Camera dei deputati

Vai al contenuto

Sezione di navigazione

Menu di ausilio alla navigazione

Cerca nel sito

MENU DI NAVIGAZIONE PRINCIPALE

Vai al contenuto

Per visualizzare il contenuto multimediale è necessario installare il Flash Player Adobe e abilitare il javascript

Strumento di esplorazione della sezione Lavori Digitando almeno un carattere nel campo si ottengono uno o più risultati con relativo collegamento, il tempo di risposta dipende dal numero dei risultati trovati e dal processore e navigatore in uso.

salta l'esplora

Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

Torna all'elenco delle indagini Torna all'elenco delle sedute
Commissione VII
3.
Martedì 20 ottobre 2009
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Aprea Valentina, Presidente ... 3

INDAGINE CONOSCITIVA SULLO STATO DELLA RICERCA IN ITALIA

Audizione di esperti del settore:

Aprea Valentina, Presidente ... 3 17 21 24
Bachelet Giovanni Battista (PD) ... 20
Barbieri Emerenzio (PdL) ... 21
Maccacaro Tommaso, Presidente dell'Istituto nazionale di astrofisica ... 11 23
Mazzarella Eugenio (PD) ... 19
Nicolais Luigi (PD) ... 18
Palmieri Antonio (PdL) ... 17
Ugo Renato, Presidente dell'Associazione italiana per la ricerca industriale ... 3 21 24

ALLEGATO: Relazione consegnata dal professor Renato Ugo, presidente dell'Associazione italiana per la ricerca industriale ... 25
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Repubblicani; Regionalisti, Popolari: Misto-RRP.

[Avanti]
COMMISSIONE VII
CULTURA, SCIENZA E ISTRUZIONE

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di martedì 20 ottobre 2009


Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE VALENTINA APREA

La seduta comincia alle 11,40.

(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso e la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Audizione di esperti del settore.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sullo stato della ricerca in Italia, l'audizione di esperti del settore.
Molti colleghi stanno arrivando ora poiché oggi, in contemporanea, siamo impegnati anche in Commissione lavoro. Come avrete sentito, infatti, in Aula vi è il provvedimento cosiddetto «salva precari» della scuola. Non è una nostra competenza diretta, perché, per Regolamento, il provvedimento è stato assegnato alla Commissione lavoro, quindi molti deputati, membri della VII Commissione, sono interessati e partecipano anche allo svolgimento dei lavori della XI Commissione.
Abbiamo l'onore e il piacere di avere con noi il professor Renato Ugo, presidente dell'Associazione italiana per la ricerca industriale (AIRI). Prenderà poi la parola il professor Maccacaro, presidente dell'Istituto nazionale di astrofisica (INAF).
Nel ringraziare il professor Ugo per la sua presenza, gli do la parola.

RENATO UGO, Presidente della Associazione italiana per la ricerca industriale. Signor presidente, la ringrazio per l'introduzione. Vorrei ringraziare tutti i membri della VII Commissione della Camera dei deputati, per aver chiamato l'AIRI, Associazione italiana per la ricerca industriale, a presentare il punto di vista dei ricercatori industriali sullo stato della ricerca industriale - ripeto tali termini, perché nel mio intervento mi concentrerò su questo aspetto - in Italia e avanzare delle proposte per valorizzarla e rafforzarla.
Vi presento brevemente l'associazione che presiedo. L'AIRI è nata nel 1974, per promuovere lo sviluppo della ricerca e dell'innovazione industriale e stimolare la collaborazione tra il settore privato e quello pubblico.
L'associazione, inoltre, rappresenta più di 120 soci industriali che operano nel settore. Si tratta di imprese, centri di ricerca privati, università, enti pubblici di ricerca - che sono interessati ad attività di trasferimento tecnologico, quindi sono collegati a noi -, parchi scientifici e istituti finanziari.
Rappresentiamo circa il 50 per cento della ricerca intrapresa dalle industrie in Italia. Parliamo, dunque, di una quantità di ricercatori più che rilevante, sono più di 10.000, quindi una parte importante della ricerca italiana.
Abbiamo sempre avuto come compito quello di sottoporre al Governo e alla pubblica amministrazione proposte per sostenere la competitività del Paese, tramite attività di ricerca e di innovazione


Pag. 4

tecnologica, e in particolare delle imprese italiane che sono sottoposte ai rapidi cambiamenti tecnologici.
Credo che quello appena citato sia uno dei problemi chiave di questo Paese.
Occorre avere, infatti, una struttura industriale che risponda con tempi e risorse accettabili ai cambiamenti tecnologici che ormai sono rapidissimi e talvolta devastanti.
Siamo dunque impegnati in questo lavoro. La descrizione delle nostre attività è riportata in modo più dettagliato nel testo scritto che vi è stato consegnato.
Vorrei comunque riportare alcuni esempi delle nostre attività di missione. Una delle missioni che compiamo ogni due anni consiste nel presentare: «Le innovazioni del prossimo futuro: tecnologie prioritarie per l'industria». Credo che la Presidente ne abbia una copia vicino a sé.
Si tratta della settima edizione di un libro di oltre 500 pagine, nel quale abbiamo analizzato, ogni due anni, circa cento tecnologie in dieci settori industriali rilevanti per le industrie nostre associate.
Nel testo, identifichiamo le vie di sviluppo di queste tecnologie nel breve e medio termine. È un documento estremamente importante, in particolare quando occorre stilare documenti di carattere politico, perché si tratta di un'analisi condotta da tecnici sul campo.
Ricordiamo che non siamo Confindustria, ma ricercatori industriali. Parliamo come ricercatori e quindi vogliamo presentare le innovazioni tecnologiche e mostrare come la ricerca possa incidere per migliorare la competitività delle nostre aziende.
Un ulteriore esempio della nostra attività è dato dal fatto che, nel 2003, AIRI ha costituito al suo interno Nanotec IT, centro italiano per le nanotecnologie, con lo scopo di promuovere la crescita delle nanotecnologie in Italia e di favorire la creazione di sinergie tra ricerca privata e pubblica in questo settore.
Fa già parte di Nanotec IT la maggior parte degli operatori, sia pubblici che privati, che operano nel settore delle nanotecnologie in Italia. L'AIRI è l'unica struttura a stilarne il censimento.
Non ho portato in questa sede tale documento, perché pesa circa 2 chili. Tuttavia, esso mostra, in un arco di tempo di tre anni, lo sviluppo di questo settore importantissimo che, secondo il Presidente degli Stati Uniti e l'Unione europea, è l'ambito del futuro per la competitività delle aziende e delle nazioni.
Dopo questa breve presentazione di AIRI, intendo affrontare i seguenti temi: la debolezza dell'Italia rispetto al contesto internazionale, per quanto riguarda gli investimenti per la ricerca, lo sviluppo tecnologico e in particolare le risorse umane ad esso dedicate; la difficoltà in Italia di definire e attuare politiche nazionali per il sostegno della ricerca pubblica e privata che siano adeguate alla competizione mondiale, oltre che essere continue e attuate in tempi compatibili con il rapidissimo cambiamento tecnologico che sta impattando, perlomeno negli ultimi tre decenni, la competitività dei continenti, delle nazioni, e quindi delle aziende; l'assoluta necessità di individuare e rendere operativo al più presto un unico e autorevole centro nazionale di coordinamento delle molteplici iniziative dei vari ministeri, per il sostegno della ricerca industriale e dell'innovazione tecnologica; lo scarso coordinamento, e quindi la crescente confusione, tra le iniziative a livello delle amministrazioni centrali e delle regioni, con conseguenti duplicazioni e parcellizzazioni degli interventi; l'adeguamento, in termini finanziari e metodologici degli strumenti per il sostegno della ricerca industriale e dello sviluppo tecnologico e il loro finanziamento con continuità nel tempo; lo snellimento delle procedure e la razionalizzazione delle metodologie per la valutazione dei progetti di ricerca industriale, presentati sia a sportello sia a seguito di bandi nazionali o regionali; l'assoluta necessità di valorizzare la ricerca pubblica, svolta nelle università e negli enti pubblici di ricerca, al fine di


Pag. 5

creare innovazione, anche tramite una più stretta collaborazione con il sistema delle imprese.
Potreste dire che quelle elencate sono tematiche ovvie e ripetute da molti anni. Forse, tuttavia, è necessario trovare delle soluzioni semplici, e in tempi brevi, a tali questioni.
Non mi soffermo sulla cronica debolezza dell'Italia rispetto a nazioni come Francia, Germania e Regno Unito. Faccio notare che questi Paesi hanno dei PIL molto simili ai nostri, ma evidenzio altresì che l'Italia spende l'1,1 per cento del nostro PIL in ricerca; mentre la Germania vi dedica il 2,54 per cento del proprio PIL, il Regno Unito l'1,78 - si tratta di dati di due anni fa, ma grosso modo stabili -, la Francia il 2,10 e la media europea ammonta al 2 per cento.
Secondo una valutazione annuale dell'Unione europea circa le capacità innovative e di ricerca degli Stati membri, ci troviamo, in termini calcistici, in zona di retrocessione.
Mi permetto di dire che quando una società calcistica è in zona retrocessione, come minimo cambia l'allenatore, ma certamente si impegna perché i tifosi potrebbero prendersela con il presidente della società.
Pertanto, considero essenziale il fatto che siamo sulla soglia di retrocessione. E questo è gravissimo.
Volgiamoci adesso alle imprese. Le mie osservazioni si vogliono rivolgere alla situazione della ricerca industriale. Personaggi estremamente competenti qui presenti, come il professor Maccacaro, potranno parlare invece della ricerca universitaria e degli enti pubblici di ricerca.
Sono un professore universitario anche io, quindi se vorrete pormi domande sarò ben felice di rispondere in questa veste, ma per il momento mi limiterò a parlare della ricerca industriale, come ho annunciato.
Vorrei descrivervi lo scenario di nostro interesse. In Italia, le grandi imprese, che hanno oltre 500 addetti in ricerca, coprono ben il 70,7 per cento del totale delle spese per la ricerca industriale del Paese: cioè pochi fanno il tutto.
Nel 1993, queste imprese arrivavano ad una percentuale dell'83,7, quindi nel tempo hanno perso 13 punti. Dal 2000 al 2006, la spesa totale delle industrie nazionali di ricerca, fatta extra muras, cioè data ad altri, è aumentata al 23,8 per cento dal 20 per cento.
Quanto sopra descritto dimostra che per lo stato della ricerca industriale italiana sta divenendo rilevante l'effetto dei continui, e spesso non ancora conclusi, processi di ristrutturazione e anche della progressiva riduzione, frantumazione, e talvolta scomparsa, di alcune grandi industrie, in settori caratterizzati da un alto contenuto tecnologico, come la farmaceutica, la chimica e le apparecchiature per le telecomunicazioni. Mi riferisco a Montedison, Farmitalia Carlo Erba, Telettra, Italtel e così via.
Inoltre, stanno fuggendo dall'Italia anche le multinazionali di questo settore che portavano avanti attività di ricerca. Questo è un fatto gravissimo.
Solo in parte tale effetto negativo è stato controbilanciato dall'avvenuta ristrutturazione e dal rilancio di alcune ex partecipazioni statali, operanti nell'energia, l'ENI ad esempio, nella difesa e nell'aerospazio, la FINMECCANICA ad esempio, eccetera.
La conclusione di tale discorso è che vi sono meno medio-grandi imprese, rispetto al recente passato, che operano nel Paese in settori di rilevanza tecnologica, quindi strategici.
Inoltre, non sono ancora in atto una sufficiente crescita e una concentrazione delle piccole e medie aziende, al fine di generare medie industrie che possano operare in un contesto internazionale, con adeguate masse critiche di ricerca, anche se spesso limitatamente a settori di nicchia.
Questo scenario influisce sulle limitate dimensioni delle strutture e sul livello delle competenze tecniche e scientifiche, oltre che su risorse finanziare investite in


Pag. 6

ricerca dal sistema industriale e dei servizi avanzati; ovviamente con le dovute eccezioni.
Le moltissime piccole e medie aziende italiane, di necessità, sono caratterizzate, nell'area della ricerca, da masse critiche piccole e si basano principalmente sullo sviluppo di innovazioni tecnologiche, anche significative, il cui successo è legato, però, in genere, a innovazioni incrementali, sostenute da uno styling e un marketing molto aggressivi. Parliamo del cosiddetto «made in Italy».
Lo scenario industriale, dunque, è composto da poche grandi e medie imprese che sostengono la maggior parte dell'investimento e da un'enorme quantità di piccole e medie aziende che operano nel made in Italy e che seguono, di necessità, una logica diversa di ricerca e sviluppo, ma che costituiscono una parte rilevante per l'economia italiana.
Pertanto, quando operate a livello politico, dovete considerare uno scenario duale.
Tale scenario è la base per attuare politiche adeguate. Non si può porre in essere una politica piatta per tutti, ma bisogna tener conto del fatto che esistono due aree e due anime differenti che operano con criteri, con dimensioni e con obiettivi completamente diversi.
Una volta delineato questo scenario duale - spero che sia chiaro, perché è essenziale per definire delle politiche -, pensare che l'Italia possa ancora essere l'origine di innovazioni tecnologiche radicali, che cioè cambino il quadro competitivo di un settore industriale o dei servizi avanzati, è poco realistico. L'ultima innovazione radicale italiana è stato il polipropilene che risale agli anni Sessanta, dopo di allora l'Italia non ha prodotto innovazioni radicali.
Occorre quindi essere realistici e usare in maniera razionale e mirata le relativamente poche risorse disponibili, con l'obiettivo di mantenere, e di far crescere, la competitività del nostro sistema industriale in alcuni settori.
Le politiche quindi devono essere coerenti con queste scenario. Fare politiche che siano incoerenti, o piatte, produce bene per un versante e male per l'altro, o viceversa. Di conseguenza, occorre attuare delle politiche mirate.
Il quadro delle politiche di sostegno della ricerca industriale italiana, all'inizio degli anni 2000, sembrava consolidato in una legge-quadro, la n. 297 del 1999, che riprendeva e razionalizzava l'insieme slegato di leggi che, a partire dalla legge base, la n. 46 del 1982 - norma fondamentale per lo sviluppo della ricerca industriale -, si era sviluppato negli anni '80 e '90, in maniera poco coordinata, in una serie di leggi e leggine successive. La n. 297 era una legge-quadro che raccoglieva il tutto.
Inoltre, la legge n. 297 del 1999 - in particolare gli articoli 5, 6, 10 e 12 che sono i più rilevanti - non è stata finanziata nella maniera prevista all'atto dell'approvazione.
Nel 2001, tale norma non era finanziata e così si è creato un intoppo. Si trattava di una legge bellissima, ma inutile, in assenza dei mezzi per svilupparsi. Quindi, è mancata la continuità.
In definitiva, una legge che era stata varata per dare una spinta è stata molto meno efficace di quanto previsto e ha anche causato un suo svilimento, a causa della lentezza dei processi di valutazione, e in particolare di erogazione. Anche questo è dovuto al fatto che, spesso, in maniera inaspettata, per ragioni ovvie, venivano bloccati i finanziamenti.
Avendo fatto parte del Comitato tecnico scientifico CTS del MIUR, ossia del gruppo che valutava questi progetti, ho esperienza di tali situazioni. A valutazione finita, con l'approvazione data dal direttore generale e il decreto preparato, giungeva il blocco finanziario dal Ministero dell'economia e delle finanze. Quindi, un progetto presentato nel 2000, veniva finanziato nel 2007; il che significa buttare via i soldi.
A partire dal 2007, si è ricorso, su pressione delle aziende e di Confindustria, allo strumento fiscale, per sostenere la ricerca industriale, cioè al credito d'imposta.
Le agevolazioni concesse automaticamente pari al 10 per cento dei costi del


Pag. 7

2007, nel 2008, come credito d'imposta, ammontavano a 712 milioni di euro, per 11.800 domande. Tuttavia, il 94 per cento di queste ultime erano concentrate nel centro nord e questo è un fatto anomalo, e solo l'1,4 per cento delle stesse presentavano contratti coinvolgenti università ed enti pubblici, e anche questo è un fatto anomalo di questo Paese.
In totale, quindi, la spesa sostenuta nel 2007 ammontava a 7,1 miliardi di euro, pari all'82 per cento della spesa per la ricerca e lo sviluppo.
L'entità inattesa di questa cifra - questo è un altro problema che si pone, ossia la non correttezza della risposta alla legge, improvvisamente tutti erano diventati ricercatori -, da parte del Ministero dell'economia e delle finanze, ha fatto sì che, a livello governativo, fosse messo in crisi lo strumento fiscale, che invece sarebbe utilissimo.
Desidero ricordare, infatti, che questa tipologia di strumento incentivante, agile e diretto, anche se di difficile controllo, è in crescita costante nel mondo, negli ultimi anni.
Nei 30 Paesi membri dell'OCSE, ben 20 offrono crediti di questo tipo, per importi totali di grandissima rilevanza. Non mi riferisco solo a grandi Paesi come gli Stati Uniti, ma anche alla Spagna, al Canada, all'Australia che sono luoghi diversi culturalmente, ma in cui questo meccanismo funziona.
La decisione del Governo, per ciò che riguarda l'agevolazione fiscale per l'anno 2008, di porre un plafond dello stanziamento con precedenza, fino al suo esaurimento, a chi più rapidamente arrivava a presentare la richiesta per via telematica - noto sulla stampa come il meccanismo del click day - secondo AIRI, è quanto di più ingiusto e irrazionale si potesse immaginare.
Evidentemente, tuttavia, era l'unica soluzione tecnicamente disponibile al momento, per arginare una domanda che risultava eccessiva.
Infatti, la mancanza di un'adeguata capacità di controllo, sia come agenzia delle entrate, dal punto di vista del controllo fiscale, sia come strutture tecniche, dal punto di vista della valutazione e della coerenza con la ricerca e lo sviluppo tecnologico, di quanto posto come ricerca e sviluppo nei bilanci delle aziende, ha impedito di operare un controllo rigoroso, anche se limitato, a estrazione, come avviene in Canada, di un numero adeguato delle domande presentate dalle aziende. Dichiarazioni non veritiere poste in bilancio dovevano essere seguite da severissime multe, per arrivare fino al falso bilancio.
Solo un forte deterrente, originato da un severo controllo, avrebbe permesso, come avviene per esempio in Canada, di riportare il sistema del credito d'imposta a domande strettamente aderenti a quanto previsto dalla legge, e quindi ad una automatica diminuzione dell'entità del credito d'imposta richiesto a livello nazionale, con un razionale ed efficiente sostegno delle aziende più impegnate nella ricerca e nello sviluppo tecnologico. Tuttavia, ciò non sembra possibile nel breve termine, per le ragioni testé esposte. Quindi, a meno di ripensamenti anche nella prossima finanziaria, verrà probabilmente mantenuto un plafond e il discutibile - e direi veramente ridicolo - meccanismo del click day.
Il problema rimane, ma voglio evidenziare che, in ogni caso, lo stanziamento posto dal Governo è sempre minore di quello del 2008.
È triste ammettere che in Italia questo meccanismo di incentivazione rapido e pervasivo, ma che può essere di qualità, non possa incidere in maniera efficace sulla qualità delle attività di ricerca industriale e in particolare non possa tener conto del merito, visto che l'allocazione dei fondi oggi è del tutto casuale: il primo che preme un tasto sul computer prende i soldi.
Eppure, come vedremo nelle conclusioni, AIRI ritiene che un rilancio dell'erogazione, tramite le varie forme previste dalla legge n. 297 del 1999 e dalla legge n. 46 del 1982 e un credito d'imposta, validato da severi controlli, siano i pilastri di una valida politica di sostegno della ricerca industriale.


Pag. 8


Infatti, questo insieme permetterebbe, tramite la legge n. 297 del 1999 e la n. 46 del 1982, se finanziate in maniera adeguata e con continuità un sostegno solido della media e grande industria. Nello stesso tempo, con una erogazione pervasiva come quella del credito d' imposta, si arriverebbe a sostenere anche le piccole e medie aziende coinvolte in varie attività di ricerca e sviluppo tecnologico, soddisfacendo così lo scenario duale che ho precedentemente messo in evidenza.
L'allocazione delle risorse nelle varie forme di sostegno deve essere poi indirizzata, per quanto possibile, da linee guida che definiscano le priorità nazionali. Mi riferisco al Piano nazionale di ricerca (PNR), attualmente in fase avanzata di stesura, che dovrebbe per l'appunto delineare tali linee guida.
Purtroppo, la modalità di redazione di questo documento, in passato, è stata spesso, anche se non sempre, piuttosto confusa, affrettata e scarsamente definita, anche per ciò che riguarda le vie attraverso cui i soggetti industriali hanno ufficialmente il diritto, quindi l'opportunità, di fornire commenti e integrazioni.
Per il futuro, occorre definire - spero che venga fatto nell'attuale stesura del piano nazionale di ricerca -, nella maniera più puntuale possibile, la metodologia alla base della redazione di questo PNR.
Un Piano nazionale, un progetto nazionale, per essere tale, deve identificare, sulla base di analisi di scenari approfonditi, i bisogni, gli obiettivi, i tempi, le risorse economiche, umane e strumentali, necessarie ad individuare preliminarmente tutti i soggetti in grado di contribuire al raggiungimento degli obiettivi. Inoltre, deve definire la destinazione e le modalità di erogazione dei finanziamenti e delle agevolazioni in maniera puntuale e precisa, per settore.
È necessario evitare - lo sottolineo - affermazioni generiche molto facili, mere elencazioni di argomenti o aree di interesse, focalizzandosi molto più su obiettivi, tempi e risorse.
Fino ad oggi, molti dei PNR preparati dai vari e diversi Governi non hanno sempre risposto a queste ovvie regole e tanto meno hanno definito delle precise metodologie, partendo da come si opera in altri contesti.
Le carenze metodologiche si riflettono poi fatalmente nella qualità e nella completezza dei contenuti.
Come esercizio, nel passato, l'AIRI ha attivato un gruppo di lavoro, costituito da esperti industriali, allo scopo di mettere a punto una proposta metodologica, ne avete copia.
Di recente, abbiamo messo a disposizione del MIUR tale documento, per il prossimo Piano nazionale di ricerca. Spero che ne tengano conto.
È stata condotta un'analisi molto dettagliata di quanto viene realizzato all'estero e viene individuata una metodologia.
Non sono mai stato troppo favorevole alle metodologie. Avendo operato nell'industria, infatti, sono spesso venuto a contatto con le società di consulenza che guadagnano molti soldi attraverso le metodologie. Personalmente, dunque, nutro qualche dubbio sulla loro piatta applicazione. Tuttavia, troverei utile che queste venissero utilizzate per determinare un criterio, secondo cui non si procede a una sommatoria di tanti elementi, ma si seguono delle linee preordinate. Ad ogni modo, occorre avere un certo buonsenso per usare le metodologie nella maniera opportuna.
Tutto ciò premesso, il PNR è sicuramente uno strumento importante che deve avere una valenza fondamentale nell'indirizzare le politiche e le scelte della ricerca nazionale e nel definire entità e modalità di accesso al finanziamento pubblico. Questo vale per la ricerca industriale e, a maggior ragione, per quella pubblica.
A tale riguardo, abbiamo elaborato uno spunto, che troverete nell'allegato, circa le modalità che dovrebbero caratterizzare - non siamo arrivati a definire i contenuti - un PNR.
Affinché gli indirizzi del PNR siano rispettati, occorre che vi sia un unico e


Pag. 9

autorevole centro di coordinamento e comando dei vari indirizzi e delle iniziative settoriali oggi in atto nei diversi ministeri, così da evitare duplicazioni o eccessiva concentrazione di risorse in un settore rispetto ad altri.
Teoricamente, questo centro di coordinamento dovrebbe essere il MIUR, ma nel passato ciò non è avvenuto in maniera soddisfacente. Spesse volte, infatti, non vi è coordinamento tra le attività dei vari ministeri.
Occorre definire al più presto un tavolo di coordinamento per perseguire le linee tracciate nel PNR. Tale tavolo può essere guidato dal MIUR o dalla Presidenza del Consiglio, ma la sua attivazione è un must, per l'attuazione di iniziative che siano coerenti con il Piano nazionale di ricerca e non siano sparse nei vari ministeri, secondo attività del tutto tipiche dei dicasteri stessi.
Vorrei adesso affrontare il problema relativo alle regioni; una questione non trascurabile.
A partire dall'anno 2000, una parte delle responsabilità relative alla ricerca e sviluppo tecnologico è stata data alle regioni; il che mi sembrava molto utile. Una visione di buonsenso dei ruoli, infatti, potrebbe essere questa.
Operare scelte circa gli strumenti nel grande campo della ricerca internazionale dovrebbero essere compito dell'amministrazione centrale, cioè del MIUR; mentre il sostegno dello sviluppo tecnologico, in particolare dell'innovazione, dovrebbe essere delegato, anche se parzialmente, alle regioni. Queste ultime, infatti, operando in un contesto regionale, possono capire le necessità di innovazione delle piccole e medie aziende presenti nel territorio.
Quindi, è la regione che più facilmente può sostenere l'innovazione delle aziende con delle politiche regionali ad hoc.
A volte le regioni realizzano grandi progetti sulle nanotecnologie, sulle biotecnologie, ossia sui grandi temi della ricerca internazionale. Tuttavia, non credo che sia loro compito affrontare tali tematiche, quanto dello Stato.
Il PIL delle regioni è crescente. Nel 2008, le agevolazioni concesse alle regioni, per la ricerca industriale, sono state il 13,5 per cento di quelle concesse a livello nazionale. Quindi, non parliamo di numeri piccoli. Cominciano a essere cifre importanti, di cui bisogna tener conto.
AIRI ritiene che, per evitare duplicazioni, parcellizzazioni ed erogazioni a pioggia, si debbano al più presto coordinare le politiche nazionali con quelle regionali e che queste ultime debbano essere meglio definite, tenendo ben conto della realtà industriali e dei servizi avanzati presenti nel territorio.
In proposito, cito il caso della regione Campania che, quando il professor Nicolais - qui presente -, era responsabile, a livello regionale, della ricerca e dello sviluppo, si è occupata di questo aspetto, in maniera ben precisa, tenendo conto della realtà regionale. Altre regioni, invece, non lo stanno facendo.
Lo strumento per attuare questo coordinamento, non a livello politico - dove invece esiste ed è rappresentato dalla Conferenza Stato-regioni -, ma operativo, di fatto, ancora non c'è.
In ogni caso, tuttavia, il coordinamento dovrebbe essere realizzato.
Vorrei adesso passare a trattare il tema degli stanziamenti. A tale riguardo, di fatto, vi è stata una grande delusione. Infatti, il forte sostegno alla ricerca industriale, previsto al momento dell'approvazione della legge n. 297 del 1999, non ha raggiunto i risultati sperati.
Inoltre, una maggiore delusione è derivata dall'attuale ripensamento, da parte governativa, circa le modalità di sostegno tramite il meccanismo fiscale.
Vi è dunque un'indeterminatezza, rispetto al disporre di strumenti ben definiti e adeguatamente finanziati con continuità. Ripeto tale concetto, perché quando ci si occupa di uno sviluppo industriale, non ci si può fermare a metà; altrimenti ciò equivale a buttare via i soldi.
Questo discorso è valido anche per la ricerca pubblica.


Pag. 10


Continuo a dire che la tecnica dello yo-yo - non so se ve lo ricordate -, che va su e giù, nella ricerca rappresenta fatalmente un disastro.
Una ricerca vuole continuità, perché essa rappresenta un faticoso raggiungimento di risultati pezzo per pezzo. Bloccare a metà la ricerca, lo sviluppo tecnologico o il processo innovativo significa aver buttato via i soldi.
Non si può ricominciare tre anni dopo. A quel punto, sarà troppo tardi. Bisogna attuare una politica di continuità sia per la ricerca pubblica, che per quella privata.
Disgraziatamente, però, in questo Paese ciò non avviene. Infatti - mi permetto di dirlo -, il Ministero dell'economia e delle finanze, ovviamente, di necessità, attua una determinata politica; mentre il MIUR, il MISE e via dicendo ne realizzano altre. Tali politiche, tuttavia, non combaciano tra loro.
A questo punto, sarebbe meglio fare meno, ma con continuità. La situazione peggiore è quella in cui si parte dicendo che vi sono tantissimi stanziamenti, per poi scoprire che non ve ne sono.
In questo caso, aver organizzato il click day ha prodotto nell'industria italiana una sfiducia completa nei riguardi del Governo. Ne è una dimostrazione il fatto che stanno addivenendo a una class action contro il Governo.
A mio avviso, dunque, è stato commesso un errore spaventoso di tipo psicologico nei riguardi delle aziende.
È noto anche al Governo che, nel periodo 2003-2008, vi sono state 91 forme di incentivo a livello nazionale e 1.216 a livello regionale. Si tratta di un numero incredibile. Siamo in presenza di una forte frammentazione di attività e di iniziative che chiedono un coordinamento e una razionalizzazione. Lo dice il MISE, non AIRI.
Nel fare tali affermazioni, infatti, mi riferisco alla relazione sugli interventi di sostegno alle attività economiche e produttive stesa nel 2009 dal MISE, il Ministero dello sviluppo delle risorse economiche (cambia continuamente il nome, non so se si chiami ancora in questo modo). Tale relazione reca: «Sono numeri sufficienti a evidenziare una ridondanza nel sistema, fenomeni di sovrapposizione e duplicazione degli strumenti di agevolazione, una polverizzazione degli interventi che si traduce in una diseconomia dell'utilizzo delle risorse finanziarie».
Andando oltre, l'AIRI pensa che si possa ritornare a una concentrazione, perché la struttura di leggi e di strumenti esiste. Bisogna soltanto usarla con buonsenso.
Vorrei portare a vostra conoscenza quali tra le forme di intervento attualmente possibili si sono dimostrate più efficaci nel passato.
Le imprese che hanno beneficiato delle agevolazioni date dal FIT (legge n. 46 del 1982 del MISE sull'innovazione tecnologica) e dal FAR (legge n. 297 del 1999 del MIUR per il sostegno della ricerca industriale) hanno realizzato risultati di gran lunga migliori rispetto ad un campione di controllo di un'apposita indagine, in termini di conseguimento degli obiettivi connessi ai programmi agevolati, all'entità degli investimenti, ai tempi di realizzazione, nonché in termini di risultati innovativi e di miglioramento delle prospettive tecnologiche delle imprese.
Questi strumenti sono collegati in gran parte al mercato.
Lo sportello, criticatissimo, in realtà è l'azienda che dovrebbe rispondere al mercato.
Di fatto, il processo innovativo delle piccole e medie aziende del made in Italy parte dal mercato, non dalla tecnologia o dalla ricerca. Tale processo parte dalle richieste del mercato e sfrutta la tecnologia e la ricerca disponibili, per rispondere meglio e nei tempi previsti al mercato stesso.
Le aziende agiscono benissimo, però bisogna tener conto che non possiamo, per prendere quattro soldi, imporre alle piccole e medie imprese di fare quello che vogliamo noi. Dobbiamo invece sostenere le scelte che loro ritengono più adeguate al mercato.
Certo, possiamo anche parlare di un rapporto non sempre adeguatamente


Pag. 11

chiaro e trasparente, però di fatto ritengo che per le piccole e medie imprese dobbiamo considerare il mercato come punto di partenza per la ricerca e l'innovazione.
A questo scopo lo sportello andrebbe molto bene.
In conclusione, abbiamo stilato una lista delle nostre richieste. È inclusa nel documento scritto che vi abbiamo consegnato ed è la conclusione di tutto quello che abbiamo esposto.
Vorrei soltanto aggiungere che nel testo scritto abbiamo presentato anche qualche proposta circa un problema urgente. Vale a dire che esistono molti fondi strutturali oggi disponibili, particolarmente per il sud, che devono essere spesi nei tempi previsti dall'Unione Europea. Corriamo il pericolo di perdere tali stanziamenti, se non li spenderemo nei tempi tecnici stabiliti.
Alla fine del nostro documento, viene presentata una piccola proposta, per cercare di realizzare rapidamente le azioni necessarie per non perdere i soldi dell'Unione europea.
C'è il rischio che si perdano i finanziamenti per il 2009 e non si tratta di cifre esigue. Sono cifre che dovrebbero essere destinate a regioni del sud che richiedono finanziamenti estremamente importanti.
Quindi, mi permetto di dire che potete fare a meno di leggere le prime 15 pagine, dal momento che ve le ho presentate a voce; mentre vi invito a guardare le ultime 4 o 5 pagine.
Grazie.

TOMMASO MACCACARO, Presidente dell'Istituto nazionale di astrofisica. Desidero ringraziarvi per l'opportunità che mi avete offerto di presentare le attività dell'INAF, l'Istituto nazionale di astrofisica, e di parlare più in generale dei problemi e del futuro della ricerca scientifica.
Tra le varie aree di ricerca, l'astronomia e l'astrofisica sono indubbiamente un fiore all'occhiello della comunità italiana e sono riconosciute come aree di eccellenza, sia a livello nazionale, che internazionale.
Il CIVR, Comitato di indirizzo per la valutazione della ricerca, in un recente esercizio di valutazione nazionale - l'unico fatto fino ad adesso -, ha promosso l'INAF come miglior istituto di ricerca per il suo settore, la fisica, davanti ad altri istituti, quali INFM, INFN, CNR ed Enea.
Un'analisi della produttività scientifica internazionale, ad opera di organismi indipendenti, come Thomson-ISI, che è una specie di agenzia di rating della produttività scientifica degli istituti, vede l'astrofisica italiana al quinto posto nel mondo, con una produttività che raggiunge livelli da primato: il 10,3 per cento della produzione mondiale astrofisica è fatta da italiani ed è ben davanti ad altre discipline. Infatti, se guardiamo il livello aggregato, la scienza italiana si colloca al settimo posto.
All'INAF teniamo molto alla valutazione. Recentemente, abbiamo chiesto a un certo numero di visiting committee indipendenti e stranieri di venire a visitare le nostre strutture di ricerca e ne abbiamo ottenuto un risultato lusinghiero e in allegato a questa relazione sono riportati i risultati sulla valutazione.
Quindi l'INAF, ossia l'astrofisica italiana, opera molto bene. Peraltro, non si tratta un giudizio autoreferenziale, dal momento che lo dicono gli altri.
Operiamo bene, anche perché da anni siamo abituati a collaborare, e a competere, in ambito internazionale. Un ambito, dove il successo ce lo si guadagna con i risultati, a seguito di una valutazione meritocratica, basata sul meccanismo di peer review che all'estero è da tempo uno standard, ma che in Italia fa fatica ad affermarsi.
Ecco quindi che ogni volta che sentiamo il ministro intervenire in materia di valutazione e di premiazione del merito siamo sempre molto contenti e stiamo attendendo fiduciosi di percepire gli effetti di tutto questo.
L'INAF è un istituto giovane. Nasce di fatto nel 2001, con un decreto istitutivo del 1999, dalla fusione, in un istituto nazionale, dei 12 osservatori astronomici e astrofisici professionali distribuiti sul territorio.


Pag. 12


Poco dopo, nel 2005, per effetto di un decreto di riordino - era allora ministro Letizia Moratti -, subisce una profonda trasformazione e assorbe 7 istituti che erano nel CNR e che si occupavano di radioastronomia, di fisica, dello spazio interplanetario e di astrofisica spaziale.
Quindi, tali istituti vengono incorporati e, contestualmente, l'INAF transita dal comparto università, in cui si trovava, a quello degli enti di ricerca.
Il suo organico passa da 900 a 1.300 persone. È una riforma dichiarata a costo zero, ma in realtà a noi è costata moltissimo, sia da un punto di vista di risorse materiali, che di riorganizzazione interna.
Vi voglio fare due esempi, per farvi capire le difficoltà che abbiamo dovuto affrontare, a seguito di questo riordino. Passando dal comparto università al comparto ricerca, ad esempio, l'INAF ha perso l'accesso ai fondi per l'edilizia universitaria, che prima aveva, senza ricevere un adeguamento della sua dotazione per il funzionamento ordinario, perché la riforma era a costo zero.
Da due anni ormai, l'INAF, avendo esaurito le sue scorte, deve ricorrere all'indebitamento esterno. Dobbiamo fare dei mutui, con la Cassa depositi e prestiti, per far fronte alle spese per la messa a norma e in sicurezza delle nostre molte sedi. Sono spese obbligatorie. Non possiamo non affrontarle.
Il ricorso all'indebitamento esterno rappresenta ovviamente una soluzione estrema e impossibile da replicare sul lungo periodo, perché a certo punto perderemo la nostra capacità mutuabile.
Quindi, la situazione dell'INAF, da questo punto di vista, si aggrava di anno in anno e richiede un intervento finanziario ad hoc da parte del ministero vigilante.
Un secondo esempio di difficoltà è sempre dato dal fatto che ci siamo spostati da un comparto a un altro.
A questo punto, in INAF convivono - credo che sia un caso unico nel panorama degli enti di ricerca - due distinti ordinamenti: quello degli astronomi, non contrattualizzati, che hanno lo stato giuridico universitario e sono circa 300, almeno fino al 31 dicembre dell'anno scorso, e quello degli altrettanto numerosi ricercatori contrattualizzati.
Ciò pone non pochi problemi relativi all'esigenza di garantire pari opportunità di trattamento a tutto questo personale di ricerca, che appartiene a profili professionali equivalenti e che, come tale, svolge omologhe mansioni.
In particolare, è problematico l'aspetto relativo alle progressioni di carriera, perché al personale astronomo è negato l'accesso ai livelli superiori del ruolo unico dei ricercatori, tramite le procedure semplificate di selezione, che sono riservate al personale che appartiene al comparto ricerca.
Gli astronomi possono fare progressioni di carriera solamente per il tramite di concorsi pubblici aperti a tutti, a cui anche l'altro personale ovviamente può partecipare. Ecco una grossa disparità che sta creando delle forti tensioni all'interno del personale di ricerca dell'ente.
C'è dell'altro. L'ordinamento del comparto ricerca consente il riconoscimento dell'anzianità di carriera maturata nel profilo immediatamente inferiore ai vincitori di un concorso pubblico.
Analoga disposizione non è prevista per il personale astronomo nei ruoli equivalenti, che risultasse vincitore di una selezione esterna per ricoprire il posto del profilo superiore.
Insomma, è una situazione chiaramente stressante, soprattutto per il personale, ma anche per chi deve gestire l'ente.
Questi sono solo due esempi dei problemi con cui ci confrontiamo.
Il primo è un problema di risorse materiali; il secondo è un delicato problema di risorse umane.
Abbiamo chiesto ai ministeri competenti di valutare l'opportunità di un intervento normativo specifico per l'INAF, volto a eliminare le disparità di trattamento fra le due anime che coesistono e che deriverebbe, se dovessimo applicare rigorosamente la normativa attualmente vigente.
Veniamo alle nostre attività.
All'INAF ci occupiamo di ricerca fondamentale di base, nel campo dell'astronomia,


Pag. 13

dell'astrofisica, e abbiamo una particolare attenzione alle ricadute tecnologiche per il Paese e per le sue industrie. Ad esempio, utilizziamo e studiamo nuovi materiali, come il carburo di silicio, per sviluppare nuove tecnologie che ci permettono di costruire telescopi spaziali, in grado di focalizzare la radiazione X. Lo facciamo per studiare gli oggetti più enigmatici dell'universo, ossia i buchi neri. Tuttavia, poi mettiamo a disposizione della comunità medica e dell'industria nazionale quanto abbiamo imparato, così che lo stesso materiale biocompatibile, con delle proprietà estreme per leggerezza e per resistenza, può essere usato in protesi ortopediche, eliminando o riducendo la necessità di reimpianto (mi riferisco tipicamente alla sostituzione della testa del femore nell'anca).
Quanto abbiamo poi imparato sulla focalizzazione della radiazione X lo mettiamo a disposizione della diagnostica medica, così che si possano fare radiografie con minori dosi, ma altrettanta qualità di immagini, a beneficio dei pazienti.
Inoltre, abbiamo sviluppato i sensori di polvere più sensibili al mondo, per poter analizzare la composizione della coda delle comete. Tali sensori, tuttavia, sono a disposizione anche per il monitoraggio delle polveri sospese, del microparticolato e dell'inquinamento ambientale.
Noi astronomi siamo molto sensibili alla qualità dell'atmosfera, non solo perché siamo consapevoli dell'importanza della salvaguardia del nostro pianeta, ma anche perché vogliamo vederci meglio, quando di notte osserviamo.
Quindi, proprio a seguito di questo sforzo per ridurre al minimo i disturbi che l'atmosfera introduce nelle osservazioni delle galassie, abbiamo sviluppato anche le ottiche adattive. Si tratta di specchi che sono in grado di subire impercettibili deformazioni che compensano, e quindi annullano, i disturbi dovuti alla turbolenza dell'atmosfera.
Queste ottiche vengono applicate ai più grandi telescopi del mondo, ad esempio il Large Binocular Telescope che abbiamo costruito in Arizona, in una joint-venture con tedeschi e americani.
Nuovamente, abbiamo messo a disposizione della comunità quanto abbiamo imparato e sviluppato, per le importanti ricadute che queste tecniche possono avere in campo oftalmico e di correzione di disturbi visivi e nel campo dello sfruttamento dell'energia termica solare.
Abbiamo qualcosa da dire anche nel campo delle cosiddette «etichette intelligenti», RFID,
Radio Frequency Identification, che usano onde radio per trasmettere le informazioni sui prodotti a cui sono attaccate e che probabilmente sostituiranno l'attuale codice a barre, permettendo una classificazione molto più potente delle merci.
Siamo arrivati a questo, perché ci industriamo nel campo dell'astronomia delle microonde, ossia la radiazione che utilizziamo per ascoltare l'universo giovane prima ancora che si formassero stelle e galassie, la radiazione di fondo, il vagito dell'universo.
All'INAF usiamo i più potenti laboratori che esistono e che l'universo ci ha messo a disposizione. Sono laboratori dove la densità di materia, i campi magnetici, l'energia delle particelle raggiungono valori inimmaginabili ed enormemente superiori a quelli ottenibili a terra. Sono quasar, pulsar, supernove, buchi neri che ci permettono di fare importanti progressi nella fisica di base, nella conoscenza e nella concezione del mondo.
Permettetemi di dire che questi laboratori sono gratuiti, non si rompono e non richiedono manutenzione.
Ci servono tuttavia delle risorse per poterli utilizzare al meglio.
Ecco quindi che noi dell'istituto nazionale di astrofisica, ogni giorno, convertiamo in conoscenza la passione dei nostri ricercatori, dei tecnici, del personale amministrativo, sia di ruolo, che precario - ne abbiamo un po' - e mettiamo questa conoscenza a disposizione del Paese, per contribuire alla sua crescita scientifica e a migliorare la qualità della vita di tutti,


Pag. 14

attraverso un processo di trasferimento tecnologico all'industria e alla società.
Riferisco qualche numero. Nel 2008, l'INAF ha ricevuto dal MIUR un finanziamento di circa 91 milioni di euro, come Fondo di funzionamento ordinario, l'FFO.
Tenendo conto che la pianta organica del nostro ente è di 1.279 unità di personale, questo corrisponde a un FFO pro capite di circa 70.000 euro. È il più basso fra tutti gli enti di ricerca analoghi, vigilati dal MIUR.
Per fare un paragone, i nostri cugini ricchi hanno un FFO pro capite di 140.000 euro, il doppio di quello che abbiamo noi.
Questo fondo di funzionamento ordinario è utilizzato in gran parte per le spese del personale: gli stipendi, i salari e tutto quello che crea il monte salari.
La previsione di spesa per il 2009 è di 70 milioni di euro, come spese per il personale.
Inoltre, abbiamo altre spese fisse, circa 12 milioni, per il mantenimento delle nostre 20 strutture di ricerca dislocate sul territorio nazionale, 19 di queste si trovano in Italia e una è situata alle Canarie, dove gestiamo il telescopio nazionale Galileo.
Quindi, alla fine, quello che ci rimane per finanziare la nostra ricerca è circa il 10 per cento del totale.
Ovviamente, l'INAF riceve anche altri finanziamenti. Siamo bravi e riusciamo quindi, in fase di distribuzione competitiva, a ottenere finanziamenti dalla Comunità europea, dall'agenzia spaziale e dagli enti territoriali.
Nel 2008, questi finanziamenti ammontavano a circa 30 milioni di euro e testimoniano quindi la nostra intraprendenza e la nostra capacità. Tuttavia, se da un lato sono un elemento chiaramente positivo; dall'altro, non ci permettono di coprire i costi generali, perché sono finanziamenti specifici per determinati progetti. Pertanto, non possono essere utilizzati per mettere a norma l'impianto elettrico di un istituto, piuttosto che altre spese che competono alla vita normale di un istituto.
Allo stesso modo, tali fondi non permettono la gestione delle grandi attrezzature, perché, al di là dei laboratori che abbiamo nell'universo, abbiamo anche grandi strutture su questo pianeta. Ad esempio, costruiamo e gestiamo il telescopio nazionale Galileo, menzionato un attimo fa, alle Canarie. La sua produzione è costata 30 milioni di euro e la sua gestione ci costa circa 2,5 milioni all'anno.
Ho nominato anche LBT Large Binocular Telescope, il più grande telescopio ottico attualmente al mondo, che sta cominciando adesso a diventare operativo, realizzato con gli Stati Uniti e la Germania, è costato circa 250 milioni di dollari. La nostra è una partecipazione al 25 per cento. Ovviamente, la sua gestione ci costa circa 2 milioni all'anno.
Stiamo completando - spero che possiate venire all'inaugurazione nella prossima primavera - il più sensibile radiotelescopio europeo, che si chiama Sardinia Radio Telescope e che, come avrete capito, si trova in Sardegna. Lo stiamo realizzando insieme all'agenzia spaziale italiana che partecipa per un 20 per cento; mentre noi per un 80 per cento. È costato 63 milioni di euro, più altri 8 milioni di euro per le infrastrutture.
La regione Sardegna ha investito una notevole quantità di denaro in questo progetto, così come nei programmi specifici a cui abbiamo avuto accesso. Una volta completato, tuttavia, ci dobbiamo porre il problema di gestirlo, di farlo funzionare, di permettere alla comunità, non solo nazionale, ma anche internazionale, di utilizzarlo.
Il Very Large Telescope VLT è un telescopio di cui forse avete sentito recentemente parlare, per alcune sventure capitate durante la spedizione della cella che ospita lo specchio primario in Cile e che si è danneggiata nel trasporto.
Al momento, abbiamo una vertenza aperta con l'assicurazione. Non so quando riusciremo a incassare il premio previsto. Nel frattempo, abbiamo delle enormi difficoltà ad anticipare quello che serve per ricostruire le parti danneggiate.
Vengo ora al futuro. L'INAF partecipa alla sfida tecnologica implicita in due megaprogetti: ELT European Large Telescope


Pag. 15

e SKA Square Kilometre Arra. Si tratta, in un caso, di un telescopio ottico con uno specchio di 42 metri di diametro - per paragone il più grande adesso è di 10 metri di diametro, quindi potete capire l'enorme passo in avanti - e, nell'altro, di una matrice di circa 2.000 radiotelescopi, distribuiti in un'area di 3.000 chilometri di diametro.
Questi progetti richiederanno investimenti di un miliardo di euro per il primo e di 2,5 miliardi di euro per il secondo. Ovviamente, tali progetti sono finanziati a livello europeo e mondiale e l'Italia vi partecipa.
Tramite tale partecipazione, abbiamo anche avviato un programma di politica industriale, basato sulla promozione della partecipazione dell'industria italiana nella realizzazione di questi progetti.
In particolare, INAF, attraverso la sua rappresentanza istituzionale nei diversi comitati internazionali di progetto, ha avviato un rapporto di collaborazione sinergica con gruppi industriali e le associazioni di categoria più rappresentative per il Paese, in primis Finmeccanica e Confindustria, favorendo il loro accesso in questo mercato, il cui valore si aggira intorno ai 500 milioni di euro l'anno.
Andiamo oltre, basta parlare dell'INAF che è solo uno fra i tanti enti di ricerca. Tuttavia, è la ricerca, quella con la R maiuscola, ancora prima del nostro istituto, ad avere bisogno dell'attenzione vostra, del Parlamento e del Governo, perché la ricerca e l'istruzione sono i due pilastri su cui si costruisce il futuro di un Paese.
Di questo è convinto il Gruppo 2003, che è un'associazione multidisciplinare di scienziati italiani che ho il privilegio di rappresentare e che da anni si adopera per un rilancio della ricerca scientifica in Italia.
Come approfittare di questo momento favorevole ad una riforma della ricerca? Mi sto riferendo alla legge n. 165 del 2007.
Quali sono le necessità degli enti di ricerca o, più in generale, di tutte le strutture in cui si fa ricerca? Qual è domanda che rivolgiamo a chi deve legiferare?
L'obiettivo di una eventuale riforma deve chiaramente essere quello di una maggiore produttività ed efficienza della ricerca e della sua adeguatezza alle necessità del Paese, al suo ruolo in un contesto internazionale, al suo futuro, salvaguardando tanto la capacità di innovazione e sviluppo tecnologico, quanto l'importanza della ricerca di base.
La ricerca di base - permettetemi di dire - sta alla ricerca applicata, come i ghiacciai stanno ai fiumi che irrigano il territorio, rendendolo fertile. Se smette di nevicare in montagna, non subito, ma dopo qualche anno, inesorabilmente, i fiumi seccano e le campagne inaridiscono.
Quindi, è indispensabile reperire maggiori risorse, sia umane, che materiali, con un piano di finanziamento pluriennale. Lo ha recentissimamente ribadito anche il Presidente della Repubblica. Questo non toglie che si debba anche spendere meglio e che, dove necessario, si possa ridistribuire, onde ottimizzare quello che già si investe.
Tuttavia, se mancasse la volontà, o anche solo la possibilità, di investire ulteriormente nella ricerca, sarebbe inutile discutere, proporre riforme e fare progetti.
Sarebbe tempo perso, perché non esistono buone riforme a costo zero. Ogni riforma ha un costo. Se è dichiarata a costo zero per il Governo, vuol dire che i costi saranno sostenuti dagli enti e non se lo possono più permettere.
Quindi, una saggia riforma può portare a risparmi e razionalizzazioni, laddove vi siano sprechi e disordini. Non tutta la ricerca è nella medesima situazione. Riforme e riordini vanno fatti ad hoc, analizzando, ente per ente, le caratteristiche, le specificità, i problemi della struttura in questione. Anche per questo ho voluto parlarvi prima dell'INAF e delle sue peculiarità.
Difficilmente un'unica ricetta, applicata automaticamente a situazioni diverse, sortirà gli effetti benefici che possono derivare da interventi mirati e differenziati.
La ricerca vive di programmazione e soffre senza di essa.


Pag. 16


Attualmente, la programmazione è continuamente impedita da varie debolezze del sistema, fra cui l'incertezza dell'entità e dei tempi dei finanziamenti, le continue limitazioni alla gestione della spesa e del reclutamento, anche quando le condizioni richieste per procedere sono soddisfatte.
Negli ultimi anni, legittime normative di contenimento della spesa pubblica si sono però abbattute indiscriminatamente sugli enti di ricerca, senza la dovuta razionalità.
Inoltre, nello scorso anno, gli enti hanno avuto certezza del completamento del finanziamento relativo all'anno 2008, solo nella seconda metà di dicembre dello stesso anno.
Apparentemente, nel 2009, ci troviamo nuovamente in questa incresciosa situazione: il riparto non è ancora stato portato a compimento.
Per un ente di ricerca, sarebbe opportuno che vi fosse un solo vincolo, definito come una frazione convenuta, anche bassa, del suo budget, alla capacità di spesa per il personale.
Attualmente, una volta accertato che le spese per il personale rientrano nei limiti, che si soddisfa la condizione legata al turnover dell'anno precedente, che c'è la disponibilità a una pianta organica, e che quindi si possono bandire nuovi posti, è necessario anche chiedere alla funzione pubblica l'autorizzazione a bandire. Successivamente, una volta espletato il concorso, occorre chiedere un'ulteriore autorizzazione ad assumere.
Tali autorizzazioni, a volte, vengono rilasciate anche un anno dopo la richiesta, con un grave danno per l'ente, a cui viene a mancare la capacità di reagire tempestivamente alle esigenze della ricerca.
Quindi, la proposta è che il budget sia la madre di tutte le limitazioni, ma anche l'unica.
Credo che se non si può spendere, non si deve spendere. Viceversa, se si può spendere, si deve poter spendere facilmente e rapidamente. Diversamente, si perde in competitività.
Controlli effettivi e rigorosi eviterebbe situazioni da sanare successivamente. Ha detto bene la dottoressa Diana Bracco, nel corso della sua audizione in questa sede, quando ha affermato che non è possibile penalizzare tutti, perché si ritiene che qualcuno si comporti male.
Quindi, una volta istituiti dei limiti al controllo della spesa e degli equilibri indispensabili al buon funzionamento di un ente, dovrebbero essere eliminate tutte le ulteriori restrizioni che di fatto nulla aggiungono, se non ritardi nella capacità di reazione e di adattamento a progetti e programmi.
Andrebbero quindi eliminate le piante organiche, le necessità di autorizzazioni a bandire e ad assumere e andrebbero invece accelerate e semplificate le procedure per il reclutamento. Quest'ultimo è uno dei momenti più importanti per gli istituti di ricerca ed è bene tenerlo separato dalle opportunità di progressione di carriera.
Vorrei anche che venisse privilegiata in qualche modo la possibilità di assumere dall'esterno dall'ente e dall'estero, in modo competitivo.
Credo che la bozza corrente del nuovo Piano nazionale della ricerca lo contempli, però deve essere reso effettivo.
A mio avviso, diventa sempre più evidente che l'efficienza del funzionamento della ricerca è ormai incompatibile con il fatto che gli enti di ricerca sono regolati dal contratto del pubblico impiego che condiziona anche le norme per il reclutamento.
Se si potesse creare un comparto ricerca esterno al pubblico impiego e ridefinire lo stato giuridico dei ricercatori, gli enti di ricerca potrebbero vedere riconosciuta la loro particolarità, non essere soggetti ai tagli periodici e indiscriminati, che sono pensati per ridurre la spesa del pubblico, ma ciecamente applicati alla ricerca impediscono la programmazione.
Abbiamo già detto della valutazione. È indispensabile continuare ad applicare controlli rigorosi e periodici, con una valutazione indipendente e non autoreferenziale. Successivamente, però, per favore, utilizziamo i risultati di questa valutazione,


Pag. 17

perché se rimangono lettera morta, il sistema perde completamente credibilità.
Da ultimo, vorrei parlare dei finanziamenti. Quelli per le spese fisse (sedie, edilizia, personale e via dicendo) è bene che derivino direttamente dal ministero, con un monitoraggio e un adeguamento triennale delle necessità. I finanziamenti per la ricerca dovrebbero essere invece assegnati, sia per quanto riguarda la ricerca di base, che quella finalizzata, su base competitiva, con valutazione ex ante, in itinere ed ex post, da una agenzia italiana per la ricerca scientifica, che abbiamo chiamato AIRS.
Dovrebbe trattarsi di una struttura per il coordinamento della ricerca, possibilmente posta direttamente sotto la Presidenza del Consiglio.
L'AIRS è un progetto che il Gruppo 2003 sta sviluppando da alcuni anni e che va raccogliendo consensi. Recentemente, ne ha ricevuti anche dall'ISSNAF, la fondazione degli scienziati e studiosi italiani che lavorano negli Stati Uniti.
Potrebbero così essere messe insieme tutte le risorse e i vari aspetti della ricerca che sono attualmente di competenza dei vari ministeri.
Quindi, la politica, Governo e Parlamento, manterrebbero il primato sulla priorità e le strategie del Paese; mentre, all'agenzia spetterebbe la parte esecutiva, la realizzazione di queste priorità.
L'AIRS non sarebbe in competizione con l'Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario ANVUR. Anzi, si potrebbe avvalere della stessa per tutti gli aspetti di valutazione della ricerca.
Concludo il mio intervento, dicendo che una riforma della ricerca deve anche riuscire a rendere la professione del ricercatore interessante e competitiva a livello europeo. Solo quando saremo in grado di offrire condizioni di lavoro interessanti - non sto pensando solo alla retribuzione - così da attrarre colleghi stranieri, avremo riformato in modo positivo la ricerca italiana e avremo avviato un'inversione di tendenza nel rapporto, attualmente estremamente infelice, tra brain game e brain drain.

PRESIDENTE. Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti e formulare osservazioni.

ANTONIO PALMIERI. Intervengo brevemente, per ringraziare i nostri ospiti di averci offerto un quadro molto esaustivo e approfondito della situazione.
In particolare - non me ne voglia la ricerca industriale -, è stato fantastico sentir parlare delle strutture dell'INAF esistenti sul pianeta e delle altre. L'intervento è stato veramente bellissimo e coinvolgente e ci conferma la bontà del lavoro che abbiamo voluto fare come Commissione.
Un aspetto che ho colto è l'appello comune a non trattare i diversi in modo uguale, perché ciò rappresenterebbe una grande ingiustizia sotto ogni punto di vista, oltre che una grande inefficienza non solo sotto il profilo del merito, ma anche del funzionamento del sistema della ricerca in Italia. Credo che, come Commissione, porteremo a casa tale tema come suggerimento.
Quanto alla relazione AIRI, ritengo che lo scenario duale sia assolutamente pertinente, come impostazione metodologica, con le cautele che lei ha indicato, presidente. Ne siamo consapevoli anche noi.
Aggiungo una domanda che ormai formulo sempre. Secondo voi, quanta parte di sommerso esiste nel settore della ricerca? Si sa che valutare il sommerso è come determinare la quantità dei clandestini in Italia o l'ammontare dell'evasione fiscale.
Ad ogni modo, mi chiedo quanta parte della ricerca fatta dalle imprese ci sfugge e ci fa posizionare sempre in basso in classifica; mentre probabilmente la realtà è ben diversa da come ce la raffiguriamo.
Vengo ora alla domanda per il presidente dell'INAF. Nella parte finale del suo intervento, lei ha insistito sulla necessità di attrarre cervelli, dicendo che non si tratta solo di una questione di natura economica. Non so se nel documento scritto che


Pag. 18

ci ha consegnato questo aspetto è descritto, ma le chiedo di spiegarci brevemente - purtroppo fra 20 minuti dobbiamo chiudere questa sessione - come vedrebbe lei questa situazione, perché sarebbe utile, ovviamente fermo restando che prendiamo atto di tutti i suggerimenti precisi che avete fornito.
Se ho ben capito, comunque, avete già sollecitato il Governo su queste proposte, o state per farlo. Ovviamente, il nostro invito è a procedere in questa direzione, anche vigorosamente.
Aggiungo nuovamente un ringraziamento, perché stiamo consumando tempo in modo veramente proficuo.

LUIGI NICOLAIS. Signor presidente, la ringrazio perché oggi ci ha permesso di ascoltare due facce di uno stesso problema: una parte più applicata della ricerca industriale e un'altra più di base della ricerca nel settore generale dell'astrofisica.
Debbo dire che gli interventi svolti hanno tanti punti comuni. Entrambi, infatti, hanno chiaramente dimostrato che non abbiamo la possibilità, e non dovremo mai farlo, di effettuare tagli orizzontali. Occorre compiere delle scelte nel settore della ricerca industriale e in quello della ricerca di base.
Come Governo, e anche noi come Parlamento, abbiamo bisogno di prestare maggiore attenzione alla qualità più che alla quantità dei nostri finanziamenti.
Abbiamo visto con chiarezza che, quando parliamo di piccole e medie imprese, ci troviamo di fronte a due mondi totalmente diversi.
Gli scenari duali esistenti presentano delle strutture aziendali che hanno bisogno di un'attenzione totalmente diversa l'una dall'altra.
Personalmente, introdurrei all'interno di questo quadro anche una terza zona, ossia quella dei subfornitori che si trasformano in partner tecnologici e che hanno bisogno di un'attenzione differente sia dai primi che dai secondi attori individuati, come ben diceva il presidente Ugo precedentemente.
Attualmente, abbiamo veramente bisogno che nella ricerca si avvii una politica che guardi in dettaglio agli obiettivi che vogliamo raggiungere. Del resto, in un mondo in cui le tecnologie avanzano così rapidamente non possiamo fare tutto.
Un Paese come il nostro ha bisogno di compiere delle scelte, di rinunciare a qualcosa, ma di concentrare i fondi su qualche altro versante.
Credo che spetti al Governo e al Parlamento scegliere gli obiettivi a cui questo Paese deve puntare.
In proposito, è stato sicuramente molto suggestivo l'esempio dei ghiacciai e del fiume.
Abbiamo bisogno di vedere continuamente l'applicazione dei nostri risultati di ricerca, ma abbiamo bisogno anche di produrre conoscenza, perché solo la produzione della conoscenza ci permetterà successivamente l'utilizzazione per una maggiore competitività del Paese.
Credo che di riforma negli enti pubblici di ricerca se ne sia parlato negli ultimi 20 anni. Sono stato ricercatore del CNR molti anni fa e ritengo che gli enti pubblici di ricerca abbiano vissuto una vita di transizione, la cosa peggiore che possa succedere a un ricercatore.
Un ricercatore ha bisogno di una struttura, nella quale possa credere e lavorare con serenità. Stando alle parole del presidente Maccacaro, abbiamo bisogno di un'ulteriore riforma, ma per favore che sia l'ultima.
Credo ancora - e l' ho creduto anche quando ero ministro - che a questi argomenti si debba lavorare in maniera unita. Non si tratta di temi che vanno affrontati da una sola parte del Parlamento.
Il problema della ricerca, della conoscenza, della formazione è bipartisan e va trattato insieme, perché se siamo tutti convinti di questo intervento, anche se dovessero cambiare le maggioranze, si continuerà a portare avanti tale azione. Non possiamo pensare di mutare rotta ogni volta che cambiano le maggioranze. A mio avviso, questo è un danno enorme che facciamo al Paese.


Pag. 19


Sono anche veramente convinto che l'altro punto centrale della questione - lo abbiamo sentito citare anche dai due professori che hanno oggi rappresentato i problemi dell'industria e della ricerca di base - sia dato dal fatto che il tempo è un elemento centrale per tutte le politiche della ricerca.
Il tempo in cui un ricercatore, sia esso industriale o di un ente pubblico di ricerca, presenta un progetto, il tempo in cui riceve i fondi per portarlo avanti oggi sono troppo lunghi.
Quando una ricerca viene avviata anni dopo il suo concepimento, questa diventa obsoleta. Non è più una ricerca che può essere utile al Paese e all'ente.
Come si sta facendo e come il ministro dice molto spesso, abbiamo bisogno di più valutazioni in tutte le azioni che facciamo, ma abbiamo anche bisogno di maggiore coraggio.
In questo momento, infatti, la competitività tra i Paesi avanzati è basata sulla conoscenza. Abbiamo bisogno, quindi, di investire nella ricerca molto di più, in modo concentrato e mirato verso gli obiettivi. Abbiamo bisogno di essere coraggiosi nel compiere delle scelte.

EUGENIO MAZZARELLA. Ringrazio i colleghi che hanno esposto alla Commissione le ragioni della ricerca di base e applicata in Italia, perché ci hanno dato l'ennesima dimostrazione che il buonsenso in questo Paese è sempre all'opposizione. Non intendo dire solo delle forze che sono all'opposizione in questo momento. I miei colleghi di Governo e della maggioranza sono tutelati dalla mia tesi.
In realtà, la politica dà voce al buonsenso che sta nei corpi intermedi della società, come gli enti di ricerca e le imprese impegnate in questo ambito, solo quando va all'opposizione.
Questo per dire che il deficit governativo su questi temi non riguarda solo l'attuale Governo, ma anche quelli precedenti.
Ricorderete tutti i camionisti che videro risolta una loro vertenza in un certo modo e i rappresentanti della questione relativa alle quote latte che videro risolta la loro vertenza in un altro modo.
In realtà, la disattenzione governativa di lungo periodo a questi temi è strutturale in questo Paese, per cui alla fine la società e chi vi lavora e la tiene in piedi sono all'opposizione della politica nel suo complesso.
Forse, questa situazione meriterebbe maggiore coraggio anche da parte dei corpi intermedi per essere affrontata. Probabilmente, se agissimo come i camionisti e i produttori di latte, con una bella serrata di tutto, qualcuno comincerebbe a ragionare.
Stando agli interventi svolti, quello che manca in questo Paese, anche se la invocano tutti, è la cultura dei controlli e della valutazione, la cui mancanza riduce a grida di carta, grida manzoniane, da parte della produzione legislativa, quello che pure in teoria si vuole fare, come pure, in alcuni casi, induce comportamenti di profitto per l'uso dei fondi.
Certo, la soluzione non può essere il click day che equivale a giocare al lotto e che significa abdicare. D'altro canto, esiste un analogo nelle nostre produzioni legislative sulla governance universitaria e sui concorsi, con i commissari estratti a sorte. A questo punto, si potrebbe anche estrarre il vincitore.
In questo caso, si tratterebbe semplicemente di prendere le vostre richieste, le vostre proposte e di trasferirle. La Commissione dovrebbe assumerle in quanto tali.
Tuttavia, penso che la sperimentata sensibilità della Commissione sia del tutto in linea con quanto avete detto. Quindi, penso di potermi fare interprete di una sensibilità che ho sperimentato in questi mesi.
Il problema vero, rispetto al quale sono scettico, è che non so - con il vostro sostegno, sul piano dell'opinione pubblica e dell'intervento nella pubblicistica di sostegno a certe azioni necessarie nella società - se questa Commissione, anche nel suo complesso, sarà in grado di farsi ascoltare dal Governo, perché tutti questi


Pag. 20

elementi diventino una realtà e non un'ora e mezza di intelligenze e di reciproca cortesia.

GIOVANNI BATTISTA BACHELET. Vorrei fare un commento e rivolgere una domanda al Presidente dell'INAF.
Quanto al commento, in un Paese normale la scienza dovrebbe essere bipartisan e non si dovrebbero riformare l'università e la ricerca a ogni cambio di Governo.
È anche vero che in un Paese come il nostro sia la zavorra consociativa, sia la nuova generazione che ama il merito è bipartisan.
Quindi, si svolge una battaglia curiosa, nel senso che esistono ampi strati del mondo politico che vogliono per esempio enti di ricerca con dirigenti nominati da loro e non autonomi e altri che invece non li apprezzano.
In questo senso, l'INAF va fortissimo, come è noto, del resto, dalle valutazioni del CIVR.
Presidente Maccacaro, lei ha alluso ai cugini ricchi - immagino che si riferisca al personale dell'Istituto nazionale di fisica nucleare -, però non ha ricordato i cugini morti che, anche loro erano in graduatoria fra i primi tre istituti di eccellenza, e che appartenevano, nello specifico, all'Istituto nazionale di fisica della materia.
Essendo bipartisan e dovendo, come opposizione, effettuare il controllo democratico dell'azione del Governo, va detto che questo ente, all'Istituto nazionale di fisica della materia, uno dei primi tre, è stato chiuso sostanzialmente dal Governo Berlusconi nella scorsa legislatura.
Nel frattempo, è stato creato un Istituto italiano di tecnologia che ha ricevuto più di 400 milioni di euro e che non è mai stato valutato. Per essere precisi, è bene dire che è stato valutato da una Commissione nominata nel breve periodo del Governo Prodi da Padoa-Schioppa.
Il rapporto è stato consegnato al Ministro Padoa Schioppa che, giustamente, lo ha passato al suo successore Tremonti, perché nel frattempo il Governo era caduto. A questo punto, Science e altre riviste internazionali si chiedono quale sia stata la sorte di questo rapporto, perché, come la tomba di Tutankamon, nessuno l'ha mai visto.
Eppure, nell'ultima super finanziaria del luglio del 2008 sono stati trasferiti all'Istituto italiano di tecnologia IIT anche i fondi ex IRI. Quindi, è stata effettuata un'altra notevole iniezione di fondi, senza alcuna valutazione.
A fronte di determinate parole spese sulla valutazione, sono state assunte scelte che invece andavano nella direzione opposta.
È di tre giorni fa la risposta del sottosegretario di Stato per l'istruzione, l'università e la ricerca Pizza a una mia interrogazione sul mancato pagamento della quota che l'Italia, in virtù di un trattato internazionale, dovrebbe pagare al sincrotrone di Grenoble. Parliamo di 12 milioni di euro. L'ultima delle 4 rate è scaduta il 10 ottobre. L'Italia non ha onorato neanche in parte questo impegno.
Inoltre, nella sua risposta, il sottosegretario, naturalmente dispiaciutissimo, non ha neanche detto dove pensa di trovare i fondi.
La domanda che Le rivolgo è questa: abbiamo una legge-delega, fatta da Mussi, per il riordino degli enti di ricerca che non si è potuta usare, anche in questo caso, perché il Governo è caduto. È stata modificata con un colpo di mano, con emendamento così ben nascosto che al Senato non si sono neanche accorti della sua esistenza; mentre ce ne siamo resi conto noi alla Camera.
Questo colpo di mano ha cambiato la legge in modo tale da consentire una maggiore ingerenza dei politici negli enti di ricerca. D'altra parte, ha consentito anche di prolungarne l'uso fino a dicembre. La mia domanda, pertanto, è la seguente. Nell'ottica, anche minima, di quella che don Ciotti, relativamente alla droga chiamerebbe la «limitazione del danno» di quello che i Governi possono fare, questa legge-delega, vista dall'INAF, è meglio che venga usata?
In che cosa l'INAF potrebbe guadagnare da un riordino; oppure è meglio lasciarlo come è?


Pag. 21


Lo dico, perché mi rendo conto - abbiamo audito anche Lucio Maiani, presidente del CNR, qualche tempo fa - che i presidenti degli enti cercano di essere prudenti e saggi. Tuttavia, l' impressione è che questa legge delega verrà usata prevalentemente come spoil system, ossia per cambiare i direttori ed eventualmente commissariare gli enti, inserendo nuovi dirigenti più graditi al Governo, senza fare sostanzialmente altri interventi.
Mi domando se invece ci sarebbero degli interventi utili da effettuare nell'INAF.

EMERENZIO BARBIERI. Non raccolgo alcuna suggestione, perché non è il caso di fare polemica in questa sede con il mio amico Bachelet.
Del resto, mi pare lo spoil system sia stato utilizzato in modo pesante anche dal Governo Prodi.
Mi interessa porre tre domande molto secche.
Rivolgo la prima al presidente Ugo. Lei individua, nella sua relazione, che ho seguito con attenzione, la soluzione di quello che potenzialmente è il conflitto, sui temi della ricerca, fra Stato e Regioni in termini molto semplici, ma anche seri: il buonsenso. In proposito, lei afferma che il buonsenso suggerirebbe allo Stato di fare alcune cose e alle regioni di farne altre.
Condivido la sua proposta, ma non sempre c'è il buonsenso nei governatori delle regioni, che tendono sempre più ad affermare il potere che gli deriva dalla legislazione concorrente.
Perché qui, per usare un termine che era in voga quando Marx andava di moda, il problema non è sovrastrutturale, ma strutturale.
Il problema è la Costituzione con la compresenza della legislazione concorrente, che è una cosa unica. Neanche alle isole Fiji esiste la legislazione concorrente, è unica in Italia e quindi questo determina in continuazione conflitti.
D'altra parte, le cifre che lei ha portato sono, da questo punto di vista, molto chiare. Quindi, volevo capire da cosa muove il suo ottimismo.
Rivolgo due domande al Presidente Maccacaro.
Quanto al tema della differenza tra gli astronomi e i ricercatori, a suo parere, visto che lei ha approfondito la questione, si risolve con un decreto della Gelmini o c'è bisogno di una legge dello Stato? Per come lei l'ha descritta, infatti, non mi pare un tematica che si possa risolvere con un semplice provvedimento amministrativo.
In secondo luogo, sarei interessato a capire qual sia il costo medio dei 1.300 dipendenti che lei ha, partendo dal livello apicale e arrivando all'usciere.

PRESIDENTE. Sarò veramente brevissima. Mentre ringrazio i nostri ospiti e vado convincendomi sempre di più dell'emergenza tecnico-scientifica che riguarda il nostro Paese, con particolare riferimento alle giovani generazioni, mi chiedo se favorite delle azioni per coltivare talenti.
Nello specifico, vorrei sapere se presso l'Istituto di astrofisica vi è anche una sezione didattica.
Dico questo, perché abbiamo davvero bisogno di coccolare coloro che hanno un minimo di talento, di appassionarli e di far nascere la curiosità che spesso, quando si studia a scuola, sui libri, è poco sollecitata.
Chiedo dunque se vengono effettuate queste azioni e se vi sono raccordi con le università, per l'eccellenza degli studi scientifici.
Do la parola ai nostri ospiti per la replica.

RENATO UGO, Presidente dell'associazione italiana per la ricerca industriale. Mi pare di avere colto tre temi fondamentali. Il primo è quello relativo alla ricerca cosiddetta «sommersa», così definita in un famoso articolo pubblicato su Il Sole 24-Ore di Quadrio Curzio.
Come AIRI, avevamo incominciato a valutare la ricerca sommersa, che è fatta di attività di sostegno di piccola dimensione nelle piccole e medie industrie e che riguarda principalmente lo styling e i piccoli miglioramenti del prodotto, non tanto del processo. Valuterei questo fenomeno


Pag. 22

grosso modo intorno allo 0,2-0,3 per cento del PIL.
D'altra parte, è anche vero che, quando si leggono i numeri altissimi relativi alla Finlandia, occorre considerare che ognuno fa i propri giochi nei fatti statistici.
Nel documento scritto, quando diciamo che lo stato della ricerca pubblica è migliore di quello della ricerca privata, occorre tener conto anche del fatto che nella valutazione ISTAT viene detto che il 50 per cento del tempo dei professori universitari è dedicato alla ricerca.
Siccome sono professore universitario e conosco molto bene questa realtà, dico che nutro qualche dubbio circa il fatto che il 50 per cento del tempo dei professori universitari sia dedicato alla ricerca, anche se, per quanto mi riguarda - potete cercare il mio nome su internet -, a 71 anni, pubblico ancora 9 lavori l'anno. Questo perché vi dedico il sabato e la domenica. Per me è un hobby. Invece che giocare a bridge, faccio ricerca, scrivo articoli scientifici.
La percentuale che ho indicato dello 0,2-0,3 per cento del PIL è importante, ma non è essenziale.
Il grosso problema che si pone è che sta diventando sempre più piccolo il numero di strutture che hanno 300 o 400 ricercatori.
Mi permetto di fare un commento. Come sappiamo, in Italia, abbiamo rilanciato la ricerca oncologica e genetica tramite le charity e non attraverso i soldi dello Stato.
Nello stesso tempo, abbiamo a Nerviano - ve lo dice l'ex responsabile di questa struttura di Farmitalia Carlo Erba negli anni Ottanta -, la migliore struttura di ricerca industriale italiana e una delle prime ricerche industriali nel settore dei farmaci oncologici. È quello che oggi viene chiamato il Nerviano medical sciences che rappresenta «l'ultimo dei moicani» di una ricerca, di cui ero fiero, perché eravamo i primi al mondo. Questo Paese ha permesso che tutto questo venisse distrutto in venti anni.
Sono stato responsabile della ricerca della Montedison, avevo 3.000 ricercatori, andavo in Giappone e mi stendevano i tappeti rossi davanti, perché Montedison era il top delle tecnologie del polipropilene e della chimica del fluoro. Non esiste più niente di tutto questo.
Se un Paese ha permesso, in 20 anni, di distruggere questa realtà, ritengo che l'Italia ora debba ricostruirla.
Ritorno alla questione del coccolare i ricercatori.
Sono stato presidente dell'istituto Donegani, il più grande centro di ricerca chimico d'Italia. Allora le aziende - lo può confermare l'onorevole Nicolais, che era allora con me, - prendevano i giovani ricercatori e li mandavano per 2 anni all'estero a prepararsi nei migliori laboratori.
Insomma, li coccolavamo. Erano come le famose mucche giapponesi che venivano massaggiate.
Queste persone sono oggi importanti manager o responsabili della attività di ricerca di medie industrie. Dopo la diaspora della chimica, se ci si reca nelle medie industrie, si trovano queste persone come amministratori delegati e responsabili di ricerca. Alcuni di loro, inoltre, sono diventati presidenti di società importanti.
Noi non facciamo più l'attività di cui parlava il presidente e non solo all'università, dove abbiamo difficoltà. Come professore universitario, certo che coccolo i miei giovani assistenti, ma li coccolavo anche come responsabili dei centri di ricerca.
Ora questo non avviene più. Escono dall'università e vengono buttati come carne da macello in attività pratiche, senza avere il tempo di maturare.
Riprendo ora il discorso dell'onorevole Nicolais circa la continuità.
La continuità di Governo non è di destra, né di sinistra. La continuità per mantenere e sviluppare la competitività tecnologica del Paese è un problema non soltanto politico, ma strutturale, che la politica deve gestire e che il Paese deve seguire.
La legge n. 297 del 1999 del ministro Zecchino era completa. Dopo un anno, tuttavia, sono intervenuti dei fatti puramente


Pag. 23

contabili che hanno bloccato la legge - non è una questione di Governi, ma di continuità - e questo significa, come è stato detto prima, che bisogna agire con buonsenso, considerando gli effetti che si possono avere su sistemi delicati come la ricerca. Ci dobbiamo domandare: sono la ricerca e l'innovazione tecnologica priorità per il Paese? Se sì, si dovrebbe protestare pesantemente.
Non siamo camionisti disgraziatamente e neanche produttori di latte.
Ho proposto a un premio nobel di indire uno sciopero, ma vi posso assicurare che non interesserebbe a nessuno se scioperassimo. Gli unici che scioperando produrrebbero degli effetti sono i medici che si occupano di ricerca, perché davanti alla paura per la propria salute, ci si interessa della ricerca.
Da questo deriva il successo delle charity. Le persone, infatti, pensando che potrebbero avere un tumore o che potrebbe intervenire una variazione genetica, offrono dei soldi alla ricerca.
Tuttavia, se proponessi di realizzare un'operazione astrofisica di questo tipo, certamente non prenderemmo un soldo.

TOMMASO MACCACARO, Presidente dell'Istituto nazionale di astrofisica. Sono state poste molte domande. Spero di non dimenticare niente e cercherò di essere anche lapidario, perché mi sembra di capire che il tempo stringe.
Una delle prime domande poste riguardava come rendere appetibile il rientro delle persone, a prescindere dalle questioni di salario. Ebbene, bisogna garantire a queste persone che, quando vengono da noi, possano continuare a essere competitive. Quindi, bisogna dar loro delle certezze sul fatto che ci sarà una regolarità nei finanziamenti, che la programmazione sarà effettivamente eseguita, che non impiegheranno il doppio, o tre volte tanto, del tempo necessario negli Stati Uniti, in Inghilterra o in Germania, per assumere un nuovo ricercatore o per portare a compimento un progetto. Queste sono le condizioni al contorno che diventano importanti da questo punto di vista.
Per quanto riguarda il nostro FFO pro capite, ho menzionato solo i cugini ricchi, ma posso dire che per gli INFN parliamo di 140.000 euro all'anno pro capite, per la stazione zoologica Anton Dohrn di Napoli di 113.000 euro all'anno di FFO pro capite, per gli INGV vi sono 90.000 euro all'anno di FFO pro capite, per l'INRIM 85.000 euro all'anno e per l'INAF 70.000 euro l'anno.
Siamo veramente gli ultimi.
È stata posta una domanda per quanto riguardava una possibile riforma e la limitazione del danno ed è stato chiesto quali interventi potrebbero essere utili all'INAF.
In proposito, dico che l'INAF è appena stata ristrutturata, nel 2005. A questo punto, quindi, temiamo di essere rivoltati di nuovo come un guanto.
Abbiamo bisogno di risolvere - con questo rispondo a un'altra domanda - il problema delle due anime: quella degli astronomi e quella del personale della ricerca.
Da questo punto di vista, servirebbe un intervento. Ognuno ha i propri problemi. Risolviamoli, anziché agire in modo uguale per tutti, senza risolvere alcun problema a nessuno. A mio avviso, dunque, sarebbe necessario, importante e fondamentale attuare un intervento.
Non mi intendo di normativa sotto questo profilo, ma posso immaginare che sia addirittura sufficiente che tutti i dipendenti dell'INAF siano riconosciuti come interni e che, di conseguenza, i provvedimenti validi per gli interni siano applicati anche a loro, e non solo al personale contrattualizzato. Come ho detto, tuttavia, non sono certamente un esperto in materia e mi affido a uffici legali o legislativi.
Se la riforma deve essere usata come spoil system, basta chiedere. Per quanto mi riguarda, infatti, ricopro il mio ruolo per servire e non ho alcun problema a spostarmi dalla mia posizione, se questo può risparmiare un'altra «scamuffatura» non necessaria al mio ente.
Quanto ai costi apicali verso entry level, ho in mente cifre come 90.000 euro lordi, a livello apicale degli astronomi ordinari.


Pag. 24

Abbiamo lo stato giuridico dei professori universitari, quindi parliamo esattamente dello stesso costo di un professore universitario con la sua anzianità.
Credo invece che 30.000 euro l'anno lordi siano gli entry level ai livelli inferiori.
La didattica e la divulgazione sono importantissime, rappresentano anche un nostro compito istituzionale, a cui teniamo molto.
Fra l'altro, questo è l'anno internazionale dell'astronomia. In questo anno, ci siamo scatenati in attività di divulgazione e di didattica.
Al visitor center che abbiamo a medicina vengono effettuate 6.000 visite all'anno; a Monte Porzio, qui a Roma, dove si fanno molte attività di questo genere, vi sono 15.000 visite - sto parlando degli studenti e delle scuole che vengono nei nostri centri - a SRT, in Sardegna, dove stiamo costruendo il visitor center che non è ancora in funzione, la previsione è che prima o poi tutte le scuole della regione passeranno di lì, per cui si immaginano 50.000 visitatori all'anno.
Inoltre, stiamo organizzando diverse mostre. Ne abbiamo appena inaugurata una dal titolo «Astrum», ai musei vaticani, sulla nostra strumentazione antica.
Lunedì della settimana prossima inaugureremo la mostra «Astri e Particelle», insieme all'INFN, presso il Palazzo delle esposizioni.
Spero di avere risposto alle domande che mi sono state poste.

RENATO UGO, Presidente dell'associazione italiana per la ricerca industriale. Volevo aggiungere una notazione. Riguardo al tema delle Regioni, posso dire di non avere una risposta, perché si tratta di un problema veramente grosso.
Capisco bene quanto è stato detto in merito. Basterebbe che fosse ben chiaro il perimetro di azione, in cui l'innovazione, particolarmente per le piccole e medie industrie, viene data alle Regioni; mentre la grande politica di ricerca rimane di competenza statale, realizzando anche qualche operazione insieme. Tuttavia, questo non avviene.
L'articolo 5, come è stato detto, non da la chiarezza a cui facevamo riferimento.

PRESIDENTE. Autorizzo la pubblicazione della relazione del professor Ugo, in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna (vedi allegato).
Ricordo, altresì, che mettiamo a disposizione dei componenti della Commissione cultura la pubblicazione «Le innovazioni nel prossimo futuro: tecnologie prioritarie per l'industria», a cura dell'Associazione italiana per la ricerca industriale.
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 13,10.

[Avanti]
Consulta resoconti delle indagini conoscitive
Consulta gli elenchi delle indagini conoscitive