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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissione VIII
14.
Martedì 29 novembre 2011
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Margiotta Salvatore, Presidente ... 3

INDAGINE CONOSCITIVA SULLE POLITICHE AMBIENTALI IN RELAZIONE ALLA PRODUZIONE DI ENERGIA DA FONTI RINNOVABILI

Audizione di rappresentanti dello studio legale Watson, Farley & Williams:

Margiotta Salvatore, Presidente ... 3 5 7
Benamati Gianluca (PD) ... 6
Pardi Luca, Partner dello studio legale Watson, Farley & Williams ... 4 5 6
Realacci Ermete (PD) ... 5
Tranchino Eugenio, Managing partner per l'Italia dello studio legale Watson, Farley & Williams ... 3 7
Zamparutti Elisabetta (PD) ... 5

Audizione di rappresentanti dell'Istituto Nazionale di Statistica (ISTAT):

Margiotta Salvatore, Presidente ... 7 13 16 18
Benamati Gianluca (PD) ... 15
Giovannini Enrico, Presidente dell'ISTAT ... 8 16
Mariani Raffaella (PD) ... 13
Realacci Ermete (PD) ... 13 15 16
Zamparutti Elisabetta (PD) ... 14

Audizione di rappresentanti di Nomisma:

Margiotta Salvatore, Presidente ... 18 22
Rau Concetta, Rappresentante di Nomisma ... 18
Zaghi Andrea, Rappresentante di Nomisma ... 21 22
Zamparutti Elisabetta (PD) ... 22

ALLEGATI:
Allegato 1
: Documentazione consegnata dai rappresentanti dello studio legale Watson, Farley & Williams ... 23
Allegato 2: Documentazione consegnata dai rappresentanti dell'ISTAT ... 28
Allegato 3: Documentazione consegnata dai rappresentanti di Nomisma ... 48
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro per il Terzo Polo: UdCpTP; Futuro e Libertà per il Terzo Polo: FLpTP; Italia dei Valori: IdV; Popolo e Territorio (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, La Discussione): PT; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling; Misto-Repubblicani-Azionisti: Misto-R-A; Misto-Noi per il Partito del Sud Lega Sud Ausonia (Grande Sud): Misto-NPSud; Misto-Fareitalia per la Costituente Popolare: Misto-FCP; Misto-Liberali per l'Italia-PLI: Misto-LI-PLI.

[Avanti]
COMMISSIONE VIII
AMBIENTE, TERRITORIO E LAVORI PUBBLICI

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di martedì 29 novembre 2011


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PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE SALVATORE MARGIOTTA

La seduta comincia alle 14,05.

(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).

Audizione di rappresentanti dello studio legale Watson, Farley & Williams.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulle politiche ambientali in relazione alla produzione di energia da fonti rinnovabili, l'audizione di rappresentanti dello studio legale Watson, Farley & Williams.
Do la parola ai nostri ospiti.

EUGENIO TRANCHINO, Managing partner per l'Italia dello studio legale Watson, Farley & Williams. Sono l'avvocato Tranchino; il mio collega e io facciamo parte di uno studio internazionale con sede a Londra, con dodici sedi in Paesi europei e con un network internazionale. Ci occupiamo di materie ambientali, energetiche e di diritto marittimo. Contiamo circa 500 avvocati in tutto il mondo, con 3-400 persone di staff, per un fatturato complessivo di 150 milioni di euro. È uno studio con caratteristiche e impronta anglosassone. Ci occupiamo - ripeto - di materie specificamente ambientali e soprattutto, in Italia, di energia prodotta da fonti rinnovabili. A questo proposito, abbiamo presentato una denuncia d'infrazione presso la Commissione europea affinché lo Stato italiano fosse condannato a risarcire i danni e la legislazione italiana fosse censurata a livello comunitario per incoerenza e violazione del principio di affidamento in materia di energie rinnovabili sia dal punto di vista di diritto amministrativo, cioè di autorizzazioni e procedure amministrative dedicate a quello che gli inglesi chiamano permitting, sia in relazione a modifiche retroattive del sistema tariffario incentivante delle fonti rinnovabili in Italia.
Per quanto riguarda il primo aspetto, che non è stato parte della denuncia dinanzi alla Commissione europea - dove speriamo che sia accolta la richiesta di accertare la violazione dei principi comunitari e che lo Stato italiano sia condannato in tal senso, anche dinanzi alla Corte di giustizia europea - vi sono due aspetti importanti che abbiamo posto all'attenzione della Commissione stessa. Il primo è che il procedimento autorizzativo che le energie rinnovabili dovrebbero assicurare in Italia è totalmente incoerente rispetto agli impegni assunti dallo Stato italiano in sede comunitaria. Il secondo è che negli ultimi diciotto mesi ci sono stati ben cinque fondamentali emendamenti del sistema incentivante tariffario, in particolare sul fotovoltaico, che hanno portato a una totale incoerenza - se non a un vero e proprio caos giuridico - con pesanti conseguenze sul versante degli investimenti che gli operatori, soprattutto internazionali, hanno dovuto sostenere e che abbiamo visto venir meno.


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Dal punto di vista autorizzativo, vorrei semplicemente fare riferimento al primo testo legislativo, il decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387, che, ricalcando la legge 9 aprile 2002, n. 55, ha generato diversi caos normativi, portando solamente confusione. In particolare, vorrei citare l'istituto del procedimento unico, che si sarebbe dovuto compiere in 180 giorni e che, di fatto, non si è mai completato nei termini indicati perché, a livello normativo, tali termini non erano perentori. Per questo, si portavano avanti procedimenti autorizzativi per anni, attraverso conferenze di servizi che venivano politicamente strumentalizzate dai vari rappresentanti delle istanze locali. Infatti, inserire nello stesso sistema decisorio province, comuni e regioni ha comportato un non facile assemblaggio di consensi sul versante autorizzativo. L'istituto del procedimento unico ha, dunque, rappresentato un fallimento, che si è ribaltato sugli investimenti, soprattutto degli operatori stranieri, che si sono trovati in una situazione di incapacità economica perché hanno dovuto sostenere le spese di procedimenti autorizzativi molto lunghi e costosi. Inoltre, il cambiamento del sistema tariffario e incentivante in modo chiaramente retroattivo ha portato a far sì che l'Italia fosse considerata un Paese dove non investire il proprio denaro e non sviluppare queste forme di energia da fonte rinnovabile.
Chiedo, a questo punto, se il professor Pardi desidera aggiungere qualcosa.

LUCA PARDI, Partner dello studio legale Watson, Farley & Williams. In maniera meno tecnica rispetto al collega e amico Eugenio Tranchino, vorrei specificare che la legislazione da ultimo introdotta da parte del Governo ha comportato un rilevante danno di immagine al sistema italiano perché si è intervenuto - come diceva appunto il mio collega - in modo retroattivo in un settore dove gli investimenti sono lunghi e, pertanto, la loro realizzazione va pianificata con largo anticipo. Per esempio, per arrivare alla realizzazione e alla connessione di un impianto fotovoltaico di una certa dimensione, dal momento in cui l'investimento viene pensato a quello in cui l'impianto viene effettivamente allacciato alla rete e quindi inizia a produrre energia, passano facilmente un anno, un anno e mezzo o anche due anni, senza considerare le storture del sistema autorizzatorio che, a seconda delle regioni, sono più o meno evidenziate. Per esempio, in Sicilia occorrono due anni per ottenere che l'amministrazione regionale si pronunci. D'altronde, questi sono problemi vecchi, che non sono causati dall'ultima legislazione e che tutti noi conosciamo.
La questione seria, venuta in essere con l'incedere disordinato del Governo nel legiferare sulla materia, è che gli investitori esteri non stanno investendo più in Italia. Come operatori del settore - il collega diceva che ci occupiamo, per l'Italia, quasi esclusivamente di energia rinnovabile - abbiamo clienti, che rappresentano fondi di investimento tedeschi, inglesi, spagnoli e francesi, che non riescono a racimolare, tra gli investitori, i soldi necessari ogniqualvolta propongono un fondo che investa in Italia. Riescono a trovare i soldi per investire in Francia, in Grecia, in Spagna, in Portogallo, ma nessuno vuole investire in Italia perché con la legislazione disordinata, retroattiva e punitiva che è stata messa in pratica dal Governo si è tolta credibilità al mercato.
Abbiamo agito e stiamo agendo, da avvocati, nelle sedi di nostra competenza, ovvero davanti alla Commissione europea, al TAR Lazio e - speriamo - davanti alla Corte costituzionale e alla Corte di giustizia europea. Questo settore così importante - l'unico in attivo e in espansione durante l'attuale periodo di profonda crisi e recessione, consentendo la creazione di posti di lavoro - è stato duramente colpito e penalizzato, non si sa, però, se con intenzione. Invero, le dichiarazioni di alcuni ministri del passato Governo farebbero pensare che veramente si voleva colpire questo settore. Mi riferisco, per esempio, alla bufala della riduzione del 30 per cento degli incentivi con la manovra


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finanziaria, che credo fosse destinata esclusivamente a scoraggiare il mercato e gli investimenti.
In questo settore - lo chiediamo al legislatore - è assolutamente necessaria la stabilità e la sicurezza della legislazione. D'altronde, il nostro è un sistema giuridico da primo mondo, che dovrebbe garantire innanzitutto la certezza del diritto. Così, però, non è stato, causando - di questo ci sia consentito portare testimonianza - un grave danno di immagine al sistema Italia, tanto che solo le banche italiane, probabilmente abituate a questo modo di procedere, stanno timidamente concedendo investimenti, mentre quelli esteri sono quasi totalmente paralizzati. È, quindi, una situazione grave, alla quale dovrebbe essere posto rimedio.

ELISABETTA ZAMPARUTTI. A fronte di un sistema di incentivazione che assicurava vere e proprie rendite finanziarie a chi investiva nel settore del fotovoltaico e dell'eolico in Italia, con un ritorno finanziario come in nessun altro Paese al mondo, capisco che, nel momento in cui il Governo ha messo mano a un sistema di incentivazione che - spero vogliate darne atto - andava comunque rivisto perché eccessivo, gli operatori si siano organizzati per fare i ricorsi. Del resto, occorre dire che il Governo precedente si è comportato in maniera maldestra in questo ambito. Vorrei, però, sapere se finora la vostra denuncia in sede europea ha avuto qualche esito.

LUCA PARDI, Partner dello studio legale Watson, Farley & Williams. Esattamente quindici o venti giorni dopo la presentazione del nostro esposto, il commissario europeo per l'energia, Günther Oettinger, ha scritto al Ministro Romani, sollevando seri dubbi di compatibilità europea della legislazione posta in essere con il decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28, che pretendeva di attuare la direttiva comunitaria 2009/28/CE sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili, ma, di fatto, violava i principi inseriti nei considerando della direttiva medesima. In effetti, la direttiva andava nel senso di sviluppare ulteriormente il mercato, anche attraverso la stabilità e la sicurezza degli investimenti, mentre il citato decreto legislativo (cosiddetto «decreto Romani» generava l'effetto opposto perché disincentivava e creava incertezza.
Ora, quando e come si possa concludere il procedimento europeo relativo al nostro ricorso non è dato sapere. L'istruttoria, comunque, è in corso e stiamo attendendo. Da avvocati, preferiremmo andare davanti alla Corte di giustizia perché in quella sede il procedimento è più veloce e anche meno politicizzato; tuttavia, il procedimento istruttorio è in corso e siamo, ripeto, in attesa dei suoi esiti. Abbiamo, però, avuto un primo riscontro se non dalla Commissione nel suo complesso, dal relatore su queste materie presso la Commissione.

PRESIDENTE. Possiamo dunque dire che anche in Europa i tempi della giustizia non sono rapidissimi?
Nell'autorizzare la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna della documentazione consegnata dai rappresentanti dello studio legale Watson, Farley & Williams (vedi allegato 1), do ora la parola ai deputati che intendano porre quesiti o formulare osservazioni.

ERMETE REALACCI. Credo sia condivisibile la vostra considerazione sulla necessità di avere regole stabili, anche a garanzia degli investitori esteri. Voglio, però, esprimere con chiarezza il mio punto di vista. Noi abbiamo molto criticato la maniera raffazzonata, contraddittoria e anche proditoria con cui sono stati rivisti gli incentivi dal precedente Governo. Tuttavia, non auspico che abbiate successo nel ricorso di cui ci avete dato notizia perché quanto accaduto è oramai alle nostre spalle. Peraltro, anche altri Paesi europei, sebbene in maniera più seria, hanno rivisto retroattivamente gli incentivi. Lo ha fatto, ad esempio, la Germania, che, però, aveva ridotto gli incentivi giungendo a un accordo con le parti in causa,


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anche con le imprese produttrici, cosa che è mancata del tutto in Italia. Ciò non riguarda voi, che - giustamente - fate il vostro mestiere, ma è chiaro che, a fronte di un risultato che porta l'Italia ad avere 12.000 megawatt di fotovoltaico installati alla fine di quest'anno - vale a dire il 50 per cento in più di quanto previsto nel piano inviato all'Unione europea, il quale prevedeva 8.000 megawatt di fotovoltaico al 2020 -, oggi non dobbiamo porci l'obiettivo di recuperare il vecchio tipo di incentivazione, che potrebbe essere perfino contraddittorio dal punto di vista del prosieguo degli investimenti nel settore, bensì quello - che resta una vera e propria necessità - di avere un'incentivazione decrescente ma affidabile e stabile per il futuro.

LUCA PARDI, Partner dello studio legale Watson, Farley & Williams. Sono d'accordo. Anzi, se mi è consentita una sviolinata, come italiani, anche noi ci augureremmo che la nostra azione non abbia i risultati sperati, che comporterebbero conseguenze gravi per lo Stato italiano. Noi non vogliamo, sia chiaro, il ritorno ad una rendita finanziaria. Peraltro, vorrei dire che si trattava pur sempre di una rendita finanziaria su base industriale, non di pura speculazione finanziaria; c'era comunque un investimento e del lavoro, che creava un valore certamente altissimo, il quale andava, dunque, ridotto. L'obiettivo è raggiungere la grid parity, ovvero che l'impianto si mantenga con la sola vendita di energia elettrica. Tuttavia, c'è modo e modo di ridurre gli incentivi.
Insomma, c'è un modo di fare le cose senza causare danni ingiusti e illegittimi. Nessuno si è sognato di contestare la discrezionalità del Governo nel decidere una riduzione delle tariffe. Oltretutto, a prescindere dalla considerazione sulle varie crisi finanziarie, una riduzione va proprio nella direzione dello sviluppo del settore, che mira ad arrivare a una tecnologia che consenta di spendere sempre meno. Del resto, il mercato già sta procedendo in questo senso. Non abbiamo detto, infatti, che il mercato del fotovoltaico è stato totalmente paralizzato, visto che, superato lo choc iniziale, i prezzi dei contratti, delle forniture e quant'altro sono scesi e ci si è adattati alle nuove tariffe. Ciò nonostante, medio tempore hanno chiuso imprese, sono falliti progetti di investimento e sono finite in strada persone che lavoravano nel settore. Noi portiamo - ripeto - una testimonianza in questo senso. Molto del nostro lavoro, che prima era dedicato all'assistenza e alla consulenza per la realizzazione dell'investimento, adesso si è spostato sul contenzioso per i contratti e per le forniture non rispettati e per i finanziamenti promessi e non concessi. L'azione del Governo ha causato, quindi, un danno ingente al settore ed il nostro ricorso in sede europea mira, soprattutto, a recuperare quel danno di immagine che abbiamo subito come Paese. L'onorevole Realacci diceva - giustamente - che il danno di immagine appartiene al passato. Tuttavia, un conto è un'azione illegittima che, in un ordinamento democratico, passi senza colpo ferire, causando un determinato tipo di danno di immagine; un altro è, invece, una legislazione - consentitemi l'espressione - «illegittima» che, tuttavia, viene sanzionata dalle istituzioni a ciò preposte, in primis dal Parlamento. In questo secondo caso, il danno di immagine sarebbe, infatti, limitato. L'obiettivo, dunque, è di far emergere il fatto che c'è stata una défaillance, che è stata, però, in un certo modo, recuperata; fermo restando che non chiediamo le vecchie tariffe, bensì una misura che non scoraggi il mercato.

GIANLUCA BENAMATI. Concordo con il collega Realacci in merito alla questione della traiettoria degli incentivi e della sostenibilità che una politica di incentivazione deve avere per il nostro Paese. Non entro, peraltro, nel dettaglio della vostra osservazione riguardo al metodo con cui l'incentivazione è stata modificata. Vi rivolgo una domanda semplice perché ho un interesse personale su questo aspetto. Voi rappresentate investitori stranieri che investono nel nostro Paese in questo settore. La vostra audizione sta dicendo che il


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problema degli investitori stranieri è quello della remunerazione e dell'incentivo. Tuttavia, in altre situazioni, avevo avuto indicazioni rispetto a una deterrenza dovuta all'affidabilità delle procedure di realizzazione, certificazione e avviamento degli impianti. Da quanto capisco, però, per gli investitori esteri il mercato italiano è bloccato, secondo voi, a causa delle incentivazioni e non tanto dei sistemi procedurali o delle incertezze che possono più o meno a regnare nel nostro Paese. È così?

EUGENIO TRANCHINO, Managing partner per l'Italia dello studio legale Watson, Farley & Williams. Direi che incidono entrambe le cause. Facevo riferimento al decreto legislativo n. 387 del 2003, il quale, invece di rappresentare un punto di svolta positivo, è stato, purtroppo, un elemento di gran confusione. Peraltro, esso veniva fuori dalla legge n. 55 del 2002 che prevedeva già un procedimento unico che si doveva completare entro un certo lasso di tempo e che doveva mettere in conferenza di servizi le istanze locali coinvolte al fine di velocizzare il processo autorizzativo. Pertanto, gli investitori si sono scontrati inizialmente con una burocrazia molto lunga, visto che il procedimento autorizzativo era portato alle calende greche senza alcuna imperatività dei termini entro i quali si sarebbe dovuto compiere. Successivamente, è sorto anche il problema degli incentivi.
A ogni modo, però, visto che in questo momento gli investitori sono molto frustrati dalla mancanza della certezza del diritto nel suo complesso, direi che la principale attenzione dovrebbe essere dedicata ai procedimenti autorizzativi. Infatti, è in questo ambito che gli investitori trovano certezze in altri Paesi e ambiguità nel nostro ordinamento giuridico attuale. Ribadisco, inoltre, che nessuno di noi afferma - come diceva il mio collega - che l'incentivo non avrebbe dovuto essere ridotto, anche perché le tecnologie evolvono, per cui gli impianti, la tecnologia e i materiali costano sempre di meno. Una riduzione, quindi, non solo era necessaria, ma addirittura auspicabile sia dal punto di vista sia del Governo, per la salvaguardia delle casse dello Stato, sia degli operatori, per fare sviluppare il settore in senso fisiologico, senza attirare speculazioni.
Tuttavia, credo che, come sistema Italia, dobbiamo avere cura delle 500.000 famiglie che Assosolare dice essere in crisi per la mancanza di lavoro. Vi sono, infatti, studi di ingegneria, operatori locali, società che producono inverter, pannelli e quant'altro, oltre a un indotto di terziario, di consulenze, di commercialisti, di studi di avvocati che sono in grande difficoltà. Non vorrei, peraltro, porre l'attenzione esclusivamente sul dato economico-finanziario perché si darebbe una visione distorta della realtà. È giusto che il settore sia oggetto non di speculazioni, ma di una sana attenzione da parte di chi deve svilupparlo in un'ottica di medio termine, mentre la speculazione è, di per sé, è legata al ritorno di breve periodo. Occorre, quindi, agire con una riforma delle procedure amministrative che agevoli il processo autorizzativo in quanto tale, visto che il decreto legislativo n. 387 del 2003 e le normative regionali, poi dichiarate incostituzionali dalla Corte costituzionale (cito su tutte la legge della regione Puglia), hanno minato la fiducia degli investitori, soprattutto esteri, che noi rappresentiamo in questa sede.

PRESIDENTE. Ringrazio gli auditi della disponibilità dimostrata e dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione di rappresentanti dell'Istituto Nazionale di Statistica (ISTAT).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulle politiche ambientali in relazione alla produzione di energia da fonti rinnovabili, l'audizione di rappresentanti dell'Istituto Nazionale di Statistica (ISTAT).
L'Istituto è qui rappresentato al massimo livello nella persona del presidente, professor Enrico Giovannini, accompagnato da alcuni dirigenti e funzionari.
Do, quindi, la parola al presidente dell'ISTAT, professor Enrico Giovannini.


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ENRICO GIOVANNINI, Presidente dell'ISTAT. Signor presidente, onorevoli deputati, siamo particolarmente contenti di essere davanti alla vostra Commissione per parlare di un tema molto importante. Rispetto agli obiettivi dell'indagine conoscitiva, il mio intervento, coerentemente con le funzioni istituzionali dell'ISTAT, è inteso a offrire un insieme ampio di informazioni quantitative relative ad ambiente ed energia. In particolare, mi soffermerò sull'evoluzione dei consumi di energia e sul ruolo delle fonti rinnovabili in Italia, a confronto con le altre maggiori economie europee, proponendo anche alcune considerazioni di carattere economico. Successivamente presenterò altri elementi informativi, frutto dell'attività dell'Istituto, che credo opportuno segnalare alla Commissione per la loro possibile utilità ai fini della valutazione delle politiche ambientali. A corredo dell'esposizione, vi consegniamo un allegato statistico, oltre ad una raccolta delle pubblicazioni più recenti dell'Istituto sui temi energetici e ambientali.
Cominciamo dagli obiettivi europei e dalla posizione dell'Italia. I vincoli definiti dai trattati internazionali per il prossimo futuro, le informazioni quantitative disponibili, i progressi fatti dall'Italia e quelli futuri trovano la loro origine in decisioni adottate nel passato più o meno recente. Per esempio, la definizione di sostenibilità dello sviluppo come processo che non comprometta la possibilità delle generazioni future in termini economici, sociali e ambientali, sancita dal Rapporto della Commissione mondiale sull'ambiente e lo sviluppo delle Nazioni Unite del 1987, è stata recepita come accordo internazionale nel Protocollo di Kyoto del 1997, che fissava come obiettivo la riduzione dell'emissione di gas serra rispetto al livello del 1990 - per l'Italia del 6,5 per cento - definendo un orizzonte temporale di 15 anni, al 2012.
Mi permetto una breve digressione su questo punto per sottolineare che la parola «sostenibilità», ancorché frequentemente utilizzata nei consessi internazionali, ha una componente di futuro che personalmente mi preoccupa. Per chiarire, la sostenibilità riguarda l'impatto che i comportamenti della generazione attuale avranno sulle generazioni future. Ciò vuol dire che per occuparsi di questo bisogna essere altruisti. Tuttavia, si sta facendo strada un altro concetto, quello di vulnerabilità, che non è altro che il duale del concetto di sostenibilità, cioè l'effetto del futuro sul presente. Da un punto di vista politico e anche economico, questo concetto ha molta più importanza perché concerne la generazione che vota e deve prendere delle decisioni oggi. Sottolineo questo aspetto perché recentemente l'ISTAT è stato partecipe di un progetto dell'OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) che ha, infatti, appena predisposto un rapporto su come misurare la vulnerabilità che, a mio parere, va tenuta presente accanto alla sostenibilità.
Tornando al Protocollo di Kyoto, tutti i Paesi dell'Unione europea lo hanno ratificato simultaneamente nel 2002. Già nel 1997 si era, però, stabilito un obiettivo del 12 per cento di fonti rinnovabili nell'energia primaria per il 2010, che, peraltro, non è stato raggiunto. Inoltre, per gli obiettivi di riduzione delle emissioni, nel 2000 era stato lanciato il Piano europeo sul cambiamento del clima (ECCP). La politica comunitaria sull'efficienza e sull'inquinamento nell'uso di energia, iniziata con la prima direttiva sugli autoveicoli del 1991 (il cosiddetto «Euro uno»), ha determinato vincoli ambientali su consumo e produzione via via più stringenti nell'ultimo decennio, fino agli obiettivi fissati dalla nuova programmazione strategica per il 2020, cosiddetti 20-20-20, ovvero una riduzione delle emissioni del 20 per cento, una quota del 20 per cento delle fonti rinnovabili sui consumi e, infine, una riduzione del consumo di energia primaria del 20 per cento. Contestualmente, è stato ampliato il monitoraggio statistico e sono state mobilitate risorse comunitarie importanti in diversi programmi, dai fondi di coesione a quelli per la ricerca e sviluppo che i Paesi meglio attrezzati, in particolare la Germania, hanno utilizzato pienamente


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per sviluppare l'industria e modificare i consumi nazionali. L'aumento dei costi dell'energia, percepito come di natura strutturale, ha reso più appetibili, di per sé, gli investimenti in fonti rinnovabili e contribuito a imprimere un'accelerazione alle politiche nazionali di incentivazione.
Dal canto suo, l'Italia ha agito con ritardo, ma negli ultimi anni ha recuperato parte del terreno perduto riguardo sia alle emissioni inquinanti, sia soprattutto alle energie rinnovabili. Le nostre emissioni di gas serra, fatto 100 il livello del 1990, sono continuate ad aumentare fino a 111 nel 2005. Negli anni successivi è, però, iniziata una riduzione, amplificata dalla caduta dei consumi energetici nel corso della crisi economica, che ha colpito in misura particolare l'industria. Il consumo finale di energia è così diminuito dai 139 milioni tonnellate equivalenti petrolio nel 2005, a 134 nel 2007, fino a 121 nel 2009, risalendo, probabilmente, nel 2010, anche se non sono ancora disponibili dati di consuntivo. Contestualmente, il livello di emissioni è sceso da 107 nel 2007, fino a 95 nel 2009, mentre i consumi da fonte rinnovabile sarebbero saliti da circa 12 a oltre 16 milioni di tonnellate equivalenti petrolio e da una quota del 5-6 per cento su consumi finali lordi a oltre il 9 per cento nel 2009, in linea con la media europea. In effetti, tra il 1999 e il 2009, la quota delle energie rinnovabili sul consumo finale di energia è aumentata in tutti gli Stati dell'Unione. L'incremento è stato particolarmente marcato in Paesi quali la Danimarca (dall'8 al 17 per cento), la Svezia (dal 27 al 34 per cento), la Germania (dal 2 all'8 per cento) e il Portogallo (dal 13 al 19 per cento). In Italia, la crescita è stata di minore entità (3,8 punti percentuali, ovvero dal 5,7 al 9,5), ma leggermente superiore rispetto all'incremento medio europeo (3,6 punti percentuali) e concentrata negli ultimi anni. Rispetto agli obiettivi fissati per il 2020, l'Italia si è data un traguardo meno ambizioso rispetto a quello medio dell'Unione (il 17 contro il 20 per cento), pertanto dovrà incrementare la propria quota di rinnovabili di circa 7,5 punti percentuali, contro gli 11 punti percentuali della media degli altri Paesi.
La crescita rapida nel settore delle energie da fonti rinnovabili è stata favorita da una politica di incentivi estremamente generosa per la generazione elettrica, nonostante le manchevolezze nelle procedure autorizzative, nella rimodulazione degli incentivi e nell'accesso alla rete, che sono state affrontate, parzialmente, solo nell'ultimo biennio. Secondo i dati del GSE (Gestore servizi energetici), la potenza elettrica installata da fonti rinnovabili è cresciuta da 18,3 gigawattora nel 2000, a 22 nel 2007, fino a oltre 30 gigawattora nel 2010. In particolare, nel caso del fotovoltaico, la produzione effettiva è passata da 39 gigawattora nel 2007 a quasi 2 terawattora nel 2010, con tassi di crescita del 400 per cento nel 2008 e del 250 e 180 per cento, rispettivamente, nel 2009 e nel 2010.
Nel caso dell'energia eolica, il cui sviluppo è stato più graduale, si è passati da una produzione di 550 gigawattora nel 2000 a 4 terawattora nel 2007, fino al 9 terawattora nel 2010. In entrambi i casi, si è avuto un aumento considerevole della taglia media degli impianti, fino al calo, per l'eolico, nel 2010, determinato dalla normativa relativa alle autorizzazioni, che spinge alla realizzazione di impianti di taglia piccola.
Nel caso delle bioenergie, si è passati da una produzione di 1,5 terawattora nel 2000, a 5 nel 2007, a oltre 9 terawattora nel 2010. Invece, per le due fonti tradizionali di energia rinnovabile, quella idraulica e quella geotermica, già ampiamente sfruttate, i progressi sono stati molto più lenti. La produzione elettrica complessiva da fonti rinnovabili è salita da circa 51 terawattora nel 2000 a 76 terawattora nel 2010. Corrispondentemente, la composizione si è andata differenziando. All'inizio l'86 per cento proveniva dalla fonte idraulica, il 9 per cento dal geotermico e appena il 5 per cento dalle altre fonti. Nel 2010, il contributo delle due fonti tradizionali è diminuito al 66 per


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cento per l'idraulica e al 7 per la geotermia, mentre quello delle altre fonti è salito al 27 per cento.
Nel confronto europeo, nella produzione elettrica da rinnovabili l'Italia si attesta in quinta posizione, immediatamente a ridosso di Francia e Svezia, ma si colloca circa il 30 per cento sotto alla Spagna (96 terawattora) e alla Germania (oltre 100 terawattora), che hanno investito maggiormente nel solare, nell'eolico e, nel caso tedesco, nelle bioenergie. Nel complesso, l'incidenza delle fonti rinnovabili sui consumi elettrici ha raggiunto il 22,4 per cento, che rende l'obiettivo specifico nazionale di una quota del 27 per cento al 2020 decisamente alla nostra portata. Viceversa, l'obiettivo generale di un più 17 per cento dei consumi energetici da fonti rinnovabili e quello di riduzione dei consumi primari appaiono meno facilmente raggiungibili.
L'Italia dipende dall'estero per oltre l'80 per cento del proprio fabbisogno energetico, contro il 55 per cento circa della media UE. Nel 2010, il disavanzo del settore energetico ha pesato per 52 miliardi di euro sulla bilancia commerciale, un importo pari al 3,3 per cento del PIL, mentre l'avanzo per gli altri beni è stato di 22 miliardi di euro. Nei primi nove mesi del 2011, il disavanzo energetico è stato di circa 45 miliardi, mentre per gli altri prodotti si è registrato un avanzo di circa 22 miliardi di euro. Le fonti rinnovabili di energia, quasi interamente localizzate sul territorio, costituiscono un importante elemento di risparmio nei conti con l'estero, con un contributo di oltre il 50 per cento alla produzione nazionale di energia primaria, che corrisponde a un risparmio stimabile in 6-7 miliardi di euro di importazioni.
La scelta tra le diverse fonti di energia non è, tuttavia, indifferente. L'ISTAT stima, ad esempio, che nel 2010 l'importazione di componentistica per pannelli fotovoltaici abbia determinato, da sola, un passivo commerciale di circa 8,4 miliardi di euro - mentre era di 2 miliardi nel 2009 - quasi interamente concentrato nei flussi provenienti da Germania e Cina. Anche se l'accresciuta domanda si sta trasferendo su un parziale sviluppo dell'industria in loco, almeno per ciò che riguarda l'assemblaggio, si tratta di uno spostamento del deficit energetico sui beni industriali e immateriali (royalty sui brevetti).
In questa prospettiva, l'efficienza energetica nei comparti energetico, industriale e residenziale è sicuramente un risultato da perseguire con decisione, anche per la realizzazione degli obiettivi di riduzione delle emissioni entro il 2020, che includono anche un aumento del 20 per cento dell'efficienza energetica. Questo traguardo è in stretta relazione con quello più ampio di risparmio energetico che comprende anche la riduzione del consumo mediante cambiamenti di comportamenti o diminuzione dell'attività economica.
Peraltro, l'Italia è tra i Paesi che nel proprio Programma nazionale di riforma (PNR) hanno fissato un obiettivo specifico, formulato in termini di risparmio dell'energia primaria sulla base di una previsione del consumo nazionale lordo di energia nel 2020, precedente alla caduta dei consumi determinata dalla crisi. L'obiettivo prevede una riduzione della previsione di consumo del 13,4 per cento e, secondo lo scenario contenuto del PNR del 2011, che incorpora i dati aggiornati sui consumi, non verrebbe mancato di molto, anche in assenza di intervento. Questi dati, però, sono stati elaborati prima di quelli più recenti sull'andamento dell'economia nei prossimi mesi e anni.
Per quanto riguarda l'andamento passato dell'efficienza energetica, l'Italia è caratterizzata, rispetto alla media europea, da un'intensità energetica (espressa in quantità di energia per unità di prodotto) più bassa, quindi da una maggiore efficienza complessiva, ma anche da un miglioramento decisamente contenuto. Infatti, nel 1990, l'intensità energetica dell'economia italiana era pari a 150 grammi equivalenti petrolio per ogni euro di prodotto ed è diminuita di solo il 5,4 per cento fino a 140 grammi/euro nel 2009. Gli altri principali Paesi membri dell'Unione europea, invece, presentano livelli iniziali più alti, ma riduzioni più consistenti


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(la Francia da 192 a 164, la Germania 198 a 150, il Regno Unito da 169 a 114 grammi/euro).
Nel periodo 1990-2008, i consumi finali di energia delle attività produttive italiane costituiscono mediamente 71 per cento degli impieghi finali considerati, mentre il restante 29 per cento è consumato dalle famiglie, e raggiungono 114 milioni di tonnellate equivalenti petrolio nel 2008, pari al 12,6 per cento in più rispetto al 1990.
Dai conti degli impieghi energetici sviluppati dall'ISTAT è possibile costruire, per le attività produttive, l'indicatore dell'intensità per usi energetici per unità di valore aggiunto a prezzi costanti. Per l'insieme delle attività tra il 1990 e il 2008 questo indicatore di intensità degli usi energetici si riduce del 15,6 per cento (24,7 grammi equivalenti petrolio per euro di PIL), in misura pressoché equivalente a causa della diminuzione dell'intensità energetica delle singole attività (7,2 per cento) e della ricomposizione del sistema economico verso attività a minor contenuto energetico (8,4 per cento). Sotto il profilo temporale, mentre nei primi anni Novanta si è avuta una consistente riduzione dell'intensità nelle attività, nell'ultimo decennio si è registrato un leggero peggioramento dell'efficienza interna alle singole attività, più che controbilanciato dalla crescita del peso dei settori dei servizi a bassa intensità energia.
Le stime della contabilità nazionale delle statistiche agricole quantificano in circa 45 miliardi di euro la produzione annuale di biomasse valorizzate. Tuttavia, una parte delle biomasse generate nelle attività economica, pari in termini fisici a circa il 20 per cento del totale, attualmente non è sfruttata. Determinare la quantità di energia potenzialmente ricavabile da esse è uno degli obiettivi di un progetto che alcune strutture dell'ISTAT hanno avviato in connessione con esperti dell'ENEA (Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l'energia e lo sviluppo economico sostenibile).
Passando dall'efficienza dell'uso di energia a quella in termini di emissioni, vale la pena segnalare i progressi nella produzione di energia elettrica. Infatti, tra il 2000 e il 2009 l'intensità di emissione (misurata come rapporto fra emissioni e produzione o valore aggiunto) si è ridotta di oltre il 20 per cento per la CO2 e in modo ancor più significativo per gli altri inquinanti. In termini più generali, si osserva che un contributo rilevante alla riduzione di consumi ed emissioni potrebbe derivare da una politica di incentivi forti per il risparmio energetico negli edifici, al quale le economie nordiche devono parte della riduzione dell'intensità energetica. Considerando gli aspetti di natura economica, questo tipo di attività, rispetto all'installazione di pannelli solari, avrebbe il pregio di una elevata intensità di lavoro, di un bassissimo coefficiente di importazioni, oltre a consentire di sostenere un settore ancora in crisi.
Un ragionamento simile potrebbe essere svolto in riferimento alle scelte e alla modulazione degli incentivi per le fonti rinnovabili, considerando il contenuto di importazione insieme con altri elementi, quale il contenuto di lavoro, la possibilità di sviluppare know-how localmente e i rendimenti relativi dell'investimento. L'ISTAT è disponibile, ove richiesto, a contribuire allo sviluppo di un simile quadro analitico.
Aggiungerei a questa analisi alcuni riferimenti agli aspetti territoriali, ricordando che la legge 27 febbraio 2009, n. 13 stabilisce che gli obiettivi comunitari circa l'uso delle energie rinnovabili siano ripartiti tra le regioni italiane, con l'istituzione di un meccanismo di trasferimento statistico di quote di produzione di energia da fonti rinnovabili tra le regioni.
Nel 2010, nel settore elettrico la quota di energia rinnovabile sul consumo interno lordo, pari mediamente al 20,1 per cento, è estremamente elevata in Valle d'Aosta, in Trentino Alto Adige e in Molise. All'opposto, l'indicatore assume valore assai inferiori in Liguria e Lazio. La produzione lorda da fonti rinnovabili risulta distribuita per quasi il 60 per cento nelle regioni del nord (dove sono localizzate la maggior parte delle centrali idroelettriche), per oltre il 15 per cento in quelle del


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centro e per il restante 25 per cento circa nel Mezzogiorno. Tuttavia, alcune regioni del Mezzogiorno, tra cui la Puglia, la Sicilia e il Molise, negli ultimi anni hanno registrato progressi significativi, per cui nell'insieme della ripartizione la produzione elettrica da rinnovabili è aumentata di ben il 28 per cento nel solo 2010, grazie alle fonti nuove (biomasse, eolico e fotovoltaico). Si tratta - è il caso di rimarcarlo - di un'opportunità notevole di riequilibrio territoriale. Purtroppo, un'indicazione di segno opposto - che può essere, però, anche letta come un'opportunità ancora da sfruttare - si ricava dall'offerta di forme di teleriscaldamento da parte dei comuni, che nel 2010 riguardava 31 capoluoghi di provincia, rispetto agli 11 del 2000, quasi tutti del centro nord, con un'incidenza di 8 su 9 in Emilia-Romagna e del 75 per cento in Lombardia.
Concluderei la presentazione, ricordando che - per usare una famosa battuta - i dati non crescono sugli alberi. Visto che parliamo di ambiente, l'espressione è particolarmente appropriata. Ecco, dico questo perché gran parte dei dati che vi ho presentato sono prodotti per l'Italia dal GSE e dal Ministero dell'ambiente, ma l'Istituto nazionale di statistica raccoglie queste informazioni e le elabora, stimando, per esempio, il valore dei flussi di materia ed energia o calcolando gli indicatori per la determinazione degli obiettivi e per il monitoraggio degli effetti degli interventi in relazione agli impegni comunitari per lo sviluppo sostenibile (Europa 20-20-20).
L'ISTAT, inoltre, ha una produzione informativa ampia e in forte sviluppo sui temi dell'energia e dell'ambiente che può avere un elevato valore aggiunto per le importanti decisioni di politica ambientale che il Governo e il Parlamento dovranno prendere. In particolare, l'Istituto sta sviluppando - e in parte ha già realizzato - un sistema di contabilità ambientale pienamente integrato nel quadro dei conti nazionali. Per chi si occupa di questi problemi da tempo, ricordo che anni fa c'era stato un disegno di legge che spingeva l'ISTAT a promuovere e sviluppare questa «contabilità satellite» con fondi adeguati, ma purtroppo il progetto non andò avanti. A ogni modo, si tratta di conti ambientali che consentono una stima dei flussi e degli stock di risorse naturali, proprio come si fa per quelle economiche. Anche le informazioni relative alla dimensione economica ambientale, e in alcuni casi anche sociale, sono pienamente confrontabili, in virtù dell'adozione di un sistema comune di principi, definizioni e classificazioni. Questo ha un'implicazione fondamentale perché consente di analizzare le dimensioni ambientali congiuntamente a quella economica. Nei modelli di simulazione che si stanno realizzando in Italia e non solo, proprio la disponibilità di questa contabilità integrata è indispensabile per fare valutazioni politiche.
In più, l'ISTAT produce anche una serie di misure territoriali fini sull'ambiente urbano (dall'inquinamento, alla disponibilità di aree verdi, al trattamento dei rifiuti) e con i censimenti attualmente in corso sta rilevando per la prima volta la situazione e le scelte in tema di risparmio energetico da parte delle imprese e di tutte le famiglie. Spero, naturalmente, che tutti abbiate compilato il questionario del censimento. Ecco, se a qualcuno è capitata la versione rossa, avrà trovato un gruppo di domande di questo tipo perché per la prima volta sarà possibile valutare questi aspetti attraverso un censimento completo.
Infine, due nuove indagini relative ai consumi di energia e di prodotti energetici delle famiglie e delle imprese sono in corso di realizzazione in collaborazione con l'ENEA, con un focus sul consumo di energia da fonti rinnovabili. Purtroppo, alcune di queste informazioni di elevata qualità sono rese disponibili con un ritardo temporale eccessivo. Per superare questo limite sarebbe necessario sviluppare metodi e modelli di stima statistica, cosa che richiede risorse aggiuntive e la collaborazione di tutti gli esperti della materia perché anche altri - come ho ricordato - producono dati in questo campo. Qualora il Parlamento fosse favorevole a investire sulla maggiore tempestività e copertura delle statistiche ambientali,


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l'ISTAT potrebbe sviluppare un progetto di fattibilità, anche finanziario, al riguardo, da sviluppare in collaborazione con gli altri enti che producono statistiche in questo settore.
Vi ringrazio e resto a disposizione per eventuali domande.

PRESIDENTE. Autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna della documentazione consegnata dai rappresentanti dell'ISTAT (vedi allegato 2).
Do ora la parola ai deputati che intendano porre quesiti o formulare osservazioni.

ERMETE REALACCI. Grazie, presidente. Anche noi riteniamo utilissimo che l'ISTAT sia presente non solo in questa indagine conoscitiva, ma in un rapporto più forte con il Parlamento in generale e con questa Commissione in particolare. Dico questo pur non avendo ricevuto il questionario rosso ed essendo uno di quelli che il primo giorno non è riuscito a compilare il censimento. Scherzi a parte, vorrei fare solo alcune osservazioni.
Lei sa, presidente Giovannini, che il Parlamento non ha risorse sufficienti in questa fase, tuttavia penso che l'indicazione contenuta alla fine del suo contributo possa essere inclusa nella relazione conclusiva che stileremo. Il problema che lei sottolinea, però, è molto importante. Infatti, in questi casi, la tempistica è fondamentale. Gli stessi dati che ci presentate vengono superati continuamente dalla realtà. Per esempio, se pensiamo allo sviluppo delle fonti rinnovabili, nell'ultimo anno il solare ha superato del 50 per cento l'obiettivo al 2020, che era di 8.000 megawatt, mentre siamo già arrivati a 12.000. Peraltro, ciò vale anche per il settore dell'edilizia, che - concordo con l'ISTAT - è strategico per il nostro Paese, anche per rispondere alla crisi, visto che è un comparto fortemente anticiclico. Non a caso, difendiamo con forza il provvedimento sul credito di imposta del 55 per cento, anzi ci auguriamo un suo sviluppo e perfezionamento. Tuttavia, quel settore ha visto una mole impressionante di interventi diffusi; siamo a un 1 milione e 300.000 interventi nelle abitazioni dei cittadini, con 17 miliardi di euro circa di investimenti prodotti soltanto da questa misura. Ecco, questo fa capire che è molto importante che le informazioni giungano in tempo reale. Per esempio, del patrimonio edilizio sappiamo ancora poco. Infatti, nonostante vi siano istituti di grande qualità che lavorano su questo, sappiamo che si può fare molto sul terreno del patrimonio edilizio più legato agli standard ambientali ed energetici, per cui, sotto questo aspetto, una collaborazione con l'ISTAT potrebbe essere molto opportuna. Anzi, fin da ora chiediamo che quando i questionari rossi cominciano a rientrare sarebbe molto utile farne tesoro in tempo reale perché queste politiche hanno un continuo bisogno di affinamento e possono avere un'importanza decisiva in termini di risposta. Aspettando i questionari rossi e cercando di capire se ci sono gli spazi per avviare una collaborazione più stabile con l'ISTAT, è già un dato molto positivo che l'Istituto entri con forza, adottando un taglio di visione generale, sulle tematiche ambientali.

RAFFAELLA MARIANI. Ringrazio il presidente Giovannini poiché credo che sia molto utile per noi avere una lettura come quella che riesce a fare l'ISTAT, con un'analisi corretta del sistema che fa riferimento alle rinnovabili. Dico questo perché nella discussione riguardo alle misure che l'ultimo Governo ha sostenuto in merito al conto energia e le successive modifiche e le proteste che ci sono state anche nel nostro Paese, siamo stati tirati per la giacca da settori differenti, che sostenevano visoni opposte. Per questo, una lettura obiettiva dei dati riguardo anche al sistema industriale, al consumo di energia e all'utilizzo dell'energia attraverso vari tipi di approvvigionamento è, dal nostro punto di vista, interessante, oltre che auspicabile. Com'è auspicabile che vi sia un investimento più serio e più forte in questo senso. A questo proposito, credo che potremo fare il nostro lavoro com'è accaduto nei confronti del Cresme (Centro ricerche economiche, sociologiche


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e di mercato) quando, come Parlamento, abbiamo avuto bisogno di un'analisi dei dati sulle infrastrutture condivisa da tutti e rispetto alla quale effettuare la nostra elaborazione.
In particolare, vorrei porre alcune domande. Innanzitutto, in merito all'analisi che lei ha presentato del sistema industriale e della riduzione complessiva dei consumi energetici, sarebbe interessante poter valutare, magari con l'aiuto di un organismo come il vostro, se questo dato, oltre che essere legato alla crisi, possa essere attribuito anche a un ammodernamento del sistema industriale. Difatti, possiamo verificare se il nostro sistema industriale è stato in grado di modificare alcune delle parti che potevano essere ammodernate, riducendo i consumi di energia con un meccanismo virtuoso, oppure se il consumo si è ridotto solo perché, a causa della crisi, molte aziende hanno visto diminuire la propria attività.
L'altra domanda riguarda i numerosi dati che riuscirete ad avere dal censimento, che, tra l'altro, mi è sembrato molto interessante compilare, anche con queste domande. Ecco, vorrei sapere se i dati degli altri istituti di ricerca - alcuni dei quali hanno già finanziamenti statali - possano essere utilizzati da voi anche prima di una riorganizzazione nella direzione che lei ha chiesto al Parlamento. Per chiarire, mi riferisco all'ENEA, all'ISPRA e a ogni istituto che fa riferimento al Governo e che, per varie competenze, ha predisposto alcune banche dati. In questo momento - forse la domanda le risulterà ingenua - l'ISTAT ha la disponibilità di accedere a questi dati oppure occorre un nuovo investimento? Ci domandiamo se, nel razionalizzare gli investimenti dei vari ministeri, sarebbe opportuno prevedere che questi dati siano messi a disposizione di ogni altro istituto che effettua queste ricerche.
Vorrei, infine, notare - come avete evidenziato - la sperequazione tra le aree del nostro Paese che fanno investimenti sulle fonti rinnovabili in senso generico e che si sono, quindi, adeguate più o meno alle ultime disposizioni delle direttive comunitarie. Ecco, mi sembra ancora più stridente la differenza tra centro nord e meridione. Anche riguardo a questo sarebbe interessante entrare nei particolari per comprendere, rispetto agli investimenti dati e alle opportunità esistenti, da cosa discende questa sperequazione. Peraltro, si tratta di una cosa che sapevamo già, ma che deve essere ulteriormente approfondita. Se avete ulteriori informazioni utili, sarebbe, quindi, per noi interessante averle.

ELISABETTA ZAMPARUTTI. Vorrei ulteriormente approfondire l'aspetto legato ai dati occupazionali. Vorrei, cioè, sapere se avete elaborato dei dati sia sulle potenzialità sia sulle ricadute occupazionali dei vari settori relativi all'energia (dalle rinnovabili ed elettriche fino al settore dell'efficienza energetica). Credo, infatti, sia importante - anche perché siamo nella fase di adozione dei decreti attuativi del provvedimento approvato la scorsa primavera in materia di energia e di incentivi - riuscire a comprendere quanto il finanziamento dello sviluppo di certi settori pesi per la collettività e quali sono le ricadute occupazionali. Ecco, penso che, come Commissione ambiente, sia utile valutare anche questo aspetto per meglio definire la conclusione di questa indagine conoscitiva.
Aggiungo - presidente Giovannini - che ho apprezzato moltissimo la considerazione che ha fatto in conclusione del suo intervento circa la contabilità ambientale. Oggi pomeriggio voteremo e discuteremo di pareggio di bilancio. Tuttavia, ritengo che dobbiamo porre la questione non solo del bilancio economico-finanziario, ma anche di quello ambientale, visto che nel nostro Paese esiste anche un deficit ecologico. Da questo punto di vista, la misurabilità e i dati che avete già iniziato a elaborare possono essere di estrema utilità. Peraltro, questo è un tema da approfondire, sul quale la Commissione ambiente potrebbe avviare un'indagine conoscitiva ad hoc affinché sia incardinato in atti normativi e diventi finalmente una realtà. Del resto, nel Governo Prodi si era


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discusso di questo e si era avviato un percorso che, malauguratamente, è stato interrotto.

GIANLUCA BENAMATI. Anch'io desidero ringraziare il presidente dell'ISTAT per la sua esposizione, che è stata, per molti aspetti, almeno per me, inattesa, ma sicuramente interessante. Parto dall'osservazione della collega Mariani - nostra capogruppo - che evidenziava che spesso ci troviamo a dover decidere, sebbene ci sia ignoto lo scenario di quello che succede. Da un punto di vista scientifico, operiamo su delle grandezze e perturbiamo le grandezze stesse nel momento in cui operiamo direttamente. Dovremmo, pertanto, capire quali sono i risultati delle nostre decisioni. Così è successo recentemente, con l'adozione di alcuni provvedimenti, ultimo dei quali il decreto legislativo sulle fonti energetiche. Sotto questo aspetto, il vostro rapporto fornisce, a mio avviso, un paio di indicazioni interessanti. Innanzitutto, apprezzo l'approccio rispetto ai temi dell'andamento delle fonti rinnovabili in tempo quasi reale, visto che una delle necessità è avere dati di sistema in maniera rapida. In questo caso, vediamo la situazione fotografata fino a pochissimo tempo fa. Questi sono, tra l'altro, dati che servono anche per capire i futuri scenari. Ugualmente, è importante un lavoro di questo tipo perché vedo - o almeno colgo di vedere in nuce - in questa situazione anche un'analisi dell'impatto delle fonti e del sistema delle rinnovabili dal punto di vista sia del bilancio energetico del Paese, sia, in senso più lato e più ampio, del bilancio complessivo del sistema Paese, quindi sul piano economico o - come diceva la collega Zamparutti - occupazionale, ma anche in termini di tipologia di intervento sul sistema economico.
Per esempio, il fatto che alcune fonti richiedano importazioni di tecnologie, per cui si passa da un tipo di dipendenza a un'altra, o che altre abbiano, invece, un maggiore impatto sul versante dello sviluppo interno del Paese, o ancora il discorso del risparmio energetico e, in particolare, dell'impegno di lavoro rispetto alle attività di risparmio energetico in edilizia, sono tutte osservazioni estremamente importanti che dovrebbero compendiare la semplice analisi energetica e la mera valutazione della natura e della tipologia delle fonti perché queste non hanno tutte lo stesso impatto. Dico questo per dire che, oggettivamente, è molto importante - come dicevano gli onorevoli Realacci e Mariani - disporre, a livello di decisore legislativo, di uno strumento serio e agile che consenta una valutazione sia dello scenario di riferimento sia del potenziale sviluppo delle decisioni che si assumono. Peraltro, è un'esperienza che abbiamo vissuto di recente, avendo fatto molte audizioni su diversi aspetti dei provvedimenti che stavamo esaminando e trovando, a volte, scenari prospettati in maniera completamente differente. Pertanto, avere uno strumento che abbia questo tipo di finalità e, nello stesso tempo, sia in grado di valutare, anche collateralmente, le ricadute e gli impatti sul sistema Paese sarebbe estremamente utile.
Non mi addentro nel tema delle risorse per creare questo strumento perché credo che non sia nostra competenza in questo momento. Mi limito a una semplice osservazione, che è anche una domanda. Mi chiedo, cioè, se questo tipo di strumento, che nasce - penso - dal raccordo tra alcuni soggetti che, nel nostro Paese, già incamerano ed elaborano questi dati (abbiamo parlato di ENEA, ma ci sono altri organismi che trattano i dati energetici e di consumo economici connessi, per esempio, con le attività di risparmio energetico), possa essere realizzato sulla base di un progetto, gestito magari dall'ISTAT, che miri a mettere in rete le conoscenze di tanti, anche per rendere economicamente più sostenibile questo sforzo. Ecco, mi chiedo se questo non possa essere un modo per rendere più sopportabile sul piano finanziario anche quello strumento di bilancio ambientale, oltre che economico, che il presidente Giovannini ha illustrato.

ERMETE REALACCI. Vorrei porre un'altra domanda, di cui mi ero dimenticato. Il dato, che, tra l'altro, conoscevo in


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termini di andamento, relativo al fatto che l'Italia ha ridotto in maniera meno significativa l'intensità energetica, a fronte anche di grandi Paesi manifatturieri come la Germania (rispetto all'Inghilterra si comprende meglio perché c'è stata una finanziarizzazione dell'economia che può avere inciso), è depurato dai fattori climatici o no?

ENRICO GIOVANNINI, Presidente dell'ISTAT. No.

ERMETE REALACCI. Se non è depurato, la situazione è ancora peggiore.

ENRICO GIOVANNINI, Presidente dell'ISTAT. Dipende anche dalle annate.

ERMETE REALACCI. Certo. Tuttavia, se prendiamo come riferimento la Germania, il dato è peggiore perché lì fa più freddo.

PRESIDENTE. Do la parola al presidente Giovannini per la replica.

ENRICO GIOVANNINI, Presidente dell'ISTAT. Vorrei sottolineare tre aspetti, prima di rispondere ai singoli quesiti. In primo luogo, accenno a un tema che sollevo in quasi tutte le audizioni. Sono stato nove anni all'estero, all'OCSE in qualità di direttore delle statistiche, per poi rientrare più di due anni fa. Avendo avuto modo di fare tante esperienze in giro per il mondo, ho avuto l'impressione - poi confermata - che in Italia abbiamo un «buco istituzionale» perché non esiste nessun ente con il compito istituzionale, appunto, di svolgere valutazioni delle politiche ex ante ed ex post. Diversi organismi fanno queste analisi, ma non esiste un soggetto come lo statunitense General Accountability Office che, su richiesta del Parlamento, del Governo, degli Stati e quant'altro, faccia studi per valutazione ex ante ed ex post. A mio parere, ciò diventa sempre più necessario, visto che le risorse disponibili sono sempre meno e quindi bisognerebbe centellinarle. In questi due anni e qualcosa di rientro in Italia, ho avuto l'impressione che questo «buco istituzionale» debba essere colmato il prima possibile, anche se non è chiaro chi debba farlo.
Quando alla fine del 2010 l'ISAE (Istituto di studi e analisi economica) è stato incorporato nell'ISTAT, abbiamo ereditato alcuni suoi compiti, tra cui le previsioni e alcune analisi a medio termine di carattere economico, sociale e potenzialmente anche ambientale. Tuttavia, l'ISTAT non è considerato ancora, nell'immaginario, un soggetto che possa realizzare questo lavoro. Peraltro, non sappiamo nemmeno se è l'ISTAT a doverlo fare; sappiamo solo che qualcuno deve svolgere questo compito. Dal canto nostro, siamo disponibili a supportare questo tipo di lavoro che - lo voglio sottolineare per chi non conosce bene il funzionamento dell'assetto statistico - compete con i regolamenti puramente statistici europei, che, invece, impongono la produzione di statistiche. Di conseguenza, tagliato il budget in termini reali, è chiaro che un regolamento fa premio sul servizio, per esempio, al Parlamento perché, in quel caso, se non pubblichiamo i dati ci sono delle multe comunitarie. Ho, quindi, l'impressione che ci sia un deficit di investimento nel Paese su questo capitolo, che va affrontato non solo in relazione all'ambiente, ma anche ad altri aspetti.
Vengo, ora, ad alcune possibili indicazioni che questa Commissione e più in generale il Parlamento possono voler seguire. In primo luogo, il censimento - ripeto - è la fotografia più dettagliata sul piano territoriale. Tuttavia, ormai saremmo in grado di fare un censimento continuo, come gli americani e non solo, collegando fonti amministrative e realizzando quella che negli Stati Uniti si chiama American Community Survey, ovvero un decimo di censimento all'anno e che, integrando i dati anno dopo anno e sommandoli, riesce a scendere a livelli territoriali molto fini e poi a scorrimento. Questo è cruciale perché è vero che possiamo fare la contabilità ambientale, integrata con quella economica, e magari possiamo immaginare dei metodi di stima anticipata di certe variabili, ma poi la


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politica ambientale si fa sul territorio. Sono gli enti locali e i soggetti che sono sul territorio che hanno bisogno di sapere cosa sta succedendo sul territorio medesimo. Pertanto, il censimento ogni dieci anni non ha ormai nessun senso. Occorre, insomma, lungimiranza politica. Il censimento del 2011 è costato circa 600 milioni di euro, ma non serve aspettare il 2020 per finanziare un censimento l'anno dopo, com'è accaduto questa volta ed è un miracolo che si stia svolgendo con successo. Bisogna, invece, che investiamo su un decimo del censimento ogni anno. Questa è una scelta politica che va fatta affinché produca risultati tra 3-4 anni. Dico questo perché i famosi questionari rossi, o anche altre domande, potrebbero essere inseriti regolarmente in una rilevazione di questo tipo e quindi riuscire a fornire un quadro, anche tempestivo, della realtà. Vorrei, infatti, sottolineare che per il censimento della popolazione, al di là delle difficoltà delle prime ore, abbiamo avuto oltre 6 milioni di questionari compilati on-line, per oltre 16 milioni di persone. Ciò vuol dire che è possibile usare questi strumenti.
Rispetto alla questione della disponibilità dei dati, vorrei chiarire che lavoriamo con gli altri enti e abbiamo accesso ai loro dati. Tuttavia, dobbiamo riconoscere che, talvolta, vi è un po' di competizione, per cui la speranza è che un progetto fortemente voluto - non dico sponsorizzato - dal Parlamento, in cui l'ISTAT, che ha anche questo compito di coordinamento degli altri enti per la produzione delle statistiche, possa avere una forza maggiore, possa far sviluppare in modo più armonizzato e coerente la cooperazione tra questi organismi. Attualmente, la collaborazione è ottima; non voglio minimamente disconoscere questo. Ciò nonostante, si può fare di più.
Qui risiede, peraltro, anche un'opportunità finanziaria che il Governo potrebbe considerare, ovvero i fondi comunitari, soprattutto nella logica dei nuovi fondi strutturali legati alla politica di coesione, che attribuiscono alle comunità locali non più il compito di massimizzare il PIL pro capite oppure aumentare l'occupazione e così via, ma di accrescere il benessere delle comunità locali, aprendo su fronti che non sono puramente economici. La destinazione sistematica di una parte dei fondi comunitari alla produzione di informazioni che servano gli enti locali e centrali per capire che cosa sta succedendo sarebbe uno straordinario salto culturale che alimenterebbe, anche grazie ai fondi comunitari, una produzione continua di dati.
In merito ai dati occupazionali, non abbiamo al momento queste informazioni perché questa analisi può essere fatta non dal lato delle famiglie, su cui conduciamo l'indagine sulle forze lavoro che fornisce dati ogni mese, a livello, però, molto aggregato e settoriale, bensì da quello delle imprese, quindi occorre lo sfruttamento dei dati dei registri amministrativi, dei bilanci delle imprese, dell'INPS e via discorrendo, che, purtroppo, si rendono disponibili con un certo ritardo. Stiamo, tuttavia, cercando di fare progressi anche in questo campo. Del resto, le nuove tecniche di trasmissione dei bilanci per via informatica per le società di capitali, a partire da quest'anno, dovrebbero velocizzare molto la possibilità di avere questi dati. Occorre, in ogni caso, un livello settoriale molto fine che le indagini sulle famiglie non sono in grado di darci. Su questo possiamo cercare di fare un approfondimento per capire che cosa sta succedendo ai dati di occupazione fonte INPS. Il problema è che questi sono solo dati di fonte occupazione dipendente, pertanto non colgono le eventuali nuove imprese con indipendenti che lavorano in questo ambito.
Vengo alle due ultime considerazioni. Sul deficit ecologico, vorrei dire che, a livello internazionale - essendo presidente della Conferenza degli statistici europei, che è la seconda più grande conferenza di statistici internazionali, dopo quella delle Nazioni Unite - stiamo lavorando proprio sulla misura del capitale naturale. L'ISTAT sta dando, quindi, un contributo fondamentale anche nella definizione degli standard internazionali. Si tratta, però, di valutazioni in quantità perché riuscire a


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valorizzare questi aspetti è molto difficile. A ogni modo, i conti ambientali, che già abbiamo sviluppato e che a breve diventeranno un obbligo comunitario, consentono di fare il salto, compiendo le simulazioni di cui si diceva prima. Infatti, servono non solo dati, ma anche modelli. In Italia, però, non abbiamo un modellistica pienamente integrata a medio e lungo termine di economia, ambiente ed eventualmente società a disposizione del Parlamento.
Una possibilità per sviluppare questi aspetti, e quindi fare delle simulazioni su eventuali impatti alternativi di politiche, potrebbe venire dalla convenzione che, recentemente, la Camera dei deputati e l'ISTAT hanno firmato. Difatti, seguendo quanto previsto dalla legge di bilancio, è stata firmata - ripeto - una convenzione che consente alla Camera dei deputati e alle sue strutture, come il Servizio Studi, il Servizio Bilancio e così via, di chiedere all'ISTAT valutazioni e di finanziare dei progetti particolari. So bene che ci sono delle ristrettezze in questo momento; ciò nondimeno, essendoci un canale di questo tipo, attualmente centrato sugli aspetti economici, si potrebbe immaginare di allargarlo anche ad altri aspetti. Ribadisco, però, che i fondi comunitari, la disponibilità di risorse aggiuntive e l'opportunità della convenzione con la Camera dei deputati potrebbero essere utili.
In conclusione, per riuscire a capire quali settori hanno aumentato e quali diminuito l'intensità energetica al momento abbiamo solo i dati fino al 2008, che non ci consentono ancora di valutare l'effetto della crisi dura. I dati del 2009 saranno resi disponibili nel maggio del 2012, quando potremmo riuscire a recuperare due anni. Mi limito a un unico esempio. Il maggiore contributo tra gli anni 1990-2008 dell'efficienza nell'uso finale di energia è stato dato dalla fabbricazione di coke e dalle raffinerie di petrolio, che chiaramente hanno migliorato loro impatto complessivo. Un valore buono è stato ottenuto anche dai trasporti terrestri e da quelli mediante condotta, che hanno avuto un effetto positivo sulla diminuzione dell'intensità energetica, oltre che dalla metallurgia. Ecco, abbiamo alcune indicazioni, ma non ancora sul 2009.

PRESIDENTE. Ringrazio il presidente Giovannini per la disponibilità dimostrata e dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione di rappresentanti di Nomisma.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulle politiche ambientali in relazione alla produzione di energia da fonti rinnovabili, l'audizione di rappresentanti di Nomisma.
Do loro la parola.

CONCETTA RAU, Rappresentante di Nomisma. Innanzitutto, vi ringraziamo dell'invito su un tema che riteniamo molto importante. Il nostro intervento, come richiesto dal vostro invito, si incentra, in primo luogo, su alcuni aspetti generali delle fonti rinnovabili, in particolare sul loro sviluppo e sulle loro criticità, al fine di fornirvi alcuni spunti su ciò che, a nostro avviso, bisognerebbe fare. In secondo luogo, effettueremo una focalizzazione su due temi che riteniamo prioritari, ovvero l'efficienza energetica e quella da biomasse.
La direttiva 2009/28/CE ha posto all'Italia obiettivi ambiziosi. Siamo partiti dal 5,2 rispetto al 17 per cento delle fonti rinnovabili, con un avvio lento. In termini di obiettivi raggiunti, certamente in questi ultimi anni abbiamo recuperato. Tuttavia, per raggiungere pienamente gli scopi stabiliti dobbiamo proseguire, cercando di superare alcune criticità che abbiamo incontrato in questi anni. La slide che vedete mostra la crescita di due fonti tra quelle che hanno avuto il maggiore sviluppo, ovvero il fotovoltaico e l'eolico. Come potete osservare, essa è stata rilevantissima negli anni 2009-2010; avevamo, infatti, circa 458 megawatt fino al 2008, con un incremento cumulato fino al 2010 di 3.500, mentre sappiamo che la stima che il GSE ha fatto per il 2011 ammonta a 12.000 megawatt di fotovoltaico. Anche le richieste


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di connessione di impianti eolici al 31 dicembre sono state elevatissime, pari a 23.157 megawatt. In questo, incontriamo una delle problematiche delle rinnovabili, ovvero che non sempre le richieste di connessione corrispondono ai progetti effettivamente realizzati. La crescita rilevante si registra anche con l'eolico, sebbene con un incremento meno esponenziale concentrato negli anni. Si evidenzia, peraltro, anche una crescita maggiore nelle regioni delle sud e nelle isole, anche a causa del clima.
Questo sviluppo così elevato e concentrato non è stato privo di criticità, poiché ha portato, anzitutto, dei costi rilevanti. L'Autorità per l'energia ha calcolato che nel 2011 potrebbe arrivare fino a 5,7 miliardi di euro, sulla base delle stime sugli impianti terminati che dovevano entrare in esercizio entro il 30 giugno, per cui il dato è, forse, sottostimato. In generale, se dobbiamo ragionare - come questa Commissione sembra stia facendo, almeno dall'invito che ci è stato rivolto - anche in termini di ricadute sul sistema economico, possiamo dire che lo sviluppo delle rinnovabili non ha massimizzato, a nostro avviso, queste ricadute. Sotto questo aspetto, il problema della normativa, con continui stop and go nel regime degli incentivi, e soprattutto la mancanza di un quadro chiaro di medio e lungo termine è stato un deterrente affinché si potessero fare degli investimenti non solo sulle fonti sulle quali, come per l'eolico e il fotovoltaico, non avevamo un'industria pronta, per cui molto è importato, ma anche sulle filiere tecnologiche, sulla manifattura e sulla ricerca, che potevano far registrare, per contro, ripercussioni interessanti, com'è stato anche negli altri Paesi.
Un altro problema riguarda l'inadeguatezza delle reti elettriche; come sappiamo, vi sono zone, soprattutto quella compresa tra la Puglia settentrionale e la Campania, in cui è installata della potenza che non viene ritirata. Vi è, quindi, una criticità delle reti. Tra l'altro, non si conoscono precisamente i dati e la nostra preoccupazione è che quelli forniti dall'Autorità siano cresciuti notevolmente in questi anni.
Vi è, poi, la questione procedurale e la mancanza delle linee-guida per sette anni, che hanno portato contenziosi, oltre che anche oneri di sistema molto elevati per le imprese che volevano fare investimenti. Oggi, possiamo dire che vi sono stati passaggi programmatici e regolamentari importanti, come il Piano d'azione, il decreto sulle rinnovabili, le linee guida, il quarto conto energia, il Piano di sviluppo infrastrutturale e, da ultimo, il decreto burden sharing, che sicuramente vanno nella direzione di una pianificazione di medio-lungo termine. Tuttavia, secondo noi, vi sono ancora dei fattori su cui bisogna fare attenzione. Prima di tutto, manca un piano energetico nazionale. Infatti, le rinnovabili dovrebbero essere viste in questo contesto, anche perché l'energia è funzionale anche al sistema economico. Del resto, noi ragioniamo anche di sviluppo. Occorre, inoltre, un monitoraggio sulle nuove regole ed eventuali correttivi. Per esempio, alcune aziende ci chiedono quali siano le tecnologie innovative in relazione al fotovoltaico. Bisogna, quindi, capire il nuovo quadro della regolamentazione e monitorare anche le tempistiche, per verificare se le regioni stanno rispettando i parametri e se si sono organizzate.
In più, è necessario che i decreti attuativi, che sono molti, siano applicati nei termini giusti. In particolare, siamo in ritardo su alcuni decreti, due dei quali molto importanti. Il primo riguarda la definizione degli incentivi al 2013, poiché, anche se l'impianto sull'energia elettrica è stato definito, tranne il fotovoltaico, il quantum deve essere ancora determinato, pertanto gli imprenditori devono saperlo per tempo per poter pianificare i loro investimenti. Inoltre, devono essere identificati i decreti attuativi per le rinnovabili termiche, che scadono il 31 dicembre 2012; vi sono, quindi, tempi ristretti. Sotto questo aspetto è importante, peraltro, che siano identificati meccanismi semplici, con una stabilità nel tempo e una remunerazione adeguata, senza ripetere gli errori


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che abbiamo fatto con le tariffe e gli incentivi per le rinnovabili elettriche. È necessaria, poi, un'azione decisa su risparmio ed efficienza energetica. Su questo punto sappiamo che si deve lavorare ancora in tutta Europa. Non a caso, esso è al centro della politica europea, per cui ci può essere anche una spinta in avanti in questa direzione. La Commissione europea sta, infatti, definendo piani, azioni e direttive. Nel marzo 2011 si è avuta la comunicazione del Piano di efficienza energetica, oltre a una tabella di marcia verso un'economia competitiva a basse emissioni di carbonio nel 2050. Tutti dicono che deve essere intensificato lo sforzo dei Paesi europei. L'Italia è, peraltro, fanalino di coda in questo ambito. A ogni modo, l'efficienza energetica è un mezzo efficace per migliorare la sicurezza di approvvigionamento, ridurre le emissioni e superare la crisi economica, visto che l'impatto sulla filiera sarebbe certamente molto forte. Dobbiamo, pertanto, recepire la direttiva 2010/31/CE, molto importante per i nuovi edifici e per quelli investiti da rilevanti ristrutturazioni. Sappiamo, però, che questa è una minima parte del potenziale; la massima si ha, invece, sul patrimonio esistente. Proprio su questo vi è la proposta di direttiva sull'efficienza energetica, attualmente in discussione, che contiene elementi importanti. Oltretutto, l'Italia è il Paese europeo con il maggiore impiego di energia nel patrimonio edilizio. L'energia primaria nel settore civile incide, fra l'altro, nel 36 per cento del totale dei consumi nazionali.
Partire dal patrimonio pubblico potrebbe rappresentare un buon esempio. Paesi come la Francia, senza aspettare direttive comunitarie, si sono dati un impegno che, oltre a prevedere il check-up e verificare le emissioni di tutto il patrimonio pubblico, punta alla riduzione di almeno il 40 per cento dei consumi di energia e di almeno il 50 per cento delle emissioni di gas a effetto serra degli edifici pubblici nell'arco temporale di otto anni. La proposta di direttiva per gli edifici pubblici appare, quindi, interessante perché dal 2014 imporrà che il 3 per cento della superficie totale degli immobili di proprietà di enti pubblici siano investiti da ristrutturazione per l'efficienza energetica al fine di rispettare i requisiti minimi di prestazione energetica richiesta, che ogni Stato dovrà definire.
Vi sono molteplici studi che mostrano che questi interventi hanno ricadute in termini non solo ambientali e di recupero di costi, ma anche economiche molto interessanti, come mostra la valutazione fatta dall'ENEA sulla misura del 55 per cento. Sempre l'ENEA, nel Rapporto energia e ambiente del 2008, offre, in questo senso, dati su campioni abbastanza ampi.
Veniamo ora al cosa fare. Per quanto riguarda il patrimonio pubblico, considerata la situazione finanziaria, vi sono degli ostacoli - per esempio il patto di stabilità - che frenano questa tipologia di interventi per la nostra pubblica amministrazione. Una strada potrebbe essere la semplificazione e il sostegno delle procedure di affidamento degli interventi. Molti, infatti, si ripagano con i risparmi nella gestione degli interventi. Occorrerebbe, quindi, integrare la realizzazione dell'intervento con la sua gestione.
Sotto l'aspetto del risparmio energetico il patrimonio delle famiglie è fondamentale. I nostri studi - in particolare, vi abbiamo mostrato due grafici relativi a una rilevazione di Nomisma nel suo Osservatorio sul mercato immobiliare - mostrano che in Italia la consapevolezza degli acquirenti degli immobili in rapporto alla questione del risparmio energetico è ancora bassa, questo in relazione sia alla quota di soggetti interessata a immobili dotati di risparmio energetico, sia all'eventuale sovrapprezzo che si è disposti ad accettare. Pertanto, è necessaria una sensibilizzazione in questo senso e delle politiche di incentivazione che superino l'approccio del breve periodo, con una stabilità di medio e lungo termine, puntando sulla qualità piuttosto che su obiettivi minimo di risparmio.
Lascio ora la parola al collega Andrea Zaghi, che approfondisce la questione delle biomasse.


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ANDREA ZAGHI, Rappresentante di Nomisma. Desideriamo portare alla vostra attenzione il tema dell'energia da biomasse. Visto che in Nomisma abbiamo anche un'area che si occupa di agricoltura e industria alimentare, abbiamo scelto di presentare il punto di vista degli imprenditori agricoli, ovvero come essi si porranno nei prossimi anni rispetto allo sviluppo di nuovi impianti di energie da fonti rinnovabili, nella fattispecie di energia da biomasse.
Nel dettaglio, le biomasse possono essere categorizzate in cinque categorie: le colture dedicate, i residui colturali, i residui zootecnici, i residui agroalimentari e agroindustriali e le biomasse forestali. Quelle agricole sono le prime tre. Come Nomisma, abbiamo fatto una stima del potenziale energetico delle biomasse agricole in Italia da qui al 2020. La slide illustra, appunto, quello potrebbe essere l'apporto dell'agricoltura italiana per ogni annualità da qui al 2020 sulla base delle condizioni attuali. Quindi, raccogliendo tutti i residui colturali e zootecnici e destinando una superficie congrua a colture dedicate, che non vada a creare conflitti con le filiere food, potremmo arrivare a oltre 8 megatep di consumi di energia finale. Questo significa che l'agricoltura potrebbe arrivare a incidere fino al 6 per cento dei consumi finali lordi di energia. Naturalmente, si tratta di uno scenario teorico e potenziale, in cui si possa sfruttare tutto quello che è possibile in agricoltura. Tuttavia, in uno scenario ottimistico, che riteniamo più che raggiungibile, in cui si arrivi al 50 per cento dello sfruttamento di queste potenzialità, l'agricoltura perverrebbe a un'autosufficienza energetica, totalizzando il 128,8 per cento dei suoi consumi energetici e incidendo per il 3 per cento su quel famoso obiettivo del 17 per cento che l'Italia deve raggiungere entro il 2020. Insomma, 3 punti su 17 per un settore che fino all'altro ieri non ha prodotto energia mi sembrano tutt'altro che irrilevanti.
La mia collega ha già illustrato, nei massimi dettagli, ciò che è successo e che dovrà intervenire in futuro. Nello specifico, per quanto riguarda le biomasse verranno incentivati metodi di produzione efficienti. Infatti, da qui in avanti bisogna premiare l'efficienza, ovvero il recupero dei residui. Per esempio, è necessario riuscire a recuperare il calore, a fare impianti di cogenerazione e a premiare filiere corte, che non vadano a importare la materia prima da chissà dove. A ogni modo, nonostante tutte le misure vadano nella giusta direzione, occorre ancora emanare i decreti attuativi.
Vorrei soffermarmi brevemente su alcuni punti critici e su alcune opportunità che, dal nostro punto di vista, sarà utile curare per avere, entro il 2020, una massimizzazione del rapporto tra agricoltura e produzione di fonti rinnovabili. La prima questione è relativa al conflitto food versus energy. Se ne parla molto a livello mondiale, mettendo in relazione le crisi alimentari degli ultimi anni con i biocarburanti. In Italia, non si può dire che questo fenomeno vi sia poiché si producono pochissimi biocarburanti. Tuttavia, in alcune zone circoscritte, mi riferisco alla provincia di Cremona, vi è stato un momento in cui l'eccessivo sviluppo di impianti a biogas ha avuto effetti sui prezzi sia degli affitti dei terreni sia dei foraggi. Questo è, dunque, un aspetto da monitorare con una maggiore programmazione a monte da parte degli enti pubblici, adottando un meccanismo di burden sharing per fare in modo che in un'area circoscritta non vi sia una sovrapposizione molto ampia di potenza. Viste le importanti quote di superfici che al momento non sono utilizzate, questo appare, comunque, un fattore facilmente gestibile. Non vediamo, quindi, almeno nel breve periodo, un conflitto tra queste due modalità produttive.
Inoltre, come ha stabilito il decreto sulle rinnovabili, non dovrà essere prodotta solo energia elettrica dalle biomasse, bensì energia termica o in cogenerazione. Occorre, inoltre, utilizzare il biometano, che ha molte potenzialità di crescita del nostro Paese. Ricordiamo che siamo uno dei Paesi con la maggiore rete di gas naturale al mondo, quindi poter unificare il biogas agricolo, metterlo nella rete del


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gas naturale e poterlo stoccare e portare laddove c'è la necessità d'uso, sia termico che per autotrazione, rappresenta un elemento su cui l'Italia deve scommettere. Anche in questo caso, attendiamo, però, dei decreti attuativi che ancora non sono arrivati.
Dal punto di vista prettamente agricolo, un altro tema che sta molto a cuore agli imprenditori che vogliono effettuare un investimento in impianto a biogas è la chiarezza sulla natura delle biomasse. Occorre, infatti, dire che con il recepimento della direttiva rifiuti si è fatto, purtroppo, un passo indietro poiché quelli che erano a tutti gli affetti prodotti zootecnici, ovvero gli effluenti zootecnici, sono tornati a essere rifiuti. Questo rappresenta un vero e proprio paradosso perché se vengono sparsi in campo non sono rifiuti, se, invece, vengono messi in un impianto a biogas diventano rifiuti, cosa che comporta un aggravio notevole di costi in termini di gestione dell'impianto stesso, che diventa un vero e proprio impianto di trattamento rifiuti. È chiaro che per aziende agricole di piccola dimensione avere un aggravio di costi di questo genere non è sostenibile, per cui si tende a rinunciare molto spesso all'investimento in questo senso.
In merito alle filiere di approvvigionamento delle biomasse, vi sono diversi studi in cui si dimostra che, se le filiere sono aziendali o locali, la potenzialità in termini di riduzione delle emissioni di gas è massimizzata. Con piccoli impianti con biomassa locale si arriva a percentuali addirittura superiori al 95 per cento. Bisogna, quindi, fare una scelta netta su questo, senza incentivare impianti che importano la materia prima da Paesi in cui c'è stata, magari, una deforestazione per ottenere quella materia prima. Occorre, allora, puntare su impianti di potenza medio-piccola, al massimo di 50 megawatt. Difatti, con quelle dimensioni si può ancora ricorrere all'approvvigionamento da agricoltura locale, destinando un'attenzione maggiore ai fornitori locali piuttosto che esteri, che vanno utilizzati solo come extrema ratio.
Infine, è fondamentale avere la certezza di un incentivo di lungo periodo. La tariffa onnicomprensiva è stata decisiva per dare una svolta al settore, quindi ad avviare lo sviluppo dei piccoli impianti a biomasse. Bisogna continuare su questa strada, continuando ad avere delle tariffe semplici, alla portata delle piccole imprese soprattutto agricole e introducendo, semmai, meccanismi premianti che vadano a incentivare alcuni comportamenti, quali l'efficienza, il recupero del calore, l'utilizzo di residui e quant'altro.
Questo, in estrema sintesi, il nostro punto di vista sull'agricoltura in rapporto con le biomasse.

PRESIDENTE. Autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna della documentazione consegnata dai rappresentanti di Nomisma (vedi allegato 3).
Do ora la parola ai deputati che intendano porre quesiti o formulare osservazioni.

ELISABETTA ZAMPARUTTI. Vorrei sapere se avete dei dati relativi all'occupazione generata anche grazie ai sistemi di incentivazione nei vari settori delle rinnovabili elettriche, termiche e di efficienza energetica. Avevo letto qualche cosa in proposito tempo fa. Mi chiedo, però, se non abbiate ulteriori dati.

ANDREA ZAGHI, Rappresentante Nomisma. No. Abbiamo solo i dati che sono stati resi pubblici poco tempo fa. Siamo sempre intorno all'ordine di grandezza dei 120.000 occupati, che potrebbero crescere fino a raddoppiare entro il 2020.

PRESIDENTE. Ringrazio gli auditi della disponibilità dimostrata e dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 15,50.

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