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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissioni Riunite (IX e X)
2.
Martedì 15 febbraio 2011
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Dal Lago Manuela, Presidente ... 3

INDAGINE CONOSCITIVA NELL'AMBITO DELL'ESAME DELLE PROPOSTE DI LEGGE C. 2844 LULLI E C. 3553 GHIGLIA RECANTI «DISPOSIZIONI PER FAVORIRE LO SVILUPPO DELLA MOBILITÀ MEDIANTE VEICOLI CHE NON PRODUCONO EMISSIONI DI ANIDRIDE CARBONICA»

Audizione dell'amministratore delegato del Gruppo Fiat, dottor Sergio Marchionne:

Dal Lago Manuela, Presidente ... 3 19 20 26 28
Allasia Stefano (LNP) ... 21
Biasotti Sandro (PdL) ... 19 20
Cambursano Renato (IdV) ... 25
Cimadoro Gabriele (IdV) ... 22 27 28
Formisano Anna Teresa (UdC) ... 21
Gava Fabio (PdL) ... 22
Lovelli Mario (PD) ... 23
Lulli Andrea (PD) ... 20
Marchionne Sergio, Amministratore delegato del Gruppo Fiat ... 4 26 27 28
Pezzotta Savino (UdC) ... 24
Torazzi Alberto (LNP) ... 24
Valducci Mario (PdL) ... 19
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Futuro e Libertà per l’Italia: FLI; Italia dei Valori: IdV; Iniziativa Responsabile (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, La Discussione): IR; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.

COMMISSIONI RIUNITE
IX (TRASPORTI) E X (ATTIVITÀ PRODUTTIVE, COMMERCIO E TURISMO)

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di martedì 15 febbraio 2011


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DELLA X COMMISSIONE
MANUELA DAL LAGO

La seduta comincia alle 10,10.

(Le Commissioni approvano il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione dell'amministratore delegato del Gruppo Fiat, dottor Sergio Marchionne.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulle proposte di legge C. 2844 Lulli e C. 3553 Ghiglia recanti «Disposizioni per favorire lo sviluppo della mobilità mediante veicoli che non producono emissioni di anidride carbonica», l'audizione dell'amministratore delegato del gruppo Fiat, dottor Sergio Marchionne.
Ricordo che la seduta avrà termine alle ore 12.
Dopo l'intervento dell'amministratore delegato del gruppo Fiat Sergio Marchionne, come è stato concordato in sede di ufficio presidenza congiunto, saranno consentiti due interventi per gruppo parlamentare, ciascuno di quattro minuti, anche al fine di lasciare un tempo sufficiente per la replica.
Avverto altresì che, in mancanza di diversa indicazione da parte dei gruppi, sarà assicurata priorità agli interventi dei componenti le Commissioni IX e X.
Innanzitutto, a nome delle Commissioni IX e X, ringrazio il dottor Marchionne per la sua presenza e, devo dire, per la velocità con la quale ha comunicato il suo assenso. Noi abbiamo avanzato richiesta della sua presenza l'11 gennaio e il 15 febbraio lo abbiamo in Commissione.
Devo ringraziare, se permettete, anche il presidente della IX Commissione Trasporti, Mario Valducci, che ha aderito alla proposta della Commissione attività produttive, avanzata in particolare dall'onorevole Andrea Lulli e poi sostenuta da tutta la Commissione.
Abbiamo letto molte notizie, in questi giorni, ma abbiamo chiesto in particolar modo questa audizione perché vorremmo capire direttamente da lei, dottor Marchionne, quali siano le linee principali relative al piano industriale del Gruppo Fiat, soprattutto per quanto riguarda gli investimenti previsti nel nostro Paese. Inoltre, vorremmo sapere quali ritiene siano le misure di carattere legislativo che sarebbero più opportune per accrescere la competitività e la produttività, delle imprese in Italia.
Ringraziando ancora il dottor Sergio Marchionne per la sua presenza, vorrei ricordare a tutti i parlamentari che l'audizione odierna avrà termine, come da accordi, mezzogiorno alle ore 12 circa. Così come abbiamo concordato con in sede di ufficio di presidenza congiunto, passerò la parola al dottor Marchionne


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per la sua relazione introduttiva, che chiedo gentilmente di consegnare in seguito agli atti delle Commissioni.
Abbiamo previsto, lo ripeto, che per ogni gruppo solo due parlamentari - ho già i nomi - che potranno porre domande per non più di quattro minuti ciascuno in modo da consentire al dottor Marchionne di rispondere alle questioni sollevate.
Do quindi la parola al dottor Marchionne per la sua relazione.

SERGIO MARCHIONNE. Amministratore delegato del Gruppo Fiat. Onorevoli presidenti, onorevoli deputati, buongiorno a tutti. Desidero innanzitutto ringraziarvi per l'occasione che mi date oggi di poter illustrare direttamente le strategie della Fiat, i progetti che abbiamo per le nostre attività in Italia e le iniziative che abbiamo già intrapreso per renderli concreti.
Credo che questa sia un'occasione molto importante non solo per la sede nella quale ci troviamo, ma soprattutto perché il tema su cui sono chiamato a intervenire è stato al centro di un ampio e lungo dibattito. Si è sentita molta politica, molta ideologia, ma poca aderenza alla realtà e poca conoscenza dei fatti. Grazie, quindi, per avermi dato oggi la possibilità di tornare a parlare dei fatti.
Prima di iniziare, tengo ad aggiungere un'altra considerazione: il fatto di essere qui in Parlamento a illustrarvi il piano industriale della Fiat credo che sia già di per sé una dimostrazione del rispetto che abbiamo per questo Paese e per le sue istituzioni che rappresentano i fondamenti della nostra vita sociale e della fiducia che abbiamo nel futuro di questa azienda e dell'Italia. Intendiamo fare quello che è necessario per contribuire a portare il nostro Paese a colmare il divario di competitività che lo separa da altre nazioni europee e a tornare a misurarsi con i migliori.
Mentre preparavo il mio intervento per questa audizione, ho riflettuto a lungo se limitare il discorso all'Italia, come mi è stato richiesto dalla vostra lettera. Ma parlare del piano per l'Italia non può prescindere dal contesto più generale in cui ci troviamo ad operare.
In questi anni abbiamo lavorato duramente per garantire alla nostra azienda di crescere, di competere con i migliori concorrenti e di conquistare la stima e il rispetto sui principali mercati. Oggi la Fiat è una multinazionale che lavora e gestisce attività industriali in ogni parte del mondo. Siamo presenti in tutti i continenti e abbiamo rapporti commerciali con oltre 190 Paesi.
Poche imprese nel mondo hanno la possibilità di contare su un'esperienza internazionale così ampia, basata non soltanto sull'accordo con Chrysler, ma anche sulla posizione di leadership in America latina e sulle iniziative create in Cina, in Russia e adesso anche in India. È questa esperienza che stiamo cercando di mettere a disposizione del nostro Paese.
Si tratta di un bagaglio di conoscenze che fa della Fiat un punto di osservazione privilegiato per capire cosa sta succedendo nel resto del mondo, come si sta sviluppando l'economia globale e come preparare l'azienda ad affrontare un sistema completamente aperto e fortemente interconnesso.
Abbiamo progetti ambiziosi che partono proprio dall'Italia e che si inseriscono in questo sforzo di rafforzare la presenza globale della Fiat. Per il nostro Paese abbiamo avuto un'attenzione particolare per motivi storici e per ragioni di identità, come vedremo fra poco. Non è un caso che, prima di presentare il piano di sviluppo internazionale, ad aprile dello scorso anno abbiamo voluto anticipare il piano di sviluppo nel nostro Paese. Tuttavia, lo ripeto, non possiamo ignorare la realtà che ci circonda.
Per questi motivi, alla fine ho scelto di allargare l'orizzonte del mio intervento dandovi anche un aggiornamento su alcune scelte strategiche che abbiamo compiuto di recente e che cambieranno per sempre la fisionomia della Fiat.
Quello che vi prego di fare questa mattina, mentre ascolterete la strada, o meglio, le strade che abbiamo intrapreso e


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il cammino che abbiamo delineato per il futuro della Fiat, è di tenere sempre presenti due cose: il «perché» e il «come». Ve lo chiedo per una ragione molto semplice. Il motivo da cui nascono tutte le nostre iniziative e il modo in cui intendiamo realizzarle sono sempre gli stessi in tutte le nostre scelte passate, presenti e future. Il perché ha a che fare con la necessità del cambiamento; un cambiamento che non è fine a se stesso, ma è un indispensabile elemento per sopravvivere e per avere successo in un mercato globale.
Questa è un'azienda che si è evoluta e ha attraversato grandi fasi di trasformazione nel corso della sua storia. Nel recente passato, uno dei cambiamenti più profondi è partito nel 2004 ed è stato innanzitutto un cambiamento nella filosofia e nella cultura dell'azienda.
La Fiat era rimasta per troppo tempo isolata e chiusa su se stessa e, così facendo, aveva perso la capacità e la voglia di competere. Le perdite operative erano di 2 milioni di euro al giorno e, inclusi gli oneri finanziari e le imposte, siamo arrivati a perdere 4 milioni di euro al giorno, weekend compresi. Se non fossimo intervenuti per cambiare a fondo questa mentalità e per aprire l'azienda al mondo e dotarla degli strumenti industriali e culturali per contare solo sulle proprie forze, oggi non saremmo qui a parlare del suo futuro.
È chiaro che la trasformazione nel 2004 si era resa necessaria a causa di un problema completamente interno all'azienda, mentre quelle successive sono nate da spinte esterne, come la crisi economica internazionale e la necessità di adeguarsi a un mondo totalmente diverso. Tutte, però, hanno in comune lo stesso obiettivo, quello di garantire alla Fiat di restare al passo con la realtà e con il mercato, e di assicurare a questa azienda e ai suoi lavoratori prospettive solide.
Vengo ora al «come». Parlare del modo in cui intendiamo realizzare i nostri progetti e gestire i processi di cambiamento significa parlare dei valori della Fiat e dei princìpi che stanno alla base del nostro modo di operare. La Fiat è un'azienda rigorosa, con una forte etica di business. Il nostro comportamento e i valori che ci guidano sono uguali in ogni parte del mondo. Mi riferisco all'onestà, all'integrità, a un approccio responsabile nella gestione delle nostre attività, a una cultura della trasparenza e della correttezza, a un modo di parlare che può passare per rude ma è lo specchio di una mentalità diretta e senza fronzoli.
Questi sono princìpi forti e radicati dentro la nostra azienda; sono parte integrante della nostra leadership e ci appartengono come persone prima ancora che come manager. Questo modo di fare business è stata la chiave della rinascita nel 2004 e ha strappato il gruppo al fallimento. Oggi continua a essere il cuore della nostra azione e non abbiamo nessuna intenzione di compromettere questi princìpi.
Vorrei che fosse assolutamente chiaro: nessuno oggi, in buona fede, può guardare la Fiat negli occhi e accusarla di comportamenti scorretti, di vivere alle spalle dello Stato o di voler abbandonare il Paese. Quello che stiamo cercando di fare è trovare un punto di equilibrio tra due esigenze opposte: da una parte, il diritto e il dovere che ha ogni azienda di compiere delle scelte industriali in modo razionale, pensando in primo luogo a crescere e a diventare più competitiva; dall'altra, la nostra volontà di restare e di investire in Italia, che comporta costi significativi.
Abbiamo elaborato un piano e trovato un metodo perché questi due obiettivi, apparentemente in contrasto, possano convivere. Lo abbiamo fatto perché la Fiat intende gestire la propria libertà di impresa in modo responsabile, con l'obiettivo di traghettare l'azienda verso un'eccellenza industriale.
I valori che la Fiat ha impostato quali binari del proprio modo di fare business sono stati riconosciuti e apprezzati a livello internazionale. Siamo una delle poche aziende del settore dell'auto che nel 2010 è stata ammessa agli indici Dow Jones Sustainability, che sono i più prestigiosi


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indici borsistici ai quali accedono solo le aziende giudicate migliori secondo criteri di sostenibilità.
Alla Fiat è stato assegnato un punteggio di 93 su 100, rispetto a una media di 70 punti. È un obiettivo che consideriamo importante non per l'immagine che può dare, ma perché è una prova concreta che c'è un'etica dietro i nostri risultati e che il lavoro che stiamo facendo è serio e degno di rispetto.
Dopo aver ristrutturato l'azienda, sette anni fa, e intrapreso un'importante fase di crescita, un'altra grande necessità di cambiamento è arrivata in coincidenza con la crisi internazionale esplosa alla fine del 2008, che ha gettato l'economia di tutto il mondo nella bufera. Non sto qui a ricordare gli effetti devastanti che ha provocato nei mercati mondiali, sulle imprese industriali e, prima di tutto, su un milione di famiglie. Sono dati che voi conoscete bene.
Potevamo rimanere fermi e aspettare che tutto finisse - ma il rischio era di ritrovarsi a raccogliere i cocci della nostra azienda - oppure potevamo agire per porre basi più solide per ristabilire punti certi, per ancorare la Fiat di nuovo alla realtà. Per questo ci siamo mossi, anche in fretta; era un momento che richiedeva scelte ed era soprattutto un momento che imponeva di ripensare il nostro modello di business specialmente nel settore delle auto.
L'imperativo era trovare nuove strade per condividere i costi e continuare a investire per trovare nuovi sbocchi e raggiungere nuovi mercati. Da questa esigenza è nata l'alleanza con Chrysler. Due anni fa, quando ha preso corpo la nostra partnership, l'industria dell'auto americana si trovava devastata dallo tsunami finanziario e da una gestione che non aveva saputo ammettere la necessità del cambiamento. Sono queste condizioni che hanno permesso alla Fiat di farsi riconoscere per il proprio livello tecnologico, per l'impegno verso una mobilità sostenibile e per la capacità di portare anche negli Stati Uniti architetture e motori a bassi consumi.
Se è vero che la partnership con Chrysler è nata grazie alle competenze tecnologiche della Fiat, è altrettanto vero che si è resa possibile solo grazie alla sua apertura internazionale. Se non avessimo avuto un approccio globale non avremmo mai potuto cogliere l'opportunità che si presentava dall'altra parte dell'oceano. Tutti in Italia hanno salutato quel momento con grande entusiasmo, perché non era solo un motivo di orgoglio per le donne e gli uomini che lavorano per la Fiat, ma anche per tutta l'industria italiana e per il nostro Paese.
Quando la nostra azienda è nata aveva un sogno: quello di favorire la mobilità e la libertà delle persone, di crescere e portare nel mondo quello che gli italiani sanno fare, di mettere queste competenze a disposizione della società.
Quando il Presidente Obama ha annunciato che Fiat sarebbe stato il partner giusto per Chrysler è stato come rinnovare questo sogno. Non c'è dubbio che il Governo americano abbia dimostrato un grande coraggio. Un'iniziativa che era nata con l'obiettivo di salvare centinaia di migliaia di posti di lavoro è diventata l'occasione per lanciare il New Green Deal, con cui si vuole incidere in profondità sulle abitudini dei consumatori, sostenendo l'industria dell'auto nello sforzo di ridurre i livelli di emissioni e dei consumi.
Fiat ha il privilegio di essere impegnata in questo processo di rifondazione dell'auto americana e siamo orgogliosi di poterlo fare.
Adesso il futuro di Fiat e di Chrysler è legato a doppio filo ed entrambe avranno enormi benefici da un simile legame. Questo accordo ci permette, in primo luogo, di raggiungere un'adeguata massa critica per ottenere grandi economie di scala, ci permette di aumentare i volumi associati alle singole piattaforme in modo da ottenere una redditività che giustifichi gli investimenti fatti. Entro il 2014 ci aspettiamo di superare un milione di vetture a piattaforma per i tre segmenti principali: mini, small e compact.
L'accordo ci permette di estendere la nostra presenza geografica per sfruttare


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nuove opportunità di mercato. Tra le due aziende esiste una combinazione ideale. La presenza e l'esperienza di Fiat nei segmenti bassi e quelle di Chrysler nei segmenti medi e alti darà al gruppo la possibilità di disporre di una gamma completa. Fiat potrà finalmente coprire in una maniera adeguata i segmenti di gamma medio-alta.
Questo accordo ci offre, inoltre, la possibilità di rafforzare il nostro impegno sul fronte della mobilità sostenibile, ampliando le nostre competenze sulle trazioni alternative e valorizzando i rispettivi punti di forza in questo campo.
Lo sforzo fatto in questi anni, i miglioramenti ottenuti con i motori Multijet, con il sistema Multiair e con i veicoli a metano hanno permesso alla Fiat di essere oggi riconosciuta come la casa più ecologica in Europa.
Le nostre vetture sono quelle che presentano i più bassi livelli di emissioni di CO2 sia a livello di marchio sia come gruppo. Con Chrysler, inoltre, che da molti anni lavora sulle tecnologie dell'ibrido e dell'elettrico, continueremo a sviluppare queste soluzioni alternative nel medio e nel lungo periodo. Il prossimo anno, infatti, introdurremo sul mercato americano una vettura completamente elettrica, una versione della Fiat 500.
A dispetto di quanto ho sentito spesso dire, non è solo vero che Fiat ha salvato la Chrysler. È vero anche il contrario. L'alleanza con Chrysler è determinante anche per il futuro della Fiat; ha dato alla nostra azienda la possibilità di diventare un costruttore di auto completo, integrando una parte fondamentale dell'offerta che la Fiat da sola non avrebbe potuto ampliare.
Grazie a questo accordo abbiamo anche trovato la nostra soluzione al problema della sovraccapacità produttiva europea. Non è possibile pensare di saturare gli stabilimenti facendo solo affidamento sul mercato europeo. La domanda di auto in Europa non è in grado di assorbire l'intera capacità produttiva installata, che risulta in eccesso di circa un quarto. Si tratta di un problema strutturale destinato a permanere anche quando la domanda sarà tornata ai livelli pre-crisi.
Tutto ciò avrebbe richiesto un intervento di sistema a livello politico su base comunitaria. Noi l'abbiamo sollecitato più di una volta, ma nessuno si è mai mosso in questo senso nei Paesi singoli della Comunità europea; anzi, molto spesso le decisioni prese in modo unilaterale dagli Stati nazionali invece di facilitare un processo di consolidamento del settore l'hanno fortemente ostacolato.
La mancanza di una strategia di intervento comune e l'immobilismo dell'Europa hanno costretto la Fiat a trovare una soluzione autonoma. Le alternative a una situazione del genere non sono molte: o si razionalizzano gli impianti oppure si cercano nuove opportunità. L'accordo con Chrysler ci offre la straordinaria opportunità di usare la rete industriale italiana per costruire vetture destinate ad essere esportate in tutti i mercati; ci dà la possibilità di spronare il nostro sistema industriale per adeguarsi agli standard necessari a competere a livello internazionale e a produrre per mercati esigenti come quello degli Stati Uniti.
Questa è l'occasione che, come vedremo fra poco, abbiamo pensato di sfruttare per rilanciare lo stabilimento di Mirafiori.
Grazie a Chrysler stiamo allargando la nostra presenza, stiamo ampliando e rafforzando la nostra gamma di prodotti e stiamo anche aprendo i nostri orizzonti. Grazie a Chrysler tre mesi fa la Fiat ha potuto vivere uno dei momenti più emozionanti della sua storia: il 17 novembre abbiamo presentato la 500 negli Stati Uniti al Salone internazionale di Los Angeles. È stato uno dei momenti in cui mi sono sentito più orgoglioso di appartenere a questa azienda.
La capacità creativa della Fiat, lo stile e il design che sono nati a Torino venivano riconosciuti come una delle punte più avanzate del nostro Paese. E questo è solo il primo di una lunga serie di esempi che dimostrano quanto bene stia facendo questa alleanza alla Fiat e anche al nostro Paese.


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Per quanto riguarda la partecipazione della Fiat in Chrysler, saprete che circa un mese fa abbiamo aumentato la nostra quota dal 20 al 25 per cento. Questo è stato possibile perché si è realizzato il primo dei tre eventi previsti dall'accordo operativo del 10 giugno 2009, ognuno dei quali prevede il raggiungimento di determinati traguardi tecnologici o commerciali che consentiranno alla Fiat di salire fino al 35 per cento di Chrysler.
Il primo di questi traguardi riguardava l'omologazione e la produzione in USA di un motore basato sulla famiglia Fire. Abbiamo ottenuto le necessarie autorizzazioni regolamentari per avviare la produzione nello stabilimento di Dundee, in Michigan, del motore 1400 Fire con tecnologia Multiair, che equipaggerà la Fiat 500 venduta negli Stati Uniti e in Canada.
Il secondo evento è legato all'assunzione da parte di Chrysler dell'impegno di produrre un'autovettura basata su piattaforma Fiat con prestazioni di almeno 40 miglia per gallone. Prevediamo che Chrysler sarà in grado di omologare questo veicolo nel corso del 2011.
La terza condizione si verificherà quando Chrysler raggiungerà determinati traguardi in termini di ricavi e vendite al di fuori dell'area NAFTA (North American Free Trade Area). Anche in questo caso, stiamo lavorando per soddisfare i requisiti richiesti entro la fine di quest'anno.
Dopo che la Chrysler avrà restituito i prestiti al Tesoro, la Fiat potrà acquistare un'ulteriore quota fino al 16 per cento della società americana per averne, quindi, il controllo legale.
Gli sforzi che stiamo facendo ci permetteranno non solo di raggiungere gli obiettivi previsti, ma soprattutto di compiere ulteriori importanti passi nel percorso di integrazione delle nostre due aziende.
Ci sono stati molti commenti, la scorsa settimana, quando ho parlato della possibilità di una fusione tra Fiat spa e Chrysler. Ho sentito molte reazioni anche al possibile spostamento sulla sede negli Stati Uniti. Vorrei lasciare da parte le polemiche e concentrarmi sui fatti. Stiamo lavorando al risanamento della Chrysler, in modo che la Fiat sarà nella posizione per aumentare la propria quota.
Al momento la società americana non è quotata, ma speriamo che questo succeda in un prossimo futuro. Quando avremo due entità legali che coesistono, quotate in due mercati diversi, si porrà evidentemente un problema di governance. È questo il tema al quale ho accennato qualche giorno fa a San Francisco.
La scelta sulla sede legale non ancora è stata presa e sarà condizionata da alcuni elementi di fondo. Il primo è il grado di accesso ai mercati finanziari indispensabile per gestire un business che richiede grandi investimenti e ingenti capitali; il secondo ha a che fare con un ambiente favorevole allo sviluppo del settore manifatturiero e, quindi, anche con il progetto «Fabbrica Italia».
Se si realizzeranno le condizioni che sono alla base del nostro piano e che vi illustrerò tra poco nel dettaglio, allora il nostro Paese sarà nella posizione di mantenere la sede legale.
Per quanto riguarda, invece, le sedi operative, già ora è indispensabile avere presenze specifiche nei mercati in cui stiamo operando. Non si può pensare di gestire attività tanto vaste senza avere una sede direzionale sul posto. Per questo, se il cuore della Fiat è e resterà in Italia, la nostra testa deve essere in più posti: a Torino per gestire le attività europee, a Detroit per quelle americane, ma anche in Brasile e, in futuro, anche in Asia. Significa avere sedi operative diverse ma perfettamente complementari. Questo è essenziale per un gruppo che opera su base internazionale, perché ci permette di seguire uno sviluppo condiviso e avere attività integrate tra loro ed evitare duplicazioni.
Non c'è assolutamente nulla di strano in tutto ciò. C'è solo la volontà di fare il nostro lavoro meglio. Creare e rafforzarsi nel mondo non significa rinnegare le proprie radici; vuol dire, semmai, proteggerle, vuol dire garantire al passato anche un futuro.


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Su Fiat e Chrysler c'è ancora una cosa molto importante da dire, una di quelle cose di cui non si trova mai traccia nei giornali o nei report degli analisti. La nostra alleanza non si può spiegare solo in termini di opportunità di business, ma è qualcosa di molto più profondo. Fiat e Chrysler stanno dando vita a un'integrazione culturale basata sul rispetto e sull'umiltà, dove non c'è posto per nazionalismi e l'arroganza di chi vuole insegnare. È un'integrazione che muove da basi paritarie e dalla volontà di imparare dall'altro.
Quello che esiste oggi è uno straordinario gruppo di persone che lavorano fianco a fianco, si ascoltano, si confrontano e stanno operando i loro orizzonti al mondo. Sono due culture che si uniscono. Questa è la vera forza della nostra partnership e credo sia anche il suo valore più prezioso, perché è un'eccezionale fonte di ricchezza umana per le nostre società e per lo sviluppo delle nostre persone.
Vorrei ora parlarvi di un'altra decisione storica che è stata presa l'anno scorso e che ha cambiato per sempre il profilo della Fiat. Si tratta della scissione del gruppo e della creazione di due entità distinte - Fiat e Fiat Industrial - che è efficace dal primo gennaio di quest'anno. Anche questa scelta ha a che fare con il dovere che abbiamo di stare al passo con i tempi e di valorizzare la nostra azienda.
La Fiat era il risultato storico dell'aggregazione di attività molto diverse tra loro, sotto tanti punti di vista: per la natura dei rispettivi cicli economici, per le caratteristiche dei mercati, per le dinamiche competitive e per gli impegni di capitali richiesti. Continuare a tenere insieme settori che non avevano nessuna caratteristica economica e industriale in comune era un concetto ormai superato.
Di fronte alle grandi trasformazioni in atto nel mercato non potevamo più permetterci il lusso di guardare alla nostra attività riducendo la nostra prospettiva ai confini storici. La sfida è molto più grande e molto più complessa e richiedeva una soluzione strategica. Nell'ultima Conference Call che abbiamo avuto quindici giorni fa con gli analisti, in occasione della presentazione dei risultati del 2010, abbiamo scelto un titolo che credo riassuma molto bene il senso di questa operazione: «La fine di 111 anni di solitudine».
La scissione del gruppo ha esattamente questo obiettivo: porre fine all'isolamento dei nostri settori industriali e restituire loro la piena libertà di movimento. Dal punto di vista industriale e finanziario, è l'unica strada per assicurare ad ogni attività il miglior sviluppo. È una scelta che risponde a una logica di crescita, di autonomia e di efficienza.
Fiat e Fiat Industrial hanno ora una maggiore libertà di azione anche nel caso si presenti la possibilità di stringere alleanze. Sono focalizzati ognuno sul proprio business, con obiettivi chiaramente identificati e riconoscibili dal mercato. Hanno un profilo ben definito che permetterà loro di dimostrare appieno il valore che rischiava di rimanere in parte inespresso.
Fiat è un gruppo industriale globale con una chiara missione di business concentrata nel settore automobilistico che produce vetture di tutte le fasce, dalla city car alle Ferrari. Ha circa 140.000 lavoratori e 113 stabilimenti nel mondo, a cui si aggiungono più di 50.000 persone di Chrysler e la sua rete produttiva. Dispone di 58 centri di ricerca nel mondo, di cui 30 in Italia, e le persone dedicate a questa attività sono più di 10.000.
I target finanziari riflettono le attese di forte crescita del business nei prossimi anni, accompagnata anche da un robusto aumento della redditività. Infatti, ci aspettiamo che Fiat nel 2014 raggiunga un fatturato di 64 miliardi di euro, quasi il doppio di quello ottenuto l'anno scorso, e potrebbe arrivare a 100 miliardi con Chrysler.
Il progressivo incremento del risultato della gestione ordinaria dei margini rispecchia l'impegno del piano a sanare completamente quegli handicap che hanno pesato sul nostro modello di business in Europa, ad ottimizzare le sinergie e trasformare


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l'azienda in un concorrente best in class anche sul fronte dell'efficienza operativa.
Fiat Industrial, che comprende CNH, Iveco e il ramo Industrial & Marine di FTP Powertrain Technologies è nata a inizio anno e le quotazioni in Borsa sono partite il 3 gennaio. È un'azienda che si è trovata nell'invidiabile posizione di prendere vita su basi già robuste. Ha iniziato ad operare come uno dei principali competitor nel settore dei capital good, potendo contare su una presenza industriale stabile e su una base mondiale, oltre che su competenze tecnologiche e manageriali di grande valore. Ha più di 62.000 dipendenti nel mondo, 84 stabilimenti di produzione, di cui 16 in joint venture, e 56 centri di ricerca. Dispone di una gamma di prodotti che è una delle più diversificate del settore ed ha una presenza ben bilanciata sui mercati mondiali, con forti posizioni anche in quelli emergenti. È al secondo posto al mondo tra i costruttori di macchine agricole, con posizioni di primo piano in Europa e America latina, ed è tra i leader nel mercato globale dei veicoli industriali.
Il piano di sviluppo prevede che i ricavi raggiungano quasi 30 miliardi di euro nel 2014, con un tasso medio annuo di crescita dell'8 per cento rispetto al 2010. Anche il risultato della gestione ordinaria aumenterà in modo significativo con un target di 3,3 miliardi di euro nel 2014.
Le efficienze che sono state raggiunte in questi anni a livello di gruppo, attraverso le attività in comune per la ricerca e lo sviluppo, per la tecnologia diesel, per i programmi di World Class Manufacturing e per gli acquisti verranno mantenute e valorizzate.
Ma al di là dei numeri e dei target finanziari questa è un'operazione impegnativa e ambiziosa perché apre la porta a un nuovo futuro, a un futuro diverso e migliore per le nostre attività.
La scissione per la Fiat rappresenta un vero e proprio salto evolutivo. I nostri business ora hanno finalmente la piena libertà di muoversi per conto proprio e di rafforzare le loro capacità di competere a livello internazionale.
C'è ovviamente un aspetto delicato nella scissione, che abbiamo considerato fin dall'inizio, e non ha nulla a che fare con le questioni tecniche o legali, ma è qualcosa di più personale e di più emotivo. Scelte del genere non sono facili da compiere. Lo dico pensando alla reazione che può esserci all'idea che la Fiat perda la propria identità come gruppo, qualcosa che ha operato come un tutt'uno per più di un secolo. Ma l'identità di un'azienda non sta in una ragione sociale, sta nelle persone che ci lavorano in un preciso momento e con precisi obiettivi.
Il modo migliore per comprendere il valore dell'operazione è considerare le opportunità di crescita personale che potrà offrire ai nostri lavoratori. Nel corso della sua storia la Fiat ha sviluppato risorse umane di altissimo livello, non solo per le competenze professionali e tecniche, ma soprattutto per lo spirito competitivo e la forza della leadership. Si tratta di qualità preziose per lo sviluppo di una società e credo che sia anche la migliore garanzia per il futuro di Fiat e di Fiat Industrial.
I risultati che abbiamo presentato alla fine di gennaio sono una solida base di partenza per la crescita delle due società. Nel 2010 abbiamo superato tutti i target già rivisti al rialzo. I ricavi complessivi sono cresciuti di oltre il 12 per cento, con un aumento più marcato per Fiat Industrial. L'utile della gestione ordinaria è raddoppiato rispetto all'anno precedente e il margine sui ricavi è salito al 3,9 per cento grazie al contributo positivo di tutte le attività.
Il risultato netto è tornato positivo, pari a 600 milioni di euro. L'indebitamento netto industriale è calato di 2 miliardi di euro grazie alla forte performance operativa di tutti i business e a una rigorosa disciplina nella gestione del capitale di funzionamento. La liquidità si è rafforzata a quasi 16 miliardi di euro. Questi risultati rappresentano il primo passo del nostro piano di sviluppo quinquennale.
Come vi ho illustrato poco fa, sia Fiat che Fiat Industrial hanno target ambiziosi da raggiungere e per supportare la crescita delle società e lo sviluppo dei nuovi prodotti


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abbiamo previsto di investire nell'arco del piano circa 30 miliardi di euro, di cui quasi 2 miliardi all'anno nell'attività di ricerca.
L'anno in cui si avrà il picco più alto di investimenti è proprio il 2011, che è cruciale per sostenere il rinnovo della gamma dei prodotti. La componente più significativa degli investimenti sarà infatti destinata all'auto. Questa strada assume il piano dei lanci dei nuovi prodotti in Europa fino al 2014 per tutti i nostri marchi, offre un quadro piuttosto esauriente dell'enorme sforzo che la Fiat sta facendo per allargare l'offerta commerciale, coprire nuovi segmenti di mercato, intercettare i trend di mercato che si sono già manifestati o che si manifesteranno nel corso dei prossimi anni.
Tra autovetture e veicoli commerciali leggeri stiamo parlando di 34 nuovi modelli nel giro di cinque anni, ai quali si aggiungono 17 aggiornamenti di prodotto. Due terzi dei nuovi modelli verranno prodotti da Fiat, 13 saranno costruiti da Chrysler.
La logica con cui abbiamo disegnato il portafoglio prodotti prevede di avere due marchi globali: Alfa Romeo e Jeep. Stiamo lavorando perché l'Alfa possa tornare sul mercato americano entro la fine del 2012. Le gamme di Chrysler e Lancia saranno totalmente integrate fra loro in Europa, ad eccezione del Regno Unito, dove Lancia non è presente, dunque continuerà ad operare solo il marchio Chrysler.
L'anno scorso, come vedete, abbiamo deciso di limitare la presentazione di nuovi modelli. Si è trattato di una scelta strategica dettata dalle condizioni di un mercato troppo debole dove, specialmente a partire dal secondo trimestre, quando si è esaurito l'effetto degli ecoincentivi in molti Paesi europei, si sono registrate drastiche riduzioni della domanda.
Il lancio dei nuovi modelli è stato, quindi, riposizionato a partire dalla seconda metà del 2011 e quest'anno presenteremo sette prodotti nuovi, che è una scelta anche troppo aggressiva se consideriamo che la domanda di auto è destinate a rimanere strutturalmente debole. In Italia, infatti, si prevede che il mercato nel 2011 si attesti a 1 milione 800 mila vetture; un livello così basso non si vedeva dal 1996.
Nel complesso, questo piano rappresenta un significativo impegno ad investire per ampliare la gamma di prodotto e migliorare la nostra posizione competitiva in Europa.
Vengo ora all'Italia. Non si può parlare dei progetti che abbiamo senza partire da un esame serio e lucido della situazione italiana. Il nostro Paese sconta da molti anni un forte deficit di competitività. Qualunque classifica prendiate sui migliori Paesi al mondo dove avviare un'impresa nei primi posti non troverete l'Italia che, invece, è nella top ten dei Paesi dove questo costa di più.
Il livello degli investimenti stranieri è ridotto al minimo; molte aziende hanno chiuso negli ultimi anni e altre hanno trasferito altrove le loro attività. L'Italia registra una cronica performance al di sotto della media europea ed ha attraversato tre fasi recessive negli ultimi dieci anni. In un contesto in cui il commercio globale costituisce il principale motore di crescita della zona euro, la scarsa competitività dell'Italia rappresenta un grave handicap ed è una minaccia perché erode la crescita di redditi e di salari, limitando la domanda interna e impedendo al Paese di sfruttare la domanda estera.
Non è la prima volta che mi trovo a descrivere la situazione dell'Italia, una situazione che tutti voi conoscete molto bene. Dalle mie esperienze passate nel lavoro come nella vita ho imparato che solo facendo i conti con la realtà, solo tirando fuori i problemi dal cassetto è possibile risolverli e creare qualcosa di migliore. Se vogliamo davvero imprimere una svolta strutturale dobbiamo iniziare a lavorare sui fatti. L'Italia nel mondo è ancora sinonimo di eleganza, di stile, di creatività. I nostri prodotti, dalla moda alle automobili, al cibo, sono apprezzati e sono ricercati, ma le nostre aziende non possono e non devono essere costrette ad


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abbandonare il Paese perché mancano le condizioni per produrre in modo competitivo.
Non lo possiamo accettare per due motivi: primo, perché significa rendersi complici del declino italiano; secondo, perché esiste un'alternativa. «Fabbrica Italia» è nata con questa convinzione e con questo obiettivo. Non solo non era un atto dovuto, ma non abbiamo mai chiesto sovvenzioni né aiuti di Stato per portarla avanti. È un progetto nato per nostra iniziativa, perché da azienda multinazionale conosciamo bene la realtà che sta al di fuori del nostro Paese e la qualità della concorrenza. È nato dalla nostra volontà di aggiornare il metodo operativo degli stabilimenti italiani e di adeguarli agli standard necessari per competere. Questa è la verità.
La verità è che la Fiat è l'unica grande azienda che ha deciso di investire in questo Paese in modo strutturale. Non possiamo e non vogliamo pensare che l'unica strada per aumentare la produttività e l'efficienza della rete industriale della Fiat sia quella di delocalizzare. Nonostante tutti i vincoli e le difficoltà che esistono in Italia, noi siamo convinti che il nostro sistema produttivo possa e debba essere competitivo.
Il piano che abbiamo presentato è la nostra scommessa, il nostro modo per dire che l'Italia non è un Paese da abbandonare, ma è una sfida che si può vincere. Vogliamo eliminare le inefficienze del nostro sistema produttivo nel Paese e creare una base sana su cui far crescere la produzione, le esportazioni e le opportunità di lavoro.
Vogliamo dare il nostro contributo perché l'Italia abbia l'opportunità di aprirsi al mondo e di giocare la sua partita alla pari. Abbiamo le capacità e, soprattutto, la volontà per capovolgere quelle classifiche e per creare un sistema produttivo efficiente e affidabile.
Il perché abbiamo deciso di prendere questo impegno e di scommettere sull'Italia è presto detto: la Fiat fa parte di questo Paese ed è un pezzo importante della sua storia, e vogliamo che resti un pezzo importante del suo futuro. Lo facciamo pensando a quello che da sempre la nostra azienda rappresenta per l'Italia e al rapporto che ha con il Paese. Lo facciamo perché riteniamo che sia un nostro dovere favorire il Paese in cui Fiat ha le proprie radici.
Desidero ribadirlo ancora una volta, la Fiat non ha alcuna intenzione di lasciare l'Italia. Lo dimostra anche il fatto che giovedì scorso abbiamo acquisito il 50 per cento della VM Motori di Cento, che ci permetterà di completare il forte know-how della Fiat nel campo dei diesel e di allargare la nostra offerta ai motori di grossa cilindrata, che non abbiamo mai avuto. Sono motori che potranno anche essere montati su vetture americane da distribuire in Europa e per favorire l'ingresso del diesel negli Stati Uniti.
La volontà di mantenere una forte presenza in Italia è testimoniata anche dai dati sull'occupazione del gruppo. Nel 2004, infatti, il complesso delle nostre attività nel Paese occupava circa 70.000 persone; oggi quel numero è salito a 81.000. Questo nonostante nel frattempo ci sia stata una crisi internazionale alla quale molti dei nostri concorrenti hanno risposto con una drastica riduzione degli organici.
È parallelamente cresciuta la nostra presenza all'estero da 90.000 a 120.000 persone, specialmente in quei mercati dove per aver successo è necessario avere attività industriali e commerciali in loco, come in Cina, in Russia o in India.
Se stiamo crescendo anche al di fuori del Paese significa che stiamo rendendo questa azienda più forte, perché abbiamo deciso di prendere il mondo come orizzonte. È di qualche giorno fa l'annuncio che i nostri concorrenti francesi hanno scelto di attenuare l'enfasi sul mercato europeo e di avviare iniziative industriali nei Paesi emergenti. È una prospettiva che la Fiat ha previsto diversi anni fa, muovendosi con largo anticipo per essere presente in quei Paesi dove la domanda di auto oggi ha tassi di crescita tra i più alti del mondo.
Ma questo non vuol dire che la Fiat abbia spostato il proprio baricentro. Abbiamo


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piuttosto allargato la nostra base operativa per rendere quel baricentro più stabile e per questo, nel contesto delle scelte strategiche che abbiamo preso per i prossimi anni, l'Italia occupa un posto privilegiato.
Il livello di investimenti previsto per il Paese, nell'arco del piano di sviluppo, è enorme, pari ad oltre due terzi di quelli di tutti i business di Fiat e di Fiat Industrial a livello mondiale.
All'Italia abbiamo destinato 20 miliardi di euro; 4 miliardi sono investimenti diretti a Fiat Industrial, mentre il resto, pari a 16 miliardi, è previsto per Fiat Spa. Nel dettaglio, di questi 16 miliardi investiamo circa il 65 per cento per Fiat Group Automobiles, il 15 per cento per i marchi di lusso e il 20 per cento per i motori e l'attività della componentistica.
Nell'ambito degli investimenti previsti per la Fiat Group Automobiles i costi relativi all'attività di ricerca e di sviluppo sono compresi tra i 3,5 e i 4 miliardi di euro. Queste sono le cifre che rappresentano il nostro impegno per rafforzare la presenza in Italia trasformandola in una base strategica per la produzione, investimenti ed export.
Nei limiti della riservatezza necessaria a non favorire la concorrenza, si tratta di un piano chiaro e molto dettagliato, certamente molto più preciso di quelli presentati dai nostri competitor.
L'obiettivo di «Fabbrica Italia» è quello di incrementare gradualmente i volumi di produzione di autovetture nei nostri impianti italiani arrivando, nel 2014, a raggiungere 1 milione 400 mila unità, più del doppio rispetto alle 650.000 prodotte nel 2009. L'aumento è ancora più significativo se lo confrontiamo con un anno disastroso come il 2010, quando siamo arrivati appena a 561.000 vetture. A questo va aggiunta la produzione dei veicoli commerciali leggeri, il cui obiettivo è quello di arrivare a 250.000 unità annue rispetto alle 150.000 del 2009 e alle 190.000 del 2010. In totale, il piano di «Fabbrica Italia» è quello di raggiungere nel nostro Paese la produzione di 1 milione 650 mila veicoli nel 2014.
Tutto ciò avrà anche un impatto positivo sull'export. L'obiettivo è di produrre in Italia, entro il 2014, oltre un milione di veicoli destinati all'esportazione, di cui circa 300 mila per il mercato statunitense.
La percentuale delle esportazioni crescerà, quindi, dal 50 per cento dell'anno scorso al 65 per cento nel 2014. Questo piano rappresenta anche una grande opportunità per creare nuovi posti di lavoro in Italia e per aumentare i salari.
Quando un sistema non è in grado di competere, purtroppo, sono i lavoratori e le loro famiglie a pagarne direttamente, e senza colpa, le conseguenze. Ma allo stesso modo sono i lavoratori i primi a beneficiare di un aumento di produttività e di efficienza. Se riusciamo a incrementare l'utilizzo degli impianti, arrivando a una percentuale dell'80 per cento rispetto all'attuale 40 per cento, noi siamo pronti ad aumentare i salari portandoli al livello della Germania e della Francia. E questo senza ricorrere a ipotesi irrealistiche di replicare in Italia modelli di altri Paesi europei, che hanno storia e caratteristiche totalmente diverse.
Ho già detto che siamo anche pronti al passo successivo, alla partecipazione dei lavoratori agli utili dell'azienda. Abbiamo l'esempio di Chrysler a testimoniarlo: nel 2010 l'azienda ha ottenuto un risultato operativo di oltre 760 milioni di dollari, grazie alle attività realizzate negli Stati Uniti e in Canada. Quindi, abbiamo riconosciuto lo sforzo fatto dai lavoratori e per ringraziarli del contributo che hanno dato ai risultati di Chrysler abbiamo deciso di distribuire a tutti i dipendenti un premio di produttività. Questo può succedere anche in Italia, ma è chiaro che, prima di parteciparli, gli utili dobbiamo farli.
Oggi, però, l'unica area del mondo in cui l'insieme del sistema industriale e commerciale della Fiat è in perdita è proprio l'Italia. Lo è stato l'anno scorso e lo era anche nel 2009. E quando si perde non si possono distribuire premi sui risultati, perché l'utile della Fiat proviene dal resto del mondo, in particolare dal Brasile, e non dall'Italia.


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Gli stabilimenti su cui abbiamo deciso di avviare i progetti più ampi, per ragioni molto diverse tra loro, sono quelli di Pomigliano d'Arco e di Mirafiori, che potranno beneficiare nel complesso di circa 2 miliardi di investimenti in tre anni, dal 2010 al 2012.
Lo stabilimento di Pomigliano non poteva reggere così com'era. L'anno scorso l'utilizzo della manodopera è stato circa il 20 per cento della forza lavoro; le auto prodotte sono state meno di 20.000, rispetto a una capacità produttiva di 250.000 vetture l'anno.
Si tratta di uno stabilimento su cui abbiamo già investito molto nel passato. Quattro anni fa è stato varato un piano straordinario di rilancio del sito, un piano senza precedenti in Italia e credo anche in Europa. La Fiat ha investito più di 100 milioni di euro per creare migliori condizioni di lavoro e per aumentare l'efficienza dell'impianto.
Il processo produttivo è stato riorganizzato secondo i princìpi del Word Class Manufacturing; infatti, tutti i lavoratori hanno seguito un intenso piano di formazione. Ma tutto questo non era sufficiente a garantire la saturazione dell'impianto. L'unica possibilità per poter compiere una svolta era portare una produzione ad alti volumi.
Per questo abbiamo deciso di costruire in Campania la futura Panda, che nel giro di qualche anno, sfruttando la ripresa del mercato, ci permetterà di arrivare oltre la soglia delle 250.000 auto prodotte.
Il 7 marzo partiranno le assunzioni delle nuova società «Fabbrica Italia Pomigliano». Quello che posso annunciarvi oggi è che il lancio della nuova Panda avverrà entro la fine di quest'anno.
Un punto vorrei che fosse chiaro: decidere di portare la Panda a Pomigliano non è stata una scelta basata su princìpi economici o razionali. Non era e non è la soluzione ottimale da un punto di vista puramente industriale e finanziario. Sarebbe, infatti, stato molto più conveniente lasciare le cose come stavano e confermare la futura Panda in Polonia, dove è stata prodotta negli ultimi sette anni con livelli di qualità eccezionali. Ma l'alternativa per le 6.000 persone che lavorano per questo impianto - e sono più di 20.000 se contiamo anche l'indotto - non sarebbe stata piacevole.
Se l'abbiamo fatto è perché crediamo che un'azienda non sia fatta semplicemente di calcoli economici e di risultati, perché c'è un senso di responsabilità profondo dietro le nostre scelte. Noi crediamo che questo sia l'unico modo per garantire merito e dignità ai nostri risultati.
Il progetto studiato per Mirafiori nasce da una riflessione sulla situazione attuale e, allo stesso tempo, da ciò che questo stabilimento rappresenta per la Fiat. Mirafiori sta attraversando un periodo difficile: il crollo dei mercati che ha fatto seguito alla crisi economica e alla fine degli ecoincentivi in molti Paesi europei ci costringe a fare spesso ricorso alla cassa integrazione.
Non potevamo e non volevamo rassegnarci a questa situazione. Mirafiori è il cuore industriale della Fiat, è uno dei simboli della storia dell'auto, è l'emblema della tradizione industriale di questo Paese e della cultura dell'auto, che è nata a Torino.
Per questi motivi, il progetto che abbiamo pensato è qualcosa di unico ed è allo stesso tempo un riconoscimento del livello di tecnologia e di qualità del lavoro che Mirafiori può offrire.
Il piano, come sapete, prevede la formazione di una joint venture tra Chrysler e Fiat per portare a Torino una nuova piattaforma dagli Stati Uniti, che servirà per produrre SUV di classe superiore sia per il marchio Jeep sia per l'Alfa Romeo. Si tratta dell'architettura più avanzata di cui disponiamo, che è nata come base per l'Alfa Romeo Giulietta e che si è poi evoluta ed è stata perfezionata in Chrysler. Oggi è diventata la piattaforma universale comune ai due gruppi da cui nasceranno tutte le future vetture dei segmenti C e D, automobili e SUV.
Più della metà dei modelli che verranno prodotti a Mirafiori dalla nuova società saranno venduti al di fuori dell'Unione europea, specialmente in America.


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Questo ci consentirà di raggiungere un livello di produzione molto elevato, fino a 280.000 unità l'anno, che significa più di mille vetture al giorno.
Chi conosce i volumi di produzione dell'impianto sa che è da prima della crisi che Fiat non ha raggiunto livelli simili, cioè dall'inizio degli anni Duemila. Il 2010 per Mirafiori si è chiuso con poco più di 220.000 auto prodotte e per quanto riguarda i tempi di realizzazione saremo in grado di adeguare l'impianto alle nuove produzioni nel giro di un anno e mezzo. In questo modo potremo rispettare i tempi previsti per il lancio commerciale dei futuri modelli Jeep e Alfa Romeo, che potrà avvenire nel corso del terzo o al massimo del quarto trimestre del 2012. Realizzare i volumi previsti comporterà la saturazione degli attuali addetti e aprirà anche la strada a una possibile crescita occupazionale.
Dall'iniziativa, inoltre, potrà trarre vantaggio non solo l'indotto complessivo, ma anche il nostro stabilimento di Pratola Serra, al quale verrà affidato il compito di produrre i modelli diesel anche per questi veicoli.
Questo progetto è il primo esempio tangibile dell'impatto positivo che l'accordo con Chrysler avrà sull'Italia. È la prima volta che uno stabilimento Fiat in Italia produce automobili per un'azienda straniera. Finora l'unica venture di questo genere riguardava i veicoli commerciali. È il primo esempio concreto, nel nostro Paese, di un impegno condiviso da un costruttore di automobili straniero.
Questo progetto darà a Mirafiori la possibilità di diventare uno stabilimento internazionale e darà inoltre alla Fiat e all'Italia la possibilità di rilanciare la propria immagine sui mercati di tutto il mondo, anche in Paesi che fino a poco tempo fa sembravano per noi impossibili.
Nel suo complesso, «Fabbrica Italia» rappresenta un'opportunità unica affinché il nostro sistema industriale italiano compia un significativo passo in avanti voltando pagina e chiudendo con un passato che non riflette la realtà del mondo odierno. Per questo dobbiamo essere in grado di aumentare l'utilizzo degli impianti e avere la certezza di rispondere con rapidità ed efficienza ai cambiamenti della domanda di mercato, in modo da non perdere opportunità preziose.
Non abbiamo mai chiesto condizioni di lavoro cinesi o giapponesi. Abbiamo semplicemente chiesto di poter contare su condizioni minime di competitività, che sono quelle su cui dobbiamo misurarci con i nostri concorrenti europei.
Gli accordi che abbiamo sottoscritto con la maggior parte dei sindacati per Pomigliano e per Mirafiori servono a garantire queste condizioni. Questi accordi servono solo a far funzionare meglio la fabbrica senza intaccare nessun diritto. Nonostante la grancassa mediatica, non c'è nessuna clausola che penalizzi i lavoratori. Vengono mantenute inalterate tutte le condizioni positive che sono previste non solo dal contratto collettivo, ma anche da tutti i trattamenti che la Fiat nel tempo ha riconosciuto alle proprie persone.
Gli accordi prevedono di introdurre un'organizzazione del lavoro su diciotto turni, ma con un'attenzione particolare a un aspetto: sappiamo che il diciottesimo turno, quello del sabato sera, è il più disagiato, e per questo abbiamo concordato che, pur essendo sempre retribuito, venga effettuato solo se c'è una reale necessità e che, comunque, in questo caso sia pagato come straordinario. Il pieno utilizzo dei diciotto turni permetterà di aumentare i salari di circa 3.500 euro lordi l'anno.
Abbiamo anche tenuto conto di un'altra esigenza relativa al lavoro straordinario. Sapendo che non sempre una persona può essere disponibile, abbiamo previsto la possibilità di sostituire fino al 20 per cento dei lavoratori che non possono fare straordinari. Inoltre, abbiamo rivisto il sistema delle pause in funzione del lavoro svolto, riducendole a trenta minuti e riconoscendo in busta paga la differenza.
Il programma Word Class Manufacturing, che da diversi anni si applica in tutti i nostri stabilimenti, è stato pensato anche per adeguare i diversi tipi di lavoro alle


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esigenze delle persone e serve a rendere le operazioni più agevoli e meno faticose.
L'analisi sulle pause, infatti, è stata condotta valutando la fatica, da un punto di vista economico, non soltanto meccanico, delle operazioni che le persone devono fare. Questo ci permette di adeguarci a quello che succede nelle fabbriche del resto d'Europa, dove le pause sono in realtà ancora minori, con una media di venticinque minuti.
Abbiamo scelto, poi, di intervenire per razionalizzare le voci retributive. Leggere una busta paga oggi è un esercizio bizantino. L'elenco delle voci, molte delle quali spesso incomprensibili agli stessi lavoratori, è il risultato di quaranta anni di accordi grandi e piccoli che si sono sovrapposti. Quello che abbiamo fatto è stato semplificare l'apparato normativo che genera la busta paga. Questo non solo porterà a maggior chiarezza, ma avrà anche un effetto positivo sul salario, in caso di lavoro straordinario o turnazione, perché le maggiorazioni saranno applicate sulla paga base che è più elevata rispetto agli attuali valori del minimo contrattuale.
Per quanto riguarda la gestione delle malattie, su cui si sono dette tante assurdità, l'accordo prevede semplicemente di monitorare il tasso di assenteismo per evitare eventuali abusi. Per questo abbiamo concordato di istituire una commissione congiunta con il sindacato, che valuti caso per caso il non riconoscimento dell'indennità a carico dell'azienda.
Come ho già avuto modo di dire nel passato, mi auguro che questa clausola non venga mai applicata. Mi auguro che tutto il dibattito che ne è scaturito e che a volte ha raggiunto toni eccessivi sia servito a richiamare l'attenzione sul problema. Mi auguro che il solo fatto di averne parlato serva a smuovere le coscienze e il senso di responsabilità.
Per quanto riguarda gli altri stabilimenti della Fiat in Italia, su Cassino e Melfi non c'è l'urgenza immediata di intervenire perché entrambi hanno prodotti attuali e ben accolti dal mercato. Ma lo sviluppo del piano richiede una programmazione di lungo termine e per questo abbiamo elaborato progetti specifici e stiamo già lavorando sulle future architetture.
Per l'impianto ex Bertone di Torino, che da molti anni si trova in cassa integrazione straordinaria, abbiamo predisposto un piano di ripresa della produzione e di rilancio del sito. Il piano potrà partire se i princìpi guida dell'accordo di Mirafiori verranno riconosciuti e accolti anche in questo stabilimento. Proprio questa sera si aprirà il tavolo di trattativa con i sindacati.
Per quanto riguarda lo stabilimento di Termini Imerese, la Fiat ribadisce la propria disponibilità a collaborare, ma solo se viene risolto il problema occupazionale e se esiste la garanzia che tutti i nostri lavoratori ricevano una lettera di assunzione dalla futura proprietà.
Fin qui vi ho descritto il senso generale di «Fabbrica Italia» e di quello che abbiamo già realizzato. Se ora mi chiedete se e come il nostro progetto potrà continuare, vi rispondo che la volontà della Fiat c'è, ma non possiamo mettere a rischio i nostri investimenti.
Sabato scorso abbiamo incontrato le istituzioni, a Palazzo Chigi, e abbiamo condiviso l'importanza determinante di un sistema di relazioni industriali costruttive, in grado di garantire la governabilità degli stabilimenti e il pieno utilizzo degli impianti. In quella sede, abbiamo ribadito che noi siamo disposti a mantenere gli impegni presi se tutti i soggetti coinvolti mantengono i propri, se c'è una chiara e ferma condivisione del piano da parte sindacale.
Il Governo, come ha dichiarato al termine dell'incontro, ha preso atto positivamente delle nostre intenzioni, dicendosi pronto a collaborare per realizzare le migliori condizioni di competitività, in modo che gli investimenti previsti in Italia siano il volano per raggiungere il più alto posizionamento rispetto ai concorrenti.
Finora abbiamo raggiunto a fatica due accordi, in un clima di diffidenza e di ostilità, in una campagna mediatica in cui si è usata la Fiat per perseguire altri obiettivi. Le critiche e le accuse che abbiamo


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ricevuto sono state ingiuste e spesso offensive. È assurdo e demenziale che qualcuno sia arrivato persino a denigrare i nostri prodotti e ad avanzare dubbi sulla strategia della Fiat, che invece viene capita e approvata nei mercati finanziari e dagli esperti stranieri.
Se consideriamo le alternative produttive che ha la nostra azienda e le politiche industriali che hanno adottato molti altri Paesi concorrenti dell'Italia, il fatto che la Fiat abbia scelto di impegnarsi qui è un'anomalia. Non abbiamo avuto solo difficoltà a raggiungere nuovi accordi, ma stiamo incontrando problemi e ostacoli continuamente persino ad applicare gli accordi esistenti.
La settimana scorsa abbiamo chiesto di applicare, nello stabilimento della Sevel in Abruzzo, un accordo firmato da tutti i sindacati - Fiom compresa - nel 1985, che prevede sette sabati di straordinario, cioè due in più rispetto a quelli del contratto. L'abbiamo fatto per sfruttare la ripresa del mercato dei veicoli commerciali leggeri che si sta finalmente manifestando dopo due anni di profonda sofferenza. In più abbiamo previsto di assumere 150 persone e di trasferire temporaneamente in Sevel altri 150 lavoratori, attualmente in cassa integrazione, dello stabilimento ex Bertone. A fronte di tutto questo, un solo sindacato ha firmato l'intesa, e questo è un atteggiamento del tutto incomprensibile.
Tra il 2004 e il 2006 sono stati investiti 1 miliardo 900 milioni di euro per rifare completamente la piattaforma del Ducato, aumentare la produzione fino a 300.000 unità l'anno e garantire prospettive di lungo termine a quello stabilimento.
Ora, infatti, stiamo analizzando la possibilità di replicare in parte questa iniziativa in Nord America per produrre veicoli destinati al mercato locale e al Sud America. Le trattative che abbiamo avuto con i sindacati locali non hanno mai posto limiti nell'utilizzo dello stabilimento; anzi, c'è sempre stata la massima disponibilità a lavorare su tre turni e sei giorni alla settimana.
Quello che è successo in Sevel è l'ennesimo esempio di un sistema bloccato che rifiuta di seguire i ritmi nel mercato e rifiuta di assumere le proprie responsabilità. Noi stiamo facendo la nostra parte per scongiurare il rischio che la Fiat in Italia resti isolata e per permettere di seguire i tempi del sistema globale, ma non possiamo costringere il mondo ad aspettarci. Gli altri vanno avanti; lo fanno i concorrenti, lo deve fare anche la Chrysler. Quello che noi possiamo scegliere è se stare dentro o fuori dalla partita.
Perché «Fabbrica Italia» sia confermato è necessario avere due certezze: la governabilità degli stabilimenti e il rispetto degli accordi. Un sistema corretto di relazioni industriali deve garantire che gli accordi stipulati vengano effettivamente applicati. In democrazia funziona così e nessuna industria è in grado di sostenere un modello diverso. Rispettare un accordo è un principio sacrosanto di civiltà.
Dobbiamo essere sicuri di poter gestire gli impianti e di rispondere nei tempi e con le condizioni richieste dalle regole della competizione internazionale. Dobbiamo avere la garanzia che gli stabilimenti possono funzionare.
Vorrei cogliere questa occasione per condividere con voi alcune riflessioni che hanno a che fare con alcune scelte che competono direttamente alla politica. La prima riguarda le possibili iniziative che verranno prese per la mobilità sostenibile. Ci sono diverse proposte di legge al vaglio delle Camere ed è anche previsto che il Governo adotti provvedimenti per rispondere alla procedura di infrazione da parte dell'Unione europea per il superamento della soglia delle polveri sottili.
Sarebbe di grande aiuto per l'industria dell'auto se le iniziative delle diverse istituzioni confluissero in un unico strumento legislativo. Questo permetterebbe di rispondere agli obblighi comunitari, ma darebbe soprattutto un indirizzo chiaro, coordinato e stabile nel medio periodo alle politiche per la mobilità sostenibile.
Per quanto riguarda il tipo di tecnologia su cui puntare, non credo che esista un'unica soluzione in grado di risolvere da


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sola i problemi dell'ambiente. Se si vuole davvero iniziare da subito a ridurre i livelli di emissioni, soprattutto nei centri urbani, è molto più utile sfruttare tecnologie in modo combinato. Penso sia a quelle tradizionali che a quelle alternative, come il metano, in cui l'Italia detiene un primato.
Il metano, inoltre, è un eccezionale veicolo, nel medio termine, per la diffusione del biometano, un gas naturale di origine rinnovabile, che può aiutare il nostro Paese a raggiungere i limiti stabiliti dall'Europa nell'ambito delle strategie di riduzione delle emissioni CO2 e di indipendenza dai combustibili fossili.
La Fiat ha scelto da anni un approccio equilibrato lavorando su tutte le tecnologie disponibili. Siamo stati i primi a sviluppare il sistema common rail adottato oggi da tutti i diesel di ultima generazione, che producono il 20 per cento di emissioni in meno rispetto ai veicoli a benzina. Nel 2009 abbiamo introdotto il sistema Multiair che, migliorando le prestazioni, riduce del 10 per cento le emissioni dei motori a benzina. L'anno scorso abbiamo presentato il TwinAir, il motore bicilindrico che può ridurre le emissioni fino a 92 grammi a chilometro, il più basso livello al mondo tra i motori a benzina.
Abbiamo una leadership riconosciuta nei veicoli a metano e una vasta offerta di vetture a gpl. In Brasile abbiamo creato la prima auto ad alcool che ha rivoluzionato il sistema di alimentazione nel Paese ed oggi siamo il più grande produttore di automobili Tetrafuel in grado di usare quattro tipi diversi di combustibile. Più di una volta abbiamo proposto soluzioni per abbattere le emissioni inquinanti con largo anticipo rispetto agli obblighi di legge. Questa è la strategia che la Fiat ha seguito e che si è rivelata credibile e valida.
La seconda riflessione riguarda le decisioni adottate a livello comunitario. Mi riferisco, in particolare, ai severi provvedimenti in materia ambientale e di commercio internazionale. Ho già avuto modo di esprimere la mia opinione, l'anno scorso, contro gli ingiusti vantaggi competitivi che l'Europa ha concesso ai costruttori di vetture coreani. Tuttavia, ho riconosciuto ed apprezzato l'intensa azione diplomatica svolta dal Governo italiano nel corso di tutto il negoziato e l'interessamento di questo Parlamento.
Spero che la stessa attenzione venga posta nei confronti dei negoziati che probabilmente si apriranno nel corso del 2011 con altri Paesi extraeuropei, tra cui probabilmente il Giappone. Sono convinto che l'Italia possa e debba avere un ruolo importante nel contesto dell'Unione europea e nel futuro che si sta costruendo.
La lettera di convocazione che ho ricevuto per l'audizione di oggi parlava anche dell'urgenza di valutare le misure più opportune per migliorare la competitività delle imprese in Italia e conteneva la richiesta rivolta alla Fiat di portare in questa sede il proprio contributo su tali temi.
Spero che il lungo intervento di questa mattina sia stato sufficiente a descrivervi qual è la misura del nostro contributo. Si chiama Fabbrica Italia e comporta un enorme impegno economico e industriale, nonché un'assunzione di responsabilità nel sanare gli handicap produttivi che per troppo tempo ci hanno fatto apparire inefficienti in confronto ad altre nostre realtà all'estero. È un contributo che abbiamo iniziato a mettere in pratica, fatto dopo fatto, da diversi mesi.
Non abbiamo richieste da muovere alla politica. L'invito che posso lanciarvi è quello di usare la Fiat come testa di ponte e di sfruttare l'esperienza di questa multinazionale per aprire il nostro Paese e tracciare il cammino di ripresa che non può che iniziare con la ripresa della produttività e della competitività.
L'Italia si è dimostrata spesso un Paese restio al cambiamento. Ci crediamo un'isola felice, in cui l'esistente deve essere salvaguardato a ogni costo. Il rischio di un simile atteggiamento è quello di proteggere l'inerzia. Tutti dobbiamo trovare il coraggio a ogni livello, le imprese, i sindacati e il mondo politico, di aggiornare il nostro modo di operare e di vedere il cambiamento come uno straordinario motore di progresso e come la più grande fonte di opportunità.


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Vista l'entità degli sforzi che la Fiat sta compiendo, credo che sia possibile moltiplicare gli effetti positivi, creando un'efficace politica industriale che favorisca e stimoli altre iniziative sul solco di quella che stiamo proponendo. Solo una decisione politica di sviluppo può creare le condizioni perché il tessuto industriale italiano si rafforzi e per attirare nuovi investimenti dall'estero.
Se l'impegno del mondo dell'impresa si unisce al varo di riforme strutturali, esso può far ritornare l'Italia a crescere a ritmi più elevati. Una crescita sostenuta è ciò di cui il nostro Paese ha bisogno, sia per creare nuovi e qualificati posti di lavoro, sia per ripagare i debiti che abbiamo accumulato nei decenni passati. È ciò di cui abbiamo bisogno soprattutto per assicurare alle generazioni future un lavoro sicuro, un reddito più alto e un miglior tenore di vita. Grazie.

PRESIDENTE. Grazie a lei, dottor Marchionne, per l'ampia e completa analisi.
Abbiamo tempi molto ristretti, ragion per cui ritengo opportuno ridurre a tre minuti gli interventi dei colleghi parlamentari che hanno chiesto di parlare, per poter permettere al dottor Marchionne di rispondere ai quesiti posti e su quei punti che necessitino chiarimenti.

MARIO VALDUCCI. Vorrei solo svolgere una considerazione e ringraziare gli azionisti di Fiat perché, se nei primi anni del 2000 la famiglia Agnelli non avesse ceduto aziende che allora davano redditività e interessi notevoli, come Toro Assicurazioni e Fiat Avio, investendo grandi liquidità anche nel 2002-2003 nella Fiat Auto, oggi probabilmente non saremmo in questa sede a parlare proprio di Fiat Auto. Tali decisioni furono assunte in un momento in cui, alla fine del 2001, il mercato dell'auto mondiale non era affatto nelle migliori performance. Penso che ciò vada riconosciuto indipendentemente dal piano industriale e dalle questioni che il dottor Marchionne oggi ci ha ricordato. Ritenevo importante sottolinearlo nuovamente.

PRESIDENTE. Ricordo che nell'ufficio di presidenza congiunto abbiamo concordato non più di due interventi per gruppo. I nomi dei parlamentari iscritti a parlare sono stati indicati dai relativi capigruppo.
Do la parola ai deputati che intendano intervenire per porre quesiti e formulare osservazioni.

SANDRO BIASOTTI. Dottor Marchionne, vorrei esprimerle riconoscenza e ringraziarla rispetto ad alcune questioni.
Come ha affermato il presidente Valducci, dobbiamo partire dai fatti. La Fiat Auto era fallita. Essa aveva perso dal 1997 al 2005 14 miliardi di euro e non si è salvata per gli aiuti di Stato, che ci sono stati, ma che sono serviti anche da ammortizzatori sociali, bensì perché il Brasile ha portato liquidità.
La voglio ringraziare per queste nuove relazioni industriali che, come ha affermato anche a chiusura del suo intervento, possono e debbono servire da ponte per consentire ad altre industrie di venire in Italia. Parliamo di 30 minuti di pausa, anziché di 40, mentre la media europea è di 25, di malattia controllata pariteticamente dai sindacati. Finora abbiamo parlato di fatti che non esistono. Sono state svolte discussioni sui giornali per mesi su fatti che non esistono.
Un altro elemento è la produttività. La Fiat ha una produttività media del 55 per cento, insostenibile da qualsiasi impresa industriale, e lei vuole portarla all'80 per cento. Ricordiamoci che in Polonia e in Brasile essa è oltre il 93 per cento. Questi sono fatti.
Grazie a queste relazioni industriali e a questo livello di produttività, mi auguro che altre imprese possano venire in Italia. Lei ha obiettivi molto ambiziosi, come portare a 6 milioni le macchine nel mondo e da 650.000 a 1 milione e 400 mila in Italia.
Mi permetto, però, di porle alcune domande su un settore che per me è molto importante, anche se mi vede in conflitto di interessi, essendo un concessionario.
Lei può produrre le auto più belle, può realizzare la pubblicità più efficace, può


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ottenere la produttività che vuole, ma deve vendere le macchine attraverso una rete di distribuzione. È un settore molto importante, che rappresenta 400.000 dipendenti, il 12 per cento del PIL nel settore delle reti delle officine. Non ho visto un accenno in merito nella sua relazione.
Ho letto la sua relazione di aprile scorso al piano industriale e ci sono poche righe che mi permetto di contestare, perché si riferiscono alla prospettiva di aumentare la rete distributiva e di avvalersi di altri concessionari in un momento in cui gli attuali concessionari versano in una crisi terribile, soprattutto quelli Fiat. Mi auguro, quindi, che lei possa fare come hanno fatto altre aziende, per esempio, come la Ford - per fortuna, so che avete un amministratore delegato che viene dal mondo Ford - ossia potenziare gli attuali concessionari. Ford ha preso un concessionario per ogni provincia. Solo aumentando la loro produttività lei può sperare di vendere le automobili.
Le pongo ora alcune domande flash.
Parliamo tanto di dipendenti, ma mai dei fornitori, che è un mondo che rappresenta una categoria assolutamente importante per l'indotto. Lei scrive nella sua relazione di aprile che intende condividere il 65 per cento dei fornitori con Chrysler. La domanda è: possiamo pensare noi fornitori italiani di averne un beneficio oppure, come scrive lei, pensiamo di avere benefici - lei dice 760 milioni - «strizzandoli» ulteriormente? Possiamo crescere?
La seconda questione riguarda il turnover. Ho notato che, da quando è arrivato, lei ha giustamente cambiato i top manager, però purtroppo molti se ne sono andati in altri settori. C'è ora un momento di stabilità? Su questo punto ci può tranquillizzare? È determinante per il futuro non solo degli stabilimenti, ma anche delle strategie.
Chiudo col porle una domanda politica. Lei sostiene che non ha nulla da chiedere alla politica, e poi, invece, chiede, ne chiede eccome di cose! Chiede di avere una condivisione politica, programmatica, sindacale, come l'ha avuta da Obama e, correttamente, da questo Governo. La domanda che le pongo e che non credo sia fuori tema è la seguente: se, per caso, dovesse esserci un Governo alla guida di qualcuno che - lo sento tutti i giorni - parla male un giorno sì e l'altro pure di lei, come si pone il problema del suo impegno...

PRESIDENTE. Onorevole, ha superato i tempi che abbiamo stabilito per ciascun intervento.

SANDRO BIASOTTI. Ho finito, chiedo scusa.

PRESIDENTE. Siamo qui a fare domande con questo Governo, non pensiamo al futuro.
Prego i colleghi di attenersi ai tempi. Onorevole Lulli, prego.

ANDREA LULLI. Ringrazio il dottor Marchionne per quanto ci ha riferito. Noi siamo convinti che la Fiat sia un punto importante, anzi estremamente strategico per il nostro Paese e per la presenza del manifatturiero in Italia, nonché dell'Italia nel mondo. D'altra parte, Fiat ha dato molto a questo Paese e credo che si possa affermare che abbia anche ricevuto molto. Lo sottolineo senza polemica.
Lei ci ha esposto la sua filosofia, che noi dovremmo apprezzare. Non ho obiezioni in merito. Una questione essenziale, però, che in questo Paese non mi sembra riconosciuta, se non a parole, è che il mondo si muove e che l'Italia resta ferma. Bisogna prendere atto che occorre stare al passo con i tempi. Su questo punto siamo assolutamente d'accordo. Non credo che ci siano, almeno per quanto riguarda la mia parte politica, obiezioni in merito.
Mi rendo conto che lei non può entrare nel dettaglio dei piani di investimento - questa è una sede che ha altre necessità e altri ruoli - ma le pongo comunque alcune questioni.
Lei giustamente afferma che le relazioni industriali sono importanti. Il problema è che, se un'impresa va bene, è un'opportunità di crescita per tutti, ma, se


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va male, le responsabilità e le ricadute maggiori riguardano i lavoratori, l'anello più debole dell'impresa.
Su questo tema non ho obiezioni, se non nel fatto che, a mio avviso, poiché, come lei giustamente afferma, l'identità di un'impresa è data dai suoi lavoratori e non tanto dalla ragione sociale, si dovrebbe svolgere una riflessione sul necessario coinvolgimento dei lavoratori come produttori all'interno dell'azienda. I sacrifici si possono compiere se siamo coinvolti nel giusto modo e soprattutto se viene un riconoscimento da un'organizzazione del lavoro più condivisa e - mi consenta - meno autoritaria. Fiat ha una lunga storia in questa direzione, perché i problemi non nascono mai da una parte sola.
Lei ci ha esposto la sua scelta produttiva e il rapporto con il mercato americano e con quello europeo nelle condizioni economiche in cui sappiamo essi versano. Vorrei capire quali sono le strategie di aggressione del mercato asiatico, perché già oggi la Cina è, insieme all'India, il mercato leader nel settore dell'auto. Ci saranno poi anche problemi che riguarderanno la concorrenza. Mi permetta di esprimere da profano alcune perplessità sulla scelta strategica della Panda. Posso capirla nell'immediato, ma vorrei andare più a fondo.
Sulla mobilità sostenibile le chiedo, al di là delle scelte sulle auto di lusso, su cui ha espresso alcune considerazioni, quale importanza possano rivestire Maserati e Alfa nella sua strategia. Vorrei capire anche perché, a differenza di quasi tutti gli altri competitor, non vi sia apertura e disponibilità verso il settore dell'auto elettrica.

STEFANO ALLASIA. Ringrazio il dottor Marchionne della relazione e vorrei solo esprimere un pensiero da parte torinese. Come sa bene l'amministratore, la Fiat è nata a Torino, ma Torino non è solo Fiat. Dobbiamo riconoscerlo. Sappiamo già bene che cosa viene dal Piemonte sul piano industriale, come abbiamo visto anche direttamente con il Governatore Cota, però vorremmo evitare che nel futuro Fiat privatizzasse gli utili e pubblicizzasse le perdite. Indubbiamente, con le regole del mercato della globalizzazione, nonché con la nuova struttura della Fiat, ciò è assai improbabile nel 2011, però vorremmo capire realmente - e parlo anche con tono polemico - qual è il legame che potrebbe esserci per la Fiat con le produzioni attuali e future, soprattutto nel settore della ricerca e dell'innovazione. Come altri colleghi hanno puntualizzato, la Fiat ha ottenuto tanto dai diversi Governi, dallo Stato e dagli enti locali, anche nell'ultimo decennio. Sappiamo benissimo che quel comparto della ricerca è proprio il futuro di un'azienda e sappiamo che, come lei ha affermato almeno fino al 2014, che arriverà molto velocemente, la governance dell'azienda rimarrà in Italia. Dalle condizioni dettate nella sua relazione è evidente quale possa essere il futuro. Si spera che si possano modificare queste condizioni, soprattutto sul versante dell'azienda, più che da parte del mercato italiano, che ha alcune regole storiche e situazioni di cultura e di sensibilità uniche in questo mondo.
Noi riterremmo opportuno che sia fatta chiarezza, non come è avvenuto - ahimè - già nel 2005, con le situazioni di vantaggio che la Fiat ha ottenuto dalla regione e dagli enti locali, ma facendo in modo che il settore della ricerca e dell'innovazione si sviluppino sul territorio italiano. Le sarei grato se potesse fornirmi chiarimenti in merito alle questioni da me poste. Grazie.

ANNA TERESA FORMISANO. Ringrazio il dottor Marchionne per la sua relazione. Sono una parlamentare eletta nel Lazio e sono di Cassino. Capisce bene che cosa significhi la Fiat per la mia città, e per il nostro comprensorio.
Nella relazione che oggi ha presentato, Cassino è citata una sola volta, insieme a Melfi, e lei ha dichiarato che non esiste l'urgenza immediata di intervenire, in quanto entrambi gli stabilimenti hanno prodotti attuali e ben accolti dal mercato. Personalmente ciò mi fa piacere, ma lei sa meglio di me che Cassino oggi produce 175.000 autovetture. L'ultima volta in cui


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lei è venuto ha affermato che entro il 2014 lo stabilimento dovrà salire a 380.000 vetture.
Poiché i livelli occupazionali del Lazio, in generale, e della provincia di Frosinone, in particolare, sono legati non a doppio, ma a triplo filo allo stabilimento Fiat di Cassino, le pongo una sola domanda. Le chiedo, cioè, conferma della seconda linea, così come lei stesso ha annunciato, entro il 2013. Se la si realizzasse davvero, significherebbe per il nostro territorio, per tutta la provincia, quanto meno il raddoppio occupazionale. Questa è la domanda, semplice e asciutta, ma molto importante, che lo pongo per il nostro territorio.

GABRIELE CIMADORO. Dottor Marchionne, la ringrazio per la sua relazione. Siamo molto soddisfatti del fatto che lei sia venuto ad esporre e a presentare i problemi di questo mondo e di questo segmento di mercato importantissimo. Lei rappresenta nel mercato privato la prima azienda d'Italia. Io ero iscritto e vorrei rimanere iscritto ai «Marchionne boys»! Sono sempre stato un suo difensore dall'inizio, ma adesso dovrebbe convincermi a rimanere tale.
La Fiat ha passato anni difficili, con il disastro della gestione Romiti, almeno per quanto mi riguarda. Probabilmente lei ha avuto modo di verificarlo più ampiamente. È chiaro, però, che noi dell'Italia dei Valori nutriamo alcune perplessità e alcuni dubbi. Lei ne sarà sicuramente al corrente, perché avrà seguito anche il mondo politico sulla vicenda Fiat, che ha tenuto banco per tanti mesi, che il Governo non ha preso parte a questa trattativa, non è stato protagonista della trattativa nella fase importantissima di un'azienda che, di fatto, rappresenta l'Italia. Io credo che alcune risposte debbano essere ancora date e mi piacerebbe che lei chiarisse alcuni particolari, quando parla di modelli.
Sono un divoratore di auto, ne ho consumate tante in vita mia. Non ho mai comprato una Fiat, purtroppo, ma mi sarebbe piaciuta la Cinquecento, che è bellissima. Probabilmente ne comprerò una prima o poi, ma lei deve convincerci anche con la qualità del prodotto.
Voi avete affrontato la trattativa, anzi, l'abbiamo affrontata - mi creda, ero dalla sua parte durante il periodo del referendum - per porre il problema nel modo seguente: o così, o andiamo a casa tutti. È il peggiore dei modi per farlo, probabilmente. Capisco che è la verità nuda e cruda, però non andrebbe posta in questo modo e da lei, che era presente. Certo, se lei fosse stato il buon samaritano, non l'avremmo qui oggi.
Le domande sono tante e gliene rivolgerei moltissime. Per esempio, gli utili che ha prodotto Fiat, anche grazie a lei e alla sua politica di rigore, perché corrispondono a tanti cassintegrati? Perché non riusciamo a far fronte al mercato? Noi stiamo investendo, la Fiat sta investendo e vorrei che la sua testa rimanesse in Italia, questione su cui invece abbiamo più di un dubbio, per accordi che lei ha stipulato e che non poteva comunicarci in questa Commissione. Magari ci ritroveremo a Detroit e poi i responsabili ragioneranno e ci comunicheranno che dovremo continuare a realizzare macchine piccole. Producendo macchine piccole, però, oggi siamo in grado di far concorrenza a Cina, India e agli altri Paesi emergenti?
Passo all'ultima domanda. Come riesce la Germania a mantenere la sua quota di mercato, con un livello superiore di produzione di auto, e a erogare stipendi importanti? Noi non potremo mai in Italia, con il costo del lavoro, con il costo della produttività, produrre auto che altri potrebbero produrre a un terzo o a un quarto o al 50 per cento dei costi.

FABIO GAVA. Desidero anch'io ringraziare il dottor Marchionne della sua presenza. Quest'audizione, unitamente all'incontro di sabato con il Governo, è molto importante, perché è evidente che le vicende che riguardano Fiat e il suo futuro si intrecciano inevitabilmente con il futuro industriale e manifatturiero del nostro Paese, nonché con le sue relazioni sindacali e industriali.


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È assolutamente pacifico, in una società di mercato liberale, che il management sia chiamato a curare soprattutto gli interessi dell'azienda e degli azionisti. Tocca, però, alla politica valutare se tali interessi collimino con quelli del Paese e quali iniziative possano essere assunte per favorire tale convergenza.
Nella parte finale della sua relazione, lei traccia un indirizzo su quelle che potrebbero essere le possibili politiche industriali italiane. È evidente, infatti, che nella riorganizzazione mondiale Fiat ha dovuto abbracciare l'internazionalizzazione e l'apertura del mercato. Era una via obbligata per restare nel novero delle più importanti aziende mondiali produttrici di automobili ed è ovvio che si è trattato di una scelta in totale controtendenza con l'abitudine che avevamo di immaginare una Fiat che riceveva aiuti statali, ma che era incentrata quasi esclusivamente su un monopolio nazionale.
In questo processo, quindi, occorre fare in modo che la nuova Fiat abbia interesse a fare di Torino la base europea della nuova società e che l'impegno non debba essere esclusivamente formale. Credo che non interessi a nessuno dove si trovi formalmente la sede, ma che ci debba essere l'assunzione di una dimensione continentale europea di Torino e di tutta la produzione italiana.
Sono anche convinto che evidentemente oggi il sindacato sia obbligato a darsi una strategia globale e credo che il futuro della politica industriale italiana sia soprattutto nel creare le condizioni per favorire gli investimenti, per valorizzare le risorse umane, per promuovere la ricerca e per creare nuove interazioni tra imprese, territori e servizi che rendano attrattivo per gli investimenti un determinato ambiente e un determinato territorio. In questo senso, il suo invito al fatto che dobbiamo essere produttivi, prima di pensare alla distribuzione degli utili, mi sembra assolutamente fondamentale.
Rispetto a questa considerazione, le pongo alcune domande finali, che ho anche raccolto dai colleghi. Sulla vicenda Mirafiori le stime che voi effettuate, pur riguardando la vendita globale dei due modelli SUV, potrebbero essere, almeno dal punto di vista di alcuni analisti, eccessivamente ottimistiche. Le chiedo se esiste questo rischio e se ci può essere una valutazione al ribasso degli obiettivi che vi siete dati. Della Sevel ha già parlato. Vorrei capire quale futuro ci possa essere dopo le sue considerazioni per questo stabilimento, nonché per la Magneti Marelli di Sulmona. Infine, le chiedo se ci può riferire a che punto è l'indagine dell'Unione europea riguardo gli aiuti di Stato del Governo polacco per lo stabilimento di Bielsko Biala.

MARIO LOVELLI. Ringrazio il dottor Marchionne. Del suo intervento ho colto un punto essenziale, cioè una critica pesante e molto puntuale al sistema Italia dal punto di vista delle inefficienze e della scarsa competitività. Lei ha delineato una visione del ruolo di Fiat come agente di cambiamento possibile di questo sistema e poi ha concluso affermando che alla politica non ha nulla da chiedere, il che mi sembra un po' presuntuoso, perché, se dobbiamo raggiungere un livello maggiore di efficienza del sistema, il ruolo della politica dovrebbe essere importante, insieme al mondo dell'impresa.
Svolta questa premessa, le porrei alcune domande. A pagina 19 della relazione che ci ha consegnato lei scrive che la scelta sulla sede legale non è ancora stata assunta e nei passaggi successivi sono esposte le condizioni per cui il cuore della Fiat possa restare in Italia. Come lei ha poi meglio specificato, il tema rimane del tutto aperto e la mia domanda è la seguente: dato che lei abbina la presenza a Torino, oltre che nel resto dell'Italia, a un intervento di innovazione su una nuova gamma di modelli, rispetto ai quali, per ragioni di riservatezza, non è entrato a fondo, vorrei chiederle se questa è la condizione per avere la sede legale in Italia o se sono altre le condizioni per compiere questa scelta.
In particolare, vorrei chiederle, per quanto riguarda la mobilità sostenibile, domanda già anticipata dal collega Lulli,


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perché la Fiat dimostri poca propensione allo sviluppo degli investimenti nel settore dell'auto elettrica. Ne ho sentito parlare soltanto per la Fiat Cinquecento in America.
Passo alla seconda domanda. Alle pagine 48-49 della relazione che ci ha consegnato lei delinea un sistema di relazioni sindacali che possono portare a compiere un salto di qualità, ivi comprese la partecipazione dei lavoratori agli utili aziendali e l'aumento dei salari. Perché fino a questo momento è stata perseguita una strada basata, a mio parere, più sull'unilateralità delle decisioni, invece che affrontare decisamente una strada di una condivisione complessiva da attuare attraverso un confronto generale tra istituzioni, sindacati e azienda, che consenta di affrontare direttamente i problemi, cioè produttività e rapporti di lavoro?
Chiudo con la terza domanda. La credibilità del suo piano è molto legata, naturalmente dal mio punto di vista, al raggiungimento dei risultati del piano. Dato che lei non ci ha parlato nella sua relazione dell'andamento delle quote di mercato Fiat negli ultimi tempi, vorrei che andasse più a fondo su questo tema, nonché sul tema del partner finanziario legato ai suoi progetti di sviluppo.

ALBERTO TORAZZI. Anch'io ringrazio il dottor Marchionne per la sua esposizione. Venendo da un'esperienza di automotive, comprendo meglio di altri la grande spinta al cambiamento che è stata impressa, visto che conosco più direttamente alcuni degli stabilimenti coinvolti. Da questo punto di vista c'è da parte mia una piena condivisione.
Rimane, però, un aspetto da considerare: questo piano nel suo insieme vale l'1 per cento del PIL di questo Paese, se verrà portato a compimento, ed è chiaro che tutte le istituzioni, compresi il Parlamento e il Governo, dedicheranno moltissima attenzione al suo sviluppo.
Vorrei affrontare, però, altri argomenti. La creazione del valore non è solo il problema di un'azienda, ma anche del nostro Paese. Nell'ambito del programma di Fabbrica Italia, come si pone la parte fornitori? Noi sappiamo che l'Italia è sempre stata uno dei più grandi subfornitori di automotive, e la ricaduta positiva, quando ci sono fornitori italiani, non è in termini solo economici, ma anche tecnologici, perché chiunque si forma alla scuola delle grandi multinazionali porta poi sul territorio la sua conoscenza.
Vorrei quindi chiedere se può darci un'indicazione più specifica sul programma di Fabbrica Italia per quanto riguarda i fornitori e se esiste un passaggio che lei ritiene che il legislatore possa supportare. Poiché attualmente la X Commissione si sta occupando di una iniziativa legislativa che contempla il passaggio al metano, mi pare di capire che la scelta del metano per Fiat non sia limitata solo al mercato italiano, ma che ci sia anche l'intenzione di esportarlo in altre aree e in altri mercati.
Sul discorso dell'ibrido dei motori, poiché in Italia ci sono state moltissime applicazioni avanzate di sistemi di motori elettrici a rotore e a magnete permanente, molto adatti per il settore dell'ibrido, vorrei sapere se Fiat ha intenzione di svolgere ricerca proprio in questo ambito, che sarà uno dei passaggi cruciali del futuro.
Infine, considerando che si tratta di un'industria manifatturiera, il nostro gruppo parlamentare ha proposto un'iniziativa legislativa per prevedere un progressivo spostamento degli oneri sociali sull'IVA, dal momento che oggi non è tanto difficile costruire bene, quanto vendere. Ridurre i costi di produzione e spostare sull'IVA gli oneri sociali, secondo noi, potrebbe essere una soluzione utile. Vorremmo conoscere il suo parere al riguardo.

SAVINO PEZZOTTA. Ringrazio il dottor Marchionne per l'introduzione. Mi ha risolto alcune perplessità, ma non tutte, ma ciò lo ritengo normale. Probabilmente rimuoveremo molte perplessità verificandole nei fatti; sono i fatti che contano.
Noi abbiamo seguito i cambiamenti della Fiat dal 2004 e sappiamo quali siano stati lo sforzo e la volontà nel risolvere


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alcune questioni. Non credo che ci sia in larga parte una tensione ostile ai processi di cambiamento. Non ci si oppone certamente, sapendo, però, che i cambiamenti producono contraddizioni e tensioni e che forse - è di fatto un suggerimento - gestirli con meno rudezza aiuterebbe tutti a capire meglio la situazione.
Pongo altre domande su alcuni problemi che non ho colto nella sua relazione. Probabilmente ho capito male. Il primo è la questione delle risorse da restituire al Tesoro americano: che cosa significa, in che tempi, in che modi dovrà avvenire e che cosa può determinare? Non mi sembra una questione secondaria rispetto alla strategia più generale.
La seconda questione è il problema della governance. Lei l'ha lasciata aperta: non è detto che la governance complessiva, la testa, resti in Italia e lo posso anche capire. Un'impresa multinazionale può avere elementi puntiformi, ma un punto di guida e di comando deve esistere e mi piacerebbe sapere se il suo orientamento, anche non definitivo, sia più verso Torino oppure verso altri centri.
Un altro aspetto che mi è sembrato sottovalutato è quello del mercato europeo: lo dà per perso o che cosa intende fare? Vi comprendo anche tutta l'area slava e russa, un mercato non di poco conto per noi, visto che la Fiat ha anche un'azienda in Polonia.
Inoltre, lei ha comunicato che comincerà il trasferimento delle piattaforme e dei pianali. Quando avrà raggiunto l'obiettivo che ha fissato con il Presidente degli Stati Uniti, che cosa succederà? Ci sarà una redistribuzione o continuerà questo andare e venire dagli Stati Uniti d'America?
Sulle relazioni industriali non nutro perplessità sul fatto che ogni tanto si debba rompere. Il problema non è rompere, ma ricomporre. Lei ha parlato della possibilità di una partecipazione. Per andare sul terreno della partecipazione, però, occorre il massimo di unità e io credo che adesso il suo compito non sia più quello di rafforzare le rotture, ma di vedere come ricomporre e avere un'unica parte con la quale gestire la fase di cambiamento.
Infine, sarebbe utile avere qualche notizia in più sul versante della ricerca per quanto riguarda l'auto elettrica e su quella a idrogeno.

RENATO CAMBURSANO. Dottor Marchionne, nel dicembre del 2009, presentando al Governo e alle organizzazioni sindacali il piano per l'Italia, aveva parlato di 8.miliardi di investimenti nei due anni successivi, 2010-2011 e, in più, aveva aggiunto 17 nuovi modelli e 13 restyling. Le ultime stime parlano di 5.miliardi in quattro anni da tale data.
Il 26 marzo del 2010 ai soci Fiat ha riferito che gli investimenti sarebbero stati ripartiti. Traggo i dati da un giornale rosa, ma non nel senso di questi giorni: essi sono passati da 3.382.miliardi a 3.712 miliardi in tutti gli impianti, compresi quelli esteri. Oggi lei ci ha comunicato che quella di non aver presentato nuovi modelli è stata una scelta strategica. Com'è possibile, allora, che le altre aziende concorrenti l'abbiano fatto? Visto che la strategia di questa scelta è data dal fatto che il mercato non «tirava», come si spiega questa dicotomia tra Fiat e il resto del mondo?
Con Fabbrica Italia prevede di arrivare nel 2014 - l'ha affermato lei - a 1 milione e 400 mila veicoli entro quell'anno, ma ci ricorda che anche nel 2009 la produzione era stata di 650.000 e che nel 2010 era addirittura scesa a 561.000.
Leggo queste come speranze, ma anche come criticità. Lei ha affermato giustamente, e sono d'accordo con lei, che è assurdo e demenziale denigrare i nostri prodotti. Non posso che essere d'accordo: io ho sempre comprato Fiat, nonostante tutto. È stato appena sottolineato, però, che dal 2004 al 2005, come mi ricordava adesso il collega Portas di Torino, che è imprenditore, l'unico prodotto nuovo di Fiat è stata la Cinquecento. Perché non abbiamo investito davvero? Glielo chiedo da torinese, anzi, da chivassese. Qualcuno non sa neanche dove sia Chivasso, ma da


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un giorno all'altro vi si è chiuso uno stabilimento di 5.000 lavoratori, vent'anni fa.
Ho condiviso, nonostante tutto, la questione del piano Mirafiori, ma mi deve fornire alcuni elementi utili in più. Le chiedo anch'io, come già altri colleghi, come sia credibile, alle condizioni date a pagina 19 della relazione che ci ha consegnato, che la governance rimanga ancora a Torino. Mi limito al primo punto, ossia il grado di accesso ai mercati finanziari, indispensabile per gestire un business che richiede grandi investimenti e ingenti capitali. La Borsa italiana non ce lo dà e, quindi, la risposta è già scritta qui, ahimè. Troviamo altre motivazioni, ma che la testa e il cuore rimangano a Torino. Grazie.

PRESIDENTE. Ringrazio tutti i parlamentari per i loro interventi, che sono stati contenuti piuttosto bene nei tempi.
Do la parola al dottor Marchionne per la replica.

SERGIO MARCHIONNE. Amministratore delegato del Gruppo Fiat. Non so a quante domande riuscirò a rispondere. Partirò dall'ultima e andrò a ritroso.
Non è affatto vero che la Fiat ha lanciato soltanto la Cinquecento nel recente passato. La Punto ha una struttura completamente nuova, che è stata condivisa con la General Motors e con gli americani. È partita da zero ed è stata la base con cui abbiamo sviluppato la Punto del 2005 e l'abbiamo evoluta. Anche la Giulietta è completamente nuova ed è uscita nel 2010. Sono notizie, quindi, assolutamente false.
A proposito della scelta strategica di non lanciare modelli nel 2010 e nel 2011, si domanda come mai lo stiano facendo i concorrenti. Gli altri concorrenti, quelli cui si è fatto riferimento, si sono fatti prestare più di 8 miliardi dallo Stato francese a tale scopo e ancora non hanno ripagato tali finanziamenti. Noi abbiamo gestito la crisi senza il minimo aiuto di assistenza statale ed è questa una delle ragioni perché, in effetti, abbiamo frenato e non abbiamo lanciato novità. In un mercato che in quest'anno scenderà a meno di 1 milione e 800 mila vetture in Italia sarebbe stata una scelta disastrosa.
Qualcun altro ha parlato dei concessionari che non sono in buone condizioni. Si ricordi che questo mercato è arrivato a quasi 2 milioni e 500 mila vetture nel 2007-2008. È naturale che in un mercato che scende da 2 milioni 500 mila a 1 milione 800 mila ci sia qualcuno che sta pagando le spese. Esiste una sovraccapacità di distribuzione del sistema. È una situazione di cui la Fiat è a conoscenza e che gestirà. Non so se il nostro nuovo manager ex Ford sia la necessariamente la base in cui farlo, ma riconosco il problema. Ci stiamo lavorando e lo affrontiamo come un problema dell'azienda.
Procedendo in ordine sparso, per quanto riguarda i pagamenti al Governo americano, non sono fondi della Fiat, ma fondi che usciranno dal rifinanziamento della Chrysler sui mercati americani. Verranno versati da loro. Se la Fiat vuole metterci soldi, è perché è diventata azionista oltre il 35 per cento, soglia oltre cui si ha diritto di farlo. Ho affermato chiaramente che alla Fiat ciò interessa. Consideriamo un grandissimo affare entrare nel mercato del terzo produttore americano a quei prezzi e, in effetti, il rilancio dell'Alfa Romeo sarebbe stato impossibile senza un'apertura americana. Sarebbe stata una fatica immensa.
A proposito delle opinioni negative sul mercato europeo, non mi sono arreso, ma lo considero un mercato estremamente affollato, in cui moltissima gente sta cercando di farsi del male. In questo ambiente è quasi impossibile produrre utili.
Qualcuno ha fatto riferimento alla questione che i tedeschi stanno guadagnando. Osservo, però, che non stanno guadagnando in Europa, bensì esportando le macchine in Cina e in altre parti del mondo, localmente il mercato non tira. Abbiamo visto i numeri sia in Germania, sia in Francia, sia in Italia, scesi in maniera drastica dal 2009 al 2010 e al 2011. Non è un mercato sano e, quindi, il problema della sovracapacità strutturale


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della rete rimane sul tavolo. Io e lei ne abbiamo parlato anche in tempi in cui lei faceva altro: io sono rimasto a fare il metalmeccanico, lei si è evoluto! Il problema esisteva allora e continua a esistere adesso. Non c'è stato un impegno a livello della comunità europea per cercare di gestire questo problema.
La Fiat sfortunatamente, non avendo un progetto da condividere con gli altri europei, si è dovuta muovere per conto proprio e si è andata a trovare un partner in America per colmare tale mancanza di utilizzo degli stabilimenti. Ha portato vetture da produrre qui. operazione Per farlo, devo essere assolutamente competitivo: se non lo sono, non lo faccio! Nessuno viene a condividere gli investimenti con la Fiat. È impossibile: gli americani hanno pagato 2 miliardi di dollari per non prendersela la Fiat. Ricordiamocelo! Li ho convinti pure che valeva la pena di pagare 2 miliardi prenderla per non prendersela. Ci ho lavorato pure molto, altrimenti non mi pagavano niente! Ci hanno pagato 2 miliardi di dollari per cominciare questo processo di risanamento della Fiat. Ora abbiamo avviato un lungo processo di risanamento. Qualcuno mi parlava di cifre che non ho investito. Nel 2009 sono fallite sia la Chrysler che la General Motors. Parliamo del più grande produttore di auto nel mondo, che è scomparso ed è rinato trenta giorni dopo da un processo di «Chapter 11» in America. Quindi, non domandi a me perché ho frenato gli investimenti in Europa. Se non lo avessi fatto, sarei andato a seguire quei manager nello stesso tribunale.
Dobbiamo gestire la realtà economica di casa nostra e, quindi, ci adattiamo. Credo che le condizioni in cui si è trovata la Fiat, dopo la crisi del 2008, siano state gestite bene. Abbiamo avuto utili operativi nel settore dell'auto e siamo stati forse i più bravi - lo affermo in tutta modestia - di tutti i produttori dell'auto nel 2009, considerando che sono stati numeri devastanti per il settore dell'auto. Stiamo cercando di far ripartire il sistema industriale italiano portando un partner che ci aiuti a farlo. L'impatto positivo sui fornitori è enorme. Sapete benissimo che la maggior parte dei componenti non può essere portata da fuori, anche per quanto riguarda la produzione locale. Per far venire i fornitori con noi, bisogna creare le condizioni in cui gli stabilimenti possono essere gestiti e in cui gli impegni sono rispettati da noi e dagli altri.
Qualcuno è tornato al discorso di Cassino. Cito due numeri da «massaio»: ora ci sono 250 -280 mila vetture per Mirafiori all'anno. Consideri che sono 600 mila in tutto e che ne dobbiamo realizzare 1 milione e 400 mila come obiettivo, la differenza deve uscire dai due stabilimenti di Cassino e Melfi. Ha una risposta: è inutile ora parlare dei modelli che devono essere lanciati nel 2012 e nel 2013, l'impegno c'è. Cassino è un grandissimo stabilimento, che ha svolto un grandissimo lavoro anche con la complessità dei suoi prodotti, che non è facile da gestire.
Le previsioni per quanto riguarda i SUV sono troppo ottimiste? Si vendono mezzo milione di vetture soltanto nel mercato americano in quel segmento. Il prodotto verrà esportato in tutta Europa e in America, con motori adeguati anche alla distribuzione europea. In totale, quindi, il mercato, se includiamo anche il mercato europeo e quello estero, è di più di 1 milione di vetture, ragion per cui non mi preoccupa molto.

GABRIELE CIMADORO. E l'auto elettrica?

SERGIO MARCHIONNE. Amministratore delegato del Gruppo Fiat. Le darò una risposta anche su questo. Per quanto riguarda l'elettrico, l'anno prossimo l'auto elettrica entrerà in produzione durante il terzo o quarto trimestre del 2012, ma sarà disponibile su uno stand della Fiat a Detroit. Avremo la macchina totalmente elettrica. Ogni volta che analizzo i costi per queste vetture, però, non riesco mai a farli quadrare. È in corso un dibattito molto approfondito sul fatto se, in effetti, dal punto di vista ecologico, valga la pena di produrle, per via dei costi per costruirle e per mantenerle in vita, proprio dal


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punto di vista di utilizzo di risorse. Per il momento l'equazione è negativa. Il problema è che il costo della vettura, anche a livelli di industrializzazione molto più elevati di quelli che stiamo vedendo adesso, non giustificherà mai gli investimenti. La soluzione sarà, pertanto, ibrida e non potrà soppiantare interamente il motore a combustione, ma dovrà usarlo comunque. In quale maniera esso verrà abbinato al motore elettrico è una grande sfida. L'importante è non duplicare le installazioni e non creare due motori, perché in tal caso si raddoppia il costo della vettura. Questa è la soluzione che circola adesso, ma bisogna trovare un sistema diverso per gestirla.
Ci stiamo lavorando; ci dia tempo, la soluzione uscirà. Non siamo soltanto noi, ma il mondo intero, a lavorarci. Alla soluzione la Fiat sta lavorando, come ci ha lavorato la Chrysler per parecchio tempo. È una sfida che è stata accettata anche dai grandi fornitori nel mondo. Sono tutti i grandi fornitori che stanno lavorando a soluzioni simili.
Credo di aver risposto alla maggior parte dei quesiti.

GABRIELE CIMADORO. E la governance, dottor Marchionne?

PRESIDENTE. Onorevole Cimadoro, lei cortesemente deve comportarsi come tutti gli altri colleghi, rispettando i tempi.
Ringrazio a nome di tutti il dottor Marchionne per la sua presenza e la sua disponibilità e gli porgo grandi auguri affinché tutto vada bene, perché significherà che andrà bene anche per il Paese.

SERGIO MARCHIONNE. Amministratore delegato del Gruppo Fiat. Ce la mettiamo tutta!

PRESIDENTE. Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 12,10.

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