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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissione VI
8.
Mercoledì 23 marzo 2011
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Conte Gianfranco, Presidente ... 3

INDAGINE CONOSCITIVA SUI MERCATI DEGLI STRUMENTI FINANZIARI

Audizione del presidente della Consob:

Conte Gianfranco, Presidente ... 3 11 16 18 21 22 23 24
Comaroli Silvana Andreina (LNP) ... 12
Fluvi Alberto (PD) ... 13
Fugatti Maurizio (LNP) ... 16
Strizzolo Ivano (PD) ... 18
Vegas Giuseppe, Presidente della Consob ... 3 18 21 22 23
Ventucci Cosimo (PdL) ... 11

ALLEGATO: Documentazione consegnata dal presidente della Consob ... 25
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Futuro e Libertà per l’Italia: FLI; Italia dei Valori: IdV; Iniziativa Responsabile (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, La Discussione): IR; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.

[Avanti]
COMMISSIONE VI
FINANZE

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di mercoledì 23 marzo 2011


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GIANFRANCO CONTE

La seduta comincia alle 13.

(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione del presidente della Consob.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sui mercati degli strumenti finanziari, l'audizione del presidente della Consob.
Il presidente Vegas, che abbiamo il piacere di avere con noi oggi, al suo debutto in questa Commissione, è accompagnato dal dottor Antonio Rosati e dal dottor Giovanni Siciliano, rispettivamente, direttore generale e responsabile della divisione studi economici della Consob.
Presidente, lei conosce le finalità di questa indagine conoscitiva sui mercati degli strumenti finanziari. Come comprenderà, avvertiamo soprattutto la necessità di capire quale spazio vi sia per facilitare la capitalizzazione delle nostre imprese, in un momento in cui la complessità del mercato mobiliare sembra costituire un ostacolo alla loro quotazione.
Le vicende di questi giorni ci danno modo di rilevare che il problema non si pone soltanto per le piccole imprese. L'attacco portato alle grandi imprese italiane, soprattutto dal versante francese, accresce la sensazione che sia necessario intervenire in qualche modo.
Da parte sua, il Consiglio dei ministri ha approvato, proprio oggi, alcune disposizioni in ordine alla proroga del termine per le assemblee societarie.
Do senz'altro la parola al presidente Vegas per lo svolgimento della relazione, dopo la quale i colleghi che lo desiderino potranno intervenire per formulare domande e richieste di chiarimenti.

GIUSEPPE VEGAS, Presidente della Consob. Grazie, signor presidente.
Innanzitutto, è molto gradita l'occasione di tornare in quest'aula, che vedo ristrutturata e modernizzata. Esprimo, quindi, a lei e alla Commissione, il mio sincero compiacimento.
Venendo al tema dell'indagine conoscitiva, ho predisposto una breve relazione, corredata di tavole e grafici, che forse potrà essere utile alla Commissione. Leggerò il testo soltanto parzialmente, ma consegnerò il documento integrale, poiché le parti di cui non darò lettura approfondiscono specifici aspetti.
Il sistema finanziario italiano si caratterizza per la centralità dell'intermediazione bancaria, sia nel modello di finanziamento delle imprese, sia nelle scelte di allocazione del risparmio delle famiglie.
Il mercato azionario ha da sempre rivestito, per contro, un ruolo modesto, che nell'ultimo decennio ha conosciuto un ulteriore ridimensionamento, in parte spiegato da andamenti congiunturali sfavorevoli. Nel periodo 2000-2010, il numero delle società quotate domestiche è diminuito,


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portandosi da 297 a 286, così come la capitalizzazione, passata da 818 a 423 miliardi di euro; nello stesso periodo si è altresì contratto il peso della capitalizzazione sul prodotto interno lordo, dal 69 al 35 per cento circa.
Un altro profilo che distingue il mercato azionario italiano dalle principali piazze finanziarie europee riguarda il peso contenuto delle piccole imprese sul listino.
Notevoli differenze tra il nostro e i principali Paesi europei si rilevano, inoltre, con riferimento al grado di sviluppo dei mercati dedicati alle piccole e medie imprese.
A livello aggregato, quindi, nell'ultimo decennio, la borsa non ha rappresentato un canale di reperimento di risorse per sostenere i processi di investimento, crescita e innovazione.
Le modalità di finanziamento delle piccole e medie imprese si connotano per la prevalenza del ricorso all'autofinanziamento e al credito bancario. Nell'ambito dei debiti finanziari complessivi, in particolare, è significativa l'incidenza dei debiti finanziari a breve, attestatasi, nel periodo 1998-2007, intorno al 60 per cento.
Tale struttura finanziaria espone le piccole e medie imprese italiane alla variabilità dei tassi a breve e alle fluttuazioni del ciclo economico. In questo contesto, le banche si limitano, molto spesso, ad assicurare la continuità nel tempo del sostegno finanziario alla gestione ordinaria; modesto è, invece, l'apporto al processo di crescita, che dovrebbe avvalersi di interventi di finanza straordinaria e di erogazione di credito a medio e lungo termine.
Lo scarso ruolo degli investitori istituzionali e, in particolare, il modesto peso di quelli specializzati in investimenti nel capitale di rischio delle imprese (cosiddetti fondi di private equity) rappresentano debolezze strutturali del sistema finanziario italiano, che emergono in modo evidente dal confronto con altri Paesi europei. Al riguardo, c'è da dire che si sta lavorando e che il nuovo fondo di private equity promosso dal Ministero dell'economia e delle finanze e dalla Cassa depositi e prestiti sembra molto interessante.
Sul piano microeconomico, lo scarso sviluppo del mercato azionario ha impedito agli imprenditori di cogliere i benefici della quotazione, riconducibili, tra l'altro, alla diversificazione del proprio patrimonio, alla maggiore liquidità dei titoli della società, all'ampliamento dei canali di finanziamento disponibili, al rafforzamento dei rapporti con fornitori e clienti, al maggiore potere contrattuale con le banche e al più agevole processo di ricambio generazionale, che in taluni casi può presentare un elemento di criticità tale da porre a repentaglio la stessa continuità aziendale.
Sul piano macroeconomico, le caratteristiche strutturali del mercato finanziario italiano, sinteticamente citate, hanno probabilmente inciso sulle potenzialità di crescita del sistema produttivo.
Mentre non esiste un risultato univoco circa la superiorità di una specifica struttura finanziaria, appare tuttavia sempre più chiara la correlazione positiva tra grado di sviluppo del sistema finanziario nel suo complesso, risultante dalla combinazione di un settore bancario concorrenziale e un mercato azionario liquido, e crescita delle imprese (soprattutto quelle innovative).
Sembra trovare avallo nella riflessione economica, quindi, la necessità di adoperarsi affinché il ruolo del mercato azionario si sviluppi in modo da bilanciare la centralità del credito bancario nel modello di finanziamento delle imprese italiane, con la consapevolezza che la soluzione preferibile risiede nella combinazione, piuttosto che nella contrapposizione tra sistema bancocentrico e sistema di mercato. Tale soluzione appare, inoltre, quasi obbligata alla luce della recente evoluzione della normativa in materia di requisiti patrimoniali delle banche (Basilea 3), che verosimilmente comporterà un irrigidimento dei criteri di erogazione del credito e un razionamento del credito verso le imprese più rischiose, ma potenzialmente più innovative e impegnate nei settori tecnologicamente avanzati.
È opinione condivisa che le ragioni del modesto ruolo del mercato borsistico italiano


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vadano ricercate in talune caratteristiche strutturali del nostro sistema produttivo e negli elevati costi di quotazione e permanenza sul listino.
Sul piano strutturale, un ostacolo significativo alla crescita delle dimensioni del listino si rinviene nella frammentazione dell'attività economica in un numero elevatissimo di imprese piccole e medie, che non avrebbero quindi le dimensioni minime per affrontare i costi fissi legati alla quotazione.
I fattori alla base di questo fenomeno sono radicati nell'evoluzione storica delle scelte di politica economica e fiscale del nostro Paese, nonché nella centralità della famiglia nell'attività imprenditoriale. Tale centralità alimenta la riluttanza ad accettare la maggiore trasparenza richiesta dall'accesso al mercato azionario e incentiva, nel caso di quotazione, l'adozione di misure in grado di garantire la stabilità degli assetti proprietari (quali, ad esempio, il contenimento del flottante e la stipula di patti parasociali), con ripercussioni negative sulla liquidità e sull'efficienza del mercato del controllo societario.
Con riguardo all'incidenza dei costi di ammissione e permanenza nel listino, è utile una breve ricognizione del processo di quotazione, così come si è andato delineando, in ambito europeo, a seguito dell'attuazione delle direttive di cui al Financial Services Action Plan (FSAP) in materia di prospetto informativo, transparency, abusi di mercato, diritti degli azionisti, MiFID. Tali direttive hanno definito un quadro regolamentare che, oltre a creare spazi alla competizione tra ordinamenti, come dirò più avanti, ha alimentato la concorrenza tra diverse tipologie di mercati connotati da costi e tempi di accesso molto differenti.
Le imprese, infatti, possono chiedere l'ammissione alla negoziazione sia su mercati regolamentati sia su mercati non regolamentati (Sistemi multilaterali di negoziazione - MTF). L'accesso a un mercato regolamentato presuppone il possesso di una serie di requisiti - concernenti, tra gli altri, la presenza di adeguati meccanismi di governo societario e di disclosure dell'informazione societaria, il flottante, la capitalizzazione, il numero di bilanci certificati e altri - che la legislazione comunitaria definisce secondo un principio di armonizzazione minima.
L'ammissione a quotazione e l'ammissione alla negoziazione, inoltre, possono essere assegnate alla società di gestione del mercato (secondo uno schema seguito da tutti i Paesi dell'Europa continentale), oppure fare capo rispettivamente all'Autorità di vigilanza e alla società di gestione del mercato (secondo lo schema adottato, invece, dal Regno Unito). In entrambi i casi, è richiesta l'approvazione del prospetto informativo da parte dell'Autorità di vigilanza, in attuazione di disposizioni comunitarie di cui parlerò più avanti.
L'ammissione alla negoziazione in un MTF (cioè, in un mercato non regolamentato) comporta, invece, un costo nullo se il sistema agisce nella veste di passive secondary listing, ossia si limita a organizzare scambi su titoli quotati altrove, spesso senza nemmeno comunicare o aver acquisito il preventivo consenso dell'emittente.
L'accesso ha un costo, viceversa, se il mercato non regolamentato agisce come primary MTF, offrendo servizi di listing all'emittente. I primary MTF definiscono generalmente requisiti meno rigorosi di quelli dettati per l'accesso ai mercati regolamenti e non sono assoggettati alle direttive comunitarie in materia di prospetto, abusi di mercato e trasparenza informativa, salvo che gli ordinamenti nazionali non dispongano diversamente.
Rimane da verificare se il nuovo quadro regolamentare e di mercato emerso con il pieno recepimento delle direttive del Financial Services Action Plan (FSAP) si sia tradotto in un contenimento dei costi di quotazione per gli emittenti italiani e se abbia effettivamente creato opportunità di accesso al capitale di rischio anche per le imprese di media dimensione, essendo di solito i mercati non regolamentati meno costosi di quelli regolamentati.
La Consob ha un ruolo decisivo nel disegnare un quadro regolamentare funzionale alla crescita del mercato dei capitali. Il testo unico della finanza (TUF)


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assegna, infatti, alla Consob il delicato ruolo di ricercare il punto di bilanciamento più equilibrato nella gestione del trade-off che inevitabilmente si pone fra protezione degli investitori e incentivazione dello sviluppo dei mercati. L'esperienza mostra che la gestione di questo trade-off dipende dalle situazioni congiunturali e dalle fasi cicliche dei mercati finanziari, che possono portare, in determinate circostanze, ad una de- o ad una over-regulation.
In un mercato dei capitali integrato, qual è quello comunitario, la competizione fra ordinamenti può creare spazi per arbitraggi fra giurisdizioni, tali da rendere, in realtà, il trade-off fra protezione degli investitori e sviluppo dei mercati solo apparente. Un eccesso di protezione che aumenta i costi della regolazione può portare a uno spostamento delle attività di intermediazione finanziaria verso giurisdizioni più permissive, e l'utilizzo del passaporto europeo può consentire a intermediari ed emittenti di raccogliere risorse nel nostro Paese rimanendo sottoposti agli standard di vigilanza del Paese di provenienza. Voglio fare solo presente che l'Italia è un Paese salvadanaio, rispetto ad altri che, invece, i soldi li utilizzano.
Vi è, dunque, il rischio che la competizione fra ordinamenti porti alla cosiddetta race-to-the-bottom nel disegno delle regole, e soprattutto nelle modalità interpretative e nelle prassi di vigilanza, in relazione agli spazi di autonomia che le direttive di settore hanno lasciato agli Stati membri. Si può, cioè, creare un gap competitivo fra i Paesi tradizionalmente più rigorosi nell'attuazione e applicazione delle norme europee, come il nostro, e altri Paesi più inclini al recepimento e all'enforcement minimale delle norme europee per ciò che riguarda, in particolare, il sistema di regole e incentivi che condizionano lo sviluppo del mercato di borsa e l'ampliamento del listino.
Uno degli adempimenti centrali per la quotazione in borsa è rappresentato dalla predisposizione del prospetto informativo, i cui contenuti e struttura sono disciplinati da un regolamento comunitario direttamente applicabile in tutti i Paesi membri. La disciplina comunitaria prevede che le Autorità debbano compiere controlli relativamente alla completezza, coerenza e comprensibilità delle informazioni, ma non detta le modalità concrete di esercizio di questi controlli, lasciando spazio ad approcci molto diversi fra le Autorità europee. Si sono, infatti, affermate prassi eterogenee che vanno da un approccio cosiddetto di box-ticking (semplice verifica della presenza delle informazioni previste dalla disciplina comunitaria) fino, all'estremo opposto, a controlli di merito che portano a significative richieste di supplementi e integrazioni di informativa.
Naturalmente, prassi di vigilanza più o meno intrusive incidono sui tempi di approvazione del prospetto, elemento questo che è ritenuto dall'industria uno dei fattori critici per incentivare l'accesso al mercato di borsa, ma ovviamente anche sul livello di protezione degli investitori.
In realtà, è necessario prendere atto che l'informativa contenuta nei prospetti è divenuta, nel tempo, sempre più complessa e tecnica rispetto alle competenze e alla cultura finanziaria degli investitori al dettaglio. Il prospetto informativo è, infatti, un documento altamente sofisticato (a volte è anche «alto», nel senso dello spessore), costruito per soddisfare le esigenze conoscitive di analisti finanziari e investitori professionali.
Ai fini della tutela degli investitori, più che sull'informativa da prospetto, appare necessario puntare sull'informativa sul prodotto, che gli intermediari collocatori sono tenuti a fornire alla clientela nell'ambito dei doveri di trasparenza e correttezza previsti dalla disciplina sulla prestazione di servizi di investimento (MiFID). In quest'ottica, saranno gli intermediari a veicolare alla clientela, in maniera appropriata, l'informazione sul prodotto o sull'emittente, che essi potranno rilevare dal prospetto informativo.
Se si accetta questa impostazione, è possibile che un abbassamento degli standard e della pervasività dei controlli preventivi sul prospetto informativo, con una conseguente forte riduzione dei tempi di


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approvazione, non implichi necessariamente un minore livello di tutela per i risparmiatori al dettaglio. Nella misura in cui vi fossero spazi di modifica alla disciplina comunitaria e sufficiente consenso politico, si potrebbe anche ipotizzare l'eliminazione del nulla-osta preventivo alla pubblicazione del prospetto da parte della Consob, mutuando l'approccio della disciplina attualmente in vigore per i fondi comuni di investimento.
Un altro aspetto che può configurare un elemento di criticità nel processo di quotazione riguarda la ripartizione di compiti fra Consob e Borsa Italiana.
La funzione di listing implica una delicata gestione del trade-off fra sviluppo del mercato e protezione degli investitori, poiché essa può essere interpretata come una forma particolare di rating, risolvendosi nell'accertamento dell'idoneità dell'impresa a emettere passività oggetto di negoziazione su mercati aperti ai risparmiatori al dettaglio.
La scelta del legislatore, con il decreto legislativo cosiddetto Eurosim, prima, e con il TUF poi, è stata quella di affidare la funzione del listing alla società di gestione del mercato, separandola dalla funzione di controllo del prospetto, affidata invece alla Consob. L'ipotesi di un'eventuale riallocazione in capo alla Consob dell'attività di listing è una scelta che richiede un'attenta valutazione del rapporto costi/benefici.
La scelta se attribuire il listing alla Consob è, dunque, complessa e implica valutazioni delicate. Essa non potrebbe certo tradursi in una semplice modifica del Testo unico della finanza, volta a riprodurre l'approccio regolamentare e di vigilanza antecedente al decreto legislativo n. 415 del 1996.
Sarebbe invece necessario, eventualmente, adottare una prospettiva più ampia, considerando la possibilità di definire in modo più puntuale i requisiti e le caratteristiche organizzative dei segmenti dei mercati regolamentati nazionali, con particolare riguardo alla distinzione tra mercati regolamentati e mercati ufficiali (borse valori), al fine di rendere il sistema più flessibile e, pertanto, più rispondente alle esigenze del panorama finanziario italiano.
Si dovrebbe valutare l'eventuale esistenza di aree di sovrapposizione nelle competenze assegnate all'Autorità e alla società di gestione del mercato, nell'ottica del conseguimento di una maggiore efficienza ed efficacia del processo di ammissione a quotazione/negoziazione.
Si dovrebbe tenere conto, poi, delle richieste provenienti dalle società di gestione dei mercati regolamentati, che potrebbero voler operare con maggiore flessibilità, anche in tema di ammissione degli strumenti finanziari alle negoziazioni, al pari degli MTF.
La scelta di attribuire tale funzione a un soggetto pubblico ricalcherebbe quella adottata nell'ordinamento inglese, dove l'autorità ha enfatizzato l'analogia rispetto al rating, segmentando il giudizio implicito nel listing in due fasce: il listing cosiddetto «standard», per le imprese che soddisfano i requisiti minimi della disciplina comunitaria, e il listing premium per le imprese che si impegnano a rispettare regole più stringenti in tema di corporate governance e di trasparenza, i cosiddetti obblighi «super equivalent».
I costi regolamentari legati allo status di società quotata derivano tuttavia, in larga misura, da norme di matrice comunitaria (in particolare, la direttiva prospetto, la direttiva Transparency e la direttiva sugli abusi di mercato), divenute nel tempo sempre più complesse e articolate, che generano costi di compliance insostenibili per le imprese di minori dimensioni. Si tratta, infatti, di un quadro di regole che non prevede alcun livello di graduazione degli obblighi in funzione della dimensione delle imprese.
Questo è probabilmente uno dei motivi principali alla base del limitato successo dei progetti attuati da Borsa Italiana nel corso di oltre un decennio per creare strutture di mercato dedicate ad accogliere le imprese di medie dimensioni (Mercato ristretto, Nuovo mercato, Mercato Expandi, AIM Italy).


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Il confronto con l'industria e con gli intermediari ha evidenziato, tuttavia, come vi sia anche un problema di fondo dal lato della domanda, legato alla difficoltà di generare un adeguato interesse degli investitori retail, sia sul mercato primario che secondario, a causa delle forti asimmetrie informative e degli elevati livelli di rischio che caratterizzano l'investimento in azioni di imprese di medie dimensioni. I mercati aperti ai retail sembrano, quindi, destinati a non avere successo, sia perché la domanda non risulta sufficiente a soddisfare le esigenze di ricapitalizzazione delle imprese, sia per la scarsa liquidità del mercato secondario.
Il successo di iniziative di rilancio di mercati azionari per le medie imprese presuppone, dunque, la creazione di piattaforme riservate agli investitori professionali, per minimizzare i costi di compliance. Ovviamente, il problema fondamentale rimane, tuttavia, quello di definire misure per favorire lo sviluppo di investitori specializzati nell'investimento in capitale di rischio delle piccole e medie imprese (private equity e venture capital).
È, dunque, presupposto imprescindibile il potenziamento del ruolo degli investitori istituzionali specializzati nell'investimento in capitale di rischio delle imprese più giovani e innovative, soprattutto di quelle operanti nei settori tecnologicamente più avanzati. Da questo punto di vista, assume importanza strategica il recente provvedimento di revisione delle modalità di tassazione del risparmio gestito, con il passaggio da una tassazione sugli utili maturati a una tassazione sugli utili effettivamente realizzati, passaggio che sana un'anomalia tutta italiana che ha molto inciso sulle possibilità di sviluppo del settore.
Tuttavia, per i fondi di private equity e venture capital è forse immaginabile un'ulteriore agevolazione fiscale sulle plusvalenze in fase di disinvestimento, in ragione degli elevati rischi di questo segmento del risparmio gestito rispetto ai fondi tradizionali.
Un'altra possibilità è quella di incentivare lo sviluppo di modelli di partnership pubblico-privato simili al modello definito per il Fondo italiano di investimento, promosso dal Ministero dell'economia e delle finanze e dalla Cassa depositi e prestiti, dove il soggetto pubblico, oltre a fare da catalizzatore dell'iniziativa, potrebbe offrire garanzie verso i soggetti privati in termini di limitazione delle perdite massime in fase di disinvestimento (cosiddetta downside protection), in modo da incentivare la partecipazione dei privati stessi.
Tuttavia, per innescare un circuito virtuoso stabile, è necessario disporre di mercati azionari riservati alle medie imprese, liquidi e ben sviluppati, poiché la strategia di exit principale per i fondi di private equity rimane quella dell'IPO e della cessione della partecipazione nella fase di quotazione dell'impresa.
C'è, dunque, un problema di circolarità e di simbiosi fra private equity e mercati di borsa per le medie imprese: ognuno ha bisogno dell'altro per crescere e svilupparsi. Sono, dunque, necessarie iniziative coordinate e integrate su entrambi i fronti, per innescare un circolo virtuoso e raggiungere uno sviluppo sincrono e armonico di questi due comparti del sistema finanziario.
Venendo al tema del potenziamento della piazza finanziaria italiana, occorre osservare che, oltre al problema di incentivare lo sviluppo del mercato azionario per le medie imprese, che rappresenta uno dei più importanti elementi di ritardo del nostro sistema finanziario - tenendo conto, tra l'altro, della struttura del nostro sistema imprenditoriale -, c'è un problema più generale di sviluppo delle strutture di trading e post-trading del nostro Paese.
Da questo punto di vista, l'integrazione di Borsa Italiana nel gruppo del London Stock Exchange (LSE) non ha sino ad ora generato i ritorni positivi sperati in termini di aumento della liquidità sul secondario, ampliamento della base di investitori attivi su azioni italiane e crescita del listino, sebbene ciò possa essere imputabile, quasi integralmente, al fatto che l'integrazione


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è avvenuta durante un periodo funestato da una delle più gravi crisi finanziarie dal dopoguerra.
La recente integrazione del gruppo del London Stock Exchange con il gruppo canadese TMX - alla quale è seguito l'annuncio dell'integrazione tra il New York Stock Exchange (NYSE) e la Deutsche Börse - rappresenta una risposta competitiva delle borse tradizionali alle pressioni concorrenziali sempre più intense esercitate dalle piattaforme alternative di trading (in particolare, dagli MTF).
Il successo degli MTF dipende dalle loro politiche di pricing aggressive e dalla capacità, tramite l'adozione di piattaforme tecnologicamente molto avanzate, di attrarre gli ordini degli investitori professionali più sofisticati, che adottano strategie di trading basate su software e algoritmi computerizzati, i cosiddetti high frequency trading (HFT, i quali, com'è noto, svolgono moltissime operazioni). Il maggiore MTF europeo (Chi-X) attrae un volume di ordini superiore a quello della Borsa di Londra, offrendo la possibilità di negoziare tutte le principali blue chip europee.
La fusione tra i gruppi LSE e TMX dovrebbe consentire di realizzare economie di scala (cioè utilizzare la stessa piattaforma di trading per un numero più ampio di intermediari) e di scopo (il gruppo potrà diversificare le attività integrando l'operatività sul mercato delle commodity sviluppato da TMX).
Il ruolo e le prospettive di sviluppo della piazza finanziaria italiana, che la risposta strategica alle sfide competitive dovrebbe in ogni caso salvaguardare, sono legate tuttavia all'evoluzione dell'integrazione tra LSE e TMX. Un profilo di possibile criticità riguarda, in primo luogo, il ruolo degli azionisti italiani, che vedranno la propria partecipazione diluita e il numero dei propri rappresentanti nel consiglio di amministrazione del nuovo gruppo diminuire.
La progressiva riduzione del peso degli intermediari italiani nell'azionariato del gruppo potrebbe, di fatto, ridurre la possibilità che le competenze e le infrastrutture del mercato italiano vengano valorizzate al meglio. Appare, d'altro canto, d'interesse comune che gli attuali punti di forza dell'industria nazionale dei servizi di negoziazione vengano salvaguardati e valorizzati anche nell'evoluzione futura delle strategie imprenditoriali del nuovo gruppo.
Nell'accordo è previsto che il mercato italiano resti centro di scambio azionario e che vengano potenziate la piattaforma del reddito fisso (mercato MTS) e le attività delle strutture di post-trading italiane.
Il processo d'integrazione avrà riflessi anche sulle scelte di quotazione delle società italiane. Borsa Italiana resta la società di riferimento per le aziende italiane, ma dall'accordo sembra derivare alla Borsa di Toronto la competenza sul listing e sui servizi all'emittente in generale. Se ciò equivale a dire che alla Borsa canadese spetterà la guida della promozione commerciale del mercato azionario, è importante che tale attività sia svolta tenendo conto delle peculiarità del sistema italiano.
Tale problematica si intreccia con le criticità derivanti dai costi di quotazione sopra illustrate. In primo luogo, non si può dare per certo che lo sfruttamento di sinergie ed economie di scala si traduca in minori costi di listing. La fusione tra Borsa Italiana e London Stock Exchange non ha, infatti, portato ad una riduzione dei costi di quotazione. Anche qualora ciò si realizzasse, non è detto che i minori costi di listing siano sufficienti ad attrarre le aziende verso il mercato azionario. Per incentivare la quotazione è importante ridurre la complessità dell'insieme degli adempimenti amministrativi e regolamentari richiesti in sede di ammissione alla quotazione. Su questo specifico aspetto, CONSOB intende esercitare un'azione di scrutinio sulle scelte che saranno compiute dal gruppo LSE e di valutazione delle potenziali ricadute sulla competitività della piazza finanziaria italiana.
Occorre soffermarsi, adesso, sull'impatto dell'evoluzione del quadro regolamentare europeo.
A distanza di circa due anni dall'avvio delle prime riflessioni e proposte di intervento, e dopo il raggiungimento di un delicato accordo politico, dal 1o gennaio


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2011 è entrata in vigore la legislazione che definisce il nuovo assetto istituzionale europeo della vigilanza finanziaria. Essa prevede una complessa architettura fondata sull'istituzione del Consiglio europeo per i rischi sistemici (European Systemic Risk Board - ESRB) e di tre autorità europee con competenze settoriali, rispettivamente, per i mercati finanziari (ESMA), per le banche (EBA) e per le assicurazioni (EIOPA).
La nuova architettura delle Autorità di vigilanza mette in parte in discussione il modello Lamfalussy di produzione della normativa comunitaria, basato su direttive che definiscono i principi di policy (cosiddetto «livello 1») e direttive o regolamenti che disciplinano, invece, gli elementi di dettaglio della regolamentazione (cosiddetto «livello 2»).
Nonostante la produzione normativa sia sempre più orientata verso direttive di armonizzazione massima (con divieto di cosiddetto gold plating da parte degli Stati membri) e regolamenti direttamente applicabili senza necessità di recepimento a livello nazionale, il modello Lamfalussy ha evidenziato alcuni limiti strutturali rispetto all'obiettivo di realizzare un'effettiva armonizzazione del quadro regolamentare e di «livellare il campo di gioco» per prevenire arbitraggi fra Paesi e giurisdizioni.
Esistono, infatti, spazi per arbitraggi fra ordinamenti, dettati, più che da differenze formali nel quadro giuridico, da divergenze nelle modalità tecniche di declinazione e applicazione della normativa comunitaria e da diversità nelle prassi di vigilanza e nei regimi sanzionatori.
Questa consapevolezza ha indotto il legislatore comunitario ad assegnare alle nuove autorità europee un ruolo importante nel garantire l'effettivo allineamento del sistema di regolazione dei mercati finanziari in ambito europeo. Esse potranno, infatti, emanare standard tecnici giuridicamente vincolanti per le autorità nazionali in materia di modalità interpretative e applicative della disciplina comunitaria (limitatamente, tuttavia, alle aree espressamente previste dalla normativa comunitaria di rango primario e dopo una procedura di endorsement da parte della Commissione europea), al fine di definire un quadro regolamentare effettivamente armonizzato e vincolante per le autorità di vigilanza domestiche e assicurarne un'applicazione uniforme e coerente.
Una delle principali sfide della nuova Autorità europea per i mercati finanziari (ESMA) è quindi costituita dalla capacità di elaborare standard tecnici e linee guida che portino ad un effettivo livellamento del campo di gioco e a un'armonizzazione delle prassi di vigilanza, rimuovendo gli incentivi ad arbitraggi fra ordinamenti, che hanno fortemente penalizzato il mercato finanziario domestico.
L'esempio più evidente è rappresentato dall'industria del risparmio gestito, che ha ormai circa metà del patrimonio delocalizzato in Irlanda e in Lussemburgo. Tale fenomeno dipende in larga misura dal fatto che le autorità di tali Paesi applicano standard di vigilanza diversi da quelli della Consob. La nuova disciplina di attuazione della direttiva di settore (cosiddetta UCITS IV) introduce un regime di armonizzazione massima che dovrebbe in parte mitigare il problema (si tratta di un argomento sul quale stiamo lavorando).
Come detto in precedenza, le modalità di esercizio della vigilanza sui prospetti informativi rimangono uno degli esempi più evidenti di come le prassi di vigilanza creino spazi per arbitraggi fra ordinamenti. Una delle priorità per l'ESMA, per realizzare un effettivo livellamento del campo di gioco, potrebbe essere quella di definire delle linee guida sulle prassi di vigilanza nell'approvazione dei prospetti. Allo stato attuale, infatti, il confronto con l'industria ha fatto emergere un giudizio di eccessiva lunghezza dei tempi di approvazione dei prospetti da parte della Consob, ma ciò sconta il confronto con ordinamenti che hanno prassi di vigilanza meno rigorose, o comunque diverse, che hanno finito per esercitare un impatto fortemente negativo sulla posizione competitiva della piazza finanziaria italiana.
Un altro aspetto di grande rilievo nel nuovo sistema di vigilanza europeo riguarda


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l'esplicito riconoscimento di un ruolo di vigilanza di macro-stabilità e di presidio dei rischi sistemici, cui è preposto in via prioritaria l'ESRB. Le nuove autorità europee dovranno supportare l'ESRB, in particolare, nell'individuazione dei rischi sistemici che originano all'interno del sistema finanziario per i rispettivi comparti di competenza (banche, assicurazioni e mercati mobiliari), mentre all'ESRB è demandato il compito, più ampio, di vigilanza macro-prudenziale e identificazione dei rischi che possono derivare dall'evoluzione complessiva degli squilibri macro-economici e dall'andamento congiunturale dell'economia reale.
L'ESRB avrà il potere di emanare i cosiddetti warning, o vere e proprie raccomandazioni (che, tuttavia, non saranno formalmente vincolanti) alle autorità dei Paesi membri, mentre, in situazioni di emergenza, l'ESMA (e le altre autorità europee) dovrebbe agire per facilitare e coordinare le misure adottate dalle autorità nazionali e potrà prendere direttamente decisioni vincolanti per le autorità nazionali e singoli soggetti vigilati qualora ricorrano circostanze eccezionali (sebbene con una procedura complessa che potrebbe compromettere la tempestività di reazione rispetto a situazioni di mercato che precipitano molto rapidamente).
Ai cambiamenti di natura istituzionale sopra descritti si va affiancando un ampio processo di revisione della disciplina comunitaria in materia di valori mobiliari. La Commissione europea ha infatti recentemente avviato un processo di revisione delle principali direttive del settore dei mercati mobiliari (in particolare, la MiFID e la direttiva sugli abusi di mercato), e sono in corso di definizione, o da poco emanate, le misure attuative di altre direttive recentemente riviste nel loro impianto di fondo (in particolare, la direttiva sul risparmio gestito, cosiddetta UCITS IV, e la direttiva prospetto).
A questo processo di revisione si affiancano due iniziative legislative nuove, in materia di vendite allo scoperto e di derivati OTC, che riflettono il dibattito emerso dopo la crisi finanziaria e quella del debito sovrano, e le proposte avanzate da organismi internazionali quali il Financial Stability Board (FSB).
In conclusione, signor presidente e onorevoli deputati, le linee evolutive del quadro regolamentare europeo, fin qui sinteticamente delineate, lasciano intravedere un crescente livellamento del campo di gioco e una progressiva compressione degli spazi per arbitraggi regolamentari.
All'armonizzazione delle regole deve corrispondere, tuttavia, anche una maggiore omogeneità delle prassi di vigilanza che, come si è già ricordato, sono ancora troppo difformi per consentire alle iniziative di rilancio del mercato azionario italiano di esplicare pienamente i propri effetti. In tal senso sarà cruciale l'azione dell'ESMA, che dovrà adoperarsi affinché si realizzi un'effettiva convergenza nelle prassi di vigilanza e nei sistemi sanzionatori, oltre che nelle modalità di interpretazione e applicazione della disciplina comunitaria.
In tale contesto, la Consob continuerà a impegnarsi affinché i processi di produzione normativa internazionali tengano adeguatamente conto delle specificità del sistema finanziario italiano e ne preservino la competitività, senza per questo pregiudicare la tutela degli investitori.

PRESIDENTE. Ringrazio il presidente Vegas.
Do la parola ai deputati che intendono intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

COSIMO VENTUCCI. Ringrazio il presidente Vegas della relazione, attraverso la quale ci ha fornito una panoramica completa sul mercato degli strumenti finanziari.
Conoscendola da più di quindici anni, presidente, considero il suo nome una garanzia anche per quanto riguarda l'espletamento del nuovo compito assegnatole. La chiarezza con la quale si è espresso rivela fin d'ora una precisa impostazione della sua presidenza: essa sarà scevra da un «politichese» non consono a una società come la nostra, la quale ancora


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risente, purtroppo, di un modello di gestione amministrativa della cosa pubblica per certi versi simile a quello di uno Stato di polizia. Mi riferisco al modo in cui è svolta, in taluni casi, l'attività di controllo: si va a guardare l'albero, ma non si vede il bosco, e non ci si rende conto che tale atteggiamento è espressione di un minimalismo gestionale miserevole.
Cambiando argomento, abbiamo appreso, poco fa, che il Consiglio dei ministri ha approvato una norma anti OPA, contro le scalate alle nostre imprese da parte di società straniere. Sappiamo di cosa stiamo parlando, perché abbiamo letto su tutti i giornali della vicenda Parmalat.
Presidente Vegas, nella relazione lei afferma espressamente: «Per incentivare la quotazione è importante ridurre la complessità dell'insieme degli adempimenti amministrativi e regolamentari richiesti in sede di ammissione alla quotazione». Il brano citato la dice lunga su ciò che avviene nel comparto della borsa.
Sempre nella relazione, a pagina 2, nel testo in corpo 8, di cui non ha dato lettura, troviamo esposte cifre estremamente preoccupanti. La ringrazio di averci fornito i dati relativi alla contenuta incidenza delle piccole imprese sul listino, perché non immaginavo che il numero delle società con capitalizzazione inferiore a 50 milioni di euro fosse, da noi, così ridotto rispetto a quello di Francia, Regno Unito e Germania. Il dato è emblematico della situazione in cui versa il nostro mercato mobiliare, e invita a riflettere sul documento che oggi ci consegnate.
Non desidero porre domande particolari, anche se avrei, in realtà, tantissime curiosità. Desidero soltanto rammentare, a proposito di centralità dell'intermediazione bancaria nel sistema finanziario italiano, la questione relativa alla registrazione dei mancati pagamenti negli archivi informatici dei sistemi di informazione creditizia, che abbiamo approfondito in occasione dell'indagine conoscitiva sul credito al consumo. Come ebbi modo di raccontare - il presidente Conte lo ricorderà -, io stesso non avevo potuto effettuare un'operazione finanziaria perché il mio nominativo risultava registrato nell'archivio della società CRIF, sebbene la situazione, originata da una fideiussione, fosse stata già risolta un paio di anni prima.
Nel mio caso, si trattava di un'operazione di modesta importanza, che ho potuto eseguire con un paio di mesi di ritardo (ho dovuto prima chiarire la mia situazione con la società CRIF). Un simile disguido, se non mi inganno, potrebbe causare guai seri a un operatore internazionale o a chi, avendo poche disponibilità, cercasse di investirle nel mercato mobiliare.
Presidente Vegas, giacché lei è stato estremamente chiaro, la pregherei di farsi parte attiva, di stimolare anche il Parlamento affinché approvi norme che rendano più agevole l'accesso al settore economico di cui ci stiamo interessando. Grazie.

SILVANA ANDREINA COMAROLI. Ringrazio anch'io il presidente Vegas e i suoi collaboratori.
Desidero approfondire, presidente, la questione dei costi che devono sostenere le imprese quotate, derivanti in gran parte, come lei ha accennato, da norme di matrice comunitaria. Gli oneri elevati costituiscono un ostacolo alla crescita del listino soltanto da noi, o lo stesso problema è avvertito anche dalle piccole imprese degli altri Paesi? Mi sembra, anche in base agli elementi di conoscenza acquisiti in occasione delle precedenti audizioni, che questa situazione riguardi soprattutto noi.
Trovo convincente, d'altra parte, la tesi che riconduce anche a una certa concezione culturale la nostra struttura imprenditoriale, contraddistinta da una frammentazione non riscontrabile negli altri Paesi e da complessi aziendali generalmente di ridotte dimensioni.
Le chiedo, dunque, di approfondire questo aspetto, presidente Vegas.
Inoltre, ho molto apprezzato la parte della relazione nella quale si evidenzia l'importanza, ai fini dello sviluppo dei mercati finanziari, del potenziamento della trasparenza e della semplificazione


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dell'informazione veicolata ai risparmiatori, i quali si lasciano sedurre, talvolta, da pubblicità ingannevoli che promettono rendimenti più elevati di quelli effettivi.
Il piccolo risparmiatore che si reca in banca per effettuare un investimento si fida quasi ciecamente di chi gli illustra le caratteristiche di un titolo, che acquista, per lo più, senza leggere, prima di sottoscrivere il contratto, tutta l'informativa precontrattuale.
È avvenuto, ad esempio, che fosse pubblicizzato un rendimento variabile elevato, senza dare il dovuto risalto alla clausola secondo la quale il rendimento del titolo non avrebbe potuto comunque superare una certa percentuale di incremento dell'indice o valore di riferimento.
Non è il caso, allora, di prevedere obblighi informativi più limitati, ma idonei ad assicurare una trasparenza effettiva riguardo alle prospettive di un investimento?

ALBERTO FLUVI. Innanzitutto, desidero ringraziare il presidente della Consob per l'ampia relazione, che sicuramente permetterà alla Commissione di acquisire preziosi elementi ai fini dell'indagine conoscitiva sui mercati degli strumenti finanziari.
Presidente Vegas, lei ha esordito dando conto della diminuzione sia del numero delle società quotate domestiche sia della capitalizzazione, anche in rapporto al prodotto interno lordo. I dati sono corretti, e le tabelle allegate alla relazione sono indubbiamente utili.
Tuttavia, la preoccupazione per la situazione della piazza finanziaria italiana, derivante dalla diminuzione del numero delle società quotate da 297 a 286, nel periodo dal 2000 al 2010, è accresciuta dal fatto che, nel 2007, tale numero era salito a 344. Ciò indica che il tonfo della piazza finanziaria italiana è stato più grave di quanto emerge dalla relazione.
Dobbiamo interrogarci, quindi, sul ruolo di Borsa Italiana Spa, sul percorso che è stato seguito - non per rievocare il passato - e su quello che abbiamo di fronte, sulla scelta della fusione con il London Stock Exchange Group e su quella di una seconda fusione con il TMX Group di Toronto.
In sintesi, dobbiamo chiederci quale ruolo assumerà Borsa Italiana Spa all'interno della nuova società di gestione. Poiché, a quanto pare - non vorrei sbagliarmi -, il peso degli azionisti italiani nel London Stock Exchange è intorno al 15 per cento, immagino che saranno inevitabilmente destinati a diluirsi, all'interno della nuova alleanza con la borsa di Toronto, sia la nostra presenza sia il nostro peso all'interno del board della nuova struttura.
Se poi, come lei ha ipotizzato, presidente, la competenza sul listing spetterà alla borsa di Toronto, si può già immaginare quali difficoltà ciò potrà causare alla nostra piazza finanziaria.
Non vorrei che, anche per quanto riguarda le borse, fossimo animati dalla stessa tendenza al gigantismo che abbiamo seguito, negli ultimi anni, nel settore del credito. Mi rendo conto che stiamo parlando di materie completamente diverse, ma anche in questo caso il problema è come evitare di creare organismi troppo grandi perché possano fallire.
Dobbiamo porre attenzione a questi due nuovi moloc: da una parte, London Stock Exchange e TMX di Toronto; dall'altra, le altre piazze finanziarie europee, con il NYSE. Ho l'impressione che queste strutture facciano gli interessi degli azionisti più che quelli degli emittenti e degli investitori. Una riflessione su tale aspetto, a margine dell'audizione, forse sarebbe opportuna.
Abbiamo deciso di avviare un'indagine sui mercati finanziari in seguito all'ultima relazione del presidente Cardia - il quale lanciò un allarme sui rischi che correva la piazza finanziaria italiana -, per provare a individuare, ove necessari, quei correttivi atti a fare in modo che le imprese ricorrano maggiormente al capitale di rischio, e non si limitino a soddisfare le proprie esigenze di finanziamento attraverso l'indebitamento bancario.
Ho letto, qualche tempo fa, un'intervista a Raffaele Jerusalmi, amministratore


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delegato di Borsa Italiana Spa, il quale sosteneva che le nuove regole di Basilea 3, imponendo agli istituti di credito italiani di patrimonializzarsi, al fine di soddisfare i nuovi requisiti, determineranno una contrazione dei finanziamenti bancari e, di conseguenza, un'importante opportunità per la piazza finanziaria italiana. Secondo l'amministratore delegato di Borsa Italiana Spa, la restrizione del canale di approvvigionamento bancario dovrebbe produrre, per converso, un ampliamento del ricorso al capitale di rischio da parte delle imprese.
Si tratta di un effetto che è tutto da verificare. Probabilmente, occorrerà comunque introdurre qualche correttivo, nella legislazione fiscale e nelle regole, per favorire l'accesso delle imprese al mercato dei capitali.
Credo che dovremmo utilizzare al meglio l'indagine conoscitiva anche perché, come lei ha ricordato, presidente, la Commissione europea ha recentemente avviato un processo di revisione della direttiva MiFID, nell'ambito del quale potremmo suggerire l'adozione di alcuni correttivi, quali quelli che lei stesso propone nella relazione.
Per quanto riguarda la legislazione nazionale, credo si debba pensare all'introduzione di incentivi fiscali per la quotazione in borsa. Non vi sono molte altre possibilità.
I costi di ammissione e di permanenza sul listino sono elevati, al punto da scoraggiare le società. Il mercato per le piccole e piccolissime imprese, il MAC, di proprietà, in origine, anche delle banche, fu lanciato con lo slogan «50.000 euro e sei quotato». Nonostante i costi abbastanza ridotti, il MAC non ha avuto fortuna: credo che del listino facciano parte all'incirca dieci società.
Ferma restando la necessità di graduare le regole, anche quelle attinenti alla trasparenza, in base alle dimensioni delle società da quotare, ritengo, quindi, che dovremmo prendere in considerazione l'opportunità di introdurre incentivi di carattere fiscale volti a sviluppare fondi di private equity o fondi di investimento dedicati alle piccole e medie imprese.
D'altra parte, presidente, verificheremo gli effetti del nuovo regime di tassazione dei fondi comuni, che riallineerà il trattamento tributario dei fondi italiani con quello dei fondi esteri.
Ho detto «verificheremo» perché non sono del tutto convinto che la crisi del settore del risparmio gestito sia da ricondurre a fattori di carattere fiscale. Un paio di anni fa, il Gruppo di lavoro istituito dalla Consob e dalla Banca d'Italia per elaborare una concreta risposta al bisogno di maggiore efficienza e competitività del risparmio gestito italiano ha individuato, tra le possibili cause della predetta crisi, la bassa autonomia strategica delle SGR appartenenti a gruppi bancari e il consolidarsi di modelli d'integrazione verticale di produzione e distribuzione. Ciò significa - almeno, questa è la mia interpretazione - che più della questione fiscale è importante la creazione di una sorta di muraglia tra società-prodotto (il gruppo bancario, in questo caso) e intermediari distributori (appartenenti alla medesima struttura di gruppo).
La necessità di allineare la tassazione a quella europea era nell'aria, ma forse si è esagerato, al di là della tassazione sul maturato o sul realizzato, per favorire questo canale di investimento finanziario.
Mi consentirà, presidente Vegas, di approfittare della sua presenza per allargare la discussione ai temi di maggiore attualità.
Abbiamo appreso che il Consiglio dei ministri ha approvato, proprio oggi, un provvedimento la cui finalità potremmo individuare nella tutela dell'italianità delle imprese. Non conosco i dettagli del provvedimento, sul quale avremo sicuramente modo di confrontarci nel merito. Colgo l'occasione per rammentare che il Parlamento aveva già approvato disposizioni a tutela dell'italianità delle imprese.
In particolare, l'articolo 7, comma 3-quinquies, del decreto-legge n. 5 del 2009 ha inserito nell'articolo 120 del TUF il comma 2-bis, il quale dispone che la


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Consob, con provvedimento motivato da esigenze di tutela degli investitori, nonché di efficienza e trasparenza del mercato del controllo societario e del mercato dei capitali, può abbassare al di sotto della soglia del 2 per cento, per un limitato periodo di tempo, l'obbligo di comunicazione, alla società partecipata e alla Consob medesima, relativo a partecipazioni in emittenti azioni quotate aventi l'Italia come Stato membro d'origine, per società ad elevato valore corrente di mercato e ad azionariato particolarmente diffuso (mi risulta che di tale facoltà l'Autorità di vigilanza non abbia mai fatto uso).
Inoltre, il medesimo articolo 7, comma 3-sexies, lettera a), del decreto-legge n. 5 del 2009, intervenendo sull'articolo 2357, terzo comma, del codice civile, ha elevato dalla decima alla quinta parte (vale a dire dal 10 al 20 per cento) del capitale sociale la soglia del valore nominale delle azioni proprie acquistabili da parte di società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio.
Alla possibilità di derogare, mediante apposite previsioni statutarie, alla disciplina della passivity rule, di cui all'articolo 104 del TUF, come sostituito dall'articolo 1, comma 3, del decreto legislativo n. 146 del 2009, mi sembra abbiano fatto ricorso soltanto la FIAT e Banca Carige.
Infine, il già menzionato articolo 7, comma 3-quater, del decreto-legge n. 5 del 2009 ha modificato la disciplina della cosiddetta OPA incrementale, o da consolidamento, prevedendo che l'obbligo di offerta consegua ad acquisti superiori al 5 per cento da parte di chi già detenga la partecipazione rilevante ai fini dell'obbligo di OPA senza avere la maggioranza dei diritti di voto esercitabili in assemblea ordinaria.
A prescindere da ogni considerazione concernente l'applicazione della clausola di reciprocità, ciò dovrebbe indurci a riflettere sui motivi per i quali le nostre aziende, nonostante gli interventi normativi che ho ricordato, rischino quotidianamente l'assalto da parte di aziende straniere.
A fronte di ciò, è lecito domandarsi - ferma restando la necessità di entrare più nel dettaglio in occasione dell'esame del provvedimento d'urgenza adottato oggi dal Governo - se sia meglio avere un'azienda che funziona, ovvero un'azienda protetta, ma non in grado di competere sul mercato.
Passando alla vicenda riguardante il riassetto di Premafin e Fondiaria-SAI, presidente, che l'ha vista impegnata nel compimento del primo atto di un certo rilievo dopo il suo insediamento, credo, basandomi sulle limitatissime conoscenze di cui dispongo, che la Consob abbia fatto bene a imporre alla società francese Groupama di lanciare un'OPA su entrambe le società facenti capo alla famiglia Ligresti.
Tuttavia, mi domando se oggi non si ripresenti la stessa situazione per Unicredit, dopo le ben note vicende. Ovviamente, anche in questo caso, la Consob farà le sue valutazioni sulla necessità o meno di lanciare un'OPA obbligatoria su Fondiaria-SAI (potremmo essere di fronte a un'ipotesi di OPA da acquisto incrementale). Da quel che si apprende dalla stampa, Unicredit dovrebbe ottenere il 6,6 per cento di Fondiaria-SAI. Inoltre, Unicredit e Premafin sottoscriveranno un patto parasociale di durata triennale, nel quale saranno stabilite particolari procedure per le decisioni in merito ad alcune operazioni straordinarie.
Possiamo svolgere, a questo punto, alcune considerazioni sul ruolo di Unicredit e sui conflitti d'interessi, di cui il capitalismo italiano è pieno.
Ligresti ha dovuto dimettersi dal consiglio di amministrazione di Unicredit e un certo numero di membri del medesimo consiglio non ha potuto partecipare alle riunioni dei giorni scorsi perché in situazione di conflitto d'interessi (il riferimento è a Mediobanca, Generali e via dicendo). Peraltro, Unicredit è notevolmente esposta nei confronti della galassia societaria della famiglia Ligresti (sembra per circa 350 milioni di euro, avendo riguardo alle varie articolazioni del gruppo).
Da un punto di vista generale, queste considerazioni riguardano il nuovo ruolo


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che Unicredit dovrebbe assumere come banca di sistema, a sostegno della crescita del sistema produttivo italiano.
Per quanto riguarda, invece, l'aspetto specifico concernente gli eventuali obblighi derivanti dall'acquisto del 6,6 per cento di Fondiaria-SAI, mi sembra - le chiedo, presidente, di esprimere un'opinione in merito, se può - che Unicredit si trovi, a occhio e croce, nella stessa condizione di Groupama e che, di conseguenza, vi sia anche in questo caso l'obbligo di OPA.
Infine, è stato giustamente acceso un faro, in questi giorni, sulla vicenda del Gruppo Generali, la più grande multinazionale del nostro Paese: un vicepresidente, Bolloré, che già aveva riempito le cronache dei mesi scorsi con riferimento alla vicenda Groupama-Premafin, si è astenuto sul bilancio del 2010, che è stato approvato dal consiglio di amministrazione dopo un confronto durissimo tra lo stesso Bolloré e un altro vicepresidente, anch'egli consigliere di Mediobanca.
A tale proposito, penso sia necessario lanciare messaggi chiari al mercato e ai risparmiatori, soprattutto perché viene in considerazione la più importante azienda finanziaria del Paese, l'unica grande multinazionale italiana.

MAURIZIO FUGATTI. Porrò alcune brevi domande che esulano, in parte, dal tema oggetto della relazione. Tuttavia, credo che l'occasione sia troppo ghiotta per non approfittarne.
Uno degli argomenti di mio interesse è stato già introdotto nell'audizione. Si tratta, in particolare, dell'obbligo di comunicazione, alla società partecipata e alla Consob, gravante su chi detenga una partecipazione superiore al 2 per cento in emittenti azioni quotate aventi l'Italia come Stato membro d'origine.
Da quando abbiamo avuto modo di trattare, in questa Commissione, la questione concernente la partecipazione in Unicredit di alcuni fondi sovrani, il gruppo della Lega ha elaborato una specifica proposta, che non riguarda il predetto obbligo di comunicazione alla Consob, ma l'autorizzazione che la Banca d'Italia deve rilasciare prima dell'acquisizione a qualsiasi titolo in una banca di partecipazioni che comportano il controllo o la possibilità di esercitare un'influenza notevole sulla banca stessa, o che attribuiscono una quota dei diritti di voto o del capitale almeno pari al 10 per cento: per i fondi sovrani, si potrebbe pensare di prevedere una soglia diversa, ad esempio del 5 per cento, considerata l'evoluzione della situazione relativa ai fondi sovrani.
Questo non significa essere contro i fondi sovrani, che, anzi, riteniamo importanti ai fini della capitalizzazione delle imprese, ma i particolari momenti vissuti in queste ultime settimane ci hanno portato verso la scelta di cui ho appena riferito.
Poiché si potrebbe pensare a una misura analoga anche con riferimento alle comunicazioni da inviare alla Consob, desidereremmo conoscere la sua opinione al riguardo, presidente Vegas.
In secondo luogo, sappiamo che la Consob - se n'è parlato molto in questi giorni - sarà chiamata a esprimersi sulla vicenda dell'acquisizione di una quota rilevante del capitale di Parmalat da parte di Lactalis. In proposito, vorremmo sapere se, ad avviso della Consob, tutto si sia svolto in maniera regolare.

PRESIDENTE. Desidero ringraziarla, presidente Vegas, della relazione, densa di spunti di un certo interesse anche nelle parti di cui non ha dato lettura.
Se non ho interpretato male, sembra che lei, presidente, faccia affidamento, ai fini del rilancio del mercato azionario italiano, sull'armonizzazione delle regole e su una maggiore omogeneizzazione delle prassi di vigilanza a livello europeo, ritenendo altresì cruciale, in tal senso, l'azione che sarà svolta dalla European Securities and Markets Authority (della riforma del sistema europeo di vigilanza finanziaria e dell'istituzione delle nuove autorità di settore, segnatamente dell'ESMA, alla quale spetterà la vigilanza anche sulle agenzie di rating del credito, abbiamo avuto modo di


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discutere con il presidente vicario Conti e con il dottor Rosati in occasione di una precedente audizione).
Tuttavia, l'esperienza ci insegna che la gestione delle regole e delle prassi a livello europeo ci vede sempre soccombenti: c'è un tale disallineamento tra le norme che chi è riuscito a ritagliarsi posizioni di privilegio tende a mantenerle, mentre noi, che ci siamo mossi molto spesso - ahinoi! - in direzione della iper-regolamentazione, facciamo fatica a tornare indietro.
Insomma, non mi sembra un atteggiamento condivisibile quello di aspettare che si addivenga a una regolamentazione armonizzata se, nel frattempo, rischiamo di veder morire il nostro mercato azionario. Dal mio punto di vista, sarebbe meglio accelerare il processo di deregolamentazione, procedendo, ad esempio, a una semplificazione degli adempimenti, in funzione dello sviluppo di un mercato alternativo.
Per quanto concerne le preoccupazioni espresse dai colleghi riguardo alla prospettiva che la competenza sul listing e sui servizi all'emittente sia attribuita, per effetto dell'accordo di integrazione tra LSE e TMX, alla borsa di Toronto, non sarebbe più opportuno riportare il listing in capo alla Consob, o a un'autorità super partes, che non sia Borsa Italiana Spa (e, di conseguenza, TMX)?
Un altro aspetto che mi pare centrale è quello che emerge da vicende come quella che ha interessato Fondiaria-SAI, sulla quale si è soffermato il collega Fluvi.
Mi sembra abbastanza evidente la situazione di conflitto di interessi nella quale si trovano le banche, le quali si occupano, sostanzialmente, tanto delle procedure necessarie per l'ammissione alla quotazione e per la permanenza sul mercato, quanto della gestione del credito nei confronti delle medesime società. Tra l'altro, i principali gruppi bancari sono quotati in borsa e sono anche soci di Borsa Italiana Spa. In tale contesto, mi pare veramente singolare aspettarsi che il Nomad, o lo Sponsor, aiuti le imprese a uscire dalla logica del debito finanziario a breve e a passare a quella del reperimento delle risorse sul mercato del capitale di rischio.
Cosa osta all'elaborazione - in termini legislativi e regolamentari - di una disciplina che semplifichi gli obblighi informativi, anche al fine di non inondare gli investitori retail con ponderosa e complessa documentazione, non adeguatamente veicolata dagli intermediari? Lei, presidente, ha affermato che l'informativa contenuta nei prospetti è divenuta nel tempo sempre più complessa e tecnica rispetto alle competenze e alla cultura finanziaria degli investitori al dettaglio. Perché, allora, non pensare alla costruzione di un mercato meno condizionato dalle regole, in cui l'attribuzione del listing alla Consob consenta di sfruttare, come lei stesso ha posto in risalto, presidente, le sinergie informative fra tale funzione e quella di controllo del prospetto?
Passando a un argomento collegato, ho una mia idea sul Fondo italiano di investimento per le PMI. Così com'è stato strutturato, esso presenta il limite di poter intervenire soltanto in aziende sane, cioè in quelle che potrebbero farne tranquillamente a meno.
Un altro problema - e anche una delle ragioni che hanno indotto la Commissione ad avviare l'indagine conoscitiva - è rappresentato dal fatto che il Fondo ha un periodo di investimento di cinque anni, più uno eventuale di proroga, dopo di che non si sa cosa succeda.
In teoria, al momento del disinvestimento, se non è possibile intraprendere la strada della quotazione in borsa, o l'imprenditore ricompra la quota dal Fondo, o interviene un altro fondo di private equity.
In concreto, poiché non sembra che vi siano molti fondi di private equity dedicati alle PMI, se non si creano le condizioni per facilitare l'accesso delle piccole e medie imprese al mercato del capitale di rischio, l'operazione che si è inteso realizzare mediante la costituzione del Fondo italiano di investimento rischia di essere monca.
Mi rendo conto che le risorse del Fondo non debbano essere utilizzate per


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condurre operazioni avventate. Ciò nonostante, le piccole e medie imprese che maggiormente avvertono il bisogno di un sostegno non sono quelle che già stanno bene. A mio avviso, hanno bisogno di una capitalizzazione, di un aiuto, le imprese che, pur avendo un portafoglio di ordini importante, non riescono a soddisfare le richieste della clientela, a causa del deficit patrimoniale.
D'altra parte, il Fondo italiano di investimento non realizza operazioni di venture capital.
Investendo nelle imprese che sono in una situazione di tranquillità, non mi sembra che facciamo ciò che dovremmo, vale a dire aiutare le imprese che hanno maggiore necessità di apporto patrimoniale.
Condivido che occorrano anche segnali di politica fiscale, volti a incentivare la quotazione; tuttavia, se non si lavora per cambiare lo stato delle cose - in generale - credo che difficilmente riusciremo ad avere una borsa più competitiva.
A conclusione del ragionamento che ho finora sviluppato, le pongo, presidente Vegas, le seguenti domande: è possibile uscire dalla logica di Borsa Italiana Spa? È possibile creare un mercato in cui possano essere negoziate obbligazioni convertibili, magari garantite? Quest'ultima opportunità potrebbe essere molto interessante per le imprese.

IVANO STRIZZOLO. Mi scuso di essere arrivato in ritardo, ma sono tornato stanotte da una visita a Lampedusa, dove si vive una situazione drammatica.
Saluto il presidente Vegas, che oggi ospitiamo in una veste diversa da quella cui eravamo abituati.
Sebbene abbia già accennato alla questione il presidente Conte, mi piacerebbe sapere come valuta la Consob l'istituzione delle tre nuove authority europee.
Più specificamente, presidente, ritiene che la nuova architettura del sistema europeo di vigilanza finanziaria sia di per sé sufficiente ad assicurare un maggiore controllo e a scongiurare ulteriori crisi finanziarie internazionali?
Infine, le chiedo se ritenga necessario perseguire una maggiore armonizzazione fiscale, se non fra tutti i 27 Paesi dell'Unione europea, almeno tra quelli dell'Eurozona.

PRESIDENTE. Do la parola al presidente Vegas per la replica.

GIUSEPPE VEGAS, Presidente della Consob. Innanzitutto, ringrazio tutti i deputati intervenuti, anche per le parole di incoraggiamento rivolte all'Autorità che ho l'onore di presiedere. Posso assicurare fin d'ora che la Consob, grazie anche al sostegno che riceverà dal Parlamento, sarà in grado di svolgere i propri compiti in maniera sempre più efficace, nell'interesse del Paese nel suo complesso.
Sebbene siano stati introdotte nella discussione molteplici problematiche, cercherò, nei limiti del ragionevole, di esprimermi su tutte le questioni sollevate.
Il punto di partenza è che siamo in una situazione diversa dal passato: dal punto di vista dei mercati finanziari, risentiamo degli effetti prodotti dalla crisi e degli sconvolgimenti che hanno portato a spostare l'asse della ricchezza mondiale dal vecchio al nuovo mondo.
La fase attuale è connotata da una grandissima mobilità, nel senso che la valutazione critica potrà condurre all'adozione di strumenti volti a modificare in maniera anche importante l'assetto dei mercati finanziari.
In passato, la borsa è stata un luogo di delusione per molti risparmiatori. Il nostro intendimento è di far sì che non lo sia anche in futuro. Per conseguire tale risultato, dovremo, da un lato, studiare le opportune misure regolamentari e, dall'altro, svolgere quell'attività di vigilanza che è indispensabile per dar fiducia al sistema del risparmio.
Vi sono aspetti molto rilevanti di cui occorre tenere conto.
In primo luogo, la borsa, come istituzione organizzata, è - per così dire - soltanto una metà del cielo: l'altra è costituita dalle istituzioni meno organizzate, dalle altre piattaforme. Esiste, quindi, una


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concorrenza tra sistemi diversi, i quali corrono con velocità diverse, seguendo anche logiche diverse. Se andassimo verso una iper-regolamentazione della parte regolamentata del mercato, potremmo correre il rischio di agevolare l'altra parte, che, tra l'altro, vale circa la metà della prima quanto a livello complessivo di risparmio allocato.
La stessa situazione si ripresenta, creando lo stesso problema, nel settore creditizio, in cui, accanto al complesso delle banche, sottoposto a regolamentazione, opera lo shadow banking system, il sistema bancario ombra, che intermedia circa la metà della ricchezza mondiale. Anche in questo caso, se si regolamenta in modo errato, si corre il rischio di incentivare la parte non regolamentata del mercato e di creare seri danni ai risparmiatori e al sistema delle imprese.
C'è, nel mondo, un cambiamento complessivo nel modo di utilizzare il risparmio. Nel contempo, però, almeno per quel che riguarda il nostro Paese, ci sono alcune opportunità che, probabilmente, non si riprodurranno facilmente in futuro. Dopo la crisi, infatti, molte imprese di livello medio - lasciamo stare quelle piccole - si sono riconvertite, riscuotendo anche un discreto successo, e ora hanno la necessità di compiere il salto dimensionale (alcune possono sfruttare anche l'occasione del passaggio generazionale).
Ebbene, in un contesto nel quale le nuove regole di Basilea 3 costringeranno le banche ad attuare rilevanti operazioni di ricapitalizzazione e, di conseguenza, a razionare il credito, credo che non debba essere sprecata la possibilità di fare ricorso alle risorse veicolate dal mercato mobiliare.
In considerazione di tali contingenze «storiche», dobbiamo fare tutto il possibile, in tempi ragionevolmente brevi, per modernizzare, per rendere più efficiente e più flessibile la struttura dei nostri mercati finanziari. Ciò potrebbe portare a uno sviluppo quantitativo dei nostri mercati superiore a quello che sarebbe stato lecito sperare di ottenere in un periodo di relativa maggior calma.
Per questo, il nostro interesse principale è quello di disegnare un quadro regolamentare funzionale alla crescita del mercato dei capitali. Naturalmente, poiché siamo integrati nel contesto comunitario, la regolamentazione italiana non può contrastare con quella europea, ma deve essere con essa armonizzata. È questo il compito cui sono chiamate le nuove autorità di vigilanza europee, le quali, come ho detto nella relazione, dovranno elaborare standard tecnici e linee guida atte a produrre un livellamento del campo di gioco, in modo da porre tutti i Paesi in un sistema di effettiva concorrenza e da evitare la creazione di vantaggi competitivi che non favorirebbero una crescita complessiva del sistema Europa.
Cercherò, ora, di rispondere alle singole domande.
Credo che il provvedimento d'urgenza recante disposizioni in ordine alla proroga del termine per le assemblee di talune società non intenda affrontare il tema della nazionalità delle imprese, ma semplicemente un problema relativo ai tempi delle assemblee. Ovviamente, ogni società alla quale si applica il decreto-legge valuterà, nella propria autonomia, se avvalersene oppure no.
Ciò precisato, da un punto di vista generale, tra i compiti della Consob non vi è quello di difendere le imprese nazionali dalle scalate di società estere, ma quello di tutelare il risparmio, dando attuazione all'articolo 47, primo comma, della Costituzione.
È indubbio che, affinché il gioco si svolga in maniera equa, le regole debbono essere tali da non generare vantaggi competitivi. Sotto questo profilo, è chiaro che le nostre imprese sono più facilmente aggredibili, sia a cagione delle loro dimensioni (esse sono mediamente più piccole rispetto a quelle estere; inoltre, per alcuni «giganti» è facile reperire i capitali per realizzare interventi sui mercati azionari), sia perché quel sistema basato su patti parasociali e scatole cinesi, che, in passato, ha costituito una sorta di rete di sicurezza per molte società italiane, adesso potrebbe agevolarne la scalata (infatti, è relativamente


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più facile impadronirsi di una serie di società a valle, una volta acquisito il controllo di quella a monte). Sarebbe opportuno, quindi, che molte imprese, se interessate a difendersi, rivedessero il proprio sistema di alleanze, per renderlo compatibile con la variazione determinatasi nei flussi di denaro a livello internazionale.
L'onorevole Ventucci si è soffermato sulle disposizioni approvate dal Consiglio dei ministri. Poiché occorrerà verificare quale attuazione concreta avranno le norme, credo sia prematura, al momento, qualunque considerazione al riguardo.
L'onorevole Comaroli ha sollevato la questione relativa alla possibilità di prevedere, sotto il profilo dei costi di quotazione e di permanenza sul listino, un trattamento diverso per le piccole e medie imprese. Ci stiamo adoperando in tal senso. Tuttavia, come ho già precisato, dobbiamo tenere conto del fatto che le direttive europee in materia, nel definire il quadro delle regole, non prevedono una graduazione degli obblighi in funzione della dimensione delle imprese.
Il problema non solo esiste - non a caso, sono stati creati mercati dedicati alle medie imprese -, ma acquista maggiore rilevanza in ragione del fatto che la struttura imprenditoriale del Paese è estremamente frammentata.
Non so se il fondo di private equity cui partecipa, tra gli altri soggetti, la Cassa depositi e prestiti stia operando bene (non è competenza specifica della Consob verificarlo). In ogni caso, un fondo che consenta alle imprese di accedere a un canale di finanziamento parallelo rispetto a quello bancario, di accrescere le proprie dimensioni e di essere accompagnate alla quotazione in borsa costituirebbe un obiettivo molto importante per un Paese in cui le medie imprese quotate sono davvero poche. Scorrendo le tabelle e i grafici allegati alla relazione, noterete che le medie imprese italiane quotate sono proporzionalmente di meno rispetto a quelle di altri Stati europei.
In un Paese come il nostro, caratterizzato dalla frammentazione dell'attività economica in un numero molto elevato di imprese piccole e medie, questo è un problema molto serio - vale la pena ribadirlo -, da affrontare in tempi rapidi.
Per quanto riguarda la pubblicità ingannevole, onorevole Comaroli, proprio oggi l'Autorità ha approvato il testo di una comunicazione nella quale si richiama l'attenzione degli operatori sulle disposizioni applicabili alla diffusione di messaggi pubblicitari finalizzati a promuovere l'acquisto o la sottoscrizione di prodotti finanziari non rappresentativi di capitale, diversi dalle quote o azioni di OICR e dai prodotti finanziari emessi da imprese di assicurazione.
Nella comunicazione abbiamo ribadito che gli annunci pubblicitari, oltre a essere riconoscibili come tali e comprensibili, non debbono avere contenuti o modalità di rappresentazione imprecisi o fuorvianti, o comunque tali da indurre in errore circa le caratteristiche, la natura e i rischi dei prodotti finanziari offerti o da ammettere alla negoziazione. In particolare, abbiamo specificato che non appaiono in linea con la normativa vigente, tra l'altro, l'indicazione di un tasso cedolare senza specificare la sussistenza di un rischio di cambio, l'omessa menzione che il rendimento del titolo si configura al lordo o al netto di oneri a carico dell'investitore, ovvero l'utilizzo di modalità grafiche difformi, finalizzate a enfatizzare i vantaggi rispetto ai rischi dell'investimento (il lettore meno avveduto potrebbe essere tratto più facilmente in inganno, in quanto portato a trascurare le informazioni scritte in caratteri piccolissimi).
L'onorevole Fluvi ha sollevato molte questioni.
Quella dell'aggregazione con la borsa di Toronto è una questione assolutamente rilevante, che presenta ombre, ma anche luci. In un mercato mondiale in cui stanno crescendo gli intermediari, e quindi le borse, una borsa di minori dimensioni non solo è più facilmente scalabile, ma può anche consentire manovre finalizzate semplicemente alla cancellazione dell'esistente. Aggregarsi, dunque, è indispensabile. Basti pensare che la capitalizzazione


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delle borse di Milano, Londra e Toronto, messe insieme, è inferiore a quella della borsa di San Paolo. Per non parlare, poi, delle borse orientali!
Certo, bisogna tenere conto dei problemi che ogni tipo di constituency nazionale pone. Ad esempio, vi sono costi derivanti dalla predisposizione di piattaforme molto sofisticate, basate su sistemi high frequency trading, che al nostro Paese interessano, probabilmente, meno che ad altri. Anche questo è un aspetto da valutare.

PRESIDENTE. Nel caso in cui si decidesse di attribuire il listing alla Consob, sarebbe possibile bandire una gara internazionale per ottenere una piattaforma dedicata alle PMI?

GIUSEPPE VEGAS, Presidente della Consob. Questo è un problema che non abbiamo ancora affrontato, ma l'ipotesi si può valutare.
A proposito di high frequency trading, il London Stock Exchange, in collegamento con la borsa di Milano e con il TMX di Toronto si sta dotando di una nuova piattaforma basata su tale tecnologia. Trattandosi di un prodotto nuovo, il suo costo - che mi risulta essere notevole - deve essere in qualche modo ammortizzato.
Un problema ulteriore, e non del tutto banale, è che molti dei professionisti operanti nel settore rischiano di essere delocalizzati dove l'interesse per la quotazione in borsa è maggiore. C'è il rischio, quindi, di perdere professionalità sulla piazza di Milano. Questo non è un risultato desiderabile.
Sugli incentivi fiscali, in teoria, saremmo tutti d'accordo, ma è chiaro che occorrerebbe verificarne, tra l'altro, la compatibilità con i vincoli macroeconomici. Quindi, non sono in grado di pronunciarmi, se non per richiamare quanto ho già detto nella relazione riguardo alle agevolazioni fiscali volte a favorire lo sviluppo di fondi di private equity e venture capital dedicati alle piccole e medie imprese.
La questione dell'armonizzazione della tassazione, sollevata dall'onorevole Fluvi, attiene alla regolamentazione europea e trascende i meccanismi di borsa.
Non posso rispondere alle domande relative a specifiche imprese, sia perché i mercati sono aperti, sia perché, ovviamente, la Consob valuterà con la consueta accuratezza tutti i documenti che le perverranno.
In proposito, tengo a precisare che l'Autorità vigila quotidianamente su quanto accade, ed è pronta ad assumere in qualunque momento le iniziative che si rendessero necessarie per garantire la tutela degli investitori, nonché l'efficienza e la trasparenza dei mercati. Seguiremo, nei limiti del possibile, l'ordinaria amministrazione, riservando, ovviamente, una particolare attenzione ai settori e alle imprese che possono destare maggiore interesse.

PRESIDENTE. Potremmo invitarla in orari in cui i mercati sono chiusi.

GIUSEPPE VEGAS, Presidente della Consob. Potrebbe essere un'occasione piacevole per trascorrere le serate, signor presidente.
C'è anche il problema delle piattaforme diverse da quelle regolamentate. Non ci è consentito disapplicare la normativa europea, e la maggiore rigidità della nostra disciplina fa sì che questi mercati tendano ad allocarsi altrove. Ciò costituisce un problema, poiché l'espansione dei sistemi di negoziazione diversi dai mercati regolamentati è divenuta talmente imponente da provocare una sorta di crowding-out rispetto ai mercati regolamentati.

PRESIDENTE. Si può modificare il TUF?

GIUSEPPE VEGAS, Presidente della Consob. Per questa parte è possibile, giacché le direttive europee non pongono espliciti divieti in materia.
L'onorevole Fugatti si è soffermato sul tema dei fondi sovrani - tralascio l'altra questione, relativa a una specifica impresa, per le ragioni già indicate -, che è molto


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rilevante, soprattutto in relazione agli avvenimenti che si stanno verificando sull'altra sponda del Mediterraneo.
Credo che tale tema richieda una riflessione di carattere generale.
I fondi sovrani non sono molto trasparenti, perché, a volte, non se ne conosce bene la governance (aspetto molto importante quando viene in considerazione il buon funzionamento delle imprese) e possono anche essere rischiosi (quando non perseguono obiettivi di natura esclusivamente economica). È anche vero, però, che essi possono costituire un elemento di stabilizzazione politica, dal momento che i Paesi cointeressati in un investimento si sentono più legati dal punto di vista commerciale: i legami commerciali, com'è noto, sono un antidoto contro le recrudescenze non pacifiche, che, invece, possono manifestarsi più facilmente quando mancano legami commerciali e finanziari.
Il tema, quindi, può essere oggetto di valutazione, purché si guardino entrambe le facce della medaglia.
Il presidente Conte ha posto sul tappeto le questioni riguardanti l'armonizzazione delle regole e delle prassi di vigilanza, la iper-regolamentazione - argomento cruciale, soprattutto in questo periodo -, le piccole e medie imprese, le banche e le società di gestione che ad esse fanno capo.
È chiaro che, per quanto concerne i fondi comuni d'investimento, sarebbe auspicabile lo sviluppo di strutture di distribuzione autonome, capaci di offrire anche un servizio di consulenza indipendente (che costituirebbe, in quanto tale, un valore aggiunto per i clienti). È anche vero che, talvolta, i costi di distribuzione non sono esattamente riferibili a uno specifico settore di mercato, ma servono a compensare un certo andamento generale. Ovviamente, ciò può creare problemi. Sarebbe auspicabile, pertanto, una maggiore concorrenza.

PRESIDENTE. Colgo l'occasione per ricordare che, quando approvammo la legge sul risparmio, modificammo l'articolo 160 del TUF, vietando, tra l'altro, che la società di revisione e le entità appartenenti alla rete della medesima, i soci, gli amministratori, i componenti degli organi di controllo e gli stessi dipendenti della società di revisione, delle società controllanti o controllate, collegate o sottoposte a comune controllo potessero fornire servizi di consulenza alla società che aveva conferito l'incarico di revisione, alle società controllanti, controllate o sottoposte a comune controllo.
Cosa osta a stabilire che le banche creditrici non possono assumere alcun ruolo nella procedura di ammissione alla quotazione della società debitrice? Perché non distinguere nettamente i ruoli?

GIUSEPPE VEGAS, Presidente della Consob. Il presidente Conte ha accennato anche ai problemi della razionalità e della velocità delle innovazioni regolamentari, facendo riferimento a un'esigenza di semplificazione di carattere generale, che è indispensabile soddisfare, per attenuare, appunto, la sensazione di ostilità del mercato, generata da regole troppo complesse.
A tale riguardo, la Consob ha avviato dei tavoli di lavoro con gli operatori del settore e con i consumatori, per vagliare alcune proposte di semplificazione delle procedure, negli ambiti in cui è possibile intervenire a livello regolamentare. In tal modo, sarà possibile procedere alla rimozione di taluni ostacoli di carattere normativo, che si traducono in costi ingiustificati per le imprese. Basti pensare agli oneri che le società sopportano per dotarsi sia del personale addetto alla cura dei rapporti con la Consob sia di meccanismi di disclosure dell'informazione societaria. Questo sistema di costi scoraggia l'ingresso in borsa delle società e, di conseguenza, riduce la trasparenza del mercato, riflettendosi in modo negativo sul sistema nel suo complesso.
La semplificazione è uno dei nostri obiettivi principali: quasi una sorta di pronto intervento da realizzare tempestivamente.
D'altronde, come osservato in precedenza, i prospetti informativi sono molto sofisticati e di difficile intelligenza: vanno bene per l'operatore del settore, ma non


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per il risparmiatore, sovente costretto a firmare documenti contrattuali che non è in grado di comprendere.
È necessaria, pertanto, un'estrema semplificazione dei prospetti relativi ai prodotti non azionari: è ragionevolmente sufficiente uno schema di poche pagine, nel quale l'indicazione dei rischi sia declinata in maniera comprensibile per il risparmiatore.
Per alcuni tipi di strumenti finanziari più semplici, individuati sulla base di criteri certi, quali la semplicità, la durata e la liquidabilità, si potrebbe anche pensare - è un'idea alla quale stiamo lavorando - alla predisposizione di una sorta di «bollino blu». In tali casi, il prospetto sarebbe notevolmente semplificato, e il risparmiatore potrebbe acquistare i prodotti senza eccessive complicazioni.
Diversamente, qualora fosse interessato a prodotti più complessi, il risparmiatore dovrebbe essere maggiormente responsabilizzato.

PRESIDENTE. Capisco l'approccio delle associazioni dei consumatori, le quali insistono sulla disclosure, sulla trasparenza e via discorrendo. Tuttavia, le azioni sono diverse dalle obbligazioni e dai titoli di Stato. Insomma, il risparmiatore che si indirizza verso il mercato azionario dovrebbe sapere già in partenza che va alla ricerca di titoli più rischiosi.
Insomma, è fondamentale semplificare il prospetto, ma si dovrebbe intervenire anche sulla disclosure. In questo campo la Consob può semplificare, o esistono limiti comunitari che glielo impediscono?

GIUSEPPE VEGAS, Presidente della Consob. È stato avviato un processo di revisione della direttiva 2003/71/CE (cosiddetta «Direttiva prospetto»), che si muove in direzione della semplificazione.
È anche vero che, non essendo tutti uguali i prodotti, non devono essere tutti uguali i prospetti: sui titoli azionari l'attenzione deve essere maggiore e, di conseguenza, anche il prospetto deve essere più dettagliato (senza arrivare, tuttavia, al gigantismo); se si tratta, invece, di titoli obbligazionari plain vanilla - sono sempre di più, giacché le banche, per ragioni fiscali, trovano nelle emissioni di obbligazioni la fonte di finanziamento più conveniente -, le procedure di approvazione e i contenuti dei prospetti possono essere notevolmente semplificati, dal momento che lo strumento finanziario non è molto diverso, in questo caso, dagli altri prodotti bancari. Abbiamo in animo di arrivare a questa soluzione. Una modifica del trattamento fiscale delle obbligazioni risolverebbe il problema in radice, nel senso che eliminerebbe la convenienza per le banche ad emettere obbligazioni (ma non si tratta di una scelta di nostra competenza e, comunque, potrebbero porsi problemi di copertura finanziaria).
Venendo alla questione sollevata dall'onorevole Strizzolo, nell'attuale fase, le autorità europee risentono ancora della vecchia strutturazione del sistema europeo di vigilanza finanziaria: si trovano in una fase di passaggio.
Dipende dagli organi comunitari, ma anche dalle singole autorità dei vari Paesi, cercare di dare loro funzioni più pregnanti. A nostro sommesso avviso, l'attività delle nuove autorità, alle quali spettano compiti di indirizzo e coordinamento, dovrebbe essere finalizzata a evitare il riprodursi, in futuro, di episodi come quelli che hanno colto di sorpresa i precedenti organismi di vigilanza e, in tal modo, a scongiurare nuove crisi finanziarie.
Per conseguire tale obiettivo, è opportuno che l'azione delle predette autorità non sia limitata al mero management della crisi, ma sia centrata maggiormente sulla regolamentazione di prospettiva.
Comunque, confidiamo che l'obiettivo indicato possa essere raggiunto agevolmente nel prossimo futuro.

PRESIDENTE. Non ha risposto, presidente, alla domanda concernente la possibilità di attribuire il listing alla Consob.

GIUSEPPE VEGAS, Presidente della Consob. Non ci sono particolari ostacoli. Da un punto di vista generale, sarebbe una scelta possibile, tant'è vero che anche nella


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relazione ho affrontato il tema apertamente e diffusamente.
Se il Parlamento dovesse decidere di esaminare la questione, saremmo disponibili a fornire dati e, ove richiesti, eventuali suggerimenti.

PRESIDENTE. Ringraziamo il presidente Vegas per l'ampia discussione che la sua partecipazione all'audizione odierna ci ha consentito di svolgere e anche per la documentazione consegnata, di cui autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta (vedi allegato).
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 14,45.

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