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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissione VIII
4.
Mercoledì 19 settembre 2012
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Margiotta Salvatore, Presidente ... 3

INDAGINE CONOSCITIVA SULLO STATO DELLA SICUREZZA SISMICA IN ITALIA

Audizione del professor Angelo Masi e del professor Alessandro De Stefano:

Margiotta Salvatore, Presidente ... 3 9 10 12 15 16
Benamati Gianluca (PD) ... 9 15 16
De Stefano Alessandro, Professore ordinario di ingegneria sismica presso il Politecnico di Torino ... 12 13 15 16
Masi Angelo, Professore associato di tecnica delle costruzioni e rischio sismico presso l'Università degli studi della Basilicata ... 3 10
Stradella Franco (PdL) ... 16
Vatinno Giuseppe (Misto-ApI) ... 10 12
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro per il Terzo Polo: UdCpTP; Futuro e Libertà per il Terzo Polo: FLpTP; Popolo e Territorio (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, Democrazia Cristiana): PT; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling; Misto-Repubblicani-Azionisti: Misto-R-A; Misto-Noi per il Partito del Sud Lega Sud Ausonia: Misto-NPSud; Misto-Fareitalia per la Costituente Popolare: Misto-FCP; Misto-Liberali per l'Italia-PLI: Misto-LI-PLI; Misto-Grande Sud-PPA: Misto-G.Sud-PPA; Misto-Iniziativa Liberale: Misto-IL.

COMMISSIONE VIII
AMBIENTE, TERRITORIO E LAVORI PUBBLICI

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di mercoledì 19 settembre 2012


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PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE SALVATORE MARGIOTTA

La seduta comincia alle 14,45.

(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).

Audizione del Professor Angelo Masi e del professor Alessandro De Stefano.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sullo stato della sicurezza sismica in Italia, l'audizione del professor Angelo Masi e del professor Alessandro De Stefano.
Il professor Masi, professore associato di tecnica delle costruzioni e rischio sismico presso la Scuola di ingegneria dell'Università degli studi della Basilicata, si occupa da tempo di terremoti.
Come ricorderete, la Basilicata nel 1980 fu colpita, insieme all'Irpinia, da un terremoto molto forte e dirompente. Da allora l'Università della Basilicata, sorta in base alla legge che fece seguito a quel terremoto, ha studiato questi temi e mi sento di dire che è un ateneo all'avanguardia.
Do, quindi, la parola al professor Angelo Masi.

ANGELO MASI, Professore associato di tecnica delle costruzioni e rischio sismico presso l'Università degli studi della Basilicata. Ringrazio l'onorevole Margiotta e la Commissione per avermi dato l'opportunità di offrire un piccolo contributo a questa indagine conoscitiva, che ritengo veramente importante per il Paese. Proverò a fornire alcune informazioni e alcuni punti di vista su aspetti che potrebbero consentire di meglio trasferire il lavoro che svolgo come ricercatore nella concreta realizzazione di una politica di mitigazione del rischio.
Io sono un ingegnere civile. Insegno tecnica delle costruzioni nella mia università e mi occupo da alcuni anni di un corso sul rischio sismico. Ho letto gli atti e trovo che la relazione preparatoria a questi incontri illustri molto chiaramente il rischio sismico nelle sue tre principali sfaccettature e cioè pericolosità, vulnerabilità ed esposizione. Per non ripetere concetti a voi già noti, mi soffermerò su un aspetto che oramai è chiaro a tutti in maniera empirica e abbastanza generalizzata: abbiamo tutti chiaro, infatti, che il terremoto in quanto tale è un fenomeno naturale.
Ha un'intensità che può determinare effetti maggiori o minori, ma questa intensità non è la causa principale delle vittime tra la popolazione. Considerando i dati relativi ai terremoti che si sono verificati nel mondo e purtroppo anche in Italia negli ultimi tre anni - mi riferisco in particolare al terremoto dell'Aquila - e utilizzando il lavoro di un collega americano, che ha provato a mettere in relazione l'intensità dei terremoti (riportata sull'asse orizzontale del grafico) da magnitudo cinque a magnitudo nove - si tratta di termini oramai noti a tutti - e il


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numero di vittime a essi conseguite (che possiamo leggere lungo l'asse verticale, peraltro con una scala che fa aumentare esponenzialmente il loro numero da un valore nell'ordine delle dieci vittime nella parte più bassa del diagramma a un valore pari a un milione di vittime nella parte più alta), ci si aspetterebbe che all'aumentare dell'intensità le conseguenze misurate nella maniera più drammatica, ossia le vittime, aumentino in modo consistente. Due terremoti del 2010 ad Haiti e in Nuova Zelanda ci consegnano, invece, dati totalmente diversi. Si passa dalle oltre duecentomila vittime del terremoto di Haiti alle zero vittime del terremoto della Nuova Zelanda.
Questi dati ci confermano un'impressione che oramai è diffusa e che ci dovrebbe guidare. Noi viviamo in un Paese nel quale l'intensità dei terremoti, per fortuna, non è molto elevata. Non conosciamo le magnitudo otto, otto e mezzo o nove di cui la cronaca ci ha riferito in occasione dei terremoti giapponesi o di quelli che si sono verificati nel Sud America. Purtroppo, però, in casi come quello che ha determinato la nascita dell'università nella quale lavoro, cioè il terremoto di Irpinia e Basilicata del 1980, abbiamo conseguenze sproporzionate rispetto all'intensità degli eventi.
Questo elemento è inquadrato in uno studio che le Nazioni Unite hanno condotto alcuni anni fa e che cercava di guardare al terremoto non solo come a un fenomeno fisico e un luogo nel quale operano tecnici del settore, ma come a un contesto all'interno del quale un sistema complessivo misura le proprie capacità. In tal senso, l'effetto dei terremoti dipende dalle capacità tecniche, dal livello culturale e da tanti altri elementi.
Questo rapporto delle Nazioni Unite è datato e inquadra ciò che è accaduto nel mondo in relazione a tutti i rischi naturali più importanti, tra cui i terremoti, nella finestra temporale tra il 1980 e il 2000. Al suo interno c'è un diagramma che ci mostra sull'asse orizzontale la popolazione media esposta, cioè quanti sono i cittadini che potenzialmente potrebbero subire le conseguenze di un terremoto, e sull'asse verticale, di nuovo con un dato esponenziale, il numero di vittime.
Se in questo diagramma traccio un'ideale bisettrice, identifico una parte bassa in cui ci sono molte persone esposte e poche vittime e una parte alta dove ci sono poche persone esposte e molte vittime. È come se identificassi nel mondo due gruppi di Paesi: i Paesi «cattivi», come l'Armenia, e i Paesi «buoni», come gli Stati Uniti o altri. In quel ventennio purtroppo l'Italia era tra i Paesi «cattivi», cioè tra i Paesi nei quali la proporzione di vittime rispetto all'intensità dei terremoti e al numero di persone esposte era superiore a quella di altri Paesi del mondo.
La situazione è cambiata e, come purtroppo accade in questo Paese, è cambiata perché si è verificato un evento tra i più drammatici della nostra storia, di cui peraltro tra poche settimane ricorre il decennale. Mi riferisco al crollo della scuola di San Giuliano di Puglia, in cui sono morti ventisette bambini e un'insegnante e che ha determinato l'innescarsi di una rivoluzione, che io credo sia ancora in corso, che ci sta consegnando un Paese diverso con riguardo alla mitigazione del rischio sismico.
Una strategia di mitigazione del rischio sismico richiede innanzitutto di identificare il fenomeno e di conoscerlo. Il terremoto è un pericolo. Diventa un rischio se il sistema non è in grado di affrontare tale pericolo. Come nel caso della velocità a cui viaggiamo con la nostra automobile, l'entità delle conseguenze dipende anche dall'auto, dall'airbag eccetera.
Un secondo elemento è il quadro normativo di cui un Paese moderno si dota per controllare il processo costruttivo sul piano della progettazione, dell'esecuzione, del collaudo e - tema alquanto attuale in questo momento - del controllo delle costruzioni. Quello del controllo è un punto su cui, se sarà possibile, vorrei tornare perché è un argomento sul quale si possono fare notevoli progressi, ma che può anche determinare un rallentamento eccessivo del processo costruttivo.


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Il problema forse più importante nel mondo e in modo particolare in un Paese antico come l'Italia è un'edilizia vecchia e un patrimonio infrastrutturale largamente non sismico per via dell'evoluzione della classificazione sismica. Il patrimonio edilizio e infrastrutturale italiano è anche piuttosto «stanco» perché figlio di un'epoca, gli anni Cinquanta, Sessanta e Settanta, in cui si è costruito molto. È un patrimonio edilizio che ha alcuni decenni sulle spalle.
Questo quadro tecnico deve essere accompagnato e sostenuto da un avanzamento delle conoscenze e da un'intensa attività finalizzata a dare il miglior contributo possibile da parte dei ricercatori. Si tratta, quindi, di approfondire la conoscenza del fenomeno e soprattutto delle modalità con cui fronteggiarlo. Tutto questo potrebbe però rimanere patrimonio di pochi, se non fosse seguito dalla diffusione delle conoscenze. Serve quindi anche un processo di formazione che segua l'aggiornamento delle conoscenze nel settore e venga trasferito alle classi professionali, ma non solo. Spesso, infatti, l'anello debole della catena che porta a raggiungere risultati di qualità nell'edilizia antisismica è il livello imprenditoriale. Io dico spesso ai miei allievi all'università che esiste il progetto antisismico ed esiste l'edificio antisismico: tra i due c'è un elemento, ossia l'esecuzione, che spesso rende il risultato non particolarmente efficace.
Infine, siccome quanto più diffuse sono queste conoscenze e quanto più diventano patrimonio anche dei singoli cittadini, tanto meglio si riuscirà ad affrontare il problema, allora occorrono azioni forti di divulgazione e di educazione della popolazione. Ritengo che questo argomento sia centrale.
È in corso una campagna nazionale promossa dal Dipartimento della protezione civile e dall'Associazione nazionale pubbliche assistenze (ANPAS) che si chiama «Terremoto. Io non rischio». È una campagna fatta da cittadini volontari e rivolta ai cittadini. Lo scorso anno si è svolta una prima esperienza pilota in nove piazze, mentre quest'anno, il 13 e il 14 ottobre, sarà condotta in maniera più diffusa e, speriamo, più efficace in centodue piazze, dal Trentino-Alto Adige alla Sicilia. Si parlerà del fenomeno e di cosa è possibile fare, utilizzando - uso questo termine nel senso più nobile - i volontari come ambasciatori di una conoscenza che si sta diffondendo e che parleranno ai cittadini comuni con il linguaggio dei cittadini comuni perché questo è il modo migliore per trasferire queste conoscenze.
Per quanto riguarda la pericolosità sismica, ho letto e so che ne avete già parlato tanto. Non voglio, quindi, dire molto. Il gruppo all'interno del quale lavoro ha lavorato molto sull'argomento. Disponiamo oggi di una mappa di pericolosità molto puntuale e precisa. Io la ritengo un valore perché naturalmente più precisa è la definizione del fenomeno più efficace e più accurata sarà la capacità di progettare strutture adatte a fronteggiarlo.
La classificazione classica delle zone sismiche a cui eravamo abituati fino a tre anni fa, cioè 4, 3, 2, 1, ora è fatta da una serie di punti che individuano le intensità sismiche con le quali in questo Paese si progettano le costruzioni antisismiche città per città. Dovremmo aggiungere tanti altri punti che ci diano il valore dell'intensità con cui si progetta anche all'interno dei territori comunali.
Credo che la mappa di pericolosità sia certamente perfettibile. Credo però che allo stato attuale sia il modo migliore per valutare l'intensità. Credo anche che con questa intensità dobbiamo fare i conti non solo sul piano tecnico-scientifico, ma anche sul piano politico-sociale. A me piacerebbe che le intensità con cui si progettano le case antisismiche fossero più alte: otterrei ovviamente prestazioni migliori in caso di terremoti, sperando che non ci siano. Tuttavia, il tema del terremoto va letto in una chiave più ampia, tenendo conto che la comunità si deve occupare del rischio terremoto così come si deve occupare del rischio idrogeologico, del rischio da malattie, del rischio da incidenti stradali. Credo quindi che sia compito di chi prende queste decisioni al livello più alto individuare qual è il livello di protezione


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sismica più adatto per rendere la mitigazione del rischio sismico compatibile con le disponibilità economiche complessive.
Riguardo alla situazione attuale in Italia e venendo a quello che io ritengo essere il punto centrale, abbiamo un patrimonio edilizio e infrastrutturale molto antico in alcuni casi e molto vecchio in altri. Se ci limitiamo a considerare soltanto le due situazioni più critiche, cioè le condizioni di vulnerabilità sismica delle strutture ospedaliere e degli edifici scolastici presenti sul territorio nazionale, rileviamo che, complessivamente, decine di milioni di metri cubi di edificato (scuole e ospedali) non sono protetti dal terremoto perché sono stati realizzati in epoca antecedente alla classificazione. Studi del Dipartimento della protezione civile del 2007 contano circa 75.000 edifici pubblici presenti in territorio sismico non protetti, di cui 35.000 nelle zone ad alta e media pericolosità.
Si tratta evidentemente di un deficit di protezione sismica enorme, che in molti casi determina le conseguenze che abbiamo visto in questi ultimi anni. È però un tema rispetto al quale credo che molto si sia fatto e molto si possa fare, se si valutano le cose nel modo opportuno.
Prima di parlare nello specifico di alcune idee o azioni concrete già messe in campo, vorrei concludere questa panoramica considerando anche il grosso problema del patrimonio edilizio residenziale. Come dicevo, il nostro patrimonio edilizio si è sviluppato moltissimo nell'immediato dopoguerra, tra gli anni Cinquanta e gli anni Settanta. Si tratta spesso di grandi fabbricati dove vivono a volte centinaia di persone.
A Potenza, la mia città, circa 30.00 abitanti, su 70.000, vivono in grossi condomini in cemento armato costruiti negli anni Cinquanta e Sessanta. Si tratta di edifici non protetti dal terremoto e in cui le condizioni dei materiali vanno osservate con attenzione. Per natura io non sono allarmista. Non credo che un edificio non antisismico sia destinato ineluttabilmente a crollare. Se così fosse, Potenza nel 1980 sarebbe interamente crollata. Certamente però la probabilità che un edificio di questo tipo possa avere problemi al verificarsi di un terremoto è ben più alta di quella di un edificio antisismico.
Anche questo è una questione che ci dobbiamo porre. Se in una piccola città come Potenza ci sono tante persone che non hanno una casa sicura o sufficientemente sicura secondo gli standard attuali, tutto questo si moltiplica per cento o per mille se si guarda al territorio nazionale. È un problema che io credo abbia tre sfaccettature. Il primo aspetto è tecnico-scientifico e interroga i ricercatori per trovare le soluzioni più efficaci e in grado di ottenere risultati al minor costo possibile.
C'è quindi anche l'aspetto economico, che, considerate le dimensioni del volume degli edifici in gioco, richiede una sorta di piano Marshall per poter essere portato a compimento.
È però anche un problema di carattere sociale. Studiare, come noi stiamo cercando di fare, soluzioni tecnico-scientifiche che consentano di intervenire quanto più possibile dall'esterno, senza costringere le persone a uscire da queste case, è un fattore che può consentire di sbloccare la situazione. Spesso, infatti, le persone preferiscono restare in una casa non sicura pur di non abbandonarla.
Quello degli edifici in cemento armato è un tema a me molto caro, al quale dedico ormai da quasi venticinque anni la mia attività di ricercatore. È un tema sul quale in passato si è sorvolato perché si pensava che gli edifici in cemento armato fossero quasi antisismici per natura e che il problema fossero gli edifici vecchi, gli edifici in muratura dei centri storici.
Il terremoto, che è un giudice davvero spietato, ci dimostra purtroppo che questo non è del tutto vero. I dati che si riferiscono al centro urbano dell'Aquila ci mostrano come, in un contesto edilizio in cui la quantità di edifici in muratura è prevalente, delle centonovantasette vittime che si sono registrate all'Aquila centotrenta sono state provocate da edifici in cemento armato. Questo dimostra che probabilmente non è il materiale a fare la


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differenza, ma la qualità costruttiva. Che sia in cemento armato o in muratura, se l'edificio è fatto male le conseguenze sono drammatiche.
In più in questo nostro Paese c'è l'idea tipica che gli edifici siano eterni e non abbiano bisogno di manutenzione o di controlli, al contrario di quel che facciamo per la nostra automobile. In particolare crediamo che il cemento armato sia eterno e non abbia bisogno di manutenzione. Purtroppo non è così. Il cemento armato è un materiale dalle prestazioni straordinarie, ma ha bisogno di essere controllato. Queste che vedete sono foto di edifici in cemento armato presenti nella mia città, come in qualunque altra. Il loro stato è tale che, senza interventi di manutenzione anche minimale, come per esempio rifare di tanto in tanto pezzi di intonaco saltati per impedire che gli agenti atmosferici aggrediscano il materiale, le conseguenze si moltiplicano e si alimentano nel tempo.
Un altro elemento importante che i terremoti recenti in Italia ci hanno mostrato è che una comunità soffre conseguenze drammatiche non soltanto per il fatto che crollano le strutture degli edifici, ma anche perché crollano tutti gli elementi che noi definiamo non strutturali, ma che rendono queste strutture delle case o degli uffici, facendole diventare il luogo dove noi possiamo svolgere le nostre funzioni.
In queste immagini di un ufficio pubblico del comune dell'Aquila, le scene di devastazione lasciano pensare allo scoppio di una bomba. È evidente che recuperare ciò che era all'interno di questo edificio, recuperare la possibilità di continuare a svolgere quell'attività pubblica sarà molto complicato, oltre che molto costoso. Anche questo è un elemento sul quale la comunità scientifica sta lavorando da alcuni anni, producendo delle soluzioni per inquadrare meglio il fenomeno dei cosiddetti danni non strutturali e poter proporre delle soluzioni.
Prima di concludere, non posso non parlare delle cosiddette strutture strategiche, in particolare degli ospedali. Sia il terremoto dell'Aquila del 2009 che il terremoto recente dell'Emilia ci hanno mostrato che queste strutture, che dovrebbero avere la capacità di proteggere se stesse e prestare soccorso agli altri, forse non sono le prime a soccombere, ma spesso perdono, se non la propria capacità strutturale, la capacità di svolgere una funzione.
Abbiamo ancora negli occhi l'immagine del municipio di Sant'Agostino quasi completamente distrutto. All'interno di quella struttura doveva esserci un piano di protezione civile, sulla base del quale gestire l'emergenza. Ammesso che il piano ci fosse, è difficile immaginare che da quel punto si possa partire per poter aiutare gli altri.
Molto si può fare. Vi mostro alcune immagini che mostrano soluzioni che noi continuiamo ostinatamente a chiamare innovative, ma che oramai tanto innovative non sono, visto che vengono applicate da oltre vent'anni. In questa scuola di Potenza l'intervento di adeguamento sismico è stato realizzato nei primi anni Novanta, quasi vent'anni fa. Quelle diagonali, che un collega architetto ha voluto colorare, rendendo meno di impatto l'intervento, determinano un comportamento delle prestazioni sismiche attese che garantirà non soltanto la sicurezza rispetto al crollo a protezione della vita delle persone e dei bambini che frequentano la scuola, ma anche una drastica diminuzione dei danni che causerebbero la non funzionalità della scuola stessa. Si tratta di soluzioni tecnologicamente e tecnicamente abbastanza semplici che si vanno sempre più diffondendo.
Un'altra soluzione, di cui si è parlato anche qui in Commissione è quella dell'isolamento sismico, una soluzione che filtra l'azione del terremoto, impedendo che si trasferisca dal suolo all'edificio, attraverso dispositivi chiamati isolatori sismici. Si tratta di una tecnologia semplice, non particolarmente difficile da mettere in atto nemmeno per comuni liberi professionisti, utilizzabile tanto sugli edifici nuovi, a certe condizioni, quanto sugli edifici esistenti e in grado di annullare gli effetti di un terremoto.


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È la soluzione che in molti Paesi è stata considerata obbligatoria, per esempio, per gli ospedali. Con una soluzione di questo tipo, infatti, un ospedale è completamente protetto dal terremoto, anche rispetto alla perdita di funzionalità. Un ospedale isolato alla base può continuare a svolgere la propria funzione anche durante un evento di forte intensità. È un tema sul quale la comunità scientifica sta lavorando molto in questo momento. Tra gli altri, ce ne stiamo occupando anche noi dell'Università della Basilicata.
La protezione di una struttura importante come un ospedale richiede un'azione ad ampio spettro. L'ospedale è una struttura; è un insieme di elementi non strutturali quali pareti esterne e pareti interne; è un sistema impiantistico complesso, che se va fuori servizio impedisce di continuare a svolgere le azioni di cura e di assistenza; e ha al suo all'interno - e questo forse è l'argomento sul quale ci sarà più da lavorare nei prossimi anni - una serie di apparecchiature, come ad esempio la risonanza magnetica, che dopo un terremoto molto forte potrebbero non essere più in grado di svolgere la propria funzione in maniera corretta e accurata. Le grandi aziende che producono queste attrezzature ancora non hanno dati precisi. Per poterle rimettere in funzione si è quindi costretti a fare una rivalutazione, proprio nel momento in cui sarebbero più necessarie.
Le cose da fare sarebbero dunque tante. I punti che ho illustrato all'inizio a proposito della vulnerabilità del patrimonio edilizio esistente già danno delle indicazioni. Attraverso un piccolo esempio molto pratico vorrei però dare anche uno spunto ulteriore. Uno studio dedicato all'edilizia scolastica e ospedaliera che abbiamo condotto presso la regione Basilicata ha mostrato come cambiano i costi attesi per mettere in sicurezza le scuole della regione se il processo di definizione degli interventi consente di conoscere gli edifici il più accuratamente possibile.
Come si vede nel diagramma, comportandosi come medici coscienziosi che visitano il paziente prima di decidere per l'antibiotico o per l'aspirina, i costi attesi per mettere in sicurezza le scuole della Basilicata passano da 450 milioni di euro complessivi, che è una cifra enorme per una piccola regione, a poco più di 400 mano a mano che aumenta la conoscenza degli edifici. Se lavorassimo quindi cercando di studiare meglio il paziente per individuare la cura più efficace, lo stesso potrebbe accadere per la messa in sicurezza degli ospedali.
Qualcuno potrebbe dire che sono piccoli risparmi, ma stiamo parlando di una regione nella quale vive l'uno per cento della popolazione italiana. Estrapolando questo dato di un risparmio atteso in Basilicata di circa 60 milioni di euro, in ragione soltanto di una migliore conoscenza degli edifici da mettere in sicurezza, e proiettandolo su scala nazionale, senza alcun altro risparmio di carattere materiale, avremmo un risparmio su tutto il patrimonio edilizio scolastico e ospedaliero italiano di circa 3 miliardi di euro. Io credo che sia una sorta di obbligo morale studiare al meglio questo aspetto.
Le ragioni per le quali spesso non si fa o non si fa, a mio modesto giudizio, in maniera adeguata questo tipo di approfondimento sono molteplici. Inevitabilmente entra in gioco il ruolo della classe professionale. I compensi che i professionisti ricevono per l'attività di progettazione e la realizzazione degli interventi spesso sono omnicomprensivi delle indagini e della prestazione professionale propriamente detta. Io ritengo che questa formula, che scherzosamente chiamerei all inclusive, sia inadatta perché i professionisti sono indotti a tenere più basso possibile il costo delle indagini per non ridurre la loro parcella.
Penso perciò che non solo occorra separare i costi delle indagini dalle competenze professionali propriamente dette, ma che si debba anche sciogliere un altro nodo perverso. Anche se in Italia non esistono più i minimi inderogabili e le tariffe professionali, il compenso resta commisurato all'importo dei lavori. Un professionista attento, che compie l'analisi più accurata possibile dell'edificio su


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cui deve intervenire, che cerca di tenere il costo dell'intervento il più basso possibile, riducendo anche i tempi di realizzazione dell'intervento e di interruzione della funzionalità di una struttura come un ospedale, avrà una parcella inferiore.
Onestamente è difficile da far passare una cosa come questa. Ai professionisti si può chiedere di fare bene il proprio lavoro, ma non di lavorare contro se stessi. Io credo sia giusto che i compensi professionali siano quantificati, ma il risparmio in un intervento su un edificio esistente dovrebbe essere compensato.
Tutto questo può essere applicato sia alla messa in sicurezza di opere strategiche, quali ospedali e scuole, indirizzando verso questo tipo di approccio i bandi di gara, sia agli interventi relativi all'edilizia privata, come sta accadendo in Abruzzo nel dopo terremoto dell'Aquila, in Emilia-Romagna e in Lombardia nel dopo terremoto del maggio 2012.
L'obiettivo dovrebbe essere quello di premiare chi, lavorando con maggiore attenzione e individuando la soluzione più efficiente sul piano economico, consente allo Stato di risparmiare. Io credo che il risparmio sarebbe molto importante per consentire di affrontare in tempi più brevi i problemi di questo Paese molto bello ma anche molto fragile.
Grazie dell'attenzione.

PRESIDENTE. Ringrazio il professor Masi per un'esposizione che giudico davvero molto interessante.
Do, quindi, la parola ai colleghi che vogliano intervenire per porre domande o formulare osservazioni.

GIANLUCA BENAMATI. Ringrazio il professore per la sua esposizione, che tra le altre cose per la prima volta riporta dati che fanno riflettere. Mi riferisco in particolare all'incidenza in termini di vite umane dei sismi non solo in funzione della loro energia e magnitudo, ma anche in funzione delle caratteristiche del tessuto abitativo.
Mi ha colpito molto la comparazione fra i terremoti di Haiti e della Nuova Zelanda dove, al di là della differente densità della popolazione, uno scarto da duecentomila vittime a zero significa che esistono differenze strutturali anche nell'approccio costruttivo. La mitigazione del rischio in termini di vite umane riguarda, infatti, la costruzione e la sicurezza dei fabbricati.
Vorrei rivolgerle tre brevi domande. Lei ha accennato al tema del controllo. Il controllo è essenziale sia per verificare che la realizzazione di un edificio antisismico corrisponda alla progettazione sia quando avviene il collaudo degli isolatori sismici eventualmente inseriti. A questo proposito l'Aquila ci sta insegnando qualcosa tanto nell'ambito degli edifici prima del sisma quanto nell'uso degli isolatori dopo il sisma.
Per quanto riguarda le norme attuali, le opinioni divergono perché non è prevista per i collaudatori una specifica conoscenza dell'antisismica. Questa Commissione ha già assunto alcuni atti formali, ma qual è il suo giudizio? Sarebbe necessario rafforzare le procedure? Sarebbe necessario qualificare i controllori?
In secondo luogo, lei ha toccato il tema forse cruciale di tutta la questione dell'antisismica, cioè il livello di accettabilità del danno e delle perdite. Anche su questo vorrei approfondire la sua opinione. Il tema nel nostro Paese è molto scivoloso. Non credo che ci siamo distaccati molto dal diagramma che lei ci ha mostrato e che negli anni Ottanta ci collocava dalla parte dei «cattivi».
Senza con questo voler dire che con un terremoto di altissima magnitudo la sicurezza totale, con rischio zero vittime, sia realmente raggiungibile, le indicazioni che provengono dal Giappone o dalla California ci persuadono però che un certo tipo di progettazione e di addestramento ai comportamenti da tenere in queste situazioni possono dare risultati davvero rimarchevoli. Vorrei che mi chiarisse meglio il suo punto di vista sul livello di accettabilità.
Da ultimo vorrei tornare sul concetto da lei introdotto del risparmio derivante dalla valutazione degli edifici. Io credo che


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in questo Paese il tema vero sia quello della prevenzione e della messa a norma del patrimonio edilizio esistente. Ci sono circa trentadue milioni di edifici non a norma rispetto alle vigenti regole. Un piano nazionale antisismico che preveda sia la revisione delle norme sia la promozione di interventi antisismici da parte dei privati, considerando che il settore pubblico dovrebbe già provvedere, in base alla normativa vigente potrebbe essere l'unica via. Qual è la sua opinione a questo riguardo?

GIUSEPPE VATINNO. Vorrei porre al professore, che ringrazio per la presentazione così interessante, una domanda tecnica. Lei ha fatto specifico riferimento alle tecniche di costruzione, citando ad esempio il sistema di smorzamento delle vibrazioni, che con un costo limitato dovrebbe essere inserito nelle fondamenta di strutture quali gli ospedali.
Ma, le chiedo, quanto incide invece, secondo lei, la pianificazione territoriale? Lei ha fatto un discorso per così dire «interno», ma io credo che ci debba essere anche un intervento dall'esterno relativo alla prevenzione e all'urbanistica. Che cosa ci può garantire, secondo lei, questo secondo tipo di intervento? Cosa potrebbero fare le amministrazioni pubbliche per combattere dall'esterno il problema dei terremoti?

PRESIDENTE. Do la parola al professor Masi per la replica.

ANGELO MASI, Professore associato di tecnica delle costruzioni e rischio sismico presso l'Università degli studi della Basilicata. Grazie per le domande perché mi consentono di aggiungere al discorso generale alcuni elementi importanti. In particolare, ringrazio l'onorevole Benamati per la prima domanda perché avevo detto che avrei parlato dei controlli e invece mi è sfuggito. La sua domanda mi dà, quindi, l'opportunità di tornare sull'argomento.
Ovviamente considero il tema dei controlli centrale. Dal progetto antisismico all'edificio antisismico, l'esecuzione e i controlli hanno un ruolo importante. Viviamo una fase un po' complicata dovuta al passaggio da un sistema di controlli di mera completezza dei progetti strutturali a un controllo di merito. Il fatto che si guardino le carte e non soltanto le copertine, come diceva metaforicamente un mio collega, è importante, ma questo richiede che le strutture tecniche chiamate a svolgere questo tipo di controllo abbiano le competenze adeguate. Il tema delle competenze di chi collauda e di chi controlla è, quindi, altrettanto centrale.
Negli ultimi dieci anni abbiamo fatto grossi passi in avanti. Dopo il terremoto di San Giuliano sono state formate decine di migliaia di professionisti. Nell'ambito del Consorzio della Rete dei Laboratori Universitari di Ingegneria Sismica (ReLuis) mi occupo specificamente dei rapporti con la comunità professionale e negli ultimi dieci anni misuro una consapevolezza e una capacità di conoscere e affrontare con un'adeguata progettazione antisismica i problemi di carattere tecnico molto maggiori.
Certo, la materia è delicata perché un controllo accurato richiede tempo, a volte persino troppo, e questo, in un mercato delle costruzioni già in grave difficoltà, a volte è visto come una cosa fastidiosa. Penso che si debba fare lo sforzo di potenziare sul piano quantitativo e qualitativo le strutture tecniche deputate a questi controlli e condivido quanto l'onorevole Benamati diceva, vale a dire che, sebbene certe soluzioni e tecnologie, come l'isolamento sismico, stiano diventando patrimonio diffuso, in particolare quando si lavora sull'esistente, un «patentino» a chi progetta, ma ancor più collauda questo tipo di interventi dovrebbe essere richiesto.
Purtroppo ci sono troppe persone che fanno questo lavoro senza avere le competenze adeguate e questo produce conseguenze sia in termini di sicurezza che di costi. In questa campagna di divulgazione nazionale «Terremoto. Io non rischio», quando parlo con i cittadini, dico loro che


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non devono rivolgersi al tecnico di fiducia, ma al tecnico esperto. Se il tecnico di fiducia non è esperto non va bene.
La questione dei livelli di protezione sismica è in effetti un tema delicato e complicato. Stabilire quale sia l'investimento, la quota di risorse che una comunità deve indirizzare alla protezione di un rischio piuttosto che un altro è molto difficile. Però, secondo me, è importante che chi ha il compito di decidere abbia piena consapevolezza che ci sono gli strumenti per compiere in modo molto più efficace che in passato questa azione di protezione da rischio sismico, anzitutto della vita umana, ma anche delle funzioni che si svolgono in modo particolare all'interno delle strutture pubbliche strategiche, quali ospedali e scuole.
Ciò che è accaduto in altri Paesi, tra cui ad esempio il Giappone, mostra le due facce della medaglia. Sicuramente abbiamo molto da imparare da questo Paese sia per quanto riguarda gli aspetti scientifici sia per quanto riguarda gli aspetti culturali e sociali. Non dimentichiamo, però, che è anche il Paese di Kobe, dove nel 1995 per un terremoto come quello di Irpinia e Basilicata morirono 6.000 persone, e della centrale di Fukushima, costruita al di sotto del livello del mare. Qualche scelta non opportuna è stata compiuta anche lì. Il problema è che per poter recuperare questi errori, che si sono stratificati e consolidati nell'arco di decenni, occorrono altrettanti decenni. Ci vogliono le soluzioni migliori, ma ci vogliono anche tempi e risorse.
Quanto alla prevenzione, penso che per fare prevenzione servano tante cose. Forse ciò che manca di più in questo Paese o sulla quale bisognerebbe lavorare di più sono i tempi. Questa mattina leggevo articoli recenti del Sole24Ore sul rapporto della Corte dei conti 2010 sullo stato degli interventi per la messa in sicurezza delle scuole. Partendo dal piano predisposto dopo i fatti di San Giuliano con la legge finanziaria 2002, siamo a una percentuale di interventi eseguiti dell'11 per cento.
Io credo che la protezione dai terremoti richieda tante cose, ma sia soprattutto una corsa contro il tempo. Fare prima è automaticamente fare meglio, anche accontentandosi un po'. Se non riusciremo a sciogliere questo nodo del tempo, se non riusciremo a rendere più veloce oltre che più efficace il processo con il quale si mettono in sicurezza gli edifici, molti sforzi saranno vanificati. Non credo che la comunità scientifica sia esente da responsabilità perché ha il compito di fornire gli strumenti più efficaci in questo senso.
Ultima questione, non per ordine di importanza, è la pianificazione. In passato in questo Paese abbiamo dedicato grande attenzione alle singole costruzioni. Abbiamo una scuola di ingegneria sismica che credo possa vantare di aver fornito soluzioni a tutto il mondo sulla corretta progettazione di edifici, ponti e infrastrutture e sulla loro messa in sicurezza. Oggi dobbiamo spostare l'attenzione al sistema complessivo, al modo di affrontare il tema su larga scala, dal singolo manufatto a interi centri urbani.
Qui il tema della pianificazione entra in modo prepotente. Entra nel campo delle scelte per le nuove aree da insediare. Microzonare un territorio, identificando all'interno di un territorio mediamente pericoloso zone meno favorevoli e zone più favorevoli all'edificazione, è imprescindibile per indirizzare le scelte di pianificazione e di governo del territorio.
Dico di più. Anche sull'esistente questo tipo di operazione è importante. Esistono in Italia ottimi studi sulla microzonazione sismica e disponiamo di criteri e indirizzi, messi appunto negli anni scorsi, che io ritengo straordinari, anche per le modalità con cui sono stati predisposti. Sono infatti frutto di un processo democratico ad ampia partecipazione tecnico-scientifica che ha portato a identificare uno strumento condiviso in grado non solo di indirizzare le scelte di pianificazione, ma anche di individuare all'interno di un centro urbano esistente le aree dove l'azione sismica si può manifestare in modo amplificato rispetto al fenomeno di base.


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È evidente che in quelle aree la priorità nell'utilizzo delle risorse e nella pianificazione degli interventi dovrà essere valutata in modo adeguato.

PRESIDENTE. Possiamo considerare conclusa l'audizione del professor Masi, che ringrazio a nome dell'intera Commissione.
Do quindi la parola al professor Alessandro De Stefano, ordinario di ingegneria sismica presso il Politecnico di Torino, ringraziandolo per la presenza.

ALESSANDRO DE STEFANO, Professore ordinario di ingegneria sismica presso il Politecnico di Torino. Vi ringrazio. La mia presentazione riflette prima di tutto l'attitudine di chi vi parla. Essendo un professore ormai vecchietto tendo sempre più a occuparmi di cose strategiche e meno di dettaglio. Sono soprattutto considerazioni personali incentrate sul problema della sicurezza e della normativa.
Alla domanda che cosa fare durante e dopo il terremoto, postami durante un intervento al Politecnico di Torino, ho risposto che in fondo è più importante ciò che si fa prima. Su questo ciascuno di noi individualmente, enti e istituzioni locali, ricerca e sviluppo, istituzioni nazionali, ha delle attribuzioni. Non entro nel dettaglio perché sarebbe tempo sprecato. Ciascuno può capirlo per conto suo.
Vorrei invece soffermarmi su alcuni aspetti. Il primo è il ruolo, che sarebbe importante riuscire a potenziare, dell'individuo nella prevenzione del terremoto. Ci sono alcune azioni da compiere, come conoscere, per quanto possibile, il rischio sismico del luogo in cui si vive, eseguire la manutenzione della propria casa, individuare luoghi più o meno sicuri, se ce ne sono, in modo da decidere dove potersi rifugiare e informarsi sul grado di vulnerabilità sismica e sui piani di sicurezza ed evacuazione del proprio luogo di lavoro e della scuola dei figli.
Una delle cose su cui forse bisognerebbe centrare l'attenzione è proprio il modo di rendere più facile e appetibile partecipare a questa azione di responsabilità individuale, che è importantissima perché consente di spendere meno dopo il terremoto.
Ciò che devono fare gli altri è abbastanza evidente. Di fronte a questo gli enti e le istituzioni locali dovrebbero fare formazione e informazione, ma accennerò a questo più avanti. Le istituzioni locali devono occuparsi della microzonazione del territorio, del controllo sulle costruzioni e della prevenzione. Questo già lo si fa, seppure con alcune carenze. Alcune sono state sottolineate dal professor Dolce della Protezione civile. Per esempio, non è completa l'attribuzione del ruolo di edificio-rifugio a costruzioni scelte per la loro sicurezza all'interno dei piani di gestione dell'emergenza.
La ricerca deve occuparsi di molte cose: sismologia e previsione, sicurezza delle costruzioni e valutazione del rischio.
Le istituzioni nazionali hanno in parte la gestione dell'emergenza, che tocca più agli enti locali, devono promuovere leggi e norme tecniche e devono gestire la prevenzione.
Quanto al rapporto tra terremoto e normativa, quando comincio i corsi chiedo sempre agli studenti se credano o meno al terremoto. Se non ci credono, dico loro di cercare di aggirare qualsiasi normativa esista. Se ci credono, dovranno cercare di capire come funziona, mettendosi in un certo senso nei suoi panni e provando a immaginare quali danni farebbero se fossero il terremoto e come si comporterebbero.
Il terremoto non conosce le normative. Le normative sono un inseguimento faticoso da parte di tecnici esperti, anche molto bravi, che cercano di capire cosa fa il terremoto per adeguare il sistema normativo alle risultanze che ottengono. C'è una particolarità: normalmente ogni terremoto dice qualcosa di nuovo e di diverso.
Le normative tecniche si correggono, quindi, da un terremoto all'altro per recepire le novità.

GIUSEPPE VATINNO. Mi scusi se la interrompo. Io insegno al Master sull'energia


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e a maggio, mentre parlavo del terremoto al Politecnico di Milano, proprio quel giorno, casualmente, con i ragazzi in aula, siamo stati davvero posti di fronte il problema.

ALESSANDRO DE STEFANO, Professore ordinario di ingegneria sismica presso il Politecnico di Torino. Io sono un antico allievo del professor Levi di Torino, il quale era fissato con le norme prestazionali. Secondo me, le norme complesse, come l'eurocodice e le norme italiane, devono rimanere non cogenti, non obbligatorie. Devono essere una guida utile per i professionisti. Più la norma è complessa e meno può essere costrittiva perché finirebbe per irrigidire tutto, per impedire la vera innovazione.
Bisogna pensare alla normativa come a una guida. Negli Stati Uniti, per esempio, non c'è nessuna norma obbligatoria, ma il committente impone al progettista di seguire le norme che ritiene adatte per i suoi scopi. Forse questo dovrebbe essere ripensato.
C'è un altro problema. Anche se le normative sono in qualche misura inadeguate, e la prova di questo è che vengono modificate in modo più severo man mano che i terremoti avvengono, ci sono delle lobby e delle resistenze forti che cercano di impedirne l'entrata in vigore. Questo è un grave problema, che ha finito per essere una delle concause del disastro dell'Emilia-Romagna.
La ricerca è un altro punto che mi sta molto a cuore. La ricerca è fondamentale. Deve essere finanziata con progetti mirati e non a pioggia, ma bisogna anche evitare che ci siano canali di supporto alla ricerca di tipo monopolistico. Questo è negativo perché, anche se questi canali monopolistici fossero gestiti da persone di tutto rispetto - e può succedere -, le idee e gli obiettivi sarebbero inevitabilmente uniformati. Non ci sarebbe dibattito culturale né quell'azione di confronto e contraddizione che è così importante.
In tema di prevenzione sismica, vorrei raccontarvi un aneddoto. Una brava giornalista de La Stampa, che io conoscevo di fama, mi ha intervistato dopo il crollo della scuola di San Giuliano di Puglia, che è stato un evento molto interessante perché l'ordinanza per la classificazione sismica è nata da lì. Mi ha chiesto come deve essere costruita la casa antisismica. Io ho detto che deve essere fatta avendo cultura e conoscenza del problema. Lei mi accusò di reticenza perché non avevo dato una risposta completa ed esauriente, ma secondo me era come chiedere a un medico che pillola si deve comprare dal farmacista per vivere sani fino a cento anni, cioè un non senso.
Ho raccontato questo aneddoto perché l'importante, secondo me, è insistere molto sulla formazione e sull'informazione, creando molteplici occasioni per farlo, e non solo a livello dei tecnici, ma anche a livello della popolazione in generale, sia pure con metodi e strumenti diversi. La difficoltà di conoscenza che riscontriamo oggi è molto grave.
Torno su un discorso che avete già affrontato molte volte. Il metodo neoprobabilistico e il metodo neodeterministico si confrontano in Italia come una specie di faida. L'idea, su cui mi sono confrontato spesso anche con il dottor Alessandro Martelli dell'Enea, con cui ho scambi abbastanza frequenti, è che in fondo i due metodi, finché non abbiamo la certezza che uno funzioni meglio dell'altro, dovrebbero coesistere ed essere adoperati in modo tale da fare previsioni più sicure possibili, usando sempre il confronto tra i due a favore della sicurezza.
Il metodo neoprobabilistico suscita una critica. Dato che è un metodo evolutivo che studia il cambiamento delle prospettive sismiche nel tempo, sia pure con grandi incertezze geografiche e temporali, suscita la critica che previsioni su grandi aree a intervalli di tempo estesi non servirebbero a nulla. Ebbene, servono per la prevenzione, per redigere un piano di priorità, per decidere di intervenire in un posto prima che in un altro perché ci sono buone probabilità che le cose peggiori succedano lì e non altrove. È un metodo per decidere sull'allocazione di risorse limitate.


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La stessa International Seismic Safety Organization (ISSO), di cui è presidente l'ingegner Martelli, ha assunto questa posizione che propugna la convivenza, fino a prova contraria, dei due metodi. Peraltro, il metodo probabilistico è debole perché i modelli che usa non sono ben funzionanti. I modelli probabilistici sono senza memoria e quindi non tengono conto di quello che è successo prima. Inoltre, hanno in sé una concezione statistica stazionaria, che non è vera, e le curve di attenuazione, che sono il cuore del problema, sono molto incerte. Questi sono i punti deboli.
Tuttavia, questi sono anche i punti deboli di un altro aspetto della normativa. Oggi la normativa mette in relazione il tempo di vita di riferimento e di progetto con l'azione sismica di progetto. Questo, secondo me, non ha alcun senso perché di nuovo passa attraverso leggi statistiche non adeguatamente rigorose. È arbitrario e crea una grande confusione perché il tempo di vita viene confuso con il tempo di servizio, con il tempo di ammortamento, con il tempo di garanzia. Mettere insieme tempo, forze o accelerazioni crea confusione. Io volentieri lo abolirei dalle normative. Invece - errare è umano, ma perseverare è diabolico -, ciò che si è fatto con la normativa sismica, lo si sta replicando con l'ingegneria del vento, con mia grande contrarietà.
Parlando di tempo e di confusione, la normativa sismica sugli isolatori, per esempio, dice che la vita di servizio degli isolatori deve essere almeno di dieci anni. Questo significa consentire alle aziende di garantire per dieci anni qualcosa che viene messo sotto edifici che dovrebbero essere in condizione di funzionare bene per cinquanta o sessanta anni almeno. Dopo che si fa? Si scarica sul committente la responsabilità di mantenerli come sono in un Paese dove la manutenzione non si fa nemmeno quando è assolutamente necessaria? È un grosso punto interrogativo. Secondo me, la norma in quel punto è sbagliata.
Non entro nel dettaglio del confronto tra i due metodi. Tra l'altro io non sono un sismologo, ma un ingegnere. Mi limito a illustrare il confronto tra le previsioni sull'Emilia-Romagna del metodo neodeterministico, che ha centrato abbastanza quanto è successo, e il metodo probabilistico che di è fermato alla metà.
Detto tra parentesi, la sismicità nazionale viene descritta con accelerazioni ai vertici di un reticolo nel quale, se sono note le coordinate geografiche del punto in cui si fa il progetto, bisogna interpolare. È buffo che questa interpolazione consenta di ridurre l'errore alla seconda cifra decimale, quando sulle accelerazioni del reticolo ci sono errori che possono arrivare al cento per cento. Anche questo ha poco senso.
Il tema caldo è la prevenzione. Proteggere dove il danno sismico non c'è ancora stato costa molto meno che costruire e riparare dove il danno è già avvenuto. Nei centri storici il rapporto uno è di uno a quattro o uno a cinque. Dove abbiamo dei beni storici preziosi, che non sono sostituibili, il problema può essere ancora più grave.
L'obiezione che si fa è la seguente: proteggere e prevenire prima che il sisma avvenga costa molto perché occorre intervenire su tutto il territorio nazionale. In realtà stiamo già intervenendo su tutto il territorio nazionale. I sismi in Italia sono così frequenti, anche se non sono fortissimi, che di fatto ci troviamo di fronte all'esigenza di riparare i danni dei terremoti avvenuti con costi molto più alti.
Inoltre, prevenire ha anche il vantaggio di poter essere fatto con ragionevole calma e tempo, senza creare urgenza e senza sottrarre al controllo i percorsi del denaro stanziato. Sappiamo tutti che quello del controllo dei finanziamenti per la prevenzione o per la ricostruzione è un problema da non trascurare. Anche per questo, torno a dire che è importante la presa in considerazione di un metodo evolutivo com'è quello neodeterministico perché, quando si dispone di risorse limitate, creare una scala di priorità anche geografica è utile.
La prevenzione sismica è difficile perché è difficile che venga scelta da chi deve avere il consenso dei cittadini. Credo che


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questo voi lo sappiate meglio di me. Prevenire significa che si interviene quando non avviene niente, niente fa notizia. Prevenire vuol dire ridurre il danno prima che avvenga o eliminarlo del tutto. Quando invece succede qualcosa, si accendono i riflettori. Bisogna però porsi la domanda se può essere questo il prezzo del consenso.
Prevenzione sismica nei luoghi di lavoro e formazione si sono rivelate cruciali in Emilia-Romagna, dove sono crollati i capannoni industriali. Lì il problema è stata la dilazione dell'entrata in vigore della norma, avvenuta soltanto dopo il terremoto dell'Aquila. Non si poteva proprio più aspettare.
A mio parere c'è un modo molto semplice per risolvere il problema della prevenzione sui luoghi di lavoro. Il modo è quello di far prevalere il decreto legislativo n. 81 del 2008 in materia di sicurezza sul lavoro sulla norma sismica. La norma sismica, infatti, stabilisce che per le costruzioni progettate prima dell'entrata in vigore della norma sismica stessa, a meno che non siano costruzioni strategiche - e gli edifici industriali non lo erano -, non è obbligatorio intervenire. Ma se invece il rischio sismico fosse normativamente considerato come un rischio di cui tener conto nella normativa sulla sicurezza del lavoro, appena la normativa cambiasse, il responsabile dell'edificio sarebbe tenuto a verificare che questo rischio sia il più possibile ridotto.
Questo creerebbe un sistema dinamico e automatico che obbligherebbe alla manutenzione straordinaria dell'edificio per renderlo sicuro rispetto al terremoto. Una raccomandazione molto forte che faccio è quella di esprimere chiaramente questo concetto, cioè che la norma di sicurezza sul lavoro, in cui inserirei anche le scuole, al di là che si considerino strategiche o meno, dovrebbe ricomprendere al suo interno anche il rischio sismico.
Altra raccomandazione è di non trascurare le tecnologie moderne, che spesso costano meno di quelle tradizionali. Gli accorgimenti che riducono l'effetto del sisma riducono automaticamente i danni. Introdurre la manutenzione nel concetto di progetto produce un vantaggio.
Per i centri storici, può valere un'idea di prevenzione, già in parte presente nella normativa attuale, che non punta a raggiungere la sicurezza totale, ma almeno ad alzare la soglia dell'energia necessaria per demolire gli edifici attraverso interventi poco costosi. Ciò è possibile, salvando gran parte del patrimonio storico e monumentale.
Insieme all'ENEA abbiamo brevettato una tecnica di isolamento di quegli edifici monumentali che non possono essere toccati che consiste semplicemente nello scavare dei tunnel sotto l'edificio, tagliandolo orizzontalmente e inserendo degli isolatori. Questa idea verrà probabilmente proposta come progetto di intervento su un edificio strategico all'Aquila.
Con questo vi ringrazio per l'attenzione.

PRESIDENTE. Do la parola ai colleghi che vogliano intervenire per porre domande o formulare osservazioni.

GIANLUCA BENAMATI. Vorrei fare un sommario veloce degli spunti che colgo dalla sua presentazione perché alla fine dovremo fare una relazione ed evidenziare alcune cose.
Lei consiglia caldamente l'utilizzo dei due metodi probabilistico e neodeterministico insieme finché non si dimostrerà che uno è migliore dell'altro. Inoltre, secondo lei c'è un tema aperto sulle caratteristiche delle norme che riguardano gli isolatori, che è richiesto siano garantiti e completamente funzionanti per un periodo molto inferiore al tempo di vita degli edifici.

ALESSANDRO DE STEFANO, Professore ordinario di ingegneria sismica presso il Politecnico di Torino. Ci sono diverse cose che non funzionano e questa è una di quelle. Anche le prove che vanno fatte non sono convincenti. Le prove attuali prevedono soltanto il movimento dell'edificio, come se il terreno fosse fermo, ma il


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terreno si muove. Sugli isolatori arrivano le frequenze alte del terremoto e quelle più lente dell'edificio isolato.
Tuttavia, questo non è previsto dalle norme.

GIANLUCA BENAMATI. Un'ultima cosa. Lei suggerisce di far prevalere il decreto legislativo n. 81 del 2008 sulle norme tecniche antisismiche, in modo che ci sia un adeguamento continuo dei luoghi di lavoro. Questo richiede ovviamente un programma nazionale di fiscalità, quanto meno vantaggioso o di aiuto.
Ha per caso valutato quali potrebbero essere i costi di un'operazione di questo genere?

ALESSANDRO DE STEFANO, Professore ordinario di ingegneria sismica presso il Politecnico di Torino. Mi rendo conto che questo comporti dei costi. Faccio solo presente che questa è la filosofia che sto seguendo come consulente tecnico d'ufficio in un procedimento del procuratore Guariniello nei confronti dei capannoni industriali in Piemonte. La logica è quella della sicurezza sul lavoro.
È una filosofia che, secondo me, prima o poi dovrà passare.

GIANLUCA BENAMATI. Questo ancora di più richiede un programma nazionale.

ALESSANDRO DE STEFANO, Professore ordinario di ingegneria sismica presso il Politecnico di Torino. Se posso, richiede un programma nazionale anche il fatto di incoraggiare e facilitare l'intervento individuale di responsabilità sui propri immobili.

FRANCO STRADELLA. Ringrazio il professor De Stefano. Si è parlato genericamente di basso costo ma, quando si tratta di questi interventi, io credo che bisognerebbe avere la possibilità di confrontare e valutare i costi. Finiamo altrimenti per illuderci di avere disponibilità che invece non abbiamo. A volte bisognerebbe abbandonare qualche monumento per concentrare gli sforzi sulle strutture di uso corrente e che potrebbero comportare un rischio per la vita.
Credo che bisognerebbe sapere di più e meglio quali sono le risorse necessarie per intervenire caso per caso.

ALESSANDRO DE STEFANO, Professore ordinario di ingegneria sismica presso il Politecnico di Torino. Alcune valutazioni sono state fatte sui capannoni industriali. L'intervento di cui ho parlato prima, che è riservato per ora agli edifici monumentali che costituiscono il patrimonio culturale, sono interventi costosi. Tuttavia, come dicevo prima, ci sono interventi molto più leggeri che possono comunque alzare la soglia di inizio del danno.
Sui capannoni industriali sono state fatte delle stime in Emilia-Romagna e sono disponibili a tutti. Credo che sul costruito un intervento abbastanza risolvente costi tra il 3 e il 10 per cento, a seconda della tipologia, del prezzo del capannone nuovo. Sono costi, quindi, è vero, ma sono costi ancora abbordabili.
Mi riferisco, ovviamente, al costruito perché sul capannone che viene edificato ex novo basta imporre che sia a norma fin da subito.

PRESIDENTE. Ringrazio, a nome dell'intera Commissione, il professor De Stefano e dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 16.

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