Cesari. Dico subito che non li conosco. Tuttavia, poiché sono abituato ad avere rapporti con i contesti europei (grazie all'esperienza del Partito Pirata, abbiamo incontrato, domenica scorsa, europarlamentari svedesi e deputati tedeschi), mi sembra che, negli altri Paesi, quando si tratta di nominare i componenti delle authority, si facciano avvisi pubblici, con i quali si invitano le persone a proporre la loro candidatura. Pare anche che si proceda ad audizioni-interviste dei candidati.
Personalmente, proposi, per la Camera, che chi vuole partecipare a una nomina debba essere sottoposto ad audizioni presso le Commissioni competenti. Penso, infatti, che molte persone, sapendo di dover rispondere a domande, non si presenterebbero neppure. A ogni modo, le chiedo come si è arrivati alla nomina dei due esperti. Essendo stati nominati di concerto con il Ministro dello sviluppo economico, non vorrei che fosse stata seguita una logica meramente spartitoria (uno ciascuno), senza seguire le modalità invalse in Europa in simili casi.
Vengo alla terza domanda. Si parla di collaborazione con Bankitalia rispetto all'utilizzo delle infrastrutture, per una gestione più efficiente del nuovo istituto. Tuttavia, mi risulta che la sede dell'Isvap sia ancora in via del Quirinale, dove si continua a pagare un milione di fitto all'anno a un fondo dei giornalisti (o a qualcosa del genere). Le chiedo, allora, se l'Ivass sia nato per ridurre i costi, quindi per eliminare anche queste spese, o sia solo propaganda il fatto che dovete garantire risparmi rispetto al costo totale di funzionamento dell'Isvap.
Infine, i lavori del tavolo tecnico hanno fatto emergere - come lei stesso afferma, direttore - come tra vigilanza bancaria e assicurativa vi siano alcune analogie, ma anche significativi elementi di differenziazione, in parte giustificati dalle specificità dei due comparti. In proposito, dico subito che ritengo barocca l'istituzione dell'Ivass, perché stiamo parlando di due settori diversi. Insomma, fare la vigilanza sulla liquidazione dei sinistri o sulle riserve tecniche delle compagnie di assicurazione è cosa diversa dal vigilare sull'erogazione del credito, anche se - com'è detto nella relazione - in Gran Bretagna, in Francia o in Germania si regolano in questo modo per le attività affini di banking insurance.
Tra l'altro, poiché faccio l'assicuratore, so bene come funzionano le cose. Comunque, mi sembra che la soluzione sia, come al solito, un po' all'italiana: si riconosce che esistono due settori con specificità diverse, ma, ciò nonostante, si mette tutto assieme e l'Ivass diventa una sorta di appendice di Bankitalia, con funzioni diverse. Non dico che possa determinarsi un conflitto, perché l'utilizzo di tale termine sarebbe improprio. Non pensa, tuttavia, che, mettendo tutto in capo alla Banca d'Italia, si possano creare «preferenze» per un settore rispetto all'altro? Insomma, non ritiene che questa fusione barocca sia tutt'altro che rispondente, in realtà, alle esigenze della vigilanza, e possa addirittura creare conflitti o ingerenze?

LUIGI FEDERICO SIGNORINI, Direttore centrale dell'Area Vigilanza bancaria e finanziaria della Banca d'Italia. Prima di tutto, devo premettere che non spetta a me, nell'organizzazione della Banca d'Italia, la responsabilità di questi aspetti. Detto ciò, siccome mi è stato chiesto dalla Commissione di parlare anche di questi


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argomenti, farò del mio meglio, anche con riferimento alle domande dell'onorevole Barbato.
In particolare, egli mi domanda se siamo soddisfatti e contenti di prenderci carico, per così dire, di un soggetto che ha, come lui descrive, tanti problemi. Devo rispondere che non si tratta di essere contenti o meno. La legge attribuisce questo compito non proprio alla Banca d'Italia, perché, come ho spiegato, si tratta di due istituzioni che mantengono in una costruzione, che lei definisce barocca, onorevole Barbato, la loro individuale personalità giuridica, ma che sono ricondotte ad unità sia perché l'organo di vertice è parzialmente lo stesso, sia perché la stessa legge prevede una serie di integrazioni di carattere operativo affini, sotto i profili dell'efficienza e dell'efficacia.
Inoltre, egli ci chiede - riprendo le sue parole - se vogliamo continuare a camminare in simile compagnia. Direi che abbiamo fatto ciò che la legge ci chiedeva: predisporre una proposta di statuto, proporre due persone per il consiglio dell'Ivass e per l'integrazione del Direttorio della Banca d'Italia. Dopo di che il direttore generale della Banca d'Italia eserciterà le responsabilità che la legge gli affida come presidente dell'Ivass, cercando di fare il meglio possibile anche per quanto riguarda la scelta delle persone.
Quanto agli organi dell'Isvap, non ci saranno più dal 1o gennaio 2013.
Per quanto attiene alla selezione, lei ha detto cose che ritengo molto interessanti e valide, onorevole Barbato. Comunque, gli usi sono molto vari a livello internazionale: non è che dappertutto si faccia alla stessa maniera. Peraltro, anche quando ci sono advertisment, cioè avvisi aperti, i criteri, le forme e quant'altro non sono necessariamente somiglianti a quelli, un po' rigidi, del concorso pubblico italiano.
A ogni modo, tengo conto di quanto ha detto, onorevole Barbato, e lo riferirò. Tuttavia, devo anche tenere presente che questa non è una scelta della Banca d'Italia: si è agito in base alla legge approvata dal Parlamento, la quale prevede che la nomina dei due esperti avvenga secondo una certa procedura.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, poiché sono ripresi i lavori dell'Assemblea, siamo costretti a sospendere la seduta.
Chiederei al dottor Signorini di proseguire l'audizione in un'altra data, da concordare, per affrontare meglio le due questioni relative all'Ivass e alle modifiche al decreto legislativo n. 141 del 2010. In merito a quest'ultimo, dottor Signorini, le consegno un documento in cui sono indicate le differenze fra il testo che era stato concordato, in maniera da poter inquadrare meglio la situazione.
Ringrazio il dottor Signorini del contributo da lui offerto all'ampia discussione odierna. Autorizzo la pubblicazione della documentazione da lui consegnata in allegato al resoconto della seduta odierna (vedi allegato).
Rinvio il seguito dell'audizione ad altra seduta.

La seduta termina alle 17,05.

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