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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissione VI
7.
Martedì 27 ottobre 2009
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Conte Gianfranco, Presidente ... 3

INDAGINE CONOSCITIVA SUL CREDITO AL CONSUMO

Audizione di rappresentanti dell'Associazione nazionale distributori prodotti creditizi (Assocred) e dell'Assomea:

Conte Gianfranco, Presidente ... 3 8 12 14 16 18
Ventucci Cosimo, Presidente ... 14 18 23
Allegretti Eustacchio, Presidente dell'Assomea ... 8 12 18 21
Barbato Francesco (IdV) ... 18
Comaroli Silvana Andreina (LNP) ... 16
Cupane Giancarlo, Presidente dell'Assocred ... 3 18
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Repubblicani; Regionalisti, Popolari: Misto-RRP.

COMMISSIONE VI
FINANZE

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di martedì 27 ottobre 2009


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GIANFRANCO CONTE

La seduta comincia alle 11,05.

(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso e la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Audizione di rappresentanti dell'Associazione nazionale distributori prodotti creditizi (Assocred) e dell'Assomea.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sul credito al consumo, l'audizione di rappresentanti dell'Associazione nazionale distributori prodotti creditizi (Assocred) e dell'Assomea.
Per l'Assocred sono presenti il presidente, dottor Giancarlo Cupane, il dottor Fabio Turini, responsabile delle relazioni esterne, e la dottoressa Claudia Pomposo, responsabile delle relazioni istituzionali; per l'Assomea sono presenti il dottor Eustacchio Allegretti e il dottor Enrico Quadri, rispettivamente presidente e vicepresidente.
Do la parola al presidente dell'Assocred, dottor Cupane.

GIANCARLO CUPANE, Presidente dell'Assocred. Signor presidente, signori deputati, in qualità di presidente dell'Assocred, voglio ringraziare la Commissione per averci offerto l'opportunità di rappresentare il nostro punto di vista sulle tematiche concernenti un settore importante e delicato come quello del credito al consumo.
Mi permetto di cominciare evidenziando una questione che non è soltanto terminologica. La direttiva 2008/48/CE ha adottato la definizione di «credito ai consumatori», anziché quella di «credito al consumo». Si tratta di un'innovazione importante. La nuova definizione è atta ad abbracciare ogni tipologia di credito alla persona fisica, anche quelli di importo più elevato come i mutui immobiliari. Inoltre, rileviamo con soddisfazione come l'accento si sposti dal servizio al soggetto, anche da un punto di vista - diciamo così - filosofico: il consumatore diventa il punto focale verso il quale converge l'attenzione degli operatori del settore e delle istituzioni.
Il credito al consumo - da oggi, ai consumatori - riveste un ruolo molto importante nel sistema economico di un Paese, in quanto permette di finanziare acquisti di beni durevoli. Inoltre, in un momento di bassa congiuntura, come quello che sta attraversando l'economia mondiale, si avverte ancora di più il bisogno di un sostegno alla domanda dei consumatori.
Faccio un esempio: ricordiamo tutti che nei mesi di gennaio e febbraio del 2009 vi è stata una grossa crisi del mercato dell'auto. Alcuni pensavano che essa fosse dovuta alla volontà dei consumatori di posticipare l'acquisto dell'auto a causa della recessione; altri, invece, ritenevano che si fosse creata un'aspettativa di incentivi. Entrambe le interpretazioni erano valide. Tuttavia, è possibile formulare, dal


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nostro punto di osservazione, un'ulteriore considerazione. All'inizio del 2009 era in atto una profonda crisi del credito, che proprio in quel momento raggiungeva l'apice. Non potendo procurarsi denaro agevolmente, le finanziarie non potevano rivenderlo. Di conseguenza, nell'ambito delle richieste di finanziamenti per l'acquisto di automobili, la percentuale di quelle approvate faceva registrare un crollo di circa il 30 per cento.
D'altra parte, anche quando l'auto costa meno per effetto di incentivi, la situazione non cambia se il consumatore non ha o non può procurarsi il denaro occorrente per acquistarla (ricordo che, secondo fonti accreditate, circa la metà delle automobili viene acquistata, oggi, facendo ricorso al credito al consumo). Quindi, un sostegno all'offerta di credito al consumo può produrre un effetto anticiclico, può aiutare l'economia a beneficio di tutti.
Poiché siamo distributori, non possiamo esimerci dal rimarcare l'importanza della funzione da noi svolta, tanto in positivo quanto in negativo. Parto dall'aspetto negativo, perché molti problemi, anche reputazionali, sono riconducibili ad anomalie che si verificano lungo la filiera distributiva. Ovviamente, non siamo insensibili al problema, che conosciamo bene. È un nostro preciso interesse, non soltanto del sistema Paese, che i distributori agiscano correttamente, in modo che la loro reputazione diventi sempre più solida.
Una distribuzione ben funzionante non crea problemi ai consumatori, ma li aiuta. Avendo riguardo al lato del risparmio, al lato della finanza, la stessa direttiva MiFID prevede, per evitare conflitti di interessi, la separazione tra la produzione e la distribuzione in campo finanziario. Una distribuzione indipendente aiuta a riequilibrare il rapporto tra il consumatore e la grande banca, fortemente squilibrato a causa di un'asimmetria che connota sia il livello informativo sia il piano del potere contrattuale. Un distributore indipendente di grandi dimensioni, che può trattare con la banca quasi da pari a pari, aiuta molto a riequilibrare tale rapporto; direi che egli trova in questa sua funzione, che si traduce soprattutto in un'attenzione verso il consumatore, la ratio stessa della propria esistenza.
Se si limita a curare gli interessi commerciali della banca, il distributore diventa semplicemente uno strumento a sua disposizione, più o meno come uno sportello o un agente in attività finanziaria. Se, invece, è veramente indipendente e cura gli interessi del consumatore, si tratta di un soggetto nuovo, il quale svolge un'opera che non può essere eseguita da altri: resta comunque un operatore economico, e ciò giustifica il fine di lucro, ma assiste il consumatore. I mediatori creditizi sono il centro della distribuzione indipendente. Vi sono anche altre forme di distribuzione. Mi riferisco ad alcune società, iscritte nell'elenco generale di cui all'articolo 106 del TUB, che di fatto sono diventate vere e proprie reti di vendita più che di erogazione diretta. Anche questo aspetto dovrà essere ricomposto, in modo da avere una categoria ben definita.
La figura del mediatore creditizio è relativamente giovane: è nata con la legge n. 108 del 1996, ma l'albo è stato istituito da meno di dieci anni. Come accade a tutte le categorie giovani, anche quella dei mediatori creditizi presenta alcuni difetti. Innanzitutto, vi è stata una crescita tumultuosa, che ha prodotto un numero molto elevato di iscritti all'albo. La vigilanza era affidata all'Ufficio italiano dei cambi, che, però, disponeva di poche forze per esercitare un controllo efficace su una platea così vasta di operatori. Sta sicuramente aiutando il trasferimento della funzione di vigilanza alla Banca d'Italia, la quale ha cominciato a effettuare interventi anche forti.
Ci aspettiamo molto dalle nuove regole: la legge comunitaria 2008 impone che, in sede di attuazione della direttiva sul credito ai consumatori, sia rivista anche la disciplina della mediazione creditizia. Il progetto alla cui realizzazione mira la citata legge comunitaria ci piace molto, ma riteniamo che alcuni aspetti debbano essere ben definiti quando il Governo eserciterà la delega.


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Il primo è la costituzione dei mediatori creditizi in società. Ho già detto quanto riteniamo fondamentale che i mediatori creditizi siano di grandi dimensioni: ciò li porrà nella condizione di dialogare da pari a pari con le banche. Quanto più elevato sarà il capitale sociale richiesto per la costituzione delle società di mediazione creditizia, tanto più si favorirà il meccanismo virtuoso del loro consolidamento e rafforzamento.
Riteniamo fondamentale, poi, che tutte le persone fisiche le quali lavoreranno per le società di mediazione abbiano anch'esse un titolo individuale, difficile da acquisire - l'esame dovrà essere particolarmente severo - e facile da perdere a fronte di comportamenti scorretti. Per noi si tratta di un elemento basilare. La legge n. 108 del 1996 non fa alcun cenno ai requisiti della persona fisica che lavora per le società di mediazione creditizia. Noi riteniamo indispensabile che sia previsto il possesso di un titolo individuale, prevedendo o l'istituzione di un'apposita sezione dell'albo dei mediatori creditizi o un'apertura dell'elenco degli agenti ai dipendenti dei mediatori. Pensiamo anche che queste persone debbano seguire un percorso di formazione continua e di aggiornamento professionale.
Ci piace concepire la distribuzione dei prodotti creditizi come un mercato parallelo a quello della raccolta del risparmio, della promozione finanziaria. Esistono le SIM e i promotori finanziari. Ebbene, immaginiamo le società di mediazione creditizia come le SIM, e le persone fisiche che lavorano per le stesse come i promotori finanziari.
Passo rapidamente ad analizzare, dal nostro punto di vista, i prodotti che costituiscono oggetto della nostra attività, nel tentativo di portare un contributo originale all'attività conoscitiva della Commissione.
Per prestiti finalizzati intendiamo quelli offerti nel punto vendita, spesso confusi dal consumatore con un semplice pagamento rateale del bene che sta acquistando. L'elemento psicologico è importante: il consumatore che si reca nel punto vendita in cui ha visto esposto il motorino che gli piace, non pensa, quando decide di acquistarlo, che sta anche firmando un contratto di finanziamento con caratteristiche e clausole specifiche, per di più offerto da un addetto alle vendite dello stesso esercizio commerciale e non da un professionista del credito. Tali modalità di vendita hanno prodotto alcune storture. Riteniamo che debba essere svolta una riflessione anche sulla formazione del dipendente del punto vendita - tecnicamente definito dealer -, soprattutto nel caso in cui tale soggetto proponga finanziamenti di importo elevato (come quelli collegati all'acquisto di automobili o di motocicli). Sarebbe importante prevedere quanto meno corsi di formazione obbligatori.
Un altro prodotto è quello dei prestiti personali non finalizzati, che hanno fatto registrare un forte aumento nell'ultimo periodo. Qualcuno ha visto in ciò un segnale, una cartina al tornasole dei problemi che gli italiani stanno attraversando: poiché non sono legati a un acquisto specifico, si ritiene che molti li richiedano per fare fronte a una situazione problematica. A noi si rivolge anche questa tipologia di clienti. Tuttavia, abbiamo modo di osservare anche un fenomeno virtuoso: il prestito personale è spesso richiesto da chi si è male indebitato, o per acquistare un bene, sull'onda di un entusiasmo momentaneo, o per affrontare un'urgenza, quale la rottura di un elettrodomestico oppure dell'automobile. Talvolta ci si indebita in modo un po' disorganico; ma su questo tema tornerò più avanti. Il mercato propone l'antidoto dei prestiti di consolidamento, che permettono al consumatore di ritornare in bonis e di onorare serenamente i propri impegni: tutti i finanziamenti che il consumatore ha contratto nel tempo vengono assorbiti da uno solo, magari un po' più lungo ma con un tasso di interesse migliore (si tratta di un'operazione che le aziende effettuano normalmente). È un bene che anche le famiglie comincino a servirsi, non soltanto come extrema ratio, di tale tipologia di finanziamento, ricorrendo all'assistenza -


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quando serve, è indispensabile - di un legale o di un'associazione di consumatori.
Ben venga anche una legge che contrasti il fenomeno del sovraindebitamento e che si occupi di quello che, impropriamente, viene definito fallimento della persona fisica. Prima di arrivare a rimedi così delicati e complessi, di tipo patologico, la soluzione fisiologica è rappresentata dalla corretta gestione del proprio indebitamento, alla quale i consumatori italiani sono poco avvezzi. Su questo punto tornerò più avanti.
Proseguendo nell'analisi dei prodotti, merita qualche cenno la cessione del quinto dello stipendio o della pensione, di cui tanto si parla in questi anni, anche perché il ricorso a tale strumento è molto cresciuto. In teoria, dovrebbe trattarsi del prodotto migliore per il consumatore: qualcuno lo ha definito «prodotto etico», ossia quello che costa meno di tutti, in quanto più garantito. In realtà, ancora oggi, si tratta del prodotto più caro sul mercato. Vi è, dunque, una forte discrepanza tra quello che il prestito con cessione del quinto dovrebbe essere e quello che nei fatti è.
Il costo di tale operazione è molto elevato per due motivi. In primo luogo, vi è un problema di patologia del sistema: poiché tale tipologia di prestito non incontra il gradimento del cliente finale, che è costretto a coinvolgere il proprio datore di lavoro, ai distributori vengono offerte provvigioni più alte. Di conseguenza, le reti specializzate, che hanno saputo sviluppare tecniche commerciali specifiche, si sono fatte pagare molto. Dal canto suo, il sistema bancario è sempre stato disposto a pagare bene il prodotto, in quanto molto redditizio e poco rischioso.
Bisogna sistemare questo aspetto, neutralizzando la leva che fa aumentare il costo dell'operazione. A tale proposito, devo riconoscere che si stanno muovendo molto bene sia l'Isvap, sul piano regolamentare, sia la Banca d'Italia, sotto il profilo della moral suasion. Un aiuto consistente verrà anche dalle nuove istruzioni sulla rilevazione trimestrale dei tassi effettivi globali medi, utilizzati per l'individuazione dei tassi soglia ai fini della normativa in materia di usura. L'importante è mantenere un faro acceso su questo settore, che da poco si è proposto all'attenzione del grande pubblico.
In secondo luogo, la normativa è molto vecchia. La cessione del quinto è disciplinata dal decreto del Presidente della Repubblica n. 180 del 1950, che reca ancora norme per i reduci di guerra, per gli ex dipendenti di casa Savoia e per altre situazioni non più attuali. Il testo è stato novellato parzialmente di recente, estendendo la possibilità di contrarre prestiti con cessione del quinto anche ai pensionati pubblici e privati. La novità ha ulteriormente aperto il mercato, ma si è inserita in un corpo legislativo già datato. Varrebbe la pena di ripensare a una riforma organica della cessione del quinto.
Sui mutui non voglio dilungarmi, perché se n'è già parlato tanto: essi rappresentano il prodotto più rilevante, l'investimento principale che una famiglia italiana compie nel corso della propria vita economica e finanziaria. Mi preme dire che serve, in materia, una forte dose di conoscenza. Taluni ritengono che per scegliere bene un mutuo basti semplicemente valutare il tasso di interesse iniziale e, quindi, l'importo delle prime rate da pagare. In realtà, in questi anni di forte oscillazione dei tassi, sono stati venduti, quando i tassi erano al minimo, soprattutto mutui a tasso variabile, mentre l'anno scorso, quando i tassi erano risaliti, sono stati venduti sopratutto mutui a tasso fisso. È evidente che qualcosa non va.
Tornerò più avanti sull'importanza dell'educazione finanziaria del cliente; noi la auspichiamo, ma anche l'offerta deve essere attenta: proporre un mutuo implica anche svolgere una funzione di consulenza. Mi si lasci osservare - e non sembri uno spot - come sia un bene che la consulenza possa essere prestata dal distributore indipendente. Il dipendente della banca o della finanziaria - con tutto il rispetto per queste ottime categorie - inevitabilmente proporrà soprattutto i prodotti della propria banca, cercando di trovare il migliore, ma comunque all'interno


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di un ambito circoscritto. Un distributore indipendente, invece, può spaziare sul mercato senza limiti e può confrontare diversi prodotti e soluzioni.
L'ultimo prodotto sul quale desidero soffermarmi è la carta revolving, da sempre considerata molto pericolosa, in quanto indubbiamente costosa, e spesso anche demonizzata. Ai clienti che incontro consiglio di munirsi di una carta revolving da tenere in tasca per le emergenze e da utilizzare correttamente: se si rompe una lavatrice il sabato, e si ha il problema di sostituirla o ripararla, fa comodo avere in tasca una quantità di credito già approvato in via preventiva (la carta revolving, appunto); se la si adopera, però, è preferibile restituire il finanziamento in due o tre mesi, non in cinque anni, visto che si tratta di rate di importo minimo. Infatti, poiché gli interessi applicati sono elevati, se si restituiscono i 300 euro spesi per la riparazione della lavatrice in tre mesi, si corrispondono 8 o 9 euro di interessi, mentre in cinque anni il costo iniziale viene più che raddoppiato.
Mi sembra di aver creato l'attesa per quello che considero l'enunciato principale, il filo conduttore di tutto il mio intervento: ci vogliono educazione al credito e capacità del consumatore di gestire il proprio passivo. Si tratta di fattori che spesso difettano, ma la distribuzione indipendente può contribuire a svilupparli.
In questa sede non posso non accennare a un altro problema, di cui non mi sfugge l'importanza, sul quale si potrebbe avviare una riflessione di più largo respiro. Ho menzionato i tassi soglia ai fini dell'applicazione della normativa in materia di usura. Si tratta di una legge che abbiamo noi in Italia e che esiste anche in Francia, ma non in molti altri Paesi europei, tanto è vero che la direttiva non ha potuto fare cenno ai tassi usurari. Il meccanismo introdotto nel 1996 è servito a rendere oggettivo il reato di usura, che in precedenza era difficilmente perseguibile. Bene ha fatto quindi, il nostro Paese, a dotarsi di una legge in materia.
Stiamo vivendo un momento che potremmo definire di razionamento del credito, per i consumatori ma anche per le banche. Le stesse finanziarie dedite all'attività di credito al consumo hanno difficoltà nel funding, nel reperimento di denaro da erogare ai clienti finali. Posto, quindi, che ogni consumatore ha un proprio rischio di insolvenza - più alto o più basso, a seconda dei casi - il confronto tra lo specifico rischio di insolvenza (diverso a seconda del tipo di cliente) e il tasso di interesse massimo applicabile fa sì che siano esclusi dal circuito del credito legale, di fatto, tutti coloro i quali presentano un rischio di insolvenza più elevato di quello assorbibile dal tetto massimo stabilito per l'operazione di finanziamento che viene in considerazione.
Il problema è serio. Non voglio sostenere che l'approccio del legislatore del 1996 sia sbagliato, ma ricordo che ha sollevato la questione, prima di me, il dottor Carosio, vicedirettore generale della Banca d'Italia. Nel corso di un'audizione presso la Commissione giustizia del Senato, egli ha affermato che, forse, varrebbe la pena di svolgere una riflessione sugli effetti prodotti dalla disciplina relativa ai tassi soglia. Anch'io mi permetto di segnalare l'opportunità di effettuare una valutazione che tenga conto degli svolgimenti successivi, fermo restando, ovviamente, che si può legittimamente ritenere valida la normativa attuale. Vorrà dire che colui il quale presenta un rischio di insolvenza talmente elevato da non avere accesso al credito, farà ricorso a forme di assistenza, ai fondi gestiti da alcune ONLUS e, eventualmente, anche al Fondo di solidarietà per le vittime dell'usura. Taluni suggeriscono, invece, di prevedere l'inapplicabilità della menzionata normativa ai lavoratori autonomi, che presentano specificità diverse da quelle dei lavoratori dipendenti. Invero, il negoziante che accede a un prestito per sanare una situazione attinente alla conduzione del proprio negozio trae un'utilità che va al di là del fatto di corrispondere, per il denaro ottenuto, l'8, il 10 o il 12 per cento di interesse.
Concludo riprendendo quello che ho già indicato come il leitmotiv del mio intervento: il bisogno di educazione finanziaria


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e di educazione al credito. A tale proposito, svilupperò un ragionamento, partendo da una piccola provocazione diretta ai nostri concittadini. Un italiano impiega alcune ore all'anno per erudirsi in materia finanziaria, in sintesi per capire se sia meglio depositare sul conto corrente pubblicizzato in televisione i 10.000 o i 20.000 euro che ha risparmiato, se sia il caso, invece, di comprare azioni ovvero se sia più conveniente e sicuro acquistare determinati titoli di Stato. È un bene che ciò avvenga. È diffuso il convincimento che occorra fornire al consumatore maggiori strumenti. Si pone, quindi, il problema dell'educazione finanziaria.
Se ne sente parlare molto, ma in cosa si traduce praticamente? Orbene, se una famiglia investisse al meglio 10.000 o 20.000 euro di risparmi, potrebbe guadagnare 100, 200 o 300 euro in più di interessi all'anno. Se la stessa famiglia gestisse bene il proprio passivo, facesse la scelta giusta per quanto riguarda il mutuo ed estinguesse in pochi mesi il debito contratto utilizzando la carta revolving, probabilmente risparmierebbe alcune migliaia di euro all'anno. In particolare, per una famiglia media che ha un mutuo da 130.000 euro, risparmiare un punto di interesse su tale somma significa risparmiare decine di migliaia di euro nel corso del rapporto.
La stessa attenzione che si pone, giustamente, sull'educazione finanziaria deve essere posta anche su quella particolare branca dell'educazione finanziaria che è l'educazione al credito. Ben venga, quindi, un provvedimento legislativo che tenti di riassumere le varie iniziative attuate anche privatamente, riconducendo queste ultime entro l'alveo istituzionale e imprimendo loro quella spinta in più che soltanto l'istituzione può conferire. Riteniamo che un consumatore informato, e assistito da una distribuzione indipendente, possa fare molto bene all'industria finanziaria, la quale sarebbe indotta a crescere e a migliorare i propri servizi.
Riepilogando, per noi è assolutamente importante recepire la direttiva sul credito ai consumatori - lo si sta facendo bene, e ci fa piacere -, riformando anche la disciplina della mediazione creditizia (su quest'ultimo aspetto mi sono permesso di svolgere qualche riflessione un po' più approfondita, in considerazione del fatto che si tratta dell'ambito naturale nel quale ci muoviamo). Occorrerebbe, inoltre, rivedere l'ormai obsoleta normativa del 1950 relativa ai prestiti contro cessione del quinto dello stipendio o della pensione, per renderla più trasparente e meno onerosa per il consumatore. Ho voluto segnalare anche l'opportunità di svolgere una riflessione riguardo al meccanismo che presiede all'applicazione della normativa in materia di usura. Infine, bisogna coordinare gli sforzi e gli investimenti che le aziende del settore e le istituzioni stanno compiendo per diffondere l'educazione finanziaria nel Paese, ponendo l'accento anche sull'educazione al credito consapevole.
Ringrazio tutti per l'attenzione riservatami.

PRESIDENTE. Do ora la parola al presidente dell'Assomea, dottor Allegretti.

EUSTACCHIO ALLEGRETTI, Presidente dell'Assomea. Signor presidente, onorevoli deputati, nel ringraziarvi per averci dato la possibilità di portare il nostro contributo, in qualità di operatori del settore, presenterò sinteticamente l'associazione che rappresento.
L'Assomea è nata, nel marzo del 2008, dall'esigenza di costituire un'associazione a sostegno degli operatori della mediazione creditizia e di coloro i quali, in qualità di promotori finanziari e di agenti in attività finanziaria, sono specializzati nella vendita di mutui e prodotti di finanziamento alle famiglie e alle imprese. Negli ultimi anni, com'è noto, il nostro ruolo nel mercato è cresciuto sensibilmente. In particolare, sul totale dei finanziamenti alle famiglie, la quota erogata attraverso i mediatori creditizi ha raggiunto quasi il 35 per cento. Oggi, i mediatori creditizi sono oltre 150.000 e sono iscritti in un apposito albo istituito presso la Banca d'Italia (che esercita le funzioni del soppresso Ufficio


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italiano dei cambi). La costituzione di Assomea è stata la risposta a uno scenario di mercato che appariva confuso. La mission dell'associazione si basa su quattro pilastri fondamentali: assicurare la trasparenza e la professionalità degli operatori, prima di tutto attraverso l'innalzamento dei requisiti professionali; tutelare l'assoluta indipendenza delle diverse attività professionali; far rispettare l'obbligo dell'assoluta trasparenza delle forme di remunerazione dei servizi resi alla clientela; instaurare un costruttivo rapporto di collaborazione con tutte le associazioni dei consumatori, al fine di assicurare una maggiore trasparenza al settore.
Fornirò ora alcune indicazioni, permettendomi di entrare nel merito di valutazioni effettuate nel corso di precedenti audizioni.
Il mediatore creditizio è colui che, professionalmente o abitualmente, anche attraverso attività di consulenza, mette in relazione banche o intermediari finanziari con la potenziale clientela, in vista della concessione di finanziamenti. Il mediatore non è legato ad alcuna delle parti da rapporti di collaborazione, dipendenza o rappresentanza, tanto che gli è vietato concludere qualunque tipo di contratto in nome e per conto delle banche o degli intermediari finanziari. Il mediatore creditizio deve agire sempre con diligenza, rispettando i canoni di correttezza e buona fede e svolgendo il proprio compito con chiarezza, al fine del soddisfacimento delle parti, alle quali deve fornire tutte le informazioni utili per il perfezionamento dell'accordo.
Esaminiamo, ora, il mercato del credito alle famiglie, con particolare riferimento al settore dei mutui ipotecari. Dai primi anni Novanta al 2007 il mercato del credito alle famiglie ha registrato una notevole espansione. Nonostante la crisi dei mutui sub-prime statunitensi, che si è manifestata nel 2008, investendo il mondo finanziario ed economico internazionale, i livelli raggiunti dall'erogazione sono quasi identici a quelli del 2007. Nel periodo indicato è cresciuto l'accesso al credito della clientela con minori disponibilità di reddito e si è ampliata la varietà delle caratteristiche dei finanziamenti per la casa e del credito al consumo. In particolare, il mercato dei mutui residenziali ha registrato una notevole espansione, anche se il debito delle famiglie in rapporto al prodotto interno lordo è ancora molto inferiore ai valori degli altri Paesi dell'Eurozona. Il rapporto tra prodotto interno lordo e credito alle famiglie per l'acquisto di abitazioni è di circa il 17 per cento, contro la media europea del 46 per cento. Anche per quanto riguarda il rapporto tra indebitamento delle famiglie e reddito disponibile, il confronto internazionale è favorevole all'Italia: da noi è di circa il 50 per cento, contro una media del 90 per cento nell'area dell'euro.
Analizzando il primo semestre del 2009, si rileva come l'importo totale dei mutui erogati per acquisti di abitazioni dalle principali banche operanti sul territorio sia passato dai 30 ai 25 miliardi di euro. Tale riduzione è accompagnata da una rilevante modificazione delle percentuali di erogazione dei diversi istituti: si può affermare, in sintesi, che nel primo semestre del 2009 si è consumata la rivincita dei piccoli gruppi bancari e delle banche locali a danno dei grandi gruppi.
Scendendo nei dettagli, i dati diventano ancora più interessanti. Intesa Sanpaolo ha erogato nel primo semestre 8 miliardi di euro, registrando un -20 per cento rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente. Il dato che fa sensazione è, però, quello relativo al gruppo UniCredit Banca, che ha erogato 1,8 miliardi di euro, contro i 6,1 dell'anno precedente, registrando una diminuzione del 70 per cento. Se consideriamo che, fino all'anno scorso, il gruppo erogava un mutuo su cinque, la diminuzione è stata notevolissima. Per contro, gli istituti di medie dimensioni hanno fatto registrare una crescita, in qualche caso davvero notevole: Cariparma ha erogato un miliardo di euro, vale a dire il 143 per cento in più, mentre gli importi erogati da Credem e dal Banco Popolare sono aumentati, rispettivamente, del 20 e del 32 per cento.


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Come si spiegano queste notevoli differenze? In primis, il fatto di avere in portafoglio impieghi consistenti (è il caso di UniCredit Banca) rende necessari maggiori accantonamenti, nel rispetto dell'Accordo di Basilea 2. Inoltre, l'erosione, per effetto della crisi, di notevoli e ancora non quantificati patrimoni bancari ha determinato un aumento degli spread, che inevitabilmente si riflette sulla scelta finale del cliente.
L'evoluzione tendenziale del tasso di insolvenza non può essere presa a pretesto di una politica di restrizione dell'offerta (il tasso di insolvenza, che negli ultimi anni era dell'1,1 per cento, è passato all'1,6 per cento nel primo trimestre e all'1,9 per cento nel secondo trimestre del 2009). In particolare, dai dati in nostro possesso - una specifica domanda è stata rivolta alla CRIF -, risulta che il tasso di insolvenza è legato a filo doppio ai mutui a tasso variabile: su cinque mutuatari insolventi, quattro hanno contratto mutui a tasso variabile. I default sono direttamente proporzionali all'aumento delle rate di mutuo conseguente al rialzo dell'Euribor, i cui effetti sono aggravati dalla riduzione della redditività complessiva dei nuclei familiari dovuta alla crisi economica. Tuttavia, se facciamo un confronto con il mercato statunitense, notiamo che la percentuale di insolvenza dei mutui diversi dai sub-prime è del 6 per cento: tre volte superiore a quella italiana.
Poiché l'Italia è lontana, fortunatamente, da situazioni di pericolosa fibrillazione, la riduzione dei finanziamenti, derivante dalla modifica delle politiche creditizie delle principali banche, non è pienamente giustificabile.
A conferma di ciò che dico, il Bollettino Economico della Banca d'Italia rende noto che, nel mese di agosto del 2009, la dinamica tendenziale dei finanziamenti concessi dalle banche al settore privato mostra, rispetto al corrispondente mese dell'anno precedente, una discesa del 2,2 per cento, mentre i cinque gruppi bancari più importanti fanno registrare una diminuzione del 3,5 per cento. È anche interessante analizzare le finalità di erogazione dei mutui nel primo semestre del 2009: per l'acquisto della prima casa, il 62 per cento; per l'acquisto della seconda casa, il 4 per cento; per ristrutturazioni, il 3 per cento; per surroga e sostituzione, il 29 per cento; per consolidamento e liquidità, appena il 2 per cento.
Una buona notizia arriva dal rapporto mensile dell'ABI: i tassi sui mutui concessi nel mese di settembre dell'anno in corso hanno toccato il nuovo minimo storico del 3,23 per cento. Ricordiamo che nel mese di settembre dello scorso anno eravamo al 5,8 per cento.
La situazione attuale è piena di insidie per chi si accinge a contrarre un mutuo nel prossimo mese: con i tassi ai minimi storici, contrarre un mutuo a tasso variabile senza alcun tipo di copertura, come viene offerta, ad esempio, dai cosiddetti mutui con cap rate attualmente sul mercato (il primo ad essere stato distribuito è quello del Monte dei Paschi di Siena; due mutui su tre sono ora concessi con tale formula), è senza dubbio un grosso rischio. Dovrebbe essere esigenza primaria delle banche informare dettagliatamente la clientela sui rischi a cui potrebbe andare incontro. È ipotizzabile che, nei prossimi 18-24 mesi, la rata di un mutuo stipulato oggi potrebbe subire un aumento medio del 40 per cento.
Purtroppo, siamo costretti a denunciare che sono aumentate sensibilmente le richieste e le erogazioni di mutui a tasso variabile che non prevedono alcuna tutela per il consumatore. Troppo spesso sono gli stessi istituti eroganti che spingono il cliente a scegliere il mutuo a tasso variabile: in tal modo, infatti, può essere rispettato il rapporto rata-reddito, che sarebbe superato, invece, in caso di stipula di un mutuo a tasso fisso.
Bisognerebbe prendere esempio dalla Francia, dove la percentuale di insolvenza è inferiore all'1 per cento. Ciò accade anche perché, tendenzialmente, il mutuo proposto dalle banche francesi è a tasso fisso; per ottenere un mutuo a tasso variabile bisogna avere un reddito non derivante da impiego fisso, il rapporto rata-reddito non deve superare il 30 per cento


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e il consumatore deve firmare una liberatoria nella quale dichiara di essere stato ben edotto dei rischi ai quali potrebbe andare incontro.
Merita una breve notazione il sistema di informazione creditizia gestito dalla CRIF Spa, la cui audizione si è svolta il 23 giugno. Il problema è complesso, ma cercherò di sintetizzare. Prima di concedere qualsivoglia finanziamento, l'operatore bancario interroga l'archivio della CRIF. In base alla risposta ottenuta, è possibile procedere o meno. L'informazione fornita dalla predetta società dovrebbe essere di supporto alla decisione finale della banca, segnatamente del responsabile dell'analisi del credito, il quale dovrebbe effettuare una valutazione complessiva di tutti i dati disponibili. Accade, invece, che la segnalazione, da parte della CRIF, di finanziamenti non in regola a nome del soggetto che ha richiesto un prestito, diventi un impedimento pregiudiziale. Oggi, nell'attuale situazione di mercato, l'esito negativo di una visura CRIF può diventare una vera e propria condanna definitiva, quasi sempre inappellabile. Chi ha dimenticato di pagare, o ha pagato in ritardo, una rata di dieci euro mensili per l'acquisto di una scopa elettrica, può vedersi negato un finanziamento di 120.000 euro per l'acquisto di una casa, anche se rispetta il rapporto rata-reddito e il valore dell'immobile è congruo. Se per la CRIF si è cattivi pagatori, le attuali politiche creditizie delle banche non danno la possibilità di ottenere credito. Confrontandoci quotidianamente con gli operatori delle banche, ci sentiamo confidare che le politiche restrittive attualmente seguite dagli istituti di credito non lasciano alcuna possibilità di intervento. L'operatore non può presentare alcuna memoria a favore del cliente. Negli ultimi anni, poi, l'interrogazione alle banche dati dei SIC è stata arricchita dalla richiesta di una valutazione finale sul rischio di credito associato al cliente: basso, medio, alto o altissimo. Si tratta di una forzatura non autorizzata, che potrebbe comportare un richiamo scritto per il dipendente della banca che la proponesse anche soltanto in via derogatoria.
Ritengo opportuno svolgere qualche breve considerazione in merito al tema dell'insolvenza. Non voglio certamente assumere la difesa d'ufficio delle banche, ma il superamento, nella concessione dei mutui, della soglia del 100 per cento del prezzo di acquisto degli immobili è, fortunatamente, un fenomeno scarsamente rilevabile. Che si verifichino truffe è innegabile. In tali casi, ogni valutazione circa la rilevanza penale di determinati comportamenti spetta all'autorità giudiziaria. È senza dubbio eccessivo, tuttavia, affermare che vi sia quasi un'associazione truffaldina tra i professionisti che prestano la loro opera nel settore, i quali godrebbero della connivenza più o meno esplicita del bancario di turno. Le banche hanno compreso che, in caso di truffa, non devono essere reticenti, ma devono prontamente denunciare i malfattori. In precedenza, spesso non lo facevano, per evitare che la diffusione della notizia determinasse allarme nella clientela. Gli ultimi casi hanno evidenziato un atteggiamento collaborativo delle banche nella ricerca dei colpevoli, tra i quali si nasconde, purtroppo quasi sempre, un operatore interno.
Il credito al consumo è un'area di business redditizia, specialmente per le banche generaliste, perché assume valenza di strumento di fidelizzazione e di acquisizione di nuova clientela. Il ricorso a tale forma di credito è frutto di una rivoluzione dei costumi, che tende progressivamente a omologare le famiglie italiane a quelle degli altri Paesi europei. Il settore sta crescendo, particolarmente nei segmenti dei prestiti non finalizzati, della cessione del quinto e delle carte revolving. Nel primo semestre del 2009, l'andamento è, in dettaglio, il seguente: prestiti finalizzati, -15 per cento; prestiti personali, 10 per cento; cessione del quinto, 20 per cento (dopo che lo scorso anno aveva toccato quasi il 50 per cento).
Nel portafoglio dei prodotti disponibili sta riscuotendo notevole interesse il prestito


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destinato alla sostituzione di piccoli prestiti contratti in precedenza. Il prestito di sostituzione ha la finalità di riunire in un'unica rata i prestiti in essere, possibilmente riducendo i tassi e allungando le scadenze, eventualmente disponendo anche di una piccola somma residua da destinare a necessità impreviste.
Continua la crescita dei prestiti con cessione del quinto dello stipendio. Fino a non molti anni fa, tale possibilità era riservata esclusivamente ai dipendenti pubblici; ora è estesa anche ai dipendenti privati e ai pensionati. Nel primo semestre del 2009 il prodotto ha raggiunto fasce di clientela nuove, grazie all'ingresso sul mercato degli sportelli bancari, che stanno ottenendo buoni risultati. Fino a poco tempo fa, esso era appannaggio esclusivo delle finanziarie, anche per la complessità delle procedure. Con l'apertura del mercato alla nuova clientela, le banche, che lo avevano finora snobbato, hanno deciso di scendere in campo, tanto che oggi i loro sportelli raccolgono circa il 20 per cento dell'intero mercato.
È bene ricordare che la cessione del quinto costituisce spesso l'ultima reale possibilità di accedere a un finanziamento. Peraltro, l'aggancio automatico allo stipendio e al TFR, oltre che all'assicurazione obbligatoria, rende pressoché irrilevante, ai fini della concessione del finanziamento, la posizione personale del debitore.
Nel complesso, il tasso di insolvenza dei prodotti del credito al consumo è di circa il 2,8 per cento. Un discorso a parte va fatto per la cessione del quinto, in relazione alla quale si può osservare che un motivo di ulteriore aumento dei costi risiede nel fatto che le compagnie assicurative richiedono ai dipendenti privati il pagamento di premi più alti. La crisi, con la connessa possibilità di chiusura delle aziende, ovvero di licenziamenti, sta preoccupando il mondo assicurativo, il quale, da un lato, innalza i premi per garantirsi la copertura e, dall'altro, sta predisponendo una black list di attività ad alto rischio. È agevole immaginare che i dipendenti delle imprese che svolgono tali attività potranno vedersi rifiutare il prestito, con la conseguenza che si creerà, a quel punto, una vera e propria emergenza per le famiglie.
Un fenomeno a parte riguarda il credito finalizzato, sul quale mi permetto di svolgere una considerazione. Tutti voi ben sapete quanto siano ridotti all'osso i margini di guadagno per un concessionario di auto o per un negozio che vende prodotti tecnologici. Per tali operatori l'unica vera fonte di guadagno diventa, oggi, la vendita del finanziamento. Se il meccanismo si dovesse bloccare, rischieremmo di vedere la scomparsa di un numero notevolissimo di piccoli esercizi commerciali, con la perdita di migliaia di posti di lavoro e senza la possibilità di applicare alcun ammortizzatore sociale.
Mi preme sottolineare, a questo punto, due aspetti: in primo luogo, il finanziamento finalizzato, che non viene venduto da noi, cioè dalle reti dei mediatori creditizi, ma esclusivamente dagli addetti alla vendita dei diversi esercizi, è un business che non ci riguarda direttamente; in secondo luogo, proporre per il prestito finalizzato tetti provvigionali stabiliti per legge significherebbe la perdita immediata di redditività, con il conseguente rischio di chiusura delle attività.
Desidero rispondere anche a due quesiti che sono stati posti nel corso di precedenti audizioni.

PRESIDENTE. Potrebbe specificare meglio il passaggio relativo alla fissazione dei tetti per i broker?

EUSTACCHIO ALLEGRETTI, Presidente dell'Assomea. Sappiamo che sono stati presentati, nel corso dei lavori parlamentari, alcuni emendamenti (da ultimo, al Senato, nell'ambito dell'esame del disegno di legge in materia di furto di identità, un provvedimento molto interessante) volti a stabilire che, nel caso di prestito finalizzato, la provvigione per l'operatore non possa essere superiore all'1 per cento.
Si consideri che la percentuale spettante a un concessionario di auto o al rivenditore di telefonini varia dal 4 al 6 per cento: qualora si dovesse fissare un


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tetto per legge, si creerebbero immediatamente i presupposti per una débâcle di tali esercizi commerciali. Se un venditore di auto guadagna sulla vendita di tale prodotto soltanto 200 euro, vuol dire che la redditività per sé stesso, per l'impresa e per i dipendenti viene dalla vendita del finanziamento.
Ciò vale per tutti i settori. Ultimamente, vediamo una pubblicità sfrenata dei salotti. Anche in tal caso la redditività del punto vendita viene dalla vendita del finanziamento, tanto è vero che, quando ci si reca ad acquistare un salotto e si propone il pagamento in contanti, per effettuare la vendita, gli addetti devono chiedere l'autorizzazione alla casa madre. Un caso simile è capitato a un mio amico. Evidentemente, la vendita del salotto senza contestuale finanziamento della spesa non è redditizia.
Per quanto riguarda i tetti alle provvigioni, bisogna entrare nel merito della situazione per poterla valutare adeguatamente.
Ben diverso, come diceva l'amico Cupane, è il problema della cessione del quinto. Poiché tale tipologia di prestito rientra nel comparto più generale dei finanziamenti, si è portati a pensare che il prodotto sia trattato dalle reti di mediazione o dalle banche. In realtà, almeno per come è gestito in Italia, non riguarda né noi né le banche, ma un altro settore. Mi auguro di essere stato chiaro.
In altra occasione è stata posta una domanda sul microcredito e sui soggetti che lo concedono in Italia. Offro soltanto un dato: è da poco sul mercato, per il microcredito, Compass, del gruppo Mediobanca, la quale ha lanciato un finanziamento chirografario, per importi che in media non superano i 3.000 euro, rivolto anche a extracomunitari (ufficialmente, il prestito personale non lo concede alcuna finanziaria o banca) o a fasce di lavoratori che hanno un reddito insufficiente o che non risultano censiti in banche dati. È auspicabile, da parte del Parlamento, un intervento a sostegno di siffatte iniziative, mediante provvedimenti che abbattano le imposte per i fruitori del servizio e che prevedano, eventualmente, agevolazioni fiscali per i concedenti.
Sempre nel corso di una precedente audizione, una parlamentare ha posto una domanda relativa ai finanziamenti agli anziani e alla possibilità di mostrarsi sensibili nei loro confronti. Oggi, gli anziani possono fare ricorso, oltre che alla cessione del quinto, a un altro strumento poco conosciuto in Italia: il prestito vitalizio ipotecario, concedibile a persone fisiche con almeno sessantacinque anni di età ed assistito da ipoteca di primo grado. Il finanziamento non prevede rimborsi rateali, in quanto capitali, interessi, spese e commissioni sono dovuti in unica soluzione alla morte dell'anziano. Ovviamente, non viene in considerazione, in questo caso, la capacità di rimborso, in quanto non è prevista alcuna forma di restituzione rateale. Influiscono sull'importo del prestito l'età del richiedente e il valore dell'abitazione: più alti sono tali parametri, più elevata è la somma concessa.
Come dicevo, il prestito vitalizio ipotecario è ancora poco conosciuto in Italia. Viene offerto quasi esclusivamente da Euvis, società finanziaria partecipata da Cofide, dalla banca statunitense JP Morgan Chase e, da poco, anche da Deutsche Bank e dal Monte dei Paschi di Siena. Sembrerebbe, però, che il prodotto non interessi molto da noi.
Fornisco un dato molto importante relativo all'Inghilterra, dove nel 2007 i prestiti vitalizi ipotecari hanno permesso di liberare risorse a disposizione degli anziani, senza bisogno di alcuna forma di sussidio pubblico, pari a 2,5 miliardi di euro. In Italia, che è tra i Paesi con la maggiore percentuale di over sessantacinque al mondo, il segmento senior è ancora trascurato e poco conosciuto dalle banche, che non hanno una gamma di prodotti per le necessità dell'anziano.
Passo quindi ad alcune considerazioni finali. In base ai dati della CRIF relativi al primo semestre dell'anno, le richieste di mutui sono cresciute del 4 per cento rispetto allo stesso periodo del 2008. Ciò nonostante, le erogazioni sono diminuite


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del 20 per cento. Sembrerebbe un controsenso, ma bisogna tenere conto del fatto che la politica creditizia degli istituti è cambiata. Inoltre, il mercato dei mutui è legato a filo doppio con quello immobiliare. Nelle previsioni più realistiche relative al prossimo anno, l'andamento del mercato della casa dipenderà dall'atteggiamento che le banche adotteranno nella gestione del credito. Senza il supporto del credito, subirebbero una crisi profonda non soltanto le compravendite tra privati, ma anche quelle relative alle nuove costruzioni, il che avrebbe pericolosi riflessi sull'economia del Paese.
Il nostro auspicio è che l'attività di monitoraggio condotta da codesta Commissione prosegua e diventi un punto di riferimento costante per tutti gli operatori. Non è possibile che il Parlamento deleghi ad altri organismi i poteri di controllo e di indirizzo ad esso attribuiti. Il concetto di fondo è che il rapporto tra il cittadino consumatore e la banca ha una rilevanza non meramente imprenditoriale, ma sociale. È per questo motivo che le forze politiche devono prestare la massima attenzione. È necessario vigilare sui prodotti finanziari offerti, sulla correttezza dei dati forniti al cliente, sulla trasparenza delle condizioni e sulla professionalità degli operatori, i quali sono chiamati ad applicare regole certe e produttive per tutta la comunità.
Un dato interessante è che il Governatore della California, Schwarzenegger, subito dopo la crisi dei sub-prime, ha istituito corsi settimanali gratuiti per spiegare alle famiglie quali sono le basi da cui partire per contrarre un debito, come bisogna comportarsi per non rischiare di perdere la casa e la stessa possibilità di ottenere credito. Si tratta di un'iniziativa che ha riscosso un grande successo e che ha visto una partecipazione notevolmente superiore alle attese.
È necessario fornire un'esatta valutazione delle proprie possibilità di accesso al credito, non solo presenti, ma anche future, dal momento che un mutuo ha ormai un ammortamento di circa venticinque anni. Non è possibile fermarsi a un esame superficiale della situazione di partenza.
Un'ultima considerazione ci riguarda più da vicino. È necessario che il Governo eserciti al più presto la delega prevista dall'articolo 33 della legge n. 88 del 2009 per la revisione della disciplina in materia di mediazione creditizia. La norma prefigura una profonda trasformazione dell'attività di mediazione creditizia, già proposta nel 2007 dal cosiddetto disegno di legge Pinza, il cui contenuto è stato ripreso e sviluppato.
Nell'avviarmi alla conclusione del mio intervento, desidero rimarcare i capisaldi della riforma, di cui siamo convinti assertori: più rigorosi requisiti di accesso alla professione; obbligatorietà di una polizza assicurativa per i danni a terzi causati nello svolgimento dell'attività professionale; incompatibilità con altre figure professionali; obbligo di esercitare l'attività in forma societaria. Con la nuova disciplina sarà possibile selezionare gli operatori, migliorare il servizio al consumatore, rendere più efficaci e stringenti i controlli e adeguare l'attività ai migliori standard europei.

PRESIDENTE. Do la parola ai deputati che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

COSIMO VENTUCCI. Ringrazio i presidenti Allegretti e Cupane per il loro excursus sui temi più rilevanti del credito al consumo.
In particolare, mi è sembrato di cogliere, con riferimento all'offerta dei prodotti creditizi, una notazione critica in ordine all'assetto normativo, ancor più apprezzabile in quanto espressa con sintetica chiarezza. Mi pare che i punti focali della questione siano due, tra loro correlati: da un lato, la carenza di un'adeguata disciplina dei mediatori creditizi; dall'altro, i fenomeni che a causa di tale carenza si producono. Il presidente Allegretti si è ottimamente soffermato, da ultimo, su alcuni suggerimenti operativi, nonché sul concetto di educazione finanziaria, alla quale ha accennato anche il dottor Cupane.


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Capisco perfettamente i problemi che possono essere causati dalle segnalazioni dei sistemi di informazione creditizia (come la CRIF). A tale proposito, ho riferito, in precedenti audizioni, un caso personale capitatomi molti anni fa. Mi recai in una concessionaria FIAT per comprare una Bravo, ma mi trovai in una situazione incresciosa: praticamente, a loro risultavo un delinquente nato. Chi non incappa in situazioni simili non può comprendere. Per capire cosa fosse successo fui costretto a chiedere anche ai miei familiari se, per caso, si fossero resi colpevoli di qualcosa. Ebbene, all'esito di tanto trambusto, scoprii che tutto era da ricondurre ad alcune fideiussioni prestate dall'azienda di famiglia. Lo scompiglio si risolse nel nulla, ma ebbi modo di constatare che il meccanismo, come giustamente è stato affermato anche oggi, è perverso.
Per quanto riguarda il prestito vitalizio ipotecario, si pone, a mio avviso, un problema sociologico. In questo momento di globalizzazione... sentimentale bisognerebbe stare attenti a scoraggiare il matrimonio tra un ultrasessantacinquenne e una donna di venti, soprattutto se proveniente da Paesi che hanno abitudini diverse dalle nostre. Capisco, tuttavia, che il tema ha una certa importanza, anche perché sedevo nei banchi parlamentari quando fu convertito in legge, con numerose modificazioni - tra le quali quella che introduceva, appunto, l'istituto del prestito vitalizio ipotecario -, il decreto-legge n. 203 del 2005.
È importante il riferimento alla California di Schwarzenegger, perché pone l'accento sul tema dell'educazione finanziaria. Gli Stati Uniti sono sempre stati un Paese caratterizzato da stridenti contraddizioni: da una parte, ci hanno ciclicamente trascinati, nel corso di due secoli, sull'orlo di crisi finanziarie spaventose; dall'altra, attuano iniziative che dovrebbero essere propedeutiche a una sana gestione del credito.
Mi sono occupato dei mediatori creditizi, presentando anche una proposta di legge. Condivido le considerazioni che i presidenti Cupane e Allegretti hanno svolto al riguardo, ma ritengo estremamente complicato percorrere la strada da essi indicata. Sulla base dell'esperienza che ho maturato in un altro settore, posso affermare che la polizza a garanzia della responsabilità professionale serve a poco, se non addirittura a niente. Sappiamo tutti cosa avviene nel caso dei magistrati, ma vi posso assicurare, essendo un doganalista di vecchia data, che le cose non vanno diversamente negli altri campi professionali. Si tratta, comunque, di uno di quei paraventi - chiamiamolo così - che può dare garanzia a chi accede alla professione.
Il problema è estremamente delicato, perché in Italia, come al solito, si intreccia l'operato di molte istituzioni deputate a esercitare funzioni di garanzia, ora in un settore, ora in un altro. È ampio anche il panorama delle audizioni che la Commissione sta svolgendo nell'ambito dell'indagine conoscitiva. A partire dal 23 giugno abbiamo ascoltato decine di soggetti con specifiche competenze nel settore, L'abbiamo fatto con la pacatezza che si conviene a un organo parlamentare, per conoscere a fondo le svariate problematiche del credito al consumo e per essere in grado di gestirle, eventualmente anche assumendo iniziative di carattere legislativo.
Ci auguriamo che questo Parlamento dimostri di essere all'altezza di tale compito. Ci lasciamo alle spalle una fase estremamente delicata della vita politico-istituzionale: per otto mesi siamo stati in qualche modo bloccati, perché il secondo partito più importante doveva procedere all'elezione del segretario; ora auspichiamo che finalmente si possa creare quel clima di dialogo che appare necessario per affrontare compiutamente le tematiche emerse nel corso delle audizioni (e le altre che emergeranno nel prosieguo), perché a colpi di maggioranza non si fa molto, e quel che si fa, lo si fa male.
Non ho da porre domande specifiche. Il problema dell'educazione finanziaria dovrebbe essere affrontato aprendo istituti in ogni regione e offrendo corsi nelle scuole,


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con il concorso fattivo anche delle associazioni dei distributori di prodotti creditizi, le quali potrebbero elaborare proposte concrete. Non ci siamo riusciti con l'educazione civica, intesa come la lettura della Costituzione - 139 articoli, ora diventati 144 -, ma l'insuccesso non ci deve scoraggiare. Non è possibile che si torni per decenni sull'argomento senza fare nulla di tangibile: si tratta di prendere una decisione e di incaricare qualcuno - magari un precario ben indottrinato sulla materia - di rivolgersi ai giovani. Non penso ai sessantacinquenni o a chi, come me, ha un'età più avanzata; se si vuole cambiare la società, lo si deve fare ab imis: dalle elementari, dalle medie e dalla scuola media superiore. Un ruolo propositivo dovrebbe essere svolto, come ho già detto, proprio dalle associazioni presenti, le quali gestiscono il 35 per cento - quindi, una percentuale estremamente importante - del mercato della distribuzione. Secondo me, l'Assocred e l'Assomea potrebbero elaborare proposte valide, anche perché sanno bene dove si annidano, nel comparto, le mele marce.
Per quanto riguarda i mediatori, udendo le grida di dolore degli operatori del settore e dei consumatori, ho presentato alla Camera, all'inizio dell'anno, una proposta di legge. Il Governo, che dovrà dare attuazione alla delega conferitagli dall'articolo 33 delle legge n. 88 del 2009, è disponibile a valutarne il testo. È importante che anche le associazioni di categoria si mostrino propositive, come lo sono state oggi, e pressanti.
L'audizione è stata molto interessante. Il presidente Cupane ha posto in risalto l'avvenuto superamento del bipolarismo che caratterizzava il mercato del credito: ai due poli rappresentati dagli intermediari bancari e finanziari e dai consumatori si è aggiunto un terzo polo, costituito dai mediatori creditizi e dagli agenti in attività finanziaria. Si tratta di un fatto importante, di cui il Governo e la società stessa devono prendere atto.

SILVANA ANDREINA COMAROLI. Ringrazio gli intervenuti, ai quali desidero porre, in maniera molto sintetica, alcune domande.
Nel corso di una precedente audizione, un avvocato ci ha fornito alcuni dati dai quali si evinceva, con riferimento ai prestiti personali, con cessione del quinto dello stipendio o della pensione (quindi, avendo riguardo anche ai prestiti agli anziani), che l'accorpamento delle rate e gli oneri aggiuntivi a carico del consumatore (per spese di istruttoria, di assicurazione, di mediazione e via dicendo) determinavano, di fatto, l'applicazione di tassi da strozzinaggio. Dal nostro punto di vista, si tratta di un fenomeno molto preoccupante: così non si aiuta chi è in difficoltà.
Certo, possiamo organizzare corsi per informare i consumatori, per metterli in guardia; rimane tuttavia il fatto che chi concede il prestito ci vuole guadagnare, spesso moltissimo.
Ad esempio, il nostro Governo aveva abolito la commissione di massimo scoperto, ma le banche hanno escogitato svariati sistemi per reintrodurla, sia pure denominandola diversamente. Si è verificato, insomma, un fenomeno analogo a quello che connota i prestiti personali, settore nel quale, come abbiamo constatato, diritti di segreteria, costi di accensione della pratica, spese di incasso ed altri oneri vari fanno sì che il tasso effettivamente praticato sia elevatissimo. Come ha rilevato anche Cupane, utilizzando le carte revolving, il costo di un prestito addirittura si raddoppia se la somma non viene rimborsata entro pochi mesi.
Cosa si può fare per evitare simili fenomeni? Si è parlato di rivedere il tasso di usura, ma in che termini? Poiché un limite esiste già, e viene spesso superato, si pensa di renderlo ancora più stringente?

PRESIDENTE. Avrei anch'io un paio di questioni da porre.
Capisco il punto di vista poc'anzi espresso in merito al tasso di usura. Nel corso di una recente chiacchierata, il presidente dell'ABI, Corrado Faissola, mi faceva notare che bisognerebbe rivedere il gap esistente tra finanziarie e banche. Egli


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sosteneva che l'applicazione di tassi di interesse più alti ai clienti che presentano un rischio di credito più elevato permetterebbe di estendere la platea dei fruitori. Tuttavia, temo che la rimozione delle soglie attualmente esistenti possa provocare una adeguamento del mercato verso l'alto.
Il vero tema, allora, non è l'eliminazione del tasso di usura, nell'ottica di consentire al consumatore più sfortunato, a quello che rappresenta il caso limite, di poter essere sostenuto. Se, infatti, l'eliminazione del tappo - chiamiamolo così - costituito dal tasso soglia determina un incremento dei tassi di interesse, bisogna pensare, invece, a misure in grado di mantenere questi ultimi a livelli più bassi. In altre parole, occorrerebbe procedere all'individuazione di categorie di soggetti in base al merito di credito, stabilendo soglie diverse in relazione al rischio di credito dei clienti.
Mi piacerebbe avere su tale argomento, che è di una certa rilevanza, una valutazione delle associazioni presenti, anche perché coloro che operano nel comparto difficilmente ci parlano, quando prendono parte alle nostre audizioni, della composizione dei tassi d'interesse e di cosa si potrebbe fare per venire incontro ai consumatori, i quali avvertono la necessità di una diminuzione degli interessi.
Il panorama degli operatori finanziari è vario e molto vasto. Il fatto che essi ammontino complessivamente a 160.000 mi induce a pensare, francamente, che siamo alle solite. Quando parlo di questi temi, mi viene sempre in mente la fantomatica ipotesi di creare i farmers' markets, dove i contadini vendono i propri prodotti direttamente ai consumatori, scavalcando tutta la catena distributiva. Mi pare che un'esigenza analoga si ponga anche nel settore creditizio, nel quale il costo di un'operazione di finanziamento è determinato dall'eccessiva lunghezza della catena di rappresentanti e procacciatori.
D'altra parte, il problema dei sub-prime è esploso, in America, soprattutto perché sciami di procacciatori avevano collocato prodotti finanziari legati all'acquisto delle case nei sobborghi più poveri delle città, ben consci del fatto che, una volta incassate le provvigioni sui contratti in tal modo conclusi, qualcuno avrebbe comunque saldato il conto finale, anche in caso di default.
Ringrazio il presidente Allegretti per averci offerto uno spaccato piuttosto interessante, soprattutto per quanto riguarda l'atteggiamento dei grandi gruppi bancari. A tale proposito, mi interessa conoscere la relazione tra banche e livelli di affidamento, mediatori e catena distributiva, e anche comprendere un po' meglio il sistema dei tassi praticati.
Ricollegandomi alle considerazioni che il presidente Allegretti ha svolto in ordine ai mutui, sarei propenso, diversamente dal collega Ventucci, a fare in modo che gli acquirenti di case, soprattutto di prime case, stipulino mutui a tasso fisso. Spesso, infatti, le persone che non hanno sufficienti cognizioni finanziarie si lasciano sedurre dai mutui a tassi variabili, che attualmente sono molto bassi, ma che cominceranno a crescere già dall'anno prossimo. Se ciò avverrà, come appare probabile, molti di coloro che oggi pensano di potercela fare non riusciranno più a sopportare le rate del mutuo. È stato addirittura ipotizzato - anche in questa sede, nel corso di un'audizione - che dietro il successo dei mutui a tasso variabile vi sia una vera e propria strategia delle banche, le quali avrebbero costituito società aventi il compito di ricomprare gli immobili il cui acquisto sia stato finanziato mediante i mutui non onorati.
Trattandosi di un argomento che dovremo affrontare, vorrei una valutazione dell'Assocred e dell'Assomea circa le iniziative da assumere per evitare che si arrivi a uno scenario simile a quello descritto. Capisco che un'imposizione sarebbe difficilmente fattibile; tuttavia, si potrebbero adottare regole analoghe a quelle vigenti per i prodotti finanziari: chi vende mutui dovrebbe spiegare le caratteristiche e i rischi connessi alle diverse tipologie di contratti.
Passando al tema dei broker, capisco che c'è un mercato che si regge sul finanziamento, ma in una catena distributiva


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più lunga le commissioni assumono un certo peso: il presidente Allegretti ci ha detto di un range fra il 4 e il 6 per cento.

EUSTACCHIO ALLEGRETTI, Presidente dell'Assomea. Esclusivamente con riferimento ai prestiti finalizzati. Per quanto riguarda gli altri prodotti, tra i quali i mutui ipotecari, oggi si arriva a malapena al 2 per cento. In molti casi, per avere i tassi più bassi sul mercato, i prodotti sono distribuiti con provvigioni inferiori all'uno per cento.

PRESIDENTE. In considerazione del fatto che, in alcune aree, esistono blocchi consolidati di venditori, per cui la vendita di un prodotto dipende, sostanzialmente, dalla misura della commissione che può incamerare l'intermediario, cosa si può fare per venire incontro alle esigenze dei consumatori?
Sono questi gli aspetti che ci preme approfondire, al di là del contenuto dei documenti consegnati, che sono sicuramente molto interessanti.
La promozione dell'educazione finanziaria dovrebbe far capo, teoricamente, allo Stato (se fosse possibile reperire le risorse finanziarie occorrenti), ma anche il mercato - lo dico con un po' di scetticismo - potrebbe fare qualcosa in via autonoma: investire oggi in simili iniziative significherebbe, a mio avviso, avere minori sofferenze domani.

FRANCESCO BARBATO. Mi scuso innanzitutto del ritardo, che mi ha impedito di ascoltare gran parte dell'audizione.
Desidero porre una specifica domanda relativa alla rete dei distributori. In settori paralleli, dall'assicurativo al bancario, è tutto ben inquadrato: per esempio, in un'agenzia di assicurazioni non può operare chi non abbia una determinata iscrizione: né per consegnare una polizza assicurativa, né per maneggiare il danaro. Questo mi serve per dire come siano meglio strutturate, in generale, le altre reti che si occupano di prodotti finanziari.
Al contrario, sembra che per la rete di distribuzione del credito al consumo non vi sia una normativa altrettanto rigorosa e attenta. Sappiamo bene che, oggi, il denaro pulito si mescola troppo spesso con quello sporco. Molte attività commerciali sono finte e servono soltanto per riciclare denaro o addirittura per incassare il pizzo. Da inchieste della DIA è emerso che alcuni imprenditori, per restituire denaro preso a usura, emettevano fatture false, simulando la vendita di prodotti per giustificare l'uscita. Come recita il vecchio adagio, pecunia non olet.
Con tutto il rispetto, naturalmente, per la stragrande maggioranza delle persone perbene che fanno parte del settore, è preoccupante sapere che la criminalità organizzata, attratta dalla possibilità di operare sui circuiti finanziari, abbia messo gli occhi sulla rete distributiva del credito e tenti di inserirsi nella stessa, anche contro la volontà dello stesso sistema. È indubbiamente un'esigenza delle mafie quella di mimetizzarsi e infiltrarsi nelle strutture dell'intermediazione finanziaria, anche nelle singole agenzie (per avere la disponibilità della cassa, tanto per intenderci). In tal modo, si creano zone d'ombra sulle quali noi dell'Italia dei Valori, in special modo, siamo molto attenti, perché il nostro interesse è quello di proteggere il consumatore, il cittadino.
Questo filo scoperto - diciamo così - ci preoccupa. Come si pensa, eventualmente, di mettere sotto controllo la rete, fino all'ultimo tassello, fino all'ultima persona che lavora al banco della singola agenzia, la quale è chiamata a svolgere un compito che potrebbe anche non assolvere al meglio?

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE COSIMO VENTUCCI

PRESIDENTE. Nel ringraziarli delle informazioni che ci hanno fornito, chiedo ai nostri ospiti di formulare risposte esaurienti ma sintetiche, poiché fra breve dovremo passare all'esame di altri argomenti.

GIANCARLO CUPANE, Presidente dell'Assocred. Comincerò dalle domande poste


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nel corso dell'ultimo intervento, alle quali posso dare una risposta precisa.
In apertura dell'audizione, ho espressamente affermato - ma lei non ha potuto ascoltarmi, onorevole Barbato - che il Governo, nel riformare il comparto della mediazione creditizia (in attuazione dell'articolo 33 della legge comunitaria 2008), dovrebbe rendere obbligatorio, per le persone fisiche che lavorano per conto delle società di mediazione creditizia, il possesso dell'iscrizione all'albo dei mediatori. Mi trovo, dunque, assolutamente in sintonia con il grido d'allarme da lei lanciato. È necessario prevedere una normativa più stringente per le società di mediazione creditizia. Il fatto che esse siano libere di utilizzare persone non qualificate, non regolamentate e non registrate spaventa molto anche me.
In particolare, ritengo necessario che ogni persona fisica sia munita di un titolo di abilitazione individuale, difficile da ottenere - l'esame deve essere severo - e facile da perdere in caso di comportamenti anomali. Alcune proposte prevedono un'iscrizione all'albo senza esame per chi ha svolto il lavoro fino a una certa data (e può, ovviamente, dimostrarlo). Francamente, farei sostenere l'esame a tutti: se è vero, infatti, che lavorando per tanti anni in un settore si acquisisce una certa professionalità, l'ultima cosa che dovrebbe spaventare è sostenere un esame. Capisco che può essere problematico, nella fase di avvio della nuova disciplina, organizzare esami per migliaia di soggetti; tuttavia, i soggetti già operanti potrebbero continuare a svolgere la loro attività per un tempo ragionevole di un anno o due, in attesa di superare il prescritto esame.
Sono, quindi, del tutto in sintonia con lei, onorevole Barbato. Le reti non gestite mi fanno molta paura: provocano danni reputazionali agli operatori seri e danni ben più gravi ai consumatori che incappano in operatori privi di scrupoli.
Anche se non ne ho direttamente contezza nella mia realtà - nella quale non ne vedo -, le infiltrazioni della criminalità organizzata sono connesse a un aumento delle truffe che si tenta di perpetrare mediante richieste di prestiti personali. Questo è un altro aspetto importante. So che il Parlamento sta già lavorando per prevedere meccanismi antifrode. Oggi è molto più facile falsificare due o tre pratiche di prestito personale che rapinare una banca: è molto meno rischioso, anche se meno fruttuoso in termini di denaro contante. Pertanto, direi che l'area in cui si è infiltrata la criminalità organizzata è quella della predisposizione di false pratiche di prestito personale. Posto che un soggetto può ottenere 10.000 o 15.000 euro di prestito personale, due o tre pratiche false assicurano un risultato elevato: sono tanti soldi, anche per un'attività criminale.
Al momento, invece, non ho visto infiltrazioni della criminalità organizzata nelle reti distributive, forse perché sono giovani e non così rilevanti. Non c'è dubbio che, in futuro, quando tali reti saranno diventate il terzo attore del mercato a tutti gli effetti, il pericolo si potrà presentare; concordo pienamente sulla necessità di prevenirlo, dettando sin da ora quelle regole stringenti che ho chiesto nel mio precedente intervento.
Sono molto sensibile anche ai temi dell'usura e dei costi complessivi dei finanziamenti. Lo dico con una battuta: noi distributori indipendenti vendiamo i finanziamenti, ma non li produciamo. Se il finanziamento costa di più, noi non ci guadagniamo nulla, o comunque ci guadagniamo poco, perché la nostra provvigione non è calcolata su tutte le voci che compongono il costo; anzi, se il finanziamento costa meno, è più facile venderlo (come accade per ogni tipo di prodotto).
Poiché il presidente chiedeva dettagli circa i costi di un finanziamento, forse siamo i soggetti adatti per svelare alcuni segreti (che, in realtà, non sono tali). È giusta, intanto, l'osservazione che è stata fatta in merito alle altre voci che, oltre al semplice tasso finanziario, compongono il costo complessivo.
Una novità c'è: la Banca d'Italia ha diramato nuove istruzioni riguardo alla rilevazione dei tassi ai sensi della legge antiusura, includendo nel TEG, su sollecitazione dell'Unione europea (in conformità,


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cioè, alla direttiva 2008/48/CE), praticamente quasi tutte le ulteriori componenti di costo. Fino a dicembre del 2009, dai tassi effettivi globali medi restavano fuori le spese di incasso, considerate una semplice ripetizione di costi sostenuti dalle banche (alcune hanno arrotondato tali costi, includendovi alcune spese amministrative e, quindi, facendoli pesare di più; dalla fine dell'anno, saranno compresi nel tasso e, quindi, non ci sarà più questo pericolo). Restavano fuori anche i compensi di mediazione, qualora non necessari, ovvero qualora i mediatori non detenessero l'esclusiva della distribuzione. Anche questi, dal prossimo anno, entreranno nel TEG (e nei tassi che saranno pubblicizzati). Le spese di istruttoria erano già considerate.
Per quanto riguarda le spese di assicurazione, è noto che le assicurazioni correlate ai prestiti sono diventate spesso una fonte di guadagno ulteriore. Come l'amico Allegretti ha giustamente osservato, spesso l'auto viene venduta per guadagnare sul finanziamento. Analogamente, spesso il sistema finanziario ha venduto prestiti per guadagnare sulle componenti assicurative. Anche su tale aspetto vale la pena di svolgere una riflessione.
La Banca d'Italia ha introdotto una prescrizione interessante, disponendo che, dall'anno prossimo, le spese per assicurazioni andranno imposte al cliente, e saranno volte a garantire il rimborso del credito. Bisogna vigilare affinché tale disposizione non sia aggirata: la polizza assicurativa non deve essere proposta al cliente, nella veste di beneficiario, per avere un'ulteriore fonte di guadagno, ma deve avere la funzione di tutelare i diritti del creditore. Probabilmente, non si può impedire che le polizze assicurative vengano offerte insieme ai prodotti finanziari, ma vale la pena di vigilare attentamente affinché i due ambiti, con le rispettive regolamentazioni, rimangano distinti: non deve essere permesso «scivolare» da un piano all'altro, per creare zone grigie all'interno delle quali i costi per il cliente finale aumentano sensibilmente.
Devo una risposta al presidente e a tutti coloro i quali, dopo avere sollevato il dubbio fondamentale che il costo del credito sia troppo elevato, chiedono cosa si possa fare per ridurlo e, inoltre, quali alternative vi siano, per esempio, all'attuale meccanismo dei tassi soglia.
Ho una mia visione, ma non so fino a che punto si tratti soltanto di un'illusione. Penso che un consumatore consapevole, aiutato da un consulente indipendente, possa scegliere il prodotto che abbia un costo complessivo inferiore, a condizione che l'offerta sia trasparente: è questo, a mio parere, l'aspetto fondamentale del credito, che dovrebbe avere rilevanza anche ai fini della configurazione del reato di usura.
Se è vero che il rischio di credito di ciascun consumatore è diverso, per permettere l'accesso al credito di un soggetto che presenta un rischio più elevato si dovrebbero prevedere tassi di interesse relativamente più elevati, ma soltanto per lui, evitando che tali tassi si applichino anche a persone che, invece, potrebbero ottenerne di più bassi. Tutto ciò, secondo me, può funzionare - spero di non illudermi troppo - se le offerte sono trasparenti. Infatti, ogni consumatore cerca di accedere al credito partendo dal prodotto che costa meno; se questo gli viene negato, sale fino al finanziamento che, pur costando di più, è il meno oneroso in relazione al suo rischio di insolvenza.
Si tratta, probabilmente, di un mondo ideale. Eppure, oggi, tutti conosciamo siti Internet che permettono di confrontare i tassi praticati da diverse banche. Non è così illusorio, quindi, immaginare, da una parte, un consumatore più consapevole e, dall'altra, un'offerta proveniente da distributori indipendenti, nonché un meccanismo come quello disponibile al popolo di Internet. Dal momento che il dipendente della banca A non dirà mai che il mutuo della banca B costa di meno, una funzione di comparazione dei costi analoga a quella oggi svolta dai motori di ricerca all'interno del web potrebbe essere esercitata dal mediatore creditizio, il quale troverebbe in tale attività il senso del proprio esistere,


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nonché la giustificazione del compenso, corrisposto dal consumatore per ottenere le migliori condizioni sui prodotti creditizi.
La trasparenza è fondamentale. Oggi, essa è affidata a norme secondarie dettate dalla Banca d'Italia. È il meglio che si è riusciti a fare, ma si tratta di una disciplina formale: la si rispetta consegnando al cliente tanti fogli di carta. Una singola banca, quando istruisce una pratica di prestito, deve consegnare al richiedente almeno una quindicina di fogli. Un mediatore creditizio, se compara le condizioni offerte da più banche, deve consegnare quindici fogli per ognuna di esse, più quelli relativi alla propria attività. Talvolta, i clienti vanno a casa con plichi di 80 pagine, e devono prendere la decisione in una notte: inevitabilmente, non le leggeranno. È il caso di commentare che troppa informazione provoca nessuna informazione. Si può paragonare il consumatore allo studente che sottolinea tutto il libro: non gli resta nulla di quello che ha sottolineato.
Forse, sarebbero preferibili informative semplificate e sintetiche, ma molto più chiare di quelle attuali, con due o tre indicatori di costo evidenziati a caratteri cubitali sulla prima pagina. Inoltre, occorrerebbe sanzionare in maniera più rigorosa i trasgressori. Se applicassimo al mancato rispetto della trasparenza le sanzioni penali previste dalla legge antiusura, ci avvicineremmo, probabilmente, a quel mercato ideale che a me piace immaginare.

EUSTACCHIO ALLEGRETTI, Presidente dell'Assomea. Cercherò di essere rapido.
Per quanto riguarda le carte revolving, il cui costo è molto elevato, si consideri che non sono vendute dalle reti di mediazione creditizia, ma direttamente dalle banche.
Il presidente chiedeva in quale modo sia possibile garantire al consumatore un costo finale congruo, nonostante l'allungamento della filiera. Di un dato possiamo essere certi: da quando hanno assunto un ruolo preponderante nella rete di vendita, quantomeno dei mutui ipotecari, i mediatori creditizi sono riusciti a mettere in concorrenza le banche e a determinare una riduzione dei tassi. La concorrenza tra gli istituti di credito, indirettamente e forzatamente creata dai mediatori creditizi, si è tradotta in un beneficio per i nostri clienti (quindi, per i clienti finali), costituito da un abbassamento degli spread e del costo complessivo.
Signor presidente, io le rinnovo un appello: che i lavori molto interessanti ai quali la Commissione si sta dedicando si trasformino in un momento istituzionale di confronto, tra le forze politiche presenti in Parlamento, sul tema del credito alle famiglie.
Si è fatto riferimento alla commissione di massimo scoperto, ma posso citare un altro comportamento certamente non gradevole delle banche. Come sappiamo, il cosiddetto decreto Bersani ha introdotto - e si tratta di un fatto positivo - la portabilità del mutuo senza costi. Abbiamo visto che, nel primo semestre di quest'anno, il segmento della portabilità ha raggiunto un livello interessante: il 30 per cento del mercato. Per le banche si è trattato di un boccone amaro, prima di tutto perché la clientela che utilizza la surrogazione è prime, buona. La banca non è obbligata a surrogarsi nel mutuo: può farlo, oppure no. È, quindi, la clientela migliore che spesso se ne va, tant'è vero che molti istituti, per evitare di perdere i clienti, hanno inviato migliaia di lettere per comunicare a questi ultimi di avere apportato modifiche in ribasso alle condizioni economiche.
Come hanno risolto, tuttavia, il problema della perdita dei costi di surroga? Con un aumento spropositato e indegno delle spese istruttorie. Consideri, signor presidente, che tali spese, in genere, formavano oggetto di trattativa tra gli istituti di credito e le grosse reti di mediazione creditizia, le quali si occupavano dell'istruttoria (raccolta della documentazione, sottoscrizione e via dicendo), mentre le banche si limitavano ad acquisire e a controllare una documentazione già completa. Era possibile, di conseguenza,


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chiedere una riduzione delle spese di istruttoria. Con alcuni istituti di credito siamo arrivati a concordare rimborsi dai 125 ai 175 euro a pratica, qualunque fosse l'importo richiesto. A gennaio di quest'anno, invece, ci siamo sentiti comunicare dai medesimi istituti che si passa dai 125-175 euro allo 0,75-1 per cento dell'importo richiesto a mutuo. Oggi, la media si attesta intorno allo 0,70-0,80 per cento. Vi è stato, quindi, un aumento spropositato delle spese istruttorie. I benefici conquistati in anni di confronto con l'ABI e con le banche si perdono, spesso, in altri modi.
Signor presidente, non deve sembrare strano il nostro interesse a difendere il cliente e a offrire sul mercato condizioni migliori; in tal modo, infatti, il consumatore ha la possibilità di rilevare la differenza tra uno spread dell'1,50 per cento offerto da noi e uno dell'1,51 o dell'1,49 per cento offerto dalla banca.
Lei chiedeva, signor presidente, se si possa ottenere dalle banche una descrizione analitica di tutti gli elementi di costo: è difficile, salvo ricorrendo alla tortura. Al di là della battuta, posso offrire un dato: alle banche conviene che i mutui ipotecari siano venduti dalle reti parallele, perché risparmiano. In media, per l'intermediazione interna o la gestione di una pratica di mutuo, le banche riservano nei loro conti somme che vanno dal 4 al 4,50 per cento degli impieghi in tale settore (poiché non è ufficiale, il dato va preso con il beneficio di inventario). Di conseguenza, se a noi danno il 2 per cento, ci guadagnano altrettanto.
La gestione di una pratica di mutuo rappresenta un momento impegnativo per uno sportello bancario. È per questo che, nei mercati anglosassoni, il 92 per cento dei mutui ipotecari viene stipulato da reti di mediazione: la gestione diretta del cliente costa troppo, e le banche non se la possono più permettere.
Un'intervista rilasciata alcune settimane fa al settimanale Economy dall'amministratore delegato di Unicredit ha fatto sobbalzare sulle sedie i dipendenti della banca. In sintesi, Nicastro ha invitato i clienti di Unicredit a fare a meno degli sportelli. Si tratta di 4.850 sportelli in Italia: quando l'amministratore delegato sollecita a non servirsene, che succede? Nicastro ha fornito una spiegazione tecnica ed economica validissima: bisogna promuovere l'utilizzo delle carte di credito, delle carte revolving, delle nuove carte che consentono di effettuare versamenti, prelievi, bonifici e via elencando, poiché la gestione delle operazioni in via telematica costa alla banca da 0,10 a 0,15 centesimi al minuto, mentre un qualunque operatore - si tratti dello sportellista o del consulente - costa 2 euro al minuto. Nicastro ha spronato, quindi, a servirsi degli strumenti telematici. Ciò significa che, tra alcuni anni, le banche chiuderanno gli sportelli, nessuno coprirà più i relativi posti e si porranno altri tipi di problemi.
Il problema del credito consapevole non interessa più alle banche, perché non hanno tempo da dedicare all'argomento, né hanno voglia di spendere risorse in tale settore. Signor presidente, noi saremmo disponibili a contribuire a giornate di formazione, ma sa cosa ci sentiamo rispondere, spesso, dagli istituti di credito? Cui prodest?
In questi ultimi tempi, soltanto chi ha sufficientemente a cuore la tutela di determinate esigenze ha idea delle liti che i mutui a tasso variabile stanno generando con le banche. Poiché gli istituti di credito hanno abbassato il rapporto rata-reddito, con un tasso variabile intorno al 3 per cento è più facile rispettare il tetto. Di conseguenza, impera il mutuo a tasso variabile. È ottimo, comunque, il prodotto offerto da Banca Monte dei Paschi di Siena. Pian piano tutte le banche offriranno prodotti simili, ossia mutui a tasso variabile con la previsione di un tasso massimo non superabile (cap). Dovrebbe, però, essere obbligatorio.
Bisogna pensare a un meccanismo, a un organismo, anche di carattere parlamentare, che monitori il mercato del credito alle famiglie e che, all'occorrenza, impartisca le necessarie indicazioni. Si tratta di un'esigenza sociale primaria.


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Certo, la banca fa business; tuttavia, si può contribuire a dare indicazioni e a trovare soluzioni, altrimenti diventa tutto più difficile. Sottolineo che, in tutti gli incontri ai quali abbiamo partecipato, io e Cupane ci siamo sempre trovati, con le associazioni dei consumatori, dallo stesso lato del tavolo: non abbiamo mai avuto scontri con loro, perché le esigenze sono comuni.
Per quanto riguarda specificamente i mutui, meriterebbe una particolare attenzione il capitolo delle coperture assicurative, sul quale nemmeno l'avvocato D'Antuoni ha ritenuto di doversi soffermare nel corso dell'audizione svoltasi lo scorso 7 ottobre. Se lo analizzassimo a fondo, signor presidente, altro che atti alla procura! Oggi le banche accrescono la redditività dei mutui vendendo, o obbligando a vendere, le cosiddette CPI, ossia le polizze a tutela del credito, che pongono problemi delicatissimi: su un premio assicurativo interamente finanziato, che su un mutuo venticinquennale può arrivare anche a 13.000 o 14.000 euro, con pagamento anticipato, la banca guadagna, in media, il 50 per cento (naturalmente, il dato non è ufficiale).
Si tratta di polizze che suscitano molte perplessità, anche perché sono aperte senza un'adeguata informazione. È vero che possono coprire la perdita del posto di lavoro, ma nessuno ha il coraggio di dire a chiare lettere che ciò vale soltanto per i primi dieci anni, per non più di tre volte consecutive e per un periodo non superiore ai dodici mesi. Signor presidente, nessuno fornisce queste informazioni. La gente sottoscrive mutui a trent'anni e crede che il pagamento della polizza CPI coprirà in ogni caso l'importo residuo del mutuo in caso di perdita del posto di lavoro. Purtroppo, non è così.
Quanto all'esigenza rappresentata dall'onorevole Barbato, siamo pienamente d'accordo. Chiediamo da tempo una normativa più rigorosa in materia di mediazione creditizia. Apprendemmo con soddisfazione, nel 2007, che una richiesta in tal senso era stata rivolta al Ministro dell'economia e delle finanze del Governo Prodi dal Governatore della banca d'Italia, Draghi. Guardiamo quindi con favore all'attuazione della delega conferita al Governo dall'articolo 33 della legge n. 88 del 2009 (legge comunitaria 2008). Sottoscrivo, a tale riguardo, quanto ha già affermato il collega Cupane: con regole certe e controlli validi il settore sarà più facilmente gestibile. Oggi siamo un esercito di 150.000 persone. Come ho già detto, la Banca d'Italia ha fatto rilevare, già qualche anno fa, che una tale massa di operatori è assolutamente ingovernabile e che anche i controlli a campione risultano, nella descritta situazione, del tutto inefficaci.

PRESIDENTE. Ringraziamo i nostri ospiti. Specialmente in quest'ultima parte dell'audizione, essi hanno denunciato situazioni della cui conoscenza la Commissione saprà fare tesoro.
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 12,45.

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