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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissione X
6.
Mercoledì 20 maggio 2009
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Gibelli Andrea, Presidente ... 3

INDAGINE CONOSCITIVA SULLA SITUAZIONE E SULLE PROSPETTIVE DEL SISTEMA INDUSTRIALE E MANIFATTURIERO ITALIANO IN RELAZIONE ALLA CRISI DELL'ECONOMIA INTERNAZIONALE

Audizione del presidente dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato, Antonio Catricalà:

Gibelli Andrea, Presidente ... 3 7 10 13
Vignali Raffaello, Presidente ... 13 16 18
Catricalà Antonio, Presidente dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato ... 3 10 16
Colaninno Matteo (PD) ... 15
Froner Laura (PD) ... 15
Pezzotta Savino (UdC) ... 14
Torazzi Alberto (LNP) ... 7
Vico Ludovico (PD) ... 8
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Movimento per l'Autonomia: Misto-MpA; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Repubblicani; Regionalisti, Popolari: (Misto-RRP).

COMMISSIONE X
ATTIVITÀ PRODUTTIVE, COMMERCIO E TURISMO

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di mercoledì 20 maggio 2009


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE ANDREA GIBELLI

La seduta comincia alle 14,30.

(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).

Audizione del presidente dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato, Antonio Catricalà.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla situazione e sulle prospettive del sistema industriale e manifatturiero italiano in relazione alla crisi dell'economia internazionale, l'audizione del presidente dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato, professor Antonio Catricalà.
Il professor Catricalà è oggi accompagnato dal suo assistente dottor Massimo Ferrero e dal dottor Angelo Lalli, responsabile per i rapporti istituzionali.
Do la parola al professor Catricalà per lo svolgimento della sua relazione.

ANTONIO CATRICALÀ, Presidente dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato. Signor presidente, ringrazio lei e gli onorevoli deputati per avermi invitato in questa importante sede, per esprimere le valutazioni dell'Antitrust sul settore manifatturiero e sulle conseguenze della crisi su tale settore.
L'industria manifatturiera, come ben sappiamo, già da lungo tempo è molto più esposta di altre alla concorrenza internazionale. Non esiste, infatti, alcun monopolio naturale che possa proteggere le nostre imprese. Già nel 1947 con il GATT (General agreement on tariffs and trade) e poi con l'Organizzazione mondiale del commercio del 1994, si è assistito a una progressiva caduta dei dazi, che ha comportato una piena e assoluta concorrenza a livello globale.
D'altra parte, in tal modo le nostre imprese (quelle che sono state capaci di resistere alla concorrenza internazionale) hanno potuto rendere efficienti le loro manifatture e, soprattutto, hanno potuto specializzare il lavoro.
Se dovessi esprimere un giudizio da Autorità antitrust sull'esistenza di un commercio internazionale così libero, si tratterebbe di un giudizio positivo, giacché un tale assetto ha fatto crescere negli anni - fino a oggi - il PIL (Prodotto interno lordo) di tutti i Paesi interessati all'Organizzazione mondiale del commercio. La crisi che stiamo vivendo metterà questa crescita in discussione, ma non potrà mettere in discussione il progresso che c'è stato in cinquant'anni di libertà di scambi.
Il nostro Paese, come ben sapete, mostra una peculiarità: ha qualche grande azienda, ma a reggere la struttura produttiva sono le piccole e medie imprese, che trovano nei distretti industriali un terreno favorevole per lo sviluppo. Abbiamo anche grandi aziende, alcuni big players nel settore della meccanica, dell'aeronautica,


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nel settore militare, nell'ottica e nell'alimentare, nonché nella moda e nelle costruzioni.
Però, sia che parliamo di grandi imprese oppure di piccole e medie imprese, il nostro è un modello economico fondato sulle esportazioni. Alcuni settori, in questo ambito, sono particolarmente eccellenti, in particolare, il tessile, la ceramica, le calzature, il pellame, la moda in generale e la meccanica di precisione. Tutti questi settori hanno registrato segni di sofferenza di particolare rilievo, indubbiamente dovuti alla crisi internazionale. Tuttavia, è anche vero che le nostre aziende soffrono più di altre aziende europee di un deficit di sistema dovuto soprattutto a inefficienze della produzione, che dipendono dagli eccessivi costi dell'energia, da una burocrazia eccessiva e lenta, da un sistema fiscale particolarmente farraginoso (al di là della pressione fiscale, che non spetta all'Antitrust definire eccessiva o tollerabile), dalla insufficiente dotazione infrastrutturale (con riguardo sia al trasporto, sia alla logistica), dalla mancanza di una rete di collegamento tra formazione, ricerca e imprese. A ciò si aggiunga il costo elevato dei servizi bancari e delle assicurazioni nonché quello delle professioni e dei servizi in genere: tutti oneri che costituiscono costi di produzione tali da non consentire alle nostre imprese di competere efficacemente, sulla scena europea, con i loro concorrenti vicini. Si tratta, d'altra parte, di vantaggi e svantaggi ormai consolidati.
In realtà, per un lungo periodo, l'Italia è riuscita a compensare questi svantaggi (non è una scoperta dell'Antitrust) utilizzando il meccanismo di svalutazione compensativa della lira che metteva le nostre imprese in grado di esportare a prezzi competitivi. Questa situazione è - per fortuna - cambiata, ma di fatto le nostre esportazioni, nella quota dei volumi di esportazioni mondiali, si sono ridotte. Sono poi entrati nuovi protagonisti sulla scena mondiale del commercio, quali l'India, il Brasile e la Cina. Quest'ultima è entrata nell'Organizzazione Mondiale del Commercio nel 2001. Esaminando le bilance commerciali, vediamo che in realtà pareggiamo con quasi tutti gli Stati ma, rispetto alla Cina, importiamo molto più di quanto esportiamo in quel Paese.
Questi Paesi hanno, purtroppo, la possibilità legale di imporre tariffe all'importazione più alte di quelle che possiamo imporre loro e ciò perché vengono ritenuti Paesi emergenti dall'Organizzazione Mondiale del Commercio. Hanno quindi la possibilità di crearci questo ulteriore svantaggio, oltre il ben noto dumping sociale che deriva dal sistema meno garantista dal punto di vista sia del costo del lavoro sia della sicurezza e dell'ambiente.
Le nuove economie emergenti detengono, dunque, due vantaggi rispetto a noi: la possibilità di imporre dazi, ma anche quella di tenere bassi i propri costi. Ciò non è invece possibile per le economie più avanzate. Ciò nonostante, l'Antitrust deve esprimere l'auspicio che non si ricorra a forme protezionistiche, nemmeno nei confronti di questi Paesi, poiché l'interesse nazionale alla libertà dei mercati è molto più importante rispetto all'interesse verso singole protezioni. Semmai sono le condizioni di accesso al mercato che avrebbero dovuto essere discusse prima, nel momento in cui questi Stati sono entrati nel mercato mondiale.
Oggi si potrà pensare di rivedere qualche condizione, nei vari step in cui questi accordi sono soggetti a revisione. Certamente, non credo sia l'Italia a dover portare la bandiera del protezionismo, dato che è un Paese che, senza assoluta libertà di commerci, soffrirebbe in termini di ricchezza e benessere per tutti i cittadini.
Le strategie che l'Antitrust suggerisce, pertanto, sono le solite ricette, che più volte i miei predecessori hanno ricordato e che anch'io continuo a ripetere: in primo luogo, la riallocazione delle energie lavorative sui livelli più alti della filiera produttiva e sui livelli più raffinati dal punto di vista tecnologico; in secondo luogo, se e quando possibile, la delocalizzazione della produzione che finora ha prodotto buoni risultati.
Esiste una parte vitale della nostra industria in grado di reggere il confronto,


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che deve servire da traino anche per le altre industrie manifatturiere che soffrono maggiormente la competizione.
Un dato che oggi, per la prima volta, esponiamo pubblicamente è che le concentrazioni, cioè gli investimenti di imprese su imprese, si sono fortemente ridotte. Abbiamo un sistema di rilevazione molto efficiente, direi quasi completo, del fenomeno degli investimenti di acquisti di imprese rispetto ad altre imprese - sia che si tratti di acquisizione oppure di fusioni - e abbiamo paragonato i quattro mesi di quest'anno rispetto agli stessi quattro mesi dell'anno scorso. È un sistema molto efficiente, perché noi basiamo il nostro autofinanziamento sulle concentrazioni delle imprese. Quest'anno c'è stato un calo numerico delle concentrazioni pari al 50 per cento. È un dato essenziale, dal quale si può dedurre quanto oggi sia bassa la propensione delle nostre imprese ad acquistarne altre. Il calo unitario in valore arriva, addirittura, al 70 per cento: ciò significa che si è di fronte a un decremento molto forte della ricchezza delle imprese, anche perché, effettivamente, le imprese quotate in borsa, rispetto all'anno scorso, quest'anno valgono circa la metà. Per molte aziende, purtroppo, questa è la valutazione attuale. Negli ultimissimi mesi abbiamo rilevato una lieve propensione ad aumentare le concentrazioni e, inoltre, il decremento per il settore manifatturiero appare minore. Le imprese manifatturiere, quindi, hanno certamente subito una diminuzione, inferiore però a quella delle altre imprese, poiché in termini di valore - quindi non in numero - sono diminuite «solo» del 58 per cento, rispetto al 70 per cento di cui ho parlato prima. Ciò si spiega anche con il fatto che le piccole e medie imprese hanno continuato ad aggregarsi in qualche modo e oggi seguono la generale ripresa dell'aggregazione.
Un dato positivo è che, nell'ultimo mese, sono ripresi gli acquisti nella grande distribuzione. Ciò fa pensare che in qualche modo stiano risalendo i consumi ma, naturalmente, è troppo presto per fare un'affermazione del genere, in quanto abbiamo i dati solamente di un mese sui quali basare questa valutazione ottimistica. È chiaro che, se ci saranno nuove aggregazioni, si creerà quell'efficienza di rete che abbiamo sempre richiesto alle nostre piccole e medie imprese di perseguire, in quanto attualmente caratterizzate da una forse eccessiva polverizzazione sul territorio, anche per quanto riguarda l'acquisizione delle risorse e la non capacità di fare sistema rispetto ai fornitori delle materie prime e dell'energia. Purtroppo, chi non riesce a crescere e a stimolare maggiore produttività nella propria azienda, non riesce neanche a conferire maggiore qualità al prodotto e si trova in grande difficoltà per quanto riguarda sia la vera e propria attività commerciale, sia la possibilità di consolidarsi attraverso piccole acquisizioni. Il sistema del credito, infatti, è restio a concedere qualsiasi forma di aiuto ad aziende che non appaiano profittevoli. D'altra parte, gli interventi pubblici selettivi di sostegno, già in passato, si sono dimostrati inappropriati. Quello che rimane da fare è una politica di sistema, che crei certamente una rete di protezione per i lavoratori, ma che soprattutto affronti una volta per tutte e mantenga - è questa la grossa difficoltà che si incontra in sistemi fragili come il nostro - la riduzione dei costi di produzione.
Sulla politica energetica, che rappresenta un dato essenziale, l'Autorità lamenta la mancata proroga dei «tetti» sul gas. In realtà, avevamo proposto una proroga flessibile, che potesse tener conto - a discrezione del Governo o dell'Autorità preposta alla vigilanza sul settore - di «tetti» variabili in ragione dell'effettiva quantità di gas che entra in Italia, soprattutto dopo l'entrata in funzione del rigassificatore appena costruito a Rovigo. Quest'idea, però, non è stata adeguatamente supportata nelle aule parlamentari e sembra che questi «tetti» non saranno più riproposti. Segnalo in proposito la delega al Governo in materia di «tetti» introdotta al Senato nell'atto S. 1195, ora all'esame della Camera dei deputati, che dovrebbe favorire la crescita degli importatori indipendenti. Tutto sta a vedere come tale


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delega sarà effettivamente attuata dal Governo stesso. Se essa sarà attuata adeguatamente, è chiaro che un incumbent così forte dovrà pur rispettare un «tetto», magari mononumerico, ma comunque tale che altri imprenditori abbiano una possibilità di entrare. A questo proposito, come Autorità stiamo studiando la possibilità di suggerire una forma diversa di tariffazione per gli «energivori», cioè per quelle imprese che spendono per l'energia un buon 20 per cento (alcune addirittura il 30, o il 35 per cento) del costo unitario di produzione del bene. Mi riferisco, ad esempio, alle imprese del vetro, della ceramica, ma anche alle acciaierie. Si tratta di grandi consumatori di energia e soprattutto di gas, il combustibile più appropriato all'uso, anche perché, probabilmente, è quello che ha avuto la maggiore possibilità di essere trasportato in Italia.
In ogni caso, se riuscissimo a immaginare una tariffa del gas (al momento uguale per tutti) che, per una parte, andasse al mercato libero e contenesse una parte dei costi di sistema, se i grandi energivori potessero godere di una forma di decremento della tariffa al crescere del consumo di energia, allora probabilmente si potrebbe arrivare a far abbassare il costo così alto dell'energia per tutti i produttori. Naturalmente, non devono venirci a dire che questi costi qualcuno li deve sostenere e che, quindi, devono essere sostenuti dai più piccoli consumatori perché, a questo punto, avremmo comunque danneggiato il sistema. D'altra parte, se si consumano quantità maggiori, immagino che i costi di trasporto di sistema non crescano linearmente e che si possano invece configurare economie di scala. Si tratta solamente di immaginare una tariffa che riesca a contemperare le esigenze dei nostri produttori con quelle degli altri.
L'industria nazionale della distribuzione, altro aspetto che affronto nella relazione che ho consegnato agli atti della Commissione, non è stata in grado di penetrare i mercati esteri, a causa di gravi resistenze interne. Per favorire i piccoli commercianti, la grande distribuzione nazionale ha subito importanti blocchi in Italia, mentre i commercianti stranieri sono penetrati nel nostro Paese con i loro supermercati e centri commerciali. Registriamo anche la difficoltà, da parte della nostra distribuzione, di promuovere il made in Italy nei Paesi nei quali intendiamo esportare. Per quanto riguarda la stretta attività dell'Antitrust, questa è una materia in cui effettivamente non c'è dominanza, bensì piena concorrenza. Il caso FIAT, che si affaccia ad acquistare sui mercati mondiali, ci fa capire che non esiste un vero problema di dominanza: siamo in piena concorrenza mondiale. Se anche FIAT facesse tutte le acquisizioni di cui si parla, raggiungerebbe comunque una quota che non supera quella che già Volkswagen detiene sul mercato mondiale. Stiamo parlando, dunque, di quote assolutamente accettabili: intorno al 6-7 per cento.
Abbiamo registrato due casi di abuso di posizione dominante nell'industria farmaceutica, in cui, sostanzialmente, era stato negato ai produttori di farmaci generici l'utilizzazione di un principio attivo. Ciò non solo sfavoriva la nostra industria di chimica fine, che è un'industria di eccellenza, ma anche i malati e i consumatori, poiché si trattava di farmaci di grande consumo che si potevano acquistare solamente al prezzo del farmaco «griffato». Tra l'altro, uno dei due casi riguardava un farmaco passato dal Servizio sanitario nazionale, per cui la situazione configurava anche un ulteriore danno a carico di tale servizio. Abbiamo infine ottenuto, con le tutele cautelari che nel frattempo ci sono state conferite dal Parlamento, che questi farmaci potessero essere utilizzati.
Abbiamo poi scoperto - purtroppo - alcune intese e cartelli segreti: uno su prodotti disinfettanti, un altro sui dispositivi di stomia che vengono venduti alle ASL e agli ospedali, un terzo sui gas tecnici. Su quest'ultimo abbiamo comminato anche una sanzione - secondo me, adeguata - che è stata successivamente annullata da una pronuncia del Consiglio di Stato, in quanto non avevamo esibito la prova dell'avvenuto accordo, con la firma degli amministratori delegati. Un tale documento,


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effettivamente, non lo si trova mai, da nessuna parte al mondo. Credo che non ci saranno altre pronunce del genere e anche di questa abbiamo chiesto la revoca. Sappiamo che sarà difficile ottenerla ma, non essendo stati condannati al pagamento delle spese, siamo autorizzati a sperare che ci sarà un ravvedimento.
Abbiamo trovato anche, grazie all'istituto della leniency, qualche associato pentito che è venuto a raccontarci l'esistenza di un cartello segreto, di un'intesa sul prezzo dei pannelli truciolati (ne erano vittime in primo luogo i mobilieri, ma anche i consumatori, che pagavano questi mobili - credo sia ancora così - a prezzi particolarmente elevati). Ricordo poi la vicenda delle vernici marine nonché quella, più nota di tutte, sulla pasta. Abbiamo in corso una procedura di leniency sui cosmetici, seguendo il meccanismo previsto dal programma di clemenza verso coloro che collaborano con l'Autorità, confessando la partecipazione. Si tratta di un'indagine di carattere internazionale, che riguarda quasi tutte le multinazionali dei cosmetici. Alcune di queste intese - non quelle di cui ho parlato, ma altre - sono, invece, state ritenute virtuose dall'Antitrust. Alludo alla tutela di alcuni prodotti DOC e, soprattutto, del Parmigiano reggiano.
Per quanto riguarda l'altro aspetto della nostra attività, cioè la tutela del consumatore, il dato di maggiore interesse è che spesso vengono promessi finanziamenti senza indicare qual è il TAEG (Tasso annuo effettivo globale). Soprattutto - stiamo aprendo adesso un'indagine su questo - penso alla mancata attuazione delle garanzie per la vendita previste dal codice del consumo: si acquista il bene (magari particolarmente costoso) che non funziona, allora si ritorna al negozio, ma il venditore non lo sostituisce, oppure non lo ritira per la riparazione e invia il cliente in periferia, o in un'altra città, perché non sarebbe il venditore, bensì il produttore a risponderne, ma quest'ultimo, a sua volta, contesta la propria competenza rispetto al difetto. In sostanza, si tratta di un calvario cui vanno incontro i consumatori che si ostinano a chiedere una riparazione.
Tutto ciò riguarda la nostra competenza, ma la situazione non rivela un quadro drammatico, poiché, in una realtà così vasta, la scoperta di sette o otto cartelli e di alcune scorrettezze commerciali verificatesi a macchia di leopardo, non sono sufficienti a giustificare una visione critica di questo mondo dell'industria manifatturiera, che si dimostra invece estremamente virtuoso e che avrebbe bisogno di sostegno.

PRESIDENTE. Ringraziamo il presidente Catricalà per la sua relazione. Do ora la parola agli onorevoli colleghi che intendano formulare quesiti e osservazioni.

ALBERTO TORAZZI. Signor presidente, ho ascoltato la relazione e ho notato toni comunque molto positivi e trionfalistici sul fenomeno della globalizzazione. Vorrei in proposito svolgere qualche puntualizzazione, per poi formulare alcune domande.
Per prima cosa, vorrei ricordare che abbiamo vissuto uno sviluppo economico che ricorda quello dell'Italia degli anni Ottanta, basato sull'esplosione del debito pubblico.
Abbiamo avuto, infatti, un'esplosione del debito privato, che adesso si è trasformato in debito pubblico per salvare l'economia. Questo sviluppo è stato drogato, finanziandosi tramite l'indebitamento. Alla fine, abbiamo visto che i soldi non sono finiti in mano a chi faceva manifattura, bensì principalmente nelle tasche degli speculatori. Penso che il conto finale, sui vantaggi della globalizzazione così come è stata attuata, sia ancora da fare.
Vorrei inoltre ricordare - invito a tener conto anche di questo aspetto - che la delocalizzazione, soprattutto dopo gli accordi susseguenti l'ingresso della Cina nel WTO (World Trade Organization), non è un fenomeno assimilabile all'accensione di una lampada, per cui basta premere l'interruttore e la luce è disponibile. Per


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trasportare una quantità infinita di stabilimenti, prodotti e tecnologie in questi Paesi emergenti, le industrie occidentali hanno dedicato, quindi sottratto alle proprie fabbriche, una quantità indescrivibile di tecnici e di addetti. Ciò significa che - sempre per una manovra gestita dalla finanza - si è deciso che era possibile conseguire utili solo delocalizzando e non si è più investito nel miglioramento dei processi.
Oggi paghiamo anche il fatto che, in tutte le grandi multinazionali, ma anche nelle medie imprese del mondo, si è bloccato il processo di sviluppo tecnologico e di aumento della produttività. La produttività vera, in effetti, non risiede nel «tagliare» una parte del costo di prodotto. È l'incremento della produttività per addetto che aumenta la produzione, quindi la disponibilità di beni. Se vi sono più beni, a parità di teste, siamo tutti più ricchi. Non è la stessa cosa se, invece, semplicemente si fa scendere un prezzo.
Partendo da questo assunto, le rivolgo la prima domanda: è noto a tutti che lo sviluppo di questi Paesi, in particolare della Cina - la nuova fabbrica del mondo - si basa sugli schiavi, sul dumping sociale e ambientale. Si pensi soltanto, se in Italia abolissimo le leggi sull'ambiente, quanta produttività in più - misurata in dollari - avrebbero teoricamente le nostre aziende. Le chiedo se intendiate intraprendere qualche iniziativa, in vista delle prossime trattative, per segnalare al Governo il danno che l'economia mondiale riceve dalla concorrenza sleale che, peraltro, nel tempo si tramuterà anche in danno ambientale e sociale.
Introduco la seconda domanda: lei ha parlato di diverse situazioni di distorsione e abuso. Ebbene, le segnalo il caso degli slot di Linate. Leggiamo notizie di stampa che parlano di numerosi slot che vengono liberati, di voli programmati che, con le motivazioni più varie, vengono progressivamente annullati durante la giornata, concentrando in questo modo i clienti su alcuni voli. In tal modo si aumenta la redditività dell'impresa, si aumentano i prezzi dei biglietti, ma il servizio peggiora notevolmente e questo rappresenta un danno generale per la nostra economia. Vorrei allora chiederle se l'Autorità intenda intraprendere qualche azione nei confronti di questa evidente violazione della concorrenza, ai danni dei consumatori.
In ultimo le domando, visto che abbiamo toccato alcuni aspetti della grande distribuzione, se sia in corso di svolgimento qualche iniziativa riguardo all'abuso di posizione dominante, che fa presupporre l'esistenza di un cartello, da parte della grande distribuzione rispetto al comparto agricolo nazionale.
Le faccio solo un esempio: il gap tra il prezzo del latte «alla stalla» e quello alla distribuzione, nell'arco di quindici anni, è più che triplicato. Chi, come me, viene dall'industria non può neanche definire scandalosa una tale situazione: sembrerebbe di avere a che fare con persone poco dotate intellettualmente e che riescono a percepire una situazione che ha dell'incredibile. Con il tempo, i processi industriali in tutto il mondo hanno ridotto, in quindici anni, i costi della metà o addirittura di due terzi. Qui da noi, siccome il prezzo del latte al consumo è triplicato, mentre il costo alla produzione è diminuito o è rimasto stabile - il ragionamento vale per tantissimi altri prodotti - siamo di fronte a un dato statisticamente asseverato che testimonia un'enorme distorsione della concorrenza.
Confermo quindi la mia richiesta di conoscere se, anche in questo ambito, l'Autorità stia per intraprendere qualche iniziativa.

LUDOVICO VICO. Signor presidente, rivolgo un saluto di benvenuto al presidente Catricalà.
Porrò due ordini di domande diverse fra loro: a proposito di controllo della concorrenza, di vigilanza e di monitoraggio, le chiedo, presidente Catricalà, quali strumenti siano oggi attivi e quali competano all'istituzione che lei rappresenta. Mi domando se sia mai possibile che un prodotto di cotone possa costare meno del filato che serve per produrlo; infatti, se un


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prodotto di cotone si colloca sotto i 2,54 dollari, ciò vuol dire che costa meno del filato. Ebbene, in Italia viene importato un prodotto che ha un prezzo al di sotto dei 2,54 dollari!
Non mi dilungherò oltre, ma questo è un problema che riguarda soprattutto il sistema delle piccole e medie imprese. Mi chiedo quale manovra, quale spazio, quale diritto possa avere la concorrenza, sussistendo fenomeni che mi permetterei sommariamente di chiamare non legali (almeno dal punto di vista delle convenzioni internazionali fin qui sottoscritte). La situazione esige probabilmente il forte auspicio dell'introduzione di nuove regole, non tanto sui capitali finanziari (che scopriamo oggi), quanto piuttosto sul commercio.
Le domando, presidente, se l'Autorità garante della concorrenza e del mercato sia informata e se le competa l'osservazione e il monitoraggio su uno dei due fenomeni di cui ora parlerò rapidamente: la «sottofatturazione» dei beni in entrata alle dogane italiane. Forse meriterà modificare nuovamente la nuova legge, per tornare a quella precedente, tenendo come base il valore reale del bene e non quello dichiarato, per cui una T-shirt di cotone egiziano - il più costoso, in assoluto, nel mondo - entra a 1,50 dollari al chilo, cioè allo stesso prezzo del tessuto sintetico. Mi permetto di chiederle se questo sia un fenomeno che ricade fra le competenze dell'Autorità da lei presieduta.
L'altro fenomeno è quello della «sovrafatturazione», meno indagato. Se ne occupano infatti le autorità competenti della Direzione antimafia ma, se fosse solo di loro competenza, ciò non sarebbe sufficiente. La «sovrafatturazione», ancora una volta (se il fenomeno corrispondesse realmente allo schema di cui ho potuto prendere visione nel mio ruolo di parlamentare e non di operatore del settore), porterebbe un ulteriore danno al sistema delle micro e medie imprese, come da lei rilevato nella sua relazione, che condividiamo interamente.
La sovrafatturazione, si dice nella moderna letteratura, segue due tipi di procedimento: il primo è quello legato all'export, per cui, se posso tradurlo in parole semplici: «vendo fuori, dichiaro che fatturo a dieci, l'IVA è al venti per cento e sono persino creditore dello Stato». Ebbene, per le PMI personalmente non sono in grado di immaginare questa strada come una possibilità concreta.
L'altro fenomeno della sovrafatturazione avviene nel campo dell'import e risulta più ostico da comprendere per chi non è operatore del settore, in quanto configura un'illecita costituzione di fondi all'estero. In Europa abbiamo Paesi in cui è possibile costituire con molta facilità una società finanziaria, mi riferisco in particolare all'Olanda e all'Austria, tramite cui si fa rientrare quello che, come prodotto, risulta importato. In questo campo mi sento un neofita, capisco però che né il legislatore, né il Governo in carica - lo dico con piena onestà intellettuale - dispongono attualmente di uno strumento efficace che permetta almeno di monitorare questi fenomeni. Solo una loro analisi, ancorché parziale, ci può consentire di far fronte alle situazioni più emergenziali. Nel nostro Paese bisogna fare in modo che la trasformazione del manufatto rimanga in loco, soprattutto nelle fasi di sviluppo dell'innovazione tecnologica di processo e di prodotto, così da determinare un futuro che non sia semplicemente legato alla tutela della qualità.
Vorrei porre due ulteriori domande al presidente dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato. In primo luogo, vorrei chiederle se abbiamo un monitoraggio sulla concorrenza, che riguarda i servizi resi dalle libere professioni al cittadino italiano e al sistema delle piccole e medie imprese. È troppo facile limitarsi a evocare l'esistenza di un cartello delle corporazioni. Così facendo, senza istituire un osservatorio di questo «spettro» della concorrenza, si comincerebbe a dire che l'IVA la paga il consumatore finale, che tutto si scarica sul mercato, insomma tutta la giaculatoria che in simili casi si sciorina anche quando il legislatore, in realtà, è effettivamente impegnato nella riforma delle professioni.


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La seconda domanda riguarda il monitoraggio sulla concorrenza nel settore del credito. Nel sistema bancario italiano, nella sua accezione larga, è molto facile determinare il tasso di interesse (ora è fisso, per tante ragioni) al momento della contrazione di un mutuo, un po' meno nel caso di un debito.
Le chiedo, presidente, se questo monitoraggio esista, o quali strumenti possano essere suggeriti attraverso le audizioni che la X Commissione sta svolgendo. Il monitoraggio di questo fenomeno, a mio giudizio, si pone in una relazione stretta con i riflessi che il credito determina sull'unità di prodotto nel sistema delle piccole e medie imprese, sul versante sia del costo di produzione, sia dell'investimento di processo o di prodotto.

PRESIDENTE. Per una migliore organizzazione dei lavori, se non ci sono obiezioni, darei la parola al presidente Catricalà, perché possa rispondere alle domande fin qui poste, per poi passare al secondo gruppo di interventi dei colleghi iscritti a parlare.

ANTONIO CATRICALÀ, Presidente dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato. Signor presidente la ringrazio, anche perché le domande poste sono già sette. Comincerei con la risposta all'onorevole Torazzi: non volevo dare l'idea di essere un trionfalista della globalizzazione. Sappiamo quali sono i limiti di questa forma di mercato che, d'altra, parte è stata inarrestabile. Non si è trattato di una scelta della politica: penso che sia stata una forza quasi naturale del mercato stesso. Per citare Seneca, non possiamo fermare il vento con le mani. Mi rendo conto di tutti i limiti collegati a questa forza della natura non sufficientemente considerati dai poteri politici e dagli istituti preposti alla tutela, soprattutto, dei mercati finanziari. Alla fine, è successo che da una situazione di noncuranza e non osservanza delle regole da parte di alcuni operatori, a macchia d'olio, si è verificata una crisi finanziaria che ha dato luogo alla crisi economica che si sta affacciando oggi in Europa.
È chiaro che guardiamo a questo fenomeno con tutta la circospezione del caso. Tuttavia, continuiamo a dire - anche perché è la nostra missione - che le regole del libero mercato, che pur richiedono molti più controllori di un'economia protetta, devono continuare a valere soprattutto per l'Italia.
Più di altri Stati europei, l'Italia ha bisogno di esportare, di competere, di non basare tutto sull'intervento pubblico che, come si è poi dimostrato, non può essere all'altezza di quello di altre Nazioni che non hanno il nostro debito.
Conosciamo anche i grandi limiti della delocalizzazione, ma la consideriamo un'opportunità. È una scelta imprenditoriale che non possiamo valutare dal punto di vista politico e sociale, perché questo non è il mestiere dell'Antitrust. Si tratta di una facoltà dell'imprenditore che, alcune volte, ha avuto successo.
Su Alitalia, devo rivelarvi - anticipando quelle che sono le ordinarie procedure, poiché questa è l'unica sede innanzi alla quale l'Autorità viene chiamata a rispondere per il proprio operato (il mio capo ufficio stampa, al momento fuori con i giornalisti, probabilmente non approverà quanto sto per dirvi) - che oggi abbiamo deliberato una segnalazione al Parlamento, che vi arriverà durante la giornata di domani, inviata anche agli organi governativi e all'ENAC. Il vero problema delle disfunzioni riguarda la scarsità di slot disponibili a Linate. Su molte rotte, Alitalia detiene una situazione di monopolio che l'Antitrust non ha potuto correggere, per una scelta del Governo ratificata dal Parlamento, quindi non abbiamo potuto togliere a CAI alcuni degli slot presenti su questo particolare aeroporto, che tutti ci dicevano essere completamente regolamentato e congestionato, tanto che non si poteva aggiungere nemmeno uno slot. Guardando bene la storia di Linate, in realtà, abbiamo scoperto una limitazione al numero degli slot che non è naturale, bensì è di tipo amministrativo.
Quando si decise di promuovere Malpensa, si stabilì di mettere un limite agli slot di Linate pari a diciotto voli orari,


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contro i venticinque precedenti. Ciò avrebbe consentito a Malpensa di svilupparsi maggiormente. All'epoca fu una scelta legittima. Probabilmente qualcuno ci potrebbe vedere qualche pratica concorrenziale, ma fu avanzata dall'ENAC e da organismi abilitati che consideravano quella determinata scelta come prioritaria. Abbiamo anche visto che la Commissione europea, che ha inviato osservatori e consulenti indipendenti, ha valutato che Linate può tollerare, senza problemi per la sicurezza, fino a trentadue movimenti orari. Non abbiamo potuto togliere gli slot ad Alitalia per darli ad altri ma, a prescindere da ciò, esistono altri slot disponibili, purché si rimuova il limite dei diciotto slot orari attualmente previsto. La segnalazione non giungerà in Parlamento prima di domani, ma non potevo tacere, perché sono stato specificamente interrogato su questo punto. Sostanzialmente, non abbiamo scoperto l'uovo di Colombo, ma semplicemente che, volendo, si può creare concorrenza anche su Linate. Stiamo anche monitorando, onorevole Torazzi, la situazione dei vari disservizi, alcuni dei quali sono di competenza degli aeroporti, dell'ENAC o delle carte di servizi.
Molti enti si stanno occupando di questi disservizi che, in una fase iniziale, potevano essere giustificabili, ma a questo punto dovrebbero terminare a breve. Stiamo monitorando e credo che i miei uffici di tutela al consumatore stiano assumendo iniziative autonome per verificare eventuali scorrettezze commerciali. Si tratta della seconda delle nostre possibilità ma, purtroppo, non c'è ancora alcuna decisione del Collegio al riguardo. Stiamo monitorando il rispetto degli impegni che abbiamo imposto a CAI di assumere con noi. Quegli impegni specifici risultano rispettati, per cui non abbiamo nessun motivo di agire per l'ipotesi abuso di posizione dominante. In particolare, risulta rispettato l'impegno che a noi interessa di più, cioè la base pari al 10 per cento di posti che devono essere riservati alle tariffe più basse di classe economy esistenti tra Alitalia e AirOne al momento della fusione. Questo impegno è stato completamente rispettato e abbiamo avuto riscontri, sia da qualche aeroporto, dove sono stati intervistati i passeggeri sia dai rapporti che la Guardia di finanza ci sta inviando. Stiamo valutando le cancellazioni citate, ma è chiaro che questo discorso è fortemente legato al problema degli slot. Se avremo altri slot disponibili, non bisognerà togliere nulla a nessuno e si potranno rispettare tranquillamente le norme IATA.
Mentre stiamo discutendo del fatto che questi slot non vengono completamente utilizzati, il Parlamento europeo, quasi all'unanimità (500 voti su 520), ha stabilito che è comunque legittimo il grandfather right, cioè la conservazione dei diritti acquisiti, anche se gli slot sono utilizzati solo all'80 per cento. Sostanzialmente, quindi, rischieremmo di andare contro una decisione del Parlamento europeo, l'unico a poter dettare modifiche sulle norme IATA. Questa è la situazione di Alitalia. Se saremo seguiti su questa idea di cominciare a liberalizzare l'aeroporto di Linate, si creerà concorrenza su questa importante rotta e ciò dovrebbe in qualche modo alleggerire il clima di tensione che si è determinato. Abbiamo molte proteste anche da parte di consumatori singoli, di viaggiatori, sulle quali non siamo competenti a intervenire. Il nostro intervento avviene per un abuso di posizione dominante o per pratica commerciale scorretta: ci deve essere una ripetizione, una serialità e un disegno. Finora, non siamo riusciti assolutamente a provarlo, ma uno dei nostri uffici ci sta lavorando su e ha promesso risultati in tempi brevi.
Un'altra domanda che mi è stata rivolta riguardo le nostre competenze si lega alla domanda dell'onorevole Vico in tema di concorrenza sleale per dumping, che sostanzialmente si esplica nella concorrenza che riceviamo dalla Cina, dove la bilancia commerciale pende fortemente a favore di quest'ultima. Questa competenza non riguarda specificamente l'Autorità, bensì l'Organizzazione Mondiale del Commercio, in cui siamo rappresentati due volte, cioè come Italia e come Europa. Eppure, nella


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logica delle relazioni internazionali, non siamo riusciti a far passare, finora, regole che riescano a riequilibrare questo gap che ci crea un forte handicap. Spesso, come diceva l'onorevole Vico, alcuni prodotti che provengono dalla Cina, a livello di bene finito costano molto meno del «grezzo» che viene importato da altri Paesi.
L'onorevole Vico segnalava anche un altro serio problema, quello della sottofatturazione. Mi rendo conto che ormai, forse perché l'Antitrust è molto esposta, si ritiene essere l'unico vero regolatore di tutti questi aspetti. In realtà, quello evocato è un problema, molto serio, di competenza del WTO e che si connota come reato di evasione fiscale. Dice bene l'onorevole, quando ritiene che ci debba essere competenza non solo della Guardia di Finanza, ma anche della magistratura.
Per quanto riguarda il monitoraggio sulle libere professioni e sullo stato della concorrenza, abbiamo di recente inviato al Parlamento un'indagine conoscitiva, secondo la quale gli ordini hanno resistito alla liberalizzazione, con codici etici che si sono dimostrati restrittivi. Stiamo lavorando sulla possibilità di aprire indagini istruttorie per intesa sul semplice codice etico e abbiamo avviato già alcune istruttorie per singoli comportamenti di ordini. Ad esempio, il competente ordine ha sanzionato alcuni odontoiatri che aderivano a un'iniziativa di una associazione di consumatori a Bolzano, pubblicando online le proprie tariffe. È strano che proprio gli odontoiatri facciano questo, poiché i loro avversari non sono rappresentati dalla concorrenza, bensì dall'abusivismo. La loro professione è la più esposta, in questo senso, in Italia. L'idea di mettere un po' di pubblicità su Internet dovrebbe piacere all'ordine perché, almeno, si sa chi sono, è chiaro qual è il loro numero e quali sono le persone che esercitano. Abbiamo dovuto aprire un'istruttoria, ci sono stati presentati alcuni impegni, che non sono sembrati sufficienti, per cui procederemo all'accertamento delle responsabilità.
Abbiamo fatto la stessa cosa con i veterinari, per un'intesa restrittiva che aveva portato a sanzioni da parte del Consiglio dell'ordine nei confronti di una veterinaria di Torino, che praticava la professione a bassi prezzi. Adesso stiamo verificando se gli impegni che sono stati assunti, ancora prima della stessa «legge Bersani», sulla cancellazione della procedura, sull'apertura alla possibilità di fare pubblicità, sull'abolizione delle tariffe minime, siano stati portati a termine. Sembrerebbe che gli impegni siano stati rispettati, anche se la veterinaria è stata comunque in qualche modo sanzionata dall'ordine su profili che non attengono alla concorrenza.
Abbiamo svolto un'indagine conoscitiva anche sulle banche, che, per la verità, non è stata ben accolta, sia dal mondo bancario e assicurativo, sia da alcune parti politiche. Non è stata gradita la rivelazione che l'80 per cento delle banche italiane e delle assicurazioni delle SGR (Società di gestione del risparmio) presenta fenomeni di interlocked directory e di sovrapposizione di intrecci azionari, da cui scaturisce una grave limitazione della possibilità di fare concorrenza. In realtà, su alcuni blog questi dati erano già emersi. Non abbiamo, peraltro, assunto alcun dato da questi blog: abbiamo svolto la nostra indagine su un campione che riguardava la quasi totalità degli enti (l'82-84 per cento) e abbiamo indicato quali sono i punti deboli e le sovrapposizioni, chiedendo un disegno di autoriforma che non è arrivato.
In seguito, ho chiesto dinanzi alla Commissione finanze della Camera, che si cominciasse a pensare a un disegno di legge di principi sulla governance bancaria. Allo stesso modo, riteniamo che anche le libere professioni necessitino di una legge di principi sugli ordini. Parlo di professioni svolte da persone operose e oneste. Sostanzialmente, nessuno si sente di dare il benché minimo suggerimento al singolo professionista, per come agire nel proprio mestiere. Certamente, come dappertutto, esiste anche qualche pecora nera, ma il problema è che queste pecore nere non ricevono mai, all'interno dell'ordinamento, una giusta sanzione. Ciò dipende dalla conformazione degli ordini. Se riusciremo, come sistema Paese, a modificare la composizione


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degli ordini, se il Parlamento imporrà la presenza negli ordini di esponenti che lo stesso Parlamento sceglierà al di fuori della corporazione, allora gli ordini si automodificheranno e cercheranno il valore della professione non nella tariffa minima, bensì nel servizio reso al cliente, nella formazione e nell'aggiornamento professionale.
Qualche volta, in effetti, un comune cittadino che ricorre all'ordine potrebbe pure avere ragione, mentre oggi questa eventualità si verifica molto di rado.

PRESIDENTE. Riprendiamo gli interventi degli onorevoli colleghi che intendono formulare quesiti e osservazioni.

RAFFAELLO VIGNALI. Vorrei fare una premessa, prendendo spunto dalla vicenda di Linate. Capisco le ragioni del presidente e capisco anche il problema, ma ho il terrore che alle volte si guardi un mercato da liberalizzare senza tenere conto del contesto. Ad esempio, se liberalizzare i voli su Linate significasse avere più voli su Roma, ma ciò comportasse la cancellazione di tratte diverse dalla Milano-Roma, per l'economia sarebbe un disastro. In Europa, per fortuna, si sono fermati nell'offensiva sulle BCC e sulle banche popolari.
Non credo che liberalizzazione di mercato significhi contendibilità. Può essere accettabile se si parla di un oligopolio, ma se si parla di un mercato in cui sono presenti tanti soggetti, sarebbe come obbligare qualcuno a vendere la casa nel momento in cui qualcun altro gliela vuole comprare. Lo stesso criterio si applica alla questione del gas, che certamente non riguarda la sua Autorità, presidente, ma un'altra. Ritengo un errore clamoroso pensare, come si fa in Europa, che il gas sia solo una commodity, mentre oggi esso rappresenta un elemento fondamentale della geopolitica. Le nuove armate della Russia non sono più le divisioni, bensì i gasdotti. Se pensiamo che l'Europa sia un mondo chiuso, compiamo un errore. Ciò, peraltro, non significa che si debba liberalizzare il mercato. Nel sistema italiano abbiamo un sistema micro che, come lei dice nella sua relazione, presidente, funziona. Le imprese vanno avanti perché innovano e perché sono internazionalizzate. C'è un forte momento di difficoltà, ma anche una grande vivacità. Quello che non funziona è il sistema macro. Abbiamo un sistema di regole farraginose, una burocrazia che non funziona, abbiamo una giustizia civile che è un disastro e infrastrutture che non ci sono, o che funzionano male. Mi verrebbe da dire che, se c'è un abuso di posizione dominante, in Italia è quello dello Stato e della pubblica amministrazione.
Da questo punto di vista, ci sono tre schemi con cui l'Antitrust, anche attraverso suggerimenti concreti, può aiutare il processo di liberalizzazione. Sono tutti punti che lei ha citato, almeno in parte.
Il primo punto è lo snellimento burocratico che, oggettivamente, anche dal punto di vista della sua Autorità, riguarda tanti problemi e «colli di bottiglia». Credo che sarebbe utile un'indicazione alla Commissione, riguardo ai temi su cui lavorare.
Non posso che condividere - ma su questo non credo ci possiate purtroppo aiutare - le sue conclusioni, quando lei afferma che gli interventi diretti di sussidio sono sbagliati. Sarebbe ora di decretarne la fine. Personalmente, sono per gli incentivi automatici e, soprattutto, per gli incentivi fatti utilizzando la leva fiscale. Ciò significa intervenire a investimento fatto, premiare il merito e non falsare la concorrenza, poiché si interviene comunque sul prodotto dei fattori, non abbassando il costo di uno dei fattori. Inoltre, occorre intervenire su certi temi - mi occupo soprattutto di innovazione - e su certe aree della politica: negli scorsi giorni, il Ministero dello sviluppo economico ha pubblicato la graduatoria di un bando sull'innovazione emesso nel 2002. Delle due l'una: se c'erano dei progetti di innovazione, sono già stati realizzati; se non sono stati realizzati, non sono progetti di innovazione. Inoltre, evidentemente, gli interventi diretti privilegiano sempre e comunque solo certe imprese, una certa dimensione di impresa. Le piccole imprese


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che accedono, ad esempio, al sistema degli incentivi per la ricerca e l'innovazione non supera, in Italia, il due per cento. Anche qui, credo che usare altri sistemi garantirebbe anche una maggiore concorrenza.
Vengo al grande tema che i permessi e le certificazioni. Siamo usciti a fare qualcosa con il provvedimento C. 1441-ter, che oggi ci torna finalmente dal Senato. In un sistema dove esistono standard - penso alle certificazioni ISO - cioè laddove esiste già una certificazione privata, trovo francamente assurdo che lo Stato vada a verificare un'altra volta. Faccio un esempio: se installiamo una centralina elettrica che, fra le varie cose, deve essere anche antisismica, i vigili del fuoco non la smontano certamente, né la portano al laboratorio. La duplicazione delle verifiche aumenta i tempi e diminuisce la competitività. Concludendo, le chiedo se abbiate suggerimenti soprattutto sul fronte dello snellimento procedurale.

SAVINO PEZZOTTA. Ringrazio per quanto il presidente Catricalà ci ha detto. Intendo porre due o tre domande. Su Alitalia, la risposta del presidente Catricalà mi conferma che ho fatto bene a votare contro. Pertanto, sono felice, perché lei mi conferma che in quel caso è stato commesso - oggettivamente, dal mio punto di vista - un errore. Lo vedremo anche più avanti. Condivido la sua affermazione che non bisogna ricorrere a forme dirette, o indirette, di protezionismo. Ma tutti stiamo dicendo la stessa cosa. Il mio problema, però, è che 17 Paesi, su 20 che partecipano al G20, hanno introdotto misure restrittive. Non si tratta di dazi, bensì di deregolamentazioni che riguardano il mercato del lavoro, la sanità, un insieme di protezioni sociali e cose del genere che, di fatto, introducono un elemento di protezionismo sulle spalle dei più deboli. Da questo punto di vista, mi domando se la nostra ortodossia antiprotezionistica non debba subire qualche elemento correttivo. Altrimenti, alla fine, scarichiamo tutto su quelli che hanno meno possibilità di tutela e di difesa.
La seconda questione che le pongo - sempre per capire meglio - riguarda la vicenda delle delocalizzazioni. Le domando se saremo in grado di distinguere tra chi delocalizza per rincorrere il dumping sociale e chi, invece, delocalizza per penetrare sui mercati. Se non introduciamo questa distinzione, tutti i nostri discorsi cadono. Non sono contro la delocalizzazione, vorrei solo capire se si tratti di una delocalizzazione di tipo strategico, che favorisce la competitività e la penetrazione sui mercati, o se è solo uno spostamento per guadagnarci. In quest'ultimo caso, bisogna cercare di porre rimedio.
Terza questione: tessile e abbigliamento. Nutro una grande preoccupazione, non solo perché sono operaio tessile per formazione, ma anche perché non riesco a capire come si possa gestire questo settore. Niente protezionismo, per carità, ma non riesco proprio a capire. Se guardo la realtà che conosco, il livello tecnologico delle imprese tessili è al top. Più di lì non possono andare. E allora mi chiedo come si possa compiere un'operazione di transizione verso modelli e sistemi nuovi, senza fare un po' di protezionismo «temporaneo». Mi chiedo quali regole di contenimento, o di realizzazione, possa stabilire. Mi interesserebbe capire questo punto perché, in un suo passaggio, lei ha detto che, anche sulle regole volte a fornire almeno un po' di assistenza, bisognerebbe essere prudenti.
Vengo alla questione delle liberalizzazioni: ho la sensazione - lo premetto che si tratta di un dato soggettivo - che il processo avviato si sia un po' arrestato. Le chiedo se condivide questa sensazione. Se è così, occorre riprenderlo e rilanciarlo. Ho l'impressione che il processo si sia arrestato, addirittura con qualche inversione di tendenza.
Sulla farmaceutica, le domando quale sia la dipendenza, dal punto di vista dei brevetti, delle nostre imprese farmaceutiche dai grandi colossi farmaceutici internazionali, e quali siano le ricadute sul nostro sistema. Secondo me, la nostra industria farmaceutica si è già ristretta,


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ma quanto più diventa dipendente, tanto meno si allargherà. Pertanto, andremo a penalizzare tutta un'area della ricerca che, invece, potrebbe svilupparsi proprio attorno all'industria farmaceutica. Mi domando come si possa gestire una situazione di trasformazione come questa, nella quale siamo stati buttati dentro, e come si possano gestire le fasi di transizione senza ricorrere a un protezionismo stretto. Ho il problema di come si possa riuscire a passare da una situazione a un'altra.

LAURA FRONER. Anch'io ringrazio il presidente Catricalà e, visto che parte delle domande che le devo sottoporre sono già state fatte dai colleghi, non le ruberò molto tempo.
Chiedo solo un'ulteriore specificazione: quando si è parlato di monitoraggio sui servizi resi dai professionisti, faccio presente che, oltre alle professioni ordinamentali, ovviamente esistono le professioni che non sono ancora regolamentate. Mi sembra che sussista nei confronti di queste ultime un problema ulteriore, anche riguardo alle garanzie da dare ai cittadini, a chi usufruisce dei servizi, visto che non ci sono ancora strumenti di controllo sufficienti. A questo proposito, ricordo che sono state assegnate alla X Commissione alcune proposte di legge e auspico che si possa andare verso una rapida trattazione dell'argomento, anche dal punto di vista normativo. Presumo infatti che ci sia bisogno di un approfondimento ulteriore, sia perché si possa garantire la qualità dei servizi offerti, sia perché sussista una maggiore possibilità di confronto sulla serietà di chi opera in questi campi, soprattutto prevedendo un'apertura ai professionisti che provengono anche da altri Paesi europei.
Mi unisco a quanto affermato dal collega Vignali in merito alle osservazioni sui tempi e sui costi legati alla burocrazia, a quello che le nostre leggi richiedono. Insomma, ai procedimenti e alle certificazioni. Mi ricordo che, qualche anno fa, partecipando a convegni di carattere europeo sulla semplificazione, si diceva che una delle regole dovrebbe essere quella di valutare l'impatto economico delle nuove normative. Paradossalmente, chiediamo a lei di richiedere a noi di prevedere una tale valutazione, che effettivamente sarebbe molto utile, anche perché l'impatto sui costi, anche per le imprese, non è di poco conto.

MATTEO COLANINNO. Grazie presidente, saluto anche io il professor Catricalà. In alcuni settori manifatturieri il sentiment sul mercato europeo dei prossimi cinque anni è di tipo flat, nel migliore dei casi, o tendenzialmente decrescente e ha come contropartita, invece, potenziali espansivi molto rilevanti sui mercati extraeuropei, asiatici in particolare.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE RAFFAELLO VIGNALI

MATTEO COLANINNO. Tornando alle considerazioni da lei svolte, le chiedo quale possa essere la leva su cui agire. Da una parte vi è una frazione molto limitata, rispetto al numero complessivo di imprese - parliamo della media impresa italiana - che ha grande capacità di esportazione e che probabilmente ha come capacità di sviluppo, nei prossimi anni, nei mercati di riferimento. Dall'altra parte abbiamo un numero elevatissimo di piccole e piccolissime imprese che, viceversa, non hanno il potenziale per conquistare quei mercati e hanno inoltre difficoltà di protezione tecnologica, organizzativa, gestionale e di distribuzione dei prodotti.
Anche in presenza di malaugurate pratiche di protezionismo - malaugurate, perché se guardo alla tendenza dei mercati europei in contrazione e degli altri in espansione, sono veramente rischiose e pericolose - su differenziali di prezzo spaventoso (il collega Vico citava l'esempio del prodotto finito di cotone che ha un costo inferiore al filato), è difficile capire quale possa essere il sistema per non incorrere in atteggiamenti severi da parte di mercati come quello americano (che già sta procedendo a pratiche di protezionismo), o nelle minacce - che chi opera sui


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mercati sente sulla propria pelle - da parte di quei grandi mercati asiatici che applicherebbero una reciprocità immediata, non appena noi dovessimo solo pensare di muoverci.
Le chiedo una sua personale valutazione, al di là dell'alto ruolo che lei ricopre rispetto al sistema produttivo italiano, sulle possibilità che lei intravede in termini di partnership, di rafforzamento e allargamento della base dimensionale. Questa è una preoccupazione che sembra non avere una soluzione.

PRESIDENTE. Do la parola al presidente Catricalà per la risposta agli ulteriori quesiti posti.

ANTONIO CATRICALÀ, Presidente dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato. Onorevole Vignali, lei parlava di snellimento burocratico e questo, ovviamente, è un tema molto caro all'Antitrust. Ne parlava anche l'onorevole Froner. Riteniamo che questa Nazione sia oppressa da troppo Stato. Mi riferisco non solo all'esistenza di leggi, ma alla duplicazione dei controlli, all'esistenza di sovrapposizioni di competenze, alla circostanza che ciascun istituto dotato di una minima competenza non vuole in alcun caso perderla e desidera esercitarla, anche ai limiti del ridicolo.
Abbiamo ricevuto denunce di imprese alberghiere aperte in Calabria, in zone in cui l'acqua è purissima (a Serra San Bruno), che hanno dovuto rinviare di un anno l'apertura perché un regolamento prevedeva la presentazione di un certificato mensile, per un anno, di verifica della potabilità dell'acqua. Ogni mese c'era una ASL a bloccare l'iniziativa. Poi c'è stato l'intervento dell'Antitrust e si è trovato un accomodamento. Ma quel decreto ancora esiste e potrebbe colpire ancora.
C'è un problema di facoltà decisoria finale tra le pubbliche amministrazioni, che non è risolto ancora a livello costituzionale. Non lo è neppure in materia economica, poiché la Corte costituzionale, sulla concorrenza, ha aperto qualche varco, sentenziando che, laddove si tratta di tutelare la concorrenza (che è una prerogativa strettamente statale), le leggi regionali non possono essere eccessivamente restrittive. È avvenuta qualche caducazione di legge regionale, qualche reiezione di ricorso delle regioni contro leggi di liberalizzazione approvate da passati Governi, ma queste sentenze della Corte costituzionale - che sono in tutto cinque o sei - non possono certamente fornire un indirizzo che, invece, dovrebbe venire da una discussione molto approfondita (e politicamente, credo, anche accesa) in Parlamento.
Non ritengo che possa realizzarsi uno snellimento burocratico efficace, se nell'attività procedimentale della pubblica amministrazione, che ormai vede intervenire più autorità a giusto titolo, non si prevede un momento finale in cui qualcuno si deve assumere la responsabilità della decisione - qualunque essa sia - anche contro le indicazioni proveniente da altri enti. Non si può arrivare a una tale decisione tramite lo strumento della Conferenza dei servizi, perché quest'ultima ha mostrato i suoi limiti rispetto a certe esigenze che nessuno ritiene possano essere sacrificate, ma che in alcuni casi sono state utilizzate per bloccare importanti iniziative. La salute, la sicurezza, l'ambiente: chi potrebbe mai pensare di sacrificare queste esigenze? Però, alla fine, qualcuno si deve rendere interprete di tutto e decidere.
Si potrebbe pensare anche a una forma di maggioranza nella decisione della Conferenza dei servizi, oppure a una decisione finale attribuita a un solo ente in particolare, non necessariamente allo Stato. Potrebbe essere il comune, oppure la regione. La verità è che qualcuno deve assumersi la responsabilità finale, altrimenti lo snellimento non ci sarà. Neppure ci saranno pratiche amministrative efficienti, fino a che il meccanismo dello spoil system creerà una stretta dipendenza dell'alta dirigenza dal potere politico, con una deresponsabilizzazione del potere politico stesso, in quanto oggi vige la separazione tra responsabilità politica e responsabilità amministrativa.


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Questi, secondo me, sono i due temi importanti che oggi dobbiamo trattare e dai quali scaturirà lo snellimento. Lo snellimento viene con la capacità di decidere e con la giusta allocazione delle responsabilità. Oggi, i dirigenti sono oppressi dal sistema dello spoil system e temono di perdere il posto, se dispiacciono al politico. Il politico, d'altra parte, non assume responsabilità gestionali. Quindi, siamo in una situazione effettivamente assai complessa, sulla quale il Parlamento dovrà intervenire prima o poi, considerando il problema da zero. Se bisogna fare qualche passo indietro riguardo a qualche scelta compiuta in passato, quando si è pensato che fosse giusto uno spoil system esteso, o il lasciare il tutto alla casualità della Conferenza dei servizi, penso che lo si possa anche fare senza danno per la nazione.
Sui sussidi diretti siamo pienamente d'accordo: siamo contrari. Siamo, invece, favorevoli a incentivi alla domanda, perché quest'ultima favorisce necessariamente il più virtuoso. Su questo punto dovremmo, credo, concentrare le nostre possibili idee.
Siamo molto favorevoli anche agli incentivi all'innovazione e alla ricerca scientifica e tecnologica. I fondi erano, una volta, molto ricchi e probabilmente non sono stati utilizzati bene. Però, da quello che mi risulta, non ci sono stati scandali su quei fondi, che oggi sono effettivamente poverissimi e incapaci di incentivare sia la ricerca scientifica, sia la ricerca tecnologica, sia l'innovazione di prodotto e di processo.
Sono anche d'accordo sull'impossibilità della nazione di sopportare la duplicazione delle certificazioni. Per noi, una certificazione rilasciata da un privato abilitato deve equivalere a tutti gli effetti a una certificazione rilasciata dall'ente pubblico. Diversamente, le certificazioni dei privati non servono assolutamente a niente e appesantiscono i costi dell'attività economica.
L'onorevole Pezzotta diceva che misure restrittive, da parte di molti dei 20 Paesi del G20, sono state quantomeno paventate. Sono misure realmente protezionistiche, oppure restrittive della concorrenza? Se guardiamo semplicemente ad alcuni aiuti di Stato operati, in quel caso la restrizione della concorrenza è immediata. In Italia non è così: noi non ci possiamo occupare degli aiuti di Stato, mentre la Direzione per la concorrenza europea è la direzione generale che si occupa degli aiuti di Stato. Quindi quelle misure sono di per sé restrittive. Però, veri protezionismi in Europa non ce ne sono stati. C'è stato in America un discorso di «buy America» che è rimasto a livello di slogan, altrimenti credo che ci sarebbe stata una maggiore protesta da parte degli stessi popoli. Il vero problema è che il protezionismo può anche proteggere, in un determinato momento, un determinato settore; però, alla lunga, crea tanti di quei disastri, dal punto di vista economico, che i Governi che hanno favorito il protezionismo vengono poi travolti, perché non hanno il consenso popolare.
È vero quello che lei diceva, onorevole Pezzotta: sussiste un tentativo di ritorno al passato, di riportare indietro le lancette degli orologi, perché le corporazioni sono ben organizzate e riescono ad avere molti accessi in Parlamento. Però, finora, per fortuna, si tratta di iniziative sporadiche, che si possono fermare. Sta a voi fermarle, nel senso che non si può tornare indietro sul «monomandato», non si può tornare indietro sulla possibilità di uscire, quando si vuole, da un contratto assicurativo lungo, non si può tornare indietro sulle tariffe. Queste sono conquiste che, immagino, sarebbe innaturale mettere in contestazione. Non si può tornare indietro neppure sulle parafarmacie, perché hanno creato tantissimi posti di lavoro: cinquemila nuovi addetti, tremila nuovi punti vendita, un abbassamento del 20 per cento del costo dei farmaci da banco. Mi chiedo come si possa pensare di ritornare indietro. Tocca a voi del Parlamento, riflettere su tutto ciò.
Le cose che l'onorevole Pezzotta diceva sul tessile sono vere. Sussistono grandi preoccupazioni anche per l'Antitrust. Peraltro, non possiamo immaginare come istituto alcuna forma protezionistica: sarebbe


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contro il nostro DNA. Speriamo si possa andare ancora più avanti nella filiera della tecnologia, del design, della moda, per vincere la concorrenza. Però le preoccupazioni rimangono.
L'onorevole Froner, oltre che sulla burocrazia, poneva un quesito sulle tutele rispetto alle prestazioni professionali. Ho detto prima che, secondo me, la prestazione professionale deve essere tutelata da un ordine, ma non da questi ordini. Deve essere un ordine diverso. Si può anche immaginare di istituire particolari Authority, ma se l'ordine funziona, è lui che tutela il decoro. Non alludo al decoro della tariffa, bensì della prestazione, per cui non ci saranno proteste. Purtroppo, la cultura della tutela del consumatore rispetto al professionista non è ancora penetrata in Italia. Lo vediamo quanto fatichiamo con i TAR e con le pratiche commerciali scorrette: molte volte siamo soccombenti, perché ancora si è fatta strada l'idea che il rapporto tra professionista e consumatore è paritetico.
Mi avvio alla conclusione, con la domanda molto difficile dell'onorevole Colaninno. È una domanda da premio Nobel, se avessi una risposta. È chiaro, onorevole Colaninno, che questo nostro sistema che lei giustamente chiama flat, non strutturato adeguatamente, viene a soffrire rispetto a una più consistente situazione concorrenziale, soprattutto nei momenti di crisi.
I distretti hanno dato buona prova. Lei, del resto, è stato presidente dei giovani industriali e io l'ho sentita più volte affermare che i distretti sono un'esperienza forte della nostra Nazione. Tra l'altro, credo anche unica e irripetibile. Probabilmente la loro epoca è finita, probabilmente dovrebbero cominciare a fare rete, a pensare a dimensioni più grandi. Si tratta di capire quali sono gli orientamenti dei singoli industriali e delle famiglie degli industriali, di non contrastare costumi e mentalità, perché il mercato, alla fine deve essere lasciato libero di essere come è, soprattutto quel mercato che ha dimostrato di funzionare.
Certo, la leva non può essere il protezionismo. Questo è sicuro. Può essere una visione più aperta dell'idea concorrenziale, che veda player più importanti affacciarsi sul mercato e non solo piccoli imprenditori. Oppure può essere una rete di piccoli imprenditori, che facciano sistema per l'acquisto dell'acqua, se devono produrre pellami, o per l'acquisto dell'energia, se devono produrre ceramiche. Ma una ricetta vera, onorevole, non ce l'ho.

PRESIDENTE. Grazie, professor Catricalà. Grazie anche alle persone che l'hanno accompagnata, il dottor Ferraro e il dottor Lalli. Credo che siano stati forniti spunti utili, di cui faremo tesoro anche nel documento finale di questa indagine conoscitiva. Grazie ancora.
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 16.

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