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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissione X
8.
Martedì 18 settembre 2012
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Laura Froner, Presidente ... 3

INDAGINE CONOSCITIVA SULLE CARATTERISTICHE ATTUALI DELLO SVILUPPO DEL SISTEMA INDUSTRIALE E IL RUOLO DELLE IMPRESE PARTECIPATE DALLO STATO, CON PARTICOLARE RIFERIMENTO AL SETTORE ENERGETICO

Audizione di rappresentanti di CGIL, CISL, UIL e UGL:

Laura Froner, Presidente ... 3 10 11 14
Arca Mario, Segretario nazionale della Flaei-CISL ... 5 6 11
Bitti Fiovo, Dirigente confederale della UGL ... 14
Cagliari Ivette, Segretario confederale della UGL ... 9
Filippi Antonio, Funzionario del dipartimento reti e terziario-CGIL ... 3 11
Fiore Giacinto, Funzionario della UIL ... 7 13
Quadrelli Bruno, Segretario del comparto energiaFemca-CISL ... 6
Scajola Silvano, Esperto del dipartimento pubblico impiego, artigianato, energia-CISL ... 4
Vico Ludovico (PD) ... 6 10
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro per il Terzo Polo: UdCpTP; Futuro e Libertà per il Terzo Polo: FLpTP; Popolo e Territorio (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, Democrazia Cristiana): PT; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling; Misto-Repubblicani-Azionisti: Misto-R-A; Misto-Noi per il Partito del Sud Lega Sud Ausonia: Misto-NPSud; Misto-Fareitalia per la Costituente Popolare: Misto-FCP; Misto-Liberali per l'Italia-PLI: Misto-LI-PLI; Misto-Grande Sud-PPA: Misto-G.Sud-PPA; Misto-Iniziativa Liberale: Misto-IL.

COMMISSIONE X
ATTIVITÀ PRODUTTIVE, COMMERCIO E TURISMO

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di martedì 18 settembre 2012


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PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE LAURA FRONER

La seduta comincia alle 13,10.

(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).

Audizione di rappresentanti di CGIL, CISL, UIL e UGL.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulle caratteristiche attuali dello sviluppo del sistema industriale e il ruolo delle imprese partecipate dallo stato, con particolare riferimento al settore energetico, l'audizione di rappresentanti di CGIL, CISL, UIL e UGL.
Do la parola ai rappresentanti presenti, precisando che, come di consueto, al termine del loro intervento, i deputati potranno intervenire per porre quesiti e formulare osservazioni e ricordando, in relazione all'ordine dei lavori, che è necessario terminare l'audizione entro le 14,30, in quanto è prevista una seduta congiunta con un'altra Commissione.

ANTONIO FILIPPI, Funzionario del dipartimento reti e terziario-CGIL. Rispetto all'indagine che la Commissione sta svolgendo da diverso tempo, riteniamo che le imprese partecipate, soprattutto per quanto riguarda il comparto dell'energia, possono giocare un ruolo anticiclico per l'economia del nostro Paese. Bisogna solo imprimere indirizzi precisi anche da parte degli organi politici e delle varie amministrazioni.
La questione centrale per le imprese partecipate nel settore energetico riguarda essenzialmente il costo dell'energia, che in Italia è fino al 30 per cento superiore a quello praticato in molti altri Paesi.
Nel programma che ci avete inviato - eventualmente, entreremo ancora più nello specifico - ci indicate l'analisi compiuta dall'economista Reviglio in base alla quale lo Stato ricava dalle società partecipate, che ammontano a un valore complessivo di circa 45 miliardi di euro, soltanto l'1,8 per cento, mentre per le altre società l'utile di rendimento è mediamente del 6,7 per cento. La nostra resta sempre una riflessione aperta alla discussione: se il rendimento è minore perché sono stati fatti e si faranno maggiori investimenti e quindi si crea lavoro, domanda interna e sviluppo, non si vede la ragione di una eccessiva preoccupazione; se il rendimento, invece, è predeterminato da altre difficoltà, ovviamente è qui che bisogna riflettere.
In sintesi, non troviamo disdicevole in un momento come questo, almeno per quanto ci riguarda, che realtà importanti del nostro Paese, come Cassa depositi e prestiti, possano svolgere un intervento diretto soprattutto per le realtà in difficoltà. Non intendiamo mettere in discussione la scelta compiuta da tempo sulle liberalizzazioni e sul fatto che la mano pubblica deve uscire dall'attività produttiva centrale. Sappiamo bene che in questo


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momento grandi realtà produttive nazionali hanno difficoltà di accesso a finanziamenti e gravi problemi di bilancio. Non possiamo permetterci di perdere ulteriori settori delle nostre attività manifatturiere e delle nostre realtà produttive strategiche. Il nostro segretario generale già da tempo ha indicato che l'intervento pubblico di risanamento per tornare sul mercato non è disdicevole, a meno che non ciò non significhi che il mercato chiude e punto e a capo.
È sotto gli occhi di tutti - e voi, rappresentanti del Parlamento, dovete seguirla attentamente - la vicenda dell'Alcoa, un'azienda non partecipata, dove abbiamo un problema vero di costo dell'energia, analogo a quello di numerose altre realtà produttive. È pertanto necessario prioritariamente un intervento di diminuzione del costo energia, per esempio - è questa la nostra proposta - sganciando il prezzo del metano dall'andamento del prezzo del petrolio. Oggi, infatti, il metano influisce per il 90 per cento sulla nostra energia ed è l'elemento centrale per quanto riguarda la produzione. D'altro canto, bisogna fare una scelta, in parte annunciata con la Strategia Energetica Nazionale presentata dal Ministero dello sviluppo economico, che però ancora non va nella direzione giusta, ossia quella indicata dall'Europa di «de carbonizzare» la nostra economia entro il 2050. Sono tempi lunghi, ma necessari per risolvere i problemi reali, strutturali, che non si risolvono, appunto, nell'immediato, se non con interventi diretti. Questo ci consentirebbe di affrontare in modo diverso la trasformazione del nostro apparato produttivo. Le imprese quotate - Snam Rete Gas, Terna, Enel, ENI e così via - potrebbero dare un contributo in questa direzione. Le imprese pubbliche, attori principali - avete fatto un'analisi delle aziende municipalizzate, o partecipate dal pubblico direttamente sui servizi locali - possono dare un grande contributo per risolvere i problemi della nostra economia. Certo, l'indirizzo politico dovrà essere diverso rispetto a quello intrapreso.
In sintesi, siamo in un momento di radicale mutamento dell'economia legata al carbone. Prima di noi hanno vissuto la stessa situazione gli allora rappresentanti dello Stato, delle associazioni, del movimento operaio all'inizio del Novecento, quando si è passati dall'epoca della civiltà contadina all'età del vapore e del carbone fino all'industria. La trasformazione ha pagato dei prezzi. Dobbiamo attrezzarci perché questi oggi siano minori. Penso alla formazione, alla trasformazione, all'efficienza che va garantita all'interno dell'impresa.
Se non assumiamo queste decisioni strategiche, è ovvio che anche le imprese partecipate e quotate e in cui lo Stato è presente pagheranno conseguenze dirette. Usciamo da un'era, quella del carbone, ed entriamo in un'altra: queste imprese possono assumere un ruolo importante per la futura economia.

SILVANO SCAJOLA, Esperto del dipartimento pubblico impiego, artigianato, energia-CISL. L'intervento sarà diviso in tre brevi parti: interverranno, dopo di me, Mario Arca, della Flaei, e Quadrelli, della Femca.
Svolgerò innanzitutto una breve introduzione. Rispetto al tema dell'audizione di oggi, occorre dire che negli ultimi vent'anni l'industria a partecipazione pubblica è una tipologia ormai superata. Soprattutto al Sud ha lasciato vuoti occupazionali a causa di processi di privatizzazione e liberalizzazione non ancora completati. Se parliamo, quindi, di industria a partecipazione pubblica trainante rispetto alle PMI, il campo è molto ristretto. Abbiamo le due grosse aziende nel settore energetico, ENI ed Enel, poi Finmeccanica e Fincantieri, poi c'è un segmento di STM, senza dimenticare il ruolo della Cassa depositi e prestiti, ma ristretta realtà molto specifica.
L'altro fatto importante è che la crescita delle piccole e medie imprese negli ultimi vent'anni, la cosiddetta terza rivoluzione industriale, è nata dai territori, da filiere territoriali con una logica del tutto sganciata da quella delle partecipazioni


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statali. Non c'è un nesso tra questi due aspetti. Un tempo le imprese pubbliche tentavano di organizzare l'indotto ai fini di ricadute territoriali: così non è più e le imprese che sono cresciute, sia piccole sia medie sia imprese multinazionali italiane, sono frutto di una cultura territoriale completamente avulsa dalla logica delle partecipazioni statali.
Di Enel parleranno più diffusamente i colleghi. Qui noto semplicemente che ENI ed Enel sono più che volani per le piccole e medie imprese. Sono portatori di conoscenze tecnologiche, sono le più grandi imprese internazionalizzate che abbiamo in Italia. Tirano venti di privatizzazione anche in questo campo, ma sarebbe una sciagura alienare un patrimonio tecnologico e di grande capacità come quello in ENI ed Enel per motivi di riduzione minimale del debito pubblico.
Arriviamo all'industria. Qui sono sul tappeto due temi grossi: Finmeccanica e Fincantieri. La prima è l'ultimo gioiello delle partecipazioni statali, società con una grande capacità di ingegneria, che presidia settori importanti, dall'aerospaziale, all'aeronautica, al ferroviario, alla progettazione di impianti, con imprese importanti. Finmeccanica, ad esempio, condotta con una logica che tiene conto ancora del residuo del capitale pubblico intorno al 30 per cento, può rappresentare un driver importante.
L'esempio che intendo illustrare più in dettaglio, che può essere esteso anche ad altre realtà, di Finmeccanica è quello dei poli aeronautici. Noi abbiamo cinque poli aeronautici italiani, di cui uno nel Lazio, uno in Campania e uno in Puglia, per cui il Sud è rappresentato, oltre che a Varese e a Torino, e sono poli che vanno bene. Hanno ottime performance di esportazione nel 2012 rispetto agli altri poli e distretti ed è in corso una riorganizzazione tanto che si parla di megadistretto.
Esiste un interessante bando del MIUR sui cluster nazionali, sulla ricerca, per l'appunto, che cerca di organizzare intorno ai capofila, tutte aziende Finmeccanica, Alenia Aermacchi, Agusta, Thales Alenia Space e Avio, filiere di ricerca che coinvolgano direttamente le piccole e medie imprese. È un esempio virtuoso di filiera a capofila di grandi aziende internazionali, che organizza e cerca di far crescere, contestualmente, in una logica di megadistretto, anche le piccole e medie imprese.
Fincantieri si trova in una situazione di profonda crisi, ma con un indotto in tutta Italia numeroso e qualificato che rischia di sparire se Fincantieri non riuscirà nei prossimi due o tre anni a riposizionarsi sul mercato internazionale. Il sindacato sta gestendo un accordo difficile, ma visto che Fincantieri è l'unica a intero controllo pubblico, c'è stato un accordo fino al 2011 con il Ministero dello sviluppo economico e credo che si sia sensibili alla ricaduta delle attività dei grandi gruppi sul terreno delle piccole e medie imprese. A Fincantieri il Governo deve assicurare un'attenzione particolare e proseguire con una politica che tenga conto anche della natura del soggetto pubblico.

MARIO ARCA, Segretario nazionale della Flaei-CISL. Tentando il massimo della sintesi, mi avvio a svolgere una prima analisi del settore elettrico. Esistono, segnatamente nel settore elettrico, tre tipologie di società pubbliche partecipate: la prima attiene all'Enel, impresa industriale multinazionale, che opera sui mercati nazionali e internazionali, collocata in borsa; la seconda è quella di imprese completamente e totalmente partecipate, come GSE, AU e GME, società che sovrintendono e regolano il sistema, ma anche Terna, partecipata al 29,8 per cento da Cassa depositi e prestiti, che ha la mission di regolare e gestire la rete nazionale trasporto; resta tutto il sistema delle ex municipalizzate, A2A, Hera, IRE, che fanno capo a partecipazione di enti locali.
Alla domanda se queste tipologie di imprese assolvano a un ruolo in termini di sinergia rispetto allo sviluppo del sistema produttivo industriale, la risposta secca potrebbe essere un «no» con punto esclamativo. È chiaro che va, comunque, argomentata anche perché non è né una questione di volontà, quanto piuttosto di con


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testo. Si tratta, infatti, di imprese che operano in un contesto assolutamente complicato, reso evidente dal fatto che per la prima volta, dal dopoguerra a oggi, i consumi elettrici hanno subìto una flessione a seguito dalla crisi partita nel 2008. Si è dimostrato, infatti, che ormai i consumi elettrici sono strettamente legati all'andamento dell'economia. Queste imprese rispondono alla borsa, innanzitutto, a esigenze finanziarie e, soprattutto, all'esigenza primaria del loro investitore pubblico, che fa prevalere, piuttosto che la mission in termini sociali, le esigenze di stacco di cedole di fine anno. Il Ministero dell'economia e delle finanze, che partecipa l'Enel, o il comune di Milano, che partecipa A2A, hanno come primo driver, rispetto alla partecipazione, il ritorno del capitale investito, forse anche più di un capitalista privato. Questo mette in secondo piano tutto il resto del processo.
In buona sostanza, oggi possiamo affermare che le imprese partecipate dal pubblico nel settore elettrico non dico che abbiano perso la mission, ma che questa va in qualche modo ricalibrata e ricondotta alle origini. La partecipazione del pubblico in questo settore non può essere una mera finalità di recupero di risorse da destinare agli enti locali o alle casse dello Stato quanto quella, invece, di sostenere in termini di infrastruttura primaria lo sviluppo del sistema produttivo italiano, ma anche l'abbattimento del costo energetico per famiglie e imprese. Se non si riscopre questa funzione, temiamo che la situazione possa continuare forse non a degenerare, un termine forte, ma almeno a rimanere tale.
Questo è evidente anche da alcuni segnali che teniamo sotto osservazione. Basti pensare al sistema degli appalti, che «campano» delle commesse prevalentemente dell'Enel, che vivono un contesto di massimo ribasso che, addirittura, ha visto prevalere sulle imprese italiane le imprese spagnole con ribassi del 60 per cento.

LUDOVICO VICO. Che percentuale del 60 per cento? Quanti scioperi ci sono stati?

MARIO ARCA, Segretario nazionale della Flaei-CISL. Il settore è regolato dalle legge n. 146 del 1990.
Sostanzialmente, non si può affrontare un problema di questo tipo se non affrontando il problema più complessivo della rimessa al Governo di tutto il settore elettrico italiano, che ha bisogno comunque di indirizzi forti, cogenti e, soprattutto, di un ruolo delle partecipazioni pubbliche che ritorni alle origini e non si limiti esclusivamente a far cassa dalle semplici partecipazioni.
Per questo, crediamo che sia necessario riattivare, o meglio attivare ex novo una cabina di regia partecipata anche dalle forze sociali.

BRUNO QUADRELLI, Segretario del comparto energia Femca-CISL. Utilizzerò i pochi minuti a disposizione soffermandomi sul ruolo dell'ENI, presente in Italia soprattutto nel settore della raffinazione, che è il settore che in questa fase sta subendo le maggiori difficoltà e che, in ogni caso, è strategico rispetto al Paese per l'attività che svolge e per i contatti che ha con le piccole e medie imprese, soprattutto dal punto di vista degli appalti e ancor più dell'approvvigionamento energetico. Oltre ad una breve presentazione rivolgerò anche una richiesta molto concreta.
ENI ha in Italia 5,5 raffinerie, che da sole occupano intorno ai 5 mila addetti. Va anche tenuto presente, però, che perlomeno altri 3 mila sono addetti dell'indotto. Il numero di addetti complessivo si aggira intorno ai 15 mila, considerando tutte le risorse messe in campo da un settore strategico di per sé.
Dal 2008 stiamo subendo la crisi del settore raffinazioni. In Italia ci sono 15 raffinerie, di cui, come dicevo, 5,5 dell'ENI. L'accordo per la chiusura della raffineria di Roma è stato siglato la settimana scorsa; sono state chiuse anche la raffineria Tamoil di Roma e TotalErg; la raffineria Tamoil di Cremona è stata chiusa ad aprile dell'anno scorso. Mi soffermo pochi istanti sul fatto che esiste il rischio grosso che potremmo passare da Paese raffinatore dei prodotti greggi del


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petrolio, a Paese che importa direttamente prodotti raffinati, con un indebolimento palese della filiera energetica.
Importiamo i prodotti dai Paesi esteri, tra cui quelli emergenti, e in ogni caso dove si stanno costruendo raffinerie che producono dai 20 ai 30 milioni di tonnellate di prodotto all'anno. La produzione di greggio in Italia si aggira intorno ai 100 milioni di tonnellate. Le nostre raffinerie, attualmente, lavorano al 70 per cento, fuori margini, in perdita.
Da Paese che raffinava i prodotti, quindi con una sorta di autoproduzione per il consumo interno, riuscendo anche a esportare in America le nostre benzine in eccedenza, potremmo correre il rischio di passare a Paese che importa direttamente i prodotti finiti da Cina, India, Paesi cioè che non rispettano il welfare sugli standard di rispetto per l'ambiente e per la sicurezza. È un processo di dumping al quale non riusciamo a far fronte. I nostri concorrenti praticano una concorrenza scorretta.
Qui non si chiede di praticare una politica di protezione, o di dazi, di annullamento delle importazioni, ma dobbiamo pretendere che i Paesi che ci fanno concorrenza in questo modo, provocando l'effetto di forte indebolimento del settore strategico della produzione di energia elettrica e della raffinazione, ci facciano una concorrenza alla quale non possiamo far fronte soltanto con le armi dell'industria.
Serve una politica energetica nazionale. Bisogna capire quante sono le raffinerie che servono e che possono mantenere la loro attività in Italia. In alternativa, come già stiamo studiando con l'ENI, bisogna capire, se le raffinerie chiudono, qual è il tipo di attività industriale necessaria per recuperare.
Si è chiusa la raffineria di Roma, l'accordo è di giovedì scorso: si passa da un'attività che occupa 300 persone a un'attività logistica, quindi semplicemente di deposito, che ne occupa 85, ma si perde tutto il patrimonio anche professionale e di esperienza, di conoscenza, che produce come effetto situazioni di questo genere.
L'intervento che chiediamo al Parlamento e al Governo è di tracciare una strada, una linea conduttrice alla quale potersi rifare per adeguarci anche coi nostri strumenti sindacali, che gestiscono le situazioni critiche, come abbiamo sempre fatto.

GIACINTO FIORE, Funzionario della UIL. Cercherò di fare poche considerazioni nel tempo più breve possibile, ma che articoleremo meglio in un documento che a breve invieremo alla Commissione.
Le considerazioni partono dall'assunto, abbastanza ovvio a nostro avviso, ma necessario per ancorare i nostri ragionamenti, che gran parte delle società partecipate dallo Stato operano in settori strategici per la tenuta e anche per lo sviluppo economico del Paese, alcuni finanche a livello strategico per la sua indipendenza sostanziale. Il pensiero, ovviamente, corre subito al comparto dell'energia. Anche il settore manifatturiero, per esempio, ha o può avere una rilevanza significativa, non fosse altro che per l'immediatezza del ritorno economico della produzione di beni sulla bilancia import-export.
Se questo assunto è vero, noi riteniamo che l'economicità di tali società non possa utilmente e ragionevolmente essere traguardata soltanto sui singoli dati contabili, ma riferita all'utilità più generale per il sistema Paese, arrivando a ridefinire i confini esterni del sistema di pubblico, non più sulla mera base della natura giuridica del soggetto, ma per quello della natura funzionale rapportata all'interesse pubblico del soggetto.
Sempre rispetto alla valutazione di economia del settore, non si può dimenticare quanto sia un settore composito. Obiettivamente, dalla Coni Servizi all'ENI, dall'Eur Spa alla Sicot, che fa consulenza per il MEF, passando per Expo 2015 ed ENI, come è evidente, c'è di tutto e di più.
Allo stesso modo, non si può dimenticare, nel ragionamento sull'economicità o meno del settore di ogni società che vi sta dentro, le motivazioni che di ogni società hanno voluto la genesi, che nella storia di questo Paese sono state tante e di più,


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ognuna delle quali non può non essere tenuta in conto nel valutare l'evoluzione che quel soggetto ha.
Il nostro giudizio, ad esempio, non è positivo su alcuni dati economici. Se sono corretti i numeri di cui disponiamo, nel 2010 tra ENI ed Enel sono stati incassati da parte dello Stato 566 milioni di euro in meno, dato negativo sul lato economico soprattutto - concordo col collega che vi faceva riferimento - perché non si tratta di mancato incasso dello Stato a fronte di maggiori investimenti in infrastrutture, in formazione, in occupazione, in altro. Significa che si è operato sul mercato e si è operato male, si sono persi soltanto pezzi di mercato e forse pezzi di servizi.
Noi riteniamo che siano necessarie politiche, piani di settore, guidati da programmazioni compiute pluriennali che, a nostro avviso, dovrebbero ragionevolmente tendere a sovrapporsi cronologicamente con i tempi delle legislature che quelle programmazioni generano.
È evidente che la situazione di crisi attuale imporrà una revisione delle programmazioni in essere, ma riteniamo, come cercherò di articolare brevissimamente, che le prospettive di sviluppo non siano sacrificate dalle logiche di cassa. Riteniamo anche che, proprio perché tutto debba essere ricondotto a una politica di piano coerente con le prospettive di sviluppo complessive del Paese, qualunque ragionamento sul mondo delle società partecipate non possa non allargarsi, omogeneamente, a quelle controllate dalle altre amministrazioni pubbliche non statali e, soprattutto, a quelle del sistema degli enti locali, dove portato, a nostro avviso, a compimento l'opera di semplificazione e riduzione iniziata. Va anche costruito, in un sistema normativo probabilmente da riflettere e da rivedere anche col concorso del sistema delle autonomie e della Conferenza delle regioni, un meccanismo di veto che renda esigibile l'omogeneità del sistema, che non si affidi troppo alle buone volontà, alle buone prassi, magari tutte buone, ma che spesso potrebbero essere non tutte coerenti.
In questo senso, riteniamo che la mano pubblica debba riaffermare pieno il potere di indirizzo, ma che vadano anche allentati i vincoli di dipendenza diretta dalla politica, che in questo settore, e forse non solo in questo, ha compiuto qualche guasto. Coerentemente, vanno garantite maggiore trasparenza ed efficienza amministrativa, ma va anche realizzato un sistema di controlli che superi la mera dimensione della pura correttezza contabile, ovviamente dovuta, ma che è tanto cara alla magistratura contabile di questo Paese. Bisogna passare a un sistema integrato che responsabilizzi fortemente i vertici sui programmi, sull'utilizzo delle risorse e sui risultati dei programmi, che garantisca il passaggio alla contabilità economica con vocazione al risultato.
Crediamo, sempre sul piano normativo, che qualche riflessione vada posta agli effetti che sempre più l'avvento del diritto comunitario con una visione sostanzialista impone rispetto a una rappresentazione classico-formale delle categorie giuridiche che fino a oggi ha caratterizzato questo Paese. Si sta accelerando un processo di avvicinamento di diritto pubblico e privato. Ci sono sentenze delle sezioni unite della Corte di cassazione che su questo già innescano qualche riflessione. Parliamo dei rapporti tra le società e i cittadini e le imprese e gli utenti, il mondo del Paese, ma anche, per esempio, per quelli tra le società partecipate e le amministrazioni pubbliche committenti a quanto si sta evolvendo in termini di diritto il ragionamento sui contratti di servizio.
È necessario, inoltre, un ragionamento molto breve rispetto al modo in cui queste mission si integrano con gli interessi più complessivi del Paese. Se abbiamo ragione di dire che la differenza dell'essere società partecipate risiede nel fatto che devono essere qualcosa in più di un mero luogo di ricerca del profitto, allora, per esempio, in un settore asfittico come quello della ricerca e della formazione occorre stimolare e promuovere in collegamento con le intelligenze di questo Paese, che vanno dalla scuola all'università passando per gli enti di ricerca e simili. È evidente che anche


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qui ci si scontra con le logiche di cassa. La ricerca produce effetti domani e costa oggi, però lo sviluppo è domani e non oggi.
Occorre, inoltre, che questo sistema, proprio perché opera in settori strategici, sia investito da riflessioni su come sia possibile contemperare logiche di mercato con la garanzia di funzionalità del sistema medesimo. Penso al fronte dei costi all'utenza. Tutti hanno richiamato l'esempio dell'Alcoa, ma è un esempio evidente, in cui i costi dell'energia stanno producendo situazioni drammatiche. Vale anche per le logiche di insediamento, laddove occorre che le eventuali dismissioni non siano semplici abbandoni del territorio, ma siano accompagnate da operazioni che consentano, stimolino dove necessario, laddove esistano condizioni strutturali e infrastrutturali possibili, un intervento rivolto alla riconversione dei processi. Altro tema è quello delle energie pulite, ecocompatibili.
Su localizzazioni e rilocalizzazioni occorre un segnale forte che le società partecipate, soprattutto le grandi, mantengano un forte livello di investimento nel nostro Paese anche se questo può significare sui singoli bilanci livelli più contenuti di profitto. Credo, infatti, che sia nel generale interesse del Paese difendere i livelli dell'occupazione e mantenere il know-how di parti del territorio che rischiano altrimenti di rimanere vuote. Peraltro, esiste un principio fisico per cui il vuoto è destinato a essere riempito e rischiamo di trovare l'intervento «colonizzatore» dell'impresa straniera. In quel caso sì che sarà difficile ricondurla all'interno di logiche nazionali di piano.
Quanto al fronte dell'occupazione, il Ministero dello sviluppo economico guidato ora da Corrado Passera ci dice che l'energia è un settore che può creare occupazione. In realtà, ciò è abbastanza vero. Non so se ci saranno uno o 2 milioni di occupati, che mi sembra un numero tecnicamente un po' ottimistico, ma sicuramente è un settore che ha abbastanza in un Paese in cui, purtroppo, andiamo verso la media di 1.000 posti di lavoro persi al giorno. Se questo è vero, è un settore sul quale occorre fare sforzi per conservarne il trend positivo, possibilmente rafforzarlo.
Sul fronte dell'altro grande polo - non penso ai pezzetti piuttosto atipici che stanno tra le partecipate - il settore manifatturiero, dove è innegabile che l'Italia sta vedendo ridurre il suo patrimonio di posizione, occorre una politica di piano che salvaguardi un patrimonio non solo di mercato, ma di competenze che, una volta perse, difficilmente sarà possibile recuperare.
Concludo con una riflessione su tutto il settore delle società partecipate, a nostro avviso emblematico di una necessità che riguarda anche altri settori. Adesso occorre rivolgere, finalmente, un'attenzione non meramente contabile, non meramente finalizzata al bilancio di anno, ma sensibile alle prospettive di sviluppo anche con oculati investimenti che siano oggettivamente necessari e che possano rappresentare puntelli fondamentali per la ripresa economica.

IVETTE CAGLIARI, Segretario confederale della UGL. Saluto il presidente e tutti i componenti della Commissione e li ringrazio perché queste sono occasioni di confronto istituzionale assolutamente necessarie in un momento così critico per il Paese.
Dal punto di vista della nostra organizzazione, riteniamo che l'elemento forte su cui ragionare sia l'assenza di un piano industriale nazionale. Questa criticità è esplosa in questi giorni e tutti conosciamo bene la situazione. Abbiamo bisogno di intervenire.
Quello energetico è senz'altro un settore trainante e può consentirci, anche attraverso l'analisi della situazione relativa alle società partecipate - su cui tornerò - di individuare dei punti di traino. L'energia collegata con la green economy può sicuramente farci uscire dalle secche della ormai forte disoccupazione. Dal punto di vista organizzativo, abbiamo bisogno di dare risposte alla gente per quanto riguarda l'occupazione nel settore energetico. La ripresa del dialogo sulle intese in standby (come l'accordo di riforma della


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contrattazione collettiva) rappresentano l'occasione per affrontare, per quanto riguarda noi come parti sociali, la questione della possibilità di coniugare la necessità di interventi a carattere nazionale con interventi di tipo territoriale. Mantenendo la centralità del contratto collettivo nazionale e valorizzando gli accordi territoriali e aziendali, possiamo trovare ottime soluzioni a livello di produttività. È una sfida che stiamo affrontando assumendoci anche, con un termine forse un po' poco di moda, una responsabilità per quello che riguarda ognuno e il proprio ruolo. Diversamente, si indebolisce il Paese.
Altro tema cardine è quello della ricerca e dello sviluppo delle infrastrutture e dei trasporti. Come Unione generale del lavoro sentiamo la necessità di avviare programmi formativi per la riqualificazione. In questo settore è assolutamente necessario riposizionarci all'interno della formazione e dell'università. Solo attraverso la formazione possiamo rilanciare ricerca e sviluppo. Non dimentichiamo che i progetti di ricerca ci tengono lontani addirittura di 13 punti percentuali rispetto alla media OCSE.
Ritornando alla questione delle società partecipate, vorrei evidenziare che, a nostro giudizio, dobbiamo dare maggiore spazio allo Stato per la tutela dell'interesse nazionale, indicando come strada da percorrere non quella della cessione delle quote azionarie, che potrebbe indurre a interessi monopolistici, ma perseguendo l'obiettivo di rispetto per la persona e per le risorse umane all'interno delle società partecipate. Serve un'attenzione particolare per evitare meccanismi che possano farci svendere questi «gioielli», che potrebbero essere molto appetibili anche all'estero, mentre dovremmo assolutamente mantenere un'attenzione specifica per le società partecipate.
Un altro argomento che la Commissione già in precedenti audizioni ha affrontato è quello delle delocalizzazioni. Rappresenta una sfida altrettanto grande. Dal punto di vista normativo, siamo pronti e disponibili a confrontarci nel merito sulla questione delle delocalizzazioni in senso generale, ma anche senso sotto il profilo del danno che tali delocalizzazioni arrecano al Paese.

PRESIDENTE. Do la parola ai colleghi che desiderano intervenire per porre quesiti e formulare osservazioni.

LUDOVICO VICO. Ringrazio i rappresentanti della CGIL, della CISL e della UIL. Vorrei porre alcune brevi domande. L'indagine in corso ha lo scopo di raccogliere il punto di vista sul sistema industriale italiano, particolarmente quello riferito al ruolo delle imprese partecipate dello Stato, in questo caso nel settore energetico, e quello di CGIL, CISL e UIL sicuramente è e sarà un contributo utile. Tuttavia, penso che più che ragionare intorno ai macrosistemi, sui quali ciascuno di noi ha la propria opinione e che conosciamo a grandi linee, sia opportuno individuare alcuni punti specifici. Avete illustrato la vostra opinione sull'assenza di politica industriale nel Paese, particolarmente riferita alle questione dell'approvvigionamento energetico, del costo dell'energia per le imprese e del costo dell'energia per gli utenti. Ritengo al riguardo sia utile sapere più nel dettaglio, anche al fine di avere un quadro più completo, quali debbano essere i punti salienti di una chiara politica industriale e se, in particolare, sia opportuno che le quote pubbliche nelle partecipate non diventino una quota-parte del bilancio dello Stato.
Quanto al settore della raffinazione, come tutti sanno, è in corso una riduzione e il problema non riguarda solo il nostro Paese, ma è europeo. Sui problemi del gas e delle grandi opere di gas, sia che venga dall'Est, in senso lato, sia dal Sud-Ovest, qual è la posizione, possibilmente unitaria, del sindacato?
Il Governo annuncia una nuova stagione per i gassificatori: sarebbe opportuno sapere cosa ne pensano i lavoratori. Lo stesso discorso vale, sempre ai fini della nostra indagine, riguardo alla posizione dei sindacati dei lavoratori sulle ricerche petrolifere off-shore, oltre alle on-shore, che non mi sembra suscitino preoccupazioni


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particolari. Sarebbe utile anche una valutazione sugli incentivi, sapere se sono considerati eccessivi o meno, corretti, se corretti sul fotovoltaico e sull'eolico. Quando si parla di green sarebbe opportuno capire il vostro punto di vista e dei lavoratori organizzati presso i sindacati. Vorremmo conoscere la vostra opinione sul blocco degli elettrodotti, per cui abbiamo una rete, sempre rispetto a una partecipata importante in questo caso, che è Terna.
Sono tutte questioni che vanno inquadrate in una dimensione europea e mediterranea. Sarebbe opportuno conoscere le posizioni del sindacato europeo rispetto alle politiche che appaiono essere nazionali - e per tanti aspetti lo sono - ma il sistema di relazione, come è noto, è sicuramente europeo e, sul versante energetico, anche extraeuropeo: basta questione richiamare la vicenda del gasdotto Galsi.
Chiedo scusa per avere interrotto il segretario della UGL, ma con il 60 per cento di ribasso in un appalto, ritengo che bisognerebbe mettere in moto un meccanismo di protesta così come previsto dalla legge n. 146 del 1990 sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali. Questo, infatti, è uno degli strumenti attraverso i quali, a mio avviso, si può contribuire alla rappresentanza dei lavoratori attribuita - spero - esclusivamente a voi.

PRESIDENTE. Do la parola ai nostri ospiti per la replica.

MARIO ARCA, Segretario nazionale della Flaei-CISL. Premesso che noi scioperiamo contro le cause dei fenomeni e non contro gli effetti e che non si può scioperare perché un titolo in borsa scende del 50 per cento o perché l'impresa italiana non brucia abbastanza carbone o perché il mix dei combustibili in Italia sostanzialmente è sbagliato, quando ho parlato di appalti mi riferivo a grandi multinazionali che fanno gare europee, così come previsto dalla legge, a cui partecipano anche imprese non italiane che possono essere ammesse in Italia con condizioni di maggior vantaggio rispetto all'impresa italiana.
Alla domanda, quindi, se si faccia sinergia con le imprese partecipate rispetto al sistema delle piccole e medie imprese, confermo che in molti casi non è così, probabilmente non per scarsa volontà - non spetta a me valutarlo - ma per impossibilità. Queste imprese non possono fare sinergia perché obbligate da dinamiche e forze che vanno ben al di là forse della volontà stessa dei partecipanti. Parlo della borsa, del mercato europeo e della crisi energetica italiana, che travalica la dimensione di una singola impresa o di una singola società. Questa è la risposta. Che poi ci si riesca ad aggiudicare una gara al massimo ribasso con il 60 per cento è un dato di fatto che probabilmente non riguarda le competenze di questa Commissione, nel senso che la questione attiene più a dinamiche riguardanti relative al lavoro, cioè a quanto riusciamo a incidere con la legislazione italiana, che rende libero il datore di lavoro di scegliere il contratto collettivo di riferimento, mentre sarebbe necessario riordinare dal punto di vista normativo anche questo settore.

ANTONIO FILIPPI, Funzionario del dipartimento reti e terziario-CGIL. È ovvio che in questo Paese le difficoltà che riscontriamo sono addebitabili a una politica industriale ed energetica che manca ormai da diverso tempo. Basti pensare che il Piano energetico nazionale risale agli anni Ottanta. Diamo atto che recentemente è stata presentata la Strategia energetica nazionale, ma si è perduto moltissimo tempo.
Va da sé che il problema energetico, come dicevo all'inizio della mia introduzione, è l'aspetto centrale o, comunque, uno degli aspetti centrali per la ripresa dell'attività produttiva del nostro Paese. Bisogna stare attenti perché non possiamo assolutamente pensare con lo sguardo rivolto al secolo scorso. Vanno cambiati i paradigmi del sistema infrastrutturale dell'energia del nostro Paese. Mi spiego meglio. Fino adesso, infatti, siamo stati abituati a vedere la grande concentrazione di energia che veniva prodotta da una centrale,


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per essere distribuita sul territorio mediante le reti di trasmissione e di distribuzione. La scelta strategica che emerge e che con prepotenza ormai si è affermata è di un'energia distribuita nel territorio. Attualmente, abbiamo oltre 400 mila miniproduttori di 3 chilowatt sui tetti delle nostre case che richiedono una trasformazione radicale della rete, altrimenti non è possibile «liberare» questa forza. Dobbiamo passare da una rete verticale a un modello «a maglia» nel territorio. Bisogna cambiare investimenti e scelte strategiche.
Abbiamo sostenuto gli incentivi alle rinnovabili - e, per quanto ci riguarda, si tratta di un'impostazione unitaria - come tutte le start-up, hanno bisogno di sostegno. Questo sostegno ha portato a recuperare il tempo che ci distanziava dalla Germania, la quale, disponendo della metà delle ore di sole dell'Italia, aveva il doppio dalla produzione di energia solare.
Il Quinto conto energia elaborato recentemente ormai ha messo un argine definitivo e quindi è inutile tornarci sopra. Avremo sicuramente delle ricadute negative, per esempio nella produzione di pannelli e di altri componenti. Le terapie d'urto di solito producono danni profondi, per cui dobbiamo stare attenti. Avevamo proposto un sistema di décalage nel tempo e avevamo fissato la il termine del 2016. Si sono voluti anticipare i tempi, e certamente difficoltosi determineranno alcune difficoltà. Eravamo e restiamo convinti sostenitori che gli incentivi debbano diminuire secondo un sistema di décalage.
Per quanto riguarda, invece, il gas e le infrastrutture è stato giustamente evidenziato che abbiamo bisogno di diversificare le nostre fonti di approvvigionamento. Siamo legati, come si dice in gergo, a due tubi, uno al Nord e uno al Sud, per l'approvvigionamento. Abbiamo visto che cosa è successo l'inverno scorso, quando il Governo russo ha deciso d'emblée di chiudere il 25 per cento dei flussi. Abbiamo pagato delle conseguenze e, fortunatamente, avevamo una possibilità di recupero con le scorte che erano state fatte.
Abbiamo bisogno di diversificare, ossia di costruire rigassificatori. Non c'è necessità di costruirne 12 o 13, come è stato detto fino ad oggi. Già i 3 efficienti e gli altri 2 o 3 che possiamo costruire possono arrivare a coprire il 40 per cento del nostro fabbisogno. L'Italia, attualmente, è intorno agli 80-90 miliardi di metri cubi di gas all'anno utilizzati. Se riusciamo a costruire rigassificatori, oltre ai 3 già presenti, che portano alla metà di questi 80-90 miliardi di metri cubi, siamo in zona di sicurezza. Porto Empedocle in Sicilia, Gioia Tauro in Calabria e l'altro sull'Adriatico per noi sono fattibili. Lo sosteniamo e lo abbiamo sostenuto, a volte in contrasto con le forze politiche, talvolta di maggioranza tal'altra di opposizione, che sono contro i rigassificatori sul territorio. Di certo non possiamo diventare il Paese dei rigassificatori perché di questo forse non c'è bisogno.
Inoltre, per quanto ci riguarda come CGIL, vogliamo dare un segno di sostegno con i dovuti accorgimenti all'hub del gas. In Italia questo significa che avremo la possibilità, trovando sinergie nel territorio, conforto e consiglio anche dagli enti locali senza entrare in rotta di collisione, di giocare un certo ruolo nel ritorno nel Nord Europa del gas che entra nel nostro territorio da Sud e da Est. È importante, ma va fatto con serietà.
Non siamo d'accordo - voglio dirlo qui, ma abbiamo avuto già modo di dirlo pubblicamente e lo diremo nelle audizioni - per quanto riguarda la SEN, la Strategia energetica nazionale, che prevede l'incremento degli idrocarburi nel nostro territorio dal 6 al 18 per cento. Secondo noi così non si risolve il problema. A fronte dei 65 miliardi di euro che spendiamo per l'approvvigionamento, averne 3 o 4 in meno non ha risolto il problema, ma il punto non è questo. Il problema che vogliamo evidenziare è che, sicuramente, con questo tipo di indirizzo potremmo dare una risposta immediata - si parla di 15-20 mila posti in più nella filiera - in termini di occupazione, ma siamo in contrasto con le direttive europee sulla decarbonizzazione dell'economia del 2050 e


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tutto quello che ne consegue. Soprattutto, preferiremmo utilizzare lo stesso risparmio di energia che potremmo ottenere con l'efficienza energetica. L'efficienza energetica, come ha indicato anche l'Unione europea approvando, circa due settimane fa la direttiva sull'efficienza energetica, può produrre lo stesso risparmio e dare molto più vantaggio economico e di lavoro.
Esiste un avviso comune firmato e sottoscritto da CGIL, CISL, UIL e Confindustria con a base lo studio di Confindustria che indica che al termine del progetto del 2020 si potranno registrare, sviluppando l'efficienza energetica in maniera forte nel nostro Paese, 1.600.000 posti di lavoro, quindi grosso modo intorno ai 150.000 all'anno, si tratta a mio avviso anche di cifre sottostimate. Esiste un vantaggio economico di 15 miliardi per il sistema Paese e anche una serie di investimenti e di produzione per 238 miliardi. Preferiremmo seguire quella strada perché il risparmio e il vantaggio economico saranno maggiori rispetto all'indicazione del maggiore utilizzo degli idrocarburi. Per quanto ci riguarda, quindi, abbiamo sicuramente bisogno di un cambio di strategia sull'energia per mantenere questo Paese a livello di Paese di manifattura di eccellenza in Europa.
Bisogna fare scelte che non siano in contraddizione. Nella SEN che il Governo ci ha presentato esiste questa contraddizione. Si indica il risparmio energetico, l'efficienza energetica, le rinnovabili, si va verso un'economia decarbonizzata, ma all'improvviso si afferma che abbiamo necessità di raddoppiare gli idrocarburi. Non siamo noi a raddoppiare, signori della Commissione, ma le società esportatrici. Se, infatti, vogliamo acquistare al netto delle royalty e delle tasse gli idrocarburi che sarebbero estratti al nostro Paese, dobbiamo pagarli alla Total e alla Shell, proprietarie delle estrazioni, per cui finiamo sul mercato e non godiamo di grande vantaggio.
Possiamo avere lo stesso vantaggio, se non maggiore, in termini economici e occupazionali raddoppiati, se con coraggio scegliamo che l'efficienza energetica nel Paese diventi l'elemento centrale della politica energetica. Saremo obbligati perché da qui ad aprile 2013 il Governo dovrà indicare in base alla normativa europea quali sono gli standard di efficienza da perseguire entro il 2020. Queste sono le strategie che dobbiamo scegliere e, sicuramente, l'approvvigionamento, la diversificazione, l'efficienza energetica possono darci un contributo maggiore anche per lo sviluppo del settore manifatturiero.

GIACINTO FIORE, Funzionario della UIL. Aggiungerò solo qualche ulteriore considerazione perché l'intervento del collega della CGIL ha ricordato posizioni per la gran parte largamente condivise.
Vorrei partire da quella che mi pare fosse la prima delle domande dell'onorevole Vico. Credo che già nella mia breve e sicuramente confusa introduzione emergesse la risposta che sì, è necessaria una politica di programmazione energetica. Probabilmente, questo Paese ha trascorso troppo tempo a discutere su temi per i quali qualunque risposta si fosse data era già meglio che non essersi dati per vent'anni nessuna risposta. Oggi abbiamo ritardi tali che non solo rendono non urgente ma imprescindibile un piano energetico, e probabilmente ne condizioneranno fortemente i contenuti.
Il nostro è un Paese che ha bisogno di diversificare le fonti energetiche per motivi evidenti. Non vorremmo trovarci come gli ucraini, che storicamente corrono il rischio che qualcuno a Mosca chiuda la farfalla di un oleodotto e li lasci al freddo, con i -30 gradi invernali. Tentare il più possibile di valorizzare - e in questo senso la risposta sui rigassificatori è stata data in termini che ci convincono - è la soluzione naturale, con incentivi alle rinnovabili, all'energia pulita o come si voglia definirla. Obiettivamente tali incentivi, sono serviti, tra l'altro, anche con un ritorno occupazionale non indifferente. È evidente che il ragionamento non può prevedere un settore assistito a vita. Gli incentivi servono a dare lo start. Il cammino deve essere, così almeno riteniamo, discendente a partire dal 2016, che ci pare ancora una data


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ragionevole. È, però, anche evidente che questo non si può semplicemente risolvere nell'operazione del fotovoltaico sul tetto di casa e basta. Tutta questa produzione energetica deve collegarci a un sistema energetico Paese, diverso da quello che abbiamo costruito con le grandi centrali, di Torre Valdaliga, per parlare delle più vicine a Roma, da cui partono i grandi tralicci che diventano sempre più piccoli fino a casa nostra.
Tutto, però, finisce sempre con lo stesso ragionamento: che politica si deve attuare? Si investe un euro o ci si aspetta soltanto di prendere un euro? È un tavolo verde dove la scommessa si fa anche puntando o ancora una volta è un altro dei tanti tavoli verdi di questo Paese a cui, stranamente, chi scommette su un settore toglie i soldi dal tavolo anziché metterceli? È, infatti, inevitabile che operazioni come quelle che abbiamo descritto non si realizzano né a costo zero né togliendo risorse dal budget complessivo del settore.

FIOVO BITTI, Dirigente confederale della UGL. Il discorso torna sempre a monte. Siamo convinti che in questo Paese esista un problema di governance e di assenza di un piano industriale. L'energia è un argomento tra quelli molto sensibili e si incrocia a questo tema anche l'altro dei rifiuti. Anche i rifiuti, infatti, sono un tema particolarmente sensibile perché dai rifiuti si può tirar fuori anche energia.
L'assenza di un piano industriale e di un collegamento reale tra Governo nazionale, regioni, autonomie locali e persone che sono sul territorio, semplici cittadini, ha impedito al nostro Paese, a nostro modo di vedere, di sfruttare molte occasioni. Crediamo, quindi, che sia necessaria una sorta di rivoluzione per rimettere al centro dell'attenzione la persona con tutto quello che ne consegue, la generazione di nuovi posti di lavoro, nuove occasioni di sviluppo.
Pensiamo, ad esempio, agli incentivi sulle rinnovabili. Ci hanno permesso, indubbiamente, di ridurre parte del gap che avevamo con altri Paesi europei, ma ci siamo trasformati, purtroppo, in un Paese di installatori. Non siamo, quindi, un popolo di produttori, tranne per l'inverter, in riferimento al quale alcune aziende italiane sono ai primi posti in assoluto nelle classifiche mondiali. Per il resto, abbiamo trasformato i nostri diritti in occasioni per ospitare pannelli prodotti in altre parti del mondo, dalla Cina e da altre parti.
Tornando al discorso iniziale, se effettivamente questo Paese riuscirà a dotarsi di un piano industriale vero, coinvolgente, che metta in campo le migliori risorse, che vanno dal Governo nazionale alle regioni e alle autonomie locali, passando per le parti sociali e i cittadini, siamo convinti che molte cose possano cambiare e si possa recuperare efficienza in tutto il settore.
Indubbiamente, le società partecipate hanno e devono avere un ruolo fondamentale per quanto riguarda lo sviluppo del sistema Paese e lo sviluppo del territorio.

PRESIDENTE. Saluto e ringrazio i nostri ospiti.
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 14,20.

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