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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissione VII
3.
Giovedì 18 marzo 2010
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Aprea Valentina, Presidente ... 3

INDAGINE CONOSCITIVA SULLA COMUNICAZIONE DELLA COMMISSIONE EUROPEA RECANTE «DIALOGO UNIVERSITÀ-IMPRESE» (COM(2009)158 DEF)

INDAGINE CONOSCITIVA SUL LIBRO VERDE «PROMUOVERE LA MOBILITÀ DEI GIOVANI PER L'APPRENDIMENTO» (COM(2009)329 DEF.) E SULLA RELAZIONE DELLA COMMISSIONE AL CONSIGLIO, AL PARLAMENTO EUROPEO, AL COMITATO ECONOMICO E SOCIALE EUROPEO E AL CONSIGLIO DELLE REGIONI «RELAZIONE SUI PROGRESSI IN TEMA DI CERTIFICAZIONE DELLA QUALITÀ NELL'ISTRUZIONE SUPERIORE» (COM(2009)487 DEF)

Audizione di rappresentanti italiani al Parlamento europeo, onorevole Marco Scurria e onorevole Luigi Berlinguer:

Aprea Valentina, Presidente ... 3 7 10 11 12
Berlinguer Luigi, Rappresentante italiano al Parlamento europeo ... 3 11
De Torre Maria Letizia (PD) ... 11
Pes Caterina (PD) ... 10
Scurria Marco, Rappresentante italiano al Parlamento europeo ... 7 11
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Repubblicani; Regionalisti, Popolari: Misto-RRP; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Noi Sud/Lega Sud Ausonia: Misto-NS/LS Ausonia.

COMMISSIONE VII
CULTURA, SCIENZA E ISTRUZIONE

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di giovedì 18 marzo 2010


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE VALENTINA APREA

La seduta comincia alle 15.

(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso e la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Audizione di rappresentanti italiani al Parlamento europeo, onorevole Marco Scurria e onorevole Luigi Berlinguer.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla Comunicazione della Commissione europea recante «Dialogo università-imprese» (COM(2009)158 def.), e nell'ambito dell'indagine conoscitiva sul Libro verde «Promuovere la mobilità dei giovani per l'apprendimento» (COM(2009)329 def.) e sulla Relazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Consiglio delle regioni «Relazione sui progressi in tema di certificazione della qualità nell'istruzione superiore» (COM(2009)487 def.), l'audizione di rappresentanti italiani al Parlamento europeo, onorevole Marco Scurria e onorevole Luigi Berlinguer.
Gli onorevoli Scurria e Berlinguer sono rappresentanti rispettivamente del Partito popolare europeo e dell'Alleanza progressista dei socialisti e dei democratici al Parlamento europeo.
Come sapete, non ci sono lavori d'Aula e siamo prossimi alle elezioni. Per questo, la presenza dei colleghi non è quella che avrebbe meritato questo incontro e che avremmo auspicato. Sono presenti i funzionari dei rapporti con l'Unione europea, che ci ascoltano e che potranno in seguito comunicare alla Commissione affari comunitari questi lavori. Il tutto nasce dalla comune volontà delle Commissioni VII e XIV di verificare, insieme ai colleghi del Parlamento europeo, gli obiettivi e le finalità degli atti comunitari che ci sono stati dati in esame. Naturalmente è tutto in itinere e, rispetto alle nostre indicazioni, si aspetta anche il pronunciamento del Governo. Le due Commissioni stanno lavorando su questi due documenti.
Onorevole Berlinguer, è sempre un piacere risentirla. Lei è già stato con noi altre volte nel corso di questa legislatura, in questa Commissione, per la sua storia politica, lei è più che gradito ospite. Le do, pertanto, la parola.

LUIGI BERLINGUER, Rappresentante italiano al Parlamento europeo. Ricordo con un pizzico di partecipazione che ho anche presieduto la Commissione XIV per un anno. Devo constatare che nella mia vita pubblica c'è stato un «arraffa arraffa» di ruoli veramente «indecente».

PRESIDENTE. Il popolo italiano e la Repubblica hanno investito molto su di lei, onorevole Berlinguer, questa è la verità. Le abbiamo chiesto sempre tanto.

LUIGI BERLINGUER, Rappresentante italiano al Parlamento europeo. L'amico


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Scurria ed io ci troviamo in una condizione un po' particolare perché, sebbene i tre temi indicati siano stati iscritti all'ordine del giorno della discussione della Commissione cultura, solo quello di cui è relatore il collega Schmitt e che riguarda il cosiddetto rapporto tra università e impresa ha avuto un suo parziale svolgimento. Degli altri, non si è neanche cominciato a discuterne, se non in minima parte.
Vi prego pertanto di consentirmi - e credo di parlare anche a nome del collega Scurria - di illustrarvi soltanto alcune linee generali perché, non essendo stato concluso l'iter, abbiamo scarsa possibilità di informarvi del punto di approdo.
Desidero innanzitutto fare un accenno alla circostanza che l'approvazione e l'entrata ormai in vigore del Trattato di Lisbona introducono una significativa e forte novità nella circostanza del rapporto fra Parlamenti nazionali e Parlamento europeo e istituzioni comunitarie.
Nella norma del Trattato, così come sta iniziando a costruirsi anche nella pratica - questo è rilevante -, esiste un rapporto abbastanza costruito fra questi due tipi di istituzioni. Dico questo perché, quando presiedevo la XIV Commissione, ho fatto una fatica dannata a creare delle occasioni di incontro fra parlamentari europei e nazionali. Era una cosa difficile.
Oggi, invece, presso il Parlamento europeo lavorano permanentemente funzionari del Senato e della Camera, che stanno cominciando a istruire queste pratiche. La norma prevede, per la Commissione europea - che, in grande prevalenza, è ancora l'organo di iniziativa legislativa, che quindi predispone i progetti che costituiscono il grosso della elaborazione normativa - l'obbligo di inviare tali progetti ai Parlamenti nazionali entro un certo termine. Pertanto, il Parlamento verrà investito dell'ulteriore impegno di esaminare tali progetti, che ovviamente verranno suddivisi per le Commissioni competenti, sperando di non creare un ingorgo lavorativo di dimensioni estremamente rilevante. Questo crea innanzitutto una condizione di maggiore informazioni della normazione comunitaria - il che significa trasparenza - chiamando direttamente in causa quella parte dei Parlamenti nazionali che si renderanno attivi.
Badate però che, poiché anche nell'opinione pubblica c'è una certa polemica verso l'Europa eurocentrica, «euroburocratica», lontana, che scende troppo nel dettaglio e altre cose del genere, questo è l'unico strumento per introdurre elementi di correzione a tal proposito.
Io sollecito, quindi, che si determinino forme di attenzione su singoli procedimenti e che, così facendo, si creino le condizioni di uno scambio, che può non necessariamente essere sempre uno scambio a presenza fisica perché, mentre sono aumentate le cose da fare, il numero delle ore quotidiane è rimasto lo stesso. Per fortuna, però, ci sono altre forme tecnologiche che ci consentono di farlo.
Questa è la parte importante dell'incontro di oggi, gli altri sono tre temi che come vedete devono ancora essere approfonditi.
L'altra parte importante dell'incontro di oggi riguarda la VII Commissione. In Europa, la competenza in materia di istruzione, sia generale che superiore, è molto limitata. Possiamo dire che la Commissione cultura non ha un forte volume di attività perché gli Stati membri sono gelosi della loro competenza nazionale su questo argomento. Personalmente, ritengo questo atteggiamento un retaggio ormai arcaico perché, nella globalizzazione, anche l'istruzione sta diventando globale.
È vero che la scuola è l'identità di un Paese, capisco che in Italia si debbano insegnare l'italiano, la storia e la poesia italiana e via elencando, ma la matematica, la fisica, la chimica o le scienze, sebbene siano in qualche caso più italiane che francesi o inglesi ma questa mi sembra una piccola forzatura.
In materia universitaria ormai non esistono più frontiere, quindi questa gelosia nazionale persistente in materia è un dato e, avendo redatto il Trattato Lisbona, sappiamo e oggi a Bruxelles lo si dice, che


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dobbiamo stare almeno qualche anno senza «metterci nelle guazze» di sottoscrivere altri trattati.
Vi parlo di questo tema perché da qui emerge che si stanno determinando delle condizioni non ex Trattato, ma basate su una volontaria contribuzione ad un'investitura sovranazionale di alcuni dei processi educativi - sia scolastici che universitari, soprattutto legati alla ricerca - che sono interessanti, e si stanno costituendo le famose aree (European research area, European higher education area). Anche nell'educazione pre-universitaria, oggi - questo è uno dei temi - il problema della mobilità o della convergenza delle politiche educative si sta avvicinando.
In passato, da parte della Commissione europea sono state adottate dall'Unione europea importanti iniziative, che si sono poste con energia il problema dell'insegnamento delle scienze. Faccio questo esempio perché io, in veste diversa da quella di parlamentare europeo, mi occupo anche di questo, e posso dirvi che ormai il problema drammatico del calo o delle oscillazioni delle immatricolazioni in facoltà e in corsi di laurea scientifici investe tutto il mondo, dunque anche l'Europa, e sta diventando importante. Questo lo si sta facendo non perché deriva dal Trattato, ma perché si tenta una forma di coordinamento fra Stati membri con qualche iniziativa della stessa Unione europea.
Il problema della mobilità è molto importante, accenno subito a questa tematica. Nel diritto europeo, la mobilità oggi è sancita addirittura come un diritto. Questo è importante: è un diritto, non un'opportunità o una scelta politica. Questo accade perché si considerano «confini» quelli europei.
In passato, sono state prese iniziative non istituzionali al massimo come Erasmus, Erasmus Mundus, Tempus, Marie Curie, Leonardo da Vinci, Comenius e via elencando. Questi sono nomi noti a chi si occupa di queste materie ma oggi stiamo assistendo ad una crisi di questi istituti.
Ci sono Paesi come la Francia, la Spagna e forse anche l'Italia, in cui il numero dei candidati alle borse Erasmus è inferiore ai posti disponibili, mentre quando io ero rettore ci si azzuffava per andare all'estero. Questo è un dato preoccupante, perché dice che la politica della mobilità non consiste solo nel creare delle opportunità teoriche, ma strutturare la mobilità. Vi sono problemi di sostegno per gli studenti economicamente più deboli, ad esempio; soprattutto, però, le nostre università - o anche le scuole, ma questo è meno rilevante - non si sono calibrate rispetto alle necessità che la mobilità, e quindi una certa permanenza all'estero, comportano. Diversamente, non fai il cittadino europeo e non lo prepari ad un mercato del lavoro europeo. Non si tratta solo di una questione ideale ma anche materiale, e la realizzi se poi puoi anche trarre vantaggio dal fatto che per alcuni mesi risiedi in un'università estera. Molte delle nostre università non riconoscono neanche quel periodo all'estero, i ragazzi sono dispiaciuti di questo e si dice in giro che non sempre conviene affrontare tali percorsi formativi perché ci sono problemi di disponibilità finanziaria.
Questo sta a dire che se noi sfruttiamo oggi il Trattato di Lisbona nel senso della cooperazione fra Parlamento nazionale ed europeo, noi possiamo anche significare quali sono le criticità di alcune di queste iniziative e spingere verso una normazione europea che sia rispettosa dei problemi effettivamente esistenti nei vari paesi, in modo che tali progetti non siano soltanto delle bandiere da sventolare, ma che vi si possa attingere concretamente. Vi faccio questo esempio perché mi sembra molto importante.
C'è un problema di orientamento nelle scuole e nelle università, nelle quali ci si deve preparare a conoscere tutte le potenzialità che questi programmi di mobilità possono offrire. Spesso, una delle carenze delle candidature è anche dovuta ad ignoranza, a mancanza di informazione, ad esempio.
Accenno ad un altro problema, che riguarda il Bologna Process Processo di Bologna. Non so se ne parlo con obiettività, trovandomi in un conflitto di interesse,


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naturalmente non di tipo materiale, quando si tratta di questi argomenti.
Il presidente di turno del semestre europeo, il presidente Zapatero, ha illustrato il programma della presidenza spagnola nel Parlamento europeo e ha fatto un discorso alto, strategico, chiedendo «più Europa». Voi sapete che questa oggi è una domanda qualificante perché ci sono Paesi che, invece, chiedono «meno Europa», e la grave crisi economico-finanziaria ci ha mostrato che se avessimo utilizzato le potenzialità europee e non quelle dei singoli Stati, ad esempio, forse non ci troveremmo nell'attuale grave condizione, che non è tanto una crisi complessiva dell'economia ma dell'occupazione, ovvero di un fattore determinante come quello del lavoro, presente in tutta Europa e in alcuni Paesi più che altrove.
Il secondo obiettivo che lui ha presentato è stato un forte investimento nella ricerca a livello europeo, insieme alla promozione dell'accelerazione del processo di integrazione europea dei sistemi universitari, che è quello che ha determinato il Processo di Bologna. Zapatero due volte ha detto che è stata l'iniziativa più importante assunta in Europa, e lo dice un signore che non è professore, che non si occupa di università e che non ne vive i problemi, ma che ha un forte senso strategico.
Il problema è che bisogna creare una condizione di permeabilità fra i sistemi accademici che per l'università sia qualcosa di più dell'infrastruttura della mobilità, perché il sapere scientifico e l'educazione superiore sono necessariamente non nazionali. Il sapere scientifico relegato entro i limiti della Nazione muore, senza alcun dubbio; nell'era di internet muore rapidamente, non aspetta la pubblicazione cartacea delle ricerche, non rientra nel mercato della competizione scientifica che ormai, ovviamente non nella preparazione, ma nella comunicazione dei nuovi risultati si muove sulla distanza di giorni o persino di ore. Oggi questa integrazione è importante.
Il Processo di Bologna - si chiama così con un pizzico di orgoglio - è nato come un Processo e non come una norma, ma è stato gestito dai Ministeri e non dalle università, e questo ha determinato nel mondo universitario molte reazioni non positive, prevalentemente perché è un Processo che sconvolge l'impianto accademico tradizionale ma, soprattutto, perché è stato gestito dagli apparati ministeriali: ogni due anni c'è un incontro fra i Ministeri.
Ieri e avantieri si sono riuniti a Vienna e a Budapest per celebrare il decennale. Sono state prese alcune iniziative, ci sono degli obiettivi e via dicendo, ma arriva tutto dall'alto. Non scendo in altri dettagli, mi serviva dirvi queste due cose altrimenti il discorso si allarga troppo, tuttavia dobbiamo affrontare questo problema del Processo di Bologna, perché c'è un piccolo dato: gli Stati europei sono 27, mentre gli aderenti al Processo di Bologna sono 48. Insomma: nel mondo c'è una corsa a entrare in questo network, perché tutti hanno interesse ad avere, non tanto una identificazione degli studi, ma una loro durata ed una base comune, perché sanno che il mercato del lavoro e il mercato scientifico vanno verso il massimo della mobilità. Il Canada, certi Paesi del sud America e la Russia sono dentro questo progetto, o stanno per entrarci.
Il problema è che ogni Stato, e anche l'Unione, hanno oggi il dovere non di porsi il problema se è andato male o bene, se è fallito o quant'altro, perché questo è un modo giornalistico di affrontare problemi delicati, da «titoli di giornale». Bisogna capire che cosa non va e che cosa è utile affinché l'integrazione proceda, che cosa occorre rimuovere, che differenza c'è fra gli studi letterari e gli studi di fisica - perché anche queste sono realtà da tenere presenti - e quali misure prendere.
Accenno solo all'ultima: la misura principale per realizzare questo obiettivo è l'uso dell'assessment, ovvero della valutazione, perché le condizioni di mobilità sono fondate sul reciproco riconoscimento dei titoli e soltanto alcuni di questi oggi sono riconosciuti. Pertanto, siamo ancora all'anticamera del Processo di Bologna perché se un laureato in Italia non può


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esercitare in Francia, a cosa serve aver avvicinato? Tutto questo perché non avviene? Perché in molti Paesi non si porta avanti una politica per raggiungere questo risultato. Alcuni Paesi al nord l'hanno già fatto, e infatti si chiamano il «Club nordico».
La prima cosa è il riconoscimento dei titoli, che non vuol dire gli stessi curricula - non bisogna pretendere questo - bensì la stessa qualità del risultato. L'altra premessa che ancora precede è la verifica della validità delle qualità.
La terza è una reciproca conoscenza dei diversi sistemi, e questa devono realizzarla le università. Gli Stati devono incentivarla in forma premiale severissima, e su quello che è stato detto sono d'accordissimo fino in fondo: io ho un peccato originario sulla questione di valutare gli insegnanti, lo sapete benissimo che è un mio pallino dai tempi del merito. Ma nell'università questa non è una questione di opzione e basta, perché l'università è il regno del sapere quindi del merito in sé, non del merito che esclude ma che promuove tutti ma per merito, e chi non merita non sta nel tempio della scienza o dell'educazione superiore.
Se usiamo la leva della valutazione e del riconoscimento reciproco, ci saranno atenei che correranno verso il suo ottenimento perché ne hanno interesse, e ci saranno atenei che non lo faranno. Su questo, il Processo di Bologna deve essere affrontato non con la lamentela italica, ma con precise proposte. Dall'Italia devono venire delle proposte; non ne vengono molte, noi non ne sentiamo.
Vi volevo significare questo, e scusate se ho messo i piedi nel piatto. Chiedo scusa per l'irriverenza.

PRESIDENTE. No, assolutamente. Il suo intervento è stato molto interessante, come sempre. È un'interlocuzione più che necessaria e opportuna.
Do la parola all'onorevole Scurria.

MARCO SCURRIA, Rappresentante italiano al Parlamento europeo. Ringrazio il presidente Aprea per questa iniziativa. Rifacendomi a quanto detto dal collega Berlinguer, penso che un'interazione tra Parlamento nazionale e Parlamento europeo sia assolutamente indispensabile alla luce del Trattato di Lisbona.
Come si diceva prima, con l'entrata in vigore di questo Trattato, il 1o dicembre scorso, voi sarete affogati da una gran quantità di iniziative che il Parlamento europeo vi comunicherà al fine di conoscere la posizione dei Parlamenti nazionali su alcune di tematiche, laddove il Parlamento nazionale può dire se è un tema di propria competenza o meno (dunque entriamo nell'alveo della sussidiarietà).
I tempi saranno stretti e il Parlamento nazionale avrà 60 giorni di tempo per pronunciarsi e, conoscendo le dinamiche parlamentari, sono tempi chiaramente molto stretti, tanto è vero che si stava addirittura pensando di mettere mano al Regolamento per riuscire a rispondere a questa necessità. Io penso che sarebbe meglio che noi riuscissimo a lavorare prima e a monte. Se su queste tematiche - di cui oggi esaminiamo alcuni dei dossier che sono allo studio del Parlamento europeo - riuscissimo a preparare per tempo una relazione, di modo da portare le necessità italiane già in prima battuta nella discussione all'interno del Parlamento europeo, ci avvantaggeremmo sui compiti da fare.
Spero che, come mi assicurava la presidente, questa non sia una iniziativa estemporanea e che su questo ci possiamo confrontare spesso per raccontarvi quello che «bolle in pentola» a Bruxelles e a Strasburgo. Do ovviamente la mia assoluta disponibilità.
Tra l'altro, all'interno del Partito popolare europeo svolgo il ruolo di coordinatore in Commissione, che tradotto è una specie di capogruppo; non è proprio così, ma tiro le fila di ciò che accade per il mio gruppo in Commissione, quindi per la mia parte politica sono disponibile a darvi informazioni dirette su quello che succederà in Parlamento.
Entrando nel merito del tema di oggi, ribadisco quel che diceva l'onorevole Berlinguer: di due dei tre dossier che oggi


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sono all'ordine del giorno sostanzialmente non abbiamo neanche iniziato l'esame in Commissione; di conseguenza, più che esprimere delle opinioni personali non possiamo fare.
Sul dossier che riguarda il dialogo tra università e imprese, in realtà la prossima settimana votiamo gli emendamenti in Commissione; sarà quindi un dossier che, dal punto di vista della Commissione, diventerà operativo dalla prossima settimana, mentre la sua approvazione finale in Aula è calendarizzata nella seduta plenaria programmata per il mese di maggio.
Su questo abbiamo qualcosa in più da dire, tant'è che lo scorso 11 febbraio si è tenuta presso questa Commissione l'audizione dei rappresentanti di Confindustria e della Conferenza dei rettori delle università italiane, proprio per ragionare su un aspetto che oggi diventa molto importante.
Le priorità che la Commissione si è data e che ci siamo dati noi come Parlamento sono: abbattere le barriere intorno alle università in Europa, quindi un maggior allargamento dell'università come centro della società, non solo culturale ma anche di relazione; assicurare una reale autonomia e responsabilità dell'università; favorire partenariati strutturati con il mondo dell'economia; fornire il giusto mix di abilità e competenze per il mercato del lavoro; ridurre il deficit di finanziamento e assicurare una maggiore efficacia di finanziamenti nell'istruzione e nella ricerca; accrescere l'interdisciplinarietà e la transdisciplinarietà; attivare le conoscenze mediante l'interazione con la società; premiare l'eccellenza al massimo livello; rendere lo spazio europeo dell'istruzione superiore e lo spazio per la ricerca più visibili e attraenti nel mondo.
In questo ovviamente c'è - e questo è uno dei punti che il Parlamento vuole porre in evidenza - una grossa promozione dell'imprenditorialità nel senso moderno del termine, a diretto contatto anche con il fenomeno della globalizzazione delle reti di lavoro e di produzione che si creano per promuovere un reale contatto e un reale avvicendamento anche con i giovani.
Questo ci lega anche ad alcuni programmi di mobilità giovanile su cui, come sempre, paghiamo anche la scarsa conoscenza delle opportunità che l'Europa ci dà, al di là del programma Erasmus che è conosciuto da tutti e per il quale si sta progettando, anche come Europa, di stanziare più risorse proprio per risolvere alcune delle debolezze di questo strumento. Ad esempio, al momento, se non ricordo male, vengono dati come rimborso spesa allo studente circa 300 euro, cifra assolutamente risibile; da questo punto di vista, si sta lavorando per incentivare.
Penso, però, a quello che viene definito Erasmus imprese, cioè esattamente lo stesso principio attraverso il quale chi si è laureato o chi pensa di poter entrare nel mondo del lavoro, e quindi sviluppare imprenditorialità, ha la possibilità di andare a conoscere come si fa impresa in altri Paesi europei per poi riportare quella conoscenza e quel know-how all'interno dei confini nazionali e poterci lavorare. Questo programma purtroppo è scarsamente conosciuto e utilizzato dai giovani italiani, e da questo punto di vista dovremmo anche riflettere.
Un altro degli aspetti che riguardano Erasmus, e che voi sicuramente conoscete, è il fatto che c'è anche un Erasmus aperto ai docenti, elemento fondamentale per la conoscenza dei programmi di studio negli altri istituti europei. Qui, però, noi paghiamo la scarsità di conoscenza delle lingue, che penalizza molto la nostra classe docente e sulla quale, secondo me, occorrerebbe invece fare degli investimenti e questo lo dico anche alla Commissione.
Considerate che uno degli obiettivi che l'Europa si è data entro il 2020 è che tutte le persone conoscano due lingue oltre a quella del Paese natale. Va fatto, quindi, uno sforzo non solo nei confronti dei giovani ma anche degli adulti, che chiaramente hanno magari meno elasticità, capacità, preparazione o fantasia di presentarsi a dei corsi per imparare le lingue.


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Questo però, paradossalmente, è un fatto che penalizza in particolare Paesi come l'Inghilterra o la Francia, perché essendo il francese e inglese delle lingue parlate in tutto il mondo, i francesi e gli inglesi hanno maggiori difficoltà ad apprendere altre lingue perché non si pongono nella condizione di doverle studiare.
Il multilinguismo è uno dei princìpi base dell'Unione europea, pur senza rinunciare alla propria lingua nazionale: abbandonando tentativi come l'esperanto o cose del genere, l'integrazione si fa se si conoscono più lingue e se si ha, quindi, la possibilità di conoscere e intervenire su questi aspetti.
Un aspetto problematico riguardava la certificazione della qualità nell'istruzione superiore, di cui prima si parlava accennando al Processo di Bologna. Il fenomeno della globalizzazione e la possibilità del riconoscimento reciproco dei titoli di studio hanno creato la necessità di verificare dove gli studenti europei realizzassero i propri studi e qual era il titolo che gli veniva dato, e quindi di trovare la certificazione di qualità per quel titolo.
Anche sulla scorta del Processo di Bologna, per questa certificazione della qualità nell'istruzione superiore sono stati adottati degli indicatori che variano dal grado di partecipazione degli studenti al grado di partecipazione internazionale, e devo dire che anche qui l'Italia purtroppo è tra gli Stati che non ottengono un buon risultato rispetto agli indicatori.
Solo circa la metà degli Stati dell'Unione europea raggiungono una buona posizione sugli indicatori e sono, come diceva prima l'onorevole Berlinguer, fondamentalmente gli stati del nord Europa; tra la metà di quelli che non raggiungono questa buona posizione c'è purtroppo anche l'Italia, quindi su questo magari occorre lavorare. Ripeto, però, che questo è un dossier che ancora non abbiamo aperto.
Per quanto riguarda la mobilità dei giovani, una parte riguarda i programmi di cui abbiamo parlato prima mentre la restante parte penso che non riguardi questa Commissione, perché mentre la nostra Commissione si occupa di cultura, dei giovani e quant'altro, se non ho capito male in Parlamento la parte dei giovani - le competenze del Ministro Meloni, per intenderci - sono di pertinenza della Commissione affari sociali. Su questo possiamo però ragionare, perché ci sono alcuni importanti programmi sulla mobilità giovanile finanziati dall'Unione europea, che fanno poi capo all'Agenzia nazionale giovani, che hanno una serie di buone possibilità.
Concludo ricordando quanto dicevo all'inizio: ci sono ora due dossier importanti che arriveranno all'attenzione della nostra Commissione e sui quali penso occorrerà trovare una sinergia utile perché, come dicevamo prima, scherzando ma non troppo, la cosa positiva dell'Europa è che non essendoci maggioranza e opposizione ma gruppi che credono in princìpi e valori che, se pur magari li differenziano, si può lavorare meglio perché non c'è il gioco delle parti.
Su questo penso di poter parlare anche a nome dell'onorevole Berlinguer: se noi veniamo investiti di un mandato, possiamo lavorare con la forza dei numeri perché vi ricordo che la delegazione italiana è la seconda per numero al Parlamento europeo dopo quella tedesca, quindi ha la possibilità di incidere sulle scelte.
Uno dei due aspetti importanti che stanno per interessare la nostra Commissione è il marchio europeo sul patrimonio culturale, su cui la Commissione sta già lavorando per individuare, nell'ambito del patrimonio culturale europeo, le aree che verranno tutelate, valorizzate e finanziate. Essendo ovviamente l'Italia uno dei Paesi che, dal punto di vista del patrimonio culturale, qualcosa da raccontare ce l'ha, penso sia importante che l'approccio a questa tematica consideri chiaramente le finalità e le idee dell'Italia.
In secondo luogo, il Trattato di Lisbona pone lo sport come uno degli elementi costituzionali; di conseguenza, avrà un'attenzione particolare sia sotto forma di finanziamenti che come regolamentazione.
L'aspetto del marchio sul patrimonio culturale, alla prossima riunione dei coordinatori


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- la prossima settimana - verrà assegnato, quindi inizierà l'iter per l'esame, con gli emendamenti e tutto il lavoro che ben conoscete.
Anche lo sport prima dell'estate dovrebbe iniziare il suo iter. Su questo, non appena avremo le prime bozze - sia che vengano dalla Commissione, sia dalla nostra rappresentanza permanente, che dovrebbe svolgere questo ruolo - ve le faremo pervenire formalmente, sia attraverso gli uffici funzionali, sia tramite i membri della Commissione.
Se volete, possiamo fare un altro incontro per fare dei ragionamenti specifici su questo, e lavorare. Questa sono la nostra voglia e volontà di collaborare: questa separazione tra Parlamento nazionale e Parlamento europeo è tipicamente italiana, gli altri Paesi lavorano in stretta connessione e i risultati si vedono, e con il Trattato di Lisbona diventa veramente stupido non farlo.
Ringrazio la Commissione. La disponibilità c'è, e siamo qui per lavorare.

PRESIDENTE. Noi vogliamo assolutamente favorire un'inversione di tendenza rispetto alla scorsa legislatura, anche perché comunque sono maturate alcune condizioni e su alcuni temi abbiamo bisogno davvero di fare battaglie comuni.
A proposito del patrimonio culturale europeo, voglio ricordare che proprio nei giorni scorsi la Commissione ha svolto una missione in Sicilia per avanzare all'UNESCO la richiesta di riconoscimento di patrimonio dell'umanità alle zone di Cefalù, Palermo e Monreale, all'itinerario arabo-normanno. Potremmo farlo direttamente in Europa, richiedendo finanziamenti per queste zone; magari ci attrezziamo e lavoriamo insieme.
Il tempo per gli interventi è scaduto, tranne che per l'onorevole Berlinguer.
Do la parola ai colleghi che intendono intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

CATERINA PES. Cercherò di essere velocissima. Ringrazio i presenti e faccio una piccola annotazione: trovo molto opportuno, anzi significativo, il richiamo al Processo di Bologna fatto dall'onorevole Berlinguer. Io condivido molto quello che ha detto. Credo che il tema della valutazione e del riconoscimento internazionale delle università europee sia fondamentale per concepire un minimo di mobilità nel senso moderno e contemporaneo del termine. Penso anche che noi in Italia abbiamo delle cose importanti da dire ma, contemporaneamente, abbiamo anche delle cose da fare prima di poter pensare ad un'università europea. Mi riferisco alle cose dette dall'onorevole Scurria.
A mio avviso, il problema in definitiva riguarda il tema della strategia del Paese sulle politiche della conoscenza. Dovremo probabilmente investire su percorsi che sono propri dei grandi obiettivi e porci il tema delle competenze e delle qualifiche di uscita dei nostri studenti, ma anche del fatto che abbiamo un'università che è diffusa in Italia a macchia di leopardo e con competenze ed efficienze diverse.
A mio avviso, i parametri utilizzati dalla Fondazione Agnelli sul livello di istruzione della nostra scuola oggi - efficienza, efficacia ed equità - si possono utilizzare anche per l'università italiana.
Ci sono università del sud, o addirittura delle isole - lei me lo insegna, onorevole Berlinguer, penso alla Sardegna e al Rettore dell'Università di Cagliari, che noi abbiamo audito - che evidentemente pongono delle condizioni di partenza che sono diversissime. Essere isola, tra le altre cose, di cui alcune anche molto belle, significa anche essere isolati dalle opportunità di partenza che possono evidentemente non essere uguali dappertutto.
Se il livello odierno di valutazione di un'università, anche secondo i progetti di riforma che sono in itinere, è legato in Italia alla possibilità del conseguimento di un livello lavorativo, è evidente che l'Università Bocconi di Milano ha un livello di efficienza e di raggiungimento, conseguimento ed efficacia differente da quello dell'università del sud.
A mio avviso, Parlamento europeo e Parlamento italiano, in questo caso, devono lavorare insieme affinché questi livelli


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di competenze possano effettivamente essere conseguiti, perché solo così alla fine forse possiamo affrontare il tema di una valutazione a livello internazionale. Credo che dovremmo lavorare perseguendo questo obiettivo.

MARIA LETIZIA DE TORRE. Sono d'accordissimo sul fatto che è veramente una cosa antiquata il fatto che l'istruzione sia nazionale, pur provenendo io da Trento dove la scuola è gestita localmente; gli insegnanti di Trento vanno a formarsi in Europa, ma è limitante se non c'è, accanto alla dimensione locale, una dimensione più ampia.
Essendo d'accordissimo sul fatto che, come diceva l'onorevole Scurria, noi non sappiamo le lingue pongo alcune domande.
Potrebbe essere utile usare questo tempo - fino a quando non potremmo riprendere in mano il Trattato di Lisbona riguardo l'istruzione - per prepararci? Perché anche se il Trattato di Lisbona avesse detto qualcosa di diverso noi non saremmo stati pronti comunque.
Prepararci come? Ad esempio, non sarebbe possibile che l'Europa, quasi con un «fondo culturale europeo» simile al Fondo sociale europeo, finanzi la ricerca, lo studio, la preparazione dei testi su una dimensione interdisciplinare e interculturale europea? A quel punto, la storia, la matematica e le altre materie diventano solo dei saperi, bisogna insegnare queste materie in modo interdisciplinare e interculturale ma i docenti non sono preparati perché le università non li preparano a questo. Chiedo, dunque, se non si potrebbe finanziarie questo cantiere.
Vi chiedo inoltre non si potrebbe facilitare, forse anche all'interno del Processo di Bologna, la mobilità o lo scambio dei docenti per insegnare le lingue in full immersion? Altrimenti è utopico pensare che in Italia le impariamo. Vengo da una zona dove i Ladini a 10 anni parlano e scrivono tre lingue, quindi non è una cosa impossibile.
Un'ultima cosa: mi chiedo se sia possibile pensare a percorsi di formazione dei dirigenti con testa, capacità e visione europea, di modo che i dirigenti scolastici siano preparati attraverso degli scambi, mandandoli da un Paese all'altro a seconda della lingua.

PRESIDENTE. Do la parola ai nostri ospiti per la replica.

LUIGI BERLINGUER, Rappresentante italiano al Parlamento europeo. Sulla politica linguistica io non aggiungo nulla, perché ci sono vari progetti ed una linea di iniziative a questo proposito. Forse è meglio preparare alcune informazioni e su quelle costruire, perché è un cruccio per l'Europa la questione delle lingue.
Non è stato ottenuto un grandissimo risultato, però ci sono delle cose importanti. Questo non riguarda solo l'insegnamento ma anche i magistrati, gli ingegneri, qualunque mestiere.
Per quello che riguarda la formazione di dirigenti e docenti, questo è uno dei temi che, pur essendo in corso da tempo, forse alla fine di questo anno potrà essere affrontato anche dalla Commissione parlamentare. Anche su questo non do una risposta, ma è all'attenzione perché si è capito che o si entra massicciamente sui protagonisti dell'attività di istruzione, oppure il resto è solo architettura.

MARCO SCURRIA, Rappresentante italiano al Parlamento europeo. Il punto è che noi conosciamo sempre poco dei meccanismi e delle opportunità europee, nel senso che esiste il Settimo programma quadro che finanzia pesantemente tutta la ricerca - stiamo parlando di qualche miliardo di euro - ovviamente suddivisa per situazioni, da quella sull'ambiente fino a quella che ci riguarda più direttamente.
Torniamo, quindi, all'annoso problema della mancanza di conoscenza, di progettualità e di progettazione - che sono due cose differenti - e in Italia forse abbiamo ancora una mentalità troppo assistenzialista.
Forse adesso non abbiamo il tempo di approfondire questo aspetto, però sta di fatto che noi rimandiamo a Bruxelles tanti


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soldi che avremmo a disposizione in particolare per la ricerca, perché non li utilizziamo.
Le risorse e le possibilità ci sono, la linea di finanziamento nella direzione in cui lei indica è percorribile, così come è possibile lo scambio di docenti. Ci sono finanziamenti che riguardano direttamente le scuole per l'insegnamento delle lingue sia agli studenti che ai professori.
L'aspetto che manca è, in primo luogo, l'informazione, cioè sapere esattamente quello che l'Europa può fare per noi; questa Europa viene sempre vista come molto lontana, non si capisce a che serve, ha un Parlamento diviso in due sedi, e via dicendo.
Il problema è che siamo noi che non ci interessiamo dell'Europa. Io faccio il parlamentare europeo da qualche mese, per me è una piacevole scoperta, non sto insegnando niente a nessuno ma sto capendo che, al contrario di tutti gli altri Paesi europei, noi da questo punto di vista siamo molto in ritardo e questo diventa un problema quando ci lamentiamo per la mancanza di risorse e di finanziamenti su tanti aspetti.
L'Europa può farlo, però occorre costruire un percorso di progettualità e di progettazione che possa portare queste risorse a casa.

PRESIDENTE. Questo è solo l'inizio di una collaborazione e di una interlocuzione, anche perché ci saranno documenti comunitari. Ma forse anche quando avremo modo di esaminare la riforma dell'università italiana, se i colleghi lo desidereranno si potrà fare un nuovo incontro.
Ringrazio i colleghi per la disponibilità manifestata. Auguro a tutti buona Pasqua e dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 16.

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