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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissione VIII
9.
Giovedì 27 maggio 2010
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Tortoli Roberto, Presidente ... 2

INDAGINE CONOSCITIVA SUL MERCATO IMMOBILIARE

Audizione di rappresentanti dell'Associazione nazionale comuni italiani (ANCI):

Tortoli Roberto, Presidente ... 2 4 6 7 9
Braga Chiara (PD) ... 6
Mariani Raffaella (PD) ... 4
Misiti Aurelio Salvatore (Misto-MpA-Sud) ... 5
Morassut Roberto (PD) ... 5
Pastorino Bruno, Assessore alle politiche abitative del comune di Genova ... 7
Tricarico Roberto, Assessore alle politiche abitative del comune di Torino ... 2 4 7
Verga Giovanni, Assessore alle politiche abitative del comune di Milano ... 8

Audizione di rappresentanti di Confabitare:

Tortoli Roberto, Presidente ... 9 12
Zanni Alberto, Presidente di Confabitare ... 9
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Repubblicani; Regionalisti, Popolari: Misto-RRP; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Noi Sud/Lega Sud Ausonia: Misto-NS/LS Ausonia.

COMMISSIONE VIII
AMBIENTE, TERRITORIO E LAVORI PUBBLICI

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di giovedì 27 maggio 2010


Pag. 2

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROBERTO TORTOLI

La seduta comincia alle 14,05.

(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).

Audizione di rappresentanti dell'Associazione nazionale comuni italiani (ANCI).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sul mercato immobiliare, l'audizione di rappresentanti dell'Associazione nazionale comuni italiani (ANCI). Ringrazio per la presenza il dottor Roberto Tricarico, assessore alle politiche abitative del comune di Torino, il dottor Bruno Pastorino, assessore alle politiche abitative del comune di Genova, il dottor Giovanni Verga, assessore alle politiche abitative del comune di Milano, il dottor Antonio Ragonesi, responsabile dell'Area casa, infrastrutture, sicurezza e attività produttive dell'ANCI, la dottoressa Carmelina Cicchiello, responsabile dell'Ufficio territorio e lavori pubblici dell'ANCI e il dottor Giuseppe Pellicanò, rappresentante dell'ANCI.
Do subito la parola all'assessore Tricarico.

ROBERTO TRICARICO, Assessore alle politiche abitative del comune di Torino. Ringrazio lei, presidente, nonché la Commissione per aver coinvolto l'ANCI nell'importante lavoro che il Parlamento sta svolgendo, credo soprattutto per addivenire a proposte di legge capaci di inserirsi nel mercato privato della locazione e per favorire l'accesso all'abitazione alle famiglie che in questo momento stanno premendo sui comuni per le gravi difficoltà non solo economiche, ma anche sociali che esprimono, nonché per garantirne la permanenza a quelle che hanno un contratto di locazione in essere ed eventualmente anche per rilanciare il programma di edilizia abitativa pubblica in Italia.
Fornisco alcuni dati. Come sapete, il nostro Paese in Europa è il fanalino di coda nel campo dell'edilizia pubblica: soltanto il 4 per cento degli immobili locati sono di proprietà dei comuni e delle aziende regionali ex IACP. Circa un milione di famiglie vive in case popolari e il mercato privato della locazione è rappresentato da nuclei familiari con un'incidenza del canone sul reddito da un minimo del 50 per cento fino a un massimo del 60-70 per cento. Ciò sta a significare, in particolare, che le famiglie con un unico lavoratore o i nuclei monogenitoriali incontrano enormi difficoltà a pagare l'affitto.
Per la prima volta in Italia abbiamo raggiunto un record mai toccato prima: gli sfratti attualmente eseguiti nel nostro Paese sono per il 90 per cento per morosità, il che produce allarme sociale nei nostri comuni, ma soprattutto registra una situazione caratterizzata da canoni alti e redditi bassi. È assolutamente essenziale fare in modo che tale situazione si riequilibri.


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Nel 1998, il Parlamento, per favorire la liberalizzazione del mercato degli affitti, ottenendo anche, a nostro avviso, risultati importanti, aveva modificato la legge sul mercato privato della locazione, introducendo una nuova normativa, la legge n. 431, che, da un lato, ha liberalizzato gli affitti e, dall'altro, ha fissato, introducendo il secondo canale, anche un livello di contrattazione tra le parti sociali e le associazioni della proprietà per fissare il cosiddetto canone concordato.
Riteniamo che questa strada debba essere perseguita con maggior vigore, dal momento che il canone concordato, stando ai rilevamenti che abbiamo effettuato, oggi si attesta a un 30 per cento in meno rispetto al canone libero. Riteniamo, pertanto, che attraverso una fiscalità di vantaggio si possa ulteriormente diffondere tale strumento e insistiamo nel chiedere che la cosiddetta cedolare secca venga agganciata ai contratti stipulati con il cosiddetto «secondo canale».
Abbiamo bisogno di insistere su questa strada, perché riteniamo che siano danneggiati non soltanto gli inquilini che hanno difficoltà a pagare l'affitto, ma anche i proprietari che mettono in locazione il proprio immobile, perché il dato del 90 per cento di sfratti per morosità produce, ovviamente, effetti sugli inquilini, ma impedisce anche ai proprietari di ottenere il giusto riconoscimento per il bene che mettono a disposizione. Non dimentichiamo che le spese legali che affronta per poter recuperare l'alloggio portano il proprietario a trovarsi di fronte a un esborso veramente molto oneroso in termini economici e a vedere il proprio investimento come fallimentare.
Noi pensiamo, quindi, che bisogna intervenire con la leva fiscale, anche e soprattutto consentendo agli inquilini di poter detrarre fiscalmente una quota rilevante, se non totale, dell'affitto che pagano al proprietario.
Certamente tali strumenti devono continuare a essere agganciati al Fondo nazionale per il sostegno alla locazione, un fondo che, per la verità, ha visto in questi anni un progressivo decrescere, una progressiva riduzione, mentre, paradossalmente, si verificava un incremento della domanda. Oggi è in atto una situazione, che potete trovare descritta nella documentazione che vi abbiamo consegnato, tale per cui, in alcuni casi, il contributo all'affitto, oltre ad arrivare in ritardo rispetto alle esigenze espresse da parte dell'inquilino - ricordiamo che il contributo per l'affitto funziona piuttosto come rimborso degli affitti pagati e non come sostegno per far fronte a quelli presenti - in talune situazioni è diventato pressoché simbolico. I comuni devono, infatti, distribuire le risorse che ricevono dallo Stato e dalle regioni sull'intera platea di chi presenta domanda e, quindi, sono proporzionalmente costretti a ridurre il contributo.
È importantissimo allora provvedere a un riordino in questa materia. In un incontro con il Governo, durante una sessione tenutasi a Torino in occasione del congresso annuale, l'ANCI aveva strappato la promessa da parte del Governo di rimettere mano alla legge n. 431 del 1998, una promessa che per il momento è rimasta tale e non ha avuto conseguenze pratiche.
Il Governo si è, invece, avventurato nel cosiddetto Piano nazionale di edilizia abitativa, per il quale, attraverso l'istituzione di strumenti finanziari, si intenderebbe proporre anche al nostro Paese il sistema del cosiddetto social housing.
Come sapete, si è favorita la costituzione di fondi che dovrebbero ottenere anche risorse da parte della Cassa depositi e prestiti per interventi tesi a incrementare il numero di alloggi da mettere a disposizione delle famiglie in difficoltà. Il limite di tale misura è che gli investitori richiedono un rendimento minimo e che esso potrebbe non produrre i canoni accessibili che chiediamo.
Quando parliamo di canoni accessibili, ci riferiamo a una situazione che storicamente il nostro Paese ha conosciuto e che queste aule hanno discusso più volte: non possono esistere canoni che abbiano un'incidenza superiore al 25 per cento sul reddito. Visto che il canone medio nel nostro Paese, a voler essere generosi, è di


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1.000 euro, non potremmo avere canoni superiori a 250 euro; oggi, però, è impossibile nelle nostre città, trovare un canone a tale cifra. Dai calcoli che gli operatori finanziari stanno pensando per poter attrarre gli strumenti finanziari in questione, abbiamo come ritorno canoni che superano i 250-300 euro e arrivano a 500 o talvolta a 600 euro.
Occorre, dunque, che i comuni mettano a disposizione gratuitamente le aree e rinuncino agli oneri di urbanizzazione e che, eventualmente, lo Stato individui altre forme di vantaggio, soprattutto in termini fiscali, che rendano conveniente l'investimento, il tutto per restituire alloggi che non sono adatti, per il canone richiesto, a soddisfare la domanda che giace attualmente nelle graduatorie in possesso dei comuni, che vedono 650 mila famiglie avere diritto certificato a ottenere una casa popolare, il cui canone medio nel nostro Paese è attualmente di 90 euro.
Pensiamo - e credo che questa Commissione possa eventualmente, se lo ritiene, continuare a tenere incontri conoscitivi in merito - che un intervento di social housing come quello ipotizzato nelle nostre città possa risultare efficace nei quartieri pubblici, dove si sono interrotti da tempo i programmi di riqualificazione e rigenerazione urbana dei nostri territori e dove è possibile favorire l'investitore privato che opera in un contesto di rinnovate esigenze di mix sociale, facendo coesistere edilizia pubblica, introducendo edilizia libera e prevedendo forme di edilizia agevolata, magari attraverso strumenti urbanistici, che i comuni potrebbero mettere a disposizione, per la valorizzazione delle aree, con premi di cubatura e favorendo, laddove possibile, demolizioni e costruzioni.
È un problema molto serio, che, per la verità...

PRESIDENTE. Mi scusi un attimo: lei parla a nome di tutti o svolge un intervento a titolo individuale? Lo chiedo per una questione di tempi dell'audizione.

ROBERTO TRICARICO, Assessore alle politiche abitative del comune di Torino. Ho l'onore di coordinare gli assessori alla casa dei comuni italiani e in questo momento parlo a nome di tutti. È evidente, però, che siamo qui anche per rispondere a eventuali domande. Sono peraltro presenti, insieme a me, l'assessore Verga del comune di Milano, l'assessore Pastorino del comune di Genova e ci ha raggiunto anche il collega del comune di Venezia. Siamo in questa sede per rispondere a eventuali domande. Ho quasi concluso la mia esposizione.
Volevo approfittare dell'occasione che ci è data per sottolineare che la manovra che state discutendo e che discuterete affronta certamente i problemi relativi alla cassa, ma richiederebbe anche un'attenzione rispetto alla casa. Esiste, infatti, un disagio, ormai sempre più crescente nelle nostre città, che rischia di trasformare in questioni sociali le questioni economiche.
Del resto, il fatto di non avere la certezza di poter occupare con serenità il proprio appartamento produce nelle nostre città un problema che, talvolta e sempre più spesso, chiama in causa i servizi sociali, più che quelli abitativi. A nostro giudizio, invece, bisogna riportare il tema nel giusto alveo delle nostre competenze. Vi consegniamo la documentazione preparata per l'audizione e ci mettiamo a disposizione per qualsiasi altra richiesta.

PRESIDENTE. Do la parola agli onorevoli deputati che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

RAFFAELLA MARIANI. Ringrazio l'Associazione nazionale dei comuni italiani. Vorrei dire all'assessore che siamo consapevoli delle difficoltà che riguardano il tema delle politiche abitative, tanto che la necessità di svolgere questa indagine conoscitiva nasceva anche proprio dall'esigenza di approfondire questioni che, dal nostro punto di vista, erano state sottovalutate dal Governo.
Vorrei porle una domanda in riferimento all'attualità, assessore, prima di entrare nello specifico.
Riguardo ai riferimenti, nella manovra, alla cartolarizzazione delle cosiddette


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«case fantasma» e al ruolo dei comuni, che effetti pensate possa produrre tale misura sulle amministrazioni locali?
Se, da una parte, quello che noi definiamo un condono può essere interpretato anche come un meccanismo per reperire risorse che diversamente non sarebbero state mai incluse nel bilancio pubblico, dall'altra, ci domandiamo però se lo sconto che viene applicato nel momento della sanatoria ripaghi le spese dei comuni per gli oneri di urbanizzazione e per tutti i servizi che devono essere garantiti nei quartieri e nelle aree in cui tali «case fantasma» sono state edificate.
Riguardo ai termini di questa sanatoria, a noi risulta - poi vedremo gli atti precisi - che essa non sia mirata sul passato, ma abbia anche una prospettiva futura, cioè termini al 31 dicembre 2010. È quasi un meccanismo per spiegare in giro che, volendo, ci si può ancora attrezzare rispetto all'abusivismo. Mi domando se i comuni possano anche dare un segnale forte su questo punto, perché effettivamente sulle amministrazioni locali rimarranno tutte le responsabilità di urbanizzare, mettere a disposizione risorse e farsi carico di tutto ciò che occorre per rendere i servizi locali più efficienti nelle zone interessate da fenomeni di abusivismo.
Ci poniamo anche un'altra domanda. Quando l'Agenzia del territorio è venuta, nell'ambito di questa indagine, a parlare del fenomeno dell'abusivismo, ci è stato riferito che con le tecniche moderne è quasi impossibile sfuggire al controllo non solo dell'Agenzia stessa, ma anche dei comuni: nessun sindaco, che sia di un piccolo o di un grande comune, può ignorare ciò che avviene nelle aree dove si compie abusivismo.
Mi domando se i comuni chiedano aiuto non solo alla normativa, ma anche a strumenti eccezionali per essere più efficaci nel controllo e impedire che questo diventi un meccanismo per arricchirsi. Abbiamo visto comparire anche «strane norme sugli immobili» nei decreti-legge che sono stati emanati in questa legislatura. Evidentemente, intorno a tale fenomeno c'è un'organizzazione, altrimenti non ci stupiremmo poi delle cifre così alte riguardo all'abusivismo e alla sanatoria che stiamo per compiere.
Era un interrogativo che volevo porre, perché cade anche sulle questioni delle politiche abitative.

AURELIO SALVATORE MISITI. Anch'io apprezzo l'approccio dei comuni sulla questione abitativa.
Mi domando, visto che nella relazione è stato svolto soltanto un accenno in merito, quale sia il ruolo attuale degli alloggi ex IACP, se ci sono iniziative nelle vostre regioni, per esempio, di trasferimento totale ai comuni di tali alloggi e se, attorno a tali beni, siano state prese iniziative per poterli utilizzare come cespiti per elaborare programmi di miglioramento dei quartieri in cui si trovano, oppure per continuare, oltre alla manutenzione, ad attuare programmi di politica abitativa più ampia, di estensione del patrimonio edilizio pubblico, a carico non dei comuni, ma attraverso quanto può emergere con un programma specifico che si basi anche sui cespiti e sulla ricchezza che tali alloggi rappresentano in sé.

ROBERTO MORASSUT. Formulo una domanda per capire che valutazione dà l'Associazione nazionale dei comuni italiani sui provvedimenti che in questi ultimi due anni sono stati assunti a livello nazionale dal Governo sul tema della casa.
Un primo provvedimento, inserito nella manovra economica del 2008, il decreto-legge n. 112, denominato per l'appunto «Piano casa 1», prevedeva alcune iniziative, secondo una modalità di concertazione pubblico-privato, che avrebbero dovuto consentire il lancio di un programma in grande stile su tutto il Paese per realizzare un rilevante numero di alloggi popolari e agganciare alle trasformazioni urbane una rendita pubblica di case finalizzate anche al sostegno al mercato dell'affitto.
È stato poi emanato un secondo provvedimento, il «Piano casa 2» dello scorso anno, che, per la verità, era più un piano


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di ristrutturazioni e ampliamenti di immobili, anch'esso però teoricamente finalizzato al tentativo di venire incontro a un'esigenza ormai diffusissima, non solo tra i ceti popolari, ma anche tra fasce larghissime di ceto medio.
La nostra valutazione di questi due provvedimenti è di insufficienza e inadeguatezza sull'effetto reale che essi hanno determinato per alleviare l'esigenza di un'offerta adeguata al problema della casa. Riteniamo, soprattutto, che, messi insieme, non configurino un'organica politica per la casa.
Inoltre, agganciandomi a un passo dell'introduzione svolta nell'ultimo intervento, vi domando se non riteniate che il tema della casa non possa essere assolutamente sganciato dalla questione più complessiva della riforma della legge urbanistica e sul governo del territorio.
Non c'è dubbio, infatti, che, per fare edilizia popolare a basso costo, che venga incontro, sia per il mercato degli affitti, sia per l'acquisto, alle esigenze medie delle famiglie italiane, si debba partire innanzitutto dall'abbattimento del costo dei suoli e, quindi, dalla possibilità per i comuni di dotarsi di un demanio di aree a basso prezzo e a costo zero, che naturalmente non possono venire per spirito divino, ma debbono essere incamerate attraverso un percorso procedurale e legislativo molto preciso, che tante regioni hanno già avviato per proprio conto, ma in maniera molto diversificata.
Vi chiedo inoltre se, in tal caso, non si debba considerare il fatto che per la realizzazione fisica degli alloggi non si debba superare il classico meccanismo dell'appalto e della disponibilità delle risorse da parte dei comuni, che non ne hanno, e attingere invece, con politiche di concertazione e collaborazione, al mercato finanziario e ai fondi di investimento, sollecitando tale mercato a elaborare prodotti finanziari che abbiano la capacità, attraverso un rendimento medio-basso ma a lungo termine e magari caricando sulle compagini finanziarie che partecipano con costruttori alla realizzazione di alloggi anche i costi di manutenzione e di gestione, restando i comuni proprietari degli immobili, nella prospettiva finale.
Combinando questi due aspetti, ossia riforma della legge sul governo del territorio e, quindi, normalizzazione del concetto della perequazione su tutta la scala nazionale e rapporto con il sistema finanziario si potrebbe mettere in campo un'organica politica per la casa, che si autoalimenti attraverso gli strumenti urbanistici e il rapporto col mercato finanziario.
Credo che questo sia il tema che l'esperienza di tanti comuni ci propone: un'organica politica per la casa che venga incontro alle esigenze del ceto medio. Altrimenti, avremo sempre interventi sporadici.
L'ultima domanda è, per alcuni aspetti, retorica, ma non tanto, e serve per capire - torno alle esigenze e chiudo - che effetto i comuni registrano nel loro territorio in relazione ai provvedimenti varati dal 2008 da questo Governo sul tema delle politiche abitative.

PRESIDENTE. Vi prego di formulare domande più brevi, per cortesia, altrimenti non potremo avere le risposte.

CHIARA BRAGA. Sarò telegrafica, presidente. Sfogliando velocemente il documento che ci avete presentato, vorrei chiedervi, se esiste, un documento aggiornato rispetto alla bozza di regolamento dei fondi immobiliari previsti dal «Piano casa 1», visto che nel vostro testo il dato si ferma al gennaio di quest'anno, da parte del gruppo di lavoro istituito presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti.
Svolgo anche un rapido flash. L'assessore faceva riferimento all'inizio al fenomeno preoccupante della crescita esponenziale dei casi di sfratto per morosità, a conferma che esiste un'area di disagio abitativo grave, che probabilmente non trova risposta nemmeno negli interventi dell'housing sociale. Quale può essere, secondo voi, la strada per fronteggiare il problema in tempi brevi e compatibili con l'emergenza che sta assumendo questo fenomeno?


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PRESIDENTE. Do la parola ai rappresentanti dell'ANCI per la loro replica.

ROBERTO TRICARICO, Assessore alle politiche abitative del comune di Torino. All'onorevole Mariani rispondo io, all'onorevole Misiti risponde il collega Pastorino e all'onorevole Morassut il collega Verga.
Dico subito all'onorevole Braga, che è intervenuta per ultima, che esisterebbe uno strumento secondo noi assolutamente adeguato e compatibile con le necessità del momento, ossia quello di anticipare le risorse del Fondo per il sostegno alla locazione. Sarebbe importante, cioè, poter dare alle famiglie italiane subito i soldi per poter continuare a permanere nelle loro abitazioni; altrimenti, il rischio sfratto diventa serio e il disagio si ripercuote necessariamente sui comuni e sull'intero sistema.
Costa molto meno, infatti, dare a una famiglia 5 mila euro in un anno che darle una casa popolare spendendo a 150-170 mila euro. Costa molto meno in termini economici e certamente sociali.
All'onorevole Mariani rispondo che dobbiamo innanzitutto conoscere il testo del Governo, che attualmente non ci è stato consegnato. Conosco il tema delle «case fantasma» esclusivamente per averne parlato direttamente con l'ingegner Maggio e con il direttore dell'Agenzia del territorio.
A nostro avviso, bisogna distinguere tra fabbricati costruiti legittimamente e non. È auspicabile che i primi siano iscritti al catasto e, quindi, il lavoro svolto dall'Agenzia del territorio è straordinario e importantissimo, perché ha fatto emergere fabbricati che altrimenti non sarebbero risultati al catasto. Se, invece, si fanno emergere e poi si sanano fabbricati che non potevano essere costruiti legittimamente, è evidente che ci troviamo di fronte a un condono, che provoca i disagi tipici che lo accompagnano.
A proposito di «case fantasma», riteniamo che siano «fantasma» anche quelle che sono affittate, ma in nero. Se si vuole combattere l'evasione in maniera seria, come mi pare che si stia tentando di fare, è assolutamente necessario aggredire anche questo fenomeno, che produce un'evasione fiscale nel nostro Paese, secondo i calcoli che abbiamo elaborato, di 2,3 miliardi di euro. Sarebbe un'iniziativa importantissima.

BRUNO PASTORINO, Assessore alle politiche abitative del comune di Genova. Mi sembra che già il nostro coordinatore, l'assessore Tricarico, avesse fornito alcuni rilievi sulla questione del patrimonio di edilizia residenziale pubblica (ERP) nel nostro Paese.
Voglio ricordare velocemente alcuni dati: la percentuale del patrimonio ERP relativamente al complesso del patrimonio abitativo in Italia è del 4,5 per cento, una percentuale largamente inferiore sia alla media UE, sia a quella di moltissimi altri Paesi europei. Ciò avviene, peraltro, in una fase in cui, invece, conosciamo una crescita progressiva della domanda di alloggio pubblico.
Fornisco alcuni dati molto veloci relativamente alla città di cui sono assessore, Genova, dove, dall'inizio degli anni Duemila a oggi, abbiamo visto triplicare, da 1.200 a 3.600, le domande di accesso all'edilizia residenziale pubblica, naturalmente a fronte di un patrimonio che, nel frattempo, non è cresciuto, per usare un eufemismo.
In questo arco temporale, sono andate in deperimento e a conclusione le risorse che, attraverso i contratti di quartiere, i fondi ex Gescal, permettevano di effettuare interventi straordinari di recupero e manutenzione su aree che erano già, molto probabilmente, infelici in origine e che ormai conoscevano anche una situazione di vetustà, per le quali occorrevano interventi aggiuntivi.
In tale periodo sono stati effettuati progressivamente anche stanziamenti straordinari - penso al decreto ministeriale del 14 settembre 2005 e al decreto legge n. 159 del 2007, con tutte le sue successive evoluzioni -, ma tutte queste risorse sono sempre state strettamente destinate all'emergenza sfratti e, quindi, al recupero degli alloggi esistenti o, eventualmente,


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alla acquisizione di alloggi per poi poterli subaffittare da parte dei comuni, e non sono state, invece, stanziate quote di risorse destinate alla riqualificazione ambientale del patrimonio abitativo.
Mi piacerebbe, comunque, segnalare che gli interventi straordinari che sono stati attivati e che hanno permesso magari ai comuni di recuperare parte del patrimonio abitativo non disponibile, pur essendo attuati sulla base di necessità straordinarie, conoscono poi un rallentamento nell'erogazione tale per cui la straordinarietà non riesce a essere contenuta, ma, anzi, viene ulteriormente inasprita.
Mi si conceda un'ultima riflessione. Insisto molto, insieme a tutti i colleghi dell'ANCI, sull'inadeguatezza e sull'insufficienza del patrimonio abitativo di edilizia residenziale pubblica; credo, però, che ciò non si debba tradurre come un giudizio di insufficienza dell'edilizia alloggiativa, la quale è, invece, estremamente numerosa.
Cito un dato relativo alla città di Genova, recentemente censito dall'amministrazione nell'ambito di una necessaria variante al piano urbanistico comunale (PUC) che una legge regionale ci impone. A Genova ci sono 15 mila alloggi privati inutilizzati, che sarebbero largamente sufficienti a compensare un'ampia parte della domanda abitativa presente sul nostro territorio.

GIOVANNI VERGA, Assessore alle politiche abitative del comune di Milano. Spero di essere altrettanto telegrafico nel rispondere all'onorevole Morassut. Svolgo una sola premessa. D'accordo col presidente Tricarico, faremo avere un aggiornamento di documentazione, poiché abbiamo svolto una conferenza a Venezia alla fine di febbraio, che ha sviluppato un documento, poi approvato in sede ANCI, prevalentemente sul tema dell'affitto. Credo che esso possa essere utile come compendio.
Vengo al primo punto, il cosiddetto «Piano casa 1» ex decreto-legge n. 112 del 2008. Esso è legato esclusivamente ai fondi immobiliari, che sono in fase di attuazione. Abbiamo lavorato attivamente nella redazione del regolamento dei fondi e aspettiamo che sia pronto il bando per la scelta della società di gestione del risparmio. Non risolve il problema della casa nel suo complesso, ma si riferisce a una parte del problema, quello dell'utenza che non possiede le caratteristiche di emergenza sociale per essere interessata all'edilizia pubblica tout court, quella degli ex IACP, oggi definiti in diversi modi, e neppure alla possibilità dell'accesso al mercato libero.
Nutriamo molte speranze. Anche oggi, nella riunione che abbiamo tenuto in altra sede, è emerso che tutti i comuni si stanno attivando su questo punto e l'auspicio è che tale provvedimento restituisca voce e attività a questo comparto.
Resta in sospeso tutto il tema dei finanziamenti all'edilizia pubblica di tipo sociale ed emergenziale, perché dagli anni Novanta, con la mancanza del gettito Gescal, il tema non è più considerato, il che vale per tutti i Governi che si sono succeduti da tale periodo fino a oggi.
Il cosiddetto «Piano casa 2», quello delle modifiche edilizie e del buono alloggio in più, che non ha visto un'iniziativa né del Governo, né del Parlamento, ma solo dichiarazioni di principio, mentre poi sono state le regioni a legiferare al riguardo, vede un tessuto a macchia di leopardo sul territorio nazionale, con ulteriori macchie all'interno delle regolamentazioni definite dai singoli comuni in virtù delle leggi regionali.
Per quanto posso esprimere in termini assolutamente personali, non si è colto il segno di un'iniziativa possibile, che, a mio avviso, dovrebbe essere ripresa completamente. Con alcune linee di indirizzo serie, il tema potrebbe diventare di grande significato sul Paese, ma se ne è fatto un dibattito di tipo più ideologico, che non operativo.
A me preme, però, sottolineare un aspetto che colgo dall'ipotesi sul livello nazionale, che noi abbiamo sottolineato in moltissimi documenti e che rimetto anche alla vostra attenzione. Le procedure nel nostro Paese distruggono qualunque iniziativa:


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non è più possibile funzionare con procedure come quelle che dobbiamo rispettare oggi.
Una ricerca dell'Università Bocconi, ormai da tre anni a questa parte, dimostra che il costo del non realizzato, solo in alcuni dei settori infrastrutturali fondamentali del nostro Paese, si aggira intorno ai 400 miliardi di euro. Se dovessimo inserire quello della casa, sicuramente implementeremmo di molto la cifra.
Non è possibile che dal momento in cui si perviene a una decisione di tipo generale a quello in cui si ha l'effettiva concreta realizzazione degli interventi passino molti anni. Oggi abbiamo discusso della ripartizione, decretata nei mesi scorsi, di finanziamenti programmati dal Governo quattro anni fa, che non sono mai stati resi attivi, coinvolgendo tutti i tipi di quadro politico. La modifica delle procedure non costa niente; può solo rendere. Questo è un tema che, evidentemente, non crea grande appeal, ma è reale.
Voglio solo aggiungere, condividendo la sottolineatura che solo una riforma vera di governo del territorio possa portare a considerare adeguatamente anche il tema della casa, che, come ANCI, ci siamo battuti e abbiamo ottenuto quella definizione di alloggio sociale che è diventata norma nel Paese dal giugno del 2008 e che consente di avere le aree a costo zero, purché lo si voglia.
Credo, dunque, che ci sia anche, andando a prendere a bocconi le norme, il modo per ricomprenderle dentro un quadro generale, di cui si avverte il bisogno. D'altronde - mi permetto di affermarlo, anche se non ne abbiamo discusso - ormai da diverse legislature Camera e Senato lavorano sui testi unici piuttosto che sulle proposte di nuova legge di governo del territorio; l'ultima volta si è arrivati fino a un voto di una delle due Camere, ma non dell'altra, quindi si è trattato di un lavoro interrotto.
Mi permetto solo un'ultima sintesi. Visto che avete all'attenzione un decreto fiscale con tutte le proprie caratteristiche, mi permetto di sottolineare una questione: per realizzare l'edilizia residenziale pubblica si paga l'IVA, il che è folle. Gli Istituti autonomi case popolari, chiamati in modo diverso sul territorio, non godono delle agevolazioni del 36 per cento per compiere le ristrutturazioni. Ancora stamattina veniva sottolineato questo aspetto, perché, in virtù delle alienazioni parziali effettuate nel tempo, il privato diventato proprietario della casa popolare può avere tale agevolazione, ma l'ALER o l'ATER no. Siamo dentro una babele infinita.

PRESIDENTE. Nel ringraziare gli auditi, dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione di rappresentanti di Confabitare.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sul mercato immobiliare, l'audizione di rappresentanti di Confabitare.
Sono presenti il presidente di Confabitare, Alberto Zanni, il segretario, Pietro Dimagli, il responsabile del Centro studi, avvocato Maddalena Mignardi, e il componente del Centro studi, avvocato Massimo Vitagliano.
Ringrazio tutti per la presenza e do subito la parola al presidente Zanni.

ALBERTO ZANNI, Presidente di Confabitare. Desidero, innanzitutto, ringraziare, a nome mio e dell'associazione Confabitare, il presidente e tutti i componenti dell'VIII Commissione per averci invitato, in qualità di associazione che rappresenta la proprietà immobiliare, a discutere in quest'audizione sul tema, sicuramente molto importante, dell'analisi del mercato immobiliare italiano. Esso assume un'importanza maggiore in questo momento di crisi economica che sta attanagliando il nostro Paese e colpendo il mercato immobiliare e dell'edilizia, un mercato che riteniamo essere un perno dell'economia italiana, ragion per cui è essenziale affrontare la situazione per rilanciare l'economia italiana.
Dal nostro punto di vista, riteniamo che, in questo momento, più che a nuove


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costruzioni sia importante pensare a una nuova politica delle locazioni. Innanzitutto, in Italia ci sono già molti immobili di nuova costruzione - parliamo soprattutto della situazione al centro e al nord del nostro Paese - ancora in attesa di essere venduti e a carico delle imprese costruttrici. Inoltre, nelle nostre città si registrano numerosi alloggi sfitti. Con una buona politica delle locazioni si potrebbe provvedere a inserire tali alloggi nel mercato delle locazioni.
Fornisco due numeri per portarvi un esempio. Nella città di Bologna, da dove proveniamo, ci sono 7.500 appartamenti sfitti in attesa di trovare un inquilino. A Reggio Emilia - abbiamo guardato tale dato in onore del presidente Alessandri - ci sono 7 mila alloggi sfitti. Sono dati che fanno riflettere. Con una buona politica delle locazioni si può provvedere a mettere sul mercato delle locazioni tali immobili sfitti.
Per arrivare a una buona politica delle locazioni, a nostro avviso, il primo aspetto da curare è sicuramente quello fiscale. Da tempo sosteniamo l'introduzione della cedolare secca del 20 per cento sulle locazioni, che permetterebbe sicuramente di incentivare i proprietari ad acquistare immobili e a immetterli nel mercato delle locazioni, compiendo anche investimenti, e soprattutto contribuirebbe all'emersione del mercato nero nelle locazioni stesse e a rilanciare il mercato delle locazioni in generale.
La cedolare secca, che voi sicuramente conoscete, è un metodo di tassazione degli affitti che va a colpire in modo autonomo il reddito di un immobile affittato rispetto agli altri redditi di un proprietario. Lo viene, dunque, a separare dai diversi scaglioni di reddito di ogni singolo proprietario. A nostro avviso - ripeto, e passo a un tema successivo - questa è sicuramente la strada giusta per rilanciare il mercato delle locazioni.
Un'altra soluzione è sicuramente quella di estendere i vantaggi fiscali dei canoni concordati a tutti i comuni e non solo a quelli ad alta tensione abitativa. Oggi il canone concordato è un'ottima soluzione per rilanciare il mercato delle locazioni. Il riferimento è alla legge n. 431 del 1998, al cosiddetto «secondo canale», cioè quello dei canoni concordati, che è ottima perché concede il vantaggio all'inquilino di avere in affitto un immobile a prezzi sicuramente più bassi rispetto a quelli normali di mercato: parliamo, mediamente, nelle grandi città, di un 30 per cento in meno rispetto ai valori di mercato.
Dall'altra parte, però, concede ai proprietari alcuni sgravi fiscali per colmare la differenza di affitto non percepito. Tali sgravi fiscali sono di tre tipi: uno riguarda l'ICI, qualora i comuni abbiano deliberato la riduzione o l'azzeramento dell'imposta comunale sugli immobili, un altro la riduzione del 30 per cento sull'imposta di registro e l'ultimo un'ulteriore riduzione del 30 per cento, rispetto a quella già prevista del 15 per cento, sull'IRPEF dovuta al reddito dell'appartamento.
Con questi tre vantaggi solitamente il proprietario è incentivato ad affittare gli appartamenti a canone concordato, come ricordavo, dando l'opportunità all'inquilino di avere un affitto molto più basso rispetto a quello di mercato.
Ciò può avvenire sicuramente nei comuni ad alta tensione abitativa, che spesso sono i comuni capoluogo e limitrofi. Visto che provengo da Bologna, mi è facile portare un esempio relativo a tale città. Nella provincia di Bologna ci sono 60 comuni e solo 11 sono considerati ad alta tensione abitativa: oltre al comune capoluogo, si tratta di dieci comuni confinanti e di quello di Imola, che peraltro è stato inserito tra i comuni ad alta tensione abitativa da pochi anni.
Per gli altri comuni l'unica agevolazione concessa ai proprietari per poter sottoscrivere i canoni concordati è quella della riduzione dell'ICI, laddove i comuni l'abbiano deliberata. A nostro avviso, una buona proposta sarebbe quella di estendere a tutti i comuni d'Italia questi tre tipi di agevolazioni, proprio per incentivare tale strumento, che riteniamo molto importante per rilanciare il mercato delle locazioni.


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Analogamente, riteniamo fondamentale portare a regime le agevolazioni del 36 e del 55 per cento, con riferimento agli interventi di manutenzione straordinaria e di efficientamento energetico degli immobili, per i proprietari che vogliono eseguire questi tipi di lavori. Si tratta di provvedimenti che vengono di anno in anno confermati per l'anno successivo, il che non dà la possibilità ai proprietari di poter programmare interventi negli appartamenti, anche in quelli da affittare e non solo in quelli dove essi abitano.
A mio avviso, avanzare la proposta di portare a regime tale tipo di incentivo contribuirebbe anche alla riqualificazione degli appartamenti e alla possibilità di mettere sul mercato della locazione immobili che hanno subito determinati lavori e ristrutturazioni al loro interno.
Svolgo una precisazione, compiendo un passo indietro, per quanto riguarda la cedolare secca del 20 per cento, che, peraltro, mi risulta essere applicata in questo periodo a L'Aquila, dove purtroppo un anno fa si è verificato il terremoto che ha distrutto la zona. Si è ventilata l'ipotesi di promuovere questo tipo di tassazione anche nei comuni considerati capoluogo o nelle città metropolitane.
Noi riteniamo che ciò non sia giusto - l'abbiamo anche riportato nel documento che abbiamo consegnato e che lasciamo a disposizione della Commissione - perché potremmo venire a creare tipologie diverse di trattamento tra proprietari immobiliari, ovvero tra i proprietari immobiliari che possiedono un appartamento in un comune dove potrebbe essere possibile applicare la cedolare secca e altri che possiedono immobili in comuni dove non sarebbe possibile farlo. Ciò creerebbe, a nostro avviso, una disparità di trattamento che porterebbe addirittura, sempre secondo il nostro ufficio legale, a poter richiedere l'intervento della Corte costituzionale a difesa dell'articolo 3 della Costituzione sulla parità dei diritti e doveri dei cittadini italiani.
Per essere brevi e anche per non rubare tempo alla Commissione, nel documento che abbiamo lasciato a disposizione abbiamo riportato alcune soluzioni che, a nostro parere, potrebbero dare risposta alle fasce deboli della popolazione per il rilancio delle locazioni e del mercato immobiliare nel nostro Paese.
Abbiamo, infatti, identificato alcune fasce deboli, che vorrei riassumere: le giovani coppie, che spesso faticano a formare una famiglia proprio perché sono in difficoltà a trovare un alloggio dove poter dimorare; gli anziani; gli studenti universitari, soprattutto nelle città dove è presente una sede universitaria; i lavoratori fuori sede, che sono molto importanti anche per la ripresa economica delle nostre aziende, dal momento che molte imprese che stentano a trovare sul territorio dove operano manodopera qualificata si debbono spesso rivolgere a lavoratori che provengono da altre città d'Italia o addirittura da altri Paesi e che tali lavoratori, venendo nelle nostre città, trovano come primo problema sicuramente quello dell'alloggio per loro e per le famiglie che li seguiranno a prezzi a canoni accessibili; in ultimo, i portatori di handicap e i diversamente abili.
Abbiamo individuato in queste cinque categorie le fasce deboli di persone a cui dare una risposta per trovare un alloggio dove poter dimorare. Non illustro le soluzioni, perché sono già riportate nel documento, che potrete leggere con calma.
Un'ultima considerazione è relativa alla percentuale dell'edilizia residenziale pubblica. L'Italia ha la percentuale più bassa, rispetto agli altri Paesi d'Europa, di edilizia residenziale pubblica: siamo al 4,5 per cento del patrimonio immobiliare presente sul nostro territorio, rispetto a percentuali ben più alte della Francia, che si attesta al 16 per cento, e della Germania, con il 18 per cento, e a percentuali sicuramente più alte di altri Paesi.
Questo è forse l'unico punto su cui bisogna intervenire, perché dobbiamo dare una risposta alle famiglie che rappresentano i cosiddetti «nuovi poveri», ossia coloro che non riescono ad affrontare il mercato privato delle locazioni nemmeno


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attraverso l'attivazione dei canoni concordati, ma debbono rivolgersi all'edilizia pubblica.
I comuni fanno fatica a dare questo tipo di risposta proprio per via della percentuale bassa di immobili di proprietà dei comuni, degli Istituti autonomi case popolari e delle Agenzie per la casa regionali.
Questo può essere, dunque, l'unico settore in cui occorre intervenire, o per realizzare nuovi alloggi, o soprattutto - credo che questa sia la strada più adatta - per recuperare il patrimonio esistente, elevato, che va ristrutturato e rimesso in circolazione nel mercato delle locazioni.
Del resto, pensiamo che non si debba sempre gravare sulla categoria dei proprietari immobiliari per far svolgere a questi il ruolo di ammortizzatore sociale. L'abbiamo fatto anche nel 1978 con l'introduzione dell'equo canone e abbiamo continuato a farlo. Lo dimostra il fatto che la settimana scorsa siamo stati chiamati a Bologna dal Prefetto Angelo Tranfaglia a sottoscrivere un protocollo d'intesa per la dilatazione dei tempi di almeno 12 mesi per l'esecuzione degli sfratti per morosità agli inquilini che non pagano l'affitto. In questo momento, in cui le famiglie sono in difficoltà perché hanno perso il posto di lavoro o sono in cassa integrazione, il prefetto ci ha chiesto la sottoscrizione di un protocollo d'intesa, che abbiamo riportato nel documento che ho depositato, per alleviare queste tensioni.
A noi va bene, però non possiamo pensare che lo Stato italiano si debba sempre basare sui proprietari immobiliari per attuare gli ammortizzatori sociali e, quindi, chiediamo un intervento anche da parte delle istituzioni per risolvere il problema.

PRESIDENTE. Le chiediamo scusa, presidente, ma dobbiamo rientrare in Aula per votazioni immediate. Nel ringraziare, quindi, i nostri auditi per la disponibilità manifestata, dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 15.

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