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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissione IX
2.
Martedì 9 dicembre 2008
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Valducci Mario, Presidente ... 2

INDAGINE CONOSCITIVA SUI PROGETTI DI LEGGE C. 44, C. 471, C. 649 E C. 772, IN MATERIA DI SICUREZZA NELLA CIRCOLAZIONE STRADALE

Audizione di rappresentanti dell'Associazione europea dei produttori di pneumatici (European Tyre & Rubber Manufactures's Association - ETRMA):

Valducci Mario, Presidente ... 2 7 8 11
Bertolotti Fabio, Rappresentante della Federazione gomma plastica (associata italiana di ETRMA) e direttore di Asso gomma ... 6 8 10
Gori Francesco, Presidente dell'ETRMA ... 2 8 9 11
Moffa Silvano (PdL) ... 7 10
Nizzi Settimo (PdL) ... 7
Toto Daniele (PdL) ... 7

Audizione di rappresentanti della Fondazione ANIA per la sicurezza stradale:

Valducci Mario, Presidente ... 11 20
Salvati Sandro, Presidente della Fondazione ANIA per la sicurezza stradale ... 11
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Movimento per l'Autonomia: Misto-MpA; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.; Misto-Liberal Democratici-Repubblicani: Misto-LD-R.

COMMISSIONE IX
TRASPORTI, POSTE E TELECOMUNICAZIONI

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di martedì 9 dicembre 2008


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE MARIO VALDUCCI

La seduta comincia alle 12,30.

(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso e la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Audizione di rappresentanti dell'Associazione europea dei produttori di pneumatici (European Tyre & Rubber Manufactures's Association - ETRMA).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sui progetti di legge C. 44, C. 471, C. 649 e C. 772, in materia di sicurezza nella circolazione stradale, l'audizione di rappresentanti dell'Associazione europea dei produttori di pneumatici (European Tyre & Rubber Manufactures's Association - ETRMA).
Do la parola al presidente dell'Associazione europea dei produttori di pneumatici, dottor Francesco Gori, per un intervento introduttivo.

FRANCESCO GORI, Presidente dell'ETRMA. Signor presidente, signori deputati, vi ringrazio per averci convocato quest'oggi. Vi ricordo che parlo a nome dell'associazione europea dei costruttori delle industrie degli pneumatici e che, l'anno scorso, la nostra associazione ha sottoscritto la Carta europea della sicurezza stradale proprio per sottolineare la nostra convinzione che il pneumatico sia un elemento fondamentale per la sicurezza sulla strada. Abbiamo pochi punti da sottolineare, ma importanti, per ciò che concerne una maggiore sensibilizzazione sia dell'utente italiano, sia delle autorità competenti in materia di sicurezza sulla strada in Italia, in merito al pneumatico.
L'esperienza maturata in altri Paesi europei mette in evidenza come non solo in Italia, ma in generale nel sud dell'Europa, questo accessorio fondamentale per la sicurezza venga un po' trascurato. Un tale atteggiamento si rileva da parte di entrambe le categorie interessate: sia da parte dell'automobilista, che in primis deve essere ritenuto responsabile dell'adeguatezza del veicolo alle diverse condizioni e situazioni di aderenza del manto stradale, sia da parte dell'autorità che, in mancanza di chiare e nette prescrizioni, deve poter intervenire nei confronti dell'automobilista.
In sintesi, il primo punto tecnicamente importante e che mi preme rilevare è che il pneumatico deve essere utilizzato alla giusta pressione. Siccome un pneumatico perde per sua natura circa 0,1 bar di pressione al mese, è evidente che deve essere di tanto in tanto gonfiato, per riportarlo alla giusta pressione.
Quando, però, un'autovettura ha percorso un certo numero di chilometri, la temperatura e la pressione degli pneumatici si alterano, ragione per cui non è possibile controllare, da parte dell'autorità pubblica, se il pneumatico all'origine è stato giustamente gonfiato. Non è facile, quindi, sottoporre a controllo (ed eventualmente


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a sanzione) il valore tecnico fondamentale rappresentato dalla giusta pressione di un pneumatico.
Sottolineo che la pressione rappresenta il parametro fondamentale più importante in assoluto, dal momento che il pneumatico correttamente gonfiato regge il carico, tiene la strada, consuma meno benzina e produce meno rumore. Questi ultimi sono valori accessori, ancorché importanti, oggi, in un'ottica ambientale. Il punto più importante è che il pneumatico correttamente gonfiato è strutturalmente capace di sopportare le condizioni attese di carico.
In effetti, un pneumatico non ben gonfio può cedere e causare un incidente, anche se questa condizione, purtroppo, non si riesce a valutare a posteriori. Nonostante ciò, abbiamo motivo di ritenere che, talvolta, l'insufficiente gonfiaggio sia stato realmente causa di gravi sinistri, inclusi i famosi (e purtroppo visti in televisione) salti di corsia.
Per quanto riguarda le condizioni di gonfiaggio, suggeriamo di attribuire all'automobilista la responsabilità e l'obbligo di circolare con vettura e dispositivi, quali gli pneumatici, conformi alle prescrizioni d'uso della casa che fabbrica l'auto e/o del produttore di pneumatici. In tal modo, allorché, dopo un incidente o un fermo macchina, si rilevi la non adeguatezza della pressione, da tale constatazione consegua una serie di sanzioni, se volete anche indirette, al di là di quelle relative alla responsabilità civile, quale ad esempio la perdita dell'assicurazione.
Deve essere responsabilità dell'automobilista, in primis, verificare che la vettura sia dotata, adeguata e conforme alle condizioni necessarie per la sicurezza.
Faccio notare che, secondo le indagini statistiche condotte in Italia dalla nostra associazione e dalla Polizia (nonché secondo statistiche simili rilevate in Sud Europa e in particolare in Spagna e Francia), gli pneumatici con pressione inadeguata si rilevano sul 50 per cento delle auto in circolazione nel Paese.
È evidente che i casi sono tanto più gravi, quanto più ci si allontana dalla pressione minima di gonfiaggio necessaria per l'autoveicolo.
Seconda situazione, che riteniamo molto importante ai fini della sicurezza stradale, è quella degli pneumatici cosiddetti «lisci», in cui, cioè, il battistrada residuo sia sceso sotto il valore minimo di 1,6 millimetri di spessore richiesto dal nostro Codice della strada; ricordo, a tale proposito che in altri Paesi le norme prevedono 3 o 4 millimetri per gli pneumatici invernali, ma su questo punto torneremo in seguito. In relazione a questo tema, chiediamo di equiparare la sanzione da applicarsi quando l'auto sia trovata con gli pneumatici «lisci» a quella degli pneumatici non omologati, per i quali è previsto l'obbligo di revisione e/o il fermo del veicolo..
Sappiamo, peraltro, che il fermo del veicolo è qualcosa di difficilmente realizzabile. La stessa autorità pubblica può trovarsi in difficoltà, poiché è molto pericoloso lasciare un veicolo fermo in autostrada (addirittura più pericoloso che viaggiare con i pneumatici consumati) quindi, normalmente, lo si fa proseguire. Se, però, si sancisce l'obbligo della revisione, si impongono all'utente una perdita di tempo e una spesa che, sicuramente, superano l'effetto della sola sanzione pecuniaria e costringono l'utente stesso (o, meglio, lo inducono) a prevenire il problema.
In più il codice della strada oggi prevede due punti di demerito per chi viene colto con gli pneumatici «lisci», ma ciò si applica solo in autostrada e crediamo che anche questa prescrizione sia da correggere, poiché è evidente che un'automobile con gli pneumatici «lisci» è pericolosa soprattutto in autostrada, ma anche in una strada statale e in città.
È noto a tutti quali effetti producono gli pneumatici con bassissimo battistrada: allungamento dei tempi di frenata, scarsa aderenza sul bagnato e (soprattutto alle medie velocità) il fenomeno denominato «aquaplaning», con perdita di direzionalità dell'asse anteriore, limitata aderenza


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in curva e quant'altro. Do per scontato che questi fatti siano noti e, quindi, passo senz'altro a suggerire e indicare ciò che per noi è importante. Non vogliamo, evidentemente, fornire indicazioni su quali debbano essere le sanzioni, quanto piuttosto creare una sensibilità, che sia di supporto alla prevenzione nei confronti degli automobilisti, che risultano essere un po' distratti nei confronti di questo accessorio fondamentale.
I punti delicati riguardano, pertanto, gli pneumatici sottogonfiati e quelli «lisci»: un dato statistico, purtroppo confermato anche stavolta per altri Paesi europei, parla di circa un 10 per cento delle vetture in circolazione che presenta uno o più pneumatici «lisci». Il dato vale anche per i motoveicoli.
Il 10 per cento equivale, in un Paese come l'Italia, a 3,5 milioni di automezzi e a 900 mila motoveicoli. Si tratta di una quantità impressionante di veicoli suscettibili di diventare pericolosi, per il conducente e per gli altri automobilisti, in condizioni di pioggia o di scarsa aderenza in genere. Un potenziale veramente pericoloso.
Ho menzionato brevemente gli pneumatici non omologati, per i quali è già previsto, oggi, il fermo del veicolo e l'obbligo di revisione. Vorremmo suggerire, in aggiunta a questa previsione normativa, la sanzione alla filiera, cioè al negoziante, al garage, al distributore di pneumatici e a chiunque altro abbia indotto l'automobilista ad equipaggiarsi di pneumatici non omologati.
Seppure ignorantia legis non excusat, non vediamo perché un automobilista debba essere ritenuto il solo a sbagliare, se egli si affida a un professionista del settore che poi provvede a montare pneumatici non omologati. L'omologazione cui mi riferisco prende in esame vari aspetti: la misura, le varie marcature che indicano capacità di carico e prestazione velocistica del pneumatico, secondo il regolamento ECE-ONU e tanti altri elementi che un automobilista può non conoscere. Pertanto, se viene fermato su un'auto che monta pneumatici non omologati, credo che l'automobilista abbia il diritto di rivalersi anche su chi glieli ha venduti, nella misura in cui egli riesca a dimostrare di non avere conoscenza di ciò che era stato montato.
Peraltro, la sanzione alla filiera è già prevista nel caso dei caschi per motoveicoli e ciclomotori e delle cinture di sicurezza, quindi si tratterebbe solo di estendere anche agli pneumatici questo stesso tipo di normativa.
Un ulteriore punto riguarda gli pneumatici cosiddetti «neve». Il nostro codice della strada, in analogia a quelli in vigore in tutti i Paesi europei, prevede l'uso di pneumatici «neve» in certe condizioni climatiche o di scarsa aderenza della strada. Chiediamo al legislatore innanzitutto la possibilità di cambiare il termine «neve» con il termine «invernale», poiché oggi il pneumatico si adatta meglio, in generale, alle condizioni di bassa temperatura. Assieme ai nostri concorrenti europei, definiamo nella temperatura di 7 gradi la soglia a partire dalla quale è opportuno passare ai pneumatici invernali. Si tratta di condizioni nelle quali l'acqua tende ad avere caratteristiche diverse rispetto alla pioggia estiva e inoltre il ghiaccio e la temperatura bassa dell'asfalto riducono l'aderenza del pneumatico.
Quando parliamo di neve parliamo solo di montagna: nel nostro immaginario vediamo la neve, vediamo la montagna e provvediamo eventualmente a dotarci di pneumatici adeguati, oppure di catene da neve. La parola «invernale», invece, è un invito a prevenire il tema, a non trovarsi all'improvviso di fronte a un cartello che obbliga al montaggio delle catene o ad avere già montati i pneumatici «neve», bensì a pensare in anticipo a questa eventualità.
Vi comunico un dato che ritengo abbastanza rilevante: la temperatura media delle città italiane, nei mesi invernali, è solo di un grado maggiore rispetto a quella delle città tedesche. Quindi, la differenza di temperatura rispetto alla Germania è pari a un solo grado.


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In Germania non esiste l'obbligo degli pneumatici invernali, però il 60 per cento degli pneumatici in circolazione in Germania durante l'inverno sono invernali, contro il 10 per cento rilevato in Italia. Non so spiegarvi la ragione di questa differenza. Il legislatore, la cultura automobilistica, le riviste, l'assenza in Germania di limiti di velocità in certi tratti autostradali (con la conseguente maggiore attenzione - da parte dell'automobilista - al veicolo e al suo insieme di dotazioni per la sicurezza): tutto ciò, negli anni, ha indotto l'automobilista a privilegiare il cambio stagionale degli pneumatici nello stesso modo in cui tale cambio avviene, per obbligo di legge, in Paesi dove le condizioni morfologiche hanno giustamente indotto il legislatore a introdurre quest'obbligo (ad esempio in Svizzera, in Austria o nei Paesi scandinavi).
Evidentemente l'Italia, come la Germania, non è un Paese in cui introdurre un obbligo che sarebbe assurdo, nel Centro e Sud Italia e, per giunta, per molti mesi dell'anno. Tuttavia, il legislatore in Germania ha trasferito sull'automobilista questa responsabilità, introducendo una norma nel codice della strada che indica proprio nell'automobilista colui che è obbligato ad avere auto e dispositivi (fra i quali gli pneumatici) idonei al periodo stagionale. Sta al proprietario del veicolo, in altri termini, definire quali condizioni ne richiedano l'obbligo.
Per esempio - ciò vi farà sorridere - nella norma si menzionano non solo gli pneumatici, ma anche, come dotazione obbligatoria, quegli accessori di plastica che servono a togliere il ghiaccio dal lunotto e dai cristalli dell'automobile. Tutto ciò permette che, qualora avvenga un incidente, o semplicemente un camion si metta di traverso e blocchi la strada, si possa poi andare a punire colui che non si è preventivamente messo nelle condizioni idonee ad evitare questi problemi.
Riassumo le due richieste sul tema degli pneumatici oggi chiamati «da neve»: in primo luogo, passare al termine «invernale», per permettere un ampliamento dell'accezione da parte dell'automobilista, richiamando un impiego più esteso rispetto al solo caso di neve in alta montagna; in secondo luogo, trasferire sull'automobilista la responsabilità di trovarsi nelle condizioni idonee all'impiego e al periodo stagionale, per l'auto nel suo complesso e per i vari dispositivi, pneumatici inclusi.
Credo che in questa sede si parli di sicurezza stradale, ma anche di intralcio alla circolazione. Non credo sia necessario ricordarvi quante volte ci troviamo a leggere o ad ascoltare di gravi intralci lungo le nostre strade (basti pensare all'autostrada del Brennero), spesso causati da veicoli (automobili, roulotte, a volte autoveicoli industriali o pullman) che si mettono di traverso e bloccano la circolazione per ore e ore. Crediamo pertanto che la nostra richiesta si riferisca a una misura estremamente utile.
Mi preme altresì sottolineare che gli pneumatici invernali hanno normalmente un prezzo leggermente superiore a quello degli pneumatici estivi, ma la differenza di prezzo è certamente non maggiore del prezzo di un set di catene omologate. Peraltro, è evidente che, laddove si impieghino gli pneumatici invernali, il consumo di questi sostituisce il consumo degli pneumatici estivi. Ebbene, se per un'utilitaria che percorre 5.000 chilometri all'anno, evidentemente, questa spesa non si giustifica, il contrario si può sostenere per un'automobile di famiglia, con percorrenze di 15 mila chilometri all'anno e usata per alcuni anni.
Di fatto, l'utilizzo degli pneumatici invernali non cela un interesse economico particolare dell'industria. È invece nostro interesse fare in modo che l'automobilista che vive nel Nord Italia, o in prossimità di località montuose, e quindi innevate durante l'inverno, sviluppi la sensibilità di andare almeno due volte all'anno a far controllare la propria autovettura e a sostituire gli pneumatici, in modo tale da acquisire un'attenzione e una sensibilità maggiori verso questo accessorio fondamentale per la sicurezza.
Queste sono le quattro indicazioni che abbiamo avuto occasione di discutere an


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che con i commissari europei. Sapete che è in corso un'evoluzione legislativa che riguarda il pneumatico e che punta sostanzialmente a introdurre due parametri di prestazione (si discute se a partire dal 2012, o qualche anno dopo). Il primo è relativo alla riduzione della resistenza al rotolamento, per contribuire alla riduzione del consumo di carburante e, quindi, a una minore emissione di CO2. A tale indicazione la nostra associazione si è dichiarata fin dall'inizio favorevole e non ha opposto resistenza, contribuendo, anzi, a definirne i target. Un secondo parametro è relativo, invece, alla riduzione del rumore derivante dal rotolamento, richiesta da alcuni Paesi, in primis l'Olanda, resi più sensibili a questo problema dalla congestione delle strade (in particolare quelle cittadine). A tal riguardo, come associazione, abbiamo tenuto un atteggiamento più cauto, poiché crediamo che le soluzioni si trovino nell'interazione fra pneumatico e superficie stradale. Questa è la ragione per cui sul punto la discussione, in questo momento, è ancora aperta.
Certamente, infine, come sintesi di tutte le prestazioni, si può prendere in considerazione, come indicatore di efficienza ed efficacia, la frenata sul bagnato.
Ripeto che abbiamo discusso ed esposto il tema della sicurezza stradale in molti Paesi e direi che l'Italia - anche per la sua morfologia al Centro-Nord - è un Paese che potrebbe valutare se adottare la normativa tedesca, vale a dire il trasferimento sull'automobilista della responsabilità di mantenere il veicolo nelle condizioni idonee ad affrontare le diverse condizioni meteorologiche.

FABIO BERTOLOTTI, Rappresentante della Federazione gomma plastica (associata italiana di ETRMA) e direttore di Assogomma. Signor presidente, onorevoli deputati, vi ringrazio per l'invito.
Vorrei lanciare qualche messaggio di tipo italiano, visto che in Italia le aziende che rappresentiamo (praticamente tutte quelle che operano sul mercato nazionale nella produzione e vendita di pneumatici) già da dieci anni svolgono un'attività molto intensa a favore della sicurezza stradale. In tal senso, sono state condotte una serie di indagini e verifiche sul mercato, attraverso le forze dell'ordine, che confermano le indicazioni di carattere generale acquisite a livello europeo.
Così, sintetizzando al massimo, abbiamo un 10 per cento di pneumatici «lisci», un 52 per cento di pneumatici sotto gonfiati, più una quantità straordinaria di pneumatici non omologati, non sottoposti ad alcun controllo da parte delle autorità competenti, cioè del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti. Si pensi che l'anno scorso, a Milano, sono stati controllati 5.000 motocicli e il 20 per cento di questi - per lo più ciclomotori - montavano pneumatici non omologati, quindi pericolosi. Tra l'altro ne abbiamo visti una quantità significativa in esposizione alla Fiera EICMA, anche quest'anno.
Esiste dunque una situazione veramente emergenziale riguardo al tema omologazione. Nella legislazione la responsabilità va assolutamente estesa - come affermato dal presidente Gori - non solo a chi circola ma, evidentemente, anche a chi importa, detiene e monta questi pneumatici.
Per cercare di tradurre tutte queste iniziative e riunire tutte queste esigenze, abbiamo realizzato, un anno fa, insieme al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, un documento che abbiamo denominato «Carta di identità del pneumatico», che credo vi sia stato distribuito. Esso viene rilasciato gratuitamente a tutti coloro i quali vanno ad acquistare un qualsiasi pneumatico. Non si tratta di un marchio, bensì di un semplice documento che descrive le generalità del prodotto acquistato.
Con questo sistema, si ha la possibilità di avere un'indicazione chiara di chi ha prodotto il pneumatico e quando l'ha prodotto. Laddove si evidenziasse nel pneumatico un problema o una difettosità, vi è la possibilità, per l'automobilista, di sapere che quel prodotto necessita di essere richiamato. Non basta: a questa «carta di identità» si allega lo scontrino fiscale (una prassi assolutamente banale,


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che non sempre è consueta) e ciò permette di conferire visibilità alla garanzia legale. Anche il pneumatico, al pari di un asciugacapelli, gode di una garanzia legale di 24 mesi dalla data di montaggio del bene.
Questo documento, inoltre, presenta una serie di consigli per l'uso e la manutenzione del prodotto, nonché un timbro che identifica il soggetto che lo ha emesso.
Questa «carta d'identità» viene rilasciata, lo ripeto, gratuitamente e a noi piacerebbe moltissimo che questo documento, anziché essere una semplice indicazione di buona regola, diventasse un obbligo, al pari di quello che già è previsto per l'emissione fumi.
Così facendo, avremmo la certezza che coloro i quali montano e vendono pneumatici, certamente non ne venderanno di non omologati, contraffatti o non idonei alla carta di circolazione. Questi soggetti effettueranno operazioni con professionalità, come sono tenuti a fare.
Visto che questo documento è condiviso anche dall'Associazione dei rivenditori di pneumatici, nonché dai produttori di pneumatici, auspichiamo che esso venga adottato come documento d'obbligo, senza costi né per l'utente, né per il gommista. Si tratta di una buona prassi per dare un contributo significativo alla sicurezza stradale, in relazione alla quale è certamente importante tenere sotto controllo le proprie gomme con una certa periodicità, quindi gonfiarle una volta al mese e ogni 10.000 chilometri, verificando l'assenza di problemi.
Concludo segnalando che le forze dell'ordine hanno riscontrato spesso tagli e danneggiamenti visibili ad occhio nudo sul fianco del pneumatico. Stiamo parlando di una percentuale che, a seconda delle località e degli ambiti indagati, varia dal 6 all'8 per cento, corrispondente a milioni di mezzi che si trovano in condizioni che possono preludere a un improvviso cedimento strutturale in corsa di qualsiasi pneumatico.

PRESIDENTE. Grazie. Do la parola ai colleghi che intendano porre domande o formulare osservazioni.

SETTIMO NIZZI. Signor presidente, ringrazio i nostri ospiti per le interessanti relazioni, ascoltando le quali mi sono venute in mente alcune domande.
Ad una domanda ha già risposto il presidente Bertolotti. Volevo infatti sapere quanti sono gli pneumatici non omologati ed è stata riportata una quota pari a circa il 20 per cento. Vorrei allora sapere cosa intendete fare a tale proposito.
In secondo luogo, vorrei rivolgere una domanda in merito al problema ambientale. Viviamo una situazione gravissima, relativa ai nuovi pneumatici che vengono montati e ai vecchi che dovrebbero essere distrutti, così come previsto. In realtà, il più delle volte, i piccoli artigiani o i cultori del «fai da te» della domenica (quelli che vanno da acquistare gli pneumatici presso i centri commerciali e i grandi ipermercati) fanno tutto da sé: comprano gli pneumatici o le batterie e, naturalmente, una volta sostituiti, abbandonano i vecchi pneumatici, quando va bene, all'interno del parcheggio dell'ipermercato e quando va male - il più delle volte - nei nostri terreni di campagna.
Penso che si tratti di un aspetto basilare: insieme alla sicurezza stradale deve essere considerata la sicurezza ambientale. Riduciamo pure il consumo di CO2 tenendo ben gonfie le gomme e magari migliorando anche la combustione, ma anche lo smaltimento è un tema molto importante. Vorrei sapere in che modo si è pensato di intervenire in questo senso.

DANIELE TOTO. Signor presidente, ho trovato molto interessanti i temi che sono stati oggi sollevati. Vorrei avere qualche delucidazione sul pneumatico «run flat», sulla sua diffusione, su eventuali statistiche riguardanti la sinistrosità e se c'è secondo voi un impulso a introdurre questo pneumatico per le vetture di segmento più basso, quelle di categoria inferiore, rispetto alla diffusione attuale nei modelli di cilindrata elevata.

SILVANO MOFFA. Signor presente, anche io voglio ringraziare i nostri ospiti per l'ampiezza del ragionamento e per le pro


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poste che hanno sottoposto alla nostra attenzione.
Lei, presidente, ha parlato di un adeguamento del quadro normativo, rispetto alle esigenze obiettive che si colgono in conseguenza di un ritardo del legislatore in merito ad una delle cause più importanti dell'incidentalità.
Visto che avete fornito una valutazione parametrica rispetto ad altre normative, come quella tedesca, le chiedo se siete in grado di fornirci un quadro dettagliato dell'articolazione normativa in questa materia.
Lei comprenderà che ci stiamo muovendo su un terreno molto complesso, quasi minato, in cui non soltanto dobbiamo ritoccare alcune parti del codice della strada, ma anche introdurre qualche nuova norma, per far sì che gli impegni europei vengano in qualche modo rispettati e raggiunti.
L'esperienza mi insegna, purtroppo, che quando tocchiamo questi argomenti entrano in gioco interessi talmente forti, a volte, da frenare le buone intenzioni che il legislatore vorrebbe concretamente mettere in campo. Ne è testimone il fatto che, nelle innumerevoli proposte modificative del codice della strada, comprese quelle innovative, manca qualunque riferimento ai pneumatici.
Pertanto, l'audizione di oggi è assolutamente importante al fine di riempire un vuoto. Lei ha giustamente sottolineato gli aspetti di criticità rappresentati dal gonfiaggio e dall'omologazione - che è un tema di grande responsabilità civile; ha fatto inoltre un riferimento alla responsabilità per quanto attiene gli aspetti assicurativi. Qui dobbiamo valutare la responsabilità civile direttamente in capo alla persona o alla filiera che non rispetta queste norme assolutamente indispensabili. Tutto ciò considerato, le chiedo se non sia possibile avere da voi un quadro normativo riferito alla Germania, ma anche contestualizzato rispetto all'esperienza da voi stessi maturata, che ci aiuti ad aprire una discussione molto seria su un aspetto fin qui poco considerato.
In ultimo, lei ha affermato che l'omologazione rappresenta un tema assolutamente sensibile. Ebbene, vorrei distinguere tra il nostro compito di legislatori e quello che attiene a coloro che devono promuovere campagne pubblicitarie e di informazione. Del resto, risulta evidente che, quando parliamo di problemi connessi al semplice elemento di conformità e al sistema dei controlli, chiamando in causa anche le case produttrici, dobbiamo distinguere tra la responsabilizzazione del conducente e la sua semplice sensibilizzazione. In definitiva, mi chiedo se la vostra associazione abbia un programma di sensibilizzazione coerente con queste impostazioni e se, a vostro giudizio, il Parlamento possa in qualche modo agire, al di là dell'aspetto normativo, per intervenire in maniera più significativa e più forte a sostegno di iniziative di questa natura.

PRESIDENTE. Nel dare la parola al presidente Gori per la replica, ricordo che per alcune delle domande potrà esserci anche una formulazione scritta delle risposte, come quella relativa, ad esempio, alla comparazione con gli altri Paesi europei. Vi chiedo, al riguardo, di poterci inviare una nota.

FRANCESCO GORI, Presidente dell'ETRMA. Lascerei al dottor Bertolotti la risposta sul tema ambientale - che l'Assogomma segue direttamente - che conta una serie di esempi europei. Posso anticipare, comunque, che anche il nostro Paese si sta dotando di strutture adeguate.

FABIO BERTOLOTTI, Rappresentante della Federazione gomma plastica (associata italiana di ETRMA) e direttore di Assogomma. È così. In Italia esiste già da quattordici anni - quindi non da un giorno - una realtà specifica che si chiama «Ecopneus» e che ha svolto una funzione tesa a favorire il recupero, il riutilizzo e il riciclaggio ecocompatibile di questi prodotti, agendo nell'ambito delle legislazioni vigenti a livello sia nazionale che europeo.


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A breve, si compirà un salto di qualità e questa realtà diventerà operativa. Sulla base di una norma di legge, che dovrebbe entrare a vigore a breve, sarà avviata un'attività specifica che si occuperà non solo di favorire, ma materialmente anche di intervenire a favore di tutti coloro che devono in qualche modo eliminare, smaltire, recuperare e raccogliere gli pneumatici fuori uso, risolvendo quindi il problema alla radice.

FRANCESCO GORI, Presidente dell'ERTMA. Per quanto riguarda il tema degli pneumatici run flat, mi permetto in primo luogo di spiegare di che cosa si tratti.
Parliamo di un pneumatico che può percorrere un centinaio di chilometri - in teoria fino a centocinquanta chilometri - con pressione di gonfiaggio uguale a zero e ad una velocità massima di ottanta chilometri all'ora. Evidentemente, in condizioni diverse, ad esempio ad una velocità superiore a quella indicata, l'autonomia si riduce e viceversa.
Per il pneumatico run flat bisogna avere - necessariamente e obbligatoriamente - un indicatore efficace della pressione, di modo che il guidatore venga allertato del fatto che il pneumatico è forato e ha perso pressione. Diversamente, il guidatore non potrebbe rendersi conto dell'autonomia residua in termini di tempo e percorrenza, peraltro a velocità ridotta, dell'automobile. Un sistema elettronico trasmette queste informazioni sul cruscotto, con evidenza, al guidatore.
Si tratta di una soluzione adottata in Europa prevalentemente da una casa tedesca, la BMW, accolta con favore dall'industria degli pneumatici, poiché introduce una caratteristica aggiuntiva importante soprattutto in tema di sicurezza, in quanto consente all'automobilista che abbia questo problema di trovare il luogo adeguato, magari anche un distributore di benzina, o altro, per fermarsi e poter operare la sostituzione, anziché fermarsi in autostrada. Pensate se una cosa del genere succedesse in galleria!
Ciò detto, il problema è che questi pneumatici hanno una struttura rinforzata che, necessariamente, pesa il 10-15 per cento in più e che, quindi, nell'ottica dell'emissione di CO2, quindi di resistenza al rotolamento, è peggiorativa e non aiuta. Sono nati anni fa, quando l'attenzione al contributo dello pneumatico alla riduzione della CO2 era minima, mentre oggi, ci avviciniamo a scadenze in cui diventa sempre più importante l'introduzione di pneumatici a bassa resistenza al rotolamento. Il mio parere personale è che i run flat non abbiano una prospettiva molto ampia.
Quello che conta, però, è che essi hanno introdotto uno strumento che comunica al guidatore dell'auto la pressione degli pneumatici. Ciò rappresenta un fatto importante, tanto che la Commissione europea ne sta valutando l'introduzione obbligatoria, insieme alle altre misure previste con tutto il pacchetto dell'auto in discussione, fra il 2012 e il 2015, poiché la pressione è, evidentemente, il primo elemento che riduce la resistenza al rotolamento. Per noi costruttori di pneumatici la pressione è molto importante, perché un pneumatico funziona ed è sicuro solo se ha la pressione giusta e in più aiuta l'ambiente. In sintesi, non mi pare che sussistano altri elementi a favore del pneumatico run flat.
Per quanto riguarda l'adeguamento del quadro normativo italiano, mi sono permesso di suggerire di menzionare quello tedesco, per varie ragioni. Prima di tutto perché è recente: quanto vi sto dicendo è successo un anno fa ed è stato il frutto - come potete immaginare conoscendo quel Paese - di una discussione durata molti anni sull'opportunità di introdurre l'obbligo, o meno.
Siccome quel Paese è come il nostro, cioè ha tanta pianura, poche montagne, condizioni morfologiche variegate, l'obbligo è sembrato, giustamente, inadeguato. Lo ripeto: l'obbligo è perfetto in Svizzera, o in Austria, certamente non in Germania. Si è ricorsi a questa dizione, riguardo alla quale, però, mi farei volentieri carico di fornirvi gli originali e le traduzioni dal


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codice della strada tedesco, nonché le discussioni che si sono affrontate per arrivare all'attuale definizione.
È chiaro che tutta la discussione che si è svolta ha reso l'utente automobilista tedesco incline ad adeguarsi. In realtà, non si tratta di una norma prescrittiva, cioè non è un obbligo, però lo diventa nella misura in cui l'automobilista si trova inadempiente rispetto ad essa.
Mi è parso efficace operare un confronto con le condizioni e la morfologia del nostro Paese, nonché con la possibilità di scatenare effetti importanti, come quelli assicurativi. Ovviamente non parlo a nome di quell'industria - non ne ha bisogno - e tuttavia parla il fatto che la norma sia efficace, che diventi operativa.
Sul tema, invece, dell'omologazione e della conformità, prima di lasciare la parola al dottor Bertolotti, volevo soltanto chiarire che, in realtà, si tratta di un tema europeo, giacché l'omologazione è decisa in sede europea, così come la conformità. Credo che si tratti solo di prendere atto di quello che è già previsto e normalizzato a livello europeo, nulla di più e nulla di meno.

FABIO BERTOLOTTI, Rappresentante della Federazione gomma plastica (associata italiana di ETRMA) e direttore di Assogomma. Certamente, l'omologazione è un fatto europeo e siamo assolutamente convinti che il fenomeno del pneumatico non omologato non sia un male solo italiano, bensì che sia diffuso anche negli altri Paesi. Questa volta, a differenza di quanto succede per altre questioni, siamo noi i primi ad averlo denunciato e ad averlo scoperto, ma sono in corso tutta una serie di verifiche anche negli altri Paesi che, evidentemente, mostreranno fenomeni analoghi. Infatti il pneumatico cinese non omologato, così come quello indiano o di altri Paesi, è un prodotto in libera circolazione e, quindi, non arriva solo in Italia. Siamo convinti, ormai, avendo visto veicoli, anche moto, di primo equipaggiamento con pneumatici non omologati, che si tratti di un fenomeno sufficientemente diffuso.
Non è possibile, in questo momento, tratteggiare un quadro di riferimento a livello europeo di tutti gli altri aspetti citati, come per esempio il gonfiaggio, ma solo a titolo di esempio, in aggiunta a quanto già detto dal presidente Gori per quel che riguarda il mercato tedesco, vi riporto un dato: sul mercato francese hanno favorito il gonfiaggio delle gomme con un sistema molto semplice, ossia creando stazioni di gonfiaggio, sulle strade principali ed autostrade, che non hanno nulla a che vedere con le stazioni di servizio addette alla vendita dei carburanti. Tra l'altro, si tratta di interventi che hanno un costo marginale. L'automobilista è opportunamente avvisato tramite pannelli luminosi che, a distanza di un certo numero di chilometri, si trova una stazione di gonfiaggio dove può effettuare il «pieno d'aria» gratuitamente, nonché, eventualmente, mettersi in collegamento con un numero verde per poter avere assistenza, là dove si rendesse conto che il pneumatico presenta difettosità non risolvibili con il semplice gonfiaggio.
Questo è un esempio civile, che ha consentito di risolvere la questione in parte, perché il fenomeno del non gonfiaggio delle gomme non è solo italiano, evidentemente. Noi ne abbiamo una quantità straordinaria: oltre il 50 per cento, mentre in altri Paesi si arriva al 20-30 per cento. Quindi, potremmo dare un contributo determinante in questo senso.

SILVANO MOFFA. Signor presidente, intervengo rapidamente su questo passaggio molto importante e delicato. Non c'è dubbio che l'omologazione, come principio, è individuata a livello europeo, ma ogni Stato è libero di attuare la norma come meglio crede per rispettare il principio dell'omologazione.
Non a caso avete parlato della necessità di estendere la sanzione, che già esiste per i caschi e per le cinture di sicurezza, alla filiera che riguarda gli pneumatici. Il problema è proprio questo: capire esattamente se una norma di questo tipo diventa prettamente una norma italiana nel recepimento


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dell'indicazione o se invece qualche altro Stato ha scelto questa stessa strada.

FRANCESCO GORI, Presidente dell'ETRMA. Credo di poterle rispondere con certezza che questa strada è già stata scelta da più Paesi europei.
Tuttavia, se mi consente, vorrei procurarle tutta la documentazione dei Paesi che l'hanno fatta propria, descrivendo anche in quale modo, rispetto alla filiera. Tenuto conto anche - questo è un dettaglio importante - che questa legislazione è destinata ad evolversi, poiché nel 2012 probabilmente diventerà obbligatorio l'uso di pneumatici che presentano una resistenza al rotolamento inferiore ad una certa soglia, nonché un certo rumore massimo di rotolamento. Siccome la legislazione è in evoluzione, dobbiamo predisporci ad accogliere queste varie indicazioni progressive da parte della Comunità europea.
Già oggi, quanto alla marcatura ECE e ad altri adempimenti obbligatori, esistono sicuramente indicazioni.

PRESIDENTE. Ringrazio i rappresentanti dell'Associazione europea dei produttori di pneumatici per il loro contributo e dichiaro chiusa l'audizione. Sospendo brevemente la seduta.

La seduta, sospesa alle 13,10, è ripresa alle 13,15.

Audizione di rappresentanti della Fondazione ANIA per la sicurezza stradale.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sui progetti di legge C. 44, C. 471, C. 649 e C. 772, in materia di sicurezza nella circolazione stradale, l'audizione di rappresentanti della Fondazione ANIA per la sicurezza stradale.
Do la parola al Presidente della Fondazione ANIA per la sicurezza stradale, dottor Sandro Salvati, per un intervento introduttivo.

SANDRO SALVATI, Presidente della Fondazione ANIA per la sicurezza stradale. Signor presidente, onorevoli deputati, innanzitutto vi ringrazio per l'opportunità che ci avete dato invitandoci oggi qui.
La crisi planetaria in corso rende molto complesse e delicate le prospettive di ripresa dell'economia per l'Italia, come per il resto d'Europa. Per questo il nostro Governo e quelli degli altri Paesi sono impegnati a trovare soluzioni che migliorino le condizioni economiche delle famiglie e dei cittadini e che aiutino le imprese a sostenere lo sforzo di una ripresa produttiva consistente.
Il miglioramento delle condizioni economiche del Paese non può essere, però, l'unico obiettivo verso cui tendere, così come non lo possono essere le politiche di breve periodo che non consentono una ripresa strutturale. Soprattutto in un contesto in cui la crisi finanziaria ha innescato quella dell'economia reale e - insieme - stanno producendo, come è noto, paure e preoccupazioni quotidiane nelle famiglie e negli individui.
A nostro parere occorre fornire al Paese la proposta di un nuovo modello di convivenza civile, che, insieme alla stabilità economica, si fondi sulla consapevolezza più diffusa e moderna di alcuni valori sociali forti che, oltretutto, hanno una ricaduta sul reddito delle famiglie e sulla spesa pubblica.
Questo nuovo modello, che risponde ai bisogni dei cittadini di sicurezza, di benessere, di certezza del futuro, di coesione sociale, deve, a nostro avviso, ricomprendere, tra le sue priorità, la sicurezza stradale. Le vittime degli incidenti stradali rappresentano un dramma per le famiglie che devono sopportare una perdita, un'emergenza per il Paese che, oltre a non poter più contare su forze giovani che garantiscono produttività e lavoro, deve oltretutto sostenere dei costi sociali enormi che gravano sulle casse dello Stato per oltre 30 miliardi di euro l'anno, circa il 2 per cento del PIL nazionale. Sono dati - che vengono da un recente report dell'ACI-CENSIS - che sfuggono nella loro globalità ai più.


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Di fronte a questa vera e propria «catastrofe a puntate» di generazioni lascia annichiliti la frammentaria e insufficiente coscienza che ne hanno le istituzioni, le famiglie e gli educatori.
È arrivato il momento di dire chiaro e forte che tutte le componenti della società civile, del mondo politico, di quello economico e finanziario debbono comunemente e congiuntamente impegnarsi verso l'obiettivo di un'azione di contrasto forte e globale all'incidentalità stradale.
Affrontare il tema della sicurezza stradale a livello di sistema, in sinergia con tutte le forze che, a livello pubblico e privato, si occupano del problema, è esattamente la strategia della Fondazione ANIA per la sicurezza stradale, costituita dalle compagnie di assicurazione nel 2004, con l'unica mission di individuare e realizzare attività e iniziative che possano concretamente contribuire al miglioramento dei livelli di sicurezza sulla strada. Detto in termini incisivi: ridurre le vittime, riducendo numero e gravità degli incidenti.
Per questo motivo, come fondazione, accogliamo con favore l'invito a partecipare all'audizione della IX Commissione trasporti della Camera che ha avuto la sensibilità di avviare un'indagine conoscitiva per poter analizzare, nello specifico, questo tema e trovare le soluzioni più idonee.
Vorrei dare alcuni dati statistici e mi limiterò ad evidenziare quelli più importanti. La sicurezza stradale è un'emergenza nazionale e le statistiche lo dimostrano. Da una recente pubblicazione dell'Istat si rileva che i morti nel 2007 sono 5.131 con una riduzione del 9,5 per cento rispetto al 2006: è un lieve segnale incoraggiante. Nulla di più, visto che in valore assoluto i morti in Italia fanno registrare il valore più alto in Europa dopo quello della Polonia.
I morti italiani, che sono circa 5.131, sono 500 in più della Francia, 1.300 circa in più della Spagna, oltre 2 mila in più del Regno Unito, 180 in più della Germania che ha però 80 milioni di abitanti a fronte dei nostri 59 milioni.
Va inoltre detto che l'Italia evidenzia, poi, dal 2001 un calo della mortalità del 27,3 per cento che la tiene ancora lontana dall'obiettivo sancito dal Trattato di Lisbona che, come sappiamo, è di dimezzare le vittime entro il 2010. Con ogni probabilità nel 2009 e nel 2010 saremo sotto l'occhio dei media e delle istituzioni europee perché l'Italia non riesce a raggiungere gli obiettivi fissati dall'Unione europea.
La posizione fortemente negativa del nostro Paese trova purtroppo una conferma per il rischio urbano. Le nostre città, come apparso recentemente sulla stampa, hanno un livello di rischio sensibilmente superiore a quello di Parigi, Londra, Stoccolma, Madrid o Barcellona. Quanto agli incidenti stradali sono, in assoluto, le più pericolose d'Europa. Nel 2007 si sono registrati il 76,6 per cento del totale degli incidenti classificati come «a rischio urbano» e un preoccupante 44,2 per cento del totale delle vittime, soprattutto tra i pedoni. Rispetto al 2006 sono diminuiti gli incidenti e i morti in città. I pedoni rappresentano, con 627 vittime, il 12,2 per cento dei morti totali. I grandi comuni urbani rappresentano le aree a maggior rischio. Milano con 86 vittime e Roma con 201 concentrano quasi 1'11 per cento dei decessi in area urbana.
Una sottolineatura molto forte che ci preme fare, in quanto a nostro giudizio è un dramma nel dramma, è quella che riguarda i giovani.
Infatti, i dati fanno risaltare che i giovani sono i soggetti più coinvolti con 1.752 morti nel 2007 nella classe d'età tra 18 e 34 anni: il 34,1 per cento del totale dei morti. La fascia d'età più colpita, con 554 morti, è quella tra 25 e 29 anni.
La frequenza italiana, intendendo la percentuale del numero di incidenti su cento veicoli (8,65 per cento) è sensibilmente più alta di quella media europea (6,5 per cento) e lontanissima dai Paesi più virtuosi come la Francia (5 per cento) o la Germania (6 per cento).
Riteniamo nostro dovere - proprio per le finalità di questa indagine - mettere in


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evidenza che, senza contromisure adeguate, è probabile prevedere ulteriori peggioramenti.
Ci sono tre fattori dei quali siamo molto preoccupati: guida disattenta, per esempio usando il cellulare, guida sotto l'effetto dell'alcol e guida sotto l'effetto di sostanze stupefacenti.
Basti pensare che in dieci anni, tra il 1998 e il 2007, è cresciuto del 5 per cento il fenomeno del bere con l'intenzione di ubriacarsi (il 17,2 per cento dei ragazzi fra i 20 e i 24 anni). L'Istituto superiore della sanità stima che il 30 per cento degli incidenti è causato da stati di alterazione da alcool o droga.
Come abbiamo detto in apertura, noi consideriamo come causa principale per questa drammatica situazione la mancanza, a tutti i livelli, di una reale e sistematica consapevolezza della gravità del problema: da parte dei media, che vi prestano attenzione solo nei weekend; da parte delle istituzioni, che si sono prevalentemente concentrate su un altro fenomeno come le morti bianche, altrettanto grave sul piano umano («...ogni morte ci diminuisce...») ma molto, molto inferiore in termini quantitativi e probabilistici; da parte dei cittadini, che non hanno la lontana percezione del rischio stradale, perché l'opinione collettiva si lascia condizionare da quello che io chiamo «lo sciagurato trinomio italico»: l'incidente stradale è «una tragica fatalità»; «tanto a me non capita»; «cosa ci si può fare».
Invece, si può fare e molto, anche se lo scenario è complesso e richiede di coniugare un'alta visione progettuale con un forte pragmatismo.
Con questo tipo di metodologia e di approccio il Paese deve passare da una «incultura» generalizzata, negativa e anestetizzata, incapace di porre rimedio al problema, a una cultura della prevenzione e del controllo reale e diffusa, che deve trovare la sua attuazione in progetti di breve, ma anche di medio e lungo periodo.
Passerò ora ad analizzare alcune cause dell'incidentalità. Le cause di un problema così grave dipendono da diversi fattori. Primo fra tutti, la congestione del traffico.
Il rapporto Ambiente Italia 2007 evidenzia come l'Italia sia il Paese europeo dove le persone si spostano di più a motore; nel trasporto su gomma l'automobile copre circa 1'82 per cento della domanda.
Vorrei sottolineare che la circolazione sulle due ruote rappresenta, nella maggior parte delle regioni con aree metropolitane ad elevata intensità di traffico, una tipica modalità di spostamento. È noto che l'esposizione al rischio di incidente per i conducenti di motocicli è notevolmente elevata e le conseguenze di questo tipo di incidenti sono spesso gravi.
Sappiamo anche, come dicevo, che l'Italia, essendo un'area ad elevato sviluppo economico e produttivo, vede il trasporto merci avvenire principalmente su gomma: il parco veicolare costituito da autocarri merci, speciali e motrici, è di 4.483.451 mezzi. Il trasporto merci su gomma è stato, nel 2005, di 211.799.740 migliaia di tonnellate per chilometro; quello ferroviario di 22.760.648 migliaia di tonnellate; quello marittimo di 508.946. L'autotrasporto, oltre ad assorbire quasi tutto il traffico a media distanza, va ad integrare quasi tutte le operazioni di trasporto marittimo, ferroviario ed aereo.
I mezzi pesanti, secondo l'Istat, provocano circa il 7 per cento dell'incidentalità complessiva. Secondo i dati ANIA, la frequenza sinistri degli autocarri più leggeri, con peso inferiore a 35 quintali, è dell'8,97 per cento, mentre quella degli autocarri con peso superiore a 35 quintali, quindi ancora più pericolosi, è del 14,57 per cento.
Secondo dato che vogliamo sottolineare, causa di incidenti, oltre alla condizione morfologica del Paese, è quello relativo ai comportamenti.
I comportamenti rappresentano il fattore che afferisce al guidatore: la guida distratta, la velocità, alcool e droghe sono fattori soggettivi che causano oltre il 70 per cento degli incidenti. Come abbiamo detto, non c'è nessuna tragica fatalità: la causa principale e molto diffusa che lega questi fattori è la scarsa percezione del rischio stradale.


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Veniamo ai punti che noi proponiamo all'attenzione della presidenza e vostra, onorevoli deputati come possibili soluzioni. Il primo è il coordinamento tra istituzioni nelle azioni di prevenzione e sicurezza stradale. Noi riteniamo - lo diciamo in maniera molto esplicita - che in Italia esista una dispersione di competenze nel campo della sicurezza stradale, che porta anche ad una dispersione di risorse. Per questo sarebbe opportuna una regia unica di tutte le attività sulla materia, attraverso l'istituzione di un dipartimento o di un servizio nazionale della sicurezza stradale, che operi come diretta emanazione del Governo e che abbia la funzione di coordinamento di tutte le forze e gli organismi pubblici e privati che agiscono nel settore della mobilità e della sicurezza stradale.
In sostanza questo dipartimento, secondo noi, andrebbe dotato di poteri speciali simili a quelli riconosciuti alla protezione civile e dovrebbe avere compiti di: promozione e coordinamento delle politiche e degli interventi di sicurezza stradale; intervento diretto in caso di emergenza; definizione di procedure di azione comuni a tutto il sistema; orientamento della legislazione relativa alla prevenzione dei rischi di incidenti; sostegno a tutti gli organismi e le strutture coinvolte nel settore della sicurezza stradale; promozione di una politica di sostegno alle attività di formazione in tale ambito; informazione all'opinione pubblica (crediamo nel fatto che in questa nuova struttura statale dovrebbe parlarsi molto di promozione della cultura della sicurezza stradale, con particolare attenzione alle giovani generazioni); regia nella gestione di tutti gli aspetti connessi alla prevenzione dei rischi di incidentalità; in ultimo, produzione e gestione delle normative eccezionali e derogatorie - le ordinanze - indispensabili per accelerare gli interventi di emergenza e far fronte agli stessi, al fine di ridurre al minimo il danno alle persone e alle cose connesso alla sinistrosità stradale.
In questo modo si verrebbe a creare una struttura agile in grado di monitorare costantemente il fenomeno ed intervenire anche con proposte ed iniziative nel settore e che sia dotata di poteri speciali di intervento quando serve.
Un secondo punto è la semplificazione del codice della strada. Sappiamo tutti, come diceva Montesquieu, che le leggi devono essere poche, chiare e semplici perché il popolo possa comprenderle, condividerle e rispettarle.
Riteniamo che la stabilità delle norme abbia un peso enorme perché incide: sull'attività degli organi accertatori che, soltanto nel tempo, possono raggiungere adeguati livelli di efficienza; sulla conoscenza delle norme; sulla stessa percezione di utilità delle singole disposizioni che è una condizione importante per il suo rispetto.
Uno dei fattori visibili sulle nostre strade è la reazione del conducente che, a fronte di vetusti e anacronistici divieti di velocità, poi supera i divieti anche dove sarebbe importante e sicuro rispettarli. Il nostro codice della strada si caratterizza per la sua complessità e per i continui interventi di modifica. Riteniamo - ci siamo espressi in più sedi - che sia opportuno mettervi mano con un intervento drastico di revisione, teso a mantenere il solo Titolo V, quello che detta le norme di comportamento. Tutte le altre previsioni normative andrebbero ricomprese in un testo unico sulla materia. In questo modo si realizzerebbe un codice snello e facilmente interpretabile per le forze dell'ordine, per gli operatori, per i cittadini e per la magistratura e, in più, attraverso il Testo Unico, si porrebbero le basi per il riordino della materia.
Siamo assolutamente convinti, e non ci stancheremo mai di sottolinearlo in tutte le sedi, come un «corpus» di norme, snello e moderno, debba avere come obiettivo principale quello di mandare un messaggio forte e senza ammiccamenti: le regole si rispettano sempre.
Abbiamo impiegato anni per avere un livello accettabile, anche se non totale, di uso delle cinture di sicurezza. Loro ricorderanno che quando fu emanato un pacchetto di disposizioni assolutamente indispensabili, relative alla tutela della persona fisica, ci furono tutta una serie di


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interventi, soprattutto dei media, che chiedevano deroghe e invitavano a ritardare nel tempo l'introduzione di queste misure.
Non sembri paradossale citare un esempio vicino nel tempo: la cosiddetta legge sul fumo ha fatto dell'Italia uno dei Paesi più ligi al mondo, dopo l'America. Questi divieti sono stati rispettati da un giorno all'altro, senza imponenti apparati repressivi. Semplicemente il messaggio è stato chiaro e senza sconti, sia per gli utenti che per gli esercenti.
La velocità è un fattore trasversale per la sicurezza stradale perché chiama in causa i temi delle infrastrutture, della sicurezza degli autoveicoli e della responsabilità delle persone.
Già il Piano nazionale della sicurezza stradale collocava questo problema all'interno di una strategia fondata sul rafforzamento delle misure di prevenzione-controllo-repressione e sulla riduzione dei limiti di velocità nelle zone urbane a elevato traffico pedonale e ciclistico.
La velocità è giudicata uno dei principali rischi, come dimostrato anche dallo studio del Transport Research Laboratory del Regno Unito, che ha stabilito che una riduzione di soli tre chilometri della velocità media permetterebbe di salvare da 5 mila a 6 mila vite ogni anno in Europa ed eviterebbe da 120 mila a 140 mila incidenti, con un risparmio totale per il PIL europeo di 20 miliardi di euro.
Riteniamo che, per ottenere risultati su questo terreno, sia necessario invertire i fattori del problema, nel senso di conformare le infrastrutture e i veicoli ai comportamenti - il che vuol dire meno velocità, meno consumi, meno inquinamento, più sicurezza - piuttosto che adattare i comportamenti - con divieti o obblighi - all'ambiente esterno. È contraddittorio costruire strade «a scorrimento veloce» e contemporaneamente imporre limiti di velocità inadeguati alle caratteristiche della strada.
Vista l'importanza del problema riteniamo, anche sulla scorta di best practice di altri Paesi europei come la Francia - ricordiamo a tale proposito che in 4-5 anni la Francia ha ridotto il numero dei morti del 4,5 per cento - che sia opportuno un incremento dei fondi per finanziare l'estensione dei controlli con le telecamere di sicurezza e i sistemi di controllo elettronico di velocità (tipo «tutor») che svolgono un ruolo decisivo a scoraggiare gli automobilisti a non rispettare i limiti di velocità. Purtroppo tutti sanno - e ne dà notizia anche la stampa di oggi - che gli italiani inventano dei trucchi per aggirare questo sistema di controllo. A questo proposito sottolineo che l'intervento di oggi del capo della polizia stradale è stato - a mio giudizio - estremamente lucido, e che un intervento del genere ha una forza dissuasiva maggiore di migliaia di controlli sulle strade.
Ricerche indipendenti hanno dimostrato (in Gran Bretagna, Paese che fa largo uso di questi sistemi) che, dove sono state installate delle telecamere, il numero delle persone uccise o ferite gravemente si è ridotto del 35 per cento e il numero delle infrazioni per eccesso di velocità si è ridotto del 67 per cento. Sempre in aree con la presenza delle telecamere la riduzione dei feriti è stata del 14 per cento e il numero di pedoni rimasti uccisi o seriamente feriti si è ridotto del 56 per cento. Anche dal punto di vista della riduzione della velocità i risultati sono più che positivi, visto che in media si è ridotta del 10 per cento e cioè di 3,7 miglia. Dal punto di vista dei costi, la ricerca ha evidenziato un risparmio, in termini di costi, di 112 milioni di sterline.
Veniamo alle infrastrutture. In Italia manca una cultura tecnica sull'insidia stradale come causa di incidente. Un fatto che sorprende è l'applicazione del famoso principio di Pareto: basti pensare che 1'80 per cento degli incidenti avviene solo sul 20 per cento delle strade. Basterebbe quindi concentrare gli interventi sul 20 per cento delle strade.
Una delle concause di incidentalità è individuabile nei difetti costruttivi o di manutenzione delle infrastrutture, che inducono nell'automobilista errori di percezione dell'ambiente stradale o amplificano gli effetti nocivi di piccole distrazioni alla guida.


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Ricordiamo che l'articolo 14 del codice della strada prevede che gli enti proprietari delle strade, allo scopo di garantire la sicurezza e la fluidità della circolazione, provvedano, in primo luogo, alla manutenzione, gestione e pulizia delle strade, delle loro pertinenze e arredo, nonché delle attrezzature, impianti e servizi; in secondo luogo al controllo tecnico dell'efficienza delle strade e relative pertinenze; in terzo luogo all'apposizione e manutenzione della segnaletica prescritta.
Diviene fondamentale per le pubbliche amministrazioni porre attenzione a questi aspetti, aumentando la conoscenza del problema, migliorando la formazione del proprio personale tecnico, destinando, nei limiti delle possibilità finanziarie, maggiori risorse per la messa in sicurezza della rete infrastrutturale.
Il nostro principio è «bisogna riparare la buca prima»; spesso avviene dopo. Per dare effettività a questa prescrizione riteniamo che vadano introdotte misure sanzionatorie, nei confronti di quei comuni che non adempiono al disposto dell'articolo 208 del codice della strada, che prevede di destinare una quota pari al 50 per cento dei proventi delle contravvenzioni al miglioramento della circolazione sulle strade. Andrebbe sanzionata allo stesso modo la mancata comunicazione al Ministero delle infrastrutture dell'entità dei proventi delle contravvenzioni in termini di comunicazione. La sanzione si dovrebbe sostanziare in una riduzione percentuale dei trasferimenti dallo Stato agli enti locali inadempienti. Dobbiamo anche rilevare che, in termini di comunicazione, questo avrebbe un effetto positivo per tutti coloro che si lamentano delle multe.
Quanto ai giovani guidatori, dobbiamo ricordare che gli incidenti stradali rappresentano nel nostro Paese in assoluto la terza causa di morte dopo i tumori e le malattie cardiocircolatorie, ma sono la prima causa di morte tra i giovani.
I neopatentati, nei primi 3 anni di patente si confermano i soggetti maggiormente a rischio. Inesperienza alla guida, trasgressione, abuso di sostanze sono il micidiale mix che soprattutto nelle ore notturne del fine settimana fa crescere enormemente il rischio.
Per questo è necessario intervenire drasticamente sul problema in varie direzioni: in primo luogo occorre modificare le norme del codice della strada per migliorare la preparazione dei neo guidatori, aumentando la cura e la preparazione in tutti gli aspetti tecnici, come il numero delle ore di guida da svolgersi in diverse condizioni di visibilità, di luce, meteorologiche e di traffico (con la guida anche in autostrada), aumentando la durata temporale dell'esame di guida per valutare meglio la preparazione del candidato, introducendo sistemi di valutazione e controllo della qualità del servizio offerto dalle autoscuole, rendendo così più rigorose le modalità di selezione dei candidati. In secondo luogo attraverso l'introduzione della «patente di guida in prova» con un provvedimento che estenda a tre anni dal conseguimento il titolo di «neopatentato» per verificare il comportamento di questi soggetti alla guida in modo che, solo se il comportamento si è dimostrato corretto, la patente viene confermata. In questo arco di tempo il giovane viene invitato a frequentare corsi di «guida difensiva» presso strutture qualificate e certificate. In terzo luogo siamo convinti che la soglia tollerata di consumo alcolico vada ulteriormente abbassata, e vorremmo proporre l'introduzione del cosiddetto «tasso 0», prevedendo (come recentemente avvenuto in Germania) un limite di alcolemia pari a 0 mg/l. Occorre che su questo aspetto ci sia la tolleranza zero. Il principio che deve passare anche in Italia è: «chi beve non guida e chi guida non beve», come accade in molti altri Paesi europei, quali quelli anglosassoni, dove il consumo di alcol è molto più alto che nel nostro Paese, ma la separazione tra bere e guidare è un fatto acclarato.
Quanto alle misure per la sicurezza delle due ruote, vogliamo aprire una parentesi. Il tema della sicurezza sulle due ruote è ampiamente sottovalutato. Abbiamo fatto delle ricerche in proposito, confrontando anche le esperienze europee,


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da cui si evince che la guida sui motoveicoli e sui ciclomotori è uno dei tre fattori di inquietudine maggiore, insieme alla disattenzione alla guida e alla guida sotto l'effetto di alcol e droga.
La mobilità urbana è sempre più congestionata e provoca il ricorso ai mezzi a due ruote da parte di varie fasce d'età, ma in modo particolare da parte dei giovani. Riteniamo di dover lanciare un grido di allarme, perché anche su questo fronte quello che abbiamo chiamato «lo sciagurato trinomio italico» sta determinando trends molto negativi.
Infatti, i morti per incidenti stradali sono in continuo aumento; a livello delle due ruote l'Italia è tra le peggiori posizioni in tutta Europa e contrariamente a quanto accade per gli autoveicoli, non si vede neanche un lieve segno di inversione. Questo nonostante l'avvento del casco anche per i guidatori adulti e l'adozione della patente a punti. Attraverso uno studio recente si è dimostrato che c'è una relazione diretta tra formazione pratica e teorica per la guida del ciclomotore e il miglioramento della sicurezza stradale.
Non dimentichiamo un aspetto cruciale: un guidatore giovane di ciclomotore, disattento o impreparato all'osservanza delle regole, sarà domani un neopatentato ancora più pericoloso.
È, dunque, necessario, per questo segmento, introdurre una serie di norme che da un lato migliorino la preparazione alla guida e dall'altro non consentano la guida di mezzi con un rapporto peso/potenza eccessivo a chi non ha una formazione sufficiente.
I punti che ci permettano di sottoporre alla vostra attenzione sono i seguenti: in primo luogo l'obbligo, in fase di esame per il conseguimento del certificato di idoneità per la guida del ciclomotore, anche di fare una prova pratica per verificare la capacità tecnica; in secondo luogo l'equiparazione del possesso della patente Al o B, per la conduzione dei cosiddetti «quadricicli leggeri»; in terzo luogo l'inserimento nel codice della strada degli istituti della revisione, sospensione e revoca della patente anche per il certificato di idoneità alla conduzione del ciclomotore; ancora, maggiore rigore nella selezione dell'esame per l'ottenimento della patente A con specifiche disposizioni che ne determino lo svolgimento; in ultimo, la limitazione dell'accesso all'uso di moto potenti, definendo una scala di rapporto peso/potenza a cui si può accedere in base all'esperienza di guida maturata (almeno 2 anni) su un veicolo di categoria inferiore.
Passiamo a possibili norme per i «cattivi guidatori». Noi siamo certi, dai nostri studi, che si debba agire in maniera molto drastica sui comportamenti; dal punto di vista di - passatemi l'espressione - antropologia culturale del Paese, sappiamo che quando vengono emanate delle disposizioni e si crea un meccanismo di comportamenti emulativi sani, poi la popolazione si adegua.
Le sole sanzioni amministrative e pecuniarie non sono sufficienti. Coloro che hanno commesso gravi infrazioni, come la guida in stato di ebbrezza, hanno necessità di misure terapeutico-riabilitative con lo scopo di modificare in modo incisivo e stabile il loro comportamento alla guida. Questi corsi, definiti all'estero di «driver improvement» e espressamente disciplinati dalla normativa, hanno evidenziato una riduzione del rischio di recidive di circa il 50 per cento. Anche una piccola multa nei Paesi anglosassoni, per una lieve violazione delle regole in stato di ubriachezza, comporta la frequentazione di un corso per alcolisti anonimi.
In quest'ottica vanno previsti anche interventi sulla patente a punti. Ricordiamo che l'introduzione della patente a punti ha fatto registrare, tra il 2003 e il 2004, una rapida e significativa diminuzione sia degli incidenti stradali sia della loro gravità. Il progressivo stabilizzarsi degli effetti positivi della nuova normativa, una volta entrata a pieno regime e il conseguente allentamento del rispetto della norma, in mancanza di ulteriori interventi, rischiano di far perdere efficacia al provvedimento.
Sappiamo, purtroppo, anche da dati giornalistici, che la diminuzione dell'efficacia è data dalla facilità con cui è possibile


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evitare la perdita dei punti o la semplicità di recuperarli con appositi corsi. Secondo noi, per rinforzare l'effetto deterrente di questa norma, va introdotto l'obbligo, al termine del corso per il recupero dei punti, di effettuare un test di verifica dell'apprendimento presso gli uffici della Motorizzazione, una specie di ritorno all'esame della patente. Qualora il punteggio acquisito non sia sufficiente, chi ha frequentato il corso viene sottoposto all'esame di revisione della patente in senso stretto.
Occorre, inoltre, migliorare la qualità dei corsi, tenuti presso le autoscuole e responsabilizzare le autoscuole stesse sulla bontà delle lezioni. Va monitorata l'efficacia dei diversi corsi, verificando le recidive degli allievi in un'apposita sezione dell'anagrafe nazionale degli abilitati alla guida.
Occorre porsi poi il problema dei guidatori anziani. Stando al trend demografico tra breve avremo un milione di ultrasessantacinquenni e anche di ultraottantenni, e questo aspetto deve essere considerato in una fase preventiva.
Già adesso la popolazione di oltre 65 anni rappresenta il 25 per cento del totale. Le abilità fisiche dell'anziano diminuiscono con il passare del tempo, soprattutto in termini sensoriali, di messa a fuoco delle immagini e di rallentamento delle capacità di reazione. È inoltre innegabile come taluni medicinali, più assiduamente utilizzati dagli anziani, possano incidere ulteriormente in modo negativo sulle capacità psico-fisiche dei conducenti.
Ferma restando la competenza delle commissioni mediche locali, per l'accertamento della sussistenza dei requisiti psico-fisici in fase di conferma della validità della patente, è necessario aumentare i controlli per verificare se il guidatore anziano mantenga condizioni psicofisiche adeguate per la guida. L'abolizione del certificato del medico curante, certificato anamnestico che attestava l'assenza di malattie pericolose per la guida, non diagnosticabili durante la semplice visita per la patente ha, di fatto, annullato questa importante opera di controllo preventivo, che noi proponiamo di immettere di nuovo nel sistema.
Altro aspetto che noi trattiamo in termini assolutamente tecnici, lungi da altre considerazioni, è l'incidentalità causata da conducenti stranieri. L'incidentalità causata dai conducenti stranieri è cresciuta notevolmente negli ultimi anni. Gli articoli 135 e 136 del codice della strada sono dedicati a disciplinare la circolazione sul territorio italiano degli stranieri dotati di patente estera, anche in considerazione di quanto stabilito nelle convenzioni internazionali stipulate con accordi bilaterali tra Stati extracomunitari e l'Italia.
Questa disciplina non subisce aggiornamenti dal 1o ottobre 1993. In Europa però nel frattempo è cambiato tutto. Pertanto, si impone un'attenta riflessione finalizzata a verificare se le attuali disposizioni normative siano, con riferimento agli stranieri, tuttora in grado di garantire la sicurezza nella circolazione stradale e si ritiene indispensabile limitare la semplice conversione della patente di guida del cittadino straniero in chiave puramente amministrativa, introducendo una prova teorico-pratica che dia conto delle reali conoscenze del codice della strada italiano e una verifica delle capacità di guida.
Un ulteriore aspetto, che è una delle mancanze più gravi del sistema, e che viaggia parallelamente alla scarsa percezione del rischio, è il miglioramento della raccolta dati sull'incidentalità. Il sistema informativo è inadeguato sia per quanto riguarda la dinamica, la localizzazione, le conseguenze degli incidenti. Ci sono delle sottostime che potrebbero superare il 25 per cento. Per svolgere un'efficace opera di prevenzione è necessario conoscere le dimensioni del fenomeno.
La stessa Unione europea ha posto come punto centrale delle politiche per la sicurezza «l'elaborazione di un sistema informatizzato di sicurezza stradale che comprenda una carta dei punti critici».
In Italia abbiamo purtroppo una frammentazione degli interventi; manca un sistema omogeneo di rilevazione dei dati statistici dell'incidentalità, in particolare la


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frammentazione dei Corpi di Polizia municipale sul territorio rende difficile la raccolta dei dati, che nella grande maggioranza dei casi avviene ancora in forma cartacea e manuale, cosa che rende difficile metterli a fattor comune.
Per migliorare il flusso dei dati e consentire alle Autorità competenti di tarare la misure di intervento, andrebbe introdotta una norma che obblighi i vari enti proprietari di strade a fornire, entro i 60 giorni dell'anno successivo, tutti i dati relativi all'incidentalità e preveda delle sanzioni (come, per esempio, il taglio dei trasferimenti pubblici) per le amministrazioni inadempienti. Proponiamo di istituire un sistema informatico pubblico e gratuito per le varie amministrazioni che consenta la raccolta e l'invio dei dati in modo omogeneo e su supporto informatico.
Come fondazione ANIA stiamo svolgendo una serie di progetti, in relazione a quanto vi ho esposto finora. In particolare stiano agendo con programmi di breve e di medio e lungo periodo sulla formazione, che consideriamo uno dei fattori chiave per la riduzione degli incidenti e la migliore educazione soprattutto dei giovani. In secondo luogo stiamo lavorando molto sul tema delle infrastrutture: primi e unici in Italia, abbiamo censito i «black point», oltre 4.500, li abbiamo messi su sistema informatico e li stiamo coordinando con i sistemi satellitari per far avvisare il guidatore nel momento in cui si sta avvicinando il black point. Interveniamo con le amministrazioni che ne hanno la responsabilità perché il punto nero venga rimosso. Stiamo agendo sul fenomeno dell'alcool, in forte cooperazione con la Polizia stradale. Crediamo che sia opportuno introdurre l'obbligo del «guidatore designato», secondo il principio «chi guida non beve, chi beve non guida». Stiamo lavorando con risultati molto soddisfacenti sui guidatori dei mezzi pesanti; abbiamo fatto un accordo con la Federtrasporti, e abbiamo le prove provate che un intervento coordinato e sistematico di educazione alla guida, produce, come effetto positivo, anche nel breve periodo, una forte riduzione degli incidenti.
Mi avvio alle conclusioni. Noi pensiamo che tutti siano d'accordo sul principio che, in una società aperta e moderna, la mobilità e la sicurezza siano diritti sacrosanti dei cittadini. Nel nostro Paese questi diritti sono a rischio e sono gravati da costi umani, sociali, economici a causa dell'eccidio che quotidianamente si consuma sulle nostre strade.
Solo due considerazioni: in Italia i morti per incidenti stradali sono più di quelli causati dalla guerra in Iraq. Ogni dieci anni, di soli morti è come se noi cancellassimo dalla carta geografica città come Mantova, Pordenone, Legnano, Avellino, Cuneo: questa è un immagine che purtroppo rende molto bene l'idea.
È giunto il momento che la politica, quella con la «P» maiuscola, chiami a cooperare attori istituzionali e professionali a un progetto forte, concreto, sistemico per abbattere drasticamente il numero delle vittime della strada.
Lasciatemi essere esplicito: approcci per routine o misure parziali saranno di debole efficacia a fronte - oltretutto - di trend inquietanti come il consumo vertiginoso di alcool e droghe.
Noi crediamo - invece - che un progetto di tale importanza debba strutturarsi su alcuni punti fermi. Primo: concentrare e non disperdere energie e capacità progettuali creando una «task force» composta dalle autorità competenti e solo da quelle strutture che abbiano mostrato capacità di intervento e concretezza di azione. Pensiamo che questa task force dovrà in tempi brevi suggerire un vero e proprio piano strategico, che delinei misure normative, strutture organizzative, progetti educazionali, interventi su infrastrutture.
A questo punto avanziamo una proposta. La riduzione dei tassi di interesse probabilmente consentirà quest'anno di liberare risorse non previste. Noi riteniamo che una corretta politica di approccio al budget pubblico possa creare delle masse monetarie da utilizzare come investimenti


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per ridurre i costi, quindi non come spesa ma come investimento per incidere su quel 2 per cento del PIL, ossia 30 miliardi, spesi a causa degli incidenti stradali.
Da ultimo proponiamo una politica di comunicazione diretta a tutti i soggetti interessati che, in modo forte e sistemico, indirizzi i loro comportamenti verso una coerente «cultura della prevenzione e del controllo».
Ultime due considerazioni: noi come fondazione ANIA, per dare un esempio concreto dell'attenzione che gli assicuratori rivolgono al problema della sicurezza, ci mettiamo a disposizione della presidenza della Commissione - se richiesti - per lavorare su questo tema con le energie e le risorse economiche che abbiamo.
Lasciatemi fare un'ultima considerazione, che purtroppo in questo Paese è molto sullo sfondo. Siamo totalmente convinti che la sicurezza stradale dei cittadini - i nostri figli, i nostri congiunti, i nostri vicini, i nostri colleghi, i nostri amici, noi stessi - sia un valore in sé che merita di coniugare efficienza, risorse, progettualità e un grande senso di civicness.

PRESIDENTE. Ringrazio il presidente della Fondazione ANIA per l'ampia relazione svolta, augurandomi che la collaborazione su questo tema così delicato continui in maniera proficua.
Dichiaro chiusa l'audizione.

La seduta termina alle 13,55.

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