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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissione VI
5.
Mercoledì 18 gennaio 2012
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Ventucci Cosimo, Presidente ... 2

INDAGINE CONOSCITIVA NELL'AMBITO DELL'ESAME CONGIUNTO DELLA PROPOSTA DI REGOLAMENTO DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO RELATIVO AI REQUISITI PRUDENZIALI PER GLI ENTI CREDITIZI E LE IMPRESE DI INVESTIMENTO (COM(2011)452 DEFINITIVO) E DELLA PROPOSTA DI DIRETTIVA DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO SULL'ACCESSO ALL'ATTIVITÀ DEGLI ENTI CREDITIZI E SULLA VIGILANZA PRUDENZIALE DEGLI ENTI CREDITIZI E DELLE IMPRESE DI INVESTIMENTO E CHE MODIFICA LA DIRETTIVA 2002/87/CE (COM(2011)453 DEFINITIVO)

Audizione dei rappresentanti dell'Associazione nazionale fra le banche popolari:

Ventucci Cosimo, Presidente ... 2 5 8 12
Barbato Francesco (IdV) ... 8
Causi Marco (PD) ... 6
Fluvi Alberto (PD) ... 7
Fogliardi Giampaolo (PD) ... 5
Fratta Pasini Carlo, Presidente dell'Associazione nazionale fra le banche popolari ... 2 8
Fugatti Maurizio (LNP) ... 6
Pepe Antonio (PdL) ... 8

ALLEGATO: Documentazione consegnata dai rappresentanti dell'Associazione nazionale fra le banche popolari ... 13
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro per il Terzo Polo: UdCpTP; Futuro e Libertà per il Terzo Polo: FLpTP; Popolo e Territorio (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, La Discussione): PT; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling; Misto-Repubblicani-Azionisti: Misto-R-A; Misto-Noi per il Partito del Sud Lega Sud Ausonia: Misto-NPSud; Misto-Fareitalia per la Costituente Popolare: Misto-FCP; Misto-Liberali per l'Italia-PLI: Misto-LI-PLI.

[Avanti]
COMMISSIONE VI
FINANZE

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di mercoledì 18 gennaio 2012


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PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE COSIMO VENTUCCI

La seduta comincia alle 11,30.

(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso e la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Audizione dei rappresentanti dell'Associazione nazionale fra le banche popolari.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo ai requisiti prudenziali per gli enti creditizi e le imprese di investimento (COM(2011)452 definitivo) e sulla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sull'accesso all'attività degli enti creditizi e sulla vigilanza prudenziale degli enti creditizi e delle imprese di investimento e che modifica la direttiva 2002/87/CE (COM(2011)453 definitivo), l'audizione dei rappresentanti dell'Associazione nazionale fra le banche popolari.
Do, quindi, la parola all'avvocato Carlo Fratta Pasini.

CARLO FRATTA PASINI, Presidente dell'Associazione nazionale fra le banche popolari. Abbiamo affidato il nostro intervento a un documento scritto, che credo sia stato consegnato. Ve ne esporrò per sommi capi gli elementi fondamentali, aggiungendo alcune considerazioni a proposito dell'esercizio dell'Autorità bancaria europea (EBA), che inserisce nell'ambito di Basilea 3 taluni elementi congiunturali.
Per quel che riguarda i provvedimenti all'esame, che fanno riferimento all'accordo noto con il nome di Basilea 3, abbiamo, come banche popolari, una posizione allineata a quella dell'ABI.
Riteniamo certamente apprezzabile la gradualità con la quale entreranno in vigore le nuove misure: il previsto arco temporale, con orizzonte al 2019, ci sembra adeguato.
È apprezzabile, inoltre, che i provvedimenti proposti siano articolati su tutti gli elementi dell'attività bancaria che incidono sulla rischiosità: il patrimonio e la liquidità, in primo luogo, ma anche la leva finanziaria e la percentuale di prodotti derivati negli attivi delle banche, benché, a nostro avviso, questi due ultimi aspetti siano considerati in modo non sufficiente.
Avevamo segnalato alcuni inconvenienti, legati soprattutto al fatto che, nell'ambito del sistema bancario, sono operate distinzioni esclusivamente di tipo quantitativo (Basilea 3 contempla le istituzioni finanziarie di importanza sistemica, o SIFI). A nostro avviso, invece, si dovrebbe tenere conto anche della qualità delle banche, non tanto dal punto di vista del loro status giuridico, che è neutro - nel nostro Paese, parliamo di banche popolari, cioè a struttura cooperativa, e di credito cooperativo -, quanto da quello delle attività e della qualità degli attivi.
Nelle banche cooperative con un'impronta localistica, come le nostre, le caratteristiche


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specifiche del sistema bancario italiano, rispetto a quello europeo, sono più accentuate. Le banche italiane, ancora di più quelle cooperative, sono caratterizzate, ad esempio, da una leva finanziaria inferiore alla media europea. Gli attivi sono rappresentati, in misura preponderante, da crediti per attività finanziarie, e questo è ancora più vero per le banche a struttura cooperativa e per le banche popolari. Una percentuale sempre maggiore dei portafogli creditizi, in particolare di banche cooperative e popolari, è riservata al sostegno alle famiglie e alle piccole e medie imprese dei territori di riferimento.
Questa distinzione, quasi ontologica, nel modo di fare banca non è minimamente colta da Basilea 3.
Le possibili conseguenze, a nostro avviso, sono due. Più in generale, è stato da tutti segnalato che potranno esserci effetti sull'attività creditizia, in termini sia di disponibilità sia di costo del credito. Se, per svolgere l'attività bancaria, servono capitale in più e buffer di liquidità più elevati, è indubbio che questo inciderà sulla disponibilità e sul prezzo al quale è allocato il credito.
Oltre a questi possibili effetti, che in un'attuazione di Basilea 3 stemperata in un lungo arco temporale, potranno, forse, essere affrontati, ciò che più ci preoccupa è la mancanza di un criterio di proporzionalità, che consideri la diversità qualitativa tra banche commerciali tradizionali, i cui attivi sono rappresentati soprattutto da impieghi, e banche che, invece, detengono attività finanziarie in misura anche superiore al 50 per cento.
Nel lungo periodo possono verificarsi due effetti. Se la banca cooperativa, o localistica, continua a fare il proprio mestiere, perde molta redditività, senza poterla recuperare, come, invece, possono fare le grandi banche europee, che hanno utilizzato la leva finanziaria in misura anche superiore a quanto consentirà, a regime, Basilea 3. Di fatto, si rende meno sostenibile il modello di business delle nostre banche, che è di servizio all'economia. Il nostro non è un modello di banca per la finanza, ma di finanza a sostegno dell'economia. Rendendo tale modello meno sostenibile, si dà la possibilità a banche più aggressive, sotto il profilo finanziario, con corsi di borsa e redditività più elevata, di comprare chi continua a svolgere in modo più tradizionale la propria attività. Oppure, poiché il mix di attivo vincente è quello delle grandi banche centroeuropee, e non quello delle banche cooperative, in particolare italiane, basato sulla preponderanza del sostegno all'economia, è possibile che le banche siano indotte a cambiare il mix dei portafogli.
Basilea 3 suscita questi elementi di preoccupazione. La diversità cui ho fatto riferimento è fondamentale. Sembra che si sia rinunciato a distinguere tra le attività di sostegno all'economia, compiute certamente nell'interesse della banca, ma dotate di un rilievo di pubblico interesse, e le attività di acquisto e compravendita di strumenti finanziari, che hanno senso per chi le effettua, ma non possiedono lo stesso rilievo pubblico delle attività di credito in senso stretto.
Queste sono le perplessità che abbiamo rappresentato.
Nel documento consegnato esprimiamo qualche dubbio in merito allo strumento del regolamento, proposto dalla Commissione. Rispetto alla direttiva, che richiede una legge di recepimento nell'ordinamento nazionale, il regolamento ha efficacia normativa immediata e, quindi, tende ad assicurare una maggiore uniformità delle regole in tutti i mercati dell'UE. Tuttavia, tali regole sono applicate in situazioni difformi e da autorità di vigilanza diverse. Alla fine, si fa un confronto tra le cifre, ma senza sapere se i criteri in base ai quali si è svolto il loro processo di formazione siano stati applicati con le stesse modalità.
Su questa convergenza, apparente ma non necessariamente reale, nutriamo alcuni dubbi. Vi fornisco un dato che fa riflettere, estrapolato da una ricerca del Credit Suisse del 10 gennaio scorso. Lo studio mette a confronto la quantità di capitale assorbita dai mutui alle famiglie.


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Ebbene, il capitale assorbito dai mutui erogati dalle due maggiori banche popolari italiane è sei volte superiore a quello assorbito dalle grandi banche francesi. Sarà anche vero che i francesi sono più bravi di noi a pagare i mutui, e che, quindi, gli algoritmi creati in base alle serie storiche sono più favorevoli rispetto a quelli relativi ai mutui delle famiglie italiane, ma il confronto fa pensare, al di là dell'atto di fede sull'omogeneità tecnica dei dati utilizzati. Benché i prezzi correggano in parte questo effetto, qualche istituto che opera a cavallo tra Italia e Francia o a livello internazionale, che abbia la possibilità di fare arbitraggio su più mercati, ragionerà sul fatto che concedere mutui alle famiglie tedesche o francesi assorbe un terzo di ciò che assorbe concederli alle famiglie italiane.
Come dicevo, le nostre perplessità riguardano sia la mancata percezione, da parte di Basilea 3, del modello di business delle banche cooperative, sia strumenti che apparentemente livellano il campo di gioco, ma che, non intervenendo nella fase a monte, in cui gli indicatori sono costruiti, possono comportare disomogeneità applicative.
Ho citato l'assorbimento dei mutui, ma ci sono altre difformità anche più rilevanti. Credo che il presidente dell'ABI le abbia già segnalate. Ci sono, ad esempio, operazioni validate da alcune autorità di vigilanza dell'Unione, ma non da altre, più rigorose, come la nostra.
È evidente che i numeri, in apparenza omogenei, possono presentare, in realtà, differenze nel processo di formazione e di calcolo.
Se si facesse un confronto tra le cifre di bilancio, e non tra i risk weighted asset (RWA), cioè i numeri ponderati per le regole di vigilanza, credo che - a parte gli istituti spagnoli - le nostre banche non avrebbero quasi rivali. Infatti, i valori concernenti il patrimonio attivo tangibile e il totale attivo tangibile delle nostre banche sono superiori a quelli di tutte le altre banche europee, perché la leva è minore. Per effetto delle ponderazioni, però, diventiamo quelli che hanno bisogno di patrimonializzare.
La nostra valutazione non è negativa per quanto riguarda l'impianto della normativa e la gradualità dei tempi di attuazione. Manteniamo, tuttavia, una serie di perplessità e di caveat riguardanti le modalità di applicazione.
Vorrei aggiungere due parole in merito all'esercizio dell'EBA e alle regole introdotte a seguito dell'andamento del debito sovrano. Le nostre critiche sono, in questo caso, più forti.
In primo luogo, sebbene si tratti certamente di interventi congiunturali, è saltata, dal punto di vista applicativo, ogni concatenazione logica. Ad esempio, taluni hanno già fatto rilevare, più autorevolmente di quanto possa fare io, come sia stato un errore non avere avviato il Fondo salva-Stati e avere preteso, comunque, di procedere con la ricapitalizzazione delle banche.
Tra tutti gli aspetti considerati da Basilea 3, soltanto quello relativo al patrimonio subisce un'accelerazione e diviene più gravoso. Ciò suscita molti dubbi, ove si consideri che l'unico istituto europeo colpito mortalmente dall'ultima crisi, la banca franco-belga Dexia, presentava requisiti patrimoniali molto superiori a quelli che l'EBA impone, oggi, ad alcune banche.
È come se, di fronte a un caso di colera, si somministrassero ricostituenti e vitamine a tutti: fanno sicuramente bene; tuttavia, se il problema è il colera, bisognerebbe astenersi, piuttosto, dall'ingerire determinati cibi. Di fronte al caso di una banca che muore, diciamo così, perché detiene attivi illiquidi, ha un'elevata leva finanziaria e non dispone di liquidità, pur essendo quattro le aree di intervento di Basilea 3 (liquidità, leva finanziaria, derivati e patrimonio), ci si focalizza soltanto sul patrimonio, che era l'unica variabile positiva nel caso di Dexia.
Inoltre, si assume un altro provvedimento che, a nostro avviso, produce effetti prociclici molto complicati e strani, cioè la


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decontazione dal patrimonio delle perdite sui titoli di Stato, nel nostro caso dello Stato italiano.
Ricordo che nel caso di Lehman Brothers si agì in maniera opposta, e in senso anticiclico. Poiché, quando si verifica una crisi, gli strumenti finanziari perdono rapidamente valore, ma possono riprendersi altrettanto rapidamente, si consentì di tenerli in bilancio ai valori del 30 giugno precedente, con una deroga ai principi contabili internazionali. Si adottò, in quell'occasione, una misura anticiclica, per evitare che le fibrillazioni e la volatilità del mercato in un momento di crisi si traducessero in perdite permanenti di valore. Di fronte alla perdita di valore dei titoli del debito pubblico italiano, si è deciso, invece, nel senso contrario: essa sarà considerata come una perdita di valore permanente agli effetti del calcolo del patrimonio.
Chiaramente, questa scelta ha acuito i problemi del nostro debito pubblico, perché gli istituti di credito - italiani e stranieri - hanno cominciato a uscire dall'investimento sui titoli del nostro debito.
Effetti altrettanto prociclici si producono sul piano della disponibilità di credito, determinando il pericolo concreto di un credit crunch. È facile dire che bisogna aumentare il capitale e non ridurre i crediti. Come ho già detto, i crediti all'economia e alle famiglie, in particolare italiane, consumano molto più capitale di tutte le attività finanziarie. È inevitabile, in una situazione di questo tipo, la tendenza a non aumentare le attività che consumano e assorbono più capitale. In un momento in cui la redditività è bassissima, si cercherà di recuperarla dalle attività finanziarie con minor assorbimento di capitale. Si tratta di un effetto tipico della crisi.
In tale situazione, l'attività di sostegno all'economia - rilevante anche sul piano della coesione sociale - che le nostre banche vogliono continuare a garantire, è messa fortemente in crisi. Siamo tutti sul mercato e, come riflettono anche le quotazioni dei nostri titoli, il mercato non fa sconti: esso rileva il sostegno all'economia reale, l'assorbimento di capitale e la bassa redditività, legata a una leva limitata, e i valori di borsa non fanno altro che adeguarsi ai risultati.
Si discute se il costo del capitale per le banche italiane sia del 9 o del 10 per cento. Ebbene, se una banca che sostiene l'economia reale, e che fa intermediazione creditizia in senso tradizionale, ha una redditività effettiva del 2 per cento, cosa fa il mercato, per avere il 9 per cento? Dimezza i valori di borsa rispetto al patrimonio netto tangibile. A quel punto, la redditività dell'investimento torna ad allinearsi al costo del capitale. Si tratta di fenomeni che stiamo vivendo e che le decisioni di cui stiamo discorrendo - improvvide, quantomeno sotto il profilo temporale - non contrastano, ma acuiscono.
Nel documento consegnato sono meglio illustrate le considerazioni che vi ho esposto, cui è aggiunto qualche commento relativo all'iniziativa dell'EBA.

PRESIDENTE. Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

GIAMPAOLO FOGLIARDI. Ringrazio il presidente Carlo Fratta Pasini, la cui relazione, così ricca e concentrata sugli effetti concreti delle nuove regole, ci lascia perplessi. Ciò che ci è stato detto recentemente da Fitch Ratings e da altri soggetti dà maggiore risalto alle considerazioni che abbiamo sentito sviluppare stamani.
Da una parte, si constatano un disallineamento e una mancanza di proporzionalità, con riferimento alla qualità delle banche e, in modo particolare, delle banche popolari. Dall'altra, abbiamo sentito pronunciare dai rappresentanti di Fitch Ratings, nell'audizione di ieri, le seguenti affermazioni: ci sono stati effetti di tracimazione sull'economia a seguito dei problemi delle banche, con ripercussioni sull'uomo della strada; si riteneva, a torto, di vivere nell'età dell'oro; si pensava, a torto, di aver bloccato l'inflazione; le banche credevano di aver raggiunto l'ultima frontiera, ma la crisi dei mutui sub-prime ha rivelato che il re era nudo.


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Personalmente, ho cognizione dell'operatività della Banca Popolare di Verona e riscontro quanto sia ancora effettivo il sostegno che essa fornisce alle famiglie e alle piccole e medie imprese.
La domanda è: cosa bisogna fare?
Basilea 3 impone la patrimonializzazione, senza tenere conto che, per le banche popolari, sarebbe necessario impostare un discorso distinto da quello di carattere generale. È stato giustamente rilevato come ciò produca una perdita di redditività.
Una differenza fondamentale, senz'ombra di dubbio, è il maggiore assorbimento dei nostri mutui alle famiglie, che rende tutto più difficile. Come si dovrebbe operare? Quali azioni si potrebbero intraprendere, con riferimento a Basilea 3, compatibili con l'attuale contesto?
È indubbio che la situazione di difficoltà è molto avvertita: da un lato, abbiamo le imposizioni; dall'altro, ci sono le esigenze giustamente poste in risalto stamani.

MAURIZIO FUGATTI. Ringrazio il presidente Fratta Pisani.
Alle agenzie di rating che abbiamo ascoltato in audizione nei giorni scorsi abbiamo posto un preciso quesito, al quale esse hanno fornito una risposta che ci ha alquanto preoccupato. In particolare, abbiamo rivolto la seguente domanda: se le nostre banche riuscissero a rispettare tutte i requisiti di patrimonializzazione imposti da Basilea 3 e dall'EBA, ci sarebbe la certezza di un ritorno ai livelli di erogazione del credito precedenti alla crisi? La risposta dei nostri ospiti è stata negativa. Vorremmo conoscere, al riguardo, anche il vostro punto di vista.
La seconda domanda riguarda il rischio, ormai attuale, che, di fronte alla crisi finanziaria ed economica, i nostri istituti di credito possano diventare oggetto di scalate straniere a prezzi abbordabili. Vorremmo sapere se riteniate utile un intervento legislativo per cercare di evitare un acquisto a costi ridotti in un momento così difficile. Mi riferisco all'eventualità di adottare una norma non contro la concorrenza, ma contro l'acquisto a prezzi stracciati.

MARCO CAUSI. Ringrazio per l'esposizione il presidente Fratta Pasini, al quale desidero rivolgere due domande: una di tipo politico e una attinente a una questione di fondo.
Voi avete partecipato, tramite la vostra associazione europea, al processo di consultazione e di negoziazione che ha preceduto la formulazione delle proposte di direttiva e di regolamento e le decisioni del Consiglio europeo. Trovandoci, ora, nella fase ascendente del processo di attuazione delle predette proposte, in base alla conoscenza che avete della discussione e degli equilibri di forza esistenti nel contesto europeo, ritenete che l'eventuale richiesta, da parte del Parlamento italiano, di escludere da Basilea 3 gli operatori bancari assimilabili a quelli già esclusi negli Stati Uniti sarebbe politicamente praticabile, o questo primo aspetto critico, da voi segnalato, è da considerare ormai immodificabile?
Le banche popolari rappresentano un segmento molto importante dei rapporti tra sistema bancario e imprese in Italia, nonché un modello di valutazione del rischio di impresa del tutto diverso e tipico rispetto a quelli che si sono imposti nella discussione internazionale.
Avete perfettamente ragione, quindi, e avete tutta la nostra simpatia, quando lamentate che i modelli di valutazione del rischio provenienti dal contesto internazionale sono assai difformi dalle pratiche che può generare il rapporto tra imprese e banca di tipo locale e di prossimità.
La domanda che vi pongo è la seguente: siamo in grado, come cultura professionale italiana, di tirar fuori i punti di forza dei vostri modelli di valutazione del rischio e di renderli oggettivabili, quantificabili e descrivibili, in modo da trasformarli in modelli alternativi a quelli dominanti, oppure ritenete che gli elementi informali, e quindi non quantificabili, del modello tradizionale e locale di valutazione del rischio non lo permettano?


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Ci siamo sempre chiesti se sia possibile proporre qualcosa che sia tanto rappresentativo della nostra realtà e delle vostre esperienze storiche e territoriali quanto opponibile, in termini professionali e quantitativi, ai modelli dominanti, oppure se questo esercizio sia infruttuoso, perché nei vostri modelli valutativi prevalgono gli elementi informali di conoscenza tra le banche e le imprese.

ALBERTO FLUVI. Vorrei, prima di tutto, ringraziare il presidente Fratta Pasini per quanto ci ha esposto. Dopo di che invito i colleghi a leggere la documentazione che ci è stata consegnata. Credo di interpretare il sentimento di tutti affermando che i dati concernenti impieghi vivi, raccolta e nuovi finanziamenti alle PMI dimostrano quanto le banche popolari siano positivamente radicate nel nostro Paese.
Ciò premesso, credo che un problema comune a tutti gli accordi di Basilea sia quello dell'uniformità di applicazione. Negli Stati Uniti, per esempio, non è ancora stato recepito appieno Basilea 1, che riguarda, in quel Paese, soltanto alcune grandi banche, mentre in Europa si applica a tutte.
Nella relazione segnalate il problema determinato dall'adozione dei criteri di Basilea 3 attraverso un regolamento e non attraverso una direttiva. Il regolamento si applica in maniera diretta a tutti i Paesi membri dell'Unione, mentre la direttiva lascia un certo margine operativo, all'atto del recepimento, agli organi legislativi nazionali.
Mi sembra che quanto lei diceva, presidente, a proposito dell'assorbimento di capitale da parte dei mutui alle famiglie fornisca una rappresentazione parziale della realtà. In proposito, ha fatto riferimento alla ricerca condotta da una primaria banca europea, la quale evidenzierebbe come l'assorbimento di capitale dei mutui sia molto più elevato per le banche italiane che per le nostre concorrenti francesi. Le posso dire che ciò accade anche negli altri settori, non soltanto in quello dei mutui.
Tenendo conto non tanto dei singoli Paesi, quanto dei modelli di banca commerciale, di investimento o cooperativa, non sarebbe preferibile un livellamento del campo di gioco, affinché le regole si applichino in maniera uniforme in tutti i Paesi dell'Unione?
Per quanto riguarda, invece, la leva finanziaria, riscontro una contraddizione, in merito alla quale vorrei avere la sua opinione. Sia gli accordi di Basilea, sia l'esercizio dell'EBA pongono l'accento sui requisiti di capitale e mai sulla leva finanziaria. Eppure, sappiamo tutti che una delle cause primarie della crisi bancaria è stato l'eccesso di leva finanziaria.
L'EBA impone un incremento di capitale fin dai primi mesi dell'anno prossimo, in attesa di sapere se il Consiglio europeo modificherà le decisioni già adottate nell'autunno scorso. Insomma, si impone l'aumento di capitale, mentre sulla leva finanziaria non si interviene mai. Per meglio dire, Basilea 3 agisce anche sulla leva finanziaria, ma soltanto dal 2018, spostando molto in là nel tempo la trasformazione del leverage ratio in requisito minimo.
Inoltre, vorrei capire meglio - e chiedo maggiore attenzione anche da parte della Commissione - cosa significhi, per le banche cooperative, che presentano talune specificità (tra le quali, ad esempio, il voto capitario), la conversione degli strumenti ibridi in capitale. Vorrei che ci fornisse un chiarimento, anche se il documento è, in proposito, sufficientemente chiaro.
Infine, una domanda di attualità. Recentemente, come tutti sappiamo, la Banca centrale europea ha inaugurato il sistema delle aste illimitate all'1 per cento. Ne è stata fatta una il mese scorso, e un'altra ci sarà il mese prossimo. Da quanto abbiamo letto, il mercato interbancario, nonostante questa iniezione di liquidità, non si è mosso. Anzi, i depositi presso la Banca centrale sono a livelli molto alti, anche se la remunerazione dei capitali depositati è assai bassa. Ci farebbe capire perché succede questo?


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ANTONIO PEPE. Innanzitutto, ringrazio il presidente Fratta Pasini per la relazione, molto completa, che ci ha consegnato. Ritengo che le banche popolari e cooperative svolgano un ruolo essenziale nel sistema bancario italiano, specialmente nei piccoli comuni, dove si instaura un contatto stretto e diretto tra banca e cittadini. Lo ringrazio, quindi, per essere qui oggi e anche per il ruolo che le banche popolari svolgono.
Le regole dettate da Basilea 3 e dall'EBA penalizzano le banche italiane rispetto a quelle francesi e tedesche. Come giustamente ci ha ricordato, presidente, le community bank sono state escluse, negli USA, dall'ambito di applicazione di Basilea 2, e quasi certamente la stessa cosa accadrà per quanto riguarda Basilea 3.
Nel dettare le nuove regole, non si è tenuto conto del pluralismo che caratterizza il sistema bancario italiano.
Voi avete senz'altro partecipato alla fase preliminare di consultazione. Con quali alleanze? Siete riusciti a fare cartello con le banche popolari europee? Come mai le norme sono più penalizzanti per le banche popolari italiane rispetto a quelle francesi o spagnole? E come mai, infine, negli Stati Uniti, le community bank sono riuscite a sottrarsi alle regole di Basilea, al contrario delle banche europee?

FRANCESCO BARBATO. Ringrazio per l'audizione, anche a nome del gruppo parlamentare Italia dei Valori, i rappresentanti dell'Associazione nazionale fra le banche popolari.
La domanda che intendo porre è molto semplice. Stiamo vivendo una crisi economica che deriva da una crisi finanziaria, determinata dal mondo bancario. Purtroppo, i costi della crisi se li sono accollati gli Stati, intervenuti per fare in modo che le banche non fallissero. Questa operazione è ricaduta, a cascata - ed è questo l'aspetto che più infastidisce noi di Italia dei Valori -, sui cittadini e sui consumatori.
Nell'atavico scontro tra Davide e Golia, sicuramente le banche rappresentano Golia e i cittadini Davide, e noi stiamo dalla parte di Davide.
Noi riteniamo che le regole più rigide imposte da Basilea 3, nonché l'ulteriore capitalizzazione richiesta al sistema bancario in via eccezionale e temporanea, pari al 31,25 per cento di quella ordinariamente stabilita, costituiscano una forma di tutela soprattutto per i cittadini, onde evitare che, come al solito, siano loro a pagare per gli errori altrui. In questo modo, non si ripeterà, domani, una situazione in stile Lehman Brothers.
Soddisfare i nuovi requisiti patrimoniali significa, per il sistema bancario, sopportare qualche sacrificio in più, ma significa anche evitare dejà vu che, alla fine, si scaricherebbero sui cittadini.

PRESIDENTE. Do la parola all'avvocato Carlo Fratta Pasini per la replica.

CARLO FRATTA PASINI, Presidente dell'Associazione nazionale fra le banche popolari. Vi ringrazio per la vostra attenzione e per le vostre domande, alle quali tenterò di dare risposta. Esse costituiscono anche stimoli, per le nostre riflessioni come per il nostro operare quotidiano.
L'onorevole Fogliardi ha sottolineato come i rappresentanti delle agenzie di rating e i rappresentanti delle banche popolari parlino lingue diverse. In questo momento, ahimè, i mercati ascoltano più le società di rating che i rappresentanti delle banche popolari.
Con una delle predette agenzie abbiamo avuto qualcosa da dire in seguito a un downgrading collettivo che ha riguardato diversi nostri istituti. Il concetto alla base del giudizio negativo che ci ha riguardato è che l'attività tradizionale che svolgiamo oggi è più difficile, perché il funding è diventato caro, perché assorbe molto capitale, per via delle regole vigenti, e perché è poco redditizia. Di conseguenza, il nostro modello sarebbe meno sostenibile di altri. Per questo hanno deciso di declassarci, rendendo ancora più faticoso effettuare la raccolta e collocare i nostri prodotti, peggiorando il corso delle nostre azioni, che nel caso delle banche


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popolari sono in misura preponderante in mano ai clienti, e aggravando il nostro lavoro quotidiano. Quando un nostro titolo va giù, non piange il sultano dell'Oman o il fondo sovrano di Dubai: in molti casi, ahimè, piangono i nostri migliori clienti, che hanno creduto nella banca.
All'origine della sofferenza degli istituti creditizi ci sono i mutui sub-prime, in precedenza evocati, i prodotti derivati, la crisi di Lehman Brothers e quant'altro, non certo le banche di tipo cooperativo e popolare, nessuna delle quali ha avuto bisogno di salvataggi, nemmeno in Inghilterra o altrove.
I nostri modelli di business saranno anche antiquati, ma, se ricordate, nella prima fase della crisi, eravamo portati in palmo di mano da tutti e ricevevamo molti complimenti, perché non avevamo colpe.
In un primo momento, persino il mercato sembrava pretendere che le banche tornassero a fare le banche e smettessero di fare finanza. Lo additavano come rimedio necessario, del resto, anche le agenzie di rating e gli uomini di mercato.
Oggi il mercato chiede cose diverse: vuole redditività e finanza, non più l'attività tradizionale. Purtroppo, le regole pubbliche stanno assecondando, in qualche misura, questa tendenza. È la realtà. Le regole ci inducono a cercare di recuperare redditività sul fronte delle attività finanziarie - dove si può raggiungere l'obiettivo senza consumare capitale -, piuttosto che sugli impieghi per famiglie e imprese.
Sicuramente parliamo due lingue diverse, ma forse ha ragione il Governatore Draghi, quando afferma che dovremmo cominciare a fare a meno dei giudizi delle agenzie di rating e cercare di uscire dalla crisi con ricette pensate e portate avanti dal nostro livello, non da altri. Certamente le banche avranno molte colpe, ma mi pare che abbiano fallito anche le società di rating, le quali dovevano servire a evitare che il piccolo risparmiatore subisse perdite. Non mi risulta che il loro obiettivo sia quello di far guadagnare molti soldi ai grandi speculatori: eppure, ci stanno riuscendo!
L'onorevole Fugatti ha chiesto se le banche ritorneranno a erogare credito ai livelli precedenti alla crisi. Si tratta di un tema sicuramente importante. Premesso che il settore sta subendo cambiamenti che ritengo strutturali, dobbiamo immaginare un'industria bancaria con meno costi di quelli attuali e con meno redditività rispetto agli anni passati.
Influiscono sulla disponibilità di credito, oggi, molti fattori. Il primo è costituito dagli stringenti requisiti patrimoniali - li definirei, anzi, super-requisiti patrimoniali -, richiesti nell'epicentro della crisi. Un altro consiste nel fatto che, da quando è esplosa la crisi del debito sovrano, nessun emittente bancario italiano riesce più a rinnovare le proprie emissioni sul mercato internazionale.
Ricordo che le nostre banche sono, in Europa, le meno dipendenti dal mercato dei capitali, perché fanno ancora molta raccolta tradizionale. Il risparmio che raccogliamo è quello del nostro Paese, e ci aiuta a essere resilienti nella crisi. È chiaro, però, che l'impossibilità di accedere al mercato internazionale e la concorrenza nella raccolta da parte dello Stato, costretto a pagare gli spread attuali, delineano una situazione di razionamento o, addirittura, di contrazione del credito, che finirà soltanto quando si risolverà la crisi del debito sovrano.
Probabilmente, torneremo a livelli diversi dal passato, perché oggi c'è minore propensione al rischio e all'utilizzo della leva finanziaria, sia nelle banche sia nei clienti. Se mi chiedete di sapere se si rivedranno ancora mutui al 100 per cento (o addirittura oltre), com'è successo nell'ultima fase espansiva, la risposta è negativa. Spero, anzi, che non li rivedremo mai più, perché si sono rivelati una sciocchezza. I requisiti di accesso al credito saranno quelli del passato un po' più remoto, anziché quelli del passato prossimo. Probabilmente, torneremo a quei tempi.
Per quanto attiene alle scalate, noi banche popolari teniamo ben stretto il nostro voto capitario, che finora ci ha consentito di affrontare anche questi momenti


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complessi. Una norma anti-scalate può essere considerata, anche perché le regole sono tutte saltate.
Ricordo sempre l'acquisto, nel 1997, di una splendida banca italiana, il Credito bergamasco, di proprietà del Crédit Lyonnais, che era entrato in crisi. La Commissione europea, per consentire gli aiuti di Stato, aveva imposto alla Francia di vendere tutte le banche che il Crédit Lyonnais possedeva in Europa.
Oggi, invece, ING, ad esempio, dopo avere fatto ricorso a capitali statali per molti miliardi, viene a portarci via la raccolta con «Conto arancio» senza che nessuno faccia una piega. Le norme del Trattato non sono mutate, ma, evidentemente, le emergenze e le congiunture che stiamo attraversando inducono a interpretazioni molto più elastiche.
Non credo che siano risolutive norme volte a disciplinare gli effetti di certe operazioni, ossia norme eccezionali anti-scalate: bisogna cercare di risolvere i problemi a monte.
L'onorevole Causi chiedeva un chiarimento a proposito dell'Associazione europea delle banche popolari. Le banche popolari e cooperative hanno un coordinamento europeo, di cui facciamo parte insieme alle banche di credito cooperativo. Uno dei vicepresidenti dell'Associazione è italiano.
Non ritengo possibile immaginare che le predette banche siano escluse da Basilea 3, perché il mondo delle banche cooperative è molto variegato. Essendoci diversi modelli di aggregazione, anche nella cooperazione esistono veri e propri giganti. Non ve ne sono nel nostro Paese, ma Crédit Agricole o Rabobank sono istituti leader nei rispettivi mercati. Immaginare che queste banche non siano soggette alle regole bancarie, per ragioni ontologiche, non mi sembra possibile. Probabilmente, le regole dovrebbero tenere conto di alcuni fattori tipici del nostro modello, come avrò modo di precisare fra poco.
È stato anche chiesto se saremmo in grado di presentare un modello alternativo per il credito e per il calcolo dell'assorbimento di capitale da parte dell'attività creditizia. Io penso di no, perché ci vuole equilibrio. L'evoluzione della tecnica bancaria offre utili strumenti predittivi. Il rating interno è uno strumento utile, che aiuta a stabilire i prezzi e a erogare meglio il credito. La decisione, però, non deve essere delegata totalmente al sistema. Bisogna che gli uomini, soprattutto nelle banche locali, intervengano a correggere gli effetti. Credo che ciò sia importante.
Come dimostrano gli esempi che sono sotto gli occhi di tutti, la scelta di estremizzare l'approccio secondo il quale l'attività di credito non è un'attività di tipo sartoriale, che presuppone un rapporto diretto tra chi dà e chi prende, bensì un'attività da gestire all'ingrosso (alcune banche, anche in Italia, hanno collocato l'attività creditizia nel risk management), utilizzando database e applicando i criteri del credito al consumo anche all'attività bancaria tradizionale, non è stata vincente dal punto di vista della qualità del credito. Bisogna fare credito nel vecchio modo, utilizzando però gli strumenti moderni, che, a mio avviso, possono essere di aiuto anche se si segue l'approccio tradizionale.
I riferimenti fatti dall'onorevole Fluvi sono stati diversi. Per quanto riguarda il discorso dell'uniformità, ogni autorità di vigilanza pretende di applicare le stesse regole. Non essendo più permesso il «mercato delle regole», le regole tecniche sono concepite come uniformi. Tuttavia, le applicazioni sono divergenti. Anziché essere intuito o sussurrato nei corridoi, tale fenomeno dovrebbe essere reso trasparente: si dovrebbe fare un confronto, sul piano del benchmarking, tra le attività delle varie banche, per capire se l'approccio sia il medesimo. Come dicevo, abbiamo evidenza empirica del fatto che l'approccio non è il medesimo.
Quanto al livellamento del campo di gioco, se ritorniamo ai livelli grezzi del primo accordo di Basilea, la quantità di attivi e di capitale era fissata senza ponderazioni. Questa strada è stata percorsa, ma il problema è che a diversa ponderazione deve corrispondere un diverso rischio, equivalente e proporzionale, con relative possibilità di perdita.


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Il tema più interessante è quello della leva finanziaria. Come dicevo, se Dexia e Lehman Brothers sono morte di leva finanziaria, diciamo così, e non di capitale, ci si poteva immaginare che l'EBA prendesse subito in considerazione anche la leva finanziaria. Non si offenderebbe il tecnico, e si farebbe un'operazione intelligente dal punto di vista politico, se i criteri di capitale potessero aumentare o diminuire in funzione del fatto che una banca abbia molta o poca leva, e attivi rappresentati da impieghi a sostegno dell'economia oppure da strumenti finanziari. Credo che si farebbe l'interesse di tutti.
Le evidenze dimostrano che chi fa banca in modo tradizionale può attraversare crisi legate al credito, ma non crea crisi sistemiche, come possono fare, invece, le banche che utilizzano una forte leva finanziaria. Stiamo comparando l'incidenza dei derivati di negoziazione sul totale dell'attivo. Ebbene, la media delle grandi banche europee è 14,4 per cento, mentre quella delle banche italiane è 2,9 per cento: soltanto un quinto della prima percentuale. Inoltre, la media delle attività di livello 3 è del 2,46 per cento, contro lo 0,4 per cento delle banche italiane, mentre il rapporto tra attivo ponderato e totale dell'attivo è, nelle banche italiane, intorno al 50 per cento. Sottolineo che, nelle banche popolari, la percentuale che esprime il rapporto da ultimo considerato è tra il 70 e l'80 per cento, con picchi dell'88 per cento: si tratta, in pratica, unicamente di impieghi a favore dell'economia. La media dei Paesi europei è del 33 per cento.
Sotto il profilo squisitamente tecnico, introdurre un meccanismo che moduli in maniera diversa i coefficienti di chi ha poca leva e tanti impieghi, o pensare a qualche correttivo specifico, in ragione del livello di leva finanziaria, troverebbe riscontro nella realtà. Dal punto di vista politico, simili operazioni renderebbero più sostenibile, in un momento di crisi, un modello bancario che fa da supporto all'economia e contribuisce ad assicurare la coesione sociale, a fronte dei comportamenti di che segno contrario da voi denunciati e dei tentativi di trasferire i costi della crisi sugli strati più deboli della società.
Quanto alla conversione degli strumenti ibridi, abbiamo qualche difficoltà tecnica con i contingent convertible bond (cosiddetti coco bond), per via del voto capitario e, soprattutto, dei limiti al possesso azionario. Ma si tratta di problemi applicativi più che ontologici.
Per quanto riguarda le aste di rifinanziamento triennale della BCE, sono servite ad allentare un po' la concorrenza sui tassi e sulla raccolta. Il vero problema è che il sistema bancario fatica a trasferire al sistema economico questa liquidità disponibile, sapendo che dovrà fare fronte, con quelle risorse, alle scadenze non rinnovabili legate al mercato internazionale, il cui peso è valutabile intorno al 15-20 per cento della raccolta. Finché non ripartirà il mercato internazionale sarà molto difficile porre tali disponibilità a disposizione della clientela, ovvero delle altre banche, se non con l'overnight o altri strumenti tecnici che durano un battito di ciglia o poco più.
Le incertezze e i rischi inducono tutti a comportamenti molto prudenti, che non piacciono alle banche. Per quanto la liquidità fornita dalla BCE costi poco più dell'1 per cento, la remunerazione del deposito presso la medesima istituzione è dello 0,2 per cento. Dal punto di vista della redditività, non la si può certo definire un'operazione soddisfacente. Le banche vorrebbero fare impieghi per l'economia, ma devono mantenere in equilibrio la liquidità. In questo momento, credo che questa sia la prima preoccupazione per qualunque banca in Europa.
A livello europeo abbiamo sempre cercato di trovare alleanze e di ragionare insieme agli altri, pur nella diversità. Le banche cooperative europee sono abbastanza diverse tra loro e sono soggette a normative specifiche, ma si stanno muovendo per tentare di far passare gli stessi concetti, riguardo al fatto che utilizziamo poca leva finanziaria, facciamo molti impieghi per l'economia e pochissima finanza. Vorremmo che questi elementi,


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questo modello di business e la qualità del nostro attivo fossero riconosciuti anche in sede di calcolo dei requisiti di capitalizzazione.
In un intervento sono stati evocati Davide e Golia, forse perché la liturgia odierna ci riporta a quell'episodio. L'onorevole Barbato affermava di stare dalla parte di Davide contro Golia, cioè contro le banche. Spero che a noi vada meglio che a Golia, il quale stramazzò alla prima sassata e rimase alla mercé di Davide. Al di là del paragone, nessuna attività può essere gestita pensando di addossarne i rischi sui cittadini. Nessuno di noi vuole incentivare l'azzardo morale.
Ci era stato imposto di accumulare un buffer di capitale del 7 per cento entro il 2019. Entro la metà dell'anno prossimo tutto il sistema delle banche popolari sarà, anche singolarmente, ben al di sopra di quella percentuale, e come media siamo già ben oltre.
Il vero problema è costituito dal fatto che la Raccomandazione formale dell'EBA ci chiede, invece, di raggiungere una quota del 9 per cento, più le perdite sulle esposizioni sovrane, che, a seconda degli istituti, oscillano tra lo 0,5 per cento e oltre l'1 per cento. Questa è cosa ben diversa, e non necessaria, credo, per evitare l'azzardo morale, vale a dire il rischio che il conto sia presentato alla comunità. Secondo noi, si tratta di un'operazione prociclica, fermo restando che le banche porteranno comunque a termine il compito loro assegnato.
Mi sento, comunque, di rassicurare la Commissione: la nostra idea non è certamente quella di scaricare i costi sui cittadini. Mi sia concessa, a tale proposito, qualche osservazione finale. Tutti sbagliano, anche gli uomini delle banche popolari, che sono molto legate ai cittadini: una sorta di impresa civica. Talvolta abbiamo costruito e siamo cresciute. Le nostre banche hanno guadagnato quote di mercato importanti: oltre un quarto del sistema bancario italiano è rappresentato, oggi, da banche popolari. Le crisi aziendali che si sono verificate le abbiamo affrontate all'interno del nostro sistema, con operazioni straordinarie, e le abbiamo sempre risolte. Non è nostra abitudine presentare il conto a nessuno. Anche se hanno qualche problema nel breve periodo, le predette operazioni sono state foriere di crescita ulteriore. Mi premeva ricordarlo.

PRESIDENTE. Ringrazio gli intervenuti anche per la documentazione consegnata, di cui autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna (vedi allegato).
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 12,35.

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