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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissione VI
2.
Mercoledì 11 gennaio 2012
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Conte Gianfranco, Presidente ... 2

INDAGINE CONOSCITIVA NELL'AMBITO DELL'ESAME CONGIUNTO DELLA PROPOSTA DI REGOLAMENTO DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO RELATIVO AI REQUISITI PRUDENZIALI PER GLI ENTI CREDITIZI E LE IMPRESE DI INVESTIMENTO (COM(2011)452 DEFINITIVO) E DELLA PROPOSTA DI DIRETTIVA DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO SULL'ACCESSO ALL'ATTIVITÀ DEGLI ENTI CREDITIZI E SULLA VIGILANZA PRUDENZIALE DEGLI ENTI CREDITIZI E DELLE IMPRESE DI INVESTIMENTO E CHE MODIFICA LA DIRETTIVA 2002/87/CE (COM(2011)453 DEFINITIVO)

Audizione del Presidente della European banking authority (EBA), Andrea Enria:

Conte Gianfranco, Presidente ... 2 8 10 18 19 20 22 25
Causi Marco (PD) ... 10 24
Ciccanti Amedeo (UdCpTP) ... 11
Del Tenno Maurizio (PdL) ... 17
Enria Andrea, Presidente della European banking authority (EBA) ... 2 8 19 20 22 24 25
Fluvi Alberto (PD) ... 15
Fogliardi Giampaolo (PD) ... 16
Fugatti Maurizio (LNP) ... 13
Marsilio Marco (PdL) ... 16
Messina Ignazio (IdV) ... 13
Pagano Alessandro (PdL) ... 12 20
Pugliese Marco (Misto) ... 14
Ravetto Laura (PdL) ... 19 24
Strizzolo Ivano (PD) ... 17

ALLEGATO: Documentazione consegnata dal Presidente dell'European banking authority (EBA) ... 26
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro per il Terzo Polo: UdCpTP; Futuro e Libertà per il Terzo Polo: FLpTP; Popolo e Territorio (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, La Discussione): PT; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling; Misto-Repubblicani-Azionisti: Misto-R-A; Misto-Noi per il Partito del Sud Lega Sud Ausonia: Misto-NPSud; Misto-Fareitalia per la Costituente Popolare: Misto-FCP; Misto-Liberali per l'Italia-PLI: Misto-LI-PLI.

[Avanti]
COMMISSIONE VI
FINANZE

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di mercoledì 11 gennaio 2012


Pag. 2

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GIANFRANCO CONTE

La seduta comincia alle 14.

(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso e la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Audizione del Presidente della European banking authority (EBA), Andrea Enria.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo ai requisiti prudenziali per gli enti creditizi e le imprese di investimento (COM(2011)452 definitivo) e sulla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sull'accesso all'attività degli enti creditizi e sulla vigilanza prudenziale degli enti creditizi e delle imprese di investimento e che modifica la direttiva 2002/87/CE (COM(2011)453 definitivo), l'audizione del Presidente della European banking authority (EBA), Andrea Enria.
Do, quindi, la parola al dottor Enria.

ANDREA ENRIA, Presidente della European Banking Authority (EBA). Vorrei innanzitutto ringraziare il presidente Conte per l'invito a contribuire all'indagine conoscitiva deliberata dalla Commissione.
Il Trattato di Lisbona attribuisce un ruolo molto più forte al Parlamento europeo e ai Parlamenti nazionali nei processi di formazione delle regole comunitarie. È, quindi, importante che sulla riforma delle regole finanziarie si svolga un dibattito il più possibile ampio e informato.
Vi sono grato anche perché l'audizione odierna mi offre l'occasione per spiegare alcune decisioni che l'Autorità bancaria europea ha adottato di recente e che sono state oggetto di accese discussioni e critiche, soprattutto in Italia.
Comincerei, quindi, dall'esame di Basilea 3 e del ruolo dell'EBA in tale ambito, per passare, in seguito, ad analizzare la situazione attuale.
La crisi che ha colpito il sistema economico globale nel 2007, nel portare alla luce talune debolezze del settore bancario e finanziario, ha anche mostrato che la regolamentazione e la supervisione finanziaria non sono state in grado di impedire l'accumulazione di rischi e la loro materializzazione.
Nel 2009, nelle sue raccomandazioni per riformare l'architettura europea di vigilanza e regolamentazione finanziaria, il Gruppo di alto livello presieduto da Jacques de Larosière aveva enfatizzato la necessità di muovere verso un corpo di regole europee unico (single rulebook) - con una normativa davvero uniforme in tutto il mercato unico - basato sul rafforzamento dei requisiti relativi alla quantità e alla qualità del capitale, sulla mitigazione della prociclicità attraverso buffer patrimoniali da accumulare nelle fasi positive del ciclo e da utilizzare nei momenti di difficoltà, nonché su meccanismi specifici


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per contenere il rischio di liquidità. La stessa enfasi su regole più rigorose è stata posta dal G20 nel settembre 2009.
L'intero pacchetto delle proposte predisposte dal Comitato di Basilea ha trovato definitiva conferma e riconoscimento nell'Accordo raggiunto a settembre 2010, noto con il nome di Basilea 3, approvato dal G20 nel novembre successivo.
Nel luglio 2011 la Commissione europea ha, quindi, pubblicato la proposta legislativa di riforma della regolamentazione bancaria, facendo dell'Unione europea la prima giurisdizione ad avviare il processo di recepimento di Basilea 3.
Coerentemente con l'Accordo di Basilea, il primo e forse più importante obiettivo della proposta è rafforzare la qualità del capitale. Solo gli strumenti di qualità più elevata quanto a permanenza, capacità di assorbire le perdite e flessibilità nei pagamenti potranno essere inclusi nel cosiddetto core tier 1 delle banche europee. La proposta completa un processo già avviato dal Comitato delle autorità europee di vigilanza (CEBS) fin dal 2004. I criteri per porre rimedio alle difformità nella definizione di capitale adottata nei diversi ordinamenti, indicati dal CEBS già nel 2007, sono stati recepiti nella legislazione comunitaria e nelle decisioni assunte dall'EBA per lo stress test svolto nel corso del 2011.
Il secondo aspetto basilare della riforma è rappresentato dall'innalzamento dei requisiti di capitale minimi e dall'introduzione di un limite alla leva finanziaria (cosiddetto leverage ratio).
Quest'ultimo dovrebbe operare in maniera complementare rispetto ai requisiti patrimoniali ponderati per il rischio: il leverage ratio fissa un limite complessivo e residuale all'indebitamento, senza tenere conto del diverso grado di rischiosità delle poste dell'attivo. Fornisce, quindi, una sorta di rete di sicurezza rispetto alla possibilità che i modelli interni delle banche per il calcolo dei requisiti patrimoniali portino a un'interpretazione troppo benevola della rischiosità degli attivi. Dall'altro lato, i requisiti ponderati per il rischio assicurano che non si verifichino distorsioni negli impieghi e negli investimenti delle banche. Un requisito non ponderato, infatti, incentiverebbe le banche a spostare la propria attività verso scelte più rischiose, per ricercare maggiori rendimenti.
Un'altra area di intervento riguarda la mitigazione del rischio di prociclicità connaturato al sistema finanziario. La proposta della Commissione introduce un buffer anticiclico mirante alla costituzione di risorse patrimoniali nelle fasi positive, in modo da consentire alle banche di assorbire le perdite quando il ciclo economico si inverte.
Infine, la proposta della Commissione introduce un nuovo quadro regolamentare per il rischio di liquidità, in linea con Basilea 3. Sono previsti, in particolare, due requisiti. Il primo è il liquidity coverage ratio (LCR). Si tratta di un requisito correlato a situazioni di stress: esso richiede che le banche mantengano uno stock di risorse liquide che consenta loro di superare una fase di accentuato deflusso di fondi della durata di trenta giorni, senza dover ricorrere al mercato o al rifinanziamento presso la banca centrale. Il secondo requisito, il net stable funding ratio (NSFR), limita in qualche misura lo sbilanciamento delle scadenze delle banche, richiedendo una più equilibrata composizione per maturità delle passività e delle attività. Questo ha rappresentato un problema serio, che ha messo in difficoltà diverse banche europee. L'entrata in vigore della disciplina sulla liquidità sarà graduale: la calibrazione finale sarà attuata nel 2015 per l'indicatore di breve termine e nel 2018 per quello strutturale. Tra poco dirò qual è il ruolo dell'EBA in questo processo.
L'industria bancaria ha spesso mostrato preoccupazione per l'inasprimento dei requisiti e per le possibili ripercussioni negative che esso potrebbe determinare sulla capacità degli intermediari di sostenere l'economia reale, la crescita e le prospettive di occupazione.
Le analisi empiriche condotte dal Financial Stability Board (FSB), dal Comitato


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di Basilea e dall'OCSE suggeriscono che le predette preoccupazioni sono eccessive.
Tutti gli studi evidenziano l'impatto che ci sarà sulla crescita: nessuno lo nega. L'OCSE, ad esempio, le cui stime sono le più prudenti, afferma che il tasso di crescita del prodotto interno si ridurrà, nello scenario peggiore, di 0,23 punti percentuali l'anno, ovvero di 0,15 punti percentuali, ove si abbia riguardo al dato medio riferito all'area dell'euro, agli Stati Uniti e al Giappone.
Ovviamente, tale costo eventuale deve essere confrontato con i benefici in termini di stabilità. Se consideriamo, in termini di PIL, l'impatto che la crisi finanziaria ha generato negli anni passati, ci rendiamo conto che il bilancio sarà positivo.
Bisogna tenere presente, inoltre, che il rafforzamento patrimoniale renderà le banche più solide. Invero, le stime sono basate sull'assunto che il costo della raccolta per le banche aumenterà. Al contrario, una volta rafforzato il patrimonio, le banche saranno percepite come più solide: la probabilità di un default sarà considerata più bassa, e ciò favorirà la riduzione del costo della raccolta. Naturalmente, gli effetti negativi saranno temperati dalla riduzione del costo della raccolta nella misura in cui la concorrenza consentirà di trasferire i minori costi alla clientela finale. È opinione dell'Autorità di vigilanza che questa sia la via maestra per consentire alle banche di continuare a svolgere il proprio ruolo di sostegno alle imprese e alle famiglie.
Le proposte elaborate dalla Commissione sono ripartite tra due veicoli legislativi: una direttiva e un regolamento. Questa bipartizione segna il passaggio al nuovo assetto istituzionale che ha dato luogo, tra l'altro, all'istituzione dell'EBA. La riforma suggerita dal Rapporto de Larosière prevedeva che la maggior parte delle regole in materia finanziaria, soprattutto quelle di carattere tecnico, fossero ispirate a un criterio di «armonizzazione massima» e, di conseguenza, fossero applicate in modo identico in tutti i Paesi dell'Unione, in tutto il mercato unico.
La crisi ha, infatti, mostrato che l'armonizzazione minima, consentendo divergenze significative nell'applicazione delle regole comuni da parte degli Stati membri, produce molte conseguenze potenzialmente negative.
La prima conseguenza negativa sta nel fatto che la leva regolamentare può diventare uno strumento di concorrenza tra Paesi, nel senso che, applicando regole meno severe, alcuni Paesi possono attrarre business verso le proprie piazze finanziarie o favorire campioni nazionali. È chiaro che tale atteggiamento penalizza quelle istituzioni finanziarie che, in altre giurisdizioni, sono soggette a requisiti più rigorosi.
Inoltre, regole differenti generano, da un lato, inefficienze nella gestione dei gruppi bancari cross-border, costretti a rispettare regole parzialmente diverse nei vari Paesi dell'Unione in cui sono presenti (con costi aggiuntivi) e, dall'altro, rende più difficoltosa l'attività di vigilanza, perché comporta l'applicazione di regole non esattamente uguali a gruppi che, invece, costituiscono entità economiche unitarie.
All'interno del nuovo impianto regolamentare un ruolo centrale è assegnato all'EBA. Sia la direttiva sia il regolamento affidano, infatti, all'EBA il compito di definire «norme tecniche vincolanti», che dovranno ulteriormente definire e specificare il contenuto delle norme primarie, con l'obiettivo di assicurarne un'applicazione uniforme in tutto il mercato unico. Le norme tecniche saranno redatte dall'EBA e sottoposte alla Commissione europea per la loro formale approvazione tramite appositi regolamenti, che saranno direttamente applicabili in tutti gli Stati membri. Ovviamente, tali norme sono soggette a obiezioni da parte del Parlamento europeo o del Consiglio.
Lo sforzo che l'Autorità bancaria europea dovrà compiere sarà notevole: saremo chiamati a elaborare oltre cento progetti di norme tecniche vincolanti, di cui circa quaranta entro il 1o gennaio 2013.
Gli obiettivi da conseguire con questo primo set di norme sono la completa armonizzazione della definizione di capitale


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e la predisposizione dell'attività di monitoraggio per l'introduzione del menzionato liquidity coverage ratio.
Per quanto riguarda il capitale, è essenziale che si eserciti un controllo stretto, per evitare che le banche, emettendo strumenti non sufficientemente robusti, non siano in grado di coprire le perdite in caso di crisi, e si arrivi, in tale evenienza, a una situazione paradossale come quella già sperimentata in questi ultimi anni, nel corso dei quali taluni Governi hanno sostenuto le banche con soldi dei contribuenti, mentre i sottoscrittori dei titoli non hanno subito alcuna perdita e hanno continuato, anzi, a incassare cedole. È, quindi, importante che gli strumenti di capitale siano in grado di assorbire le perdite e di garantire flessibilità nei pagamenti.
A tal fine, l'EBA dovrà redigere una lista di tutti gli strumenti patrimoniali rientranti nella definizione di core tier 1, ossia di capitale di migliore qualità. È importante, dal nostro punto di vista, che l'elenco abbia carattere normativo, che non sia possibile, cioè, qualificare come core tier 1 strumenti non ritenuti tali dall'EBA. Una volta adottate le nuove regole, infatti, l'innovazione finanziaria cercherà di minimizzarne l'impatto, creando nuovi strumenti che potrebbero avere caratteristiche non soddisfacenti. È, quindi, necessario che le regole si mantengano stringenti nel tempo.
La proposta della Commissione prevede una fase di valutazione e di monitoraggio, da parte dell'EBA, prima dell'introduzione dei nuovi requisiti di liquidità. Stiamo già raccogliendo dati dalle banche, ai fini di una corretta calibrazione delle misure. Ciò deriva dalla consapevolezza, maturata anche alla luce delle critiche mosse da più parti, che i requisiti, così come previsti da Basilea 3, potrebbe avere effetti indesiderati sia sul funzionamento del mercato monetario sia sul finanziamento dell'economia. Raccoglieremo i dati e produrremo, entro il 2013, un rapporto in cui suggeriremo, ove necessario, possibili modifiche.
Come dicevo, l'attuazione delle proposte di direttiva e di regolamento rappresenta per l'EBA un impegno particolarmente difficile (non dimentichiamo che l'Autorità ha compiuto nei giorni scorsi il primo anno di vita). Siamo comunque determinati a rispettare le scadenze fissate per la predisposizione dei progetti di nostra competenza, senza per questo rinunciare a seguire le nostre consuete procedure, basate sul dialogo con tutte le parti potenzialmente interessate (banche, investitori, consumatori di servizi finanziari), sull'analisi di impatto delle nuove regole e sulla consultazione pubblica.
Desidero soggiungere che l'EBA non lavora in una condizione di isolamento. Operiamo in rete con le Autorità di vigilanza nazionali e il Comitato europeo per il rischio sistemico, all'interno di quello che la legislazione europea definisce Sistema europeo di vigilanza finanziaria. Stiamo sperimentando nuovi meccanismi di lavoro congiunto - ad esempio, è distaccato presso i nostri uffici personale delle Autorità nazionali, per lavorare in maniera coordinata -, e i risultati ottenuti fino a oggi sono molto incoraggianti.
I temi che rimangono aperti sono svariati.
Bisogna dire, innanzitutto, che la proposta della Commissione rispecchia fedelmente i contenuti dell'Accordo di Basilea 3. Ovviamente, essa riflette alcune specificità dell'assetto normativo europeo. È il caso, ad esempio, del trattamento delle quote di partecipazione in società cooperative.
Inoltre, non dobbiamo dimenticare che, mentre in alcune giurisdizioni (è il caso degli Stati Uniti) Basilea 3 sarà applicata solo alle banche attive a livello internazionale, e quindi più grandi, in Europa sarà rivolta a tutte le banche.
È giustificata, pertanto, la particolare enfasi conferita alle norme europee che prevedono l'applicazione del principio di proporzionalità, affinché le nuove regole siano tarate anche sulle caratteristiche delle banche di minori dimensioni, ovvero a operatività strettamente locale.
Altrettanto giustificata è l'attenzione posta ad alcuni aspetti specifici, quale l'impatto della normativa sul finanziamento


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delle piccole e medie imprese (PMI). Su questo punto, in particolare, la Commissione ha invitato l'EBA ad analizzare gli attuali fattori di ponderazione del rischio e a preparare, entro il 1o settembre di quest'anno, una relazione in cui si valuti la possibilità di una loro riduzione per le piccole e medie imprese, partendo da uno scenario di riduzione di un terzo rispetto all'attuale, considerando anche una possibile revisione delle soglie per la qualificazione come PMI. Inoltre, la Commissione, in consultazione con l'EBA, redigerà, entro ventiquattro mesi dall'entrata in vigore del regolamento, una relazione sui prestiti alle piccole e medie imprese e alle persone fisiche, che presenterà al Parlamento europeo e al Consiglio, corredata, ove necessario, da proposte di modifica della normativa.
Altri problemi aperti riguardano il trattamento delle istituzioni finanziarie di rilevanza sistemica (SIFIs), l'intermediazione finanziaria e bancaria al di fuori del settore regolamentato (cosiddetto shadow banking) e l'applicazione uniforme dell'accordo di Basilea 3 su scala globale, anche in quelle giurisdizioni che, in passato, non sono state così solerti nell'applicare l'Accordo. Non mi soffermerò su questi punti, ma nella memoria scritta troverete alcune considerazioni. Se volete, potremo tornarvi dopo la sessione di domande.
Passerei, quindi, a discutere della situazione attuale, della crisi che stiamo attraversando e delle misure di policy che l'EBA sta cercando di attuare per fronteggiarla.
Lo scorso mese di agosto si è aperta una nuova fase della crisi finanziaria, caratterizzata dalle accresciute preoccupazioni circa la sostenibilità del debito pubblico di alcuni Paesi di maggiore dimensione dell'area dell'euro. Gli investitori hanno cominciato a valutare la forza patrimoniale delle banche europee misurando al valore di mercato le loro esposizioni sovrane. Si è attivato, così, un circolo vizioso, in cui la valutazione delle banche è diventata sempre più intimamente dipendente dal giudizio sulla solidità dello Stato membro che le avrebbe fornito la rete di protezione in caso di crisi.
In questa situazione, i mercati della raccolta bancaria a medio e lungo termine si sono bloccati. Dalla fine di giugno le emissioni non garantite da parte di banche europee si contano sulle dita di una mano, e anche per quelle garantite, come i covered bond, gli spread si sono allargati notevolmente, portando il costo del finanziamento dell'attività bancaria a livelli proibitivi.
Già nella seconda metà dello scorso anno la prospettiva di un difficile e costoso finanziamento a medio e lungo termine ha determinato un processo di deleveraging, che, nella fase iniziale, si è concentrato sul ridimensionamento di alcune attività considerate non essenziali, ma comunque importanti, quali trade finance, leasing, finanziamento cross-border alle blue chips, cioè alle imprese più grandi. Gradualmente, però, questo processo si sta avvicinando sempre di più al core dei prestiti alle famiglie e alle imprese.
Come segnalato dalla Banca centrale europea nella Bank lending survey, già a ottobre, e soprattutto nel terzo trimestre del 2011, i criteri per la selezione della clientela hanno iniziato a diventare più restrittivi, proprio in ragione del più difficile accesso alla raccolta. Il rischio è che una contrazione dell'offerta di credito determini un effetto negativo sulla crescita, che si rifletterebbe anche sulle entrate fiscali. Si innescherebbe, in tal modo, un circolo vizioso in grado di condurre a una situazione di grande preoccupazione.
In relazione a tale dinamica dei mercati, abbiamo manifestato i nostri timori già nello scorso mese di agosto, segnalando al Comitato economico e finanziario, e successivamente anche al Consiglio Ecofin, come la crisi del debito sovrano fosse alla base delle difficoltà delle banche nel reperire fondi sul mercato, e avvertendo che, in assenza di risoluti interventi di policy, si sarebbe rischiato un disordinato processo di deleveraging, capace di influenzare negativamente il finanziamento dell'economia. Abbiamo, quindi, proposto un pacchetto


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di misure concordato a livello europeo per rafforzare la patrimonializzazione delle banche e favorire il ritorno a condizioni di normalità sul mercato della raccolta.
In particolare, l'EBA aveva sostenuto l'introduzione di schemi di garanzia europei per le nuove passività bancarie a medio e lungo termine, in modo da recidere il legame tra la qualità creditizia delle banche e quella dei Paesi di appartenenza. Avevamo anche sottolineato l'esigenza di accompagnare tali misure con soluzioni di policy per il debito sovrano efficaci e credibili, al fine di scongiurare i rischi di contagio ad altri Paesi dell'area dell'euro. Questa impostazione era stata sostenuta, alla fine di settembre, anche dal Comitato europeo per il rischio sistemico. Inoltre, il Presidente Trichet aveva manifestato con grande vigore analoghe preoccupazioni, intervenendo, a ottobre, di fronte al Parlamento europeo. Come detto, l'insieme di tali misure mirava a interrompere il circolo vizioso tra settore bancario e rischio sovrano.
Sul fronte del capitale si è proceduto nella direzione proposta. Dopo la decisione del Consiglio europeo del 26 ottobre, il Consiglio dell'EBA, l'organo decisionale dell'Autorità, al quale partecipano i responsabili della vigilanza di tutte le autorità nazionali, ha approvato una raccomandazione in base alla quale le banche devono costituire, entro la fine di giugno 2012, un buffer di capitale che consenta loro di raggiungere un coefficiente di patrimonializzazione, espresso in termini di capitale di maggiore qualità (core tier 1), pari al 9 per cento, dopo una valutazione prudente, eseguita tenendo conto dei valori di mercato, delle esposizioni delle banche medesime verso gli Stati membri (cosiddetto buffer sovrano).
In proposito desidero, innanzitutto, sottolineare che la nostra decisione non comporta alcuna modifica normativa delle regole prudenziali, né tanto meno di quelle contabili. Piuttosto, abbiamo chiesto alle banche, alla luce delle tensioni sui mercati finanziari, di costituire un buffer patrimoniale aggiuntivo, temporaneo ed eccezionale, per fronteggiare il rischio sistemico creato dalla crisi del debito sovrano. Al fine di non incentivare la dismissione dei titoli di Stato, il buffer sulle esposizioni sovrane è definito sulla base delle consistenze e dei prezzi alla fine di settembre 2011 e non si modificherà se muteranno, nei prossimi mesi, le esposizioni o le valutazioni dei titoli. La necessità di mantenere il buffer, e la dimensione dello stesso, saranno riconsiderate se e quando le misure di policy per contrastare la crisi del debito sovrano avranno un effetto visibile sui prezzi dei titoli di Stato.
Mentre le misure per il rafforzamento patrimoniale sono state definite, minori progressi si sono registrati sugli altri fronti. Le garanzie sulla raccolta delle banche saranno fornite dai governi nazionali - in alcuni casi si è già proceduto in questa direzione -, senza alcun elemento di mutualizzazione o aggregazione a livello europeo. Ciò non attenua, ma anzi accentua, da un certo punto di vista, la connessione tra banche e Paesi di origine.
Bisogna dire, tuttavia, che le operazioni di sostegno alla liquidità approvate dalla Banca centrale europea hanno allentato la pressione sulla raccolta bancaria. Questo problema è stato affrontato con un altro pacchetto di provvedimenti. Le misure volte al rafforzamento dello European Financial Stability Facility (EFSF), il fondo di sostegno ai Paesi in difficoltà che dovrebbe alleviare la crisi del debito sovrano, sono state concordate, ma non sono ancora completamente operative.
Prima di terminare la mia relazione, vorrei affrontare alcuni aspetti delle misure di ricapitalizzazione che sono stati oggetto di discussione accesa anche in Italia. Credo che qualche chiarimento possa aiutare a evitare equivoci e a meglio comprendere il nostro intervento.
In primo luogo, i buffer richiesti dall'EBA non mirano a coprire una sola fonte di rischio. Essendo il rischio sovrano certamente causa di forte preoccupazione, abbiamo richiesto alle banche di effettuare una valutazione prudente delle proprie esposizioni, in linea con quanto suggerito dal Fondo monetario internazionale a settembre


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e in coerenza con quanto analisti e investitori hanno fatto, sin dalla scorsa estate, nel valutare la solidità delle banche.
Tuttavia, l'esercizio di ricapitalizzazione non si limita al rischio sovrano. A tutte le banche è stato richiesto di raggiungere un livello di core tier 1 ratio del 9 per cento, a prescindere dalle esposizioni sovrane in portafoglio. Si è deciso, inoltre, di applicare immediatamente le regole più severe sui rischi di mercato - introdotte in Europa con la terza direttiva sui requisiti patrimoniali (CRD 3), ancora in corso di attuazione negli Stati membri -, al fine di tenere conto di altre attività rischiose che le banche detengono nei portafogli di trading. Mi riferisco, in particolare, alle modifiche della regolamentazione sulle cartolarizzazioni e sull'attività nel mercato dei capitali. Si è detto che saranno particolarmente penalizzate le banche a vocazione retail, che adottano un modello di business tradizionale, mentre risentiranno in misura minore dell'introduzione dei nuovi requisiti quegli istituti la cui attività è più incentrata sulla finanza. In realtà, come ho avuto modo di rilevare in una precedente occasione, l'inasprimento dei requisiti è particolarmente duro per le attività di negoziazione in titoli e in derivati, dal momento che il requisito sui rischi di mercato viene innalzato del 300-400 per cento, ponendosi, di conseguenza, come un elemento trainante del nuovo quadro normativo.
I dati che abbiamo pubblicato dimostrano l'equilibrio del nostro pacchetto. Infatti, l'aumento dei requisiti patrimoniali richiesto dalla Raccomandazione deriva, per un terzo, dalla più elevata soglia di capitalizzazione richiesta (il 9 per cento), per un terzo dalle previsioni della CRD 3 - in gergo «Basilea 2.5» - sui rischi di mercato e, per il restante terzo, dal buffer sovrano.
Vorrei anche ricordare - scenderò in dettagli tecnici, ma credo sia importante dare queste spiegazioni - che il buffer sovrano è calcolato sulla base di due meccanismi.
Il primo è la rimozione dei cosiddetti filtri prudenziali relativi al portafoglio di titoli disponibili per la vendita (AFS, dall'inglese available for sale). Non si tratta di una novità per l'Italia: prima della crisi, la regolamentazione italiana prevedeva che le perdite potenziali derivanti dal mark-to-market del portafoglio AFS avessero un effetto (negativo) sul patrimonio. Fino a oggi, in alcuni Paesi queste perdite erano filtrate e non impattavano sul patrimonio di vigilanza.

PRESIDENTE. A quali Paesi si riferisce, dottor Enria? Mi sembra un punto rilevante.

ANDREA ENRIA, Presidente della European banking authority (EBA). È un aspetto importante.
Le linee guida elaborate in materia di filtri prudenziali dal CEBS prevedono due opzioni: nel primo caso, né le perdite, né i guadagni relativi ai titoli disponibili per la vendita producono un impatto sul patrimonio; nel secondo, le perdite sono integralmente dedotte dal patrimonio di base, mentre i guadagni sono parzialmente inclusi nel patrimonio supplementare, secondo un approccio asimmetrico.
Come ho già accennato, in Italia si applicava questa seconda normativa, più restrittiva; in altri Paesi, quali la Germania, la Francia o il Regno Unito, si applicava, invece, la prima. Nel 2010, la Banca d'Italia ha rivisto la propria normativa di vigilanza, riconoscendo alle banche la possibilità di adottare l'opzione basata sull'approccio simmetrico. Ciò dimostra che, quando i Paesi applicano regole diverse, alcune più rigorose e altre meno, si finisce sempre per convergere su quelle meno rigorose.
La notizia buona - forse, non per le banche - è che si arriverà, con Basilea 3, a un'unica regola, basata sulla valutazione al valore di mercato di tutte le attività presenti nel portafoglio disponibile per la vendita. Dal 2013, pertanto, i titoli in tale portafoglio dovranno essere valutati al valore di mercato.
Il secondo meccanismo è l'estensione ai titoli del banking book della valutazione al valore di mercato.


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È importante sottolineare che un terzo del buffer è determinato dall'estensione al banking book della valutazione al valore di mercato, mentre i restanti due terzi sono dovuti alla rimozione dei filtri prudenziali relativi al portafoglio di titoli available for sale (che, a breve, sarà valutato al valore di mercato in ogni caso). Per le banche italiane, in particolare, soltanto il 3,9 per cento dello shortfall di capitale è attribuibile alla richiesta di valutare al valore di mercato le esposizioni sovrane nel banking book. Si tratta, com'è evidente, di una percentuale molto contenuta.
In secondo luogo, trovo mal posta la critica circa l'iniquità delle misure che abbiamo adottato alla luce della diversità nelle prassi di vigilanza esistenti in Europa. Più specificamente, le banche italiane e spagnole sostengono non essere corretto stabilire un unico requisito valido per tutti, dal momento che la normativa di vigilanza è più restrittiva in alcuni Paesi. Non c'è dubbio che ci sia ancora molto da fare, all'interno dell'Unione europea, per rendere la normativa più omogenea e le pratiche di vigilanza più coerenti: siamo stati tra i primi a segnalarlo. Proprio per questo, il nostro principale compito, nel contesto di Basilea 3, è esattamente quello di produrre maggiore uniformità in questo campo. Peraltro, l'esercizio di ricapitalizzazione non è la causa della convergenza. Esso è, al contrario, è uno strumento importante per eseguire una diagnosi dei problemi e per cominciare a risolverli. Individuando diverse modalità di calcolo degli aggregati, e fissando requisiti uguali per tutti, abbiamo cercato di ottenere il massimo risultato sotto il profilo del level playing field.
Un ultimo punto da sottolineare riguarda il rischio di deleveraging.
Innanzitutto, occorre ribadire che il processo di deleveraging, originatosi ben prima che l'EBA avviasse la discussione sulla ricapitalizzazione, è strettamente legato alle difficoltà incontrate dalle banche nel raccogliere fondi sui mercati a costi ragionevoli. In assenza di un intervento nel senso della ricapitalizzazione, le banche sarebbero state spinte al deleveraging operando sugli attivi. Chiedere di aumentare il capitale bilancia il processo. Il leverage è, infatti, un rapporto tra capitale e attività, che si può ridurre o cedendo attività o aumentando il capitale. Quello che stiamo chiedendo alle banche è di ridurre il rapporto aumentando il capitale.
Poiché il nostro impegno è volto a evitare che l'esercizio di ricapitalizzazione sia causa di un ulteriore impulso alla contrazione del credito, abbiamo predisposto alcune linee guida e abbiamo chiesto alle banche di sottoporci, entro il prossimo 20 gennaio, il piano di ricapitalizzazione preordinato al raggiungimento del target. Solo limitate azioni di riduzione degli attivi saranno consentite per soddisfare il nostro requisito. Ad esempio, sarà possibile vendere un'affiliata o una linea di attività, perché queste azioni non riducono il livello di leverage complessivo, e i crediti rimangono nel sistema. Non sarà accettata, invece, la riduzione del credito erogato alla clientela: nessuna banca potrà programmare di raggiungere il target, a giugno, tagliando i prestiti alle piccole e medie imprese (per esempio, del 20 per cento).
L'industria bancaria ha anche sostenuto la necessità di ritardare, o addirittura di ritirare, le richieste di ricapitalizzazione. L'argomento addotto è che, in questa fase, le banche avrebbero grande difficoltà a ricorrere con successo al mercato privato. Credo che sarebbe sbagliato assecondare queste richieste. In questo momento, per poter garantire il proprio sostegno all'economia, le banche hanno bisogno di liquidità e capitale maggiori. La BCE sta lavorando sul fronte della liquidità. Alle autorità di vigilanza spetta il compito di intervenire sul capitale.
Uno scenario in cui la ricapitalizzazione fosse rimandata sarebbe, a mio modo di vedere, particolarmente negativo. Se poi, per ipotesi, la ricapitalizzazione fosse cancellata, non per questo svanirebbero i problemi delle banche, emersi ben prima che l'EBA annunciasse le proprie misure. Gli investitori continuerebbero a percepire le banche come deboli, e maggiore incertezza circonderebbe il sistema


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bancario europeo. I problemi sul lato della raccolta, che dipendono anche da livelli di capitale considerati inadeguati rispetto ai rischi, rimarrebbero inalterati. La conseguenza sarebbe un deleveraging ancora più forte di quello manifestatosi finora.
È, quindi, essenziale procedere alla ricapitalizzazione, preferibilmente con collocamenti privati. Peraltro, i Governi si sono impegnati a offrire il proprio sostegno finanziario alle banche che non dovessero essere in grado di accedere ai capitali privati. Eventualmente, grazie alla decisione del Consiglio, i Governi avrebbero il sostegno dello European financial stability facility.
In conclusione, la prima fase della crisi, scatenata dalle perdite generate dalla finanza strutturata, ha portato a una riforma radicale della regolamentazione bancaria.
Le banche dovranno operare con livelli di capitale di qualità elevata significativamente più alti rispetto al passato, dovranno detenere buffer di attività liquide sufficienti a sopravvivere senza aiuti in situazioni di stress e non potranno più finanziare illimitatamente attività illiquide a lungo termine con fonti di raccolta volatili e a breve termine.
I requisiti per l'attività sul mercato dei capitali sono stati ricalibrati per meglio catturare i rischi.
Le banche con rilevanza sistemica dovranno rispettare requisiti ancora più stringenti e dovranno operare in modo da rendere possibile una loro uscita ordinata dal mercato, in situazione di crisi, senza la necessità di interventi a carico delle finanze pubbliche.
È importante che, prima di portare a termine la definizione di tutte le nuove regole, siano condotte analisi approfondite - come noi ci stiamo impegnando a fare -, per evitare gli effetti indesiderati di requisiti più rigorosi. Contemporaneamente, bisogna evitare che i tempi lunghi per l'implementazione della riforma determinino un annacquamento delle regole e nuove divergenze nell'applicazione a livello nazionale. In futuro, non dovrà essere possibile usare la leva regolamentare come strumento per attrarre business sulle piazze finanziarie nazionali, ovvero per favorire questo o quel campione nazionale. L'impegno dell'EBA per assicurare un'attuazione rigorosa e uniforme della riforma nel mercato unico sarà massimo.
La seconda fase della crisi, legata al debito sovrano, richiede altrettanto rigore nella risposta delle politiche pubbliche. È essenziale che le banche possano accedere a liquidità illimitata, anche su scadenze a medio e lungo termine, a prezzi contenuti. Con il blocco dei mercati della raccolta bancaria all'ingrosso le banche stavano perdendo la capacità di finanziare l'economia. Al tempo stesso, occorre chiedere alle banche di rafforzare la propria posizione patrimoniale: per far fronte al rischio sistemico generato dalla crisi del debito sovrano, per rassicurare investitori e depositanti circa la loro solidità e per evitare un processo di deleveraging disordinato.
Siamo consapevoli che tale passaggio sarà difficile. Esso potrà incidere sugli assetti di controllo delle banche e, in alcuni casi, richiedere anche interventi di sostegno pubblico, ma è necessario dare risposte chiare e ferme a fronte delle incertezze attuali. Questa strada è senz'altro preferibile a soluzioni più timide e meno tempestive, che con ogni probabilità prolungherebbero la crisi e ne aumenterebbero il costo finale.

PRESIDENTE. Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

MARCO CAUSI. Dottor Enria, lei ha più volte affermato di essere cosciente della discussione pubblica, sviluppatasi in sede accademica, scientifica e politica, in merito ai primi passi compiuti dall'Autorità che presiede. Ebbene, per prepararmi all'audizione odierna, così interessante e ricca di contenuti - e di ciò la ringrazio -, ho letto gli scritti pubblicati fino a oggi riguardo alle iniziative assunte dall'EBA. Le porrò, quindi, alcune domande che riflettono critiche o perplessità già presenti nella letteratura formatasi sull'argomento.


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In qualche caso lei ha già risposto, almeno implicitamente, ma ritornare su alcuni temi ci dà l'opportunità di avere ulteriori chiarimenti.
Innanzitutto, è stato sollevato un problema di timing. Molti commentatori hanno criticato la scelta dell'EBA di richiedere la costituzione del buffer aggiuntivo di capitale proprio nell'attuale fase di congiuntura economica: ai loro occhi sembra quasi che gli organi preposti alla regolazione del settore si disinteressino degli aspetti operativi connessi a tali aumenti di capitale e dell'effettiva possibilità di realizzarli in questo ciclo economico particolarmente negativo.
Una seconda questione riguarda la valutazione a prezzi di mercato dei titoli del debito sovrano. Stante la rimozione dei filtri prudenziali, essa ha fortemente penalizzato le banche dei Paesi finiti nel mirino dei mercati (in particolare, le banche italiane). In altre parole, l'Autorità è accusata di avere peggiorato la situazione, sotto il profilo della correlazione tra rischio bancario e rischio sovrano, alla base della crisi europea.
La terza questione è più di carattere teorico (la mia ricerca, del resto, si è indirizzata verso siti non strettamente professionali, ma anche scientifici). Mi interessa sapere anche da lei, dottor Enria, che frequenta le sedi ove si svolge la discussione europea, se si è consapevoli, in Europa, di quanto appaia discutibile, nella situazione in cui ci troviamo, la tesi secondo la quale la sostenibilità e la stessa stabilità del sistema bancario dipendano dalla sua capitalizzazione. La crisi dei debiti sovrani ha totalmente mutato il quadro.
Lei giustamente difende l'impianto di Basilea 3, sostenendo che l'aumento dei coefficienti di patrimonializzazione riduce i rischi, e che un modesto impatto sul PIL dello 0,23 per cento è ampiamente controbilanciato da una più ridotta probabilità di default. Tuttavia, lei sa benissimo che i modelli delle catastrofi non contemplano piccole riduzioni delle probabilità di default. Il default è un grande rischio, che a un certo punto esplode. Forse, in una crisi sistemica come quella che stiamo attraversando non c'è un grande beneficio, da mettere in relazione con un piccolo costo.
Dottor Enria, lei ha fatto affermazioni importanti a proposito del fatto che il pacchetto complessivo di proposte non era limitato alla costituzione di un buffer temporaneo, ma includeva indicazioni più generali di policy. Poiché tale pacchetto non è stato attuato interamente, ma soltanto in alcune sue parti, l'EBA ritiene di avere la forza, anche politica, per insistere affinché si dia corso agli altri interventi?
Formulerò le mie ultime domande, dottor Enria, prendendo spunto dalla lettura del Financial Times di ieri, che sollevava due questioni.
La prima riguarda i rumor relativi a una proroga della scadenza di giugno 2012. Le banche lamentano l'impossibilità di reperire risorse sui mercati; infatti, chi ha compiuto tentativi in tal senso ha incontrato difficoltà. Lei è in grado di assicurare, in questa sede, che l'EBA non accetterà richieste di proroga del predetto termine? O, invece, l'EBA è intenzionata a prenderle in considerazione?
Inoltre, il Financial Times scriveva che alcune banche di altri Paesi si stanno ricapitalizzando, ma non tramite il ricorso a risorse private, come prescritto dalla vostra Raccomandazione dell'8 dicembre 2011. Si fa riferimento a operazioni volte a ridurre gli attivi ponderati per il rischio o all'emissione di strumenti ibridi che non richiedano il ricorso al mercato, mentre gli istituti di credito italiani stanno affrontando aumenti di capitale difficili e sofferti.
È in grado di garantirci che l'EBA vigilerà con il massimo rigore e con la più scrupolosa attenzione, affinché le autorità nazionali non consentano, ai fini della ricapitalizzazione, l'utilizzazione di strumenti che non prevedano il ricorso al mercato?

AMEDEO CICCANTI. Ringrazio il Presidente Enria e anticipo che sarò telegrafico.
La Raccomandazione dell'EBA dell'8 dicembre 2011 richiama gli articoli 16, 21


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e 31 del Regolamento (UE) n. 1093/2010, che ha istituito l'Autorità bancaria europea. In particolare, l'articolo 16, comma 2, del predetto atto normativo prevede che l'Autorità effettua, se del caso, consultazioni pubbliche sugli orientamenti e sulle raccomandazioni indirizzati alle autorità competenti o agli istituti finanziari e analizza i potenziali costi e benefici. Nella Raccomandazione non è richiamato, invece, l'articolo 18 del Regolamento, ai sensi del quale in situazioni di emergenza, se è necessaria un'azione coordinata delle autorità nazionali per rispondere a sviluppi negativi che possano seriamente compromettere il regolare funzionamento e l'integrità dei mercati finanziari o la stabilità generale o parziale del sistema finanziario nell'Unione, l'Autorità può, in casi eccezionali, adottare decisioni individuali, per chiedere alle autorità competenti di prendere le misure necessarie, soprassedendo, quindi, alle consultazioni pubbliche. Non essendo stato richiamato il suddetto articolo 18, ne deduciamo l'insussistenza, all'epoca, di una situazione di emergenza. Ciò nonostante, sembra che le consultazioni non siano state fatte. Da qui le rimostranze e le preoccupazioni manifestate da alcuni soggetti.
In merito alla crisi del debito sovrano, nella relazione lei afferma, presidente, che si è instaurato un circolo vizioso, nel quale la valutazione delle banche è diventata sempre più intimamente dipendente dal giudizio sulla solidità dello Stato membro che fornisce loro una rete di protezione in caso di crisi. Si tratta di una questione che interessa eminentemente le banche italiane. Lei ha cercato di sminuire, affermando che l'aumento dei requisiti patrimoniali richiesto dalla Raccomandazione deriva soltanto per un terzo dal buffer sovrano; tuttavia, si potrebbe osservare che, mentre nel caso italiano questo terzo è tutto pieno, in altri casi la situazione è meno problematica.
Il Parlamento ha approvato, lo scorso 20 dicembre, una risoluzione sottoscritta dai rappresentanti di molti gruppi, la quale impegna il Governo, tra l'altro, a promuovere, presso le sedi europee, il differimento dell'attuazione dell'esercizio dell'Autorità bancaria europea, tenuto conto del peggioramento delle prospettive di crescita dell'economia e del fatto che i rischi di recessione si fanno sempre più concreti, come evidenziato da tutti i principali centri di ricerca.
Da quanto ha affermato, presidente, sembra che si debba abbandonare ogni speranza di ottenere un rinvio. Ad ogni modo, la domanda principale riguarda la prima questione.

ALESSANDRO PAGANO. Presidente Enria, l'EBA dovrebbe operare in funzione anticiclica, affinché sia accumulato fieno in cascina quando le cose vanno bene.
Molti, non soltanto io, nutrono perplessità circa la filosofia che ha ispirato l'Autorità sin dalla sua nascita. In questo momento, attesa la scarsa flessibilità di un sistema come quello italiano, Basilea 3 sta già stritolando le piccole e medie imprese. Come potete immaginare che questo patrimonio quasi esclusivamente italiano - poiché altrove non si è riprodotto, con analoghe dimensioni, un tessuto economico-sociale somigliante al nostro - subisca un simile impatto? Ritengo che l'EBA dovrebbe riflettere al riguardo.
Quanto alla capitalizzazione delle banche, lei stesso ha dichiarato che, in questo momento, l'operazione è difficile da realizzare. Unicredit, ad esempio, vale un quinto rispetto a qualche anno fa: sarà facile portare a termine l'aumento di capitale, o i mercati reagiranno in maniera consequenziale?
Se è necessario aiutare il sistema bancario, perché senza credito l'economia muore, e la situazione del debito sovrano peggiora ancora di più, è ovvio che le strategie non possano essere basate sul rigore: in termini etici, il rigore è assolutamente condivisibile, ma è insostenibile in un momento in cui, invece, c'è bisogno di flessibilità.
L'EBA ha chiesto alle banche di portare al 9 per cento, entro giugno 2012, il core tier 1 ratio, definito dal rapporto tra il capitale di qualità più elevata e le attività ponderate per il rischio. È stata valutata


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l'opzione di aggiungere al capitale primario, in via transitoria, anche quello supplementare e di far slittare tutto di un anno?
Penso che l'EBA abbia commesso errori notevoli. Nella quantificazione del fabbisogno di capitale aggiuntivo, le banche tedesche hanno beneficiato della valutazione più favorevole dei bund: può essere giusto, in linea di principio, ma ciò sta premiando le banche e il sistema tedeschi e sta fortemente penalizzando le banche e il sistema italiani.
Siamo davvero convinti che le misure contenute nella Raccomandazione siano positive, dal momento che il sistema bancario italiano detiene solo il 6 per cento di titoli tossici, a fronte di una media europea del 65 per cento? Alle banche italiane è chiesta la costituzione di un capitale aggiuntivo, sebbene i titoli di Stato italiani non possano assolutamente essere paragonati a titoli tossici.
In considerazione del fatto che i problemi sono tanti, in questo momento, l'EBA dovrebbe improntare la propria azione a un principio di sano buonsenso, accettando una maggiore flessibilità, perché soltanto in questo modo è salvaguardato il sistema. Con il massimo rispetto, non credo che i 150 miliardi di euro di provenienza BCE possano rappresentare la soluzione dei problemi che dobbiamo affrontare (infatti, le banche li stanno utilizzando per altre finalità). Non sono tenero nei confronti delle banche, ma mi rendo conto che, se il sistema bancario entra in crisi, ne risente inevitabilmente l'economia reale.
Sono convinto che l'EBA debba concedersi un'ulteriore riflessione. Peraltro, il Parlamento può lamentare un deficit di informazione, dal momento che abbiamo appreso delle nuove misure con molto ritardo. In particolare, ritengo che le osservazioni critiche formulate in questa sede, anche dai colleghi, meritino di essere prese in considerazione. Il rischio, presidente, è quello di creare contrapposizioni nocive, mentre il momento storico esige che i nostri comportamenti siano improntati ai principi etici cui anche lei ha accennato nella relazione.

IGNAZIO MESSINA. Innanzitutto, ringrazio il presidente Enria per la relazione.
Rigore ed etica sono indispensabili, ma devono essere applicati calandoli nella realtà. Come già rilevato con riferimento al timing, per le banche, almeno per quanto riguarda l'Italia, l'applicazione di requisiti di capitale più rigorosi può innescare, in questo momento, un fenomeno di recessione economica: è proprio quello che sta avvenendo.
L'insieme delle nuove regole di Basilea 3 è adeguato per le piccole e medie imprese italiane o sta portando, piuttosto, al blocco assoluto dei finanziamenti nei confronti di tali soggetti, che costituiscono il fulcro dell'economia italiana?
I fondi della BCE, che ammontano a una cifra importante, a che servono? Sono stati trasferiti alle banche italiane o sono rimasti, come qualcuno sostiene, presso la BCE, depositati a un tasso di interesse che sono le banche italiane a percepire? Le nostre banche utilizzano o no queste somme? E se sì, come? Finanziando le imprese e le famiglie italiane, o pensando ad altro?
Il rigore è fondamentale, ma credo che un organismo di controllo dovrebbe anche valutare il ruolo sociale riconosciuto alle banche. Le chiedo, quindi, presidente, se sia corretta in questo momento, in termini di opportunità - tecnicamente lo è senz'altro -, la posizione dell'EBA, ovvero se non sia più opportuno che essa interpreti la propria funzione mirando non a un controllo fine a sé stesso, ma a un controllo in grado di favorire un futuro sviluppo.
Il rischio è che, alla fine, si arrivi, sì, alla «blindatura» delle banche, ma pagando il prezzo della disfatta dell'economia.

MAURIZIO FUGATTI. Ringrazio il Presidente Enria. Non deve essere facile, da italiano, svolgere il ruolo, all'interno dell'Autorità bancaria europea, di commissario


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liquidatore - non vorrei esagerare - del sistema bancario italiano. L'Autorità formula, alle autorità competenti e alle istituzioni finanziarie europee, raccomandazioni che, guardate dal punto di vista dell'Italia, sembrano implicare la liquidazione del nostro sistema bancario. Qualcuno potrebbe avanzare il sospetto, presidente, che le regole debbano essere più pesanti per le banche italiane per fugare il dubbio che la sua nazionalità possa avere una qualche influenza sulle decisioni dell'Autorità. Può sembrare una battuta, ma qualcuno potrebbe pensarlo.
Al di là delle battute, vere o presunte che siano, viene il dubbio che, dietro le operazioni molto difficoltose che il sistema bancario italiano è costretto a compiere, le quali si ripercuotono direttamente sul sistema economico delle nostre piccole e medie imprese, si nasconda, in realtà, la volontà di riuscire a mettere le mani su quelle che sono state le migliori banche europee degli ultimi anni.
Infatti, il sistema bancario italiano ha usufruito di aiuti pubblici per 4 miliardi di euro, grazie ai famosi «Tremonti bond», mentre negli altri Stati europei sono stati complessivamente elargiti alle banche, sotto forma di garanzie e di capitale, circa 1.200 miliardi di euro. Per rendersi conto che non si tratta di cifre inventate, basta leggere i quotidiani. Evidentemente, le banche italiane hanno saputo svolgere meglio di quelle degli altri Paesi la propria attività di erogazione del credito.
Le banche italiane, che, forse, sono sottocapitalizzate anche perché non hanno ricevuto aiuti pubblici, si trovano a essere penalizzate, nella corsa alla capitalizzazione che l'Autorità bancaria europea impone, proprio per non aver fatto ricorso al capitale pubblico.
Queste contraddizioni, che si riflettono così duramente sul sistema bancario italiano e sul nostro sistema economico, sono difficili da comprendere anche per chi ha esperienza in materia, e inducono a pensare che, forse, c'è qualcos'altro dietro, cioè la volontà, come si legge in questi giorni sui giornali, di fare in modo che le nostre banche siano controllate da capitali non più italiani, ma stranieri. Ecco perché ho affermato che l'Autorità bancaria europea sta svolgendo, in un certo senso, il ruolo di commissario liquidatore del sistema bancario italiano.

MARCO PUGLIESE. Sarò molto rapido.
Nel ringraziarla anch'io per l'audizione, presidente, le pongo una domanda molto semplice e attuale sul caso Unicredit, che stiamo seguendo tutti, come imprenditori, come azionisti o come politici. Lei ha posto l'accento sull'esigenza di ricapitalizzazione delle banche italiane. Ebbene, se un titolo perde, in meno di un mese, l'80 per cento del proprio valore, questo non è il segnale migliore per le ricapitalizzazioni cui dovranno procedere gli altri istituti bancari. Tra l'altro, Unicredit è una delle prime banche d'Europa ed è presente anche in Germania, in Polonia e in altri Paesi. Chi ci rimette, alla fine, è sempre il piccolo azionista, il piccolo investitore.
Leggevo, su siti finanziari, che il crollo in borsa del titolo sarebbe dovuto all'abbandono di alcune fondazioni, e alla conseguente perdita dell'apporto di queste ultime, qualche giorno prima che fosse deliberato l'aumento di capitale.
Lei, presidente, ha parlato di finanziamento dell'economia reale e della piccola e media impresa italiana. Da questo punto di vista, mi chiedo perché, mentre le banche richiedono garanzie su garanzie per finanziare una Spa che produce occupazione, le così ricche fondazioni bancarie, che dettano le regole sui mercati e sono in grado di condizionare gli aumenti di capitale, o il valore dei titoli delle banche, possano perseguire liberamente i propri interessi anche speculativi. La notizia dell'uscita delle fondazioni da Unicredit prima dell'aumento di capitale ha determinato il crollo del titolo.
Per quanto riguarda il rapporto tra economia reale ed economia finanziaria, presidente, il dato relativo al supporto che le banche stanno fornendo alle piccole e medie imprese è molto negativo. Sia lei, sia Draghi, che presiede addirittura la Banca centrale europea, dovreste conoscere


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il tessuto economico e sociale italiano. Oggi le banche non finanziano più le imprese: devono ottenere l'autorizzazione delle sedi centrali, spesso milanesi o romane, finanche per procedere a micro-finanziamenti. Alcune realtà, in particolar modo del Sud, soffrono molto per questa situazione.
In relazione all'ultima, ingente offerta di liquidità da parte della BCE, mi auguro che ci sia una forte pressione italiana, non della Bundesbank, affinché i fondi ottenuti siano spesi per sostenere l'economia e per puntare allo sviluppo, attraverso prestiti e fidi alle piccole e medie imprese.

ALBERTO FLUVI. Ho poche domande da rivolgerle, presidente Enria, anche perché non voglio rischiare di essere ripetitivo.
La prima prende spunto da una considerazione di carattere generale. Lei ha sottolineato che l'EBA ha compiuto da poco un anno di vita. Ricordo che, quando esaminammo gli atti comunitari che riformavano il sistema europeo di vigilanza finanziaria, prevedendo, tra l'altro, l'istituzione delle tre autorithy di settore, uno dei temi dibattuti fu quello dell'autonomia di tali organismi rispetto alla Commissione europea. Il punto di approdo è quello che conosciamo. Procedere in maniera diversa non è stato possibile, anche a causa delle disposizioni contenute nei Trattati. Poiché le norme tecniche elaborate dall'EBA sono soggette all'approvazione della Commissione, volevo capire come i rapporti con la Commissione incidano sul processo di elaborazione delle proposte.
Per quanto riguarda le domande inerenti a Basilea 3, una considerazione a parte meritano quelle concernenti la Raccomandazione dell'EBA dell'8 dicembre scorso. Considero positivo il processo avviato dal Comitato di Basilea, anche perché l'obiettivo è uniformare le regole e, di conseguenza, il comportamento delle diverse istituzioni finanziarie. Sappiamo tutti, però, che molti Paesi, e non si tratta di quelli più piccoli, non hanno ancora attuato neppure Basilea 2. Come ha ricordato nella relazione, presidente, negli Stati Uniti, ad esempio, le regole di Basilea 3 saranno applicate esclusivamente alle banche più grandi, mentre in Europa varranno indistintamente per tutte le istituzioni finanziarie. Mi rendo conto che l'EBA non ha poteri in merito, ma il tema della uniforme applicazione delle regole in tutti i Paesi non è di poco conto.
Occorre, inoltre, porre l'accento sulla prevalenza, in Europa, di piccole e piccolissime imprese, che fa la differenza tra l'economia europea e quella di tanti altri Paesi. Comprendo le preoccupazioni dei colleghi che mi hanno preceduto. La questione fondamentale è che il finanziamento delle piccole e piccolissime imprese, poco propense a ricorrere al mercato dei capitali, ovvero non attrezzate per farlo, dipende in gran parte dall'accesso al credito bancario.
Riguardo all'accordo di Basilea 3, è possibile, secondo lei, prestare una particolare attenzione alla ponderazione del rischio per le piccole e piccolissime imprese, rispetto a quelle più grandi, e stabilire una differenziazione tra le banche commerciali e quelle d'investimento?
Come lei saprà benissimo, presidente, le prime non sono state all'origine della crisi finanziaria, così come un più robusto coefficiente patrimoniale non è l'unico fattore che può prevenirne altre. Per questo motivo, la carenza più grave che mi sembra di poter ravvisare nell'accordo di Basilea 3 consiste proprio nel fatto che, mentre si calca la mano sui requisiti di capitale, che entreranno in vigore subito, sia pure con gradualità, per quanto riguarda la leva finanziaria si è stabilito che la prima fase, fino a tutto il 2012, sarà di semplice monitoraggio, che la sperimentazione durerà dal 1o gennaio 2013 al 1o gennaio 2017 e, infine, che la trasformazione del leverage ratio in requisito minimo avverrà a partire dal 1o gennaio 2018.
La Raccomandazione dell'EBA, che imprime un'accelerazione sul tema dei requisiti di capitale, cade in un momento in cui è ancora in corso il processo che porterà all'adozione, da parte del Parlamento europeo e del Consiglio, delle proposte


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di regolamento e di direttiva della Commissione. So perfettamente, anche perché lei ha avuto modo di ribadirlo, presidente, che l'EBA non guardava soltanto all'adeguamento del capitale. In una recente intervista, rilasciata al quotidiano Il Sole 24 Ore, lei ha fatto riferimento alle misure di ricapitalizzazione, al rafforzamento del Fondo europeo di stabilità finanziaria, alla necessità di garanzie pubbliche europee per le emissioni obbligazionarie delle banche e via dicendo. Il tema del capitale è quello che ha prevalso.
Come s'intrecciano la Raccomandazione dell'EBA, che ha impresso una fortissima accelerazione al processo di rafforzamento patrimoniale, e le regole contenute nell'accordo di Basilea 3, che si sta cercando di tradurre in regolamento e in direttiva? Sbaglierò, ma la mia impressione è che la Raccomandazione operi un ribaltamento di prospettiva: l'accordo prevede, infatti, la creazione di un buffer di capitale nei momenti di crescita, da utilizzare nei momenti di difficoltà; al contrario, la Raccomandazione dell'EBA esige che alla creazione del buffer aggiuntivo si provveda in un momento di estrema difficoltà. Vorrei capire come s'intreccino i due percorsi, dal momento che anche lei definisce l'esercizio di ricapitalizzazione eccezionale e temporaneo.
Infine, poiché si mira alla creazione, almeno a livello europeo, di un single rule book, di un libro unico delle regole, è possibile introdurre un correttivo, per non danneggiare il sistema economico del nostro Paese, costituito soprattutto da piccole e piccolissime imprese, che dipendono moltissimo dal sistema bancario?

GIAMPAOLO FOGLIARDI. Il mio intervento sarà breve, perché molte questioni sono state già affrontate dai colleghi. Mi limiterò, presidente, a svolgere una considerazione e, poi, a porle una domanda.
Nella relazione, molto ampia ed esaustiva, si è soffermato sul rischio di deleveraging. In proposito, per fare in modo che l'esercizio di ricapitalizzazione non sia causa di un ulteriore impulso alla contrazione del credito, l'obiettivo patrimoniale potrà essere conseguito soltanto in parte mediante cessioni di specifiche attività da parte delle banche, purché queste azioni non abbiano impatti negativi sulla capacità del sistema bancario di finanziare l'economia.
Purtroppo, le banche stanno mettendo in vendita immobili di valore: se il punto di arrivo è la capitalizzazione, va bene, ma di certo è un peccato. La sensazione è che ci sarà una corsa all'acquisto da parte dei soliti noti, che ne hanno le possibilità. Non so, però, quanto ciò possa essere positivo per il sistema nel suo complesso.
La domanda riguarda un argomento più vicino alla mia esperienza professionale. Il Governo sta affrontando il problema delle liberalizzazioni. Si tratta di una questione molto sentita. Per quanto mi riguarda, le liberalizzazioni dovrebbero essere il più possibile ampie, a vantaggio dei giovani. Se sarà così, molti giovani professionisti, come commercialisti, avvocati o farmacisti e altro, si troveranno ad affrontare i problemi economici legati all'allestimento del tanto agognato studio o locale in cui svolgere l'attività. Ciò significa che, anche facendo le cose in economia, i soggetti di cui stiamo discorrendo avranno bisogno di una somma che può variare dai 30.000 ai 50.000 euro (ne parlo con cognizione di causa, perché me ne occupo per motivi professionali tutti i giorni). Ebbene, a chi potranno rivolgersi i nostri giovani professionisti se il sistema bancario, allo stremo delle forze, non concede più credito, soprattutto per impiantare attività cosiddette illiquide, come quelle intellettuali?

MARCO MARSILIO. Non ripeterò domande che sono già state poste. Condivido, in particolare, le osservazioni formulate dal collega Pagano.
Presidente Enria, nella relazione lei tende a smentire, o almeno a ridimensionare, la preoccupazione del sistema del credito nazionale, e degli operatori nel loro complesso, che le decisioni dell'EBA colpiscano in maniera particolare il sistema italiano, nelle sue specificità.


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Di fronte alla valutazione a prezzi di mercato dei titoli di Stato detenuti dalle banche, ai tempi stretti per la capitalizzazione, nonché ad altri aspetti, descritti meglio di me da altri colleghi, il mondo economico e finanziario nazionale è accomunato da una forte sensazione di disagio. Temo che tale stato d'animo non sia immotivato. D'altra parte, ci sarà pure qualche ragione se tutto il sistema chiede alla politica di riflettere sulle conseguenze delle decisioni assunte dall'EBA sulla tenuta del sistema economico nazionale, strettamente legata a quella del sistema creditizio.
Vorrei sapere, quindi, se l'EBA abbia maturato qualche ripensamento, anche alla luce di quanto avvenuto in seguito all'adozione della Raccomandazione.
Quali rassicurazioni può fornire, presidente, di fronte alle obiezioni formulate e alla diffusa sensazione di malessere, che, come rappresentanti del popolo italiano, abbiamo il dovere di riportare in questa sede?

IVANO STRIZZOLO. Ringrazio anch'io il Presidente Enria per la relazione.
Non voglio assumere il ruolo di suo difensore d'ufficio, presidente, perché sicuramente non ne ha bisogno, ma vorrei ricordare a quei colleghi che hanno espresso legittime critiche in merito all'intervento dell'EBA - in particolare, al collega Pagano - che l'istituzione delle tre authority europee ha rappresentato, e rappresenta, un passo importantissimo per cercare di armonizzare gradualmente le azioni di controllo. A mio modo di vedere, infatti, proprio la mancanza di controlli sui mercati finanziari, da parte delle autorità nazionali, ha determinato la situazione di difficoltà internazionale che conosciamo, con tutte le ricadute negative del caso.
È vero che ci sono alcune criticità, ma è anche logico nella fase di avvio di un nuovo sistema. Bisogna tener conto di certi equilibri. L'area dell'euro e l'Unione europea hanno caratteristiche specifiche. Pensiamo, ad esempio, alla posizione della Gran Bretagna: Cameron si oppone alla Tobin tax, di cui si sta discutendo in questi giorni. La situazione è molto articolata e complessa.
Giudico l'istituzione delle autorità di vigilanza europee un passo in avanti verso la costruzione di meccanismi di controllo e di garanzia più efficaci rispetto ai precedenti. Certo, per quanto riguarda situazioni come quella italiana, bisogna lavorare sulla flessibilità.
Vengo alla domanda. Ho appreso anch'io dalle agenzie di stampa che i depositi delle banche europee presso la BCE sono aumentati, rispetto a ieri, di circa 20 o 30 miliardi di euro. Ciò significa che c'è mancanza di fiducia tra gli stessi istituti bancari.
Proprio per le caratteristiche dell'economia del nostro Paese, se le piccole e medie imprese stanno attraversando un momento di particolare sofferenza, come hanno ricordato i colleghi, forse ciò dipende - e vorrei la sua opinione in merito, presidente - anche dalla scarsa efficienza dei consorzi di garanzia collettiva dei fidi, diventati autoreferenziali, poco innovativi e incapaci di offrire un adeguato sostegno alle PMI.
Il discorso sarebbe lungo, e i tempi sono strettissimi, ma teniamo conto anche del fatto che il sistema bancario detiene tonnellate, per così dire, di titoli di Stato. È evidente, quindi, lo stretto legame esistente tra l'attuale condizione del sistema bancario, il nostro soprattutto, e il debito sovrano. Non si può pensare di risolvere in poco tempo un problema di così ampia portata.
Credo che i rilievi e le proposte formulati dai colleghi siano assolutamente da prendere in considerazione, con la consapevolezza, tuttavia, che bisogna consolidare, gradualmente, un percorso di armonizzazione che l'Autorità bancaria europea sta contribuendo a costruire.

MAURIZIO DEL TENNO. Ringrazio anch'io il Presidente Enria per la sua partecipazione all'audizione odierna.
Prima di diventare deputato, sono stato presidente nazionale del gruppo dei giovani imprenditori di Confartigianato. In


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tale veste ho partecipato a incontri con i colleghi tedeschi, francesi e via dicendo, che mi hanno dato modo di apprendere quanto sia diversa la struttura della nostra economia, basata molto sulle piccole e medie imprese e, di conseguenza, sul sistema creditizio. In particolare, abbiamo molte piccole banche locali, che alle nostre imprese davano e danno grande assistenza.
Raccogliendo informazioni e articoli di stampa, ho cercato di seguire i suoi interventi in materia, presidente. Detto in maniera grossolana, mi pare generalmente condiviso il timore che le banche piccole siano assorbite da quelle più grandi e che queste ultime, a loro volta, finiscano in mani non italiane.
Vorrei darle, però, una notizia: da mesi, ormai, non sono erogate risorse alle imprese da parte delle banche, le cui sedi periferiche non fanno altro che uniformarsi a direttive in tal senso provenienti dagli uffici centrali. Non è un fatto opinabile: lo vivo sulla mia persona, in quanto imprenditore.
Nonostante tale comportamento mi sembri criticabile, ho apprezzato molto, presidente, il passaggio in cui ha affermato che il sistema bancario è comunque in pericolo, che le cose così non possono funzionare e che, pertanto, bisogna intervenire. Mi trova assolutamente d'accordo, ma è mio dovere segnalare la situazione di cui le dicevo poc'anzi.
In una recente intervista, il Governatore della Banca d'Italia ha dichiarato: «La questione del confronto con altri sistemi non riguarda i titoli di Stato. Riguarda certi asset che possono essere trattati in modo diverso tra i vari Paesi, perché le vigilanze nazionali sono diverse. La Banca d'Italia in taluni casi è più severa di altre. Per esempio, nei criteri relativi alla concessione di mutui. Ma la nostra azione di vigilanza sta anche aiutando le banche a superare la crisi. Se altri hanno un problema, sarebbe sbagliato importarlo. Dobbiamo piuttosto lavorare a un sistema di regole unico in Europa e applicato allo stesso modo».
Ricordo che, quando ci confrontavamo con i colleghi europei, emergeva che fare impresa all'estero era molto più semplice, perché le banche erogavano il credito in maniera più ampia che da noi. Secondo noi, il sistema di vigilanza cui devono sottostare le banche italiane, già piuttosto rigido, è sempre stato molto più efficiente di quello di altri Paesi. Le chiedo, quindi, se i criteri e i parametri per la ricapitalizzazione delle banche abbiano tenuto conto delle affermazioni del Governatore della Banca d'Italia e delle richieste provenienti dalle diverse economie, tra cui quella italiana. Se sì, è così sicuro dell'equità di tali parametri e delle conseguenti misure di ricapitalizzazione?

PRESIDENTE. Poiché sono state poste già tante domande, presidente Enria, vorrei avere soltanto un chiarimento.
Quali criteri giustificano il disallineamento temporale tra l'obbligo di costituire, entro giugno 2012, il buffer temporaneo a fronte delle esposizioni verso emittenti sovrani, ai valori di mercato di settembre 2011, e l'applicazione del mark-to-market sui restanti titoli a partire dal 2013? Nelle condizioni date è chiaro che le banche italiane subiscono il trattamento peggiore, perché scontano il differenziale tra i titoli italiani e i bund tedeschi. La valutazione ai prezzi di mercato dei titoli tossici detenuti dalle banche di altri Paesi, invece, si farà l'anno prossimo.
Occorrono parametri equi, altrimenti è chiaro che su di noi grandinerà: visto quanto è successo a Unicredit in questi giorni, se si chiede alle banche di ricapitalizzare entro il 30 giugno 2012, in un momento così difficile, mentre la scadenza era originariamente prevista per il 2015, l'effetto non potrà essere diverso.
Si parla sempre del sistema Italia e mai, ad esempio, delle Landesbanken tedesche, che tecnicamente sono fallite da qualche tempo. Inoltre, abbiamo visto Dexia superare alla grande gli stress test e arrivare a un passo dal fallimento dopo un mese, con la necessità, per i Governi, francese e belga di intervenire. Non è possibile che l'Italia sconti sempre una


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debolezza di rappresentanza, indipendentemente da chi sta al Governo.
Trovo inaccettabile il suddetto disallineamento. Come rilevato dal collega Fluvi, imporre la costituzione di un consistente buffer di capitale in un momento particolarmente difficile non è un'operazione esattamente anticiclica. Quando arriveranno tempi migliori, forse questi capitali saranno usati per altri scopi.
Mi interessa sapere anche se l'EBA stia valutando gli effetti che l'introduzione di una tassazione sulle transazioni finanziarie avrebbe per la stabilità del sistema.

LAURA RAVETTO. Chiedo scusa, ma ho una domanda velocissima.
L'ABI ha minacciato azioni legali volte a verificare la legittimità dell'esercizio EBA. I soci lamentano di aver già messo mano al portafoglio. Volevo sapere se queste azioni siano state effettivamente intraprese e se l'EBA le ritenga giuridicamente fondate.

PRESIDENTE. Do la parola al dottor Enria per la replica.

ANDREA ENRIA, Presidente della European banking authority. Ringrazio tutti per le domande e i commenti. Non sarà facile rispondere su tutte le questioni sollevate, ma cercherò di farlo. Vi prego di richiamare la mia attenzione se mi dovesse capitare di tralasciarne qualcuna.
Diversi temi sono stati riproposti in molti interventi. Il primo è quello del timing delle misure e dell'impatto recessivo sull'economia reale, in particolare sulle piccole e medie imprese.
Innanzitutto, se fosse stato già operativo un sistema anticiclico di buffer patrimoniali, le banche europee e mondiali sarebbero arrivate alla crisi con dotazioni di capitale molto più elevate e con un livello di leverage molto più basso. In quel momento, quindi, si sarebbe potuto usare quel buffer per assorbire le perdite.
Il problema vero è che siamo entrati nella crisi con livelli di capitale molto bassi. In tale situazione, le autorità di vigilanza si trovano di fronte a un dilemma: se non si chiede alle banche di rafforzare il capitale in un momento di difficoltà, esse stentano a fare funding sul mercato - perché gli investitori le considerano particolarmente rischiose - e finiscono per non finanziare l'economia, determinandosi, in tal modo, un impatto recessivo; se, invece, si chiede alle banche di aumentare il capitale, esse, come abbiamo visto, si lamentano, sostenendo che anche questa seconda opzione abbia un impatto recessivo. È un po' come trovarsi tra l'incudine e il martello.
Non c'è una soluzione semplice per questo problema. Come ho cercato di spiegare nella relazione, credo che tra la fine di giugno e la fine di settembre, per colpa delle preoccupazioni in merito alla crisi del debito sovrano, le banche, non reperendo più sul mercato liquidità a medio e lungo termine, abbiano cominciato a non concedere più credito. Abbiamo evidenza, sia pure soltanto aneddotica, di direttive inviate dalle sedi centrali alle filiali affinché il credito fosse erogato soltanto in caso di raccolta con analoga scadenza. In altre parole, per concedere un prestito a dieci o a tre anni a una piccola o media impresa, la banca deve procurarsi sul mercato un finanziamento dello stesso importo e con la medesima scadenza.
Ciò vuol dire che la funzione bancaria si è bloccata. L'onorevole Del Tenno ha rilevato come già da mesi le piccole e medie imprese non ottengano più credito. Ciò trova conferma nella lending survey della BCE. Le banche, incontrando difficoltà sul mercato della raccolta, hanno cominciato a rendere significativamente più restrittivi i criteri di selezione della clientela.
In siffatta situazione, ovviamente, il rischio di credit crunch e di deleveraging era molto forte e immediato.
Anche a me avrebbe fatto piacere che il capitale fosse stato aumentato prima della crisi. Poiché non era questa la situazione in cui ci siamo trovati, l'altra alternativa era astenersi dal richiedere l'aumento di capitale e lasciare che gli avvenimenti seguissero il proprio corso. Se


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avessimo scelto questa strada, però, avremmo avuto una restrizione del credito ancora più marcata, perché le banche che non trovano fondi sul mercato non fanno credito. L'unica possibilità che avevamo, quindi, era compiere un'azione combinata, che cercasse di sbloccare la raccolta e di ricapitalizzare le banche, per renderle più forti e maggiormente in grado di accedere al mercato in futuro.
Il processo che ha interessato le banche statunitensi nel 2009 è stato sostanzialmente analogo. Nel 2009, l'economia degli Stati Uniti ha attraversato una fase di recessione molto dura. Ebbene, le banche sono state forzate a ricapitalizzare, con le conseguenti, grandi lamentele. Hanno avviato un processo di deleveraging ordinato, nel senso che si sono rivolte al mercato per chiedere fondi annunciando un nuovo modello di business, dismettendo alcune attività e illustrando i piani industriali elaborati per tornare a creare profitti. Hanno trovato i capitali sul mercato, sono tornate ad avere profitti e hanno ripreso a finanziare l'economia.
Il passaggio è doloroso, ma conduce all'uscita dalla crisi. Se, invece, il problema non è risolto, ma nascosto sotto il tappeto a lungo - è successo nel caso del sistema creditizio giapponese, all'inizio degli anni Novanta -, le banche continuano a prestare poco, l'economia continua a crescere in maniera insufficiente e si ha un periodo di stagnazione molto più lungo.
Secondo me, è importante prendere il toro per le corna, rafforzare le banche con maggiore liquidità e cercare di uscire in maniera decisa dalla crisi.

PRESIDENTE. Mi scusi, presidente, ma c'è una cosa che non capisco. Gli americani hanno pompato moltissimo denaro nel sistema bancario, facendo l'operazione in deficit. Si dice che il TARP sia costato oltre 1.200 miliardi di dollari. Mentre nessuno può discutere che loro siano intervenuti in deficit, a noi dicono che non possiamo stampare niente. Come si finanziano, allora, le banche? È chiaro che, pompando denaro nel sistema, questo si risolleva, ma a pagare sono i contribuenti. Qui, chi lo fa?

ALESSANDRO PAGANO. Nessuno ci toglie dalla testa, indipendentemente dal nostro colore politico, che esista un disegno per far saltare il sistema bancario italiano e lasciare che sia fagocitato da altre realtà economiche e finanziarie.

ANDREA ENRIA, Presidente della European banking authority (EBA). Proverò ad affrontare anche questo aspetto, se mi concedete qualche minuto.
Credo che le strade possibili per uscire dalla crisi siano due. La prima è compiere, ora, un intervento incisivo per rimettere le banche su un sentiero di stabilità e di finanziamento dell'economia. L'altra è aspettare che succeda qualcosa in grado di risolvere il problema. A mio parere, la seconda via è più dolorosa e costa di più, nel lungo periodo, sia alle banche sia ai contribuenti.
Sulla questione dell'intervento pubblico, devo dire che molte delle diciannove banche statunitensi cui è stato chiesto di ricapitalizzarsi hanno raccolto i fondi necessari sul mercato. Hanno ricevuto aiuti, ma li hanno avuti anche le banche europee. Torneremo sulla questione della penalizzazione delle banche italiane, ma, se guardiamo le cose dalla prospettiva di un'autorità europea, dobbiamo riconoscere che anche in Europa sono stati concessi alle banche aiuti considerevoli.
Il problema è che le banche europee sono ancora percepite come non sicure dagli investitori mondiali. Avendo parlato a lungo con investitori asiatici, statunitensi e di altri Paesi, abbiamo constatato che c'è forte riluttanza a investire nel rischio bancario europeo. Questa riluttanza va vinta, altrimenti il sistema non ripartirà. È difficile eseguire esercizi controfattuali, ma senza la ricapitalizzazione la difficoltà di accedere al funding non scomparirebbe, così come permarrebbe, secondo me aggravandosi, il problema del finanziamento dell'economia.
Le questioni della valutazione ai prezzi di mercato dei titoli di Stato e della


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penalizzazione del sistema bancario italiano sono collegate.
In proposito, vorrei innanzitutto sfatare il mito secondo il quale valutare le poste dell'attivo al valore di mercato rappresenti una penalizzazione. Molte poste dell'attivo sono già valutate al valore di mercato e, quindi, sono soggette ad aumenti e a riduzioni. È il mestiere delle banche gestire questo tipo di volatilità. Farebbe piacere anche a me, in quanto presidente dell'Autorità bancaria europea, che tutta la cartamoneta emessa dagli Stati sovrani dell'Unione fosse considerata risk free, a rischio zero: avremmo una massa di attività prive di rischio molto più elevata, il sistema bancario sarebbe più stabile e il funzionamento del mercato monetario più ordinato.
Questa, però, non è la situazione in cui viviamo, a causa di decisioni politiche, a mio modo di vedere, non sempre corrette. Il coinvolgimento dei creditori privati nella ristrutturazione volontaria del debito greco e le dichiarazioni diffuse dopo il vertice di Deauville hanno reso possibile un haircut sulle emissioni sovrane, facendo in modo che, nella percezione dei mercati, il debito di alcuni Paesi fosse considerato più rischioso di quello di altri. Non si tratta di un fattore irrilevante. Se vogliamo sbloccare il mercato della raccolta, dobbiamo recuperare la fiducia degli investitori, convincendoli che le banche hanno risorse sufficienti per far fronte alle oscillazioni del valore di mercato dei titoli detenuti in portafoglio.
Il messaggio che trasmettiamo ai mercati con la ricapitalizzazione è che le banche europee sono forti.
L'intervista a Federico Ghizzoni pubblicata alcuni giorni fa da Il Sole 24 Ore era, a mio modo di vedere, molto positiva. Unicredit sta compiendo uno sforzo notevole per raccogliere il capitale sul mercato, ma, come afferma giustamente il suo amministratore delegato, al termine dell'operazione sarà una banca molto forte, in grado di sostenere l'economia: avrà superato il guado. È questo il messaggio che, secondo me, deve essere lanciato agli investitori, ai mercati e all'opinione pubblica.
Il presidente Conte ha sollevato la questione di Dexia. Ho sofferto particolarmente per questa vicenda, che dimostra la correttezza del criterio da noi adottato. In occasione dello stress test condotto prima dell'estate non abbiamo valutato al valore di mercato le esposizioni sovrane, perché pensavamo che il pacchetto di misure all'attenzione del Consiglio europeo avrebbe risolto il problema (compito che non spetta alle autorità di vigilanza). Dexia aveva superato il test in maniera molto positiva, perché dal punto di vista patrimoniale la sua posizione era solida. Essendo, però, una banca orientata alla finanza pubblica, deteneva quasi esclusivamente esposizioni verso organismi pubblici ed enti locali in Grecia, in Italia e in Spagna. Il mercato, viste tali esposizioni, non le ha più accordato neanche un euro di funding, e la banca si è trovata fuori mercato.
Per affrontare il problema della raccolta dei fondi e aiutare le banche a ripartire, come Autorità di vigilanza non avevamo altra scelta, a mio modo di vedere, se non quella di affrontare anche la questione della valutazione dei titoli.
Spero che l'azione dello European Financial Stability Facility, la sottoscrizione del trattato istitutivo dello European Stability Mechanism e l'entrata in funzione di quest'ultimo, già entro la prossima estate e con maggiori risorse, portino ad allentare le tensioni sul debito sovrano, facendo diventare il buffer temporaneo di capitale meno rilevante. Se, tuttavia, non adottassimo un rimedio immediato, le banche perderebbero l'accesso al mercato e smetterebbero di finanziare l'economia fin da ora.
Quanto al sistema bancario italiano, sono veramente convinto che non sia penalizzato. Da un certo punto di vista, condivido l'osservazione secondo la quale il sistema bancario italiano è stato meno coinvolto nel fenomeno della finanza strutturata e nelle attività che possono considerarsi all'origine della crisi nella sua


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prima fase. Ciò va a merito del sistema bancario italiano e della vigilanza della Banca d'Italia, istituzione da cui mi vanto di provenire.
In questo momento, però, il punto non è la penalizzazione. Il criterio, ripeto, è stato applicato in maniera uniforme a tutti.
Elaborare statistiche sui titoli cosiddetti tossici è molto complesso. Uno studio, ad esempio, indica che i titoli di livello 3 (quelli senza una valutazione di mercato, perché non hanno più un mercato, nei quali dovrebbero essere incluse tutte le attività strutturate uscite dal mercato) detenuti dalle quindici banche europee più grandi sono il 3 per cento del totale attivo. Esistono, tuttavia, statistiche molto diverse. Bisogna valutare quanto siano rilevanti.
Questi titoli hanno già subito un impairment, sono stati ridotti di valore in maniera considerevole negli anni passati e sono anche stati oggetto di uno stress test. Non dimentichiamo che la nostra Raccomandazione di dicembre ha fatto seguito a uno stress test svolto tra marzo e luglio del 2011, in occasione del quale, procedendo in collaborazione con un team di Autorità di vigilanza nazionali, abbiamo scandagliato i portafogli di tutte le banche, stressandoli e valutandoli in maniera congiunta (anche questo è un aspetto innovativo: prima della costituzione dell'Autorità bancaria europea non era mai stato fatto). Una verifica su questo tipo di attività è stata, quindi, eseguita. Una parte importante del requisito che introduciamo deriva dall'inasprimento dei criteri relativi a cartolarizzazioni, finanza strutturata e operazioni sul mercato dei capitali.

PRESIDENTE. Mi scusi, dottor Enria, ma le avevo chiesto perché il mark-to-market opera subito sulle esposizioni sovrane e soltanto dal 2013 sui restanti titoli.
Perché questa differenza di un anno?

ANDREA ENRIA, Presidente della European banking authority (EBA). Innanzitutto, i titoli tossici o strutturati non hanno un mercato: essendo per definizione non negoziabili sul mercato, e illiquidi, per la loro valutazione si ricorre a modelli (mark-to-model).
Negli ultimi due anni auditor e Autorità di vigilanza hanno rivisto le valutazioni di tali strumenti. Poiché non eseguiamo ispezioni nelle banche, non potrei mettere la mano sul fuoco in merito a quanto è stato fatto. Tuttavia, questi portafogli sono stati oggetto - ripeto - di diverse azioni da parte delle Autorità di vigilanza nazionali e degli auditor.
L'onorevole Del Tenno ha citato una dichiarazione in cui il Governatore Visco faceva riferimento al maggior rigore che la Banca d'Italia esercita nella valutazione di alcune poste dell'attivo rispetto ad altre autorità di vigilanza. Ebbene, nel corso dello stress test dello scorso anno è stato avviato un progetto per la valutazione delle differenze nelle attività ponderate per il rischio tra le diverse banche, anche all'interno dello stesso Paese. Stiamo chiedendo a banche di diversi Paesi di valutare le stesse attività, per capire cosa generi le differenze e per cercare di risolverle. Il Governatore Visco lo sa bene e appoggia il nostro lavoro. Siamo impegnati da mesi, con convinzione, per risolvere il problema della difformità nella valutazione delle attività tra Paese e Paese.
Anche le banche spagnole sono state sottoposte a stress test, e a sei casse di risparmio è stato chiesto di ricapitalizzarsi. Una è finita in amministrazione straordinaria. Il solo Banco Santander deve raccogliere tanto capitale quanto altre banche europee insieme.
È significativo lo sforzo cui sono chiamati altri sistemi. Per le banche tedesche pesano moltissimo il criterio «Basilea 2.5» (CRD 3) e il rafforzamento dei requisiti per le attività sul mercato dei capitali (la cui incidenza è pari al 70 per cento). Avrete notato che, tra la prima stima e la cifra finale pubblicata a dicembre, il numero delle banche tedesche è quasi triplicato, proprio per il rigore che è stato applicato nella valutazione di questo tipo di attività. Lo si deve al


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lavoro dell'Autorità di vigilanza nazionale: non voglio rivendicare alcun ruolo nel predetto processo.
Per quanto riguarda la perdita di valore dei titoli bancari, mi comprenderete se, in questa mia nuova funzione, mi asterrò dal discutere i casi riguardanti specifiche banche italiane. Non mi addentrerò, quindi, nella discussione su Unicredit e sul ruolo delle fondazioni, perché credo che ciò esulerebbe dal mio ruolo.
A tale riguardo, posso soltanto dire che la contrazione è stata rilevante, non ha interessato solo le banche sottoposte a ricapitalizzazione ed è legata al debito sovrano. Alcuni studi mostrano con chiarezza che quasi tutta la riduzione di valore nella capitalizzazione di borsa delle principali banche europee è dovuta all'andamento dei CDS spread (sostanzialmente, all'andamento della rischiosità percepita e alla quantità di funding che dovranno raggiungere nei prossimi anni). Quando gli investitori riscontrano che una banca deve raccogliere molti fondi nei mesi a venire, la giudicano rischiosa, con un CDS spread elevato, e ne vendono i titoli. Questo comportamento ha causato una perdita di valore molto consistente da agosto fino a oggi. Come ho già affermato, il passaggio dell'aumento di capitale è doloroso, ma rafforzerà il sistema e, come è successo anche negli Stati Uniti, lo metterà in condizione di riprendere a finanziare l'economia.
Un'altra domanda, echeggiata in diversi interventi, è riferita al «pacchetto» di misure proposte dall'EBA ad agosto dello scorso anno e alla mancata attuazione di alcune di esse.
Il fatto che non tutte le misure abbiano marciato con la stessa velocità che ha caratterizzato la «gamba» della ricapitalizzazione non ci lascia, è vero, del tutto soddisfatti. Tuttavia, sebbene non sia stato accolto il suggerimento, da noi formulato, di offrire garanzie pubbliche europee alle emissioni obbligazionarie delle banche (continuo a ritenere che questa fosse la risposta più efficace), è anche vero che c'è comunque la possibilità di offrire garanzie nazionali sulla raccolta a medio e lungo termine delle banche, alla quale si affianca l'intervento notevole della BCE. Ciò allenta moltissimo le tensioni sul funding e mette le banche in condizione di riprendere l'attività di lending.
Bisogna tenere conto, inoltre, delle decisioni assunte a dicembre dall'Eurogruppo in merito al rafforzamento del cosiddetto «Fondo salva-Stati» e all'accelerazione dell'entrata in vigore dello European Stability Mechanism. Il Fondo sta continuando a raccogliere risorse. Una delle raccomandazioni del Comitato europeo per il rischio sistemico è che sia accelerata l'attuazione delle altre misure, in modo da ricomporre l'unità del «pacchetto» cui ho fatto riferimento. Sembra che ciò stia avvenendo.
Per quanto concerne il comportamento delle banche, che starebbero depositando il denaro presso la BCE anziché prestarlo agli operatori economici, credo sia ancora presto per valutare gli effetti dell'operazione straordinaria compiuta dalla BCE prima di Natale. È chiaro che le banche europee, uscendo da un periodo di siccità - diciamo così - sul mercato della raccolta, vogliono dimostrare di essere sufficientemente liquide, di avere disponibilità di fondi. Ovviamente, se prendono a prestito dalla BCE all'1 per cento e depositano allo 0,25 per cento, perdono soldi. Di conseguenza, l'incentivo a smobilizzare gradualmente questi fondi e a farli fluire verso investimenti più redditizi è nell'ordine delle cose. Ci sarà un'altra asta a febbraio. L'aspettativa di tutti è che questa misura faciliti una ripresa dei prestiti.
Sull'opportunità di un'eventuale proroga delle misure di ricapitalizzazione previste dalla Raccomandazione formale dell'8 dicembre 2011 credo di avere già espresso chiaramente la mia opinione: una proroga danneggerebbe le banche che stanno compiendo sforzi per adeguarsi alle richieste nei tempi indicati. Vorrei anche ricordare che abbiamo consentito diversi interventi per raggiungere l'obiettivo della capitalizzazione. L'emissione di azioni è il più forte, ma le banche europee possiedono 200 miliardi di titoli ibridi ancora rientranti nel patrimonio di vigilanza.


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Molti di questi, per un valore di circa 80 miliardi, sono strumenti cosiddetti innovativi, che saranno esclusi dal patrimonio di vigilanza a partire da gennaio 2013 (altri non sono più considerati patrimonio da nessun analista o investitore, ma solo forme costose di funding). Abbiamo suggerito alle banche di ricomprare questi titoli e di sostituirli con capitale azionario, ovvero con emissioni presso investitori privati di strumenti di debito convertibili in azioni al ricorrere di determinati eventi (contingent capital), le quali saranno accettate ai fini dell'esercizio a patto che rispettino i requisiti di cui al term-sheet riportato nell'Allegato 3 alla Raccomandazione. Le banche potranno rafforzare la propria struttura patrimoniale, e rendere più facile il raggiungimento dell'obiettivo, proponendo agli investitori la sostituzione dei predetti titoli, che non hanno più un valore patrimoniale sufficientemente robusto, con altri più solidi.
Come chiedeva l'onorevole Fogliardi, saremo molto rigorosi nel valutare che si tratti effettivamente di cessioni e non di attività di riduzione del credito.
Vengo alla questione sollevata dall'onorevole Ciccanti con riferimento alle consultazioni pubbliche. Come lei ha ricordato correttamente, onorevole, l'articolo 16, comma 2, del Regolamento (UE) n. 1093/2010 prevede che sugli orientamenti e sulle raccomandazioni, che sono sostanzialmente dei documenti normativi, l'Autorità effettui consultazioni pubbliche. Non voglio dire che in questo caso non avremmo dovuto procedere in tal modo. Tuttavia, il regolamento stabilisce che alle consultazioni pubbliche si proceda «se del caso»: in materia vale, quindi, un principio di appropriatezza.
L'elaborazione delle misure recate dalla Raccomandazione è stata condotta dall'Autorità in maniera confidenziale, per non turbare mercati già sufficientemente volatili. In seguito, tali misure sono state sottoposte all'attenzione del Consiglio europeo, perché i Governi nazionali devono fornire il sostegno di ultima istanza nel caso in cui le banche non siano in grado di raccogliere i titoli sul mercato.
Una volta che il Consiglio ha approvato le misure, non sarebbe più stato ragionevole effettuare una consultazione pubblica. Comunque, abbiamo intrattenuto, in questo periodo, un dialogo intenso con numerose banche.
A proposito del ricorso dell'ABI, il regolamento istitutivo mette a disposizione degli interessati mezzi di ricorso avverso le nostre decisioni. Recentemente è stato costituito un board of appeal, formato da soggetti indipendenti e di elevata professionalità, che ha competenza a giudicare sui ricorsi proposti da qualsiasi parte interessata. Può adirlo chiunque ritenga che le nostre decisioni siano viziate da inadeguatezza, non siano in linea con la regolamentazione o siano andate al di là dei poteri a noi attribuiti dalla legislazione.

LAURA RAVETTO. Il ricorso dell'ABI è stato depositato?

ANDREA ENRIA, Presidente della European banking authority (EBA). Che io sappia, no. I canali, però, sono disponibili

MARCO CAUSI. È possibile rivolgersi alla Corte di giustizia contro le vostre raccomandazioni?

ANDREA ENRIA, Presidente della European banking authority (EBA). Non si tratta di regolamentazione approvata dalla Commissione. Se il canale della Corte di giustizia fosse percorribile e qualcuno intendesse seguirlo, sarebbe libero di farlo.
Per quanto riguarda la predisposizione di norme tecniche di regolamentazione, la Commissione approva i nostri progetti, per conferire loro valore giuridico vincolante. Di conseguenza, si applicano tutte le procedure previste per simili casi dalla legislazione comunitaria.
Per quanto riguarda, invece, le raccomandazioni e le decisioni dell'Autorità, non è previsto l'endorsement della Commissione, e il procedimento è diverso.
Anche a livello nazionale, quando la Banca d'Italia richiede a una banca un requisito patrimoniale aggiuntivo, ha il


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potere di andare al di là della regola, mentre la banca interessata dispone dei canali ordinari per far valere le proprie ragioni contro la decisione dell'Autorità di vigilanza.
Le nostre raccomandazioni non sono legalmente vincolanti. Ad esse si applica il principio «comply or explain»: sono rivolte alle autorità nazionali, che devono applicarle nei confronti delle banche sotto la loro responsabilità; se non ritengono di applicarle, devono spiegarne il motivo.

PRESIDENTE. Un'ultima domanda, presidente.
Il 20 gennaio scade il termine per presentare i piani di ricapitalizzazione. Dopo la «tempesta» Unicredit, cosa crede che faranno le altre banche chiamante a capitalizzarsi? Apriranno l'ombrello e aspetteranno che qualche «cavaliere bianco» arrivi in loro soccorso?

ANDREA ENRIA, Presidente della European banking authority (EBA). Mi consentirà di non inoltrarmi in previsioni sulle azioni che le banche intraprenderanno. Stiamo già constatando operazioni importanti sul capitale.
C'è grande volatilità sui mercati, ma invito ad aspettare che l'operazione di Unicredit termini: può darsi che essa si concluda con soddisfazione per il management e gli azionisti. Nessuno ha interesse ad avere una banca considerata fragile e non adeguatamente capitalizzata.
Sebbene non sia ancora pervenuta la conferma ufficiale da parte dell'Autorità spagnola, il Banco Santander, cui era rivolta una richiesta di ricapitalizzazione di circa 15 miliardi, ha comunicato di aver già raggiunto il target, attraverso una serie di operazioni sul capitale e la conversione di strumenti più deboli in azioni ordinarie.
Si stanno compiendo parecchi passi. Rimango convinto che, alla fine del processo, avremo un sistema bancario più robusto e maggiormente in grado di finanziare l'economia.

PRESIDENTE. Ringrazio il Presidente Enria per il tempo che ci ha dedicato e anche per la documentazione consegnata, di cui autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta (vedi allegato).
Dichiaro quindi conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 16.

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