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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissione VI
11.
Martedì 17 novembre 2009
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Conte Gianfranco, Presidente ... 2

INDAGINE CONOSCITIVA SUL CREDITO AL CONSUMO

Audizione del Presidente dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato:

Conte Gianfranco, Presidente ... 2 5 7 11 12
Catricalà Antonio, Presidente dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato ... 2 8 11 12
Comaroli Silvana Andreina (LNP) ... 6 11
Fugatti Maurizio (LNP) ... 6
Fluvi Alberto (PD) ... 5
Pagano Alessandro (PdL) ... 7 11
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Repubblicani; Regionalisti, Popolari: Misto-RRP.

COMMISSIONE VI
FINANZE

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di martedì 17 novembre 2009


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GIANFRANCO CONTE

La seduta comincia alle 11,10.

(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso e la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Audizione del Presidente dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sul credito al consumo, l'audizione del presidente dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato, Antonio Catricalà, che ringrazio per la sua disponibilità.
Il dottor Catricalà è accompagnato dal dottor Massimo Ferrero, dirigente dell'Autorità, dal dottor Angelo Lalli e dalla dottoressa Emanuela Goggiamani, responsabile delle relazioni esterne.
Do ora la parola al presidente Catricalà per lo svolgimento della relazione.

ANTONIO CATRICALÀ, Presidente dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato. Ringrazio il presidente e gli onorevoli deputati. L'Autorità è grata per l'occasione che le è stata offerta di aggiornare il quadro della situazione italiana in materia di credito al consumo.
L'oggetto di tale credito è vario, dal momento che esistono dilazioni di pagamento, finanziamenti, nonché altre forme di facilitazione, tutti caratterizzati dalla destinazione a persone fisiche per scopi estranei all'attività imprenditoriale. Ne sono esclusi, dunque, imprenditori e professionisti, ai sensi del codice del consumo. Sono tipizzati anche i soggetti che possono erogare tali forme di finanziamento. In particolare, si tratta delle banche, dei soggetti che vendono determinati prodotti, i quali possono concedere dilazioni sui prezzi, nonché alcuni intermediari iscritti nell'elenco generale di cui all'articolo 106 del Testo unico bancario.
Il finanziamento, com'è noto, può essere di due tipologie: c'è un credito finalizzato all'acquisto di beni specifici - auto, moto, mobili ed elettrodomestici - e un prestito personale senza vincolo di destinazione; nell'ambito di quest'ultima tipologia, dobbiamo distinguere le carte di credito revolving da un'altra forma particolarmente in crescita, ossia la cessione del quinto dello stipendio o della pensione per i lavoratori dipendenti o per i pensionati.
Quali sono stati gli effetti della crisi finanziaria ed economica sul settore? Non vi è ancora una risposta precisa. Voi avete già sentito il rappresentante dell'ABI, il quale ha evidenziato come il credito al consumo sia aumentato nel 2008 e, avendo riguardo all'ultimo quinquennio, sia quasi raddoppiato. Ciò è possibile perché l'indebitamento delle famiglie italiane riferito al credito al consumo è ancora inferiore rispetto alla media europea. Il rappresentante dell'ABI ha, però, lamentato la circostanza che sono aumentate le insolvenze. Il rappresentante di ASSOFIN ha osservato, invece, che nel 2009 c'è stata


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una contrazione dell'intero settore pari al 12 per cento e che sono cresciuti solamente i crediti concessi contro cessione del quinto dello stipendio. Si guardi all'una o l'altra delle due impostazioni - si tratta di due modi di interpretare la stessa realtà -, un fatto è certo: vi è una minore capacità di spesa delle famiglie o una minore propensione all'indebitamento. Probabilmente, entrambe le circostanze hanno contribuito a determinare la segnalata contrazione del settore, nonché le insolvenze lamentate dall'ABI.
Le due tipologie di credito si differenziano per molte caratteristiche: per il rapporto tra domanda e offerta; per il tipo di servizio prestato; per le modalità di collocamento; per le condizioni commerciali. L'Autorità ha distinto, quindi, due mercati rilevanti: uno per il credito diretto, l'altro per quello di scopo.
Il credito di scopo, ossia finalizzato, viene in genere erogato presso esercizi commerciali che noi chiamiamo dealer. Alcuni dati possono essere importanti per capirne il funzionamento.
Per il settore delle auto, il peso del canale dei dealer si aggira intorno al 91 per cento del credito stesso, mentre arriva, per altri beni e servizi, all'86 per cento. Per gli autoveicoli, d'altra parte, l'intero sistema di finanziamento rappresenta il 78 per cento del totale dei prestiti finalizzati, e il settore si caratterizza perché le finanziarie sono quasi sempre emanazione delle case automobilistiche.
Il finanziamento libero si realizza, invece, in tre forme: i prestiti personali, per esigenze non specificate, aumentati nel 2008, rispetto al 2007, del 12 per cento; le cessioni del quinto, che riguardano anche cessioni del TFR, aumentate nel 2008, rispetto al 2007, del 40 per cento; le carte di credito revolving, che hanno registrato un aumento intorno al 7 per cento. Questo tipo di finanziamento, che non è destinato a uno specifico acquisto, è sicuramente in crescita.
Una contrazione si è verificata nel finanziamento per l'acquisto di beni di consumo determinati. Si tratta di un dato più preoccupante, perché le famiglie, pur continuando a indebitarsi, consumano meno e, quindi, danno minore benzina al motore che deve riavviare la crescita economica.
In questi anni, l'Antitrust si è interessata sia al tema delle concentrazioni sia al tema delle pratiche commerciali scorrette.
Con riferimento alle concentrazioni, siamo dovuti intervenire per evitare l'ingigantirsi di alcuni soggetti sul mercato. Non è stata un'operazione difficile, perché il mercato è abbastanza frammentato ed esiste concorrenza. Proprio nel 2008, però, siamo intervenuti in relazione all'acquisizione del controllo della Cassa di risparmio di Firenze da parte di Intesa Sanpaolo, prescrivendo alcune misure volte ad impedire la costituzione o il rafforzamento di una posizione dominante in Toscana, nonché a evitare legami diretti o indiretti tra i soggetti e i capitali delle due banche e degli istituti finanziari che ne sono emanazione.
Il sistema è sufficientemente concorrenziale: i primi cinque istituti, nel loro complesso, detengono una quota di mercato inferiore del 47 per cento rispetto a quella detenuta dai primi cinque istituti bancari. Essendo lo stato di concentrazione di circa la metà, dovrebbe essere doppio il livello concorrenziale.
Abbiamo incontrato le criticità maggiori in tema di pratiche commerciali scorrette: in due anni abbiamo chiuso più di 40 istruttorie e ne abbiamo avviate altrettante. Sostanzialmente, si tratta, dunque, di un settore che, più di altri, si presta alla scorrettezza commerciale. Abbiamo anche erogato multe che superano i 6 milioni di euro.
Quali sono le forme più ricorrenti di messaggi ingannevoli? Prima di tutto, non viene dichiarato l'esatto ammontare del costo dell'operazione, il cosiddetto TAEG: in uno degli ultimi casi che abbiamo sanzionato, l'indicazione era: «TAEG nei limiti massimi previsti dalla legge», il che può significare tutto e anche il contrario di tutto.
Abbiamo incontrato, poi, alcuni intermediari mascherati da banche, cioè soggetti che dichiarano di essere istituti erogatori


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di credito, mentre sono meri intermediari, i quali percepiscono una commissione, aggravano la situazione debitoria del consumatore e, per di più, non hanno alcuna capacità di garantire effettivamente né l'erogazione del credito né i tempi di erogazione. Si tratta, quindi, di persone che, molto spesso, fanno soltanto perdere occasioni e tempo ai consumatori.
Abbiamo trovato anche finti crediti personalizzati: dietro il cosiddetto «Credito pensato per te» (i messaggi pubblicitari sono talvolta indirizzati a destinatari determinati, dei quali vengono indicati il nome e il cognome), si celano, in realtà, prodotti standardizzati, conformi a un modello amplissimo e indifferenziato di consumatore.
In merito alle carte revolving, abbiamo individuato diverse ipotesi di legame tra l'acquisto della carta e l'apertura di un contratto di credito, di finanziamento, operazione che comporta sia costi di gestione del conto sia costi per assicurazioni e per altre spese, che vengono addebitati al consumatore praticamente a sua insaputa.
Come Autorità vorremmo fare di più e, forse, siamo in grado di farlo. Una volta studiata la pratica, sappiamo esattamente qual è la clausola contrattuale che nuoce alle tasche del consumatore ma, purtroppo, non abbiamo la possibilità di intervenire su di essa, perché si tratta di materia devoluta alla giurisdizione.
Occorrerebbe una riforma legislativa che ci abilitasse a dichiarare la nullità parziale di una clausola nella parte in cui la sua approvazione non è riferibile anche alla volontà del consumatore, il quale, naturalmente, si trovi a dover sopportare costi od oneri eccessivi o non previsti senza averne avuto esatta conoscenza al momento della stipula del contratto. Ciò consentirebbe al consumatore di pagare il giusto e all'istituto erogatore di adeguarsi a una disciplina di mercato più corretta, senza spese di natura giudiziale. Naturalmente, il nostro provvedimento sarebbe pur sempre impugnabile dinanzi al TAR e, quindi, non sarebbe sottratto alla sfera della tutela giurisdizionale. In questo modo si darebbe una risposta di giustizia a diverse situazioni che non la ricevono.
Finora la class action non poteva decollare, ma non credo che nel settore di cui stiamo discorrendo si riuscirà ad arrivare a un volume tale da giustificare azioni collettive: vengono in rilievo, infatti, soggetti erogatori e pratiche scorrette diversi, che colpiscono consumatori i quali, il più delle volte, non hanno voglia di fare storie perché il pregiudizio economico non è tale da giustificare un esborso iniziale comprendente anche l'anticipo per l'avvocato. Presso di noi, invece, il procedimento sarebbe assolutamente gratuito e la cognizione della questione verrebbe affidata a un'autorità amministrativa che ha, nel settore, una specifica competenza.
Spero - se la Commissione riterrà di voler approfondire questo tema all'esito delle proprie valutazioni - che si possa formulare una norma che ci attribuisca almeno la competenza a intervenire sugli schemi negoziali dei contratti. La tutela dei consumatori prevista dal codice del consumo è, invero, fortemente sbilanciata: alcuni dei principi enunciati rimangono non attuati, non per insensibilità dei nostri giudici, ma per l'onerosità e la lungaggine dei procedimenti giurisdizionali; altri, invece, in relazione ai quali è prevista una competenza dell'Autorità, si traducono in una tutela anche eccessiva (il che, talvolta, preoccupa le imprese).
Noi siamo in grado di svolgere questo nuovo compito, comminando magari una multa minore, ma facendo cessare l'illecito ai danni del consumatore. La norma non dovrebbe essere più lunga di tre righe, ma mi rendo conto che consentire all'Autorità di entrare nel merito dei rapporti contrattuali richiede un accordo politico. Penso, però, che uno sforzo in tal senso, considerata la specificità italiana, si possa compiere.
Codesta Commissione si sta anche occupando del recepimento della direttiva 2008/48/CE, relativa al credito ai consumatori. In merito, signor presidente, mi sento in dovere di raccomandare all'attenzione della Commissione che la nostra competenza in materia venga rispettata.


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Non ci sembra una grande idea quella di espungere dalla tutela dei consumatori la parte riguardante il credito al consumo, in base alla considerazione che esiste un'Autorità di vigilanza in materia creditizia. Finora, tale tutela è stata assicurata prevalentemente dall'Autorità che ho l'onore di presiedere, la quale ha avuto attribuito il relativo compito solamente da due anni. Non mi sembra, invece, che presso altri organismi, peraltro autorevolissimi, il tema sia stato approfondito come merita, e come è obbligatorio per la Repubblica italiana in virtù dell'appartenenza all'Unione europea.
La mia raccomandazione, quindi, è di tener conto dell'esperienza che abbiamo maturato e di non sottrarre all'Autorità garante della concorrenza e del mercato - com'è avvenuto nel caso della direttiva MiFID - la competenza generale che il codice del consumo le assegna.
Con questa raccomandazione penso di aver detto tutto ciò che potevo sul credito al consumo. Se vi sono domande, sono qui, con i miei collaboratori, per rispondere.

PRESIDENTE. Ringraziamo il presidente Catricalà.
Do ora la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

ALBERTO FLUVI. Nel ringraziarla per le considerazioni che ha voluto porgere all'attenzione della Commissione finanze, presidente, ho da porle subito una brevissima domanda. Lei ha affermato che nel settore del credito al consumo vi è sufficiente concorrenzialità. Schematizzando, mi sembra di aver compreso questo.
Siamo un Paese strano: da una parte, abbiamo un sistema bancario abbastanza concentrato, nel quale i primi gruppi detengono poco più del 50 per cento del mercato del credito; dall'altra, nel settore del credito al consumo, gli stessi gruppi hanno una presenza nel mercato che è inferiore del 47 per cento rispetto alla prima.
Finora abbiamo sostenuto che il sistema del credito è ingessato non da un monopolio, ma da una carenza di concorrenza. Il sistema economico sconta, dunque, un eccessivo costo a causa di tale carenza. Tuttavia, anche nel settore del credito al consumo - dove, invece, tale carenza sembrerebbe non sussistere - i consumatori corrispondono tassi di interesse notevolmente superiori rispetto a quelli praticati negli altri Paesi europei.
Stando così le cose, o non è vero che la concorrenza fa bene al mercato, che abbassa i costi, che aumenta le tutele e via dicendo, o c'è qualcosa che non va.
In teoria, nel settore del credito al consumo, caratterizzato da una maggiore concorrenza rispetto al sistema del credito (concentrato in cinque gruppi che detengono il 50 per cento del mercato), i tassi di interesse dovrebbero essere notevolmente inferiori rispetto alla media degli altri Paesi europei. In concreto, invece, in base ai dati emersi dalle audizioni finora svolte, mi sembra che la realtà sia diametralmente opposta, cioè che i nostri tassi di interesse - è vero che la situazione non è generalizzata, però la media comprende i numeri più alti e quelli più bassi - siano notevolmente superiori a quelli degli altri Paesi europei. Perché?
Passo a un'altra considerazione, che introdurrà una seconda domanda. Abbiamo visto che il credito al consumo si sta espandendo soprattutto nel segmento del prestito personale, attraverso il ricorso alla cessione del quinto dello stipendio e l'utilizzazione delle carte revolving. Sembrerebbe che si acceda a tali forme di finanziamenti per carenza di liquidità, per spostare più in là le scadenze di un precedente contratto di credito al consumo e via elencando. Si potrebbe dire che si ricorre a tali strumenti a causa della crisi economica e della carenza di liquidità.
Il problema che si pone è quello cui faceva riferimento anche lei, presidente Catricalà: per tutelare il consumatore, è possibile stabilire preventivamente lo schema negoziale che la società finanziaria e il consumatore finale dovranno utilizzare?


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Attualmente, considerato anche il fatto che da pochi giorni la grande distribuzione, le compagnie telefoniche e via dicendo hanno fatto il loro ingresso nel mercato, sembra si stia gradualmente procedendo verso la crescita del secondo target del credito al consumo. Si tratta, quindi, di un settore in espansione. Ho visto, ad esempio, che alcune catene della grande distribuzione stanno collegando il proprio debutto nel settore del credito alla necessità di ridurre i costi della gestione del contante. È tutto vero, finché non si cerca di capire quale sia il costo per il consumatore finale.
Mi domando, allora, se non possiamo cominciare a ragionare su uno schema contrattuale standardizzato, per lo meno per i contratti a larga diffusione, soggetto alla preventiva autorizzazione dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato, secondo quanto accade, per esempio, alla Consob: quando un'istituzione finanziaria vuole emettere obbligazioni o titoli o vuole erogare finanziamenti, necessita dell'autorizzazione preventiva dell'Istituto di vigilanza. Le chiedo, presidente, se un meccanismo analogo sia ipotizzabile anche per il credito al consumo, quanto meno per i contratti a larga diffusione. La ringrazio.

SILVANA ANDREINA COMAROLI. La ringrazio anch'io per l'esposizione, presidente Catricalà, nonché per il riferimento al tema, ripreso dal collega Fluvi, di un'eventuale tipologia di schema di contratto.
La settimana scorsa si è svolta l'audizione dell'ABI, la quale ci ha riferito che le banche, a partire dal 1o gennaio 2010, dovranno sottoporre alla propria clientela uno schema informativo riassuntivo. Ebbene, come ho letto anche nella relazione, temo che, nonostante il nuovo schema, si trovi sempre un sistema per sfruttare chi desidera accedere al credito.
Sappiamo che le banche, oppure i mediatori creditizi, o chi per loro, per tutelarsi, consegnano alla clientela la documentazione informativa da firmare. Ovviamente, l'utente non ha né tempo né voglia di leggere documenti voluminosi, spesso redatti in forma non del tutto comprensibile. Capita, dunque, che tutta la fase di informazione si riduca all'invito, da parte dell'addetto all'istruttoria della pratica di finanziamento, ad apporre alcune firme. L'utente non può nemmeno ricorrere al giudice, perché sa che i costi rischiano di raddoppiarsi.
Per quanto riguarda le carte revolving e la cessione del quinto dello stipendio o della pensione, accade che si paghino interessi prossimi ai limiti dell'usura e anche superiori. Ci è stato riferito che, ricorrendo a rateizzazioni con durata pluriennale il costo di un elettrodomestico raddoppia (ad esempio, una lavatrice che costa 1.000 euro può arrivare a costarne 2.000).
Attualmente, il TAEG non comprende alcuni costi. Che cosa si può fare in merito? È in atto una revisione, affinché nulla si possa escludere? Abbiamo visto come si sono comportate le banche dopo che abbiamo dettato una disciplina più restrittiva in materia di commissione di massimo scoperto: l'hanno immediatamente sostituita con altre commissioni variamente denominate! Anche a tale proposito, quindi, nutro la preoccupazione che eventuali schemi contrattuali predefiniti possano essere in vario modo aggirati dagli intermediari.
Cosa si può effettivamente fare? Poiché vi sono cittadini che stanno veramente rischiando molto, l'Autorità può darci suggerimenti per risolvere il problema a livello normativo?

MAURIZIO FUGATTI. Ringrazio anch'io il presidente Catricalà per avere aderito all'invito della Commissione.
Tocco un aspetto, sul quale ci siamo più volte intrattenuti durante le audizioni, che la relazione non affronta, forse perché - se sbaglio, il presidente mi correggerà - non rientra nella competenza dell'Autorità.
Mi riferisco al meccanismo per cui, nel momento in cui un soggetto non corrisponde puntualmente le rate del finanziamento, viene registrato tra i cosiddetti


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cattivi pagatori dai sistemi di informazione creditizia (che sono cosa diversa dalla Centrale dei rischi gestita dalla Banca d'Italia). Accade sempre più spesso che, una volta entrati nel sistema, si rimanga con la reputazione finanziaria rovinata anche per 10 o 15 anni.
Oggi, a causa della crisi economica, capita che siano segnalate ai SIC anche persone le quali hanno sempre rispettato puntualmente i propri impegni. Cosa accadrà quando ci sarà la ripresa? Non so se tale aspetto riguardi la competenza dell'Antitrust, ma conoscere il suo punto di vista, presidente Catricalà, sarebbe in ogni caso importante.

ALESSANDRO PAGANO. Ringrazio anch'io il presidente per la sua presenza, oltre che per la lucida esposizione. Sarò telegrafico, perché penso che gli argomenti trattati necessitino di chiarimenti non particolarmente complessi. È indispensabile, tuttavia, cercare di capire talune dinamiche, che potrebbero essere chiarite dall'Autorità.
Presidente Catricalà, lei sottolinea, nella sua relazione, che ci sono società finanziarie operanti nel settore del credito al consumo, da me chiamate «pirata» - perché tali sono -, che hanno dato luogo all'apertura di ben 40 procedimenti istruttori, conclusi negli anni 2008 e 2009. Non sono pochi.
Vorrei sapere se esista un'azione mirata, da parte dell'Autorità, nei confronti delle società ex articolo 107 del TUB controllate dagli istituti bancari. Noi abbiamo molto più di un sospetto sull'esistenza di un collegamento che mi verrebbe di definire «fraudolento» (ma non voglio adoperare parole pesanti). L'istituto bancario che non ha più convenienza a intrattenere rapporti di credito con un'impresa marginale (in sofferenza), può indurre quest'ultima a «trasbordare», vale a dire a finire nelle grinfie di qualche società finanziaria da esso direttamente o indirettamente controllata. Ascoltando, in questa sede, svariate autorità e associazioni, abbiamo avuto la conferma di quello che già osservavamo sul territorio. Ebbene, poiché la giustizia, in Italia, è complicata, mentre il vostro organismo è snello, efficace e capace di intervenire rapidamente, vorrei sapere, presidente Catricalà, se abbiate messo a fuoco tutto ciò e, inoltre, quali siano gli intendimenti dell'Autorità per i prossimi anni.
Siamo d'accordo sul fatto che l'azione legislativa è indispensabile e, anzi, aspettiamo da voi una consulenza più ampia, visto che condividiamo la cornice. Ci aspettiamo, quindi, suggerimenti specifici. Oltre alla cornice, però, è necessario anche un intervento diretto dal punto di vista del controllo.
Avrei altre due o tre considerazioni da svolgere, sempre inerenti a questo aspetto, ma mi riservo di intervenire nuovamente in seguito qualora la discussione dovesse svilupparsi in un certo modo.

PRESIDENTE. Presidente Catricalà, bisogna riconoscere all'Autorità garante della concorrenza e del mercato il merito di essere intervenuta, anche sotto il profilo sanzionatorio, nei confronti di chi non tiene comportamenti corretti nel settore del credito al consumo. Tuttavia, se è vero che il mercato vale complessivamente 110 miliardi, mi sembra che 6 milioni di sanzioni siano come una goccia nell'oceano. Non intendo affermare che l'Autorità non svolga il suo lavoro, ma è evidente che sanzioni così ridotte non cambiano le modalità con cui gli intermediari finanziari operano sul mercato.
Proprio sotto il profilo della concorrenza, i dati che ci sono stati forniti dalla Banca d'Italia dimostrano che, anche avendo riguardo alle condizioni migliori praticate sul mercato, il credito al consumo costa, in Italia, almeno l'1 per cento in più rispetto agli altri Paesi. Peraltro, il contesto italiano appare abbastanza singolare: la metà del mercato è in mano alle banche; l'altra metà è gestita da finanziarie ex articolo 107 del TUB - quindi, controllate direttamente dall'Istituto di via Nazionale - in gran parte appartenenti a gruppi bancari del nostro Paese (20 per cento) o esteri (25 per cento).


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Colpisce che non vi sia una corrispondente partecipazione delle banche straniere al mercato complessivo dell'erogazione del credito. Viene da pensare che esse abbiano ritenuto particolarmente interessante soltanto il settore del credito al consumo, che consente di praticare tassi piuttosto elevati rispetto alla media del costo del denaro. In altre parole, anziché aumentare la competitività del nostro sistema bancario, offrendo condizioni più favorevoli, i gruppi stranieri hanno sviluppato la loro offerta prevalentemente nel settore del credito al consumo. D'altra parte, abbiamo anche visto come la media dei costi raggiunga punte più elevate di quelle indicate dalla Banca d'Italia (intorno all'11 per cento).
Ascoltando gli istituti bancari, abbiamo maturato l'idea che essi, costretti dai tassi soglia a rimanere all'interno di determinati parametri, abbiano l'opportunità, passando dall'erogazione diretta a quella tramite finanziaria, di elevare i tassi senza sottostare ai vincoli vigenti per il settore bancario. Ciò determina la crescita degli intermediari finanziari non bancari sul piano della concessione di credito.
A quella ora trattata si collega un'altra questione, in ordine alla quale vorrei un suo parere, presidente. Gran parte del TAEG calcolato sui prestiti concessi dalle finanziarie è composto, in realtà, di oneri per mediazione o commissione che vengono pagati ai collaboratori esterni, il che, naturalmente, porta il predetto tasso a livelli più elevati. L'Autorità ha mai svolto un'indagine per verificare se le commissioni siano concordate in violazione della normativa vigente in materia di concorrenza?
Come abbiamo ripetuto più volte nel corso delle audizioni, assistiamo a un fenomeno molto curioso: il credito al consumo relativo all'acquisto di automobili non è erogato esclusivamente dalle case automobilistiche. Ormai, nel nostro Paese, proprio per i vincoli imposti dai produttori alla rete dei loro concessionari, dei dealer, si assiste a un proliferare di broker, di intermediari che consigliano a chi vorrebbe acquistare in contanti di recarsi altrove, dal momento che guadagnano di più con la percentuale sul finanziamento che non con la vendita pura e semplice dell'auto. Questi meccanismi sono all'attenzione dell'Autorità?
Sono d'accordo con il collega Fluvi quando afferma che si pone una questione di regolazione del mercato. Le procedure per l'ottenimento di un prestito sono estremamente complesse: cosa può fare l'Autorità per intervenire e semplificare il quadro complessivo del credito?
Do la parola al presidente Catricalà per la replica.

ANTONIO CATRICALÀ, Presidente dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato. Ringrazio per le domande, tutte molto suggestive e centrate sul tema, che ampliano anche, di necessità, l'ambito e i confini del discorso.
In realtà, noi conosciamo i legami che, in maniera quasi indissolubile, uniscono molte finanziarie alle banche. Il numero degli intermediari finanziari non bancari abilitati alla diffusione della forma di credito di cui stiamo discorrendo è superiore a quello degli istituti bancari che operano nel medesimo ambito. Inoltre, come ho già rilevato, in tale segmento di mercato si registra una minore concentrazione. Ciò nonostante, i legami interpersonali, i fenomeni di interlocking directorate e gli intrecci azionari sono tali da determinare, nel settore del credito al consumo, le stesse anomalie che si riscontrano nel settore bancario. Effettivamente, le particolarità che rendono non competitivo il nostro sistema bancario sembrano riprodursi nell'ambito del credito al consumo.
Il dato che ho testé evidenziato è già contenuto in una nostra indagine conoscitiva trasmessa al Parlamento alcuni mesi fa, i cui risultati credo di aver illustrato, sia pure parzialmente, anche in questa sede. Devo dire che le valutazioni del mondo politico non sono state positive: alcuni critici, o ipercritici, hanno sostenuto che l'Antitrust scopriva l'acqua calda


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quando rilevava l'esistenza di troppi legami interpersonali e azionari nel mondo bancario.
In realtà, abbiamo analizzato bene l'acqua calda. Innanzitutto, ne abbiamo effettuato l'analisi chimica - diciamo così -, rilevando che il grado di concentrazione degli elementi tossici era dell'80 per cento, quindi, assolutamente inaccettabile e fuori linea rispetto ai parametri europei. Inoltre, abbiamo individuato, banca per banca, quali fossero i legami.
L'Autorità ha reiteratamente rivolto al Parlamento, anche mediante segnalazioni scritte, un appello a intervenire. Non c'è voglia, da parte delle banche, di autoregolamentarsi. D'altra parte, non credo che possa essere imposta dagli organi di vigilanza una regolamentazione concernente le partecipazioni azionarie e, soprattutto, il numero e la qualità degli incarichi che si possono ricoprire negli organi di governance delle banche e delle assicurazioni. È necessaria, quanto meno, una legge quadro, che formuli principi, che stabilisca quali meccanismi di trasparenza debbano essere previsti in caso di partecipazione azionaria nelle banche, nelle SGR e nelle diverse realtà che erogano credito al consumo, nonché quali legami interpersonali debbano essere vietati tra i componenti dei consigli di amministrazione e dei comitati di vigilanza. Soltanto una legge può garantire una ripresa del settore anche dal punto di vista della concorrenzialità.
Nel suggerire tale soluzione, vi chiediamo anche, con l'occasione, di darci la possibilità di incidere sugli schemi negoziali. L'onorevole Fluvi, l'onorevole Comaroli e il presidente stesso hanno fatto riferimento a tale eventualità. Noi chiediamo di poter valutare tutti i contratti: non soltanto quelli del credito al consumo, ma anche quelli assicurativi e bancari, nonché quelli che si applicano quando saliamo su un tram, su un autobus o su un aereo. Domandiamo di poter esaminare, sostanzialmente, tutti i contratti che si concludono mediante il rinvio a condizioni generali o con la sottoscrizione di moduli e formulari, ossia tutti i contratti seriali o di massa. Ci metteremo due anni, forse tre, ma all'esito dell'esame avremo eliminato tutte le distorsioni e le clausole vessatorie, abusive o ingannevoli che inficiano il sistema.
La nostra valutazione non sarà sottratta al giudizio dell'autorità giurisdizionale, perché ogni eventuale provvedimento di inibitoria relativo a clausole dei predetti contratti sarà impugnabile: si tratterà di provvedimenti amministrativi contro i quali sarà esperibile, secondo le regole generali, il rimedio del ricorso al competente TAR. Insomma, sarà possibile rilevare e far correggere, in sede giurisdizionale, ogni nostro errore. Credo che, munendoci di accetta, e mettendo da parte il bisturi, riusciremmo a sgrossare l'attuale foresta di norme negoziali che, di volta in volta, inconsapevolmente firmiamo.
L'articolo 1341, comma 1, del codice civile sancisce il principio secondo il quale le clausole predisposte da uno dei contraenti sono efficaci nei confronti dell'altro, se al momento della conclusione del contratto questi le ha conosciute o avrebbe dovuto conoscerle usando l'ordinaria diligenza. Ebbene, quando saliamo in treno, non sappiamo che sottoscriviamo una pila di condizioni contrattuali alta quanto un ragazzo di diciotto anni. Si tratta di norme che nessuno conosce - neanche il capostazione, e nemmeno il direttore generale delle ferrovie -, che disciplinano la sicurezza, la possibilità di scendere prima o dopo, il comportamento da tenere in caso di assenza del marciapiede a lato del binario. Non le conosciamo - le dovremmo conoscere, almeno quelle in materia di sicurezza -, eppure si considerano da noi conosciute.
La norma che ho citato fu introdotta nel 1942 perché vi era la necessità di garantire i commercianti dopo che si era deciso di far confluire nel codice civile la lex mercatoria, ossia il corpo normativo che costituiva il codice di commercio. Si disse allora che le condizioni generali prestabilite dall'imprenditore dovevano avere forza di legge tra le parti anche se non erano conosciute dall'altro contraente.


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È anche vero ciò che affermava l'onorevole Comaroli: noi sottoscriviamo tutto, purtroppo.
Per fortuna, però, ora esiste un codice del consumo. Se una clausola contrattuale è vessatoria, e se il contratto è stato concluso tra un consumatore e un professionista, un tribunale, in astratto, dovrebbe dichiarare la nullità di protezione. Non succede perché sono pochi quelli che ricorrono al giudice: il solo anticipo all'avvocato costerebbe, infatti, molto più del danno loro provocato dalla clausola vessatoria. Per questo motivo esiste anche la class action, ma i tempi della procedura sono lunghi: è prevista una fase preliminare nella quale si valuta l'ammissibilità della domanda, dopo di che si dà corso al processo di merito.
Se, invece, potesse agire l'Autorità garante della concorrenza e del mercato, in via amministrativa, anche sulla base di criteri molto precisi stabiliti dal Parlamento, noi disboscheremmo. Poi, probabilmente, resterebbero ancora alcune clausole scorrette, delle quali potrebbero occuparsi i giudici di volta in volta.
Anche nell'ultima relazione al Parlamento ho sostenuto che l'Autorità è attrezzata per svolgere tale compito. Non chiediamo nemmeno risorse aggiuntive: ce ne prenderemmo cura con le nostre attuali risorse, perché abbiamo dimestichezza con i contratti per adesione. Quando qualcuno si rivolge al nostro call center per spiegare che, con il contratto telefonico, si è obbligato a fare qualcosa che assolutamente non prevedeva, oppure che, a seguito del passaggio da un fornitore di energia elettrica a un altro, ovvero da una tariffa a un'altra, deve pagare somme che si è obbligato a corrispondere sottoscrivendo un foglio il cui contenuto non ha mai letto, esaminiamo attentamente le clausole oggetto di lamentela.
In breve, avremmo la possibilità e la competenza per garantire in via amministrativa, senza clamore o strepito, ciò che i giudici non sono in grado di dare, in primo luogo perché occorre che qualcuno sottoponga loro le questioni secondo le formalità stabilite dal codice di rito e, in secondo luogo, perché ci vogliono cinque o sei anni per concludere un processo. Noi, invece, chiediamo tre anni per fare tutto. Naturalmente, potremmo anche cominciare dal credito al consumo, dal momento che già esiste una direttiva, che adesso va attuata. Non dobbiamo occuparci necessariamente di tutto. Chi vuole agire si accontenta anche di poter cominciare.
Spero che, in luogo del potere di autorizzare di volta in volta uno schema negoziale, ci sia attribuito quello di intervenire ex post sui contratti. Maggiore è l'autonomia delle finanziarie, maggiore è la concorrenza che speriamo si facciano. Noi dobbiamo soltanto avere la possibilità di intervenire in caso di illecito - anche senza comminare una sanzione, se non ve n'è la necessità -, cancellando la clausola che, secondo noi, non è riferibile alla volontà del soggetto che ha aderito. Potremmo agire su domanda di parte oppure d'ufficio. Credo, però, che sia preferibile l'iniziativa ufficiosa: potremmo autonomamente richiedere a tutte le grandi compagnie di mandarci gli schemi negoziali da loro adottati, per verificare le clausole in essi contenute.
Per esempio, se tale competenza ci fosse già stata attribuita, non ci sarebbe mai sfuggita la clausola relativa alla commissione di massimo scoperto. Inoltre, avremmo potuto già dichiarare la nullità di tutte le clausole che, in quanto volte a conseguire il medesimo risultato, ossia di far pagare un po' troppo al cliente, aggirano il divieto legislativo.
Per quanto riguarda, invece, l'idea dell'ABI di preparare uno schema di contratto che valga per tutte le banche, come presidente dell'Autorità devo esprimere grande preoccupazione, sia perché timeo Danaos et dona ferentes, sia perché, anche se le intenzioni fossero buone, tale schema configurerebbe un'intesa su clausole contrattuali, che non potremmo autorizzare poiché il regolamento europeo non consente più l'autorizzazione preventiva delle intese. Potremmo fornire suggerimenti per migliorare, ma manterremmo comunque il potere di intervenire in presenza di distorsioni di natura concorrenziale.


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Per quanto riguarda il TAEG, abbiamo più volte sostenuto che si pone la necessità di attribuire un costo complessivo a tutti i contratti, perché soltanto in questo modo è possibile effettuare una comparazione. Peraltro, nel nostro sistema si paga di più perché non vi è chiarezza circa i costi dei contratti. È solo alla fine che ci rendiamo conto esattamente di quanto è venuto a costarci il misero credito che abbiamo richiesto e ottenuto.
Il presidente affermava che le banche straniere, quando vengono in Italia, si comportano esattamente come quelle italiane. Abbiamo rilevato anche questo ai tempi dell'acquisto di Antonveneta da parte di ABN Amro, nonché dell'avvento dei francesi, con BNP Paribas. Le condizioni che tali gruppi praticavano in Olanda e in Francia non erano assolutamente applicate in Italia, tanto che l'Antitrust ha espresso delusione per tali arrivi, che pure erano stati tanto auspicati. Quando si entra nel mercato italiano, ci si rende conto di come esso sia particolarmente favorevole e di quanto sia facile imporre condizioni che altre popolazioni europee giudicherebbero inaccettabili. Per questo motivo abbiamo ancora costi più alti rispetto a quelli europei, per quanto riguarda sia il credito al consumo sia le ordinarie operazioni bancarie.
Anche a seguito dell'indagine conoscitiva dell'Antitrust e di molte sollecitazioni, soprattutto del mondo politico, si è verificato un miglioramento tangibile; tuttavia, c'è ancora erba da tagliare.

ALESSANDRO PAGANO. Quali suggerimenti ci può dare?

ANTONIO CATRICALÀ, Presidente dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato. Onorevole, non mi permetterei mai di scrivere il testo di una norma, ma potrei fornire al presidente uno schema riassuntivo di tutte le nostre istanze di modifica legislativa.
Francamente, sarebbe un peccato non sfruttare le competenze maturate dall'Autorità, sia pure in un breve periodo di tempo, per migliorare la situazione. Immagino che voi oggi mi chiediate indicazioni su una norma soltanto per il credito al consumo, o magari in generale. Per quanto mi riguarda, potrei proporne anche due.

PRESIDENTE. Noi abbiamo deliberato l'indagine conoscitiva perché ci rendiamo conto delle difficoltà del settore. Se ne allarghiamo l'ambito, non facciamo un gran danno. Credo, anzi, che sarebbe opportuno. Al termine dell'indagine conoscitiva, discuteremo un atto di indirizzo che impegni il Governo a tenere conto dell'esito delle audizioni all'atto dell'adozione dei decreti delegati.

SILVANA ANDREINA COMAROLI. Sempre in merito al TAEG, come possiamo fare in modo che in esso siano effettivamente compresi tutti i costi, affinché il cittadino abbia contezza di quanto pagherà?

ANTONIO CATRICALÀ, Presidente dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato. L'unico modo per liberare il consumatore dalla condizione di asimmetria informativa nella quale attualmente si trova è stabilire - ovviamente, con legge - che non dovrà pagare un centesimo in più di quanto espressamente e numericamente indicato - a chiare lettere - come costo complessivo dell'operazione.
Dovremmo riuscire a imbrigliare l'autonomia negoziale in una norma di legge la quale specifichi che ogni costo dovrà essere considerato nel costo globale. Potranno esservi anche singole voci, ma comunque occorrerà l'indicazione del costo globale in una clausola, in difetto della quale non si dovrà pagare più dell'interesse legale.
Quando una clausola è nulla, c'è una sanzione. L'articolo 1815, comma 2, del codice civile, come sostituito dall'articolo 4 della legge n. 108 del 1996, stabilisce che, se sono convenuti interessi usurari, la clausola è nulla e non sono dovuti interessi. Anche a non voler essere così punitivi nei confronti delle imprese, si potrebbero far pagare esclusivamente gli interessi


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al tasso legale ogni qual volta non sia chiaro il costo complessivo dell'operazione.

PRESIDENTE. Vorrei rivolgerle anch'io una domanda, presidente Catricalà: bastano le semplici sanzioni economiche e il cosiddetto danno reputazionale per costringere le banche e le finanziarie ad avere un atteggiamento più favorevole verso i consumatori o si può pensare anche alla cancellazione sic et simpliciter?

ANTONIO CATRICALÀ, Presidente dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato. Un elemento di danno reputazionale esiste, tanto è vero che ricorrono al TAR contro i nostri provvedimenti e, purtroppo, talvolta vincono, come è avvenuto nel caso delle sanzioni comminate per la violazione delle norme in tema di portabilità dei mutui. Ora aspettiamo fiduciosi la decisione del Consiglio di Stato, perché effettivamente le banche si erano comportate in modo non corretto: avevano negato la portabilità gratuita e pretendevano di attuarne, invece, una onerosa.
Naturalmente, quelle del codice del consumo sono norme nuove, e i giudici hanno bisogno di tempo per assimilarle e per interpretarle in conformità al sistema. Non tutte le novità trovano immediata rispondenza nelle aule di giustizia.
Le nostre sanzioni sono molto spesso inadeguate: il limite massimo, in caso di pratiche commerciali scorrette, è di 500.000 euro. Nella maggior parte dei casi nemmeno arriviamo a comminare la sanzione massima, che può essere applicata, per una questione di proporzionalità, alle violazioni più gravi, che hanno un maggiore impatto sul mercato. La sanzione, a mio parere, dovrebbe essere mantenuta, anche se inefficace in concreto: 500.000 euro sono un guadagno assicurato, nel giro di poche settimane, per chiunque intraprenda l'attività di erogazione di credito al consumo. Se in un anno si viene colpiti da una sola sanzione di 500.000 euro, non è un gran danno: rientra nei costi di gestione, che l'impresa può benissimo mettere in bilancio anticipatamente.
Ciò vale non soltanto per le pratiche scorrette, ma anche per la pubblicità ingannevole. Anche per quest'ultima stiamo pensando a un intervento che potenzi l'attività inibitoria immediata. Le sanzioni applicate «a babbo morto» - per così dire - non aiutano il mercato, ma soprattutto non sono utili al consumatore e, considerata la loro esiguità, nemmeno alle casse dello Stato.

PRESIDENTE. Ringraziamo il presidente dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato per il contributo fornito alla Commissione.
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 12,10.

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