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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissione VII
3.
Mercoledì 18 luglio 2012
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Ghizzoni Manuela, Presidente ... 3

INDAGINE CONOSCITIVA SULLA PROPOSTA DI LEGGE C. 1294 SILIQUINI RECANTE ORDINAMENTO DELLA PROFESSIONE DI STATISTICO E ISTITUZIONE DELL'ORDINE E DELL'ALBO DEGLI STATISTICI

Audizione di rappresentanti della Società Italiana degli Economisti (SIE) e dell'Associazione Nazionale Statistici (ANASTAT):

Ghizzoni Manuela, Presidente ... 3 9 10 11 14 15
Barbieri Emerenzio (PdL) ... 10 12
Levi Ricardo Franco (PD) ... 9
Porri Mario, Presidente dell'Associazione nazionale statistici (ANASTAT) ... 5 13 14 15
Roncaglia Alessandro, Presidente della Società italiana degli economisti (SIE) ... 3 11 12
Zazzera Pierfelice (IdV) ... 11
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro per il Terzo Polo: UdCpTP; Futuro e Libertà per il Terzo Polo: FLpTP; Popolo e Territorio (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, Democrazia Cristiana): PT; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling; Misto-Repubblicani-Azionisti: Misto-R-A; Misto-Noi per il Partito del Sud Lega Sud Ausonia: Misto-NPSud; Misto-Fareitalia per la Costituente Popolare: Misto-FCP; Misto-Liberali per l'Italia-PLI: Misto-LI-PLI; Misto-Grande Sud-PPA: Misto-G.Sud-PPA; Misto-Iniziativa Liberale: Misto-IL.

COMMISSIONE VII
CULTURA, SCIENZA E ISTRUZIONE

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di mercoledì 18 luglio 2012


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE MANUELA GHIZZONI

La seduta comincia alle 9,10.

(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso e la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Audizione di rappresentanti della Società Italiana degli Economisti (SIE) e dell'Associazione Nazionale Statistici (ANASTAT).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla proposta di legge C. 1294 Siliquini, recante ordinamento della professione di statistico e istituzione dell'ordine e dell'albo degli statistici, l'audizione di rappresentanti della Società Italiana degli Economisti (SIE) e dell'Associazione Nazionale Statistici (ANASTAT).
Do la parola ai nostri ospiti per la relazione.

ALESSANDRO RONCAGLIA, Presidente della Società italiana degli economisti (SIE). Vi ringrazio per l'invito a discutere di una proposta di legge di grande importanza, che merita l'attenzione non solo degli statistici direttamente interessati all'istituzione dell'ordine e dell'albo degli statistici, ma di tutte le categorie, come ad esempio gli economisti, che rientrano tra gli utilizzatori sistematici delle informazioni statistiche.
Debbo fare due premesse. La prima è che la Società degli economisti (SIE), che raccoglie oltre ottocento soci tra i quali l'attuale Presidente del Consiglio dei ministri, il Governatore della Banca centrale europea e il Governatore della Banca d'Italia, non ha mai affrontato nelle sue riunioni scientifiche il problema degli ordini professionali. Per questo motivo, necessariamente parlo a titolo personale, pur se il consiglio di presidenza dell'associazione condivide le grandi linee del mio intervento.
La seconda è che, pur se debbo accettare l'etichetta di economista, tengo a precisare che sono laureato in Scienze statistiche e demografiche e che dal 1980 insegno alla Facoltà di statistica e, dopo la sua soppressione, faccio parte del Dipartimento di scienze statistiche dell'Università di Roma «La Sapienza». Sono, quindi, coinvolto.
Oltre al testo della proposta di legge, ho letto anche i resoconti delle due precedenti audizioni svolte nell'ambito dell'indagine conoscitiva, alle quali hanno partecipato i colleghi Enrico Giovannini e Maurizio Vichi. Penso, quindi, sia preferibile concentrare l'attenzione su alcuni aspetti che mi pare non siano stati considerati, piuttosto che ripetere considerazioni già svolte dai miei colleghi.
Il primo aspetto riguarda il fatto che istituzioni come gli ordini professionali hanno un costo di gestione che in genere non è trascurabile. Anche quando non viene posto a carico diretto del bilancio pubblico, ma a carico degli iscritti tramite le quote di iscrizione o a carico dei consumatori di servizi tramite imposte di


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bollo - la proposta progetto di legge richiama entrambe le tipologie di fonti di entrata - ci sono dipendenti da pagare, l'affitto della sede, canoni telefonici e così via.
Nella fase iniziale di costituzione dell'ordine professionale, appare inevitabile che questi costi siano a carico del bilancio pubblico, mentre, se ho letto bene, la proposta di legge non indica la copertura di queste spese di avvio. Quando le spese di funzionamento sono poste a carico degli iscritti, questi debbono ottenere un vantaggio dall'esistenza dell'ordine professionale. Ciò in genere si verifica tramite la fissazione di tariffe minime da parte dell'ordine che, grazie alla situazione di collusione monopolistica permessa dalla creazione dell'ordine, sono superiori a quanto si verificherebbe in assenza dell'ordine stesso.
Di conseguenza, le spese di funzionamento dell'ordine ricadono maggiorate sull'insieme dei consumatori e la competitività del sistema economico nazionale ne risulta sfavorita. Ciò, naturalmente, non implica un giudizio negativo su tutti gli ordini professionali, ma solo che il ricorso a questa istituzione deve essere limitato il più possibile, che è la linea seguita dall'Unione europea e dall'attuale Governo. In altri termini, dal punto di vista tipico dell'economista di calcolo di costi e vantaggi, i vantaggi di un nuovo ordine professionale dovrebbero essere significativi ed evidenti, non semplicemente positivi.
Tra i vantaggi non può essere annoverata la necessità per il settore pubblico di effettuare assunzioni aggiuntive. Aggiungo che la regolamentazione dettagliata dell'attività economica è vista con diffidenza dagli economisti, non solo e non tanto per i suoi costi diretti, quanto soprattutto per gli ostacoli che pone al progresso tecnologico e organizzativo, che richiede la massima flessibilità nelle direzioni più impreviste.
Il secondo aspetto che vorrei richiamare riguarda il carattere variegato dell'informazione statistica. Abbiamo le statistiche ufficiali prodotte dall'ISTAT e dalla rete del Sistema statistico nazionale (SISTAN) e abbiamo, accanto a esse, un'enorme massa di informazioni statistiche prodotte per i fini più diversi da una varietà di soggetti. Le statistiche, anche quelle ufficiali, non sono mai completamente affidabili. Le statistiche dell'ISTAT sulla produzione agricola, ad esempio, sono meno affidabili di quelle fornite dalla Banca d'Italia sui mutui immobiliari.
La garanzia che si può avere sulla bontà delle statistiche, a mio parere, sta più nella possibilità di controllo incrociato che nella certificazione. Ad esempio, se il dato sulla produzione edilizia si muove in direzione opposta a quelli su licenze edilizie, mutui immobiliari, entrate di registro, transazioni edilizie e produzione di cemento, possiamo sospettare che qualcosa non torni.
Teniamo conto del fatto che i dati forniti dal SISTAN e in particolare dall'ISTAT sono spesso politicamente sensibili e, nonostante la serena indipendenza dal potere politico dimostrata dall'ISTAT, l'esistenza della possibilità di controlli incrociati tra dati prodotti da fonti diverse costituisce un'importante garanzia aggiuntiva.
D'altra parte, l'esempio che ho fatto non è un esempio astratto, ma un caso realmente verificatosi all'inizio degli anni Settanta, in un momento in cui segnalare un crollo della produzione edilizia serviva per rimettere in discussione la riforma urbanistica da poco approvata. In tutti questi casi quella che aiuta a migliorare l'informazione statistica è l'azione critica di controllo del pubblico degli utenti sulle informazioni statistiche.
Di qui arrivo al terzo e ultimo aspetto. Sia l'interpretazione sia la verifica del dato statistico richiedono quelli che nel gergo della mia vecchia facoltà vengono chiamati «saperi sostantivi», accanto ai saperi metodologici dello statistico. Questi richiedono, cioè, la conoscenza della materia di cui il dato tratta: l'economia per i dati economici, la sociologia per i dati sociali e così via. Se non conosco il mercato petrolifero, non so cosa esattamente


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si intende quando si parla di riserve petrolifere o di prezzo del petrolio. Se non conosco le consuetudini tributarie di un Paese, non so quale valore attribuire ai dati dell'IVA.
Il punto di forza della vecchia facoltà di statistica, prima delle ultime riforme che hanno puntato quasi tutto sulla statistica introducendo pesanti rigidità nei corsi di studio, stava proprio nell'affiancare una ottima preparazione economica e sociologica a una ottima, ma non autoreferenziale, formazione statistica, favorendo la formazione di scienziati sociali quantitativi con un buon successo nelle iscrizioni e un ottimo successo nelle carriere dei laureati.
Personalmente sono diffidente quando gli economisti rinunciano a prendere in considerazione aspetti sociologici, come, ad esempio, le tensioni sociali che derivano dalla disoccupazione, per chiudersi nel loro campo inteso in senso stretto. In concreto, al di fuori del campo della ricerca scientifica, dove la specializzazione è in larga misura inevitabile, le figure professionali di cui avremmo bisogno non sono quelle dell'economista puro, del sociologo puro o dello statistico puro, ma soprattutto quelle che combinano in vari modi i diversi tipi di competenze.

MARIO PORRI, Presidente dell'Associazione nazionale statistici (ANASTAT). Ringrazio per l'opportunità che ci viene offerta, sia in merito all'importanza del riconoscimento di una professione che prevede un esame di Stato dal 1930, sia per quanto riguarda l'urgenza in Italia di regolamentare la gestione dell'informazione statistica, che, come sappiamo, è spesso strumentalizzata.
La sostanza della proposta di legge si può sinteticamente ricondurre a due concetti chiave: l'attestazione di competenza e la certificazione del dato. Nel nostro Paese, il riconoscimento di una professione avviene solo tramite una legge che ne istituisce l'ordinamento. Fintanto che la tutela dei cittadini, degli utenti e dei clienti viene demandata agli ordini, tra cui quello esistente dei laureati in Scienze statistiche con indirizzo attuariale, non si comprende perché agli altri laureati in Scienze statistiche, che sono almeno venti volte superiori di numero, non sia debba riconoscere la loro professionalità.
Nelle precedenti audizioni l'ISTAT e la Società italiana di statistica (SIS) sono stati concordi nel ribadire che è necessaria una professionalità specifica per chi è responsabile delle statistiche. In particolare, il professor Giovannini, presidente dell'ISTAT, citando i quattro obiettivi della proposta di legge, sottolineava che «sono certamente obiettivi condivisibili, tant'è vero che il Sistema statistico nazionale si è già attivato per fronteggiare alcuni di questi problemi». Purtroppo solo alcuni, diremmo noi.
Occorre questa legge affinché anche l'ISTAT abbia a disposizione dati certi e non verosimili, sia che provengano dagli uffici statistici di pubbliche amministrazioni, sia che provengano da società e organismi privati. Attualmente nessuno certifica le elaborazioni, le analisi statistiche e, cosa ancor più grave, i dati alla fonte. Tale aspetto è presente nella relazione al Parlamento del Dipartimento della funzione pubblica e dell'ISTAT, in cui si sottolinea che «non c'è la certezza della loro validità, in quanto i dati raccolti non vengono tutti certificati, mancando la professionalità specifica».
Pertanto, non potremo mai essere d'accordo con chi dichiara genericamente che sono sufficienti i software, le procedure e la programmazione. È come usare anche frutta avariata, ma con un ottimo frullatore. Questo è il senso. È una contraddizione affermare che «le professionalità statistiche necessarie agli enti decentrati non sono più incentrate sulla raccolta dei dati - noi correggiamo non solo sulla raccolta dei dati -, ma sull'analisi di dati amministrativi forniti da enti quali INPS, INAIL e le camere di commercio». Si chiede, infatti, che tutti gli enti abbiano la possibilità di disporre di analisi statistiche attendibili, oltre che


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di dati certi, da fornire alla stessa ISTAT, ma questo lo può garantire solo un professionista.
Il professor Vichi, presidente della Società italiana di statistica, esordisce definendo importante la proposta di legge e continua ritenendo che «occorre avere la possibilità di certificare quando l'informazione è di tipo statistico» e «che questo dovrebbe essere svolto da una persona legalmente riconosciuta». Cita, tra l'altro, un concetto espresso dal Presidente Napolitano, ma anche dalle Nazioni Unite, cioè che «la statistica è imprescindibile per una nazione e per la governance del Paese». Anche la più autorevole associazione di statistica, nelle parole del suo presidente, replicando nella precedente audizione all'onorevole Barbieri, sostiene che è certamente fondamentale l'albo.
Nel decreto legislativo n. 322 del 1989 si istituisce il Sistema statistico nazionale, ma non è previsto chi debba dirigere l'Ufficio di statistica. Tralascio queste indicazioni per essere più sintetico. La situazione che registriamo rappresenta un'anomalia tutta italiana. Gli statistici attuariali, diplomati nelle stesse facoltà universitarie da cui escono tutti gli altri statistici, spesso con gli stessi professori, hanno un proprio ordine professionale; tutti gli altri laureati in scienze statistiche, invece, non ce l'hanno. È come accettare il fatto che il chirurgo plastico abbia un ordine professionale e il ginecologo o il dentista no, che l'avvocato civilista sì e il penalista no.
Dal sito dell'ordine nazionale degli attuari rileviamo che circa 150 attuari svolgono la propria attività come liberi professionisti e circa 400 come lavoratori dipendenti presso compagnie di assicurazione e nel settore previdenziale, numeri modestissimi rispetto ai 30.000 statistici afferenti alle altre discipline statistiche per le quali non è previsto l'albo e, soprattutto, rispetto ai numeri riferiti agli altri ordini.
Relativamente alle precedenti audizioni si sottolineano alcune inesattezze sostanziali, che non possono passare sotto silenzio proprio perché il nostro compito è fornire riscontri oggettivi onde permettere a chi gestisce la cosa pubblica, e in qualunque campo ove si prendano decisioni, di disporre di dati certi. La statistica resta uno strumento per fornire un valore aggiunto a chi deve effettuare le corrette scelte.
Gli uffici di statistica del Sistema statistico nazionale hanno in media tre addetti - il pollo di Trilussa, per semplificare - e ne risultano operanti 3.496 sugli oltre 10.000 enti che dovrebbero avere al proprio interno un ufficio di statistica. È vero che c'è un ridimensionamento generalizzato delle immatricolazioni nelle università, ivi compresa l'ex facoltà di scienze statistiche, ma nell'anno 2010 erano 427 gli iscritti alla Facoltà di scienze statistiche della sola Università «La Sapienza» e non di tutte le altre diciannove città italiane in cui sono presenti 44 corsi di laurea tra primo e secondo livello. Come vedete, i numeri sono importanti.
Si è parlato anche dei laureati. Ebbene, il trend dei laureati negli ultimi trent'anni è andato aumentando fino a un massimo di 1.900 laureati in Scienze statistiche nel 2003. È continuato e non è mai calato sotto i 1.100 laureati ogni anno fino a oggi. I numeri sono, quindi, più che sufficienti, contrariamente a quanto si è detto, e sono funzionali agli uffici di statistica del SISTAN per coprire le necessarie funzioni operative.
Vorrei passare al discorso relativo ai posti assegnati agli statistici nel Sistema statistico nazionale. I posti assegnati agli statistiche nel SISTAN sono ridotti solo al 5,4 per cento nel caso degli addetti e al 3,8 per cento nel ruolo di dirigenti di uffici di statistica della pubblica amministrazione. Questo perché il posto che naturalmente doveva essere assegnato per concorso specifico agli statistici o a chi aveva superato l'esame di Stato nelle discipline statistiche è stato occupato o concesso ad altri senza giustificato motivo, in base a errati parametri che non hanno nemmeno preso in considerazione


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l'equipollenza, che come dimostreremo non è prevista, ma semplicemente l'affinità.
La realtà ha superato la fantasia. Si è presa in considerazione addirittura la pertinenza al ruolo di una laurea. Infatti, l'equipollenza di altri corsi laurea con le Scienze statistiche è negata dal decreto interministeriale del 22 marzo 1993, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 269 del 1993, che ha integrato il precedente del 1991. In entrambi viene ribadita la non equipollenza di altre lauree con le lauree in Scienze statistiche quando il concorso è per statistici.
Le disposizioni di legge sulla non equipollenza sono però disattese. In molti concorsi pubblici si prescinde dalla laurea in statistica e, come è scritto in molti bandi, basta che i candidati abbiano conseguito «un dottorato di ricerca o un diploma universitario di specializzazione post-laurea di durata almeno biennale in materie pertinenti all'area concorsuale». Vige pertanto la pertinenza, termine particolarmente vago, e ai candidati non viene richiesto il superamento dell'esame di Stato di abilitazione in discipline statistiche. Non viene, quindi, attestata la loro capacità professionale e i risultati si vedono.
Per quanto riguarda gli studi in scienze statistiche, ricordo soltanto che la già citata Facoltà di scienze statistiche dell'Università «La Sapienza» di Roma è stata accorpata nella Facoltà di ingegneria dell'informazione, informatica e statistica, nata grazie alla legge Gelmini che ha contratto le facoltà di minore importanza. I corsi di laurea presenti oggi sono otto solo nel Dipartimento di statistica della Facoltà di ingegneria dell'informazione.
Cosa faccia lo statistico lo sappiamo e lo si legge all'articolo 2. Lo statistico è specializzato nel raccogliere, analizzare e interpretare dati quantitativi per facilitare la comprensione della realtà e le decisioni di enti pubblici, organi di governo, aziende, scienziati, medici, imprese farmaceutiche, società di ricerca e analisi dei dati, ma anche di altri professionisti, quali economisti, sociologi o psicologi, che possono utilizzare dati certificati alla fonte.
Lo statistico non si sovrappone ad altre figure professionali, ma certifica i dati. Un esempio operativo importante è quello della Corte dei conti, in cui gli statistici svolgono la propria attività soprattutto all'interno di quegli uffici addetti al controllo le cui funzioni attengano in modo particolare alla sfera statistica, quali Sezione controllo enti, Sezioni riunite in sede di controllo, Sezione centrale controllo sulla gestione, Sezioni regionali di controllo. Forniscono, tra l'altro, relazioni e rapporti sul coordinamento.
Nel ringraziarvi dell'attenzione, vengo alle conclusioni. Gli statistici non vogliono una tutela corporativa, ma il riconoscimento della loro professione nell'interesse del Paese. La proposta di legge C. 1294 formalizza il riconoscimento della professione statistica perché essa è già certificata dall'esame di Stato di abilitazione alle discipline statistiche, di cui al decreto ministeriale 9 settembre 1957 e successive modificazioni, sia per il pubblico che per il privato.
«Lo chiede l'Europa» è lo slogan che sentiamo ripetere spesso, nel bene o nel male, ma l'Europa non nega il riconoscimento di una professione che negli altri Paesi è riconosciuta e considerata indispensabile, come in Gran Bretagna attraverso la Royal Statistical Society, citata anche dal presidente della SIS, professor Vichi.
In altra audizione è stato citato il Codice delle statistiche europee, adottato dal Comitato del programma statistico europeo il 24 febbraio 2005, il quale raccomanda che gli Stati membri «garantiscano che i propri servizi statistici siano organizzati secondo criteri di professionalità e dotati di risorse sufficienti a produrre statistiche comunitarie con modalità tali da assicurare l'indipendenza, l'integrità e la responsabilità sulla


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base delle indicazioni contenute nel Codice». Questo dice l'Europa.
Tale codice è stato recepito in Italia dopo cinque anni, nel 2010, con la direttiva n. 10 del Comstat, con deliberazione del 17 marzo 2010, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 240 del 13 ottobre 2010. Dalla direttiva, però, spariscono i criteri di professionalità europei. Viene invece inserita la qualità dei processi tutta italiana. Si è passati dalla necessità di avere un esperto professionista che garantisca, come vuole l'Europa, all'unica gestione della qualità del software utilizzato nelle procedure, cosa diversa nella sostanza.
È stato detto, inoltre, che la standardizzazione dei metodi statistici consente anche a non specialisti di produrre statistiche e, soprattutto, di produrre conoscenza e non numeri. Produrre conoscenza è un obiettivo secondo noi troppo ambizioso. Ci accontenteremmo di mettere a disposizione informazioni utili desunte da dati certi.
A parte il fatto che sull'edificio che ospita l'ISTAT è scritto numerus rei publicae fundamentum, il «fai da te» proposto può essere accettato solo da soggetti privati che si assumono la responsabilità di quanto affermano anche in sede penale, ma non da enti preposti alla certificazione di metodi, standardizzazione e dati.
Non dimentichiamo che le informazioni sintetiche o analitiche prodotte dalle varie elaborazioni ufficiali ricadono sulle scelte politiche di un'intera nazione e sono comunicate all'Europa. Errori dovuti alla carenza di controllo statistico di gestione negli ultimi anni sono sotto gli occhi di tutti, distribuiti più o meno equamente nei diversi settori, da quello finanziario alla zootecnia, all'ambiente, ai redditi, alle banche, alle quote latte, ai rifiuti, alle energie rinnovabili. L'Europa continua a sanzionare l'Italia ripetutamente per la scarsa attendibilità dei dati forniti dai vari enti preposti.
Non sarebbe ora di cambiare e partire da informazioni corrette perché certificate? L'Istituto nazionale di statistica e il Sistema statistico nazionale, a cui teniamo, non potrebbero che ricavarne benefici. La statistica ufficiale, per funzionare, ha bisogno che ogni ente e amministrazione che usufruisce di fondi di provenienza pubblica, compresi gli enti previsti dal decreto n. 322 del 1989 sul SISTAN, possa disporre al proprio interno di un ufficio di statistica, esistendo l'obbligo di istituirne uno in modo autonomo o associato o come servizio consortile. Come sappiamo, esiste circa un terzo dei 10.000 uffici previsti.
In Italia, quando si parla di statistica, si pensa alla poesia di Trilussa e all'ISTAT e dei dati si fa un uso solo informativo e non operativo, ossia finalizzato alle decisioni. Attualmente è in atto la spending review, che è possibile solo mediante il controllo statistico di gestione e una programmazione riferita ad analisi costi-benefici. Un corretto contenimento della spesa pubblica si potrà avere solo se verrà coordinata la filiera di raccolta dei dati specifici, a partire dalla Presidenza del Consiglio dei ministri e dal Ministero dell'economia e delle finanze, fino ad arrivare all'ultimo dei 10.000 enti pubblici, attraverso una catena professionale di carattere statistico operante negli uffici di statistica costituiti e professionalizzati.
La professionalizzazione degli uffici di statistica della pubblica amministrazione e dei suoi addetti, valorizzando il previsto esame di Stato delle discipline statistiche, è conditio sine qua non per qualunque policy. La statistica, come da tutti confermato e come gli onorevoli sanno bene, è scienza dello Stato. La strada dell'ordine professionale non può che essere, quindi, la più consona al ruolo di garanzia che essa deve svolgere.
Il Parlamento può mettere fine a un'incongruenza che esiste da molti anni e fornire al problema una soluzione che non è più possibile posticipare affinché si possano offrire migliori e corrette informazioni a un mondo sempre più globalizzato ed esigente.


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PRESIDENTE. Ringrazio gli auditi e do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

RICARDO FRANCO LEVI. Ringrazio il professor Roncaglia e il professor Porri per la loro esposizione, che conferma quanto abbiamo sentito nel corso delle precedenti audizioni e dà plasticamente atto di due posizioni profondamente diverse sul tema.
Da un lato, c'è una posizione tesa ad avere un riconoscimento dell'ordine a partire dalla necessità della certificazione come elemento di sicurezza dei dati. Dall'altra, esposta con chiarezza dal professor Roncaglia, c'è una visione opposta, che vede non nell'atto formale della certificazione la garanzia della sicurezza dei dati, bensì nel controllo incrociato delle serie statistiche e dei dati che provengono dalle rilevazioni e che si affida semmai alla capacità interdisciplinare di comprendere la realtà di cui le statistiche ci offrono una fotografia.
La mia è più una riflessione che una domanda, in quanto i termini sono stati posti con chiarezza nelle audizioni che abbiamo svolto, a partire da quella interessante, esaustiva, ricca e per tanti versi anche straordinaria del professor Giovannini. Sento di dovermi esprimere personalmente e sono interamente dalla parte espressa dal professor Roncaglia. Vorrei dire che ho trovato nell'esposizione del professor Porri proprio le ragioni a contrario di questa persuasione.
Il professor Porri fa un riferimento puntuale ed esatto alla vicenda di questi giorni della spending review. Credo risulti con tutta evidenza che quello del controllo della spesa non è un problema di controllo e di certificazione dei dati che si possa risolvere con un'immissione di professionisti atti a rilasciare un bollo di autenticità su un numero. È piuttosto una questione di comprensione della complessità dei meccanismi attraverso cui si genera la spesa e dell'altrettanto forte complessità dei meccanismi più semplici che si possono mettere in atto per ridurre quella spesa.
Siamo in realtà di fronte a due atteggiamenti diversi. Il professor Porri ha correttamente richiamato la scritta che sta sulla sede dell'ISTAT come una sigla che ci ricorda quanto il numero e la certezza dei dati siano beni pubblici e come tali siano a fondamento della cosa pubblica. Ma proprio per questo la cronaca di questi giorni ci dice che il problema è il drammatico taglio dei fondi di sostentamento dell'ISTAT, la drammatica riduzione dell'investimento pubblico nella creazione di statistiche.
Il professor Roncaglia, tornando indietro fino agli anni Settanta, ha citato le statistiche sull'edilizia, ma nelle statistiche della Grecia abbiamo un tragico esempio molto più vicino a noi che mostra come il tema sia quello della vera indipendenza dei fornitori di statistica. Insieme al professor Giovannini avevamo ripreso la questione del dare corpo alla realtà della statistica come bene pubblico su scala europea al pari della moneta, arrivando a creare, cosa che è già stata non solo immaginata ma proposta più volte, un sistema statistico europeo che, a partire dalla piena indipendenza dell'Istituto europeo di statistica (EUROSTAT), consenta la piena indipendenza degli istituti nazionali di statistica sul modello del sistema delle banche centrali.
Credo sia questa la strada maestra e la strada corretta da seguire. Onestamente non mi sento né di condividere né di appoggiare la proposta dell'istituzione di un ordine degli statistici. Era emersa nelle nostre audizioni l'ipotesi - non vorrei essere irrispettoso - di una soluzione «B», termine che oggi va di moda, mirante alla creazione di un albo anziché di un ordine. Ritengo, però, che i problemi si affrontino prendendoli per le corna e il tema è quello di considerare fino in fondo la necessità di dare sostanza alla statistica come bene pubblico, investendo nell'ISTAT e nel sistema europeo


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di statistica e privilegiando quelli che il professor Roncaglia chiamava, con antico termine, i saperi sostantivi.
Essi rappresentano, infatti, la capacità di comprendere la materia da cui estrarre i dati significativi.

EMERENZIO BARBIERI. Io non so se con quelle di oggi abbiamo chiuso il ciclo delle audizioni. Ciò che faremo lo decideremo successivamente e non necessariamente all'unanimità. Può anche darsi che si decida a maggioranza. Poiché condivido nella sostanza, tranne che nella parte finale, l'intervento del collega Levi, vorrei limitarmi a porre quattro domande che a mio giudizio sono importanti per riuscire a capire anche la ratio degli interventi che qui abbiamo svolto. Rivolgo due domande al professor Roncaglia e due al professor Porri.
Il professor Roncaglia ha detto che le spese di funzionamento dell'ordine ricadono maggiorate sull'insieme dei consumatori. Io avrei bisogno di una migliore delucidazione in merito a tale questione. Credo che ciò voglia dire che anche le spese di funzionamento dell'ordine degli avvocati ricadono su chi ne usufruisce.
Ritengo, però, che l'etica del singolo avvocato o del singolo statistico dovrebbe fare sì che le spese di funzionamento dell'ordine non gravino sui «clienti». Siamo altrimenti sempre da capo, in una situazione, cioè, nella quale chi finisce per rimetterci è il cliente o il produttore iniziale, come avviene nella filiera agricola, tanto per fare un parallelismo.
La seconda domanda riguarda una sua affermazione forte a proposito del fatto che le statistiche dell'ISTAT sulla produzione agricola sono meno affidabili di quelle sui mutui fornite dalla Banca d'Italia. Avrei bisogno che lei mi spiegasse bene perché. Io, come la presidente Ghizzoni e l'onorevole Levi, vivo in una regione in cui il settore primario ha un ruolo fondamentale. Nel momento in cui dicessi a un conduttore di fondo agricolo che le statistiche dell'ISTAT sulla produzione agricola sono meno affidabili di quelle fornite dalla Banca d'Italia, credo che rimarrebbe un po' stupito.
La prima domanda per il professor Porri è relativa alla sua osservazione in merito al fatto che l'informazione statistica è spesso strumentalizzata. Ho bisogno di capire da chi, per quali motivi e perché. Nel suo intervento ha citato più volte e a ragione i polli di Trilussa, ma bisogna capire chi strumentalizza l'informazione statistica. Un conto è che lo faccia l'azienda che produce materiale per la vulcanizzazione delle gomme; un conto è che lo faccia un sindaco o il governatore di una regione.
Lei afferma poi che le precedenti audizioni sono state concordi nel ribadire che è necessaria una professionalità specifica per chi è responsabile delle statistiche. Sono d'accordo, ma vorrei che lei mi spiegasse l'equazione per cui questa affermazione sfocia inevitabilmente nella costituzione dell'ordine o dell'albo. Non è un passaggio automatico.
È un teorema e, come tutti i teoremi, ha bisogno di essere dimostrato.

PRESIDENTE. Vorrei porre anch'io una domanda al professor Porri in ordine ad alcune affermazioni contenute nella sua relazione.
Lei fa riferimento alla necessità di garantire l'attendibilità del lavoro di tipo statistico, ma sostiene che ciò può essere garantito solo da un professionista. È un'affermazione pesante perché significa che potrebbero esserci dubbi sui lavori di carattere statistico svolti fino a oggi. Il collegamento con tale preoccupazione, che pervade tutta la sua relazione, mi pare di capire che ci sia un allarme in merito alla necessità di certificare l'esattezza, ammesso che di esattezza si possa parlare, dell'interpretazione dei dati.
Come potrebbe concretamente l'ordine, le cui funzioni sono elencate all'articolo 22 della proposta di legge in esame, concernente le attribuzioni del Consiglio dell'ordine e del Presidente, che sono tutte tra il burocratico e il gestionale - cura dell'albo, vigilanza sulla tutela


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del titolo professionale, adozione di provvedimenti disciplinari -, fornire la garanzia della certificazione dei dati?
Sono altri, semmai, gli strumenti che possono approdare a un esito come quello da lei atteso nella sua relazione.

PIERFELICE ZAZZERA. Intervengo brevemente sulla qualità professionale, che secondo me svolge un ruolo delicato soprattutto in una società liquida come quella di oggi, dove un'informazione corretta o sbagliata determina spostamenti di capitali, reazioni della finanza e via dicendo. Basta che un'indagine statistica indichi in prospettiva una perdita di prodotto interno lordo o di produzione perché possano verificarsi, almeno in base a quello che stiamo vivendo da qualche anno a questa parte, conseguenze anche per l'interesse generale di un Paese. Il ruolo della statistica è dunque delicato e di tale delicatezza occorre avere consapevolezza.
Perché per avere consapevolezza di questo ruolo è necessario istituire un ordine degli statistici? È fondamentale e prioritario che esista l'ordine perché la delicatezza del ruolo degli statistici sia riconosciuta? Italia dei valori chiede da tempo al Paese una revisione degli ordini professionali. Non siamo favorevoli al la cancellazione, ma vorremmo che si aprisse una riflessione sull'utilità degli ordini o, quantomeno, sull'eventualità di rivederne il ruolo anche in forme diverse.
È vero che possono essere utili, ma forse avremmo bisogno degli statistici per capire quali sono stati i risultati degli ordini professionali nel loro complesso, ivi compreso quello dei medici, di cui io sono membro, e se non siano diventati strumento di gestione delle risorse di chi contribuisce al loro funzionamento. Forse il ritorno a un'aggregazione di natura associativa potrebbe garantire ugualmente - le pongo anche questa domanda - la qualità e la professionalità dello statista o di altre categorie.
Mi sarebbe utile sapere anche quali sono, a vostro giudizio, le aree di impiego in cui è forte l'esigenza di avere la presenza degli statistici. Potrebbe essere la pubblica amministrazione o la gestione delle ASL in ambito sanitario? Ciò potrebbe servire per non dover ricorrere a un provvedimento come quello recante la spending review e per attuare il controllo della spesa a monte, avendo in mano dati e letture statistiche di cui non so se oggi la pubblica amministrazione sia o meno in possesso?
Potrebbe essere questo un campo in cui investire?

PRESIDENTE. Do la parola ai nostri ospiti per la replica.

ALESSANDRO RONCAGLIA, Presidente della Società italiana degli economisti (SIE). Una delle domande che mi sono state rivolte era implicita nell'esposizione dell'onorevole Levi. Condivido con forza la necessità di rafforzare l'ISTAT e il SISTAN. Vorrei che su questo non ci fosse il minimo dubbio. Per gli economisti e per il Paese è essenziale che l'ISTAT abbia una vita solida, che è anche la base per garantirne l'indipendenza. Un ente pubblico che deve mendicare i soldi per il proprio finanziamento è vincolato nella sua indipendenza.
Per quest'aspetto, tuttavia, io penso che l'indipendenza non sia sufficiente da sola. È essenziale che non vi sia il monopolio nella produzione di statistiche ed è essenziale, per esercitare questa funzione di controllo reciproco, che vi sia una varietà di enti che producono informazione statistica. Nel momento in cui, ad esempio, le previsioni e i dati di consuntivo sono prodotti da uno stesso ente, al di là della pressione politica, vi è evidentemente una pressione interna ad aggiustare i dati di consuntivo alle previsioni che sono state fatte. All'interno del SISTAN penso che sia possibile garantire questo pluralismo e occorre anche dare spazio alla raccolta di informazioni statistiche da parte dei privati.
Non è la certificazione del dato che conta perché, nel momento in cui discende da un struttura politica, la certificazione finisce anzi con l'andare in


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senso opposto a quello che chiedo, cioè nel senso di una compattezza dell'informazione statistica, mentre è proprio la varietà che garantisce l'indipendenza.
L'onorevole Barbieri mi chiedeva di chiarire le osservazioni sulle spese di funzionamento dell'ordine. Tutti gli ordini professionali assorbono risorse e hanno bisogno di lavoratori, di sedi e così via, e in questo senso hanno un costo. Tutte le attività che hanno un costo possono essere intraprese se i vantaggi superano i costi. Nel caso dell'ordine dei medici, ad esempio, non ho dubbi sul fatto che, per quanto l'ordine sia parecchio costoso, l'utilità nel controllo e nella garanzia della professionalità sia di importanza vitale. L'elemento di costo va però sottolineato. Non basta dire che la costituzione di un'istituzione è utile. Bisogna anche che questa utilità sia significativa e chiara.

EMERENZIO BARBIERI. Scusi se la interrompo, professore, ma le decine e centinaia di condanne che stanno subendo i medici per comportamenti sbagliati non va nella direzione che lei ha testé affermato.
L'ordine non è necessariamente in grado di garantire al paziente che il medico iscritto sia immune da errori.

ALESSANDRO RONCAGLIA, Presidente della Società italiana degli economisti (SIE). Naturalmente no. Possiamo solo sperare che i casi di questo tipo siano di numero inferiore rispetto a quanti sarebbero in assenza di un ordine. Allo stesso modo, la certificazione del dato statistico non ci garantisce che non ci siano dati sbagliati. Possiamo sperare che si riducano, ma secondo me la speranza viene soprattutto da quegli aspetti di controllo incrociato di cui parlavo.
Vengo alla seconda domanda che lei mi aveva gentilmente posto. Quando dico che le statistiche agricole dell'ISTAT sono meno affidabili di quelle sui mutui prodotte dalla Banca d'Italia, non intendo dire che l'ISTAT sia meno bravo della Banca d'Italia. Intendo solo dire che tutti i dati statistici per loro natura non sono sicuri né certi.
Quando il censimento mi dice che la popolazione italiana è pari a 59.423.372 persone, l'unica cosa che so con sicurezza è che il dato relativo alle 372 unità è sicuramente sbagliato. Il modo di misurare la popolazione ci dà una probabilità di avvicinarci al dato giusto, ma non la sicurezza del dato in quanto tale. Questo significa che, a seconda della materia e a seconda del tipo di dato che noi produciamo, l'approssimazione inevitabile nella creazione del dato statistico può essere maggiore o minore. Nel caso della produzione agricola noi sappiamo che l'approssimazione è minore.
In effetti, l'esempio che faccio è la prima lezione di economia che Sylos Labini impartiva all'università. Agli iscritti della Facoltà di statistica diceva di ricordarsi che ci sono statistiche più affidabili e meno affidabili per loro natura, non per maggiore o minore capacità dell'ente. Le statistiche sui mutui sono comunicate dalle banche alla Banca d'Italia e quindi sono più tranquillamente affidabili. La statistica sul prodotto interno lordo, come lei sa, è invece una stima sulla quale si continua a discutere.
Questo problema dell'affidabilità e dell'esattezza dei dati si pone in misura aggravata quando si tratta di previsioni. Mi riferisco ora all'intervento dell'onorevole Zazzera. Le previsioni sono estremamente delicate, ma ciò non toglie che ci troviamo regolarmente di fronte a previsioni di tipo diverso. Enti ufficiali come il Fondo monetario internazionale, l'Unione europea, l'ISTAT o la Banca d'Italia preferiscono indicare una forchetta, ma fanno previsioni diverse che cambiano continuamente e continuamente vengono aggiornate.
La necessità di essere pienamente consapevoli della delicatezza di un dato che può provocare reazioni non ha a che fare, a mio parere, con la certificazione di un ordine statistico, perché le previsioni vengono fatte seriamente da enti come il Fondo monetario internazionale, dove lavorano economisti esperti di statistica.


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Questo mi porta all'ultima domanda sui campi in cui si sente l'esigenza degli statistici. Io insegno da più di trent'anni ormai in una facoltà di statistica e i miei laureati sono laureati in scienze statistiche e qualcos'altro. Per me è importantissimo che trovino lavoro. Cerco, quindi, di sapere se ci riescono e devo dire che per fortuna non ho notizia di alcuno dei miei laureati che sia senza lavoro.
Dalla facoltà di statistica si può accedere ad una quantità incredibile di posti, come ad esempio in Banca d'Italia alla vigilanza o all'ufficio studi, ma anche in altri settori - o in Guardia di finanza - vi sono due casi tra i miei laureati -, ovviamente nelle università e nei centri di ricerca, all'ufficio studi di Confindustria. I casi sono estremamente vari. Una collega è organizzatrice di concerti rock e sostiene che il fatto di essere laureata in statistica le è utilissimo perché manipola e gestisce i dati e sa quando conviene fare un concerto di un tipo o di un altro.
Non credo che la figura dello statistico puro sia la più richiesta dal mercato. La grande maggioranza dei nostri laureati fa lo statistico impuro.

MARIO PORRI, Presidente dell'Associazione nazionale statistici (ANASTAT). Intanto vorrei rispondere ai tre quesiti dell'onorevole Levi. L'ISTAT fornisce elaborazioni e dati sicuramente attendibili, ma il punto è che rileva o acquisisce dati originali sia dagli uffici di statistica della pubblica amministrazione nell'ambito del SISTAN sia da altri enti o organismi privati, che poi utilizza per fornire indicazioni al Parlamento, all'Europa e così via.
Se così è, l'ISTAT non ha «colpe», ma esistono responsabilità oggettive o soggettive in capo agli uffici di statistica del SISTAN che gestisce, tant'è vero che nella relazione al Parlamento del professor Giovannini e del Dipartimento della funzione pubblica si afferma che non c'è certezza della validità dei dati in quanto i dati raccolti non vengono tutti i certificati. Questo non lo dico io, ma lo dice l'ISTAT. Ci sono, quindi, due aspetti da considerare. Noi diciamo solo che l'ISTAT o lo Stato dovrebbero fare qualcosa in più da questo punto di vista.
Per quanto riguarda la spending review, lei ha perfettamente ragione, ma vorrei sottolineare il fatto che una spending review non dovrebbe effettuare tagli lineari e tagliare tutto percentualmente. Dovrebbe operare in maniera più chirurgica attraverso un controllo statistico, ma soprattutto dovrebbe esistere una filiera.
Dai 10.000 enti italiani in cui dovrebbe funzionare un ufficio di statistica, che invece non c'è - come dicevo, ne sono operativi all'incirca 3.490 -, dovrebbe provenire un'informazione immediata, originale e certificata, sulla base della quale il controllo statistico di gestione di ogni singolo ente, che è un'operazione a costo zero effettuata da tempo negli uffici amministrativi preposti, potrebbe permettere la diversificazione dei tagli. È una possibile soluzione che vi propongo.
I costi generali sarebbero inferiori perché i dati e le analisi elaborati alla fonte negli uffici di statistica e poi comunicati all'ISTAT avrebbero già in sé il valore aggiunto dovuto al passaggio dal dato all'informazione. Il SISTAN e l'ISTAT potrebbero disporre di dati che sono già elaborati da un ente o comune italiano e che per legge potrebbero già essere distribuiti e pubblicizzati. Per quanto riguarda la macchina del Sistema statistico nazionale e l'ISTAT, si otterrebbe, quindi, un risparmio e non una maggiorazione dei costi. Noi però non abbiamo certezze. Siamo statistici: registriamo i dati e forniamo riscontri oggettivi a tutti, anche a professionisti nostri colleghi quali economisti, sociologi eccetera.
Quanto alla strumentalizzazione, in generale questo problema riguarda anche la divulgazione delle informazioni e delle analisi statistiche. Oggi abbiamo Internet. Ogni volta che viene fornita al mondo un'indicazione, quale può essere la rilevazione di una percentuale di mele marce in Trentino del 30 per cento, questa informazione viene acquisita dall'opinione


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pubblica a prescindere dal fatto che sia vera o verosimile. È a questo che mi riferivo.
Rispondo così anche alle domande sulla professionalità. C'è un'assunzione di responsabilità da parte del professionista iscritto all'ordine ed è questo che assicura una maggiore garanzia per l'utente. Il medico ha un compito e un ruolo certificati. È fondamentale. Tutti posso sbagliare, ma c'è la garanzia oggettiva che ci si va a togliere un dente non da un maniscalco, ma da un dentista.
Le analisi che vengono divulgate devono essere certificate e l'ISTAT lo fa correttamente. Tuttavia, come ho già detto, non basta utilizzare un frullatore a dodici velocità: se la frutta che introduciamo non è perfettamente integra, non possiamo farci nulla. L'ISTAT fa di tutto per fornire l'informazione più corretta possibile al Paese. Per questo è fondamentale il controllo statistico di gestione con certificazione del dato alla fonte. L'ISTAT e gli altri enti preposti, quali INPS, INAIL, camere di commercio, sarebbero ben contenti se qualcuno all'interno del sistema dicesse loro che il dato è certo e possono darlo in pasto a tutti.
Siamo d'accordo sul fatto che l'assetto degli ordini professionali italiani debba essere rivisto e aggiustato, magari attraverso accorpamenti. Come dicevo, l'ordine degli attuari conta circa 550 membri. Si tratta di poche centinaia in confronto alle decine di migliaia di iscritti degli altri ordini. Siccome gli statistici sono 30.000, perché non si crea a costo zero una seconda sezione all'interno dell'ordine degli attuari? Era una proposta ventilata molti anni fa.
Se questa Commissione ritiene che non sia corretto istituire un nuovo ordine per gli statistici, si affronti il problema ottimizzando le risorse e facendo sì che in futuro un ordine importante come quello degli attuari non rischi di essere messo in discussione. Non saremmo d'accordo su una sua eventuale abolizione perché rappresenta un realtà importante. Fintanto che in Italia esisteranno gli ordini professionali e fintanto che le professioni saranno ufficializzate per legge in questo modo, chiediamo che se ne tenga conto.
Per quanto riguarda le ASL, nella relazione ho saltato per brevità alcuni passaggi che potrete leggere nella documentazione consegnata, ma nel 2008, nel ruolo tecnico delle 157 ASL, vi erano 85 statistici su 115.238 addetti e nelle 654 strutture di ricovero pubbliche ed equiparate su 98.172 addetti vi erano solo 37 laureati in Scienze statistiche. Questo conferma ciò che noi pensiamo e che so che molti di voi condividono. In ogni ente o ufficio in cui manca la gestione dell'informazione statistica e non viene attuato il controllo statistico di gestione non sono possibili il risparmio della spesa e l'ottimizzazione degli interventi. Come ripeto, la statistica viene messa a disposizione di tutti i decisori come valore aggiunto rispetto ai dati di partenza.
Spero di essere stato esaustivo.

PRESIDENTE. Professor Porri, io le avevo chiesto come potrebbero garantire la certificazione dei dati da lei invocata le funzioni attribuite all'ordine.

MARIO PORRI, Presidente dell'Associazione nazionale statistici (ANASTAT). Le chiedo scusa. All'interno di ogni singolo ufficio di statistica della pubblica amministrazione preposto all'acquisizione e trasmissione dei dati all'ISTAT dovrebbe esserci un laureato in Scienze statistiche. Gli uffici potrebbero anche essere consorziati. Non si parla di istituire 8.000 uffici di statistica o di accorpare i 3.400 esistenti. Un ufficio di statistica con uno o due addetti può gestire decine e decine di comuni italiani, considerate le loro modeste dimensioni.
Questo è un primo punto. Il secondo punto è l'assunzione di responsabilità. Se c'è la garanzia che un dato è certo perché è stato rilevato alla fonte e certificato, l'ISTAT automaticamente lo può acquisire e gestire.

PRESIDENTE. Questo mi è chiaro. Ma, stiamo parlando di una professionalità


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che passa attraverso un esame di Stato. Non è sufficiente questo per certificare i dati? A me pare che lo sia.
La necessità dell'ordine a garanzia dell'utente finale dove sta?

MARIO PORRI, Presidente dell'Associazione nazionale statistici (ANASTAT). Nel settore privato mi sembra legittimo, e oggi in Italia il privato è fondamentale. Nel settore pubblico l'ordine garantirebbe la professionalità e la possibilità in futuro di bandire concorsi per gli uffici di statistica della pubblica amministrazione, così come avviene per gli uffici tecnici.
Negli altri uffici settoriali della pubblica amministrazione è prevista l'assunzione di professionisti iscritti all'albo. Come lei sa, ingegneri e architetti non possono lavorare in un ufficio tecnico se non sono iscritti all'albo. Lo stesso vale per l'ufficio legale, l'ufficio stampa e le direzioni sanitarie. Perché non dovrebbe essere così anche per gli uffici di statistica, visto che è già previsto l'esame di Stato nelle discipline statistiche?
Spero di aver fornito risposta alla sua domanda.

PRESIDENTE. Ringrazio gli intervenuti e dichiaro conclusa l'audizione.
La seduta termina alle 10,20.

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