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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissione VII
6.
Giovedì 11 marzo 2010
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Nicolais Luigi, Presidente ... 3

INDAGINE CONOSCITIVA SULLE PROBLEMATICHE CONNESSE ALL'ACCOGLIENZA DEGLI ALUNNI CON CITTADINANZA NON ITALIANA NEL SISTEMA SCOLASTICO ITALIANO

Audizioni di esperti del settore:

Nicolais Luigi, Presidente ... 3 5
Aprea Valentina, Presidente ... 6 7 9 10 11 12 13
Cipollari Giovanna, Insegnante, ricercatrice di ANSAS Marche settore cultura, responsabile di progetti formativi per il personale della scuola della Comunità volontari per il mondo (CVM) ... 9
De Biasi Emilia Grazia (PD) ... 13
De Torre Maria Letizia (PD) ... 11
Mattei Massimo, Vicepresidente dell'Associazione genitori e scuole Di Donato e Baccarini presso l'Istituto comprensivo «Daniele Manin» di Roma ... 13
Onorati Anna, Rappresentante del settore intercultura-integrazione della CARITAS diocesana di Roma ... 12 13
Papini Laura, Dirigente scolastico dell'Istituto comprensivo statale «P. Mascagni» di Prato ... 5 6
Santerini Milena, Professore ordinario di Pedagogia generale, coordinatrice scientifica del Master in formazione interculturale presso la Facoltà di Scienze della formazione dell'Università Cattolica di Milano ... 3
Taravella Stefano, Vicepresidente di UNICEF Italia ... 10 11
Tosolini Aluisi, Dirigente scolastico e redattore del mensile Cem Mondialità il mensile dell'educazione interculturale ... 6
Valtolina Giulio, Responsabile del settore famiglia e minori della Fondazione Istituto studi e iniziative per la multietnicità (ISMU) - Osservatorio regionale per l'integrazione e la multietnicità (regione Lombardia) ... 8
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Repubblicani; Regionalisti, Popolari: Misto-RRP; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Noi Sud/Lega Sud Ausonia: Misto-NS/LS Ausonia.

COMMISSIONE VII
CULTURA, SCIENZA E ISTRUZIONE

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di giovedì 11 marzo 2010


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PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE LUIGI NICOLAIS

La seduta comincia alle 14,20.

(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso e la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Audizione di esperti del settore.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulle problematiche connesse all'accoglienza di alunni con cittadinanza non italiana nel sistema scolastico italiano, l'audizione di esperti del settore.
Prima di iniziare i nostri lavori, vorrei scusarmi con i nostri auditi del fatto che i deputati presenti non sono numerosi. Purtroppo, oggi siamo andati molto avanti con i lavori dell'Assemblea, che riprenderanno alle 15.
Chiedo, quindi, a coloro i quali interverranno di essere piuttosto brevi, tenendo conto che i loro documenti sono allegati agli atti e saranno distribuiti a tutti i partecipanti a questa Commissione.
Do la parola alla professoressa Milena Santerini dell'Università Cattolica di Milano.

MILENA SANTERINI, Professore ordinario di Pedagogia generale, coordinatrice scientifica del Master in formazione interculturale presso la Facoltà di Scienze della formazione dell'Università Cattolica di Milano. Vorrei partire da un quadro piuttosto generale, introducendo il discorso sugli alunni immigrati nel seguente modo: mi pare che non si tratti tanto di un'emergenza, quanto di un problema relativo alla gestione ordinaria della scuola italiana. Dobbiamo uscire da una fase che abbiamo definito di emergenza o di intercultura di prima generazione e passare a una di intercultura di seconda generazione.
Vorrei spiegare il senso delle mie parole. Intanto, l'integrazione degli alunni immigrati non è qualcosa di speciale, ma è una delle sfide ordinarie della scuola italiana, che ne ha affrontate altre nella sua storia, come quella dell'integrazione degli alunni dal sud al nord Italia o quella della grande democratizzazione di massa degli anni Settanta. Questa è una delle tante e altre ce ne saranno.
Integrare gli alunni immigrati non è, quindi, un compito speciale della scuola, ma è il compito ordinario di una scuola che accetta e rispetta tutte le differenze, etniche, di età e di condizione sociale. Questo è molto importante, perché ci permette di inquadrare tutte le misure, in particolare quelle politiche, in questo senso.
Parlavo di un'intercultura di seconda generazione. Essa va vista nell'ottica della cittadinanza: ciò significa che parliamo di intercultura che unisce al rispetto della differenza soprattutto un obiettivo di coesione sociale. Evidentemente, le tensioni e i conflitti di questi ultimi anni hanno lasciato il segno e non si può più realizzare un'intercultura di tipo «ingenuo» o


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«candido», ma ne occorre una che tenga conto della necessità di una maggiore coesione tra i gruppi.
Pertanto, l'attenzione alla coesione sociale deve partire dall'idea che ormai abbiamo una seconda generazione di immigrati. Quando parliamo di alunni stranieri nella scuola, a differenza della maggior parte dei Paesi europei, dobbiamo parlare di bambini che non hanno la cittadinanza italiana, ma che in realtà sono nati e cresciuti in Italia.
In proposito, vorrei soffermarmi su due aspetti cruciali, relativi a come dobbiamo caratterizzare tale intercultura di seconda generazione: la distribuzione nelle scuole e il successo scolastico.
Quanto alla distribuzione, il problema della mixed school o della mixité scolaire è all'ordine del giorno in tutti i Paesi, specialmente quelli europei. In Francia, in Belgio o in Gran Bretagna è un argomento molto discusso e molto scottante. In Italia è complicato dal fatto che la distribuzione attuale degli alunni stranieri è molto disomogenea e dipende da regione a regione, da città a città, e, all'interno di queste, da quartiere a quartiere e da scuola a scuola.
Inoltre, quanto apprendiamo spesso dai mass media è falsato, perché le scuole che hanno più del 30 per cento degli immigrati sono circa il 2-3 per cento, cioè 1.200 su 57.000. Stiamo parlando di casi ancora particolari, che, tuttavia, fanno notizia, anche perché possono effettivamente prefigurare la scuola del domani.
Ci sono due modi di vedere l'aspetto della distribuzione, uno nell'immediato e uno di lunga durata. Nell'immediato, l'indicazione che viene dalla ricerca internazionale e da quella italiana - vi presenterò una ricerca che ho svolto su dieci scuole ad alta percentuale di immigrati di Milano, che è di prossima pubblicazione e di cui lascio il primo capitolo - ci dice che nell'immediato certamente l'indicazione è di distribuire.
Sulla lunga durata, invece, l'indicazione è normalizzare, perché, laddove lo Stato è «costretto» a fornire indicazioni di tipo specifico, come quelle delle circolari che indicano i tetti e via elencando, ci si trova sempre al limite di misure che possono indicare troppo specificatamente un'etnia e quindi a «rischio» di discriminazione. Spiegherò poi quello che intendo su questa circolare.
Nell'immediato, dunque, l'indicazione è di distribuire; sulla lunga durata, invece, è di normalizzare.
Nell'immediato, tutti gli studi sociologici internazionali indicano che la scuola vive un'interdipendenza competitiva. La distribuzione disomogenea è dovuta, in gran parte, alla configurazione del territorio: a Prato avremo, dunque, un gran numero di cinesi e nel quartiere di via Padova un alto numero di egiziani e via elencando, ma non esiste solo l'aspetto territoriale. Abbiamo alcuni orientamenti che dipendono da altre dinamiche, in particolare da quelle che chiamerei di «evitamento» delle famiglie italiane e quelle, a volte, di scoraggiamento da parte delle scuole.
Queste due dinamiche, scoraggiamento ed «evitamento», non sono del tutto nuove nella scuola italiana, in quanto dobbiamo collegare il problema della immigrazione a quello dello status sociale. Sappiamo benissimo che le strategie che le famiglie di tutto il mondo utilizzano per orientare i loro figli hanno spesso a che fare con il farli trovare o meno con altri ragazzi dello stesso status. Credo che tutti abbiamo frequentato scuole che avevano una sezione A e una sezione B e c'è sempre stata una differenza tra le sezioni. I fenomeni per cui si è creata una maldistribuzione o addirittura una concentrazione di alunni - «concentrazione» è una parola brutta, che mi chiedono di non usare, ma serve per capirci - non sono dovuti, quindi, soltanto agli aspetti territoriali, ma anche a quelli sociali.
La circolare dell'8 gennaio 2010 sul 30 per cento non deve essere intesa come un discorso di protezione degli italiani dal rischio stranieri, ma di programmazione. Le indicazioni volte a non concentrare gli alunni erano già presenti nel 1989, nel 1999 con il decreto del Presidente della Repubblica n. 394 e nel 2006. Le scuole


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possono e devono gestire i flussi e deve prevalere il criterio della scolarità, cioè il tipo di storia pregressa dei ragazzi. Le scuole possono e devono compiere interventi flessibili.
Chiuderei sull'ultimo punto, ossia il successo scolastico. La scuola con alte percentuali di immigrati è di serie B o ha minori tassi di successo? Le ricerche internazionali non indicano questo, ma che ci sono Paesi, per esempio il Canada, Israele o l'Australia, che hanno saputo coniugare alti tassi di rendimento Programme for International Student Assessment (PISA), quindi sul confronto internazionale, con alti tassi di diminuzione del coefficiente di discriminazione sociale. Sono, cioè, riusciti a portare avanti insieme sia il successo di tutti, sia quello delle prime e delle seconde generazioni, in particolare di queste ultime. Tali scuole e Paesi sono quelli che hanno investito sull'intercultura, su scuole e su misure particolari.
Le ricerche che abbiamo visto ultimamente, come quella della Banca d'Italia, non indicano che gli alunni immigrati abbassano il tasso di successo o che le scuole che hanno più immigrati sono di minore qualità. Non è vero. Sostengono, invece, che, se non investiamo maggiormente nella differenziazione, ciò potrebbe succedere, ma soprattutto per gli alunni immigrati e non per gli italiani, il che creerebbe uno squilibrio che non ci possiamo permettere, perché la scuola è l'agenzia che deve fungere da egualizzatrice e ammortizzare le disuguaglianze sociali.

PRESIDENTE. Ringrazio moltissimo la professoressa Santerini. Mi scuso con voi se vi metto fretta, ma purtroppo i tempi sono legati ad alcune emergenze che abbiamo in questi giorni, quindi dobbiamo ritornare in Aula. Sicuramente, le vostre considerazioni e i consigli che ci state offrendo sono molto importanti per quello che decideremo successivamente. Purtroppo, saremo costretti a leggere più che a sentire quanto riferite.
Interviene ora l'Istituto comprensivo statale «Mascagni» di Prato. Sono presenti la dottoressa Papini, dirigente scolastico, la dottoressa Pancini, direttore dei servizi generali, e la dottoressa Pieri, assessore alla pubblica istruzione.

LAURA PAPINI, Dirigente scolastico dell'Istituto comprensivo statale «P. Mascagni» di Prato. Sono la preside dell'Istituto comprensivo «Mascagni», che si trova a Prato; si capisce, quindi, già l'etnia che vi converge effettivamente in maniera molto massiccia.
Il mio istituto è ubicato in una zona dove la percentuale di immigrati di etnia essenzialmente cinese è altissima. Peraltro, è stato il primo a Prato ad accogliere gli alunni di provenienza cinese e nel quale attualmente ci sono moltissimi alunni di seconda generazione, perché le famiglie e i genitori che hanno frequentato la nostra scuola attualmente vi portano i loro figli.
Negli anni, infatti, la nostra scuola si è attrezzata; naturalmente l'esperienza aiuta molto a organizzare anche il lavoro dei docenti. Quando nelle classi, come succede nel nostro istituto, registriamo una presenza che va da un minimo di un 39 per cento a un massimo di un 50 per cento di alunni stranieri, di cui il 97-98 per cento è interamente formato da alunni di etnia cinese, si capisce immediatamente la dimensione della situazione e della problematica, che, in effetti, a volte si può considerare, perché presenta diverse sfaccettature.
Abbiamo allegato alla documentazione scritta sia la relazione che avevamo inviato precedentemente, sia il protocollo d'accoglienza, sia tutte le iniziative che sono state attivate all'interno del nostro istituto. Emerge che ci troviamo ad avere classi, nella maggior parte dei casi, divise in due parti: una di alunni italiani e una di alunni stranieri, la maggior parte dei quali ha uno scarsissimo grado di alfabetizzazione.
Gli alunni stranieri di etnia cinese sono una realtà dentro la realtà. La maggior parte nasce in Italia: quest'anno, tra le


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nuove iscrizioni, ce ne saranno tre di alunni che non sono nati nel nostro Paese. Sono quasi tutti nati a Prato, a Milano o a Torino, ma comunque all'interno dell'Italia. Succede, tuttavia, che i genitori, proprio per non far perdere ai bambini le loro origini, la loro cultura, la loro lingua, si comportano nel modo seguente. Fino a un anno di età li tengono a balia, addirittura in famiglie italiane. Mi hanno contattato personalmente a casa per sentire se volevo un bambino. Loro lo avrebbero preso il sabato e la domenica e poi durante la settimana lo avrebbero lasciato presso la famiglia italiana. Questo accade a Prato. Personalmente, rimasi scandalizzata in quel momento, ma poi ho saputo che si tratta di una consuetudine.
Quando i bambini raggiungono un anno o i diciotto mesi di età, i genitori li rimandano in patria, dai nonni, in modo che si immergano di nuovo nella loro lingua e nella loro cultura e non la perdano più. Del resto, se ci rimangono fino all'età di 7-8 anni, le radici entrano dentro di loro. Quando poi ritornano in Italia, sono pronti a imparare l'italiano, ma naturalmente ci arrivano magari in terza, quarta, quinta elementare o addirittura alla scuola media e questo, come potete ben capire, crea grosse problematiche all'interno della classe.
A mio parere, se si vuole parlare di integrazione, essa deve coinvolgere ambedue le etnie, sia gli italiani, sia gli stranieri. Creando gruppi coesi, molti dei quali non riescono a comunicare, perché conoscono solo le prime parole per poter entrare in contatto e per potersi relazionare, questi ragazzi non hanno una lingua corretta per comunicare, né - peggio ancora - per poter studiare.
Peraltro, occorre tener conto delle discipline. La scuola dell'infanzia è un discorso, quando si parla della prima o della seconda elementare la situazione è ancora piuttosto semplice, ma dalla terza in poi interviene lo studio della storia, della geografia e delle scienze, il che è un problema grosso.
Oltretutto, come ricordava la professoressa, troviamo la fuga degli alunni italiani. Infatti, l'alunno straniero di etnia cinese, allorché esce dalla scuola, tende a richiudersi nella propria comunità. Mentre gli altri, rumeni, albanesi, si aprono e interagiscono anche nel doposcuola, nel frequentare gli spazi di gioco con i coetanei italiani, l'alunno cinese tende a ritornare all'interno della sua comunità.

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE VALENTINA APREA

PRESIDENTE. Ringrazio il vicepresidente Nicolais per aver iniziato la seduta. Posso chiederle, preside, una proposta? Abbiamo compreso il problema, ma, poiché abbiamo poco tempo, ci interessa capire che cosa possiamo fare per voi, al di là delle note che manderete e, quindi, della ricchezza che rimarrà nell'indagine.

LAURA PAPINI, Dirigente scolastico dell'Istituto comprensivo statale «P. Mascagni». Sarei arrivata alla nostra proposta alla conclusione della mia relazione. La nostra richiesta è quella di poter avere del personale. Una volta avevamo il sesto comma, persone in più all'interno della scuola che servivano proprio per attivare alcuni laboratori. Noi li attiviamo - ho con me il mio direttore dei servizi generali e amministrativo (DSGA) proprio per questo motivo - però sono tutti a spese del fondo di istituto e, quindi, richiedono un forte contributo da parte della scuola che, spesso, distoglie tali soldi da altre attività che potrebbero essere finalizzate alle eccellenze, ai problemi del disagio, al potenziamento delle situazioni in cui vi è una difficoltà di apprendimento.
Siamo, dunque, costretti a investire tutte le nostre risorse e moltissime ore proprio per riuscire ad alfabetizzare e a dare la possibilità a questi ragazzi di essere inseriti correttamente nelle classi. Occorrono, dunque, risorse e personale.

PRESIDENTE. Do la parola al professor Tosolini, redattore di Cem Mondialità.

ALUISI TOSOLINI, Dirigente scolastico e redattore del mensile Cem Mondialità il


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mensile dell'educazione interculturale. Sono Tosolini, della rivista CEM Mondialità dei missionari saveriani. Il mio mestiere, in realtà, è quello di dirigente scolastico sia di un liceo scientifico, sia di un istituto comprensivo in reggenza in provincia di Parma.
Molto brevemente, fra tutte le considerazioni che sono state svolte, vorrei sottolineare alcune priorità o problematiche emergenti. In particolare, una ha a che vedere con una dimensione simbolica, quella dell'appartenenza, o del vissuto, o del credo religioso.
Nello specifico, CEM Mondialità, come molti altri centri di studi anche a livello internazionale, sta sottolineando come una delle specificità italiane sia la presenza, da un lato, di istruzione e religione cattolica e, dall'altro, del fatto che delegare a questa, che è una situazione molto specifica e particolare, l'insegnamento di entità che hanno a che fare con la dimensione religiosa implica in sostanza l'analfabetismo, da parte di coloro che vivono a scuola, rispetto alla conoscenza delle religioni altrui.
Tale analfabetismo ne implica anche un altro dal punto di vista dell'interazione democratica, come, del resto, mette in risalto lo stesso documento sulle indicazioni per Cittadinanza e Costituzione del 4 marzo del 2009, che contengono un capitolo dedicato appositamente alla dimensione multiculturale nella società.
In altre parole, se gli studenti, e quindi i futuri cittadini, non sanno che cosa succede durante il ramadan o, viceversa, che cosa sia la prima comunione, è del tutto evidente che l'interazione fra tali soggetti - visto che, come dice Jürgen Habermas, oggi l'appartenenza religiosa ha un significato civile estremamente rilevante - vi saranno enormi difficoltà nell'interazione e nella costruzione di una società.
Vorrei, fra i tanti, sottolineare ancora un elemento. Conoscendo gli intervenuti di oggi, evidenzio solo alcuni aspetti con carattere di specificità. Vorrei riferirmi, dunque, all'onda crescente di atteggiamenti razzisti e xenofobi che caratterizzano in Italia soprattutto i giovani.
È stata presentata, il 27 gennaio, una ricerca dell'Eurisko, a Firenze, al convegno dei giovani editori, che portano avanti la stupenda iniziativa del quotidiano in classe, laddove si è evidenziato che, rispetto all'intera popolazione italiana, i giovani sono tendenzialmente molto più razzisti e hanno un rifiuto molto più forte nei confronti degli stranieri. Per esempio, la ricerca evidenzia come, a fronte di un 35 per cento di popolazione italiana che considera positivamente o molto positivamente la presenza di stranieri in Italia, lo stesso giudizio sia espresso solo dal 22 per cento dei giovani, i quali pensano, al 58 per cento, che la presenza sia negativa, contro il 41 per cento della generalità degli italiani. Ciò restituisce al ruolo della scuola una posizione estremamente significativa.
Prima ancora che si iniziasse a parlare di educazione interculturale - in Italia, come ricordiamo tutti, si parla di tale tema dall'inizio degli anni Novanta, a partire dalla circolare ministeriale n. 205 del 26 luglio 1990, capo VI, - le prese di posizione del Consiglio nazionale della pubblica istruzione (CNPI) riguardavano propriamente, per esempio, la lotta al razzismo. Credo che questo aspetto, insieme alle dimensioni sottolineate dall'Osservatorio nazionale sulla via italiana all'educazione interculturale, cioè l'interazione e l'integrazione come elementi entrambi necessari, sia da tenere assolutamente presente se si vuole che la scuola italiana restituisca alla società italiana, di cui è al servizio, il proprio compito.

PRESIDENTE. Saluto cordialmente la professoressa Santerini, con cui abbiamo collaborato moltissimo e abbiamo trascorso ore e ore di lavoro al Ministero e nelle università.
Do la parola al professor Valtolina, della Fondazione Istituto studi e iniziative per la multietnicità (ISMU).


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GIULIO VALTOLINA, Responsabile del settore famiglia e minori della Fondazione Istituto studi e iniziative per la multietnicità (ISMU) - Osservatorio regionale per l'integrazione e la multietnicità (regione Lombardia). Nel poco tempo a disposizione, penso che l'approccio più utile sia, tra le diverse questioni aperte, sceglierne alcune ed evidenziarle anche in riferimento ad alcuni dati che ritengo interessanti.
La prima questione riguarda il fenomeno della cosiddetta segregazione educativa, cioè il concentramento degli alunni stranieri in alcune scuole. Volevo citare un dato che emerge con chiarezza da alcune ricerche che abbiamo svolto presso la nostra fondazione, un fenomeno piuttosto singolare e, per certi versi, «contro intuitivo».
In una scuola di Milano, di via Paravia, abbiamo l'85 per cento di alunni stranieri nella scuola primaria. I genitori stranieri, presenti a Milano e in Italia da diversi anni, tendono a portare via i loro figli da tale scuola con la motivazione esplicitata che non vogliono che vadano a scuola con gli immigrati. Si considerano, dunque, integrati e parte della società italiana. Ci sembrava, comunque, singolare che pensassero come «italiani» e ritenessero gli altri stessi immigrati come differenti da loro.
Il secondo dato che volevo citare rispetto alla prima questione aperta riguarda l'esperienza dei poli di alfabetizzazione, che non è molto diffusa sul territorio nazionale. È poco diffusa anche in Lombardia, però è significativa; è un'esperienza che si concretizza soprattutto nei grandi centri e nei grandi comuni e, quindi, richiede un determinato numero di abitanti sul territorio. Alcune scuole, secondo il modello della rete raccomandato in diversi documenti del ministero, diventano capofila di tale rete e attivano corsi di lingua anche per gli alunni delle altre scuole del territorio, di modo che la stessa risorsa diventi fruibile da più scuole e non si debbano replicare inutilmente le risorse.
Una seconda questione aperta a cui volevo accennare è quella relativa alle risorse in ordine all'accoglienza. Molto sinteticamente, se il sistema scolastico in generale sembra ben attrezzato in questo senso - anche a fronte di alcuni insegnanti che la letteratura definisce «insegnanti eroi», ossia quelli che, senza competenze di tipo interculturale, ne costruiscono una da soli - gli istituti di formazione professionale sembrano, invece, più deficitari da questo punto di vista, non per cattiva volontà, ma semplicemente perché si trovano molto spesso a operare con un grandissimo numero di alunni stranieri, molto più che gli altri tipi di scuole. Inoltre, si trovano in situazioni sempre emergenziali. Un'attenzione rispetto agli istituti di formazione professionale da questo punto di vista, in termini di risorse, sarebbe, dunque, importante.
La terza questione a cui volevo accennare è quella della didattica interculturale. Faccio riferimento, anche in questo caso, a dati lombardi. Nella banca dei progetti relativi agli alunni stranieri immigrati, tra il 2002 e il 2008 si è notato un incremento dal 32 al 62 per cento di progetti di didattica interculturale. Si tratta di un dato certamente positivo, limitato semplicemente perché riguarda la Lombardia. Tuttavia, anche se l'aumento in termini percentuali è del 100 per cento, questo tipo di didattica, che - ricordo - ha come obiettivo quello di sviluppare i valori di tolleranza e rispetto per la diversità culturale, necessiterebbe di essere implementato ancora, soprattutto nelle altre regioni italiane.
Concludo sottolineando due partnership imprescindibili per la scuola: il territorio e la famiglia. Il territorio è importante perché la scuola si colloca tra un prima e un dopo: prima vi è l'esperienza migratoria del minore stesso o della sua famiglia, nella quale il minore stesso è immerso anche se nato in Italia, dopo vi è per lui l'inserimento lavorativo o con alcuni titoli in più all'interno della società che lo ospita.
Il secondo partner importante è la famiglia. Credo che sia un discorso che riguarda più in generale la scuola italiana, ma a maggior ragione le famiglie straniere.


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Non coinvolgerle nel processo di integrazione dei figli a scuola significa mettere a rischio l'intero processo. Ci sarebbe anche un doppio vantaggio nel coinvolgere le famiglie immigrate, in quanto diverse ricerche dimostrano che, coinvolgendo le famiglie e i genitori, ne guadagna anche il processo di inclusione sociale della famiglia stessa. Lavorando sul figlio, si otterrebbero, dunque, due risultati utili.
Vi ringrazio e spero di non essere stato troppo sintetico.

PRESIDENTE. Do la parola alla professoressa Giovanna Cipollari, insegnante e ricercatrice ANSAS Marche.

GIOVANNA CIPOLLARI, Insegnante, ricercatrice di ANSAS Marche settore cultura, responsabile di progetti formativi per il personale della scuola della Comunità volontari per il mondo (CVM). Sono esperta di educazione interculturale, su cui sto lavorando da più di trent'anni, e rappresento in questa sede una ricerca che si sta attuando. Non ho tempo di raccontare tutto, ma, come lei ha proposto, vado al concreto. Stiamo realizzando una ricerca, insieme ai professori universitari, per la revisione dei curricoli, dei libri di testo e delle didattiche per una scuola che abbia come canone l'inclusività nel rispetto delle differenze.
Vi illustro la base di partenza. Come tutti hanno affermato, oggi il problema maggiore è la coesione. Non vi è coesione in questa società e, a nostro avviso, ciò è dovuto al fatto che sono cambiati i tempi, mentre la scuola è rimasta quella che era venti o trent'anni fa. Ci riferiamo a tutte le scuole, non solo a quella italiana. Il caso cinese lo dimostra. Siamo ancora tutti legati a canoni etnocentrici. Ognuno segue ancora una propria visione del mondo, ma, in realtà, ormai siamo tutti insieme. Si tratta di compiere il passaggio dalla società di ieri a quella di oggi, in una prospettiva del futuro.
Il problema, quindi, è rivedere la scuola italiana nei libri di testo.
Abbiamo svolto un lavoro con il professor Agostino Portera del Centro studi interculturali di Verona e abbiamo visto come i libri di testo contengono pregiudizi e stereotipi che non favoriscono l'incontro tra culture. Stiamo lavorando sui curricoli: per la storia ho in atto una collaborazione con il Professor Antonio Brusa dell'Università di Bari, per l'italiano con il Professor Armando Gnisci dell'Università della Sapienza di Roma, per la matematica con il Professor Franco Favilli dell'Università di Pisa, per le scienze con la Professoressa Elena Camino dell'Università di Torino, per geografia con la Professoressa Catia Brunelli dell'Università di Urbino, per educazione alla cittadinanza col Professor Gianfranco Pasquino dell'Università di Bologna. In pratica, stiamo commissionando alla ricerca universitaria, secondo noi più avanzata - e in merito vi chiediamo aiuto, perché vogliamo che questa ricerca universitaria...

PRESIDENTE. A volte siamo noi molto più avanti di loro. Non ci buttiamo giù come scuola.

GIOVANNA CIPOLLARI, Insegnante, ricercatrice di ANSAS Marche settore cultura, responsabile di progetti formativi per il personale della scuola della Comunità volontari per il mondo (CVM). Sì, ma so che il professor Brusa viaggia ed è in contatto con gli storici mondiali, così come il professor Gnisci. Stanno viaggiando molto e mi riferiscono che siamo indietro rispetto ad altre punte molte più avanzate, per esempio anche in America.
Occorre, dunque, rivedere la situazione. Come ha espresso benissimo la rappresentante della scuola di Prato, siamo tutti etnocentrici, non solo noi, ma anche gli altri. Occorre una cultura nuova per tutti; abbiamo ancora una cultura marcatamente positivista ed etnocentrica, quando invece il mondo è cambiato e siamo nel pensiero della complessità.
Abbiamo bisogno di nuovi paradigmi culturali, come quando siamo passati dal Medioevo all'umanesimo. Ora siamo passati da una società industriale a una telematica, che ci ha messo tutti insieme. Il problema è quello di creare una nuova


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cultura per tutti, altrimenti ognuno si crea la propria monocultura, ma continuando con le monoculture siamo in conflitto.
Il problema è fare una nuova storia. Il professor Brusa, per esempio, sta facendo una storia mondiale «trasversale» che tiene conto della prospettiva mondiale, planetaria, nonché della «zoomata» sul locale. Tuttavia, bisogna far sentire a tutti che tutti apparteniamo al mondo: i cinesi, gli italiani e via elencando. Siamo in una nuova società, dove siamo tutti in un punto, come direbbe Calvino. Se tardiamo a fornire questa nuova cultura, ritarderemo i processi di inclusione. Attualmente, questa cultura divide, è conflittuale. Quelli di cittadino straniero, stanziale e nomade sono concetti di ieri. Non ho tempo di raccontarvi tutto questo, però se ne parla nei libri che vi lascio.
Noi teniamo annualmente seminari nazionali internazionali; abbiamo sentito anche esperti del mondo arabo e di altre culture, i quali ci riferiscono per esempio - e poi chiudo - che mentre nella scuola italiana, come in altre, raccontiamo una determinata storia, il bambino arabo ne conosce una versione completamente diversa, a sua volta nazionalcentrica. Il problema non è fare la storia nostra e la loro, ma farne un'altra in cui possiamo comprenderci.
Altri momenti storici sono stati più inclusivi di quelli attuali. Scusate se faccio una carrellata storica. Lo stesso impero romano è stato più inclusivo, tutto sommato. Si pone ora il problema che, negli ultimi secoli, siamo arrivati tutti a una posizione più nazionale, nel momento in cui, però, come sappiamo bene, abbiamo confini permeabili. Oggi dobbiamo dare più cittadinanze, non solo quella italiana, ma anche quella europea e - perché no? - quella cosmopolita.
Mi dispiace di non avere tempo di dilungarmi, perché la mia ricerca è cominciata nel 1980 con la Federazione organismi cristiani di servizio internazionale volontario (FOCSIV) e con il professor Elio Damiano, che aveva fondato il curricolo di Educazione allo sviluppo e alla cooperazione internazionale (ESCI). Da allora siamo ancora in un itinerario di ricerca a cantiere aperto e speriamo che il Ministero della pubblica istruzione prenda atto di tale ricerca e l'allarghi all'università.
Stiamo già sperimentando nelle scuole, non solo in quelle marchigiane, ma ci stiamo incamminando in Piemonte, in Sardegna, in Lombardia, nel Trentino, perché hanno capito la proposta. Abbiamo bisogno, però, del vostro aiuto, perché è veramente una proposta nazionale.
I professori universitari ci sono e sicuramente ne avremo altri bravi come quelli che abbiamo messo in gioco noi. Personalmente, li ho coinvolti a partire dall'IRRE Marche, quando avevo contatti con il Professor Damiano, però sicuramente ve ne sono altri. Il problema è capire che abbiamo bisogno di una nuova cultura per tutti, una cultura dell'inclusione, che rispetti le differenze.

PRESIDENTE. Nella sua relazione può essere anche più dettagliata, ma è stata molto chiara.
Do la parola al dottor Stefano Taravella, vicepresidente di UNICEF Italia, nonché grande esperto del mondo della scuola.

STEFANO TARAVELLA, Vicepresidente di UNICEF Italia. Vorrei inserire il problema di cui si parla oggi - anche per le caratteristiche dell'organizzazione che rappresento - nel più ampio concetto del diritto allo studio e all'istruzione, sancito e sottolineato dalla Convenzione internazionale sui diritti dell'infanzia, di cui si è ricordato lo scorso anno il ventesimo anniversario dell'approvazione, in modo particolare negli articoli 28 e 29.
Si può fare, inoltre, riferimento a numerose altre convenzioni e trattati internazionali, che non cito - l'ultimo è quello di Lisbona - che delineano il problema in una dimensione e in un contesto internazionali e sicuramente non solo italiani.
Vorrei, però, sottolineare e riprendere la scelta importante che la scuola italiana ha compiuto e che vorrei che fosse irreversibile: la scelta dell'educazione interculturale,


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una scelta di civiltà, come è già stato ricordato, così come per altre situazioni. La scelta dell'integrazione dei diversamente abili è un'altra scelta di civiltà compiuta dalla scuola italiana, che altri ci ammirano e invidiano. Anch'essa va mantenuta. Oggi ci sono alcune criticità su cui mi soffermerò e a cui bisogna essere attenti.
Occorre sottolineare tutti gli aspetti positivi connessi con questa scelta di fondo, che sono quelli dell'universalità, della scuola per tutti, della scuola comune, della valorizzazione delle differenze. Si tratta di un aspetto che talvolta dimentichiamo, anche perché, purtroppo, siamo abituati a considerare l'argomento da un punto di vista della sicurezza e dei timori, mentre dovremmo considerarlo anche dal punto di vista dell'apporto costruttivo e della ricchezza che porta.
Se i portatori di altre culture sono il 60 per cento, la situazione è estremamente problematica e non praticabile, ma se sono in una dimensione, in una percentuale minore, rappresentano una ricchezza per il momento formativo che si vive a scuola. Non vanno visti solamente come elementi che frenano, ma vanno considerati anche secondo l'apporto costruttivo di situazioni positive per il processo formativo che si attua a scuola. Ovviamente, poi, ci sono le condizioni perché ciò avvenga, al di là dei princìpi che sono stati formulati.
Credo che la prassi della scuola italiana sia sufficientemente positiva in questo senso. Le buone prassi che esistono, più o meno, a seconda delle diverse realtà, sono da salvaguardare, da tutelare e da implementare e sono quelle che conosciamo, ossia il rinforzo linguistico, la lingua italiana come L2, i mediatori culturali, i mediatori linguistici, il coinvolgimento delle famiglie.
Per poter raggiungere tali obiettivi, però, al di là del discorso culturale che cerchiamo di portare avanti, se ne pone anche uno di risorse. Questa è la prima criticità. Siamo un po' preoccupati, perché l'insieme degli ultimi atti che interessano la scuola, ma non solo, è legato a interventi di contenimento della spesa pubblica. Se in una classe vengono meno determinate discipline, se viene meno il discorso della compresenza, giusto per fare alcuni esempi, i soggetti più deboli sono quelli che vengono a soffrirne maggiormente.
Pertanto, la prima richiesta che avanziamo, onorevoli componenti di questa Commissione e onorevole presidente, è di compiere sforzi presso i ministeri economici affinché ci sia la dovuta attenzione per le tematiche di cui ci occupiamo in quest'aula, voi come deputati, noi come rappresentanti della società civile.

PRESIDENTE. Abbiamo un piano B? Perché questo mi pare un po' difficile!

MARIA LETIZIA DE TORRE. Non c'è un piano B.

STEFANO TARAVELLA, Vicepresidente di UNICEF Italia. Lo so, ma, come ricordavo prima, se in una classe si passa da 23 a 28, ne risentono tutti, ma a maggior ragione coloro che vivono situazioni di maggiore debolezza. Oggi il problema, anche per venire ai due articoli 28 e 29, non è tanto quello di garantire l'accesso alla scuola, ma è quello dell'articolo 29 è cioè inerente alla qualità e alle pari opportunità.
In merito, ci sono fiori di ricerche internazionali, l'ultima delle quali quella del centro UNICEF di Firenze, che riguarda i Paesi industrializzati, dove - non si scopre nulla di nuovo - ci sono tra le percentuali più alte di insuccesso scolastico e formativo. Il nostro intervento deve andare in questa direzione.
Chiudo con le proposte, al di là del piano A. Le scuole vanno adeguatamente supportate quantomeno per mantenere o incrementare le risorse affinché possano attuare i princìpi che già esistono, anche attraverso programmi e indicazioni, quali quello su Costituzione e legalità, che vanno benissimo, all'interno dei quali, per esempio, è stato promosso quest'anno un progetto molto importante MIUR-UNICEF sulla scuola amica, che riserva le giuste attenzioni rispetto a questo problema.


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A livello nazionale, se possibile, si dovrebbe ripristinare l'Osservatorio nazionale sull'inserimento degli alunni privi di cittadinanza italiana e poi, anche se non riguarda esattamente questa Commissione ma in generale il Parlamento, implementare il piano nazionale dell'infanzia e il garante dell'infanzia, che aspettiamo da tempo.

PRESIDENTE. Interviene ora la CARITAS, di cui è presente una folta delegazione. Do la parola alla dottoressa Onorati.

ANNA ONORATI, Rappresentante del settore intercultura-integrazione della CARITAS diocesana di Roma. Vi ringrazio anche a nome della CARITAS italiana, che è impegnata anche in ruoli istituzionali, ragion per cui il dottor Forti non ha potuto essere presente.
Siamo una delegazione folta - siamo in tre - e facciamo parte del settore intercultura della CARITAS diocesana di Roma. Non è un caso che siamo in tre, perché - cercherò di essere molto breve - rappresentiamo quanto è stato realizzato nel corso della nostra ventennale esperienza come settore intercultura, che ha deciso di lavorare proprio con e per le scuole. Queste ultime, infatti, sono la base, l'agenzia di formazione più importante per il futuro della nostra società, per creare una società accogliente.
Abbiamo cominciato vent'anni fa, quando i flussi migratori erano veramente diversi ed era importante prepararsi e, quindi, la tematica più importante era stata proprio la formazione dei docenti. Siamo qui in tre perché rappresentiamo quello che, secondo noi, è fondamentale per l'accoglienza degli alunni di cittadinanza non italiana.
Personalmente, intervengo come coordinatrice ed esperta di tutto il campo che riguarda l'insegnamento di italiano L2; sono poi presenti Karolina Peric, che rappresenta tutto il lavoro fondamentale dei mediatori culturali, e Daniele Valli, che rappresenta, invece, l'aspetto del formatore ma anche della ricerca sul campo, di ciò che significa dover affrontare alcune situazioni e cercare strategie e nuove possibilità per una società veramente accogliente e multiculturale.
Alla fine del nostro documento, che potrete leggere successivamente, sono riportati alcuni punti che riteniamo importanti per affrontare l'inserimento degli alunni stranieri. Tra di essi, vorrei proprio sottolineare quanto sia fondamentale la formazione dei docenti su tutte le tematiche legate all'accoglienza, alla gestione dei conflitti e al saper gestire una classe plurilingue. Spesso, lavorando nelle scuole, abbiamo toccato con mano un forte disagio dei docenti, che effettivamente si trovano a dover affrontare situazioni nuove che non si aspettavano.
Tengo poi moltissimo alla figura dei mediatori culturali. In proposito, si è già parlato del protocollo d'accoglienza, che non può essere un documento posto sul sito di una scuola, ma un processo condiviso da tutto il personale della scuola, compreso il personale ATA, nonché dai genitori, e deve prevedere l'intervento dei mediatori culturali. Attenzione, però, non mi riferisco ai mediatori culturali intesi come semplici traduttori, ma come ponte fra le due culture. Per i genitori, possono essere una ricchezza nello spiegare la nuova realtà che i genitori stranieri affrontano; per i docenti, viceversa, possono essere una fonte di ricchezza per evitare malintesi; per i bambini sono importantissimi, perché sono coloro che li possono aiutare, da un punto di vista socio-affettivo e non solamente linguistico: a volte basta una frase detta nella lingua d'origine o una canzone e si riacquista il sorriso di un bambino che probabilmente si sente più tranquillo e può essere inserito nella classe.
I mediatori sono anche molto importanti per le attività da costruire e da continuare a costruire - prima si parlava di educazione interculturale - all'interno delle classi. Quando si parla di scuole che hanno percentuali molto alte di stranieri e via elencando, spesso tale fenomeno è legato anche a timori che si creano perché noi italiani...


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PRESIDENTE. La invito a concludere perché sono iniziati i lavori in Aula.

ANNA ONORATI, Rappresentante del settore intercultura-integrazione della CARITAS diocesana di Roma. Arrivo all'ultimo punto che è quello dei genitori, i quali sono fondamentali.

EMILIA GRAZIA DE BIASI. Volevo soltanto comunicare che una sentenza emanata dalla Cassazione recita: «Via i clandestini con figli minori a scuola perché il diritto allo studio non prevale sull'esigenza di legalità».

PRESIDENTE. Noi li abbiamo sempre accolti e abbiamo la coscienza a posto.
Volevo informare i colleghi che la Comunità di Sant'Egidio e l'Associazione genitori e scuole Di Donato e Baccarini sono invitati, se lo desiderano, mercoledì prossimo a una nuova seduta.

MASSIMO MATTEI, Vicepresidente dell'Associazione genitori e scuole Di Donato e Baccarini presso l'Istituto comprensivo «Daniele Manin». Verrà qualcun altro, perché io non posso. Pensavo di parlare nella seduta odierna.

PRESIDENTE. Abbiamo due possibilità: o ci lasciate una relazione, in modo che non vi arrechiamo disturbo...

MASSIMO MATTEI, Vicepresidente dell'Associazione genitori e scuole Di Donato e Baccarini presso l'Istituto comprensivo «Daniele Manin». Vi lasciamo la relazione. Se potrà venire qualcun altro, torneremo volentieri. Io non posso.

PRESIDENTE. Noi vi invitiamo. Vi chiediamo scusa per oggi. Come abbiamo già detto altre volte e come sapete siamo in una fase di emergenza in Aula. Vorremmo comprensione tra le istituzioni. Non è una situazione che abbiamo voluto determinare noi.
Dopo questa fase di ascolto, scriveremo le relazioni e vi distribuiremo la documentazione, continuando così il nostro dialogo.
Ringrazio i nostri ospiti per la disponibilità manifestata e dichiaro chiusa l'audizione.

La seduta termina alle 15,10.

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