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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissione VI
5.
Mercoledì 9 febbraio 2011
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Conte Gianfranco, Presidente ... 2

INDAGINE CONOSCITIVA SUI MERCATI DEGLI STRUMENTI FINANZIARI

Audizione di esperti del settore:

Conte Gianfranco, Presidente ... 2 3 5 6
Comaroli Silvana Andreina (LNP) ... 4
Malcontenti Marco, Co-amministratore delegato di Azimut Holding Spa ... 2 4 5

ALLEGATO: Documentazione consegnata dal co-amministratore delegato di Azimut Holding Spa ... 7
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Futuro e Libertà per l’Italia: FLI; Italia dei Valori: IdV; Iniziativa Responsabile (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, La Discussione): IR; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.

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COMMISSIONE VI
FINANZE

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di mercoledì 9 febbraio 2011


Pag. 2

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GIANFRANCO CONTE

La seduta comincia alle 14,10.
(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso e la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Audizione di esperti del settore.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sui mercati degli strumenti finanziari, l'audizione di esperti del settore.
È nostro ospite, oggi, il dottor Marco Malcontenti, co-amministratore delegato di Azimut Holding Spa, che ringrazio per avere aderito al nostro invito.
Dottor Malcontenti, lei sa che ci stiamo occupando dei meccanismi di funzionamento della Borsa. Poiché l'azienda che lei rappresenta è interessata alle questioni concernenti il mercato dei capitali, desidereremmo sapere se, dal suo punto di vista, il settore presenti particolari problematiche.
Le do quindi la parola.

MARCO MALCONTENTI, Co-amministratore delegato di Azimut Holding Spa. La ringrazio, signor presidente.
Abbiamo accolto con grande interesse l'invito della Commissione a confrontarci su un tema che è sicuramente rilevante per la società Azimut Holding, operante nel settore dell'asset management.
Del resto, il nostro gruppo ha vissuto l'esperienza del confronto con il mercato: nel 2004, infatti, si è quotato in Borsa, realizzando un'operazione abbastanza complessa di management buyout, grazie all'appoggio di un fondo di private equity. Noi per primi, quindi, siamo andati sul mercato, e oggi siamo, forse - mi sia permesso sottolinearlo -, l'unica public company italiana, il cui capitale per il 75 per cento è flottante - ed è detenuto, in massima parte, da primari investitori istituzionali - e per il restante 25 per cento appartiene alle persone che lavorano nella società (manager, promotori finanziari e dipendenti).
Quindi, conosciamo i problemi della Borsa, sia in quanto operatori qualificati che gestiscono il patrimonio dei propri clienti, sia perché abbiamo partecipato direttamente all'ingresso in Borsa, gestendo anche il processo di quotazione.
Le dimensioni della Borsa italiana sono evidenti nei numeri: vi sono circa 277 società quotate, con una capitalizzazione complessiva di circa 424 miliardi, concentrata prevalentemente in titoli dei settori energetico, bancario e finanziario. La capitalizzazione rappresenta circa il 27 per cento del PIL. Per fare una comparazione, nel Regno Unito la capitalizzazione di borsa è pari a circa il 124 per cento del PIL.
Per quanto riguarda i problemi di quotazione delle piccole e medie imprese, credo che le cause della poco confortante situazione italiana vadano rintracciate nel controllo prevalentemente familiare delle piccole e medie imprese.
Inoltre, pesano i costi relativi alla quotazione e alla permanenza in Borsa, nonché


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la crescente complessità del quadro normativo, la quale, da una parte, è auspicabile, nella misura in cui tutela il risparmio, ma, dall'altra, rende difficile l'accesso al mercato delle società che non dispongono di una struttura manageriale in grado di gestire procedure complesse.
Da ultimo, come operatori nel campo dell'asset management, verifichiamo che si sta sempre più intensificando l'avversione al rischio del risparmiatore italiano, il quale si è concentrato, negli ultimi anni, più sui depositi bancari o sui titoli a reddito fisso che sulla sottoscrizione di azioni. Si tratta di un problema che esiste già da qualche tempo. Oggi, la dimensione del mercato obbligazionario, come quella del risparmio bancario, è notevole. Uno switch, cioè una riallocazione dal settore obbligazionario a quello azionario sarebbe auspicabile, ma si tratta di una sfida difficile.
Lo stesso Governatore della Banca d'Italia ha ricordato che la consistenza delle obbligazioni bancarie ammontava, a marzo 2010, a circa 629 miliardi di euro e, inoltre, che il 39 per cento di tali titoli scadrà nel 2011. Ciò comporterà un flusso da soddisfare per il sistema bancario.
A questo proposito, abbiamo trovato molto interessante la documentazione depositata nel corso delle precedenti audizioni. In particolare, appare meritevole di considerazione la proposta di costituire una newco quotata sul Mercato telematico azionario, accompagnando l'opportunità dell'accesso al mercato, tramite un fondo quotato, con la concessione di incentivi fiscali alle piccole e medie imprese che si quotano.
Nell'ottica di favorire lo switch dalle obbligazioni o dal risparmio amministrato alla sottoscrizione del capitale di rischio, si potrebbero ipotizzare incentivi fiscali anche a favore dei risparmiatori.
Si tratta di un aspetto importantissimo per lo sviluppo del Paese. In quanto società operante nel settore dell'asset management, specializzata nella selezione di titoli quotati sul mercato italiano, guardiamo con grande interesse alla possibilità di sviluppare il segmento di mercato di cui stiamo discutendo. Riteniamo, in particolare, che una SGR italiana potrebbe partecipare attivamente allo sviluppo di fondi chiusi specializzati nell'investimento in piccole e medie imprese.
Naturalmente, la previsione di incentivi fiscali a favore dei risparmiatori renderebbe le quote di tali fondi più appetibili, nonostante la sempre crescente avversione al rischio. Penso, ad esempio, all'eliminazione o alla riduzione della tassazione sui capital gain, magari graduando le aliquote a seconda dell'orizzonte temporale dell'investimento. In pratica, allo speculatore, che fa operazioni di trading, si applicherebbe la tassazione piena, mentre si potrebbe prevedere una progressiva riduzione della tassazione a vantaggio del soggetto che attui un investimento azionario in un'ottica di lungo periodo, tra i tre e i cinque anni.
Infine, per incentivare gli investitori a entrare nel segmento delle piccole e medie imprese, più rischioso rispetto a un investimento azionario in una società del segmento Blue chip, si potrebbe consentire la deduzione dall'IRPEF delle eventuali perdite connesse all'investimento. La possibilità di beneficiare di maggiori guadagni, ovvero della deduzione delle minusvalenze, potrebbe convogliare verso tale settore una fascia di clientela abbastanza ampia (che, peraltro, pensiamo di possedere già).

PRESIDENTE. Indipendentemente dalle cause che ostacolano l'ingresso nel mercato dei capitali delle PMI, gradirei conoscere l'entità dei costi di quotazione.
Mi chiedo, inoltre, come si possa intervenire in maniera significativa.
Francamente, l'idea di costituire un fondo di fondi, dotato di un flottante di entità congrua, per invogliare all'investimento una platea ampia di sottoscrittori, garantendo a costoro anche la deducibilità dal reddito di eventuali perdite, mi sembra difficile da concretizzare.
D'altra parte, soltanto il mantenimento dell'investimento per un periodo lungo consente alle imprese di impostare piani industriali e di crescita.


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L'aspetto fondamentale da considerare è che le nostre piccole e medie imprese, obiettivamente poco capitalizzate, hanno bisogno di elaborare programmi di crescita dimensionale.
A tale proposito, come si potrebbe rafforzare, secondo voi, il fondo di private equity cui partecipano il Ministero dell'economia e delle finanze, la Cassa depositi e prestiti, Confindustria, l'ABI e le principali banche italiane? Sembrano esservi, infatti, problemi relativi alla valutazione delle imprese in cui realizzare gli interventi.
Mi chiedo, altresì, cosa succederà al momento del disinvestimento: una SGR potrebbe collocare sul mercato parte del capitale? In pratica, occorre modificare i meccanismi che regolano il funzionamento della Borsa? C'è bisogno di un approccio diverso? È più opportuno istituire un «fondo di fondi», con l'eventuale partecipazione di SGR o, invece, mantenere quello attuale?

MARCO MALCONTENTI, Co-amministratore delegato di Azimut Holding Spa. Il tema è chiarissimo. Dal nostro punto di vista, una SGR non opera con i propri capitali, ma investe quelli della clientela, ovviamente seguendone i desiderata e assecondandone i bisogni, dal duplice punto di vista della protezione del capitale e degli orizzonti di investimento.
In questo momento, come ho già accennato, stiamo osservando una certa avversione al rischio da parte della clientela. Quindi, la presenza di fondi gestiti da SGR, finalizzati a favorire l'incontro tra i capitali privati e le piccole e medie imprese più dinamiche, non potrebbe assumere, almeno in questa fase, dimensioni considerevoli. Difatti, la maggior parte dei fondi del mercato italiano investe, oggi, in obbligazioni o in strumenti del mercato monetario.
Esiste, invero, una piccola componente - piccola rispetto al sistema, ma comunque di notevoli dimensioni - indirizzata verso il mercato dell'equity, quindi verso il mercato azionario. Tuttavia, atteso l'incremento dell'avversione al rischio, si sta pensando a strumenti alternativi, in grado di assicurare una maggiore protezione del capitale alla clientela che fa scelte di lungo periodo e decide di investire nell'equity.
Investire nelle piccole e medie imprese aumenterebbe il rischio. Queste società potrebbero avere un destino felice, ma potrebbero anche non riuscire a strutturarsi come auspicato, pur accedendo al mercato dei capitali. In altre parole, nonostante un business plan di crescita e l'accesso al mercato dei capitali, non è detto che una società riesca a realizzare gli obiettivi che si prefigge. Come ho già avuto occasione di affermare, un conto è investire in una società del segmento Blue chip, che offre maggiori garanzie, un altro conto è investire in società medie o piccole, caratterizzate da una maggiore possibilità di default.
Oltretutto, tale tipologia di investimento prospetta un rischio anche per il fondo, che ha flussi di denaro costanti, in entrata e in uscita. Ciò accade anche se il fondo opera bene, poiché, fisiologicamente, la clientela può decidere di allocare il proprio portafoglio in maniera diversa o avere esigenze di liquidità. È normale, quindi, nella vita di un fondo, che ci sia una movimentazione quotidiana di denaro.
Orbene, se un fondo comune investe in una grossa società non incontra problemi a disinvestire senza subire perdite. Diversamente, se il fondo investe in una società con un flottante ridotto, grossi movimenti in uscita, o in ingresso, potrebbero anche alterare il prezzo dell'azione. Dunque, occorre tener conto anche di tali parametri.
Ho fatto riferimento a un fondo chiuso, nel quale il cliente può investire soltanto per un orizzonte temporale lungo, tra i tre e i cinque anni, proprio perché la possibilità di entrare e uscire liberamente potrebbe creare problemi alla quotazione del titolo.

SILVANA ANDREINA COMAROLI. Oltre al costo di ingresso, uno dei principali fattori che ostacolano l'ingresso in Borsa delle piccole e medie imprese risiede nella quantità di informazioni che esse devono fornire costantemente. Oltre a sobbarcarsi


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il costo di ingresso, le piccole aziende dovrebbero fare fronte, ogni anno, a notevoli costi di comunicazione.
Secondo lei, dottor Malcontenti, si potrebbe privilegiare, rispetto alla comunicazione, ovviamente necessaria, una maggiore efficacia in termini di trasparenza, che è poi l'obiettivo della comunicazione? In altre parole, si potrebbero sfrondare gli obblighi di comunicazione, a vantaggio di un'effettiva trasparenza? Ritiene possibile conseguire quest'obiettivo?

MARCO MALCONTENTI, Co-amministratore delegato di Azimut Holding Spa. Credo che la comunicazione si possa snellire, riducendola alle informazioni rilevanti. Poiché la comunicazione trimestrale porta l'attenzione più sul breve che sul lungo periodo, potrebbe essere sufficiente, dal nostro punto di vista, un'informativa semestrale sull'andamento delle aziende.
Inoltre, se ci si rivolge prevalentemente ai cosiddetti investitori istituzionali (tra i quali vi sono, appunto, i fondi comuni), ad alcune carenze dell'informativa periodica potrebbero sopperire incontri della comunità finanziaria con il management delle società, che potrebbe illustrare gli obiettivi perseguiti, nonché rispondere a eventuali domande. Non sarebbe una novità assoluta: già oggi gli investitori istituzionali hanno la possibilità di incontrare il management delle società quotate durante i roadshow.
In altri termini, si tratterebbe di rendere obbligatoria una visita periodica del management presso gli investitori istituzionali, al fine di rendere possibile l'interlocuzione tra le società e la comunità finanziaria che ne sottoscrive gli asset. Basterebbe organizzare un incontro l'anno, oppure ogni sei mesi, presso la sede della Borsa, con la presenza della comunità finanziaria interessata allo sviluppo e del management, che illustra i dati e i risultati aziendali.

PRESIDENTE. Ripropongo il tema del Fondo italiano di investimento, sul quale, a mio avviso, non ci siamo soffermati abbastanza.
Come ho già ricordato, una prima difficoltà - avremo modo di discuterne in una prossima audizione con il dottor Gorno Tempini, amministratore delegato di Cassa depositi e prestiti Spa - consiste nel dare una corretta valutazione alle aziende in cui realizzare gli investimenti.
Inoltre, il meccanismo prevede la partecipazione al capitale e poi, una volta che le società sono avviate, il disinvestimento, per investire in altre società, in maniera da svolgere una funzione di accompagnamento "successivo".
Mi domando come si possa gestire l'ultimo passaggio. È possibile ipotizzare che, dopo l'uscita del Fondo, la partecipazione azionaria possa essere rilevata da SGR? Supponiamo che il Fondo, valutato un lotto di società, decida di acquisire il 20 per cento di alcune di esse, per consentire loro di attuare un processo di crescita. In seguito, quando il Fondo deciderà di uscire dalle predette società, è ipotizzabile il subingresso di altri investitori per un periodo medio-lungo, dai tre ai cinque anni? Ciò potrebbe attirare anche investitori non istituzionali.
Insomma, immagino una sorta di accompagnamento alla crescita: in un periodo variabile dai tre agli otto anni, passando, per così dire, attraverso il Fondo, le società potrebbero quotarsi in Borsa, fruendo di facilitazioni fiscali. A quel punto, si potrebbe anche consentire l'uscita dell'investitore iniziale, dal momento che le società si saranno aperte al mercato.
Si tratta di un percorso ipotizzabile?

MARCO MALCONTENTI, Co-amministratore delegato di Azimut Holding Spa. Lo è sicuramente: è quanto hanno fatto i fondi di private equity negli ultimi anni.
Anche la storia di Azimut è cominciata in questo modo. Abbiamo eseguito un'operazione di management buyout con un fondo di private equity, che ha rilevato la maggioranza della società, dando la possibilità ai manager e ai promotori finanziari di sottoscrivere le azioni. Dopo due o tre anni, abbiamo concretizzato l'operazione di quotazione, e il fondo di private equity


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è uscito dalla società, cedendo al mercato tutta la propria partecipazione (75 per cento).
Ciò ha comportato, per il management della società, incontri con investitori istituzionali in quasi tutto il mondo - a Londra, a New York e in altre piazze finanziarie -, in occasione dei quali abbiamo cercato di convincere i potenziali acquirenti della validità del nostro business plan e della conseguente possibilità di realizzare buoni guadagni nel lungo periodo. E così è successo.
Consideriamo con favore il modello da noi sperimentato, che pensiamo possa essere replicato. Non crediamo, infatti, di essere stati i più bravi, né di avere dato inizio a un'esperienza unica; al contrario, il percorso da noi seguito può essere intrapreso con successo anche da altri, soprattutto se saranno previsti vantaggi fiscali tali da rafforzare ulteriormente il meccanismo.

PRESIDENTE. Certo, anche perché fa specie vedere gli investitori accumulare nei propri portafogli titoli indiani, cinesi e via dicendo, con i quali potrebbero tranquillamente competere i titoli di alcune nostre società. Evidentemente, quindi, dovremmo muoverci anche nel senso da lei auspicato, dottor Malcontenti.
Ringrazio il nostro ospite, anche per la documentazione consegnata, della quale autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta (vedi allegato), e dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 14,35.

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