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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissione VI
1.
Martedì 23 giugno 2009
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Conte Gianfranco, Presidente ... 3

INDAGINE CONOSCITIVA SUL CREDITO AL CONSUMO

Audizione dei rappresentanti della CRIF Spa:

Conte Gianfranco, Presidente ... 3 5 6 9 11 13 18 20
Bragantini Matteo (LNP) ... 8 10
D'Antoni Sergio Antonio (PD) ... 10
Fugatti Maurizio (LNP) ... 9 17 19
Gherardi Carlo, Amministratore delegato della CRIF Spa ... 3 6 8 13 18 19
Salemi Marco, Direttore del settore ricerca e innovazione della CRIF Spa ... 4 6 15 19
Ventucci Cosimo (PdL) ... 11

ALLEGATO: Documentazione consegnata dai rappresentanti della CRIF Spa ... 21
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Movimento per l'Autonomia: Misto-MpA; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Repubblicani; Regionalisti, Popolari: (Misto-RRP).

[Avanti]
COMMISSIONE VI
FINANZE

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di martedì 23 giugno 2009


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GIANFRANCO CONTE

La seduta comincia alle 12,40.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso e la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Audizione dei rappresentanti della CRIF Spa.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sul credito al consumo, l'audizione dei rappresentanti della CRIF Spa.
Do subito la parola ai nostri ospiti.

CARLO GHERARDI, Amministratore delegato della CRIF Spa. Signor presidente, onorevoli parlamentari, prima di fornire un'analisi dello stato di salute del mercato del credito alle famiglie e ai piccoli operatori economici, e di prospettare eventuali iniziative volte a migliorarlo e a renderlo più fluido, mi sia consentito offrire una brevissima presentazione della nostra azienda.
CRIF Spa è una società italiana, il cui acronimo sta per «Centrale rischi finanziari». Nata a Bologna nel 1988, essa fornisce servizi a tutte le banche, in Italia e in tanti altri Paesi, ai consumatori e anche alle aziende, per quanto concerne le informazioni di loro interesse.
Operiamo in tre continenti, nei quali circa 1.400 banche e società finanziarie utilizzano i nostri servizi. In Italia, siamo l'azienda principale nel settore. Tutti i giorni, il 90 per cento degli sportelli bancari si collega a CRIF per effettuare verifiche concernenti le richieste di credito presentate dalla clientela. Occupiamo 1.250 persone, 1.000 delle quali nelle sedi nazionali, con un monte stipendi e oneri sociali pari a 70 milioni di euro, 55 dei quali relativi al personale operante in Italia.
In primo luogo, vorrei spiegare cos'è un sistema di informazione creditizia. Il SIC è qualcosa di diverso da quella che, in passato, era denominata «Centrale rischi»: si tratta di un sistema in cui gli operatori finanziari si scambiano le informazioni positive e negative relative agli affidamenti e ai pagamenti della clientela.
Con il passare degli anni, a causa dell'accresciuta mobilità geografica - le persone si spostano più frequentemente da una città all'altra o da una provincia all'altra, in Italia ma anche all'estero - la conoscenza diretta del cliente è andata scomparendo. Per questo motivo esistono, oggi, sistemi che offrono al consumatore la possibilità di utilizzare la propria credit reputation ovunque si trovi. Questo è un concetto importante, sul quale vale la pena di insistere: i sistemi di informazione creditizia permettono al consumatore di far valere il proprio comportamento passato, evidenziando se ha pagato regolarmente i debiti contratti ovvero se è incorso, eventualmente, in mancati pagamenti.
L'attività dei SIC è disciplinata da uno stringente «Codice di deontologia e di buona condotta per i sistemi informativi gestiti da soggetti privati in tema di crediti al consumo, affidabilità e puntualità nei


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pagamenti», alla cui sottoscrizione le associazioni rappresentative delle banche e delle società finanziarie e varie associazioni di consumatori sono addivenute sulla base dell'attività di promozione demandata al Garante della privacy dall'articolo 117 del Codice in materia di protezione dei dati personali.
Senza entrare nei dettagli, sottolineo che un sistema informativo in grado di fluidificare l'accesso al credito agevola la concessione di prestiti, tanto alle famiglie quanto alle aziende, e sostiene la crescita dell'economia. Non è superfluo ribadire, a tale proposito, che l'attività svolta dai SIC è utile non soltanto alle aziende di credito, ma anche ai consumatori, ai quali consente di dimostrare che qualcuno ha già concesso loro del credito, e che i pagamenti sono avvenuti regolarmente; è evidente che, in tal modo, essi potranno negoziare un eventuale nuovo prestito a condizioni diverse rispetto a quelle che otterrebbero se fossero sconosciuti al sistema creditizio.
In Italia, i SIC detengono informazioni concernenti i rapporti di credito in relazione ai quali il consumatore o la piccola e media azienda hanno preventivamente prestato il consenso al trattamento dei loro dati personali. Si tratta, dunque, di sistemi informativi diversi dai registri dei protesti o da altre banche dati: i SIC si occupano esclusivamente di rapporti di credito.
Il 95 per cento dei consumatori e delle imprese italiane censite nei SIC è costituito da buoni pagatori e, quindi, può far valere la propria credit reputation nei confronti degli intermediari finanziari.
Abbiamo constatato - io sono un ex operatore del sistema finanziario - che, senza i SIC, in Italia come in tanti altri Paesi, i consumatori e le imprese incontrano maggiori difficoltà nell'accesso al credito, ovvero devono fornire maggiori garanzie.
Non a caso, a livello mondiale, tanti Stati e varie istituzioni intergovernative favoriscono l'introduzione di sistemi di informazione creditizia (noi stiamo contribuendo alla loro realizzazione in molti Paesi in via di sviluppo). La questione fondamentale è che, se non si può dimostrare di essere buoni pagatori, avere accesso al credito è molto difficoltoso.
Passerei ora la parola, se il presidente lo consente, al dottor Salemi, il quale offrirà una breve sintesi relativa al mercato del credito e all'andamento che lo caratterizza nell'attuale periodo di crisi economica.
Poiché i nostri dati sono aggiornati con cadenza mensile, abbiamo la possibilità di mettere a disposizione della Commissione rilevazioni statistiche che offrono un quadro della situazione attuale.

MARCO SALEMI, Direttore del settore ricerca e innovazione della CRIF Spa. Innanzitutto, desidero fornire alla Commissione due dati che evidenziano il trend.
Il grafico a pagina 14 del documento che abbiamo depositato rappresenta una sorta di termometro del mercato del credito in Italia. In relazione alle nuove erogazioni di credito, esso mostra l'andamento del credito al consumo e dei mutui. Fondamentalmente, dopo anni di crescita piuttosto intensa, ancora in atto nel 2007, il dato consolidato del 2008 è già molto negativo per quanto riguarda i mutui, il cui tasso di crescita è intorno al -14 per cento. Un andamento sostanzialmente non favorevole si registra, nel 2008, anche nel settore del credito al consumo - cresciuto dell'1,3 per cento - se si considera che, fino all'anno prima, il relativo tasso di crescita era espresso con numeri a due cifre. Inoltre, se focalizziamo l'attenzione sui dati relativi al primo trimestre del 2009, ci accorgiamo che, a livello più congiunturale, la situazione è peggiorata: il decremento arriva al -23 per cento per i mutui e al -11 per cento per il credito al consumo. Va fatto presente, peraltro, che una parte cospicua dei mutui erogati nel 2008 - pari ad un quinto del mercato - è costituita da contratti stipulati non per acquistare immobili, ma per procurarsi liquidità (mutui di liquidità) ovvero per sostituire un mutuo in essere (mutui di sostituzione, che non danno luogo a veri e propri impieghi, in quanto si sovrappongono


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a impieghi già esistenti). Tenendo conto di ciò, l'andamento dei mutui sarebbe addirittura peggiore di quello poc'anzi rappresentato.
Il grafico a pagina 15 permette di rilevare come sia in atto, contestualmente, un cambiamento nel mix dei prodotti erogati.
Per quanto riguarda il credito al consumo, si registra un forte calo dei finanziamenti finalizzati - soprattutto per quanto riguarda il segmento dell'auto, che rappresenta il 30 per cento di tale mercato - a favore di una crescita dei prestiti personali. Si tratta di un fenomeno che potremmo definire endogeno: si assiste ad uno spostamento verso tale forma di finanziamento - più redditizia - ma anche verso i prestiti contro cessione del quinto (dello stipendio o della pensione), che servono, evidentemente, per soddisfare bisogni di tipo diverso. Non vengono più in rilievo, quindi, investimenti in beni durevoli, ma erogazioni tendenzialmente funzionali a esigenze di liquidità, concesse a fronte di garanzie, quali la cessione del quinto dello stipendio o della pensione, a soggetti che, altrimenti, sarebbero con molta probabilità esclusi dal mercato.
Riguardo ai mutui, ho già detto della crescita di quelli non immobiliari. I dati di Bankitalia sull'evoluzione del tasso di indebitamento delle famiglie italiane ampliano lo spazio temporale di osservazione. Il grafico a pagina 16 mostra chiaramente che dal 2001 in poi vi è stata una crescita costante del predetto livello di indebitamento, arrestatasi, però, nel 2008 (il calo dei tassi di erogazione fa sì che lo stock non sia aumentato: ci siamo fermati). La nostra opinione è che si tratti di una battuta d'arresto e non di un fenomeno destinato a stabilizzarsi nel lungo periodo. Infatti, il rapporto tra reti disponibili e finanziamenti si attesta, in Italia, intorno al 57 per cento e, quindi, ad un livello ancora molto distante da quello raggiunto in altri Paesi. Se si considera che la media europea è intorno al 90 per cento, ci si avvede che i margini di crescita, da questo punto di vista, sono ancora ampi (ma la situazione congiunturale di certo non aiuta).
Venendo al tema del rischio, il grafico a pagina 17, elaborato sulla base di dati forniti dalla nostra centrale rischi, registra l'evoluzione del tasso di insolvenza dei mutui nel periodo dicembre 2006-marzo 2009. Prima di illustrarlo, può essere utile chiarire alcuni concetti.
Un tasso di insolvenza pari all'1 per cento vuol dire che un mutuatario su cento, nel corso di un anno, diventa insolvente, mentre i restanti sono in regola con i pagamenti.
È insolvente, per noi, chi ci viene segnalato come tale da parte di una banca, vale a dire chi risulta in situazione di sofferenza, o in ritardo da più di sei mesi nel pagamento delle rate.
Il tasso di default è una grandezza di flusso puramente oggettiva, indipendente dalle politiche di cessione del credito e di cartolarizzazione che possono adottare le banche: esso fornisce una rappresentazione di ciò che succede esattamente nel portafoglio dei mutui.
Ebbene, il grafico mostra che, a partire dalla fine del 2007, dopo anni di stabilità del tasso di insolvenza dei mutui intorno all'1-1,1 per cento, vi è stata una crescita progressiva, lenta ma costante.
Ciò avviene, probabilmente, per effetto del concorso di molteplici fattori. Innanzitutto, le banche hanno modificato la loro politica creditizia, rendendola più democratica - per così dire - ma anche più aggressiva: si pensi ai mutui ad alto loan to value o all'apertura verso fasce marginali della popolazione (dal 2000 in poi) o, ancora, alle nuove tipologie di mutui. Simili cambiamenti possono produrre una crescita del tasso di default.
Bisogna considerare, inoltre, l'impatto della crisi economica e, molto probabilmente, anche l'aumento dei tassi d'interesse relativi ai mutui a tasso variabile.

PRESIDENTE. I mutui ai quali fa riferimento il grafico sono immobiliari?


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MARCO SALEMI, Direttore del settore ricerca e innovazione della CRIF Spa. Sì.

CARLO GHERARDI, Amministratore delegato della CRIF Spa. Stipulati da famiglie, quindi da privati, che finanziano l'acquisto della casa con un mutuo.

MARCO SALEMI, Direttore del settore ricerca e innovazione della CRIF Spa. I grafici a pagina 18 indicano, in dettaglio, che ai mutui con durata più lunga e per importi più elevati è associato un tasso di default più alto.
Per quanto riguarda i prestiti, le tabelle a pagina 19 dimostrano che l'andamento del tasso di insolvenza è analogo a quello che ha caratterizzato i mutui: si registra un aumento costante a partire più o meno dallo stesso trimestre (dicembre 2007-marzo 2008). Probabilmente, anche in questo caso il fenomeno è da ricondurre ai fattori già indicati, tra i quali il mutamento degli schemi contrattuali - si è allungata, ad esempio, la durata - e l'allargamento delle fasce di popolazione che hanno avuto accesso al credito.
Anche per i prestiti è possibile analizzare, in dettaglio, se vi siano relazioni tra tasso di default, classi di durata e classi di importo (a tale riguardo segnalo che per un disguido sono stati invertiti i titoli dei due grafici riportati a pagina 20 della documentazione consegnata). Un peggioramento si riscontra, anno dopo anno, anche sul versante dei prestiti; tuttavia, esso non sembra particolarmente legato agli importi, mentre è più visibile una connessione con le durate. I prestiti con una durata più lunga sono, quindi, più rischiosi. Ciò avviene per due motivi. In primo luogo, vi è un effetto vintage: si tratta dei prestiti più recenti, rivolti a fasce di popolazione alle quali, probabilmente, non venivano concessi fino a qualche anno fa. Inoltre, il fatto stesso che si allunghino i tempi di rimborso determina, banalmente, una maggiore probabilità di insolvenza.

PRESIDENTE. Non avete informazioni riferite ai mutui a tasso variabile nella fase in cui i saggi d'interesse crescevano? Esse aiuterebbero a capire se l'aumento del livello di default fosse riconducibile in qualche misura alla particolare fase in cui si è registrato un incremento del costo del denaro.
I dati che ci avete fornito sono aggiornati a marzo 2009. Tuttavia, sarebbe interessante sapere quanti tra i debitori insolventi a quella data siano tornati in bonis a seguito della caduta dei tassi, per effetto della diminuzione degli importi delle rate dei mutui.

MARCO SALEMI, Direttore del settore ricerca e innovazione della CRIF Spa. Abbiamo elaborato un'informazione molto simile a quella da lei richiesta, signor presidente, osservando l'andamento dei mutui a rata variabile e di quelli a rata fissa (non si tratta proprio del tasso, ma il concetto è lo stesso). Al momento, non disponiamo dei dati di dettaglio, ma le analisi da noi condotte confermano che i mutui a rata variabile sono caratterizzati da un livello di default peggiore.
Anche noi stiamo cercando di capire se in questi ultimi mesi il fenomeno stia rientrando (i dati consolidati coprono fino al primo trimestre dell'anno in corso). Vi è qualche segnale in tal senso, ma ancora non si può parlare di vera e propria evidenza. Il periodo analizzato è breve, ma qualche effetto positivo si nota.
Potremmo inviare questi dati successivamente, qualora la Commissione desideri acquisirli.

CARLO GHERARDI, Amministratore delegato della CRIF Spa. Comunque, nel 2008, si è notato che, quando i tassi sono cresciuti, anche le insolvenze sono aumentate.

MARCO SALEMI, Direttore del settore ricerca e innovazione della CRIF Spa. Come dicevo, anche il tasso di default dei piccoli operatori economici ha fatto registrare un andamento negativo. I dati esposti a pagina 21 del nostro documento non sono suddivisi per forma tecnica, ma sono riferiti all'aggregato dei prestiti. Questo


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segmento del mercato è più legato a fenomeni ciclici, ma dalla fine del 2007 sta peggiorando anche il tasso di insolvenza.
Se limitiamo l'osservazione all'Italia, notiamo che le cose non vanno molto bene. Tuttavia, occorre precisare che eravamo abituati ad un regime di insolvenza molto basso, ad un rischio molto basso e molto stabile nel tempo. Per consentire un confronto che è chiarificatore, abbiamo inserito a pagina 22 due tabelle riferite alla situazione americana, rispetto alla quale è possibile formulare due rilevi.
Quanto al credito al consumo, abbiamo visto che il nostro ultimo tasso, quello peggiore, è intorno al 2,7 per cento. Tale percentuale è quella da cui gli Stati Uniti partivano quando le cose andavano bene, mentre adesso, stando all'ultima rilevazione sui loro dati, sono arrivati al 4,7 per cento.
La situazione americana appare ancora più preoccupante se si ha riguardo ai mutui: nel primo grafico riportato in alto, sempre a pagina 22, balza immediatamente all'occhio il tasso di default relativo ai mutui sub-prime, che ha superato il 30 per cento. A mio avviso, tuttavia, questo è il dato meno preoccupante, poiché è riferito a un particolare portafoglio, ormai fuori controllo, che andrà gestito in qualche modo.
Se osserviamo, invece, nello stesso grafico, la linea che rappresenta l'andamento del tasso di default dei mutui prime - quelli concessi alla clientela che non aveva avuto problemi in passato - notiamo un incremento, a marzo 2009, del 6 per cento, che non ci aspetteremmo di rilevare in una tale tipologia di finanziamenti.
Direi, quindi, che è evidente l'incidenza del cambiamento dell'offerta: quella del 2007 è passata alla storia come la crisi dei mutui sub-prime, mentre era la crisi dei mutui con adjustable rate mortgage, ossia dei mutui erogati con quelle modalità particolari che, di fatto, hanno rovinato il mercato.
L'Italia è molto lontana da una simile situazione di crisi, né ci sono i presupposti per andare su quella strada.
Gli ultimi dati che vorremmo portare all'attenzione della Commissione riguardano taluni cambiamenti, in senso più conservativo, che stiamo osservando nelle politiche creditizie delle banche. In particolare, la tabella a pagina 23 indica che l'Italia era arrivata ad erogare, nel 2006, un 10 per cento del totale degli importi finanziati a non cittadini (i cosiddetti «mutui agli immigrati»). Nel 2007 e nel 2008 tale percentuale si è ridotta, complessivamente, di due punti e mezzo, e poi di un altro punto nei primi sei mesi del 2009. Vi è, dunque, un evidente ritorno a una politica dei mutui che tende a privilegiare le fasce più core della popolazione. I prospetti a pagina 24 mostrano un altro dettaglio: ripartendo la popolazione immigrata per aree di provenienza, si osserva che si riduce in maniera più significativa la percentuale dei mutui erogati alla componente africana, (tendenzialmente, i soggetti di etnia africana sono anche quelli che hanno maggiori problemi nei pagamenti). Insomma, il regresso che si registra da questo punto di vista è evidente.
Per riassumere, abbiamo offerto il quadro di un mercato che attraversa una fase di crisi. L'erogato cala significativamente, più delle variabili e degli aggregati reali, con un impatto diretto sugli investimenti (in difficoltà anche per altri motivi), ai quali viene a mancare uno dei canali di finanziamento.
Il mix dei prodotti offerti sta cambiando: fondamentalmente, per un'esigenza della domanda, che in questo momento chiede finanziamenti non per investimenti, ma per liquidità e per far fronte a una congiuntura sfavorevole.
Anche i tassi di default stanno generalmente peggiorando. Da questo punto di vista, si assisterà, probabilmente, a un assestamento su livelli più alti rispetto al passato, essendo difficile pensare, al momento, a un ritorno ai valori di un tempo.
D'altra parte, non va sottaciuto che, soprattutto per quanto riguarda il credito al consumo, i tassi di default italiani sono comunque fisiologici in un sistema che ha aperto il mercato del credito anche al finanziamento dei consumi e degli investimenti


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delle famiglie. Ad esempio, il 60 per cento delle autovetture viene acquistato, in Italia, attraverso il canale del credito al consumo, che deve per forza di cose essere disposto ad accogliere un certo tasso di insolvenza.

CARLO GHERARDI, Amministratore delegato della CRIF Spa. Prima di passare alle conclusioni, desidero accennare al fenomeno delle frodi, che nel nostro Paese stanno aumentando.
Invero, al di là delle insolvenze e delle sofferenze - le quali hanno tante cause, che possiamo esaminare -, le frodi rendono il sistema del credito più complicato, in quanto aumentano la diffidenza da parte dei soggetti erogatori, con il risultato che a pagarne le conseguenze sono, oltre ai cattivi, anche i buoni.

MATTEO BRAGANTINI. Le frodi creditizie stanno aumentando in tutto il Paese o solo in alcune zone?

CARLO GHERARDI, Amministratore delegato della CRIF Spa. Possiamo fornire un'analisi suddivisa per zone. Sostanzialmente, a livello nazionale aumentano dappertutto.
Le frodi sono legate principalmente a due fattori: la crisi economica è più profonda; inoltre, non vi sono leggi o strumenti adeguati per prevenirle. Penso che da noi siano presenti entrambi gli ingredienti.
Più specificamente, desidero soffermarmi sulle cosiddette frodi mediante appropriazione dell'identità altrui (cosiddetta «impersonificazione»), non legate alle carte di credito, ma realizzate da chi, semplicemente, riesce ad impossessarsi degli estremi identificativi di qualcuno. La persona in questione, senza neanche saperlo, si trova ad aver contratto un prestito che non ha mai chiesto ovvero ad avere problemi con le banche o con le società finanziarie.
Il fenomeno c'è sempre stato, ma recentemente si è sicuramente accentuato.
Noi che operiamo anche in altri Paesi constatiamo che in Italia disponiamo di minori strumenti di prevenzione.
Mentre la domanda di credito cala, le frodi aumentano dell'11 per cento. Questo è un dato sicuramente molto importante.
Vengo ora alle conclusioni.
Preliminarmente, tengo a dire che non sta a noi evidenziare cos'abbia determinato la crisi in atto: noi ci occupiamo soltanto di credito al consumo, di piccole aziende e, quindi, non aspiriamo a disquisire intorno a questioni che non rientrano nella nostra competenza specifica.
Passando ai fenomeni che analizziamo più direttamente, si può dire che, sotto il profilo dei livelli di insolvenza relativi a mutui e prestiti erogati alle famiglie e alle piccole e medie aziende, non siamo messi tanto male rispetto ad altri Paesi.
Sembra che alcune situazioni siano tuttora in peggioramento. Tuttavia, a dispetto di una situazione economica che i componenti della Commissione conoscono sicuramente meglio di me, posso dire che, tutto sommato, le famiglie italiane sono modestamente indebitate rispetto a quelle di altri Paesi. Noi siamo tra il 50 e il 60 per cento del reddito disponibile, mentre - senza parlare degli Stati Uniti - in Olanda e in Germania l'indebitamento delle famiglie sale al 90 o al 100 per cento.
Benché sia chiaro che il quadro globale è peggiorato rispetto a due anni fa, siamo messi meglio rispetto ai principali Paesi europei: non abbiamo soltanto una migliore situazione di indebitamento delle famiglie, ma anche buoni strumenti di controllo. Ribadisco, quindi, che la nostra condizione è sicuramente meno critica rispetto a quella degli altri.
Il punto è che, siccome il 60 per cento delle vendite di auto avviene a credito, e a livello più generale l'economia moderna vive di credito (in Italia, per quantità non preoccupanti), riattivare la leva del credito, per le famiglie come per le imprese, significa dare un grosso contributo alla ripresa economica.
Ciò precisato, è possibile fare qualcosa sui temi specifici che rientrano più direttamente nella nostra sfera di attività?
Sicuramente, si pone un problema di accesso al credito per le categorie più svantaggiate, nonché per gli immigrati.


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Questi ultimi, almeno in una certa percentuale - mi riferisco a quelli che lavorano e che si comportano bene -, pur essendo ormai parte della nostra società, incontrano maggiori difficoltà nell'accesso al credito.
Una soluzione potrebbe consistere nell'utilizzazione di determinati strumenti. Ad esempio, dimostrando che pagano le bollette della luce e dell'acqua e che, pertanto, sono buoni pagatori, i soggetti più svantaggiati e gli immigrati possono entrare, sia pure lentamente, nel circuito del credito (al quale, probabilmente, non sono mai stati ammessi a pieno titolo).
Inoltre, una regolamentazione più stringente in materia di intermediari di credito consentirebbe sia di aumentare la trasparenza nei rapporti con i consumatori sia di bloccare taluni eccessi che pure si sono verificati. Com'è noto, in passato sono stati erogati finanziamenti tramite broker o altri intermediari, ma sicuramente non è stata scritta, in tal modo, una pagina gloriosa della storia del mercato creditizio italiano. Consideriamo sicuramente importante, quindi, una regolamentazione dell'attività degli intermediari del credito e dei broker.
Un altro fenomeno che riteniamo importante disciplinare, al fine di rendere il sistema più sicuro, è quello delle frodi, che in Italia, come ho già detto, stanno aumentando. Il disegno di legge in materia di prevenzione delle frodi nel settore del credito al consumo, dei pagamenti dilazionati o differiti e del settore assicurativo, presentato dal senatore Barbolini e in corso di esame presso il Senato, così come l'analoga proposta di legge presentata dall'onorevole Pagano alla Camera potrebbero aiutare a correggere le attuali carenze del sistema.

PRESIDENTE. Do ora la parola ai deputati che intendano porre quesiti o formulare osservazioni.

MAURIZIO FUGATTI. Noi - mi riferisco tanto alla maggioranza quanto all'istituzione parlamentare - abbiamo instaurato un dialogo con le banche per cercare di capire cosa si possa fare per consentire alle famiglie e alle imprese di fronteggiare meglio la crisi economica in atto. Vorremmo capire se anche voi possiate fare qualcosa in tal senso.
Gradiremmo sapere, inoltre, quanto tempo una persona resti registrata nei vostri archivi una volta che abbia pagato una rata, estinto un fido ovvero adempiuto altri impegni bancari. Infatti, ci risulta che, al di là dei termini che indicherete, una volta registrati nei predetti archivi, non se ne esce più. Di conseguenza, una banca schiaccia un pulsante - diciamo così - e vede che il signor Rossi, un tot di tempo fa, ha saltato il pagamento di due rate. Ciò che è grave è che degli insoluti registrati a carico del signor Rossi si può avere conoscenza anche nel caso in cui, successivamente, egli paghi quelle due rate, in quanto i dati personali del soggetto inadempiente rimangono nei vostri archivi anche dopo che l'inadempimento è stato regolarizzato (voi, naturalmente, ci direte che non è così).
Tale comportamento, in un momento in cui molte famiglie e molte imprese sono oggettivamente in crisi - come avete riconosciuto, del resto, esponendoci i dati relativi ai tassi d'insolvenza -, aumenta il disagio di chi è in sofferenza o, comunque, si trova a fronteggiare una situazione debitoria fattasi più difficile.
In questo particolare momento, modificare l'aspetto relativo alla conservazione dei dati all'interno dei vostri sistemi sarebbe anche un modo per venire incontro alle persone oneste, fermo restando che i disonesti, in quanto tali, vanno colpiti (magari inserendoli nella lista dei «cattivi pagatori»).
Per quanto riguarda, poi, la vostra affermazione secondo la quale il regolare pagamento delle fatture relative alle utenze telefoniche, elettriche o di altro tipo può esser un modo per comprovare l'affidabilità dei soggetti rientranti nelle cosiddette categorie svantaggiate, essa si presta ad una lettura per voi meno benevola: nel momento in cui non paga una bolletta, un soggetto «svantaggiato» che abbia contratto un mutuo ovvero ottenuto


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un affidamento viene registrato nei vostri archivi, e del mancato pagamento viene sicuramente a conoscenza la banca, la quale potrebbe decidere di revocare il mutuo o il fido. Come sappiamo, infatti, una persona, soprattutto se povera (non soltanto il disonesto, quindi, ma anche le povere famiglie sono coinvolte), quando entra nelle vostre banche dati non ne esce più.
Non ritenete che, in questo momento di crisi, anche voi dobbiate operare una certa rimodulazione del vostro modo di agire? Grazie.

MATTEO BRAGANTINI. Desidero porle, dottor Gherardi, una domanda relativa ad una parte del suo intervento che ha suscitato l'interesse anche del mio capogruppo.
Per quanto riguarda l'utilizzazione, anche in Italia, di dati alternativi, non sarebbe opportuno contemplare tra gli elementi di valutazione anche il regolare pagamento dei tributi locali? In tal modo, in caso di mancato pagamento, sarebbe possibile «castigare» chi, pur avendo i soldi, non paga le tasse locali (parliamo, dunque, di federalismo) e, invece, utilizza il credito per consumi superflui (anche se questi ultimi fanno girare l'economia).
Vorrei svolgere ora una considerazione più ampia.
Continuiamo a dire che dobbiamo aumentare il credito, in modo da far aumentare i consumi. Ma questo sistema economico non è in crisi? Penso soprattutto al sistema americano - basato sul principio di aumentare il credito per aumentare i consumi - che ha platealmente dimostrato i suoi limiti. Non sarebbe necessaria, invece, una riconsiderazione più generale dell'economia? Dobbiamo proprio seguire gli americani, i quali, dopo essersi incamminati, già trenta o quarant'anni fa, sulla strada del credito per il consumo, oggi sono implosi? La prima cosa che bisognava fare, quando si andava in America, era comprare la macchina, che era facile acquistare a credito; in tal modo, era possibile procurarsi carte di credito per disporre di ulteriore credito al consumo.
Poiché questo sistema ha mostrato i suoi limiti, cerchiamo di non cadere nello stesso errore commesso dagli Stati Uniti!

SERGIO ANTONIO D'ANTONI. Porrò rapidamente alcune domande.
In primo luogo, vorrei capire se il vostro rapporto con le banche sia di consulenza e, inoltre, per quale ragione le banche decidano di utilizzare voi, e non i propri uffici interni, per svolgere questo tipo di lavoro. Si fidano più di una società come la vostra che delle loro capacità di valutare se un soggetto sia solvibile o meno? Le banche hanno tanti problemi, ma se danno lavoro a mille persone non ho difficoltà ad accettare tale dinamica, sebbene mi incuriosisca sapere quale ne sia l'origine.
La seconda domanda, più di sostanza, riguarda i mutui. Dalla vostra analisi risulta che i mutui sono crollati, da un lato perché sono aumentati i mancati pagamenti e, dall'altro, in quanto gran parte delle nuove erogazioni sono relative non a mutui nuovi, ma a mutui di consolidamento o di sostituzione ovvero a surroghe.
A noi - anche a me, personalmente - risulta, invece, che è sensibilmente cambiato l'approccio delle banche, nel senso che, prima della crisi, esse erano molto più aperte nel concedere mutui, anche fino al cento per cento del valore degli immobili da acquistare. Dopo la crisi, invece, gli istituti di credito hanno adottato una politica creditizia improntata a criteri eccessivamente prudenziali, che rischia di produrre effetti devastanti.
In questo momento, la situazione è veramente paradossale: i tassi sono i più bassi degli ultimi dieci anni, ma anche la quantità di mutui erogati è la più bassa! È una contraddizione incredibile. È vero che c'è la crisi, che ci sono pochi soldi, però siamo passati da tassi variabili, che avevano superato la soglia del cinque per cento, a tassi ormai inferiori al tre per cento (come dovrebbe essere applicando l'Euribor).


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Penso che ciò sia intollerabile. Voi non avete responsabilità da questo punto di vista, ma la politica delle banche, francamente, è passata da un eccesso all'altro: quando c'è euforia nei mercati finanziari, la parola d'ordine è: «tutti avanti!»; quando l'euforia si esaurisce, finisce tutto. In tal modo, però, la crisi si aggrava ancora di più.
Siccome, se ho inteso bene, le banche decidono se concedere il mutuo anche sulla base delle informazioni da voi fornite, credo che dovreste svolgere il vostro lavoro in maniera molto più spinta: se una persona ha intenzione di darsi un nuovo slancio o di comprare una casa, perché impedirle di fare consumo in un momento in cui i tassi sono così bassi? Dovremmo rivolgere la domanda all'ABI più che a voi; tuttavia, poiché, da quello che ho capito, avete una certa influenza, sarebbe utile che la esercitaste anche nella direzione da me indicata.
Ho da porre ancora qualche domanda. Secondo voi, qual è l'incidenza del microcredito in Italia? Non ne avete parlato, ma il microcredito ormai va diffondendosi, sia pure in maniera non eccezionale, per il consumo ma anche per gli investimenti. Al di là del richiamo all'attività di Muhammad Yunus, premio Nobel per la pace 2006, la questione è che il microcredito è un fenomeno diffuso, oggi più che mai. La Chiesa cattolica ha assunto alcune iniziative in tal senso, così come le banche etiche. Disponete di qualche stima? Qual è il vostro giudizio? Cosa sta avvenendo realmente? Vi rivolgo queste domande in quanto si tratta di un segmento di mercato che dovrebbe costituire oggetto dell'attività di informazione creditizia.

COSIMO VENTUCCI. Innanzitutto, ringrazio i rappresentanti della CRIF perché la loro esposizione mi ha finalmente consentito di comprendere cosa avesse determinato, l'anno scorso, la situazione incresciosa nella quale mi sono trovato quando mi sono recato in una concessionaria FIAT per acquistare una Bravo. In quella occasione ho potuto constatare personalmente quanto sia concreto il pericolo paventato dall'onorevole Fugatti poco fa.
In breve, poiché, in passato, avevo ritardato un pagamento di un paio di mesi, alla FIAT è arrivato un report tragico, dal quale risultava un insoluto di migliaia di euro (ovviamente, trattandosi di un'azienda, i numeri erano commisurati all'attività della stessa). Poi, giustamente, avete cancellato tutto e avete dato, per così dire, il nullaosta alla Fiat.
Sollecito, pertanto, un po' di attenzione in più per l'esigenza manifestata dall'onorevole Fugatti.
Passando ad altro, stamani ho letto una dichiarazione di Passera, consigliere delegato e CEO di Intesa Sanpaolo, il quale ha affermato che, nonostante le banche dispongano di una montagna di quattrini, nessuno li chiede.
Io mi domando - e rivolgo la domanda anche a voi, che siete esperti del settore - se vi sia, oggi, un condizionamento psicologico tanto forte quanto quello che ho personalmente riscontrato, da uomo di azienda, nel 1992. A quell'epoca, la Banca d'Italia proibì alle banche agenti di erogare i mutui, anche nel caso in cui fosse stato già fissato l'appuntamento dal notaio per il rogito, fino a che non fosse stata incamerata la rata di dicembre del 1992. I mutui furono riaperti, come ricorderete, ad aprile del 1993. Ebbene, quale differenza c'è fra la situazione attuale e quella che si determinò nel 1992? Non vorrei che, a livello nazionale, si speculasse su ciò che è avvenuto a livello mondiale. Nemmeno vorrei che si verificasse qualcosa di analogo alla vicenda conosciuta come «affare Drogoul». Dopo appena due anni - ricordate? - i 4.000 miliardi di perdite di BNL furono stranamente ripianati: ovviamente, da noi e da chi intratteneva rapporti di credito con quella banca!

PRESIDENTE. Personalmente, mi interrogo circa l'utilità della CRIF.
Indipendentemente dal servizio che presta, la CRIF è una società privata che fornisce servizi alle banche. A questo punto, bisognerebbe aprire, forse, un altro


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capitolo riguardante CERVED e tutti i soggetti che effettuano anche accertamenti ipotecari e catastali, per fornire alle banche, dietro il pagamento di un corrispettivo, servizi che esse ritengono utili.
Ciò premesso, ho l'impressione che le banche utilizzino i vostri servizi proprio per addurre che non hanno la responsabilità delle verifiche preliminari sull'affidabilità della clientela, essendo tale servizio affidato a terzi. In tal modo gli istituti di credito possono affermare di avere le mani legate - diciamo così - quando la CRIF li informa che un soggetto, il quale abbia richiesto loro un mutuo o un prestito, non può essere considerato un buon pagatore. Insomma, i SIC fanno il paio con l'Accordo Basilea 2, diventato un Moloch dietro il quale le banche si nascondono per non erogare credito.
Voi fornite una sorta di indagine statistica: in sostanza, verificate se a carico di un soggetto risulti una rata insoluta o un mancato pagamento, registrando acriticamente il dato restituito dal sistema. A mio avviso, le banche dati possono costituire un supporto per la decisione, ma sta alla responsabilità di chi analizza i dati disponibili stabilire, poi, se vi sia merito di credito.
L'idea che mi son fatto è che i dati che fornite diventano una sorta di tagliola, mediante la quale viene escluso dal credito il disgraziato che, per qualsivoglia situazione contingente, non paga la rata del mutuo: ma se, ad esempio, gli muore il nonno e si trova costretto a scegliere se pagare la bara o la rata di mutuo, lo sventurato in questione, trovandosi nella condizione di non poter tumulare il nonno senza bara, alla fine non paga la rata.
Com'è determinato, allora, il merito di credito? Possiamo finire in un elenco da cui non usciremo mai anche nel caso in cui, per tutto il resto della nostra vita, non ci succedesse più di non pagare una rata? Questa è la domanda che mi pongo.
Quando ipotizzavo, in apertura del mio intervento, l'inutilità di CRIF, volevo porre in risalto che il vostro servizio si sostanzia in una registrazione pura e semplice.
Una volta, mi è capitato sott'occhio il caso di un venditore di auto - ne parlai anche con il dottor Crivellaro - al quale era stato rubato il blocchetto degli assegni rilasciato dalle Poste. Poiché il ladro aveva messo in circolazione un assegno, quel commerciante non solo ha subito il furto del blocchetto degli assegni, ma ha dovuto anche intraprendere un giudizio, dal momento che, malgrado avesse denunciato il furto, qualcuno aveva presentato l'assegno per l'incasso. Come se non bastasse, il venditore è stato registrato negli archivi di CRIF a seguito della segnalazione del mancato pagamento dell'assegno. Ciò ha provocato il blocco dell'attività imprenditoriale, perché gli intermediari finanziari hanno considerato un problema la registrazione del mancato pagamento dell'assegno negli archivi di CRIF.
Trovo simili vicende inaudite. Un'azienda può essere messa in ginocchio in base a responsabilità che non ha, a fronte di una mera ed acritica iscrizione all'interno di un elenco che è utilizzato da terzi senza effettuare alcun approfondimento circa le ragioni che hanno causato l'iscrizione stessa. Sarebbe diverso se in tale elenco la società inserisse, insieme al dato statistico, una case history del soggetto registrato, nonché l'esito di una verifica concernente la fondatezza della registrazione. Se, al contrario, la società deve servire solo a certificare che è stato registrato un insoluto e che per tale motivo un soggetto è diventato cattivo pagatore, non si agevola il funzionamento del credito, ma si rischia di pregiudicare ulteriormente chi ha già un problema.
L'utilità della società che fornisce informazioni creditizie, quindi, mi sembra venire meno, proprio perché fornisce un dato esclusivamente statistico.
Ebbene, vorrei capire come intendiate muovervi ovvero come riteniate opportuno che si muova il Parlamento al fine di rendere il sistema non soltanto affidabile, ma anche capace di comprensione nei confronti di consumatori ed imprenditori, i quali, come lamentava il collega Fugatti, una volta iscritti in quel «maledetto» elenco, non ne escono più per tutta la vita.


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Prima di concludere, desidero citare un altro caso che mi ha lasciato molto perplesso. Una persona aveva avuto un problema di carattere finanziario vent'anni fa. Dopo averlo risolto, ha cominciato a fare acquisti di auto, anche di grossa cilindrata, onorando sempre i propri impegni. Ciononostante, nel momento in cui ha chiesto, recentemente, un nuovo finanziamento, si è sentito opporre il problema nel quale era incorso in passato.
Così sfioriamo il ridicolo! In una fase di crisi come quella che viviamo non si può tornare indietro fino alla notte dei tempi. Se venti anni fa un soggetto ha avuto un problema, ma poi, nel corso del tempo, ha pagato regolarmente le rate di tutti i finanziamenti che ha ottenuto, gli istituti di credito non possono limitarsi a richiamare acriticamente un insoluto che risale a molti anni prima. Se ciò accade, vuol dire che sono state impartite dall'alto disposizioni volte a ridurre l'erogazione del credito, in quanto, evidentemente, anche i soggetti erogatori hanno qualche problema ad acquisirlo.
Sarebbe da approfondire, poi, la vicenda dei prodotti collaterali collegati al credito al consumo e ai mutui in generale, sulla bontà dei quali bisognerebbe discutere; ma questo è un altro argomento.
Do la parola ai nostri ospiti per la replica.

CARLO GHERARDI, Amministratore delegato della CRIF Spa. Tenterò di rispondere a tutti. Ho preso nota delle problematiche segnalate, ma vi prego, nel caso in cui dovessi tralasciare qualche aspetto, di richiamarle, perché tengo a rispondere in modo esauriente a tutte le domande che sono state formulate.
Ritengo di dover puntualizzare, in primo luogo, cos'è la CRIF e in cosa consiste il suo rapporto con le banche.
Noi non effettuiamo valutazioni per conto delle banche, ma riceviamo da queste, «acriticamente» - me lo lasci dire, signor presidente -, informazioni relative ai soggetti che chiedono un prestito ovvero che l'hanno già ottenuto. Inoltre, tutti i mesi ci viene comunicato se tali soggetti hanno pagato regolarmente.
Pertanto, la banca utilizza CRIF (o un altro sistema di informazione creditizia) perché, facendo uso soltanto dei propri dati interni, osserverebbe unicamente l'andamento dei rapporti da essa stessa intrattenuti con un'azienda o con una persona. I SIC si sono diffusi un po' in tutto il mondo proprio per il fatto che, avendo la possibilità di rivolgersi a più banche anziché a una soltanto, un soggetto può spezzare la catena - diciamo così - che l'ha legato alla stessa banca e può mettere i diversi istituti in competizione tra loro, riuscendo anche ad ottenere altri prestiti.
Introducendo nel ragionamento l'elemento istintivo chiarirò ancor più per quali ragioni serva la CRIF (o un altro sistema di informazione creditizia). Quando una banca, una società finanziaria o chiunque, tutti noi, incontriamo per la prima volta una persona sulla quale non abbiamo informazioni, sicuramente proviamo una forte sensazione di diffidenza, anche per andare semplicemente al bar a prendere un caffè con lei. Conoscere quella persona e sapere come si comporta costituisce, quindi, uno strumento per valutare come comportarci a nostra volta.
Io che provengo dal mondo della valutazione del credito so per esperienza che l'informazione creditizia è uno strumento formidabile, perché se una banca non sa, ha paura e, quindi, o non eroga il credito oppure, come si è sempre fatto fino a vent'anni fa, chiede garanzie personali (prestate da parenti) o reali (ipoteche immobiliari). In tali casi, per accedere al credito una persona può essere costretta a mettersi in una situazione di dipendenza dai familiari.

PRESIDENTE. Non che le cose siano cambiate molto ...

CARLO GHERARDI, Amministratore delegato della CRIF Spa. Le ragioni sono legate allo scarso sviluppo economico che abbiamo avuto in questi anni.
Posso dire, però, che lo strumento, nel momento in cui permette di accertare se,


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ad esempio, Gherardi abbia un prestito in corso, documenta anche che qualcuno glielo ha concesso e che, in passato, Gherardi ha pagato. La precisazione è utile anche per distinguere: noi non siamo un archivio dei cattivi pagatori, ma dei buoni pagatori, accanto ai quali vi sono anche alcuni cattivi pagatori.
Dal punto di vista di chi deve erogare un prestito, il fatto di vedere che Gherardi ha sempre pagato negli ultimi tre, negli ultimi cinque o negli ultimi sette anni è solo un vantaggio. Per tornare all'esempio precedente, se ci invita al bar una persona che conosciamo da cinque anni, sicuramente ci fidiamo di più a prendere un caffè con lei.
Ciò vale in linea di principio. Sappiamo, poi, che vi sono deformazioni e tante altre cose, che possiamo criticare e censurare. Vi posso assicurare, però, che una banca o una società finanziaria, quando verifica che Gherardi vanta una buona credit reputation - molte banche gli hanno prestato soldi, ed egli li ha sempre restituiti -, guarda sempre all'incidente come ad un peccato veniale. Possiamo essere pieni di difetti, ma su questo posso rassicurarvi.
Ribadisco, quindi, che siamo un archivio dei buoni pagatori, nel quale risultano - certo - anche rate non pagate.
A mio avviso, la potenza insita nella dimostrazione di aver sempre pagato e di avere sempre ottenuto credito in un certo modo e a certe condizioni è veramente notevole. Per questo motivo, ritengo (la mia è l'opinione di chi conosce il settore per avervi lavorato) che una sanatoria la quale imponesse la «pulizia» dei nostri archivi, ossia la cancellazione dei dati relativi ai cattivi pagatori, si rivelerebbe un boomerang sia per chi ha un buon comportamento di pagamento sia - fatemelo dire - per chi ha commesso un peccato veniale.
Noi svolgiamo un'attività «asettica» registrando i dati che le banche ci inviano.
Oltre a ciò, le banche ci chiedono anche di svolgere attività di consulenza finalizzate alla predisposizione di sistemi di valutazione. Quelli che realizziamo per le banche hanno una potenza molto elevata e valorizzano, in particolare, il fatto che una persona ha una storia creditizia e ha pagato.
Talvolta, le banche sostengono con i clienti - ma soltanto perché fa loro comodo - che se il prestito è stato negato la colpa è di CRIF. In realtà, CRIF non c'entra niente, in quanto archivio statistico che si limita a restituire i dati che gli sono stati trasmessi dalle banche. Non andiamo in giro a fare le indagini per stabilire se un soggetto debba essere classificato «buono» o «cattivo», ma riceviamo dati dalle banche.
Inoltre, sappiamo che i sistemi informatici delle banche, per quanto bravi siamo noi nel riconoscere gli errori, comunque possono contenerli. Per questo motivo, capita che si producano, di tanto in tanto, situazioni sgradevoli. Da persona che in passato valutava il credito, posso dire, tuttavia, che ho sempre attribuito valore ai dati positivi. Per me, un dato negativo in mezzo a tanti positivi non vale nulla (e lo dico sapendo che anche i sistemi informatici possono comunque contenere errori). Se, poi, la filiale di un istituto di credito indica come responsabile la CRIF ogni volta che nega un prestito, ciò vuol dire che non ha il coraggio di dire al cliente che le motivazioni del suo atteggiamento di chiusura sono altre. Questa è un'opinione espressa con il cuore da una persona che conosce la situazione. Non nego, comunque, che qualche errore possa verificarsi.
Per questo motivo noi ci siamo resi indipendenti dalle banche. La CRIF è stata fondata da privati, ma le banche l'hanno controllata a lungo, fino a qualche anno fa, quando ci siamo resi autonomi. Poiché le banche non detengono più la maggioranza del capitale sociale della CRIF, abbiamo potuto costruire un rapporto molto più equilibrato - che definirei di collaborazione - con le associazioni dei consumatori. Dal momento in cui CRIF non è stata più delle banche, la situazione è cambiata: cercando di essere il più possibile tempestivi nel fornire alle associazioni dei consumatori le informazioni inerenti


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agli errori che esse ci segnalano, facciamo in modo che possano risolvere i problemi dei loro associati.
Per quanto riguarda le bollette relative alle utenze domestiche, desidero sottolineare che, personalmente, non le considero alla stregua di un elemento di valutazione: possono costituire invece - e mi riallaccio anche al discorso del microcredito - uno strumento per facilitare l'ingresso nel circuito del credito. Se una persona non ha mai ottenuto credito, oppure è immigrata, è chiaro che la banca non si fida e non le concede il prestito. Se, però, l'immigrato può dimostrare di pagare regolarmente le bollette, dopo un po' il credito lo ottiene. Dopo essere entrati nel circuito, le bollette non servono più. Tuttavia, se si ha riguardo al microcredito, le bollette sono l'unico mezzo di ingresso, mentre non costituiscono elemento di valutazione per la persona che ha già avuto un prestito. Si tratta soltanto di un modo per superare la barriera all'ingresso nel sistema.
Quanto al monito a non seguire gli americani, sono d'accordo. Noi, però, siamo lontani anni luce dagli americani, se si considera che l'indebitamento delle famiglie americane è pari al 140 per cento. Noi siamo a livelli del 50 o 60 per cento, che sono assolutamente fisiologici, non patologici. È come se fossimo un'azienda, la quale non può lavorare senza avere un po' di debiti. Si pensi alla persona fisica che voglia comprare una casa: o lo fa a 60 anni, dopo avere accumulato per gran parte della vita, oppure deve contrarre un mutuo. Quindi, considero il credito al consumo e il mutuo semplicemente come strumenti per consentire situazioni normali, quali si osservano in Italia. Non sono per esasperare il sistema: destinare il 50 o il 60 per cento del reddito al pagamento di un mutuo o di un prestito è una cosa normale.
Mettendo da parte l'America, basta guardare a cosa avviene nella risparmiatrice Germania o in Olanda, dove il tasso d'indebitamento delle famiglie si attesta al 90 per cento. Con il nostro 57 per cento siamo lontanissimi anche da tali Paesi, e ci troviamo in una situazione assolutamente fisiologica. Le alternative consistono, come ho già detto, o nel comprare la casa soltanto in età avanzata o nel dipendere, più di quanto non accada già, dalle famiglie. A tale proposito, convengo con lei, signor presidente, sulla persistenza di una certa dipendenza dai legami familiari; tuttavia, l'alternativa al mutuo o al prestito sarebbe quella di una maggiore dipendenza dalla famiglia.
Prego i deputati che mi hanno rivolto domande di farmi notare se ho involontariamente omesso di dare loro qualche risposta.
La mia idea, che si legge in trasparenza in tutte le considerazioni svolte finora (e che può essere diversa, ovviamente, da quella di un parlamentare), è la seguente: chi non sa, non erogherà mai credito ad alcuno.
Quanto all'assegno e a Basilea 2, tengo a precisare che non possediamo dati relativi agli assegni, ma soltanto quelli inerenti ai prestiti. Il mancato pagamento di un assegno e la conseguente levata di un protesto sono dati gestiti dai registri informatici dei protesti presso le Camere di commercio. Devo aggiungere, comunque, che possiamo effettuare ricerche su incarico delle banche; in tal caso, tuttavia, non facciamo altro che accedere per via telematica a tali registri, estrarre i dati richiesti e trasmetterli alle banche (in tal caso, quindi, ci limitiamo a svolgere un lavoro di tipo informatico).
Basilea 2 è un argomento che merita tutte le valutazioni del caso, come strumento ciclico e anticiclico. Secondo noi, l'accordo non è stato ancora applicato in Italia. Si può dire di avere una posizione contraria, ma se ci viene chiesto di esprimere un'opinione da esperti del settore del credito, noi diciamo, anche se può sembrare paradossale, che Basilea 2 non viene applicata come si dovrebbe.

MARCO SALEMI, Direttore del settore ricerca e innovazione della CRIF Spa. Se mi è permesso, vorrei aggiungere qualche considerazione.


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Innanzitutto, desidero proporre un esempio, che ritengo abbastanza calzante, per far comprendere meglio come siano diverse le situazioni che si possono determinare a seconda che si utilizzino o meno le informazioni fornite dai SIC.
In alcuni casi svolgiamo per le banche una funzione di consulenza. Tra i vari servizi che offriamo vi è quello denominato, con locuzione anglosassone, risk-based pricing. Fondamentalmente, si tratta di algoritmi che calcolano, soprattutto con riferimento ai mutui, ma anche in generale, il tasso d'interesse che una banca dovrebbe pretendere se facesse pagare al cliente esattamente il rischio che essa accetta concedendo il credito.
Per quanto riguarda i mutui, il tasso di insolvenza è dell'1,8 per cento. Tuttavia, verificando i dati di dettaglio, ci si accorge che l'1,8 per cento è molto polarizzato. Per intenderci, la logica non è quella dei sistemi di rating applicati alle imprese, basati su tante valutazioni medie: nell'ambito dei mutuatari vi è un 80 per cento di ottimi pagatori, un 10 o 15 quindici per cento di pagatori buoni ma con qualche problema e un 5 per cento di persone con problemi seri. Dai nostri algoritmi viene fuori, quindi, che l'80 per cento delle persone potrebbe prendere un mutuo a un tasso inferiore, approssimativamente, dello 0,5 per cento rispetto a quello che, invece, viene applicato. Il dato da porre in risalto è che questa situazione riguarda l'80 per cento di coloro che hanno contratto un mutuo.
Ebbene, tutti ci lamentiamo che le banche sono care, ma non consideriamo che potremmo risparmiare mezzo punto sul tasso d'interesse se le banche riuscissero a capire a quali soggetti non devono concedere mutui. Ciò dimostra la potenza dei nostri strumenti, che le banche, secondo me, sfruttano ancora poco. Eppure, mezzo punto di tasso d'interesse in meno può voler dire una rata più sostenibile per tanta gente che, con un tasso più elevato, è costretta, invece, a rinunciare al mutuo, in quanto, al di là del rating, è generalmente applicata la regola secondo la quale, se la rata supera una certa percentuale del reddito di un soggetto, il mutuo non viene concesso, anche nel caso in cui la richiesta provenga da un ottimo pagatore.
Peraltro, va ricordato che, secondo il codice deontologico vigente, la CRIF (o anche un altro SIC) può conservare le informazioni creditizie di tipo negativo relative a inadempimenti non successivamente regolarizzati non oltre trentasei mesi dalla data di scadenza contrattuale o comunque dalla data di cessazione del rapporto (in precedenza, il termine era di cinque anni). Inoltre, in caso di successiva regolarizzazione, si può avere conoscenza delle insolvenze più gravi per tre anni e di quelle lievi per sei mesi, mentre nessuno viene a sapere del primo insoluto.
Naturalmente, tale disciplina non si applica alle informazioni riguardanti i rapporti intercorsi tra le singole banche e i loro clienti: se a una banca risulta, sulla base dei propri archivi interni, che un cliente non ha pagato, ad esempio, una rata di un prestito o di un mutuo, tale dato può riemergere anche dopo molti anni, in quanto la banca, in tal caso, può decidere di conservarlo anche per sempre. Ciò spiega come si sia potuto verificare il caso di un'insolvenza riemersa dopo vent'anni: probabilmente, nel caso che lei ha ricordato, signor presidente, quella persona si era rivolta allo stesso istituto con il quale aveva avuto un problema vent'anni prima.
Un altro aspetto vale forse la pena di sottolineare: accanto all'informazione che attiene ai mancati pagamenti, la CRIF fornisce alle banche un documento che si chiama credit report, contenente un quadro abbastanza dettagliato del comportamento dell'individuo che ha richiesto il credito, grazie al quale il mancato pagamento può essere contestualizzato. È chiaro che l'operatore o il direttore di filiale deve saper leggere e capire tale report.
Un'altra osservazione riguarda le dichiarazioni rilasciate da Corrado Passera. Se ho inteso bene, il consigliere delegato di Intesa Sanpaolo si riferiva al mondo delle imprese, non alle famiglie. Più in generale, per quanto riguarda Basilea 2 - le due


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cose sono collegate - ho l'impressione che, dal punto di vista delle banche, i soldi ai quali faceva riferimento Passera debbano essere erogati ad aziende con standing creditizio elevato. È probabile che sia così, anche perché, che io sappia, per la misurazione del rischio di credito Intesa Sanpaolo intende optare per un approccio avanzato basato su rating elaborati internamente. In futuro, il prestito erogato a un'impresa con una valutazione del merito di credito non buona costerà di più.
Avendo sviluppato sistemi di rating per dieci anni, ho seguito molto da vicino la nascita dell'Accordo Basilea 2. Ebbene, soprattutto per quanto riguarda il mondo delle imprese, bisogna aver chiaro un concetto: non sta scritto in alcuna delle 450 pagine del documento di Basilea 2 che debba esservi un legame meccanicistico tra l'erogazione di un credito e il rating del soggetto che lo richiede.
Incidentalmente, il rating è semplicemente un termometro, che viene usato perché funziona. Ad esempio, se consideriamo l'incidenza degli oneri finanziari in rapporto al margine operativo e quella del patrimonio netto sul totale del passivo, si ottiene un sistema di rating - per così dire - «tascabile» atto a fornire una prima indicazione, sia pure molto grezza, circa l'affidabilità di un'impresa. Si tratta di un metodo semplicissimo, che da dieci anni viene utilizzato per effettuare analisi e per classificare il rischio di credito di un'impresa. È chiaro che può non bastare; infatti, i sistemi di rating sono caratterizzati da un grado di sofisticatezza molto maggiore, ma funzionano in base al medesimo principio.
Riprendendo il discorso che abbiamo interrotto, è il momento di porre in risalto un'importante distinzione: un conto è calcolare la probabilità che una controparte non restituisca i soldi che chiede in prestito; un altro conto è decidere se scommettere o no su quella controparte (così come un conto è capire quale sia il prezzo di una cosa; un altro decidere se comprarla oppure no). Quest'ultimo è il ruolo che la banca deve avere, e al quale non deve abdicare. Una banca che decidesse esclusivamente in funzione del rating se concedere o negare il credito a un'impresa, non svolgerebbe pienamente il suo lavoro.
Quindi, se il credito non è concesso, la colpa non è del rating, che offre semplicemente una visione oggettiva del rischio connesso all'operazione creditizia nei dodici mesi successivi.
Si tratta di due aspetti fondamentali - collegati, ma distinti - del procedimento interpretativo attraverso il quale le banche devono maturare le proprie decisioni attinenti al credito. Basilea 2 stabilisce - questo sì - che deve esserci consapevolezza del rischio che si accetta e delle implicazioni di tale scelta, lasciando impregiudicata, pertanto, la possibilità che il credito sia concesso in quanto si fa assegnamento su un determinato soggetto. Ad esempio, qualche anno fa, alcune banche hanno deciso di rimanere estranee alla privatizzazione di Telecom, altre di entrarvi, pur a parità di valutazione sulla società. Ciò dimostra ulteriormente che la scelta aziendale, tanto per intenderci, non può essere ridotta a conseguenza diretta e automatica di un valore che emerge su una scala da 1 a 10.
Ritengo che, forse anche per colpa delle banche - si può dire -, sia stato un po' banalizzato un concetto fondamentale di Basilea 2: coniugare la percezione oggettiva del rischio con la policy aziendale, in base alla quale la banca sceglie di diventare o meno parte di un rapporto.
Quanto abbiamo appena detto vale più per il credito alle imprese che per quello retail, settore nel quale tutta la procedura è improntata ad una maggiore meccanicità.

MAURIZIO FUGATTI. Francamente, sono imbarazzato: ai parlamentari che hanno evidenziato reali criticità del sistema di informazioni creditizie, rispondete che l'errore di un istituto di credito è fisiologico e che, comunque, il vostro lavoro consiste nel ricevere le informazioni da talune banche e intermediari finanziarie e nel renderle accessibili a tutti gli altri operatori del settore.


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Qualche mese fa, il nostro gruppo parlamentare ha presentato un emendamento al decreto-legge n. 155 del 2008 (cosiddetto «salva banche»), al fine di introdurre modifiche alle norme in materia di credito al consumo, di intermediazione creditizia e di portabilità dei mutui. Ebbene, la CRIF si è talmente agitata da andare a disturbare svariati soggetti politico-istituzionali. È stato allora che abbiamo capito di avere colpito nel segno.
Poi non se ne è fatto più nulla. Ovviamente, noi chiedevamo cento per avere venti o trenta. C'è stato anche un contatto con voi: cercavamo di capire su quale delle proposte contenute nel nostro emendamento fosse possibile, al di là della sua prima formulazione, aprire una discussione, ma ci è stato risposto che non ve n'era alcuna.
A distanza di alcuni mesi, ci ritroviamo qui ad ascoltare che questo è il vostro lavoro, che è colpa delle banche e che va bene così. Prendiamo atto del modo in cui avete ritenuto di rispondere al disagio che vi abbiamo manifestato.

CARLO GHERARDI, Amministratore delegato della CRIF Spa. Non vorrei essere stato frainteso.
Avrei potuto parlare di perfezione, ma non l'ho fatto. Ho semplicemente affermato, invece, che anche nei sistemi di informazione possono verificarsi errori, che noi dobbiamo vigilare su tutto e che facciamo del nostro meglio per evitare disguidi. Non siamo noi a dire alla banca come comportarsi o se un dato è sbagliato. Noi assicuriamo un servizio di qualità e controlli molto accurati. Ci chiamano da tutto il mondo, perché il nostro sistema permette di ottenere dati corretti, però sarei demagogico se sostenessi che siamo perfetti.
Ribadito ciò, ritengo doveroso insistere su un principio che abbiamo cercato di illustrare anche nell'occasione alla quale ha fatto riferimento l'onorevole Fugatti: chi eroga credito ha necessità di disporre di dati positivi, di una storia di credito, anche se questa mostra che vi sono stati problemi. Infatti, se una persona ha la capacità di interpretare le situazioni, giunge alla conclusione che un «problemino» di una o due rate non pagate, in una storia di credito di anni, non conta nulla.
Ai politici con i quali abbiamo avuto modo di dialogare abbiamo cercato di far comprendere che una sanatoria avrebbe prodotto effetti esattamente opposti a quelli desiderati, nel senso che, nel momento in cui la banca vede che non c'è più storia di credito o che, chissà perché, tutti sono perfetti, non si fida più.
Ipotizziamo, estremizzando, che un SIC chiuda per una settimana: poiché le persone che hanno la responsabilità dell'erogazione del credito sono per definizione prudenti, non disponendo più di informazioni, avrebbero paura e non accoglierebbero le richieste.
Per questo credevamo che una sanatoria si sarebbe rivelata un boomerang. Del resto, cosa succede agli immigrati? Chi vuole entrare nel circuito del credito, se non ha una storia creditizia, non può farlo, ne rimane fuori e si rivolge all'usura o ad altre strutture.
Questa è la mia valutazione, fatta col cuore. Ho voluto offrire alla Commissione la mia valutazione in merito alle criticità segnalate.

PRESIDENTE. Le ho chiesto, dottor Gherardi, cosa si potrebbe fare per rimediare alle incongruenze verificatesi.
Intendo dire che, se l'80 per cento delle persone che chiedono credito è in bonis, nulla quaestio circa la diffusione delle informazioni relative a questa parte della clientela, che saranno positive. Il problema si pone con riferimento al restante 20 per cento. La nostra preoccupazione è la seguente: poiché le informazioni che fornite sono del tutto acritiche, non se ne può ricavare alcuna indicazione che valga a chiarire la storia di un insoluto. Voi fornite un elenco dal quale risultano i dati relativi ai pagamenti, ma a noi - a me almeno - piacerebbe che deste le informazioni riferite ai soggetti che pagano.


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Peraltro, dovremmo cercare di capire se sia normale che in altri Paesi si impieghino tre giorni per aprire una posizione di credito e da noi venti (ma questa è un'altra storia).
Ad ogni modo, se fornite informazioni circa i soggetti la cui posizione è tranquilla, non vi è alcun problema. Il problema sorge per quanti sono incorsi in qualche inadempimento: costoro sono segnati a vita, a causa di vicende che possono essere state episodiche ovvero possono avere riguardato un periodo limitato della loro esistenza.
È per questi ultimi casi che bisogna trovare una soluzione.

MARCO SALEMI, Direttore del settore ricerca e innovazione della CRIF Spa. Mi spoglio del mio ruolo attuale e mi rimetto i panni dello statistico (quale sono stato per parecchi anni).
Forse ci stiamo ponendo un problema che non esiste, nel senso che noi, i nostri concorrenti, ma anche le banche stesse, non forniamo mai le informazioni singolarmente. Chiaramente, i nostri report le elencano una per una, ma poi le elaboriamo unitariamente, di norma applicando criteri statistici, in quanto la statistica ha una potenza di sintesi delle informazioni che nessun cervello umano riesce a replicare.
Ebbene, i segnali «deboli», quali la famigerata rata che rimane insoluta per tre mesi, statisticamente non vengono rilevati. Una rata non compare proprio, ma le due rate di cui si parlava prima, da un punto di vista di score, cioè di risultato sulla posizione complessiva, non hanno alcuna rilevanza.
Quando il fenomeno si può definire grave? Quando siamo al default conclamato, quando la banca segnala incaglio e sofferenza; ma allora è tutta un'altra cosa. Considerati i tempi delle banche, l'ipotesi si verifica concretamente dopo circa un anno di mancati pagamenti.

MAURIZIO FUGATTI. C'è differenza tra incaglio e sofferenza?

MARCO SALEMI, Direttore del settore ricerca e innovazione della CRIF Spa. Sì. Ho parlato di incaglio perché, dopo un anno dal primo mancato pagamento, la sofferenza è ancora di là da venire. Basilea 2 ha stabilito una scadenza più puntuale di sei mesi affinché un soggetto sia ritenuto insolvente.
La situazione che stavamo esaminando rientra nella tipologia del default conclamato. In tal caso, il tempo di conservazione dei dati è più lungo: tre anni a partire dal momento in cui la posizione è stata regolarizzata.
Se si osservano i dati delle banche per verificare in relazione a quanti mutui ricorra l'evento del ritardato pagamento di una rata, trentuno giorni dopo che la rata è scaduta, ci si accorge che il numero è elevato. Io stesso dimentico le mie scadenze; i soldi per pagare li ho, ma sono fatto così.
Tuttavia, si tratta di una situazione talmente diffusa da essere irrilevante. In caso contrario, i cattivi pagatori sarebbero tantissimi, mentre quelli realmente tali non sono neanche il 20 per cento, ma molti di meno. L'80 per cento è costituito dai pagatori che potremmo definire ottimi e il 15 per cento da soggetti che non creano problemi eccessivi.
Tipicamente, la categoria dei cattivi pagatori ha una consistenza del 5 per cento circa sul totale. Tutte le altre situazioni sono comunque ponderate tra «n» fattori, per cui la loro incidenza è veramente nulla. Poi, se dal momento in cui il segnale (già «debole») è rientrato passano tre mesi durante i quali le cose vanno bene, l'inadempimento verificatosi non può costituire un problema: se una banca decidesse di non concedere credito sulla base di un segnale simile, non erogherebbe più, non farebbe bene il suo lavoro (ma ciò è impossibile, perché i clienti perfetti non esistono).

CARLO GHERARDI, Amministratore delegato della CRIF Spa. Non vorrei apparire come uno che non fa proposte. In base alla mia conoscenza della mentalità di chi eroga credito, io amplierei la finestra temporale relativa ai buoni pagatori.


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In tanti Paesi tali dati vengono conservati per sette anni. Non so per quale ragione, in Italia, si debba conservarli soltanto per tre anni.
La mia proposta, dunque, è che i dati positivi siano conservati per sette anni, così come avviene nella maggior parte dei Paesi europei. Operando questa modifica, anche il ritardo nel pagamento di due o tre rate si diluirebbe nel tempo.

PRESIDENTE. Ricordo che l'imposta sugli spettacoli fu abolita perché qualcuno, a Padova, aveva preteso il pagamento del diritto demaniale d'autore sull'inno di Mameli...
Autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna della documentazione consegnata (vedi allegato) e dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 14,05.

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