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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissione VI
3.
Giovedì 12 gennaio 2012
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Conte Gianfranco, Presidente ... 2

INDAGINE CONOSCITIVA NELL'AMBITO DELL'ESAME CONGIUNTO DELLA PROPOSTA DI REGOLAMENTO DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO RELATIVO AI REQUISITI PRUDENZIALI PER GLI ENTI CREDITIZI E LE IMPRESE DI INVESTIMENTO (COM(2011)452 DEFINITIVO) E DELLA PROPOSTA DI DIRETTIVA DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO SULL'ACCESSO ALL'ATTIVITÀ DEGLI ENTI CREDITIZI E SULLA VIGILANZA PRUDENZIALE DEGLI ENTI CREDITIZI E DELLE IMPRESE DI INVESTIMENTO E CHE MODIFICA LA DIRETTIVA 2002/87/CE (COM(2011)453 DEFINITIVO)

Audizione dei rappresentanti dell'agenzia di rating Standard & Poor's:

Conte Gianfranco, Presidente ... 2 6 7 9 10 14
Barbato Francesco (IdV) ... 7
Cambursano Renato (Misto) ... 8
Causi Marco (PD) ... 9
Fluvi Alberto (PD) ... 7 13
Panichi Renato, Direttore per le istituzioni finanziarie italiane di Standard & Poor's ... 6 11 13
Pierdicchi Maria, Amministratore delegato di Standard & Poor's ... 2 10 14

ALLEGATO: Documentazione consegnata dai rappresentanti di Standard & Poor's ... 15
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro per il Terzo Polo: UdCpTP; Futuro e Libertà per il Terzo Polo: FLpTP; Popolo e Territorio (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, La Discussione): PT; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling; Misto-Repubblicani-Azionisti: Misto-R-A; Misto-Noi per il Partito del Sud Lega Sud Ausonia: Misto-NPSud; Misto-Fareitalia per la Costituente Popolare: Misto-FCP; Misto-Liberali per l'Italia-PLI: Misto-LI-PLI.

[Avanti]
COMMISSIONE VI
FINANZE

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di giovedì 12 gennaio 2012


Pag. 2


PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GIANFRANCO CONTE

La seduta comincia alle 14,30.

(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione dei rappresentanti dell'agenzia di rating Standard & Poor's.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo ai requisiti prudenziali per gli enti creditizi e le imprese di investimento (COM(2011)452 definitivo) e sulla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sull'accesso all'attività degli enti creditizi e sulla vigilanza prudenziale degli enti creditizi e delle imprese di investimento e che modifica la direttiva 2002/87/CE (COM(2011)453 definitivo), l'audizione dei rappresentanti dell'agenzia di rating Standard & Poor's.
Do la parola alla dottoressa Maria Pierdicchi per la relazione.

MARIA PIERDICCHI, Amministratore delegato di Standard & Poor's. La ringrazio, signor presidente.
Nel rivolgere un saluto a tutti i presenti, tengo a dire, innanzitutto, che mi fa molto piacere essere qui, nella mia qualità di responsabile per l'Italia e la Spagna di Standard & Poor's, per offrire alla Commissione la visione della società che rappresento sull'importante tema della regolamentazione bancaria.
Io e il mio collega Panichi, responsabile di un team di analisti italiani nel settore delle financial institution, ci siamo divisi gli argomenti. Comincerò illustrandovi un nostro studio sull'impatto che Basilea 3 e Solvency 2, i due blocchi principali della regolamentazione europea nei settori bancario e assicurativo, potranno avere in Europa e negli Stati Uniti. Il tema è oggetto del documento che abbiamo consegnato. Mi scuso se il testo è in inglese, ma non siamo riusciti a tradurlo in tempo per l'audizione: lo farò io durante l'esposizione.
Lo studio analizza l'impatto sull'economia - e soprattutto sul credito erogato alle imprese in Europa e negli Stati Uniti -, ma non considera altri aspetti importanti di Basilea 3, relativi all'impatto della regolamentazione sulla stabilità e sulla solidità del sistema bancario. Questo argomento sarà trattato più approfonditamente dal mio collega, in quanto rientrante nella sua specifica area di competenza.
Non c'è dubbio che Basilea 3 avrà un impatto importante in termini di requisiti di capitale, di liquidità, di rapporto tra debito e valore dell'attivo, cioè di leverage, e di maggiore equilibrio tra passivo e attivo bancario. I requisiti che saranno imposti tra il 2013 e il 2018 impatteranno


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sulla capacità di prestito, sul costo dei prestiti all'economia, ma anche e soprattutto sulla stabilità del sistema economico. Infatti, essi sono stati introdotti dopo la crisi del 2008, per tenere conto di alcune delle lezioni apprese.
Come dicevo, mi concentrerò sull'impatto per l'economia. Lo studio che vi è stato distribuito mostra come, pur rafforzando i settori bancario e assicurativo, le nuove proposte determinino, per le imprese, un incremento dei costi di finanziamento, una possibile riduzione del credito disponibile, nonché una contrazione del numero degli investitori in capitale di rischio.
Ovviamente, molto dipenderà dalle decisioni che saranno assunte in relazione ad alcune variabili. Il sistema bancario può operare diverse scelte per attuare Basilea 3: si può certamente lavorare sul capitale, ma anche sulla riduzione dell'attivo e della redditività, oppure su un bilanciamento di tali variabili.
Noi ci aspettiamo, tuttavia, che l'impatto sia notevolmente più forte per l'Europa che per gli Stati Uniti, perché le imprese europee, per finanziarsi, ricorrono molto di più al sistema bancario che al mercato dei capitali. Inoltre, ci aspettiamo che questi fenomeni penalizzino maggiormente le piccole società private rispetto alle grandi aziende, e più nel contesto europeo che in quello americano.
Sulla base delle ipotesi relative alla traslazione dei costi sul lato dei prestiti, Standard & Poor's stima che i costi di finanziamento per il settore industriale potrebbero aumentare, in aggregato, tra i 30 e i 50 miliardi di euro per i Paesi dell'Eurozona, e tra i 9 e i 14 miliardi per le aziende statunitensi. La differenza in termini di reddito interno lordo tra queste due aree è piuttosto bassa, ma l'impatto sarebbe diverso. Ciò si tradurrebbe in un aumento tra il 10 e il 20 per cento degli interessi pagati oggi dai prenditori corporate (il settore industriale) in Europa e negli Stati Uniti, con una variazione più verso il 20 per cento in Europa e più verso il 10 per cento negli Stati Uniti, variabile in base al return on equity, cioè al rendimento con cui le banche vorranno remunerare i propri azionisti. In passato tali remunerazioni sono state anche molto alte, ma dopo la crisi si stanno erodendo, anche per effetto di una serie di fattori esogeni di cui parlerà il mio collega. Noi ci siamo basati su una redditività che oscilla tra l'8 e il 15 per cento. Del resto, se le banche devono raccogliere capitale di rischio, devono poter remunerare i propri azionisti.
Non mi soffermerei sui building block di Basilea 3, cioè sugli elementi principali, che entreranno in vigore dal 2013 al 2018. Come ho già ricordato, si tratta di: requisiti di capitale, che dovrà essere più elevato e commisurato al tipo di attivo detenuto; requisiti di liquidità, sicuramente costosi per le banche; requisiti di maggiore bilanciamento tra scadenze delle passività e scadenze delle attività, che indurranno le banche a limitare il cosiddetto mismatching e a propendere per prestiti a breve anziché a lungo termine; requisiti di leverage, cioè di riduzione della leva finanziaria, che, in passato, è stata causa, non tanto in Italia quanto in altri Paesi, di notevoli crisi bancarie (parliamo di banche che, a fronte di un capitale relativamente basso, presentavano un attivo molto elevato).
Passerei, piuttosto, ai risultati della simulazione sviluppata da Standard & Poor's.
A pagina 4 del documento consegnato alla Commissione, nella tabella superiore, sono riportati i costi di raccolta incrementali da noi stimati. Si tratta dell'effetto dei nuovi requisiti di capitale, ipotizzando valori di return on equity dell'8, del 10 e del 15 per cento - la fascia che riteniamo più credibile in prospettiva -, e considerando tre categorie di prenditori, cioè di aziende che richiedono fondi: una categoria investment grade, che nel nostro linguaggio corrisponde a un rating tra BBB e AAA, quindi a basso rischio; una categoria non-investment grade, o a cavallo tra le due, cioè tra BBB e BB; una categoria speculative grade, con un livello di qualità del credito più basso, tra B e CCC. Supponendo che gli investitori chiedano alle


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banche una remunerazione del 10 per cento, stimiamo che l'incremento nei costi di raccolta oscillerà tra i 25 punti base per un prenditore investment grade e i 91 punti base per uno speculative grade. La stima tiene conto di condizioni normali. Non considera, di conseguenza, situazioni particolari, quale, ad esempio, quella che sta vivendo l'Europa per effetto di altri fattori. Il rischio sovrano produce un costo per le banche in termini di funding, ma si tratta di un elemento che non riguarda Basilea 3 e che può, semmai sovrapporsi ad essa.
Nella tabella inferiore sono indicati gli effetti dei capital requirement, cioè degli aumenti di capitale richiesti dalla regolamentazione, ma anche del cosiddetto net stable funding ratio, cioè degli altri requisiti che entreranno in vigore nel 2018 relativamente alla liquidità e alle scadenze della raccolta. In questo caso, il costo sale ancora di più: per un return on equity del 10 per cento si passa, infatti, da 56 punti base per un basso rischio a 112 punti base per un rischio più elevato, non-investment grade. È chiaro che questi rischi devono essere commisurati alla tipologia di azienda e stimati Paese per Paese. Di solito, a ciò provvedono le banche stesse, attraverso i propri sistemi di rating interno. È tuttavia presumibile, e abbastanza logico, che le aziende piccole e medie tendano a trovarsi in categorie di rischio più alto, cioè in categoria speculative grade. Normalmente, la minore dimensione tende a essere associata a una maggiore rischiosità.
Ovviamente, le stime sono indicative, perché le cose potrebbero cambiare. Non soltanto Basilea 3 potrebbe ridefinire o modulare in modo diverso la tempistica delle implementazioni prospettata oggi, ma anche i mercati finanziari, come sappiamo, potrebbero reagire, creando innovazioni e facendo in modo che le banche possano aggirare i requisiti o rendere disponibili altri strumenti per il credito all'impresa. Certamente, però, l'effetto di costo è notevole.
Procedendo, è interessante notare, nel grafico che potete vedere a pagina 5 del documento, come gli effetti di Basilea 3 e di Solvency 2 possano produrre un impatto in termini di maggior costo per diverse classi di attivi e di investimenti. In questo senso, è più penalizzato - e, quindi, potrebbe costare molto alle banche in termini di capitale - il private equity. Anche molte società di assicurazioni investono in fondi che investono in capitale di rischio (il fenomeno si presenta maggiormente in altri Paesi, per esempio in quelli anglosassoni, in Francia e in Germania). Chiaramente, poiché si tratta di una forma di investimento più rischiosa di altre, diventerà più costoso, per banche e assicurazioni, mantenere fondi di private equity, così come mantenere investimenti diretti in capitale di rischio. Tale costo aggiuntivo potrebbe causare una minore propensione a investire in capitale di rischio o in private equity, che, come sappiamo, è un volano importante soprattutto per la crescita di piccole e medie imprese.
Minore è l'impatto per il real estate e per il settore immobiliare.
Il maggior costo per i crediti a dieci anni ha un'incidenza di circa il 15 per cento. Per il credito a breve termine, invece, il costo per le banche diminuisce.
Presumibilmente, quindi, si avrà maggiore propensione a impiegare i fondi a breve termine, anche per l'esigenza di bilanciare le scadenze degli impieghi con le scadenze della raccolta.
Alcune aziende potrebbero incontrare difficoltà nella provvista di fondi a lungo termine. Ciò potrebbe indurre a finanziare con provvista a breve termine, più facile e meno onerosa, i fondi a lungo termine per investimenti. Il rischio è quello di uno sbilanciamento. Come sapete, il bilanciamento tra investimenti e raccolta a lungo termine è un fattore di solidità e di sana finanza anche per le aziende.
Mi sembra molto interessante mostrarvi - faccio riferimento al grafico a pagina 6 - in quale modo tale fenomeno potrebbe impattare in maniera diversa negli Stati Uniti rispetto all'area dell'euro. Nonostante la moneta europea abbia favorito un ricco mercato obbligazionario in euro in Europa, il valore di tale mercato


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si colloca a 2,2 trilioni di euro. È l'alternativa alle banche: se le aziende hanno la possibilità di finanziarsi direttamente sul mercato, possono supplire al minor credito erogato dalle banche per effetto delle regolamentazioni di cui stiamo discorrendo.
Negli Stati Uniti, invece, il finanziamento attraverso il mercato dei capitali è di 4,5 trilioni, più del doppio quindi, nonostante il reddito delle due aree geografiche non sia molto diverso. Negli Stati Uniti, infatti, il mercato dei capitali ha 150 anni di storia ed è molto più evoluto: le aziende hanno sempre fatto ricorso al finanziamento diretto sul mercato dei capitali, mentre le banche hanno una minore propensione a investire in prestiti. I prestiti sono limitati al capitale circolante o a fabbisogni temporanei, ma non di lungo termine, perché le banche hanno goduto di una minore protezione da parte dello Stato. Negli Stati Uniti i fallimenti bancari sono sempre stati una realtà. Poiché, in caso di difficoltà, i rischi non sarebbero stati sostenuti dalla mano pubblica, le banche statunitensi hanno limitato l'esposizione nei prestiti. La cultura di accesso al mercato dei capitali è, quindi, molto più ampia.
In Europa, con la crisi, a partire dal 2007-2008, abbiamo assistito a un maggiore ricorso delle aziende al mercato dei capitali, soprattutto in Paesi come Germania e Francia. I Paesi anglosassoni erano già più avanti. In Italia il fenomeno è più contenuto, ma in Europa la crescita è evidente. Quest'anno anche aziende di piccole e medie dimensioni hanno partecipato alla raccolta sul mercato dei capitali, che complessivamente è stata molto estesa.
In Italia, ripeto, le dimensioni non aiutano, e molte aziende, non essendo quotate, non hanno la struttura e la capacità per presentarsi ai mercati dei capitali. È indubbio, tuttavia, che Basilea 3 spingerà le imprese a ricorrere al mercato dei capitali, emettendo obbligazioni e altri titoli di debito. Ciò è auspicabile, perché potrà compensare la minore o più onerosa disponibilità di credito da parte delle banche.
Per quanto riguarda la dipendenza dal mercato, come mostra la slide 7, non è maggiore solo il volume generale del mercato obbligazionario americano rispetto a quello europeo, ma anche la quota di finanziamento delle imprese. Negli Stati Uniti l'80 per cento del fabbisogno dell'impresa viene soddisfatto attraverso il mercato, mentre in Europa siamo tra il 20 e il 30 per cento. In Italia, mediamente, l'80 per cento del fabbisogno del settore industriale è soddisfatto attraverso il canale bancario, spesso a breve termine e con garanzie reali. Ciò rende più vulnerabili le imprese italiane ed europee rispetto ai fenomeni che potranno verificarsi in futuro.
Anche in questo caso si tratterà di vedere quale sarà la scelta delle banche. Alcune di esse potrebbero decidere di rafforzare il capitale, e di continuare a espandere l'attivo - se avranno la possibilità di farlo e se i mercati lo consentiranno -, garantendo la remunerazione del capitale, oppure potranno ridurre l'attivo. Uno dei fenomeni a cui stiamo già assistendo in Europa è la riduzione o il controllo delle attività, per mancanza del capitale necessario al finanziamento di una espansione delle stesse.
Le banche potrebbero anche accettare rendimenti sul capitale più bassi, ma dipenderà da ciò che i mercati chiederanno loro. Nel caso delle banche quotate, infatti, gli investitori esigono rendimenti in linea con altri del medesimo tipo. Se, quindi, le banche statunitensi o di altri Paesi garantiranno rendimenti più elevati, è difficile pensare che quelle europee possano finanziarsi con rendimenti più bassi. La situazione è abbastanza critica e sicuramente produrrà alcuni cambiamenti.
L'effetto aggregato in miliardi di dollari della nostra simulazione mostra, come si può vedere a pagina 8 della presentazione, un impatto maggiore per l'Eurozona. Considerando rendimenti del capitale dell'8, 10 e 15 per cento, l'impatto in termini di maggiori costi e maggiori interessi da pagare supera i 60 miliardi di euro, mentre per i corporate borrower negli Stati Uniti arriva appena a 10-12 miliardi.


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In conclusione, le banche dovranno sicuramente raccogliere capitale o, in alternativa, ridurre le attività. Il rischio che aziende più piccole, meno diversificate e più dipendenti dal canale bancario, si trovino in difficoltà, o debbano pagare di più il credito erogato, sicuramente esiste.
Ricordiamo, però, che i mercati dei capitali hanno la capacità di rinnovarsi e di inventare nuovi prodotti. L'innovazione finanziaria può facilitare un processo di riallocazione del risparmio in forme e con strumenti diversi. Lo stesso sviluppo dei mercati obbligazionari, in questo senso, può dare una risposta.
Per quanto riguarda l'impatto sulle banche, poiché abbiamo il cappello dell'agenzia di rating, che valuta i rischi di insolvenza e la capacità di rimborso, riteniamo che Basilea 3 sia un elemento di forza del sistema.
Su questo argomento, se lo consente, signor presidente, lascerei la parola al collega Renato Panichi.

PRESIDENTE. Prego, dottor Panichi.

RENATO PANICHI, Direttore per le istituzioni finanziarie italiane di Standard & Poor's. Il mio intervento si focalizzerà esclusivamente sull'impatto di Basilea 3 sul sistema bancario, a prescindere dagli eventuali costi o benefici al di fuori di esso.
È importante sottolineare che Basilea 3 rappresenta una modifica sostanziale, uno sviluppo della regolamentazione bancaria. Il precedente momento di discontinuità era rappresentato da Basilea 2, ma Basilea 3 modificherà la struttura della regolamentazione in maniera più pervasiva. Ciò non deve essere considerato come un aspetto negativo.
La crisi finanziaria, iniziata nel 2008 negli Stati Uniti e poi giunta anche in Europa, ha evidenziato parecchi limiti intrinseci al sistema di Basilea 2. Nei fatti, le banche di tutto il mondo sono entrate nella crisi finanziaria con un deficit di capitale.
Nel complesso, Standard & Poor's considera l'essenza delle proposte di Basilea 3 in linea con il proprio approccio analitico. In questo senso, condividiamo molte delle scelte che sono state operate. Lo spirito della proposta di Basilea 3 è anch'esso coerente con le aspettative, a oggi fattorizzate nei rating, di un rafforzamento patrimoniale di tutte le banche (cosa che sta già avvenendo).
Tuttavia, è molto importante, anche dal vostro punto di vista, che Basilea 3 sia applicato in maniera uniforme in tutti i Paesi. Anche per noi analisti sarebbe difficile accettare che una proposta di regolamentazione sia attuata da ciascun Paese in maniera diversa, com'è successo con Basilea 2, che non è stato adottato da alcuni Paesi, tra cui gli Stati Uniti. Coerenza e uniformità nell'applicazione sono cruciali, affinché il sistema di regole sia omogeneo e permetta alle banche di operare a parità di condizioni. A livello competitivo, si tratta di un aspetto importante.
Per quanto riguarda i costi legati all'adozione di Basilea 3, essi vanno confrontati con i benefici che l'accordo apporterà in termini di stabilità del sistema finanziario. La stima che Maria Pierdicchi ha citato non è molto diversa da quelle diffuse, ad esempio, dall'OCSE, come ricordava ieri, in questa sede, Andrea Enria. Si tratta di pochi decimi di PIL e, quindi, di un costo tutto sommato accettabile a fronte di una maggiore stabilità del sistema finanziario.
Vorrei ora fornirvi la nostra opinione su alcuni punti più specifici di Basilea 3.
Il primo attiene agli strumenti ibridi di patrimonio. Si tratta di un'area di intervento importante di Basilea 3, che modifica in maniera piuttosto incisiva l'approccio precedente. S&P è d'accordo con la proposta introdotta da Basilea 3 su questo punto, perché ritiene che gli strumenti ibridi di patrimonio per le banche non abbiano ben funzionato. Infatti, essi non hanno adempiuto al compito di assorbire le perdite. La situazione cambierà con Basilea 3, che è perfettamente in linea, sotto questo profilo, con il nostro approccio analitico.
La previsione dei due indicatori di liquidità, liquidity coverage ratio e net


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stable funding ratio, è altrettanto positiva, perché aiuterà la stabilità del sistema finanziario. In questo caso, è molto importante la calibrazione che le autorità effettueranno nei prossimi anni, durante i quali sarà avviata una fase di osservazione, dopo di che i due ratio diventeranno requisiti minimi, rispettivamente, a partire dal 1o gennaio 2015 e dal 1o gennaio 2018. Del resto, come sempre succede, il diavolo si nasconde nei dettagli. È, quindi, importante che la calibrazione sia effettuata in maniera coerente, ma siamo rassicurati sul ruolo che svolgeranno le autorità.
Come dicevo, è importante che l'applicazione sia coerente e uniforme in tutti i Paesi. Ciò vale per tutte le proposte, ma in particolare per i ratio di liquidità.
Da ultimo, è bene ricordare che un certo disallineamento temporale tra le attività e le passività bancarie è sempre necessario. Nonostante i due ratio cerchino di allineare le scadenze tra attività e passività, è insito nel ruolo delle banche avere un mismatch temporale tra attivo e passivo dello stato patrimoniale. Questo deve rimanere, e probabilmente rimarrà, sia pure in misura meno accentuata rispetto al passato.
L'ultima modifica rilevante di Basilea 3 è rappresentata dall'introduzione di un ratio di leva finanziaria. Si tratta di una modifica piuttosto incisiva rispetto a Basilea 2. Il nostro giudizio è positivo, perché la leva finanziaria non è altro che un ulteriore indicatore mediante il quale i mercati e le stesse autorità possono misurare il patrimonio di una banca. L'importante è che a tale indicatore non sia assegnato un ruolo eccessivo. In proposito, ci sembra che lo spirito della regolamentazione vada nella direzione che noi condividiamo. Tutti gli indicatori hanno pro e contro. L'importante è che se ne conoscano i limiti, soprattutto quando si misura la capitalizzazione di sistemi bancari con caratteristiche diverse, che si riflettono nei diversi indicatori di patrimonio.
Questa è la nostra visione di Basilea 3 dal punto di vista dell'impatto dell'accordo sul sistema bancario in generale.

PRESIDENTE. Do la parola ai colleghi che intendano porre quesiti o formulare osservazioni.

FRANCESCO BARBATO. Ringrazio, anche a nome del gruppo parlamentare Italia dei Valori, i rappresentanti di Standard & Poor's.
In occasione dei recenti incontri tra Angela Merkel e Mario Monti è stata trattata la vexata quaestio del nostro debito pubblico, che rappresenta la vera palla al piede del Paese. A tale proposito, pare sia stata presa in considerazione la possibilità di un riassorbimento ventennale del debito, che, nei termini in cui se n'è parlato, metterebbe in ginocchio l'Italia più di quanto lo sia già. Fare manovre economiche da 40 miliardi di euro all'anno significherebbe andare davvero oltre la recessione.
Alla luce delle integrazioni che il Premier Monti vorrebbe apportare al predetto «piano di rientro», e considerando, ai fini della formulazione di un giudizio complessivo, fattori di cui, al momento, non si tiene conto, come la qualità di ottimi risparmiatori degli italiani, gradirei conoscere la vostra valutazione del rating dell'Italia, in relazione alle situazioni che potrebbero determinarsi in base ai nuovi accordi.
Qualche vostro concorrente sostiene che dovremmo essere declassati. Voi che ne pensate?

ALBERTO FLUVI. Ringrazio i nostri ospiti per la relazione.
La mia prima domanda trae spunto dalle osservazioni del dottor Panichi sul costo della raccolta e dai risultati di un'interessante indagine di Mediobanca, pubblicata pochi giorni fa, relativa agli interventi pubblici a favore delle banche e delle istituzioni finanziare in Europa e negli USA. In particolare, Mediobanca sostiene che, dall'inizio della crisi, siano stati spesi, negli Stati Uniti, 2.851 miliardi di dollari, con 1.366 istituti coinvolti, e in Europa 2.356 miliardi di euro, con 174 istituti coinvolti.
Chiedo, quindi, se il maggior costo della raccolta e l'eventuale maggiore solidità


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degli istituti bancari, derivanti dai nuovi requisiti di Basilea 3, si tradurranno, almeno in teoria, in minori costi a carico del bilancio pubblico. A tale proposito, sarei portato a condividere il ragionamento del dottor Panichi: è vero che, probabilmente, la raccolta costerà di più, ma ciò avrà come contrappeso il beneficio della solidità del sistema bancario. Il rapporto costi-benefici è, quindi, simile a quello cui faceva riferimento l'OCSE nelle scorse settimane.
Il punto principale, a mio avviso, è costituito dall'uniforme applicazione dei regolamenti. Nel Rapporto sullo stato di avanzamento nell'attuazione di Basilea 3, redatto dal Comitato di Basilea a ottobre 2011, si evince chiaramente quali Paesi abbiano già attuato le regole di Basilea 2 e Basilea 2.5, e quali li stiano ancora sperimentando. Gli Stati Uniti fanno parte di quest'ultimo gruppo. Inoltre, se e quando adotteranno Basilea 2, 2.5 e 3, gli Stati Uniti applicheranno tali accordi non a tutte le istituzioni finanziarie, ma solo alle grandi banche. In Europa, invece, Basilea 3, come gli altri accordi precedenti, riguarda tutte le istituzioni finanziarie.
Credo che il mancato livellamento del campo di gioco, il level playing field, sia uno dei maggiori problemi che dovremo affrontare.
Condivido pienamente le considerazioni svolte in merito alla maggiore dipendenza dalle banche del sistema economico europeo, in special modo di quello italiano. Non fa parte della cultura delle imprese europee, e ancora meno delle nostre imprese, finanziarsi accedendo al mercato dei capitali, anziché al credito bancario. Ciò produce sicuramente costi aggiuntivi.
Considerato questo particolare modello di sviluppo, è possibile immaginare, all'interno di Basilea 3, qualche misura che tenga conto della specificità del sistema economico europeo, in particolare di quello italiano, caratterizzato da una imponente presenza di piccole e medie imprese?
Come i precedenti accordi, anche Basilea 3 interviene in maniera pesante sui requisiti di capitale, dimenticando che, nel caso di Lehman Brothers, ad esempio, il problema era rappresentato non dal patrimonio, ma dalla leva finanziaria. È vero che Basilea 3 apre in questa direzione, ma solo dal 2018, a conclusione di una fase di sperimentazione. I nuovi requisiti di capitale, invece, entreranno in vigore a partire dal prossimo anno. A mio avviso, siamo di fronte a una contraddizione, che penalizza la banca commerciale di tipo tradizionale, presente in Europa e, in particolare, in Italia, rispetto alla banca di investimento, presente negli Stati Uniti.
Da ultimo, vorrei un commento dei nostri ospiti sul rapporto tra il percorso finalizzato all'attuazione di Basilea 3, come delineato nelle proposte di regolamento e di direttiva, e l'esercizio dell'Autorità bancaria europea, che imprime un'accelerazione all'incremento dei requisiti di capitale, creando, a mio avviso, un'altra palese contraddizione. Infatti, mentre Basilea 3 prevede la costituzione di buffer di capitale da accumulare nei periodi di crescita, e da utilizzare nei periodi di difficoltà, la Raccomandazione formale dell'EBA dell'8 dicembre scorso si basa su una logica diametralmente opposta, imponendo la creazione di un buffer aggiuntivo nel momento di maggiore difficoltà.

RENATO CAMBURSANO. Ringrazio i rappresentanti di Standard & Poor's.
Come il presidente Conte e i colleghi sanno, non faccio parte di questa Commissione: sono un intruso, e me ne scuso. Non so quali siano stati i criteri per l'individuazione delle istituzioni da invitare a contribuire a questa indagine conoscitiva, ma mi fa piacere avere di fronte a me forse la più importante società di rating.
L'indagine conoscitiva, come riferisce testualmente lo speech di cui ha dato lettura il presidente, è svolta nell'ambito dell'esame congiunto delle due proposte, di regolamento e di direttiva, predisposte dalla Commissione europea con diretto riferimento alle norme regolamentari di Basilea 3.


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Probabilmente, non avendo seguito il percorso precedente, sono fuori tema, ma mi piacerebbe molto sapere - è questa la domanda fondamentale che, di solito, poniamo ai soggetti che partecipano alle nostre audizioni - cosa pensino i rappresentanti di Standard & Poor's della nuova regolamentazione, e se abbiano suggerimenti da offrire a questa Commissione e al Parlamento, ai fini della formulazione di specifiche proposte dell'Italia.
La dottoressa Pierdicchi, amministratore delegato di Standard & Poor's Italia, è cittadina italiana. A lei desidero chiedere, in particolare, se abbia qualche suggerimento migliorativo, ovvero se esista, nelle proposte di regolamento e di direttiva all'esame della Commissione, qualche disposizione non confacente al nostro caso, che possiamo proporre di modificare. Credo che siamo qui per questo.
Per il resto, condivido quanto è stato detto, forse perché provengo dal mondo delle banche (mi viene contestato in continuazione, ma ne vado anche fiero).
Certo è che, in questo momento, le attenzioni sul sistema bancario e finanziario italiano sono evidenti. La buona notizia è che il differenziale con i titoli tedeschi, sebbene ancora alto, sta calando. Qualche istante fa era di 478 punti. Inoltre, la banca che, insieme ad altre, era nell'occhio del ciclone sta guadagnando il 12 per cento. È un buon segno.
Tuttavia, considerato che il sistema bancario riflette le difficoltà del Paese, le prescrizioni dell'EBA risultano molto pesanti per i nostri istituti di credito. Chi - lo dico senza intento polemico - poteva tentare di migliorarle, o di renderle meno incisive, le ha, invece, accettate senza colpo ferire, benché il sistema italiano, anche per l'arretratezza del proprio sistema bancario, non fosse in alcun modo colpevole di quanto accaduto. Bene ha fatto, quindi, il Presidente Monti a ricordare alla Cancelliera tedesca Merkel che la crisi proviene non dall'Europa, ma dagli Stati Uniti e dal mondo anglosassone in generale. Ciò nonostante, noi, che non abbiamo avuto grandi responsabilità nella crisi abbattutasi su tutto il mondo occidentale, in particolare sull'Europa, rischiamo di pagarne le conseguenze maggiori.
A titolo personale - faccio parte del gruppo Misto, senza essere iscritto ad alcuna componente -, sono favorevole a Basilea 3, se attuato nel lungo periodo. Infatti, i rischi collegati a un'applicazione tout court sono elevatissimi. È stato giustamente sottolineato che il coefficiente di leva finanziaria, ad esempio, dovrebbe essere attivato con maggiore coerenza. Non posso che essere d'accordo.
Chi ci garantisce, tuttavia, che le regole di Basilea 3 saranno applicate, come anche voi raccomandate, in modo identico in tutti i Paesi? Occorre considerare che il nostro sistema imprenditoriale, come la dottoressa Pierdicchi ha evidenziato, è totalmente diverso da quello europeo e soprattutto da quello del mondo anglosassone.
Tornando alla domanda principale, vorrei sapere quali indicazioni e suggerimenti abbiano da offrirci i nostri ospiti. Si tratta di capire cosa possiamo fare, come Commissione e come Parlamento italiano, in ordine a due iniziative importantissime, che segneranno la storia dell'Italia e dell'Europa nei prossimi mesi e nei prossimi anni.

PRESIDENTE. È esattamente la domanda che avrei posto io, onorevole Cambursano.

MARCO CAUSI. Mi associo ai ringraziamenti.
Stimolato dalle considerazioni della dottoressa Pierdicchi e del dottor Panichi, nonché dal materiale che ci è stato consegnato, mi permetto di rivolgere una domanda un po' teorica e, forse, anche esoterica.
Le riflessioni che abbiamo ascoltato sono molto importanti. In tema di struttura del sistema bancario, ad esempio, la presentazione mostra come il sistema di finanziamento alle imprese negli Stati Uniti sia totalmente diverso da quello prevalente in Europa. Ciò si riflette anche sulla struttura del sistema finanziario.


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Dobbiamo forse riflettere sul modello della banca universale? Insomma, in un mondo in cui abbiamo deciso, che ci piaccia o meno, di tenere più sotto controllo i rischi, e di valutarli con maggiore prudenza rispetto al passato, mi chiedo se operatori finanziari specializzati possano svolgere tale compito meglio di quanto non possano fare, invece, operatori di tipo universale e, quindi, non specializzati, riducendo, in tal modo, la percezione complessiva del rischio.
In questo nuovo mondo, conviene, in Europa, mantenere il modello della banca universale, oppure no?

PRESIDENTE. Ringrazio i colleghi.
Vorrei avere un semplice parere: è tempo di «buy» per il sistema italiano? Secondo voi, il roadshow cui si sta dedicando il Presidente Monti in questi giorni sarà utile per cambiare la percezione del Paese? Ne terranno conto le agenzie di rating?
Fino a oggi, mi sembra che non si sia operato per un livellamento del terreno di gioco, e che, con riferimento ai fondamentali dell'Italia, non sia stata tenuta nella giusta considerazione la nostra capacità di risparmio e di ripresa.
Non è forse vero che, nel processo di elaborazione del rating, bisogna tenere conto anche delle caratteristiche e delle potenzialità di un Paese?
Do la parola ai nostri ospiti per la replica.

MARIA PIERDICCHI, Amministratore delegato di Standard & Poor's. Comincio io, ma lascerò subito spazio a Renato Panichi, il quale ha sicuramente tanti elementi per rispondere.
La domanda del presidente si riallaccia a quella posta dall'onorevole Barbato a proposito del debito sovrano. Innanzitutto, poiché non mi occupo di questa materia, non posso esprimere alcuna opinione in merito. Peraltro, da noi vige una separazione netta tra analisti e non analisti. Non essendo analista, non potrei mai dire, quindi, come valutiamo determinate manovre economiche. È compito dei nostri analisti farlo.
Posso soltanto ricordare che, nel mese di ottobre, l'Italia è stata declassata da Standard & Poor's ad A, con prospettive negative. Tuttavia, la forza del tessuto economico italiano è stata da noi riconosciuta. Per rispondere alle osservazioni del presidente Conte, noi sappiamo che l'Italia è un Paese diversificato, con un'economia piuttosto ricca, un forte risparmio privato e un sistema bancario che ha sofferto meno degli altri. Si tratta, indubbiamente, di elementi di forza.
L'abbassamento del rating è dovuto ad altri fattori, in particolare alla difficoltà di intraprendere un percorso di riduzione del debito, in presenza di una crescita sempre più scarsa. Lo scenario è quasi recessivo, anche se, per l'Europa, non prevediamo ancora una recessione, ma piuttosto quella che chiamiamo una mild recession. Spetterà ai nostri analisti considerare le difficoltà a ridurre il debito e ad innescare quelle riforme strutturali che il nuovo Governo sta affrontando.
Inoltre, insieme ad altri quindici Paesi, l'Italia è sotto osservazione per fattori riferiti all'Eurozona nel suo complesso. Al di là dei singoli Stati membri, esiste, infatti, un problema europeo, costituito, essenzialmente, dalla mancanza di coesione nelle decisioni politiche e, più specificamente, di consenso su determinate scelte, che ancora non si è formato con chiarezza. Non posso essere più esaustiva di così sia perché non è questo il mio ruolo, sia perché l'agenzia non si è espressa al riguardo dopo le due azioni che ho ricordato.
Per quanto riguarda la domanda relativa al costo della raccolta, i dati di Mediobanca e il peso per i bilanci pubblici dei salvataggi bancari, non disponiamo di stime precise. Ritengo - forse, il mio collega potrà aggiungere qualcosa - che la maggiore stabilità del sistema bancario dovrebbe ridurre il ricorso al lender of last resort, che interviene nei casi di dissesto. È pur vero, d'altro canto, che poter ricorrere al sostegno pubblico è un elemento importante per qualsiasi sistema. Dopo la crisi, i nostri criteri di analisi riferiti alle banche sono stati completamente rivisti,


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per tener conto degli interventi dei singoli Stati e delle diverse situazioni che si sono verificate. Abbiamo creato, sul piano metodologico, un collegamento molto più stretto tra il sistema bancario di un Paese e il sostegno pubblico, avendo constatato che le due variabili sono strettamente collegate.
Non disponiamo, comunque, di stime relative a tali costi. In Europa, alcuni Paesi sono stati molto meno interventisti in confronto ad altri, perché non hanno avuto bisogno di agire. Il sistema bancario italiano, per esempio, non ha avuto bisogno di salvataggi, com'è stato necessario, invece, per altri sistemi dotati di modelli di business più rischiosi e con leve più elevate.
Il controllo della leva finanziaria cerca di limitare, appunto, le situazioni in cui una crisi sistemica può determinare forti destabilizzazioni e possibili fallimenti.
Lo stesso vale per la liquidità. In molti casi, come sappiamo, la crisi ha riguardato più la liquidità che la solvibilità. Tuttavia, una crisi di liquidità diventa facilmente, nel sistema bancario, crisi di solvibilità, per l'effetto sistemico di contagio. I due aspetti sono, quindi, molto collegati.
Sull'uniformità di applicazione della regolamentazione, lascerei la parola al collega Panichi.

RENATO PANICHI, Direttore per le istituzioni finanziarie italiane di Standard & Poor's. Risponderò alle domande - alcune di esse sono collegate - nell'ordine in cui sono state poste, iniziando da quelle di carattere bancario, e a prescindere dalle valutazioni sul rating sovrano.
Basilea 3 è stato introdotto affinché il bilancio pubblico non debba più sostenere i costi legati ai fallimenti bancari. Si è iniziato negli Stati Uniti con il Dodd-Frank Act e, in Europa, si sta facendo una cosa analoga con Basilea 3 e con proposte di risoluzione di crisi bancarie.
Il percorso europeo è più difficile, perché la crisi del debito sovrano ha creato problemi aggiuntivi. Il leitmotiv è, comunque, far sì che il bilancio pubblico non debba più farsi carico degli oneri legati ai fallimenti bancari, cercando di introdurre all'interno del sistema bancario forme di maggiore responsabilizzazione. Gli strumenti a tal fine individuati sono i ratio di liquidità e i maggiori requisiti patrimoniali: si tratta dei due rami principali di Basilea 3, che consentirà di raggiungere, probabilmente, l'obiettivo cui si mira.
Certo, non si può pretendere che una sola medicina curi tutti i tipi di malattia possibili: Basilea 3 è stato pensato per curare un certo tipo di malattia, ossia la crisi che nasce dentro la banca, la stessa che ha innescato la prima crisi finanziaria del 2008, dalla quale, tutto sommato, il sistema bancario italiano non è stato investito.
Cosa diversa è la crisi dei debiti sovrani. È irrealistico pretendere che Basilea 3 possa rimediare anche a questo. Dal nostro punto di vista, però, è molto importante il ruolo di stabilizzazione del sistema finanziario che Basilea 3 potrà svolgere, a prescindere dal ruolo giocato dagli Stati e dai debiti sovrani.
Per quanto riguarda l'uniformità nell'applicazione dei regolamenti, ho ricordato che Basilea 2 non è stato applicato in maniera uniforme in tutti i Paesi. Gli Stati Uniti, ad esempio, non l'hanno affatto applicato. Per Basilea 3 staremo a vedere. Non spetta a noi raccomandare agli Stati cosa debbano fare: come analisti, ci limitiamo a osservare. Certo, preferiremmo un mondo uniforme, perché anche il nostro lavoro sarebbe più facile: chiaramente, forme di regolamentazione diverse complicano le cose, perché rendono necessario procedere a riclassificazioni, volte a rendere i rating omogenei.
È possibile - lo sappiamo - che l'applicazione non sia uniforme. Secondo noi, sarebbe più grave se ciò accadesse all'interno di aree omogenee, come l'Europa. L'auspicio è, pertanto, che l'applicazione sia uniforme, quanto meno in tutti gli Stati membri dell'Unione europea.
Ricordo che Basilea 2 non è stato applicato in maniera uniforme, nel senso che ciascun regulator nazionale ha apportato modifiche. Ad esempio, tornando a un aspetto che ho affrontato nel precedente


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intervento, gli strumenti ibridi di patrimonio sono stati strutturati in maniera diversa da Paese a Paese. Il risultato è stato che, in alcuni Paesi, le banche hanno emesso una grande quantità di strumenti ibridi, in altri una quantità molto minore. L'Italia si è caratterizzata per una presenza limitata degli strumenti ibridi nel patrimonio delle banche, grazie all'azione di dissuasione della Banca d'Italia.
Con una maggiore integrazione sarà possibile applicare la regolamentazione in modo omogeneo. Tra l'altro, ora esiste un'autorità europea di vigilanza, cioè l'EBA, cui è attribuito lo specifico compito di elaborare progetti di norme tecniche di regolamentazione. Crediamo che ciò possa condurre a una maggiore uniformità.
È stato chiesto se sia possibile immaginare previsioni normative particolari per tenere conto della presenza su larga scala delle piccole e medie imprese. Occorre ricordare che sono stati già compiuti diversi step. In una prima fase, il Comitato di Basilea ha sollecitato commenti pubblici in merito alle proposte sul capitale e la liquidità del dicembre 2009 (anche Standard & Poor's ha fornito alcuni suggerimenti). Successivamente, il Comitato di Basilea ha presentato la bozza di riforma definitiva, che la Commissione europea ha sostanzialmente incorporato, per così dire, nelle proprie proposte di regolamento e di direttiva.
Nell'ultima versione si è tenuto conto delle peculiarità di alcuni sistemi, quale, appunto, la presenza di piccole e medie imprese. Per quanto riguarda, ad esempio, i requisiti di liquidità, si assumerà che i depositi delle piccole e medie imprese siano caratterizzati, in un determinato orizzonte temporale, da flussi in uscita largamente inferiori rispetto a quelli delle aziende di grandi dimensioni. Dal nostro punto di vista, le differenze già introdotte nelle proposte sono positive, perché non fanno altro che riflettere la realtà.
Quanto alla leva finanziaria, come ho già detto, noi la consideriamo un indicatore aggiuntivo per misurare il patrimonio di una banca. Chiaramente, un indicatore è più adatto di un altro in base al modello di business.
Se il modello è quello della tipica banca italiana, la quale impiega in prestiti gran parte dell'attivo, il coefficiente di leva finanziaria può essere valido, ma è più importante considerare indicatori risk-weighted, cioè ponderati per il rischio, perché tengono conto della rischiosità intrinseca di attivi quali i prestiti alle imprese.
Se, invece, il modello di business è diverso, e la banca opera soprattutto nell'investment banking, dedicandosi soprattutto al trading, gli indicatori risk-weighted, come il tier 1, non riescono a catturare pienamente i rischi, perché gran parte dell'attività di trading, secondo le regole di Basilea 3, è considerata a basso rischio, sebbene Basilea 2.5 abbia introdotto alcune modifiche in materia. È indubbio, tuttavia, che un coefficiente come la leva finanziaria sia molto più incisivo.
La presenza di diversi ratio può aiutare a contenere, nel complesso, il rischio che la banca operi con un grado di leva finanziaria molto elevato. Il nostro auspicio è che si continui a poter disporre di diverse tipologie di ratio. Ad esempio, anche S&P ne ha creato uno proprio, che utilizziamo, oltre a quelli regolamentari, nella nostra analisi. Infatti, ci siamo resi conto che utilizzare i ratio dei singoli regulator poteva essere pericoloso, a causa della loro scarsa comparabilità. Lo sforzo che abbiamo compiuto è stato immane. Abbiamo impiegato quasi quattro anni per sviluppare questo ratio, che deve essere applicato in maniera uniforme in tutto il mondo. L'abbiamo fatto perché è importante e necessario per il nostro lavoro.
Introdurre nuovi ratio è positivo, ma è importante utilizzarli tutti coerentemente, tenendo conto delle caratteristiche del sistema bancario. L'obiettivo è evitare che la leva finanziaria possa esplodere: per raggiungerlo, si utilizzano diversi indicatori di capitale, a seconda delle caratteristiche della banca.


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ALBERTO FLUVI. I rapporti di forza all'interno del Comitato di Basilea hanno determinato il risultato che conosciamo: quando si interviene sul core tier 1, lo si aumenta subito; quando si interviene sulla leva finanziaria, si avvia un periodo di sperimentazione fino a tutto il 2017.
Capisco il suo ragionamento, dottor Panichi. Se guardiamo alle misure concrete, ci accorgiamo, però, che si incide sempre e soltanto su un versante.

RENATO PANICHI, Direttore per le istituzioni finanziarie italiane di Standard & Poor's. Non è nostra abitudine esprimere giudizi sull'operato delle autorità.
Tenga presente, onorevole Fluvi, che l'introduzione di una nuova regola a livello globale, com'è nelle intenzioni di Basilea 3, richiede tempo. Come dicevo, infatti, il diavolo si nasconde nei dettagli. Bisogna far sì che, una volta diventata efficace per tutti, la regola non determini problemi di calibrazione. Il fatto che le autorità abbiano deciso di prendere tempo è abbastanza normale: è accaduto anche con Basilea 2. I ratio ponderati per il rischio sono stati adottati prevedendo un periodo di monitoraggio e sperimentazione enorme, ma era necessario. Ogni nuova regolamentazione richiede del tempo, ed è bene che sia così.
Quanto al rapporto tra Basilea 3 ed EBA, l'accordo è stato pensato soprattutto per le crisi di natura finanziaria che nascono dentro il sistema bancario. L'esercizio dell'EBA è stato compiuto in un momento di crisi di fiducia, da parte di tutto il mercato, nei confronti di alcune banche, dovuta al fatto che, nel frattempo, era intervenuta la crisi del debito sovrano. La capacità delle banche di far fronte alle proprie obbligazioni è stata messa in discussione, perché avevano in pancia titoli di Stato di Paesi ritenuti più deboli rispetto ad altri (è il caso dei titoli di Stato italiani). L'esercizio dell'EBA è nato con l'intenzione di affrontare tale situazione. Ripeto, comunque, che non è nostro compito valutare l'operato delle autorità.
Dal nostro punto di vista, venendo al caso specifico dell'Italia, credo sia importante che quasi tutte le banche abbiano deciso di far fronte al deficit patrimoniale evidenziato dall'EBA con aumenti di capitale - come nel caso di Unicredit, che rappresenta circa il 50 per cento del deficit di capitale per il campione di banche italiane considerate dall'EBA nel suo esercizio -, o con azioni simili. Sappiamo, inoltre, che altre banche convertiranno i bond in capitale proprio: riteniamo che ciò sia molto importante per un sistema bancario come quello italiano, così ancorato all'economia reale. L'alternativa potrebbe essere il deleveraging, ma avrebbe effetti molto negativi sull'economia, perché significherebbe contrarre il credito. Aumentare il capitale, invece, mette la banca nella condizione di operare senza stress nella sua attività di prestito.
È quanto possiamo dire in merito alle azioni che le banche italiane stanno compiendo in questo momento.
Per quanto riguarda gli eventuali suggerimenti da dare alla Commissione, mi ricollego a quanto già detto. Quando il Comitato di Basilea ha elaborato la proposta di riforma, sono stati richiesti commenti a tutto il mercato. Standard & Poor's ha fornito i propri suggerimenti, alcuni dei quali sono stati accolti. Lo stesso hanno fatto le banche. Il nostro ruolo finisce lì. Non è previsto che si forniscano indicazioni ulteriori in altre sedi.
È fondamentale, per S&P, che l'applicazione delle regole sia uniforme in tutti i Paesi. Non mi spingerei oltre la formulazione di questo auspicio, perché non svolgiamo un ruolo di suggerimento a livello dei singoli Stati. Sotto tale profilo, abbiamo già adempiuto, per quanto ci competeva, verso la Banca dei regolamenti internazionali.
L'onorevole Causi ha sollevato il problema della banca universale. Dal punto di vista teorico e della letteratura economica, l'argomento è molto affascinante. Come agenzia di rating, non abbiamo una posizione ufficiale in merito, perché la considerazione di un argomento così specifico non rientra nella nostra mission. Ci limitiamo


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a osservare come il modello della banca universale sia stato seguito in alcuni momenti storici.
Negli Stati Uniti, per esempio, c'è stato un momento in cui vi era soltanto la banca universale, in discontinuità rispetto a un periodo precedente, in cui c'era stata una separazione netta tra banca commerciale e banca di investimento.
Oggi, nei Paesi in cui le banche hanno rilevanti attività di investment banking - il sistema bancario italiano ha poche banche di investimento -, le autorità politiche si stanno chiedendo se sia più conveniente che la banca sia universale, o piuttosto che le attività di banca commerciale e di investimento siano separate.
La separazione può essere interessante nella misura in cui facilita un eventuale intervento pubblico. Lo Stato cercherà comunque di intervenire per supportare una banca commerciale, che detiene i depositi dei cosiddetti risparmiatori, mentre non è detto che possa o debba farsi carico dei costi di ristrutturazione di una banca d'investimento. Dal punto di vista dello Stato, la separazione è sensata, perché aiuta a decidere in quali casi e come intervenire.
Per il sistema bancario italiano questo tema è poco rilevante, perché la maggior parte delle attività delle banche italiane è legata al lending, all'attività creditizia tradizionale, mentre l'attività d'investimento è limitata.

MARIA PIERDICCHI, Amministratore delegato di Standard & Poor's. A proposito degli operatori specializzati, aggiungerei che soffriamo, in Italia, dell'assenza di investitori in titoli di piccole e medie imprese in generale, dal lato del capitale di rischio come da quello del debito. Aumentare il numero di investitori, che in altri Paesi sono numerosi, aiuterebbe sicuramente le imprese a diversificare le fonti di finanziamento. Ricordo che la borsa ha perso molte aziende: la capitalizzazione di borsa, che era pari, dieci anni fa, al 110 per cento del PIL, è scesa al 20 per cento.
Per quanto riguarda le obbligazioni, è molto difficile trovare investitori che si orientino verso le piccole aziende non quotate. Negli Stati Uniti si registra qualche piccolo private placement, ma si tratta di operazioni riguardanti aziende molto rinomate.
La piccola o media azienda, che intenda emettere bond di ammontare non elevato, oggi non ha un mercato. In Italia, e in Europa più in generale, aiuterebbe lavorare sul fronte degli investitori, dal lato del buy piuttosto che da quello degli operatori. Trovare operatori che collochino credo non sia un problema.
Bisognerebbe, inoltre, accettare mercati meno liquidi e specializzarsi in un dato comparto. Nel private equity, ad esempio, troviamo specializzazioni nello start-up. In Italia, qualcosa si sta muovendo, ma si tratta, quasi esclusivamente, di ristrutturazioni di aziende mature. La specializzazione per comparti può aiutare realtà imprenditoriali che, altrimenti, non riuscirebbero a emergere.

PRESIDENTE. Ringrazio i rappresentanti di Standard & Poor's anche per la documentazione consegnata, di cui autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna (vedi allegato).
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 15,40.

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