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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissione VII
6.
Mercoledì 2 dicembre 2009
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Aprea Valentina, Presidente ... 3

INDAGINE CONOSCITIVA SULLO STATO DELLA RICERCA IN ITALIA

Audizione di rappresentanti dell'Associazione dottorandi e dottori di ricerca italiani (ADI) e del Campus Bio-Medico:

Aprea Valentina, Presidente ... 3 7 11 12 13 16
Arullani Paolo, Presidente del Campus Bio-Medico ... 7 14
D'Aniello Fernando, Segretario nazionale dell'Associazione dottorandi e dottori di ricerca italiani ... 3 14
Lorenzelli Vincenzo, Rettore del Campus Bio-Medico ... 7 15
Rossini Paolo Maria, Ordinario di Neurologia e direttore del Centro integrato di ricerca (CIR) ... 9
Mazzarella Eugenio (PD) ... 12
Nicolais Luigi (PD) ... 11
Palmieri Antonio (PdL) ... 11
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Repubblicani; Regionalisti, Popolari: Misto-RRP.

COMMISSIONE VII
CULTURA, SCIENZA E ISTRUZIONE

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di mercoledì 2 dicembre 2009


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE VALENTINA APREA

La seduta comincia alle 13,35.

(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso e la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Audizione di rappresentanti dell'Associazione dottorandi e dottori di ricerca italiani (ADI) e del Campus Bio-Medico.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sullo stato della ricerca in Italia, l'audizione di rappresentanti dell'Associazione dottorandi e dottori di ricerca in Italia (ADI) e del Campus Bio-Medico.
Rivedo con particolare piacere, sperando che i loro problemi siano in parte risolti rispetto a quando li ho incontrati per la prima volta, quando ero al Governo nella legislatura del 2001-2006, il dottor Ferdinando D'Aniello e la dottoressa Ludovica Ioppolo.
Do la parola al dottor D'Aniello, segretario nazionale dell'ADI.

FERNANDO D'ANIELLO, Segretario nazionale dell'Associazione dottorandi e dottori di ricerca italiani. Innanzitutto, ringrazio la Commissione di questa opportunità.
Rappresento l'ADI, l'Associazione dottorandi e dottori di ricerca italiani. Essa è nata oltre dieci anni fa e vanta al suo attivo numerose iniziative per la riqualificazione e il miglioramento dell'università e della ricerca.
A titolo esemplificativo, ricordo le pubblicazioni sulla cosiddetta fuga di cervelli - ne abbiamo portato una copia per offrire la possibilità di poterla consultare - la campagna nazionale per una borsa di studio a mille euro, in luogo degli 800 precedenti, nonché, quella tuttora in corso, per la valorizzazione del titolo di dottore di ricerca.
Siamo membri della rete europea EURODOC e, quindi, particolarmente legati al tema della Carta europea dei ricercatori, documento che ha avuto nel nostro Paese ben poca fortuna quanto a visibilità e conoscenza e che, invece, meriterebbe, a nostro avviso, di essere al centro di un dibattito più complessivo ed esaustivo. Rammento che gli Stati membri hanno assunto l'impegno di recepire i princìpi generali della carta quanto al loro ambito di competenza nel quadro normativo e regolamentare.
La Carta europea sintetizza bene le modalità che caratterizzano l'azione della nostra organizzazione. Crediamo che la discussione sull'università e sulla ricerca possa essere condotta a partire da una riflessione sulle condizioni di lavoro dei soggetti chiamati a svolgere ricerca, quindi i ricercatori, in particolare i giovani ricercatori.
Tale considerazione - sia detto per inciso - acquista una rilevanza maggiore se si pensa al numero di soggetti attualmente


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inseriti in un percorso di ricerca. I dottorandi, che noi proviamo a rappresentare, sono mediamente 40 mila in un triennio e circa 10 mila conseguono il titolo ogni anno. Quanto al PostDoc, escludendo le collaborazioni a titolo gratuito, una realtà tuttora molto viva nel nostro sistema, le figure attualmente censite, che lavorano in modo precario nella nostra università, ammontano a oltre 60 mila unità.
Appare forse chiaro perché non sia indifferente alla qualità e al funzionamento generale del sistema il tema di come tali persone affrontino il proprio percorso di ricerca e di lavoro. Vorrei anche ricordare come, allo stato attuale, non esistano né inchieste, né dati ufficiali e dettagliati sulla consistenza e sulla reale quantità del precariato all'interno sia dell'università, sia del mondo della ricerca.
Svolgo un'ultima, doverosa precisazione preliminare. Siamo in una fase di estrema difficoltà per il nostro sistema universitario e di ricerca. È bene che i componenti del Parlamento siano nuovamente edotti sul fatto che la cronica assenza di finanziamenti per l'università impedisce qualsiasi seria riflessione sul suo potenziamento e rilancio. I tagli prodotti negli ultimi anni insistono su uno scenario di per sé storicamente complicato; non ne vogliamo fare una questione di governo, ma è una condizione quasi strutturale del nostro Paese, dettata da due problemi diversi: una cronica lacuna di investimenti pubblici e uno scarsissimo investimento di risorse provenienti dal settore produttivo privato, anche in ragione della natura di quest'ultimo.
In Italia, secondo il rapporto Education at glance 2009: OECD Indicators, la spesa complessiva per l'istruzione terziaria in rapporto al PIL è tra le più basse d'Europa. Essa si rivela estremamente limitata, rispetto agli altri Paesi comunitari, anche se assumiamo il parametro della spesa per studente, con tutte le avvertenze che un simile utilizzo dei dati richiede. Sappiamo bene che il problema della comparazione tra i diversi Paesi è molto complicato e che nemmeno l'OCSE o altri istituti di ricerca sono sempre in grado di verificare quale sia il modello in base al quale, all'interno di ogni singolo Paese, tali dati vengono assunti.
La retorica sul merito si sta, quindi, trasformando, in queste condizioni, in una guerra tra poveri, indegna in un Paese civile. Il sistema politico ha l'obbligo di comunicare chiaramente che cosa intenda fare dell'università e di investire conseguentemente le risorse necessarie, altrimenti si renderà artefice della scomparsa nel nostro Paese di un sistema pubblico universitario di ricerca, scelta del tutto legittima, anche se in esplicito contrasto con le strategie comunitarie e con le recenti politiche adottate da alcuni Paesi per uscire dall'attuale crisi economica. Inoltre, quanto al piano della legittimità, tale scelta dovrebbe essere discussa e di dominio pubblico.
Venendo agli argomenti specifici, vorremmo partire dal dottorato e legare immediatamente la discussione al tema della Carta europea dei ricercatori. Attualmente, il nostro sistema resta caratterizzato dalla figura del dottorando senza borsa, che interessa circa la metà dei dottorandi italiani. Si tratta di soggetti che non ricevono alcun sostegno economico per l'attività che svolgono. È del tutto evidente che tale figura sia da superare, ovvero da cancellare, evitando però di incidere sul numero delle borse messe a disposizione. Non vorremmo, cioè, che per superare il problema del dottorato senza borsa, si finisse per limitare i posti messi a concorso, dal momento che la qualità dei percorsi è necessariamente connessa alla consistenza dei singoli corsi o delle singole scuole di dottorato: scuole troppo piccole impediscono, a nostro giudizio, una qualità reale del percorso stesso.
Occorre tener presente che i rilevanti tagli al bilancio complessivo in materia di università e ricerca hanno imposto una riduzione pesantissima dei concorsi banditi. Questo dato non è frutto di una statistica internazionale, ma si ricava in modo molto semplice: basta prendere i bandi degli anni passati e confrontarli con quelli attuali. Registriamo un sensibile taglio


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alle borse di dottorato per l'anno in corso. È una progressione, non sto parlando soltanto dell'ultimo anno.
Con tutta evidenza, non esiste qualità della ricerca per percorsi di dottorato ridotti a poche o pochissime unità. Il pericolo vero è la scomparsa del dottorato di ricerca, sia come terzo livello della formazione - espressione utilizzata in chiave comunitaria per definire il dottorato di ricerca - sia della scomparsa del dottorato come strumento di accesso alla ricerca stessa. Su questo aspetto bisogna tener presente che, secondo i dati EUROSTAT, l'Italia è attualmente il Paese in cui, rispetto alla popolazione complessiva, c'è il numero più basso di dottori di ricerca, contrariamente alla vulgata comune.
Segnaliamo, inoltre - un altro grande problema dei dottorandi senza borse - non solo l'ingiustizia di non vedersi riconosciuto alcun sostegno economico, ma anche l'obbligo di dover pagare le tasse, una beffa che si aggiunge al danno. Tale problema potrebbe essere risolto all'interno dei singoli atenei, ma in questo momento, visti i tagli, si tratta di una misura assolutamente impopolare tra i rettori. Segnaliamo al Parlamento anche la possibile contrarietà al dettato costituzionale di tale tassazione, perché essa non è quasi mai accompagnata da misure reali di diritto allo studio.
La proposta di istituire le scuole di dottorato - contenuta anche nel progetto di riforma del dottorato del Ministro Mussi - potrebbe rappresentare una soluzione al problema della frammentazione della qualità dei percorsi formativi e di ricerca, purché la loro realizzazione avvenga secondo autentici criteri scientifici e non attraverso logiche di altro tipo.
A tal fine, le scuole di dottorato devono dotarsi di organi di governo estremamente flessibili, nonché di pratiche trasparenti e democratiche. Imprescindibile è la presenza, al loro interno, di rappresentanze dei dottorandi.
Da questo punto di vista, vorrei segnalare nuovamente il riferimento alla Carta europea dei ricercatori, la quale afferma chiaramente che: «è del tutto legittimo, nonché auspicabile, che i ricercatori siano rappresentati negli organi consultivi, decisionali e di informazione delle istituzioni per cui lavorano, in modo da poter proteggere e promuovere i loro interessi individuali e collettivi».
Non è oggetto diretto di questa indagine, ma vorrei comunque sottolineare brevemente l'anomalia del nostro sistema, che ancora non riconosce il giusto valore al titolo di dottore di ricerca. Se una volta esso era il titolo necessario per l'accesso alla carriera accademica, il fatto che le cifre a nostra disposizione indichino in circa 10 mila il numero di persone che conseguono un dottorato di ricerca ogni anno rende del tutto evidente che non sarà possibile assorbire tutti questi soggetti all'interno dell'università. Credo sia abbastanza pacifico.
Purtroppo, né il sistema privato, né la pubblica amministrazione sembrano essere minimamente capaci di valorizzare i giovani che hanno ulteriormente affinato e perfezionato le proprie capacità e competenze. Per questo motivo, abbiamo proposto la campagna di cui parlavo all'inizio «Dai forza al dottorato» che è stata sottoscritta fino a oggi da oltre 10 mila persone.
Vorrei preliminarmente segnalare come, nel corso degli ultimi anni, per diverse ragioni, il binomio didattica e ricerca, che contraddistingue l'università italiana da sempre, ovvero l'idea che all'interno dell'università si faccia tanto didattica quanto ricerca, si è profondamente trasformato. A oggi, l'eccessiva rilevanza assegnata ad attività didattiche impedisce a moltissimi soggetti di dedicarsi prevalentemente ad attività di ricerca in senso pieno.
Anche in questo caso, la perversione del sistema impone di dover far fronte a pesantissimi tagli di bilancio e a tentare di assicurare il normale svolgimento dell'attività accademica ricorrendo a contratti a titolo gratuito, una realtà tuttora presente del nostro sistema, o estremamente precario. Si verifica una proliferazione di contratti e di figure professionali post-dottorato. In tal modo, viene del tutto


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esclusa o sensibilmente ridotta la possibilità di effettuare la ricerca in modo libero e autonomo.
Come ADI - vengo al punto che citavo precedentemente - siamo convinti che la proliferazione di tante, troppe, figure professionali successive al dottorato di ricerca costituisca un limite a una ricerca di qualità. Tali figure sono, di solito, estremamente precarie, con contratti spesso di pochi mesi, in alcuni casi legati esclusivamente ad attività didattiche e non di ricerca. A nostro avviso, occorre invertire la tendenza e puntare, per quanto possibile, a un'omogeneizzazione di tali figure contrattuali, puntando a rendere più sicura e depurata da troppe contraddizioni la fase successiva al conseguimento del titolo di dottore di ricerca, anche attraverso la realizzazione di una singola figura contrattuale «preruolo», che dovrà essere dotata delle garanzie normative, assicurative e retributive proprie dei contratti di lavoro a tempo determinato.
Dispiace dover constatare - sia detto per inciso - come le attuali proposte sulle università, recentemente approvate in Consiglio dei ministri, vadano in tutt'altra direzione e non contengano esempi precisi della cosiddetta tenure track.
I nostri giovani ricercatori, a differenza dei loro colleghi europei, hanno meno autonomia, soprattutto finanziaria, e si formano in un ambiente gerarchico che non li stimola a valorizzarsi. I nostri programmi nazionali di ricerca, per esempio, possono essere coordinati solo da personale di ruolo, un grande limite che va ridiscusso, perché per coordinare un progetto di ricerca è necessario avere idee valide e titoli scientifici adeguati e non un posto di ruolo.
Perché l'università torni a essere motore della mobilità sociale, accanto a una netta inversione di tendenza per quanto riguarda i finanziamenti, bisogna anche attribuire valore al merito. Il primo passo individuabile è certamente un impegno serio sul sistema di reclutamento e di avanzamento di carriera. Oggi, le modalità di reclutamento nelle università e negli enti pubblici di ricerca continuano a essere poco trasparenti. È necessario passare a una modernizzazione delle selezioni, con il coinvolgimento di studiosi stranieri, e a una valutazione dei candidati basata prevalentemente su criteri di valutazione accreditati dalle prassi valide in tutto il resto del mondo.
A essa devono seguire, a cadenza diversa, valutazioni scientifiche dei docenti e ricercatori. Una valutazione periodica seria dei risultati ottenuti da ciascun ricercatore e professore costituirà lo strumento per percorsi di carriera regolati dal merito a qualunque età.
Crediamo, inoltre, che sia indispensabile e urgente tornare a una dimensione ordinaria e fisiologica del reclutamento. Stiamo continuando a intervenire in una situazione di estrema frammentarietà e precarietà, che va invertita, perché riteniamo questa l'unica garanzia di qualità per il sistema considerato complessivamente.
Vi chiedo scusa per il tempo - ho concluso il mio intervento - ma ci terrei a riportarvi quanto scritto dal Comitato dei dottorandi - non da una sede ADI - dell'Università dell'Aquila. Ho già parlato a lungo, ma vi chiedo soltanto un minuto in più, perché questi colleghi, a seguito della sciagura che ha colpito la loro città, hanno tentato di concordare alcune iniziative, a livello tanto di ateneo, quanto regionale, per garantire il prosieguo delle loro attività.
Lascerò il testo a disposizione insieme al nostro intervento. Mi permetto solo di riprendere la seguente affermazione: «rimane insoluta ad oggi la questione relativa al reperimento di fondi straordinari. Il tremendo evento che ha colpito la città ha costretto molti dottorandi, improvvisamente e inaspettatamente, a proseguire, se non addirittura a concludere, le proprie attività di ricerca in altre sedi italiane o estere - il Rettore dell'ateneo de L'Aquila ha garantito la possibilità di far slittare il termine ultimo per la discussione della tesi - Nonostante l'università garantisca la copertura finanziaria prevista dal regolamento di dottorato, l'eccezionalità degli eventi è tale da rendere necessario il reperimento


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di fondi straordinari finalizzati ad assicurare un'adeguata copertura finanziaria a tutti quei dottorandi, borsisti e non borsisti, obbligati a lasciare la città per il proseguimento delle loro attività di ricerca, nonché a tutti dottorandi non borsisti che rimarranno a L'Aquila. La Regione, durante un recente incontro, si è dimostrata sensibile alla questione, ma non ha potuto garantire, per il momento, di poter contribuire alla sua risoluzione. È per questo che ci rivolgiamo soprattutto al Governo, chiedendo un impegno concreto nel garantire la formazione alla ricerca di tutti i dottorandi dell'università de L'Aquila».
Chiedo, anche come segretario dell'ADI, che la Commissione voglia in futuro rivolgere maggiore attenzione a questa vicenda e ascoltare anche i rappresentanti del Comitato dei dottorandi dell'Università dell'Aquila. Potrebbe essere un gesto di interesse particolare.
Vi ringrazio per il tempo che ci avete concesso.

PRESIDENTE. L'ufficio di presidenza, anzi, i colleghi proponenti questa indagine valuteranno su quest'ultimo punto.
Per il Campus Bio-Medico, saluto con particolare soddisfazione il presidente, professor Paolo Arullani, e il magnifico rettore, professor Vincenzo Lorenzelli. Attendiamo la loro relazione. Sicuramente si tratta di un'università di eccellenza, capace di svolgere anche grande ricerca scientifica, immagino già apprezzata dai nostri colleghi.

PAOLO ARULLANI, Presidente del Campus Bio-Medico. Sono particolarmente lieto di questo invito. Speriamo di poter essere utili, non solo per noi, ma anche per la politica pubblica della ricerca.
Rappresento l'università Campus Bio-Medico, che in questo momento sta crescendo e ha dato una dimostrazione di sé. Aspettiamo il nostro direttore della ricerca, professor Rossini, che è stato ora impegnato in una conferenza stampa sulla mano robotica, di cui si è parlato ieri sera sui diversi telegiornali. Mi assumo il compito di presentare il magnifico rettore, il professor Lorenzelli.
Il nostro sistema duale - che precede il modello che si intende applicare in tutte le università - prevede la figura di un presidente e di un rettore, in modo da lasciare più liberi ognuno nel proprio ruolo. Questo è molto interessante anche nel governo della ricerca.

PRESIDENTE. Anticipa anche la proposta della governance del Ministro Gelmini. La vostra esperienza è interessante anche sotto questo aspetto.

PAOLO ARULLANI, Presidente del Campus Bio-Medico. È un'esperienza che portiamo avanti da quindici anni e continuiamo a essere in ottimi rapporti.
Mi permetto solo di intervenire, eventualmente, in seguito su alcuni aspetti riguardanti il fund raising per la ricerca o su altri temi che possano emergere. Lascio, quindi, la parola al rettore, professor Lorenzelli.

VINCENZO LORENZELLI, Rettore del Campus Bio-Medico. Anche io ringrazio gli onorevoli di averci voluto audire, anche perché, a seguito di una certa esperienza politica, so che normalmente si ascoltano soltanto lamentele. Forse noi possiamo venire qui a presentare un progetto positivo, che, come è già stato accennato, potrebbe anche diventare di esempio. Non lo dico io, ma lo hanno affermato e lo affermano molti rettori di università statali.
Quando è nato, il Campus Bio-Medico ha compiuto la scelta, di tipo anglosassone, di separare la figura del presidente da quella del rettore e, come rettore, posso testimoniare che si tratta di una scelta assolutamente vincente. Mi fa molto piacere che il Governo sia orientato adesso a proporre, e non a imporre, un sistema di governance di questo tipo. Sicuramente, il fatto di distinguere i ruoli tra un presidente che governa il consiglio di amministrazione e si occupa dei mezzi, e un rettore che si occupa della corretta gestione e dello sviluppo della ricerca e della didattica


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all'interno dell'università, ha portato la nostra università - non dico nulla, non siamo trionfalisti - in pochi anni ad attestarsi al primo posto, o ai primissimi posti, nel rank delle università italiane per il livello formativo degli studenti e ad acquisire una posizione di tutto rispetto nel settore della ricerca.
Questa è stata la prima scelta. Quella originaria, ancora più originale, è stata di voler creare in Italia, e a Roma in particolare, un'università vocazionale, nata con la denominazione di Campus Bio-Medico, proponendosi di trattare tutti i settori collegati con la vita. Scherzando, usiamo l'espressione «bio-x», perché si va dalla biofisica, alla bioetica, alla bioingegneria, alla biomedicina.
L'avvio dei primi anni di un'università non statale, realizzata con soli mezzi privati, grazie all'intervento di persone che se ne sono fatte carico nei primi anni '90, è stata impegnato soprattutto a identificare il luogo dove sviluppare tale realtà, che è stato identificato a Trigoria, su terreni che vengono detti di Alberto Sordi. In realtà erano solo parzialmente suoi, ma Alberto Sordi ha comunque grandi meriti, perché ha costituito una fondazione che appoggia la nostra ricerca e questo, per noi è un grande onore. La fondazione Alberto Sordi e Alberto Sordi stesso non hanno nulla a che fare con il Campus, se non per averci fornito i primi ettari.
Oggi, disponiamo di un complesso di 75-80 ettari, sul quale è stato costruito un complesso di tre edifici, che non sono nulla rispetto al totale del progetto. Un Campus Bio-Medico aveva assolutamente bisogno di un policlinico - che oggi funziona - perché tutta la sperimentazione clinica deve essere realizzata in connessione con la clinica, nonché di un polo di ricerca avanzata di biomedicina e bioingegneria.
L'originalità del progetto è di aver previsto, fin dall'inizio, di realizzare un polo di ricerca distinto dalla ricerca universitaria. Quando oggi presentiamo la consistenza dell'attuale polo, parliamo di una ricerca universitaria inserita in questa realtà, ma che ne non esaurirà mai il complesso, che diventerà ben più sofisticato.
Per essere concreti, il presidente ricordava che ieri, per una fuga di notizie - la conferenza stampa si è conclusa mezz'ora fa e il nostro direttore scientifico è ancora su un taxi - è stato presentato il primo risultato di una collaborazione voluta sin dagli inizi, facendo convivere medici e ingegneri, una sperimentazione nuova in Italia. Questa mattina si è potuto presentare alla stampa internazionale un risultato che, di per sé, non è ancora la conclusione, perché richiederà molto tempo.
Per la prima volta è stato messo in evidenza che è possibile, innestando - mi rivolgo al professor Nicolais - elettrodi di tungsteno all'interno dei nervi del moncherino di un amputato, con la sola forza del pensiero, muovere una mano: la persona si concentra, pensa di voler muovere il dito e questo si muove. Di per sé ciò ha qualcosa di avveniristico e di magico. Io stesso sono ancora turbato dalla presentazione fatta alla stampa. Il paziente ha affermato che sente: la mano non è solo meccanica, ma presenta sensori e, quindi, il paziente ha anche la sensibilità della mano e compie già almeno quattro movimenti fondamentali, quelli essenziali per una mano. Questo è un esempio, se vogliamo, di un modo di condurre ricerca. Si è trattato di un lavoro di equipe, che ha coinvolto persone di tutte le competenze.
Attualmente, accanto al policlinico, abbiamo un polo di ricerca che, per il momento, ospita soltanto il Centro integrato di ricerca dell'università Campus Bio-Medico. Specifico per il momento, perché dei 20 mila metri quadrati di tale polo, soltanto 3 mila sono dedicati effettivamente alla ricerca, mentre negli altri ha sede il rettorato, le aule e via elencando. Progressivamente, è prevista l'espunsione di queste altre funzioni e l'implementazione di tutte le attività di ricerca, tramite non solo lo sviluppo della ricerca universitaria, ma anche l'ottenimento, da parte del Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali, del


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riconoscimento come IRCS (Istituto di Ricovero e Cura a carattere Scientifico), che è in corso, nonché l'ospitalità data convenzionalmente a laboratori industriali, che vogliamo integrare con i nostri, e la realizzazione, già prevista - c'è un regolamento e si sta già avviando - di aziende di spin-off industriale.
Quando ci siamo insediati nell'area di Trigoria, la volontà era anche quella di scegliere un'area marginale a Roma, ma che rientrasse nell'obiettivo 2 Unione europea. Siamo il margine del sud a nord e quindi vi siamo rientrati e abbiamo potuto predisporre di alcuni finanziamenti per la realizzazione del polo di ricerca proprio a queste condizioni. Nel 2004, il Governo di allora ci ha dato in finanziaria un contributo che ha permesso il completamento dell'edificio e l'implementazione delle apparecchiature.
Tale edificio è, dunque, destinato a subire uno sviluppo, anche se per ora ospita solo il CIR (Centro integrato di ricerca). La nostra volontà è di tenere unite in un'unica realtà tutte le attività di ricerca per evitare uno dei grandi difetti italiani, lo spezzettamento. Oggi vi operano un centinaio di docenti, ricercatori e 60 dottorandi. L'aspetto più bello è che siamo giovani noi, ma sono giovanissimi, come età media, anche i partecipanti alla ricerca. Il direttore, il professor Rossini, notissimo neurologo - appena rientrato dalla conferenza stampa - è un po' meno giovane, ma ha assunto la ricerca della direzione tre anni fa e ha saputo impostare un insieme di linee di ricerca unitarie su cui far convergere tutto. Credo che possa rapidamente presentarle.

PAOLO MARIA ROSSINI, Ordinario di neurologia e direttore del Centro integrato di ricerca (CIR). Scusate l'arrivo in ritardo. C'era un sovrapporsi di attività istituzionali legate alla vicenda a voi nota.
Il rettore ha già introdotto lo scenario generale. A me corre l'obbligo di delineare le specificità della nostra realtà, innanzitutto quella di essere una realtà giovane, che partiva sostanzialmente da zero, e ha potuto, quindi, proporsi un'idea di modello innovativo, senza problematiche di legacci o legami, che la costringessero a perseguirne altri più desueti.
Il fatto di avere due sole facoltà, entrambe ruotanti sotto il concetto di bio (bioingegneria e biomedicina), che in Italia già esistono - se mai avrete l'avventura di venirci a visitare vedrete come da noi esse lavorano in modo integrato, dalla ricerca pre-clinica, di base, fino a quella applicata sul malato - ha fatto venire al rettore e al presidente l'idea di osare un po' di più. Sono partiti dal concetto che, almeno per le facoltà di medicina, mentre l'attività di didattica e di assistenza sono molto ben seguite, monitorizzabili e analizzabili attraverso marcatori di efficienza e di rendimento, l'attività di ricerca, per motivi storicamente ormai consolidati, è un surplus lasciato allo spontaneismo dei singoli docenti: se hanno voglia di condurre buona o eccellente ricerca, ben venga, se non ne hanno voglia, tutto sommato è sopportabile.
Noi abbiamo pensato che non fosse, invece, sopportabile, e la nostra idea era, essendo piccoli, di avere punte di ricerca di eccellenza, che andavano identificate, e di concentrare il grosso della nostra attività e delle nostre risorse su tali aree di ricerca.
Il rettore ha già descritto l'esistenza di nove linee di ricerca, alcune delle quali sono trasversali a tutte, come quella antropologica e bioetica, una linea di ricerca dedicata ai giovanissimi, che abbiamo mediato da Harvard e dai grandi centri di ricerca aerospaziale americani, che si chiama Advanced concept team, un gruppo che, per così dire, la deve sparare grossa, ossia cercare di capire dove andrà la ricerca non tra un anno o cinque, ma fra dieci o venti. Con un tasso di mortalità dei progetti altissimo, perché quasi tutti falliscono, ma, se ne va in porto uno, escono brevetti e prodotti su cui poi l'ente, in genere, vive di rendita per un lungo periodo.
Gli altri settori sono più specifici: ve ne sono altri due più specifici per la parte di bioingegneria e altri quattro per l'area di medicina, in particolare il settore sulla fisiopatologia


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dell'invecchiamento e malattie dell'età correlate, perché abbiamo tutti l'impressione che questa sia la vera patologia «emergenza» del nostro servizio sanitario nei prossimi anni.
Sulla base di questo concetto, da noi, di fatto, non ci sono, o ci saranno sempre di meno, laboratori a singola partecipazione o di singola cattedra. L'idea è quella di avere laboratori in cui più cattedre e più gruppi si integrino e più disciplinarità lavorino insieme. Uno dei gravi problemi della ricerca italiana è quello della carenza di massa critica: in genere abbiamo gruppi di ricerca numericamente troppo esigui e con una consistenza di finanziamento troppo bassa per essere realmente competitivi. A livello europeo si forniscono alcuni numeri, affermando che un'unità operativa di ricerca con meno di otto addetti full time non è, di fatto, in grado di competere a livello internazionale in modo appropriato e adeguato. Essendo piccoli, dobbiamo dunque mettere insieme le forze per cercare di raggiungere tale massa e volume critici.
Naturalmente, non si conduce ricerca moderna senza fondi e quindi il problema di tutti i giorni è di trovare denaro per comprare gli apparecchi e per pagare la gestione corrente. Il Centro di ricerca è stato costruito con alcuni fondi, ma va mantenuto tutti i giorni e il rettore ci richiama sempre, giustamente, al fatto che un laboratorio, se non lavora, costa il doppio perché ha comunque costi e non rende. I nostri laboratori sono costi e, come tali, debbono produrre e rendere per le finalità dell'ente e per quelle del sistema Paese in generale.
Ci muoviamo e competiamo, dunque, su tutti gli scenari di finanziamento, nazionali e internazionali, e siamo diventati abbastanza bravi nel recuperare fondi dall'Europa. Il progetto e la ricerca presentati ieri e questa mattina nascono da due progetti consecutivi europei, di cui noi siamo unità operativa a tutti gli effetti, sia per la ricerca pre-clinica, sia per la parte di applicazione clinica.
Abbiamo, però, con un occhio attento, guardato sin dall'inizio nei confronti dell'impresa, intesa fra virgolette, e dell'azienda, soprattutto sul territorio. Sapete che Roma è un territorio su cui insistono grandissime realtà di ricerca, nonché una delle enclavi di ricerca probabilmente più grandi in Europa in termini di concentrazione di ricercatori afferenti, a vario titolo, a università, CNR, Istituto di fisica nucleare, Istituto superiore di sanità, ENEA, istituti scientifici e, naturalmente, la nostra università si vuole porre come un tassello importante in questo mosaico.
È, però, anche una realtà che presenta industrie, le quali storicamente si sono rivolte relativamente poco al sistema di ricerca accademico. Il nostro intendimento è di riuscire sempre di più ad attrarre l'attenzione dei settori ricerche e sviluppo industriali, per riuscire a capire insieme come si possa creare sinergia gli uni a favore degli altri. Anche su questo, nei diversi progetti a finanziamento europeo per le piccole e medie imprese, ne abbiamo avuti due, Itineris 1 e 2, sui distretti anche biotecnologici, sempre in rapporto con le imprese del territorio, che lavorano negli ambiti di nostra competenza.
In questo senso, avere con noi gli ingegneri ci facilita moltissimo, perché hanno una cultura del rapporto con l'impresa molto superiore rispetto a quella che hanno i medici in generale. Debbo riconoscere, però, che anche il rapporto con le grandi aziende farmaceutiche e il tentativo di cominciare a creare spin-off industriali è nel nostro DNA sin dall'inizio, ispirato proprio dai nostri massimi dirigenti.
Abbiamo lavorato molto sul 5 per mille, perché ritenevamo che potesse essere valido, soprattutto per una struttura che è un policlinico e ha, quindi, un'utenza numericamente molto consistente, non solo di studenti e relative famiglie, ma soprattutto di malati e di loro familiari, che, vedendoci lavorare come lavoriamo, avrebbero potuto - speriamo sempre di più - supportarci in questo modello innovativo.
Abbiamo un numero consistente di sponsor a fondo perduto, donatori privati i quali hanno riconosciuto nel modello Campus, sia per la didattica, sia - adesso e


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speriamo sempre di più - per la ricerca e per l'assistenza, un esempio che va aiutato, un'esperienza piccola, ma con una sua specificità, che va accompagnata e aiutata a crescere, perché può rappresentare un modello interessante anche per realtà molto più grandi rispetto alla nostra.
Mi sembra di avere tratteggiato lo scenario.

PRESIDENTE. Grazie, davvero grandioso.
Do la parola ai deputati che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

ANTONIO PALMIERI. Sarò lapidario. Vi diranno che siete dei «tipi alla mano», dopo la scoperta che avete presentato oggi. Se siete cultori della saga di Guerre Stellari, mi sembra che nell'episodio 5 a Skywalker venga ricostruita la mano, tanto che riesce a combattere nuovamente. Leggendo la notizia stamattina mi è venuto in mente quell'episodio e vi porgo i miei sinceri complimenti.
Per quanto riguarda ADI - uso il noi anche a nome dei colleghi del PDL presenti, in modo da velocizzare i lavori per tutti - prendiamo atto delle questioni che sono state rappresentate. Sarebbe inutile ribadire che avete ragione: troppe volte avete già interloquito con le istituzioni e spesso è stato affermato che avevate ragione, ma poi non è successo niente. Ne prendiamo atto e sarà parte del nostro rapporto finale. Vediamo in che direzione ci porteranno il percorso di riforma dell'università in quanto tale e il piano che svilupperà il Ministro Gelmini per la ricerca. Accanto a ciò, prendiamo atto di quello che ci avete riferito in modo chiaro ed esauriente.
Volevo porre due domande. A una, sul fund raising, il professor Rossini ha risposto in modo assolutamente esauriente, citando anche l'aspetto del 5 per mille e, quindi, il coinvolgimento popolare, uno strumento di sussidiarietà e democrazia fiscale, che a me piace molto e che credo facilitato dal fatto che comunque il Campus Bio-Medico non nasce dal nulla, ma si inserisce in un tessuto comunitario. Indubbiamente, però, è una esperienza di successo.
L'unica domanda che formulo, e che si aggancia ad ADI, è la seguente: come fate reclutamento nei confronti della migliore gioventù italiana e dei giovani ricercatori, che tipo di rapporto c'è con i vostri temporanei vicini di banco di oggi, non necessariamente con l'ADI in quanto tale?

LUIGI NICOLAIS. Per accelerare i tempi sarò essenziale. Prima di tutto, vorrei congratularmi con il Campus Bio-Medico, che avevo avuto occasione di conoscere già alcuni anni fa, per il suo modo di interpretare l'università. Credo che per noi, per il Governo, questo possa essere di grande utilità, perché non si può immaginare l'università come una realtà statica, che deve seguire modelli esistenti. Abbiamo un sistema in grande evoluzione e questo è l'esempio di un nuovo tipo di università, molto concentrato su due facoltà e specialistico, con un rapporto anche preferenziale con il sistema delle imprese. Esso offre una visione diversa dell'università generalista che, sicuramente, è essenziale e importante per il Paese, ma che diventa complementare rispetto a tante altre università di tipo non territoriale, ma specialistico su settori di avanguardia. Voglio congratularmi ancora una volta con loro.
Come domanda, volevo soltanto sapere quanti docenti e quanti studenti vivono in questa università. Probabilmente anche noi, anche il Governo, dovrebbe tener conto delle donazioni. Se fossimo in grado di incentivarle, detassandole e rendendo più semplice a chi dona un vantaggio anche economico sulle tasse, probabilmente, queste tipologie di università ne trarrebbero un sostegno importante.
Per quanto riguarda l'intervento del dottor D'Aniello, non ho apprezzato una frase, quando ha sostenuto che sarebbe del tutto legittima una scelta che tendesse a far scomparire l'università e la ricerca dal nostro Paese. Credo che questo non possa essere considerato legittimo per un


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Paese moderno e in nessun caso per un Paese che deve competere in un sistema globale, in cui la conoscenza rappresenta l'elemento essenziale della competitività. Immagino e voglio sperare che questo Governo cominci a investire ancora di più in questo settore, perché nei momenti di difficoltà bisogna puntare sulla ricerca e sulla formazione, dal momento che in futuro la competitività nascerà su di esse.
L'altro punto che sottolineo è che la vostra associazione, ovviamente, comprende dottorandi e dottori di ricerca. Credo che dobbiamo convincere anche l'impresa che il dottorato di ricerca è un punto di forza per l'impresa stessa. Se vogliamo che le imprese cambino, che imparino a fare ricerca, che puntino a loro volta su una produzione immateriale competitiva, dobbiamo fare in modo che molti più dottori di ricerca si inseriscano nelle imprese. Lo sbocco non deve essere visto soltanto nell'università, ma tanto nella parte pubblica, quanto in quella privata.
Il Paese soffre del fatto che nelle imprese, specialmente in quelle medie e piccole, c'è l'assenza assoluta di dottori di ricerca e, quindi, di persone in grado non solo di condurre ricerca, ma anche di capirla. Quando un'impresa deve comprare un know-how, deve avere al suo interno qualcuno che capisca che cosa sta acquistando. Credo che ciò sia sicuramente molto importante.
Penso, inoltre, che il presidente voglia sicuramente tenere in conto la vostra richiesta di audire anche i colleghi de L'Aquila. Spero che si possa fare, date anche le difficoltà che vivono.
In ultimo, la valutazione, come voi presentate nell'ultima fase della vostra relazione, è e deve essere per il nostro Paese un elemento essenziale. Pochi giorni fa, in questa Commissione, abbiamo approvato il regolamento dell'ANVUR, anche con il voto favorevole del Partito Democratico, che ritiene la valutazione uno dei cambiamenti molto importanti per il nostro Paese.

PRESIDENTE. Peraltro, ci è appena arrivato anche il regolamento sugli enti di ricerca e, quindi, la discussione continuerà.

EUGENIO MAZZARELLA. Vorrei svolgere un intervento un po' dialogico con i colleghi esperti e con un collega ricercatore più giovane.

PRESIDENTE. A questo punto, però, devi denunciare la tua identità, perché non tutti possono conoscerla. Nella vita precedente che cosa facevi?

EUGENIO MAZZARELLA. Precedentemente ero il preside di una facoltà di filosofia e ho diretto per 10-15 anni un dottorato di ricerca del dipartimento a Napoli.
Ho fondato, insieme a monsignor Bruno Forte, un'esperienza di confine, ossia il Centro interuniversitario di ricerca bioetica, che all'inizio consorziava l'Università Federico II e la Pontificia facoltà teologica dell'Italia meridionale, ma ha poi raccolto tutti gli atenei campani.
Non avevo alcun prestigio, personalmente, ma ci sono un paio di nomi significativi di tale network nel parterre di docenti e ricercatori impegnati in questa esperienza, come Casavola, sul profilo giuridico, e Calabrò, a cui è stato affidato questo percorso.
Sentendo le vostre due visioni del mondo sullo stesso oggetto, deduco che, evidentemente, siamo in un Paese distonico, alla dottor Jekyll e mister Hyde. Do atto ai nostri due colleghi, che ci hanno sensibilizzati ad audire il più possibile esperienze qualificate. Dovremmo risolvere alcuni di questi problemi utilizzando le pratiche migliori per mettere a norma il sistema in termini di una finalità di vantaggio per il sistema stesso, oltre che per il Paese.
Non più di alcune settimane fa, in un'audizione, abbiamo ascoltato onorevoli esponenti della CRUI, i quali ci riferivano che, secondo standard di valutazione internazionali, il sistema complessivo dell'università italiana, sul piano della ricerca, ha punte di eccellenza o di media qualità, divise equamente, intorno al 77


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per cento. In fondo, un terzo della ricerca è insufficiente, sicuramente una quota che si potrebbe abbattere, ma, comunque, trattandosi di un sistema competitivo, qualcuno deve perdere la corsa: si tratta di capire quale sia la percentuale fisiologica e quale quella patologica, su cui si può intervenire.
Al di là delle strategie di sistema, un problema è rappresentato dalla capacità di finanziare il sistema: sull'attuale normativa del ministero, passata in Consiglio dei ministri, la mia valutazione - chiedo la vostra - è che essa si limiti a mettere a norma quanto accade già da circa vent'anni. Nel percorso di formazione dopo la laurea sono previsti il dottorato, di tre o quattro anni, a seconda della tipologia; gli assegni biennali, di due anni e rinnovabili, uno per tre; poi i contratti a tempo determinato, tre per due. Morale della favola: questo percorso di precariato, magari uniformemente sostenuto, sarebbe già un vantaggio rispetto alla situazione attuale.
Per arrivare a un'ipotesi equivalente alla vecchia libera docenza, che consente l'ingresso dei ruoli in modo standard, si arriva a quello che già più o meno accade quando si ha un percorso formativo felice: quarant'anni. D'altro canto, in base alla personale esperienza di chi, come me, ha diretto per circa 15 anni un dottorato, abbiamo prodotto, in 25 anni di dipartimento, circa 400 dottori di ricerca e, alla fine, solo 7 o 8 posizioni in ruolo. Questo vuol dire una selezione selvaggia, dal momento che siamo nell'ordine del 3 per cento. Ci sarà anche una mela marcia - vado a memoria e per statistica: non mi sembra, ma può anche darsi - però vi rendete conto che più di così c'è poco da selezionare.
L'onorevole Nicolais vi chiedeva se assumete ricercatori giovani. Anche un altro modello, più «statalista», ci prova; voi li prendete giovani, però, da un punto di vista sistemico, invecchiano e, invecchiando, hanno o non hanno successo. Magari con questo modello siete talmente fortunati da prendere tutti quelli che hanno successo, ma, ovviamente, trattandosi di un sistema competitivo, questo non può sussistere.
Il problema vero è, dunque, come appostare nel sistema Paese risorse adeguate per alzare le quantità assolute, perché in quelle relative non si va da nessuna parte come sviluppo. A questi livelli non c'è massa critica. Citando un filosofo da me amato, Hegel, la quantità non si converte in qualità.
Non più di alcune sere fa sono stato a cena con il mio rettore, il quale vantava, avendo noi anche un policlinico, un'ottima performance della ricerca. Non è mia notizia, però, che si riesca, in un policlinico standard, a raccogliere molti fondi privati. Si lavora tutti, senza questo terzo, che vedo nel vostro diagramma.
Uno dei motivi della competitività di sistemi di ricerca più agili - sicuramente lo siete, perché i risultati fanno onore a voi e al Paese e sono fuori discussione - è il fatto che ci sono pochi centri agili, da questo punto di vista, che possano intercettare la disponibilità sociale dei privati a investire. Se, però, ci fossero molti competitori e restasse ferma la quantità assoluta di disponibilità sociale, andreste in grande difficoltà. Il problema vero è, dunque, come aumentare la disponibilità sociale a vantaggio di un sistema misto pubblico-privato. Avete una ricetta per questo?

PRESIDENTE. Vi chiedo scusa per la battuta, ma voi siete «bio», quindi capite che, se siamo qui a lavorare da stamattina, non è per mancanza di rispetto. Nel darvi la parola per brevi repliche, vorrei lasciare agli atti che mi ritengo personalmente fortunata per avere potuto, in questa istituzione, alla Camera dei deputati, ascoltare ieri il comitato Telethon, che ha presentato ricerche avanzatissime per salvare i soggetti affetti da malattie genetiche, illustrando casi - mi rivolgo all'amico Mazzarella - proprio al centro di ricerca di Napoli, anche quello privato del professor Auricchio, nonché per aver ascoltato


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e aver avuto l'onore di ospitare oggi autori di ricerca ad altissimo livello, in particolare il professor Rossini.
Mi ritengo fortunata, ma credo che lo sia il Paese in cui ci troviamo ad aver potuto registrare queste eccellenze, ieri e oggi, nelle istituzioni e nella Camera dei deputati.

FERNANDO D'ANIELLO, Segretario nazionale dell'Associazione dottorandi e dottori di ricerca italiani. Vorrei soltanto precisare che alcune delle nostre proposte non richiedono particolari investimenti finanziari; sono proposte di buonsenso che potrebbero essere assunte senza necessariamente ledere o determinare aggravi al bilancio dello Stato.
Quanto all'onorevole Nicolais, quando parlo di legittimità di una proposta, sto facendo riferimento a un punto: in questo Paese di università e di ricerca non si parla mai pubblicamente. È un dato di fatto. È incredibile come la discussione sul reclutamento dei ricercatori e sui fondi bloccati non sia di dominio pubblico e non si sappia, ad esempio, che di un bando, scaduto il dicembre scorso, i relativi fondi FIRB giovani, non siano stati assegnati. Bisogna capire se è vero che si vuole affrontare la riforma dell'università in un certo modo piuttosto che in un altro. Secondo me, la condizione minima è un dibattito pubblico su questo tema: occorre che il Paese ne discuta e ciò non succede. La mia - ripeto - è semplicemente la constatazione di un dato di fatto.
Quanto all'onorevole Mazzarella, vorrei soltanto precisare un aspetto. Anche noi siamo convinti che l'università italiana sia dotata di alcune eccellenze e di alcuni elementi sostanzialmente positivi. Si parla spesso - l'abbiamo fatto anche noi - della cosiddetta fuga dei cervelli. Crediamo che nella società della conoscenza, in una società globale come quella di oggi, il problema non sia che i cervelli vanno all'estero, ma che nessun cervello dall'estero venga in Italia.
Vorrei ulteriormente spendere alcune parole su un fatto: siamo convinti che dopo il dottorato di ricerca non si possa immaginare un'immediata assunzione nell'università a tempo indeterminato. Questo è ovvio, nessuno sta postulando una prospettiva del genere. Crediamo, però, che non bisogna scherzare con le parole. Dopo il dottorato di ricerca, attualmente, la situazione è complessivamente determinata da una miriade di figure professionali. Vorrei sapere come valutate voi un contratto gratuito, una persona che lavora e che non riceve un euro.
Rispetto a questa proliferazione di figure contrattuali, proponiamo che si vada verso una semplificazione nella prima parte. Saremmo d'accordo che gli assegni di ricerca di durata annuale siano, in fondo, inutili, e che un progetto di ricerca di un solo anno sia troppo breve? Conclusa questa fase, siamo d'accordo nel costruire un'unica figura professionale, magari sul livello degli altri Paesi europei, di vera tenure track? Siamo tutti d'accordo che i contratti possano essere a tempo determinato, purché ci sia un vincolo: se si raggiungono determinati obiettivi, poi si ha diritto a essere assunti. Questo è quello che noi vogliamo, introdurre contratti realmente funzionali al merito. Il problema è che le attuali disposizioni non lo prevedono, perché i contratti non sono normati, né quelli attuali, né quelli in previsione e in discussione.

PAOLO ARULLANI, Presidente del Campus Bio-Medico. Lascio concludere al magnifico rettore e mi aggancio solo sul tema della raccolta fondi, che è ritornato nelle vostre richieste.
Condivido la preoccupazione, ma anche il punto di vista e le soluzioni più ottimistiche del professor Nicolais, in quanto l'esperienza ci dice che, alla fine, il valore e l'impegno premiano e che si trovano persone desiderose di collaborare.
Credo che, però, nulla si possa fare da soli. Ci vuole lo sforzo del privato, ma esso va premiato dal pubblico. Occorre, cioè, una forma qualsiasi di detassazione. Pensavo al credito di imposta, che sia però sostanzioso, superiore al 50 per cento, che permetta e crei il presupposto di una partnership pubblico-privato vincente.


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In tal modo, in merito alla preoccupazione che, nel tempo, anche altre realtà diventeranno più agili e sapranno svolgere tale tipo di ricerca, aumenterà anche la potenzialità dei donatori, perché saranno incoraggiati da una cultura.
Smettiamo di pensare che il finanziamento della ricerca sia un impegno, per il Paese, che non porta un ritorno. È chiaro che porta un ritorno - lo sappiamo tutti - nell'innovazione, sul reddito futuro. Bisogna investire anche a medio e lungo termine e ciò non esonera lo Stato dal pensare anche ad aumentare l'impegno nella ricerca.
Capisco i problemi dei dottorati e i loro desideri. Loro hanno il problema della ricerca collegata alla didattica, noi ne abbiamo un altro: quello della ricerca collegata alla didattica e all'assistenza. Quando ognuno di noi va in ospedale per se stesso, vuole un medico che faccia il praticone o uno aggiornato? Il medico deve, dunque, tornare a lavorare anche negli ambulatori di ricerca. Il nostro sforzo è quello di combattere la demedicalizzazione della ricerca biomedica che vige oggi in Italia, come anche in altri Paesi, frutto di un'eccessiva spinta al profitto nell'ambito della struttura, che ci ha portato ai Diagnosis Related Group (DRG).
C'è una catena di problemi da affrontare insieme con buona volontà e anche con ottimismo. Forse siamo diversi dagli altri perché siamo più ottimisti e il nostro ottimismo ci porta a dire che se c'è un problema, va affrontato, senza lasciare che rimanga tale.

VINCENZO LORENZELLI, Rettore del Campus Bio-Medico. Sarò molto rapido, ma devo una risposta all'onorevole Palmieri.
Noi puntiamo moltissimo sul dottorato e sui giovani, come già ho affermato, al punto che, mentre è previsto che applichiamo un overhead, una percentuale di trattenuta sui fondi che i ricercatori riescono a ottenere come finanziamenti grazie alla loro bravura, del 15 per cento, che dovrebbe servire per le spese generali, abbiamo ottenuto dal consiglio di amministrazione che tale cifra, pur trattenuta, venga totalmente destinata a incrementare il pool delle borse di dottorato.
Il risultato è che, accanto alle borse che vengono dal ministero, che rappresentano oggi da noi il 30 o il 40 per cento, ne abbiamo altri due terzi, finanziate da privati, come case farmaceutiche o industrie, o in autofinanziamento, grazie alla produzione di denaro che deriva dalla qualità del lavoro dei ricercatori.
Il problema della carriera dei giovani è essenziale se vogliamo ringiovanire le università, però dobbiamo anche partire da un presupposto, su cui bisogna essere chiari: i dottorandi non sono soltanto destinati a inserirsi nella carriera universitaria. Dobbiamo svolgere un lavoro - questo è ben poco chiaro - per produrre persone che portino plusvalore nelle aziende. Questo è il nostro grande auspicio. Avendo 60 dottorandi, non potremmo mai pensare di inserirli tutti nel Campus Bio-Medico. Mi auguro, al limite, che non ne rimanga nessuno, perché sarebbe il nostro vero successo se riuscissimo a innervare il sistema nazionale.
Quanto ai finanziamenti, chiudo con una considerazione seria, ma che finisce in una battuta.
Proprio stamattina ho portato in Senato accademico il budget della ricerca. Prevediamo di avere lavoro per circa 5 milioni e mezzo di euro. Di questi, la prima voce sono i contributi del MIUR, ammontanti a 500 mila euro; stiamo parlando del 10 per cento. Non riferisco l'entità degli altri, ma leggo le intestazioni: programmi quadro europei, una fonte in cui bisogna addestrarsi ad andare a cercare, e il professor Rossini ha ricordato che lo stiamo facendo; fondi strutturali e regionali dell'Unione europea, per i quali vale la stessa osservazione; progetti internazionali di enti pubblici; contributi da enti o istituzioni pubbliche, ma non ministeriali; progetti internazionali di impresa ed enti privati; progetti nazionali di impresa ed enti privati; erogazioni liberali da impresa; erogazioni liberali da privati; sperimentazioni cliniche, un grande introito se si sanno condurre bene; proventi da


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imprese per progetti commerciali realizzati in comune e - chiudo con un sorriso - rette asilo nido. Abbiamo, infatti, anche un asilo nido, che rappresenta un costo, ma le cui rette vengono introdotte tra gli introiti della ricerca.

PRESIDENTE. Complimenti. Questo dà veramente l'idea del sistema integrato. Quando parliamo di sistema integrato dobbiamo intenderlo veramente in questo senso. L'università, con la sua autoreferenzialità, dovrebbe fare tesoro di tutte le esperienze, a partire da quella che ci ha presentato anche l'onorevole Mazzarella, e portare fuori anche ciò che produce al suo interno.
Grazie e congratulazioni. Siamo veramente orgogliosi di avervi ricevuto in questa giornata, che ha rappresentato un motivo di eccellenza per l'intero Paese e - ci auguriamo - per il mondo. Grazie, grazie.
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 14,30.

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