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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissione XI
1.
Mercoledì 25 giugno 2008
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Saglia Stefano, Presidente ... 2

INDAGINE CONOSCITIVA SULL'ASSETTO DELLE RELAZIONI INDUSTRIALI E SULLE PROSPETTIVE DI RIFORMA DELLA CONTRATTAZIONE COLLETTIVA

Audizione del presidente del CNEL, Antonio Marzano:

Saglia Stefano, Presidente ... 2 6 13 16
Cazzola Giuliano (PdL) ... 7
Codurelli Lucia (PD) ... 10
Damiano Cesare (PD) ... 11
Delfino Teresio (UdC) ... 8
Di Biagio Aldo (PdL) ... 7
Fedriga Massimiliano (LNP) ... 8
Foti Antonino (PdL) ... 6
Gatti Maria Grazia (PD) ... 9
Giacomoni Sestino (PdL) ... 13
Marzano Antonio, Presidente del CNEL ... 2 13
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Movimento per l'Autonomia: Misto-MpA; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.

COMMISSIONE XI
LAVORO PUBBLICO E PRIVATO

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di mercoledì 25 giugno 2008


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE STEFANO SAGLIA

La seduta comincia alle 14.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso e la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Audizione del presidente del CNEL, Antonio Marzano.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sull'assetto delle relazioni industriali e sulle prospettive di riforma della contrattazione collettiva, l'audizione del presidente del CNEL, Antonio Marzano, che ringraziamo per la sua presenza.
Non è casuale che avviamo la nostra indagine - che l'intera Commissione ha ritenuto fosse utile iniziare - con questa audizione, perché il CNEL dovrebbe essere - lo è per dettato costituzionale - il luogo principe delle relazioni tra le parti sociali.
Siamo convinti, quindi, che il nostro lavoro possa ricevere un contributo davvero importante da parte del CNEL, tenendo presente anche il fatto che stiamo svolgendo un'indagine circa un tema precisamente demandato alle parti sociali, sul quale, tuttavia, non può mancare un contributo, del Governo certamente, ma anche del Parlamento.
Infatti, qualora le parti giungessero ad un nuovo protocollo di intesa, vi saranno senza dubbio delle conseguenze sulle future azioni dell'esecutivo e sulle nostre attività legislative.
Con il professor Marzano, sono presenti: il dottor Stefano Bruni, suo assistente, e il direttore generale, dottor Michele Dau.
Lascio volentieri la parola al presidente del CNEL, professor Antonio Marzano.

ANTONIO MARZANO, Presidente del CNEL. Signor presidente, mi scuso in anticipo per la mia voce, che non è quella consueta: a causa di un colpo di aria condizionata, sentirete una voce frammentata, ma non posso farci molto.
Presenterò un'esposizione sintetica, perché lascerò per iscritto alla Commissione, per una lettura più analitica, le considerazioni del CNEL.
Nella consiliatura in corso, il Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro ha orientato la propria azione di alta consulenza nei confronti del Governo e del Parlamento lungo tre filoni: coesione sociale, competitività e sviluppo. Queste tre direttrici, che secondo il CNEL sono interdipendenti, hanno stimolato e indirizzato le riflessioni e le pronunce del Consiglio di questi ultimi anni.
La medesima impostazione è stata mantenuta anche con riferimento al tema delle relazioni industriali - coesione sociale, competitività e sviluppo - e, in particolare, in rapporto alle prospettive di riforma della contrattazione collettiva.
Il CNEL ha approvato recentemente un documento di osservazioni e proposte, contenente linee di indirizzo, in merito all'impostazione del documento di programmazione economica e finanziaria del Governo, esprimendo, senza precostituire in alcun modo le posizioni che sono di competenza propria delle parti sociali,


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protagoniste dell'azione contrattuale, la posizione del Consiglio dell'economia e del lavoro su possibili linee di riforma della struttura della contrattazione.
Quello che adesso dirò è da considerarsi fra virgolette, nel senso che si tratta proprio del testo prodotto dal CNEL.
È convinzione del Consiglio che «per aumentare la produttività e la competitività complessiva del sistema produttivo, sia indispensabile ricostruire un quadro di fattivo impegno delle forze sociali, anche attraverso un nuovo modello contrattuale che, estendendo la contrattazione di secondo livello, determini un deciso incremento della produttività.
Il ruolo del Governo è a questo fine rilevante. Il Governo, da un lato, è parte in un rapporto di contrattazione che può favorire, attraverso l'ammodernamento della pubblica amministrazione, un passo in avanti dell'intero sistema. Ma, il Governo - dice il CNEL - può svolgere un ruolo importante anche favorendo, attraverso un uso mirato della leva fiscale, l'accordo sul nuovo modello contrattuale. È dunque indispensabile che il Governo si attivi sui temi della contrattazione pubblica e promuova, al tempo stesso, un adeguato tavolo di concertazione su questi temi.
Ciò consentirà anche di promuovere la transizione verso un nuovo modello di specializzazione produttiva del Paese».
A questo proposito, il CNEL si è più volte detto disponibile a ospitare un incontro di preconcertazione su questi temi.
Il Consiglio ha ribadito le preoccupazioni circa la necessità di contenere l'andamento del tasso di inflazione e di tutelare il valore reale delle retribuzioni. Ha anche affermato che «la sperimentazione delle norme, in materia di detassazione degli straordinari, andrebbe utilizzata, in funzione di un più generale quadro di rilancio della competitività del sistema produttivo che veda il comune impegno delle parti sociali e del mondo politico. In quest'ottica, andrebbe verificata l'efficacia delle regole tese a evitare possibili utilizzazioni elusive di tale misura, andrebbero elaborate proposte per superare ogni aspetto di segmentazione del mercato del lavoro (lavoratori, lavoratrici, pubblico, privato) e andrebbe più nettamente valorizzata la sua funzione di misura volta al recupero della produttività di azienda.
In questo quadro, sarebbe auspicabile collocare gli interventi all'interno di un disegno che accompagni il forte impegno delle parti sociali nella definizione di un nuovo modello contrattuale che assegna alla contrattazione di secondo livello un ruolo decisivo nella promozione della competitività dell'economia.
Questo è il parere del CNEL, che non può esprimere pareri, se non c'è l'unanimità di tutte le parti sociali. Quelli che vi sto riferendo, quindi, sono pareri condivisi da tutte le rappresentanze del mondo produttivo - e come sapete al CNEL questa rappresentanza è molto estesa, comprendendo tutti i comparti, incluso il terzo settore - e da tutti i rappresentanti delle principali forze sindacali. Dunque, tutti sono d'accordo sul secondo livello di contrattazione.
Il CNEL, inoltre, «auspica che il prossimo DPEF - noi abbiamo anticipato il DPEF con questo testo di cui vi recito alcune parti - definisca la strategia per rafforzare la crescita della produttività, attraverso un protocollo, fra i diversi livelli di Governo e le diverse parti sociali, che delinei gli impegni delle parti e gli strumenti da mettere in campo, per favorire l'innovazione tecnologica-organizzativa e la più ampia adozione, a livello decentrato, nel settore privato e in quello pubblico, delle nuove pratiche; l'incentivazione fiscale degli aumenti erogati dalla contrattazione di secondo livello, attraverso un'aliquota ridotta, da applicare in un arco pluriennale e un'incentivazione rafforzata, con sgravi anche a favore delle imprese, per gli accordi che implementino, come raccomanda la Commissione europea, nuove forme di organizzazione di lavoro più partecipate - questo è il tema della partecipazione - che coniughino innovazione tecnologica-organizzativa e nuove modalità lavorative».
Il Consiglio ritiene pertanto indispensabile sostenere la diffusione del secondo


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livello di contrattazione, anche rafforzando alcuni strumenti già definiti nel protocollo su previdenza, lavoro e competitività del luglio 2007. Queste proposte assumono per il Consiglio una grande importanza, anche alla luce dei risultati di un'indagine, condotta qualche mese fa, dalla sua Commissione dell'informazione sull'andamento della contrattazione decentrata nel settore privato e pubblico.
Se me lo consente, presidente, aprirei una parentesi, perché ho invitato i miei collaboratori a portare in Commissione alcuni esemplari di questi nostri pareri, uno dei quali riguarda la contrattazione decentrata, negli anni passati.
La prima evidenza dell'analisi è la flessione della frequenza di questo tipo di contrattazione - sempre meno frequente - lungo l'insieme del periodo 1998-2006. La tendenza a ricorrere sempre meno alla contrattazione di secondo livello, che invece è auspicata, si manifesta sia per le imprese maggiori che, in modo più evidente, per quelle di minore dimensione.
Il declino porta la frequenza della contrattazione, dal 40-60 per cento all'anno del 1999-2000 a solo il 10 per cento del 2006. È un fatto, quindi, che il CNEL considera con preoccupazione, essendosi invece espresso ripetutamente a favore del secondo livello.
Naturalmente, il CNEL non ha affrontato solo i temi della contrattazione e dei meccanismi partecipativi. Il Consiglio, infatti, redige ogni anno un rapporto sul mercato del lavoro - anche questo è a disposizione dei membri della Commissione - che ha evidenziato come negli ultimi anni la progressiva ripresa abbia permesso di registrare una crescita importante dell'occupazione nel nostro Paese. Questo soprattutto grazie alle due leggi principali che riguardano la flessibilità del lavoro.
In questo contesto, il CNEL però ha osservato, innanzitutto, che la congiuntura, quando è favorevole, aiuta la probabilità della prima occupazione. Questo è abbastanza intuitivo: molto è di natura congiunturale.
In secondo luogo, si è registrata una riduzione della disoccupazione, soprattutto attraverso lo strumento del contratto a termine, ma anche con un aumento della percentuale di quanti escono dalla disoccupazione con un contratto a tempo indeterminato.
È stato constatato che il lavoro temporaneo non interessa solo i giovani, ma è largamente presente anche nelle fasce di popolazione sopra i 35 anni, per le quali aumenta la persistenza in questa tipologia contrattuale.
Inoltre, si è osservata una maggiore incidenza del contratto a termine nel Mezzogiorno, quale soluzione, in un'area dove è più difficile avere un rapporto di lavoro regolare, dove continuano ad essere scarse le probabilità di conversione verso il contratto a tempo indeterminato e dove è più frequente il passaggio verso l'inattività.
È stata valutata la situazione complessivamente sfavorevole dell'occupazione femminile che, a parere del CNEL, è da attribuire anche alla scarsità dei servizi di welfare, a strumenti di incentivazione e di sostegno al lavoro femminile che, per quanto evoluti in questi ultimi anni, non sono ancora al livello di molti Paesi europei.
Infine, è stata sottolineata la mancanza di servizi e di assistenza per le famiglie.
Come promesso, sto rapidamente sintetizzando la mia esposizione (lascio agli atti la relazione per una lettura più analitica). Le indicazioni che ne derivano vanno verso una riforma del welfare che tenga in maggior conto i problemi del lavoro femminile, la necessità di servizi per la famiglia, i problemi del lavoro giovanile - i giovani sono quelli che, tuttora, presentano un tasso di disoccupazione anomalo - e la necessità di sostegno nelle fasi di transizione tra lavori diversi: da un lavoro che si lascia verso un nuovo lavoro che si acquisisce.
In generale, osservo che il massimo grado di precarietà, ovviamente, è quello del disoccupato. Per dosi diverse, si possono considerare precari anche i lavori brevi, ma la precarietà tipica del disoccupato è di gran lunga peggiore.


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Mi scuso per la sommarietà del mio intervento, ma il vostro tempo è più prezioso del mio.
Come economista - a questo punto parlo a titolo personale -, ho sempre sostenuto anche pubblicamente (credo che le mie interviste risalgano a tre o quattro anni fa) la necessità di prevedere una contrattazione decentrata che consenta di ottenere un surplus di retribuzione, in base alla produttività specifica del riferimento decentrato, e che sostenga e sviluppi la competitività delle imprese e l'occupazione complessiva.
È inutile che vi dica che una delle caratteristiche dell'attuale fase della nostra economia è il crescente rilievo delle esportazioni, della domanda estera - questo è un fatto positivo, c'è domanda quando le imprese riescono a esportare, cioè quando sono competitive -, ma una minore importanza della domanda interna.
Oltre che per ragioni di coesione sociale, quindi, un andamento della dinamica dei salari, delle retribuzioni più soddisfacente è importante anche nell'interesse dello sviluppo dell'economia.
Vorrei che mi fosse consentito di riportare soltanto un esempio. Immaginiamo che con la contrattazione nazionale si debba fissare un unico livello di salario (ripeto è un esempio estremo, costruito ad hoc). In questo caso, sarebbe inevitabile tenere conto dell'impresa marginale, vale a dire quella che non può sopportare un salario maggiore rispetto a un certo livello. Le parti sociali, inevitabilmente, si preoccuperebbero anche delle imprese marginali e dell'occupazione che queste danno.
Con salari differenziati, e cioè con il secondo livello, i salari potrebbero essere evidentemente più alti, laddove la produttività è maggiore. Fermo rimanendo un livello del salario che tenga conto delle esigenze dell'impresa marginale a livello nazionale, col secondo livello, si possono dare maggiorazioni salariali diverse, a seconda della produttività delle imprese e, dove la produttività è più alta, dare salari più alti.
In altre parole, la contrattazione decentrata consente di catturare la produttività, laddove c'è.
Il salario medio che deriverebbe dalla contrattazione decentrata è sicuramente maggiore rispetto a quello della contrattazione accentrata, ossia il salario marginale, corrispondente alle esigenze dell'impresa marginale.
In questo senso, si catturerebbe la produttività, probabilmente la si stimolerebbe, si consentirebbe quindi una migliore condizione economica dei lavoratori e si permetterebbe alla domanda interna di avere un peso maggiore di quella estera rispetto alla situazione attuale.
Un esperimento è stato posto in essere dalle parti sociali, già lo scorso anno, in occasione dell'accordo nazionale in materia di linee guida su accordi aziendali in deroga. Si parla del comparto chimici.
Credo che sia necessaria qualche riforma degli accordi del 1993, una revisione che, già nel 1997, Giugni e la commissione per la verifica del protocollo del luglio 1993 avevano auspicato nel senso che oggi sembra appunto prefigurarsi.
Aggiungo ancora un'osservazione a commento degli ultimi dati Istat sul mercato del lavoro. Il tasso di disoccupazione è cresciuto dello 0,7 per cento su base annua - parlo del primo trimestre del 2008 - e si attesta oggi al 7,1 per cento.
Quindi, cresce il tasso di disoccupazione, ma cresce a sua volta anche il tasso di occupazione dell'1,4 per cento rispetto al trimestre precedente. Non è una situazione che suscita particolare preoccupazione. Ciò che vorrei sottolineare è che l'allargamento della disoccupazione è dovuto, nel 41 per cento dei casi, a persone che un anno prima si dichiaravano inattive e che ora stanno partecipando al mercato del lavoro, cioè cercano lavoro.
Questo è un dato positivo che, tra l'altro, in genere, gli economisti interpretano nel senso che si diffondono aspettative di maggiore probabilità di trovare lavoro. Del resto, in assenza di tali aspettative non si va sul mercato del lavoro.
D'altra parte, però, tale dato potrebbe anche significare che vi sono persone in


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difficoltà economiche che, quindi, cercano un lavoro che prima non ritenevano assolutamente indispensabile.
Vorrei concludere - se mi consente, presidente -, sottolineando che il CNEL, che è chiamato dalla Costituzione a dare rappresentanze istituzionali agli orientamenti delle parti sociali, è pienamente disposto a dare il proprio contributo alla riforma del modello contrattuale, definito dall'accordo del luglio 1993. È un organo super partes, in cui interessi contrapposti si confrontano da tempo, ed è la sede ideale per la certificazione della rappresentanza dei lavoratori che è indispensabile ad avviare nel settore privato le procedure contrattuali tra le parti sociali.
In questo senso, il CNEL può porre in evidenza, con piena legittimità e senza precostituire in alcun modo il contenuto delle posizioni di pertinenza delle parti sociali, il contributo che è in grado di offrire loro. Ad esempio, esso può essere la sede ideale per la raccolta e la documentazione dei dati associativi - il cosiddetto tesseramento - e di consenso espresso dai lavoratori in occasione dell'elezione delle rappresentanze sindacali unitarie.
Si tratta di dati necessari per attivare le relazioni contrattuali e sono da raccogliere presso l'INPS, l'ARAN e gli uffici del lavoro periferici. Abbiamo una banca dati archivio - siamo l'unica istituzione a disporne -, la banca della contrattazione, che censisce e classifica i contratti collettivi di primo e di secondo livello ed è, già oggi, fonte di due rapporti periodici sulla contrattazione di secondo livello nel settore privato e in quello pubblico.
Signor presidente, dico questo per evidenziare che possiamo collaborare anche grazie a questi strumenti. Tra l'altro, i contratti che esistono presso il CNEL nella banca dati sono circa 400.
Secondo la mia opinione personale, potrebbero ridursi drasticamente, ma in questo senso esistono difficoltà anche da parte delle imprese, le quali si sono organizzate, in forma associativa, in modo molto differenziato; il che dà luogo a contratti differenziati per settore.
Con interventi di ulteriore qualificazione della banca dati, potremmo aggiornare i criteri della contrattazione e specializzare l'osservazione e l'elaborazione dei contenuti della contrattazione, con riferimento ad alcune tematiche che consideriamo di preminente interesse. Penso alla salute e alla sicurezza sul lavoro, agli incentivi alla produttività, alla diffusione dei processi di innovazione - uno dei problemi della nostra economia è che l'innovazione c'è, ma rimane isolata, non entra in rete - alla pratica della formazione continua, al ruolo e alla finalità degli organismi bilaterali, che hanno un'importanza maggiore di quanto normalmente si pensi.
Termino qui la mia esposizione. Ringrazio tutti per l'attenzione.

PRESIDENTE. Ringrazio davvero il presidente Marzano. Credo che le sue considerazioni siano un buon modo per avviare la nostra indagine.
Se mi è consentito, presidente, vorrei chiederle se, nella sua replica, può fare riferimento, in maniera più articolata, alla questione che ha tenuto banco in questi giorni, ossia all'ipotesi riguardante l'inflazione programmata e se può dirci qual è il punto di riferimento nel campo della contrattazione.
Do la parola ai colleghi che intendono porre quesiti o formulare osservazioni.

ANTONINO FOTI. Mi fa enormemente piacere che il professor Marzano abbia sottolineato più volte l'aspetto della valorizzazione del contratto di secondo livello, ossia dei cosiddetti contratti in deroga, quelli che consentono la diversificazione sul piano economico, ambientale e, quindi, territoriale.
Volevo chiedere - anche con riferimento a questa offerta di collaborazione, dopo l'unanimità espressa su questi settori - come il presidente Marzano preveda che questo tipo di contrattazione possa favorire i redditi dei lavoratori per la competitività e lo sviluppo, con particolare riferimento al nostro sud, al nostro Mezzogiorno.


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ALDO DI BIAGIO. Ringrazio il professor Marzano per il contributo offerto a questa assemblea. Mi preme ribadire in questa sede l'obiettivo primario della riforma dei contratti, che deve restare quello di garantire benefici a tutti i lavoratori indistintamente, proprio in quest'ottica: il contratto nazionale deve salvaguardare la propria valenza.
Ho dubbi, però, sull'ipotesi di contrattazione territoriale di secondo livello. Poiché si intende ridistribuire la produttività, è necessario che il secondo livello rimanga quello aziendale e non quello territoriale.
L'esigenza di maggiore semplificazione della contrattazione non deve riversarsi in un peggioramento delle dinamiche di distribuzione della produttività. A tale riguardo, potrebbe essere auspicabile l'introduzione del contratto di filiera, al fine di garantire un quadro più reale della situazione economica di settori interconnessi, superando i limiti intrinseci della contrattazione decentrata.
In questa cornice, appare doveroso, quanto opportuno, dare adeguata attenzione al tema della partecipazione dei lavoratori. Il punto centrale della contrattazione decentrata dovrebbe essere proprio la definizione del livello a cui fare riferimento, per evitare che i contratti di secondo livello si configurino come strumento di disuguaglianza tra i lavoratori.

GIULIANO CAZZOLA. Ringrazio anche io il presidente Marzano che ha contribuito, con la sua autorevolezza personale e con quella dell'istituzione che rappresenta, ad aprire - credo degnamente - questa indagine conoscitiva in cui la Commissione è impegnata.
Presidente, esprimerò brevemente un'opinione, sulla base della quale le porrò una domanda. Discutendo l'actio finium regundorum tra contrattazione nazionale e decentrata, credo che in realtà si faccia molta propaganda e si agitino due debolezze. Intendo dire che si parla di un contratto nazionale che si applica in metà del Paese e di una contrattazione decentrata che si fa - lei lo ha certificato questo pomeriggio, tra l'altro dando anche una indicazione di forte decelerazione di questa esperienza - in qualche decina di migliaia di imprese.
Probabilmente, se dovessimo cercare gli unici settori del mondo del lavoro in cui si fa puntualmente contrattazione decentrata, andremmo a sbattere nel pubblico impiego, nel settore pubblico, dove credo che non ci siano problemi nel realizzare tale tipo di contrattazione, con tutte le questioni che, invece, si pongono sul versante della lievitazione delle retribuzioni e dei costi della pubblica amministrazione.
Personalmente, credo che dall'articolo 2 del decreto-legge n. 93 del 2008, che oggi è all'esame dell'Assemblea per la sua conversione in legge, venga sostanzialmente un contributo fortissimo allo sviluppo della contrattazione decentrata. Infatti, i lavoratori, i sindacati e le aziende, che sono persone estremamente pratiche, saranno ben attente a giocarsi le risorse che hanno in azienda, laddove potranno fruire, su alcune voci retributive, di un beneficio fiscale di tutto rispetto. Ovviamente, ciò accadrà, se la normativa, che oggi è posta in fase sperimentale, avrà la possibilità di consolidarsi in futuro.
Ad ogni modo, sono convinto che la vera riforma di cui dovremo parlare è una di quelle proposte nell'unico documento che questo Paese ha dedicato alla riforma della struttura della contrattazione. Penso al primo Governo Prodi, un Governo di centro-sinistra, fortemente riformista, che ha completato la riforma delle pensioni e ha varato la riforma Treu. Ce ne fossero di Governi così - e lo dico da questa parte del tavolo -, proprio per le attività che furono poste in essere a quell'epoca! Penso anche alla commissione Giugni - piena, tra l'altro, dei migliori giuristi di questo Paese, compresi gli indimenticabili Massimo D'Antona e Marco Biagi - che formula un discorso riguardante le clausole di deroga in peius nei contratti collettivi nazionali di lavoro. Tra le tante cose che dice, riporta anche le seguenti considerazioni: «ugualmente, al fine di conseguire risultati positivi, in termini di creazione o di difesa dell'occupazione, si potrebbero prevedere, come già sperimentato


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in Germania, delle cosiddette clausole d'uscita che consentano, entro certi limiti e a precise condizioni, definite nei contratti nazionali di lavoro, di derogare, a livello aziendale o territoriale, alla disciplina negoziata a livello nazionale».
Peraltro, questa strada è stata sperimentata, già da due rinnovi contrattuali, da una categoria che non ha insegnamenti da ricevere, quella dei chimici.
Il governatore Draghi nella sua ultima comunicazione, inoltre, ha sottolineato che la produttività del lavoro al sud è inferiore del 18 per cento.
Credo che una contrattazione unificata e forzosa fra nord e sud - ovviamente con la salvaguardia, come dicono i chimici, di alcune situazioni inderogabili - sia una delle tante cause, anche se forse non è la più importante, dell'esistenza dell'economia sommersa nel Mezzogiorno.
Ecco, vorrei capire cosa ne pensi lei e qual è l'opinione del CNEL, a proposito di questa breccia che, secondo me, potrebbe essere effettivamente il vero elemento di novità in questo negoziato.

TERESIO DELFINO. Saluto con simpatia e viva cordialità il professor Marzano, presidente del CNEL, per i lunghi anni trascorsi anche in dibattiti in sede di Commissione bilancio.
Vorrei svolgere solo due osservazioni, partendo da una preoccupazione che il professore ha indicato come uno degli elementi fondamentali oggi: contenere l'inflazione e tutelare il valore delle retribuzioni. Tra l'altro, annoto tale osservazione con particolare piacere, perché, se non ho compreso male il suo intervento e la sua relazione, ho letto una critica abbastanza evidente al provvedimento rispetto al quale ci apprestiamo a votare oggi la «non fiducia» al Governo, almeno come forza politica, per quanto riguarda la detassazione degli straordinari.
La nostra posizione non è dovuta alla visione di tale elemento come negativo in sé, ma alla frammentazione che emerge da tale provvedimento.
In questa sede, abbiamo affermato che, per un principio «di divisione dei lavoratori», in un momento difficile per il Paese dal punto di vista economico e sociale, si sarebbe dovuto evitare, ancorché in fase sperimentale, un approccio di questo tipo. Quindi, non parlo tanto del merito del provvedimento, quanto dell'applicazione in via sperimentale.
In questo quadro, condivido pienamente la considerazione che lei ha espresso circa la necessità di recuperare un clima di concertazione con le forze sociali, sia imprenditoriali che sindacali, nell'ambito dell'azione, che va portata avanti, di definizione del nuovo accordo.
Peraltro, per gli elementi che ci ha fornito, certamente il CNEL può dare un utile e importante supporto a questo nostro lavoro, ma più in generale all'azione del Governo e al rapporto tra le parti sociali.
Intendo dunque chiedere al CNEL, stante la preoccupazione iniziale, come ritiene si possa risolvere nell'immediato un problema che esiste da tempo, ma che non può essere protratto ulteriormente, quello della quarta settimana. Infatti, occorre dare una possibilità di recupero salariale immediato, dal momento che vi sono consistenti fasce di reddito dipendente, di reddito da pensione, di reddito familiare assolutamente inadeguate.

MASSIMILIANO FEDRIGA. Ringrazio il presidente Marzano. Svolgerò alcune brevi riflessioni, per poi porre una domanda.
In primo luogo, ritengo che la contrattazione decentrata possa essere utile - come diceva lei, professore - sia per la produttività, sia per migliorare le retribuzioni dei lavoratori, anche in relazione al territorio dove vivono. Come è palese, infatti, esistendo un costo della vita differente nel Paese, si può intervenire su quel versante per garantire la coesione sociale.
La contrattazione decentrata è sicuramente una misura per la quale bisogna battersi e per la quale il Governo si deve impegnare.
Al contempo, credo che la detassazione degli straordinari possa essere una buona base di partenza per capire se, effettivamente,


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produca delle influenze sulle entrate dello Stato, garantendo una misura strutturale, che non rappresenti un costo per lo Stato.
In questi sei mesi, valuteremo se sia possibile un effettivo aumento di produttività - quindi maggiori entrate per lo Stato - al fine di estendere ad una più ampia platea - come chiedeva lei -, la detassazione sullo straordinario.
Infine, le pongo una domanda che mi interessa particolarmente. Quali sono le misure da adottare per migliorare l'entrata nel lavoro delle donne e dei giovani e quali politiche per la famiglia occorre attuare per cercare di dare garanzie a queste fasce che, indubbiamente, sono più deboli?
Come si era ricordato anche nel dibattito sugli straordinari a cui si è fatto riferimento, infatti, tali fasce, ivi inclusa quella delle donne, sono meno coinvolte da questa misura. Quindi, quali provvedimenti si possono assumere per migliorare la situazione?

MARIA GRAZIA GATTI. Anche io voglio ringraziare il professor Marzano per la sua presenza e per aver portato l'esperienza del CNEL che, a mio avviso, mantiene questa caratteristica di unitarietà fra le forze impegnate nel mondo del lavoro, quelle imprenditoriali e quelle dei lavoratori, che dà valore alle cose dette e individua un terreno possibile anche per incontri futuri.
Condivido pienamente la considerazione espressa circa il fatto che questa audizione possa dare delle indicazioni, anche a questa Commissione, sulle modalità con cui, il Parlamento da una parte e il Governo dall'altra, possono favorire e adottare legislazioni di sostegno verso lo sviluppo della contrattazione di secondo livello.
Peraltro, a mio avviso, questo è un compito sia del Parlamento che del Governo, in una fase di questo tipo, in cui si lavora alla revisione di un accordo che - lo ricordo - ha coinvolto le parti sociali e il Governo. Anche nell'accordo del 1993, infatti, i ruoli erano espliciti e quello svolto dal Governo era fondamentale (mi ricordo gli interventi sull'inflazione e via dicendo).
Tale osservazione mi porta a porre la domanda che, in fondo, è sottesa a tutte le questioni che sono state sollevate finora. Le chiedo, dunque, di esprimere un giudizio sui provvedimenti che vengono presi in questo momento, sull'articolo 2 del decreto-legge n. 93 del 2008 che stiamo esaminando.
In quest'ottica, tuttavia, occorre essere consapevoli del fatto che un conto sono gli straordinari e un conto è la contrattazione di secondo livello.
Ugualmente, bisogna considerare che, nel decreto in discussione, non vi è la definizione di un intervento a sostegno della contrattazione di secondo livello. Quando si parla di premi di produttività - a domanda esplicita il Ministro, e il relatore del provvedimento in questione in questa Commissione lo hanno confermato - non ci si riferisce al salario proveniente dalla contrattazione di secondo livello in modo esclusivo, ma a tutte le forme, anche alle elargizioni unilaterali da parte delle aziende.
A mio parere, questo è un problema, proprio in relazione alla contrattazione.
Torno a ripetere ciò che ho detto in Commissione. A mio avviso, la Costituzione ha ancora tutta la sua validità. Il rapporto di lavoro è ancora ineguale in molte fasce del Paese, in molte situazioni e in molti settori produttivi e l'intervento collettivo è uno degli elementi che danno garanzie rispetto alla disuguaglianza di poteri all'interno di quel rapporto. È per questo motivo che la contrattazione di secondo livello ha valore.
Personalmente, ritengo che il problema vero, in una fase di ridiscussione degli assetti contrattuali, sia proprio quello che lei ha posto in modo esplicito, quando ci ha fatto notare quanto fosse ridotto il numero di lavoratori coperti dalla contrattazione di secondo livello.
Per questo motivo, penso che, a questo punto, il concetto di contrattazione di secondo livello debba diventare il più inclusivo


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possibile, cogliendo anche gli elementi della contrattazione territoriale.
Non dimentichiamo, inoltre, che in questo momento ci troviamo ad avere a che fare con situazioni molto particolari all'interno delle aziende.
Qualcuno, in proposito, faceva riferimento al contratto dei chimici che, in questa fase, stanno sperimentando anche la contrattazione di sito, secondo cui diversi lavoratori, appartenenti anche a differenti settori, contrattano al secondo livello, a prescindere dai contratti nazionali di appartenenza.
Questo, forse, potrebbe essere un elemento di evoluzione possibile, anche in questa fase di rinnovo degli assetti. Si potrebbe cioè non soltanto pensare a una filiera determinata dal settore, ma inserire anche l'elemento relativo al sito, all'unità produttiva, all'articolazione che assume, alle presenze diverse di contratti nei luoghi di lavoro. Le chiedo, dunque, un parere su questo aspetto.
Inoltre, le domando quale possa essere l'intervento da attuare per riuscire a favorire il più possibile la copertura della contrattazione di secondo livello che a me sembra essere il vero problema da affrontare, soprattutto se pensiamo di trasferire una parte della contrattazione salariale a livello decentrato.

LUCIA CODURELLI. Ringrazio anche io il presidente Marzano, per aver portato in questa Commissione un tema così importante, attuale e all'ordine del giorno, come mai in questi tempi.
Credo, tuttavia, che tale argomento abbia importanza da sempre, perché la tematica del lavoro e del sociale ha una ruolo centrale nella nostra vita e non potrebbe essere diversamente.
Ho letto molto velocemente la sua relazione, presidente - e mi scuso anche di essere arrivata tardi -, ma la rileggerò successivamente con più attenzione.
Concordo con la collega che mi ha preceduto nel dire che l'esposizione presentata da lei oggi in Commissione ci aiuterà sicuramente nel dibattito dei prossimi mesi, anche rispetto alle tematiche del lavoro.
La ringrazio anche per avere scritto ed evidenziato determinati aspetti. Infatti, riconsiderando le audizioni e le discussioni fatte in queste settimane sui provvedimenti in esame, credo che sia possibile osservare come numerose considerazioni contenute nella relazione siano state già sollecitate e sottolineate con forza, soprattutto in relazione al provvedimento sul quale oggi, come qualcuno ha ricordato, è stata posta la fiducia.
Da parte nostra, sarà espressa una non fiducia, perché rileggendo questa sua relazione, riteniamo che il provvedimento in questione non sia assolutamente rispondente alle esigenze che anche lei ha sottolineato.
Vorrei evidenziare alcuni elementi e porle anche una domanda diretta, per capire se ci possa aiutare in questo senso.
Professore, rispetto ai parametri europei, alle raccomandazioni della Commissione europea, lei sottolinea con forza la necessità di trovare nuove forme di organizzazione del lavoro partecipate. Credo che questo sia uno dei punti importanti da considerare, se vogliamo riproporre il problema della partecipazione. In questo momento, affrontiamo tale argomento in merito al tema del lavoro, ma vi facciamo riferimento anche relativamente alla questione della sicurezza.
Vengo, poi, alla diffusione della contrattazione di secondo livello. Personalmente, lego tale riflessione - espongo la mia opinione, ma vorrei conoscere il suo parere in merito - ai passaggi successivi della sua relazione, quando parla dell'alta disoccupazione femminile dovuta a mancanze - come diciamo da tempo - di servizi e di aiuti.
Allora, come è possibile pensare ad una contrattazione di secondo livello, se non si parla di contrattazione territoriale?
Quando si parla di servizi all'infanzia, si fa riferimento ad esperienze - troppo timide ancora, - anche nei passati Governi - che sono interaziendali piuttosto che altro.


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Come è possibile prescindere da contrattazioni territoriali rispetto ai servizi, rispetto alla contrattazione e così via?
Ecco perché, da questo punto di vista, riteniamo - condivido pienamente quanto lei ha scritto in questo senso - che siano necessari servizi, partecipazione, inclusione, aiuti e sostegno ai soggetti più deboli, le donne e i giovani, che non hanno trovato assolutamente risposta in questo provvedimento che ci si appresta a votare.
Nell'ultimo passaggio della sua relazione, professore, lei scrive che «probabilmente le donne oggi sono tornate a cercare lavoro, per far quadrare meglio il bilancio familiare».
Entrambi gli aspetti sono da rilevare. In primo luogo, infatti, vogliamo raggiungere l'obiettivo di un tasso di occupazione femminile almeno pari a quello indicato dalla Comunità europea. In secondo luogo, si pone il problema, che altri hanno sollevato, del bilancio familiare.
Proprio da questo punto di vista, tuttavia, le prime risposte che questo Governo ha dato non soddisfano né l'uno, né l'altro di questi punti così forti, che anche lei sottolinea.

CESARE DAMIANO. Ringrazio il professor Marzano, con il quale ho avuto modo di lavorare negli anni scorsi, per questa relazione che sento di sottoscrivere nella sua sostanza. Anzi, penso che andrebbe divulgata. La sottoscrivo, perché è una relazione come sempre argomentata e che ci porta dei suggerimenti importanti per il nostro lavoro.
Credo che tutti abbiano un obbiettivo, quando si parla di riforma del modello contrattuale: quello di aumentare la produttività del sistema.
Personalmente, condivido questo obiettivo. Lo condivido a tal punto da auspicare un accordo fra le parti sociali che definisca un nuovo equilibrio tra contratto nazionale e contratto decentrato, a maggior vantaggio del contratto decentrato. Un contratto che, per sua natura, è quello che meglio può riuscire nell'intento di distribuire la produttività realizzata, non quella da realizzare.
Di questo sono molto convinto e credo di aver operato in questa direzione.
Il primo punto è il seguente: il Governo - tralascio il problema politico della fiducia, di cui si è già parlato - nelle azioni che sta predisponendo, mentre sostiene di voler favorire la crescita della produttività del sistema, sta andando in questa direzione (che è tutt'uno con il favorire l'accordo fra le parti sociali per la ridefinizione del modello contrattuale)?
Penso alla prima domanda del presidente, all'inflazione programmata. La fissazione di un tasso all'1,7 per cento, a mio avviso, è stata un errore. Qualcuno ha posto un'obiezione, richiamando il Governo Prodi.
In proposito, svolgo una breve osservazione. Il Governo Prodi, in un contesto nel quale l'inflazione era al 2,2 per cento, fissò, anche sulla base di una mia precisa rivendicazione, l'inflazione programmata al 2 per cento. Ero e rimango convinto del fatto che l'inflazione programmata, che viene largamente disattesa nelle contrattazioni private e largamente applicata nelle contrattazioni del pubblico impiego, debba stare vicino a quella che è la realtà perlomeno rilevata dall'Istat, che è molto al di sotto della crescita di costo dei beni di prima necessità delle famiglie.
Il Governo Prodi fissò l'inflazione programmata al 2 per cento. Gli anni successivi prevedevano un 1,7 per cento, in un contesto nel quale l'inflazione non aveva avuto questo improvviso aumento (una febbre alta!).
Sono sicuro che se quel Governo fosse rimasto in carica - almeno per quanto mi riguarda - avrebbe agito con la coerenza della prima finanziaria, con un'inflazione programmata vicina all'andamento dell'inflazione reale, in un momento nel quale le parti sociali stanno discutendo precisamente di un nuovo modello.
Tra le altre cose, ho sentito, addirittura il vicepresidente di Confindustria, Bombassei, affermare timidamente che, forse, la definizione all'1,7 per cento non era propriamente la misura più idonea per favorire un dialogo fra le parti sociali. Non so quale sia la sua opinione in proposito.


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Se vorrà rispondere a chi le parla e all'onorevole Saglia, naturalmente lo potrà fare.
Non sfugge a nessuno che la fissazione di un tasso di inflazione di questa natura costringerà il pubblico impiego a rinnovare i contratti a quel tasso di inflazione, quindi a una sostanziale programmazione di perdita d'acquisto per l'intero comparto pubblico, essendo l'inflazione dell'Istat - non la chiamo reale perché è dell'Istat - almeno al doppio.
Vengo ora alla seconda questione. Questo è un ulteriore interrogativo che mi pongo e che ho già formulato in altre circostanze. Se vogliamo stimolare la produttività del sistema, siamo sicuri che le misure che il Governo sta adottando, sulle quali ci è impedito di discutere per via della fiducia, ad esempio la misura degli straordinari, vadano in questa direzione?
Personalmente, sostengo, anche in via teorica, che quando parliamo di straordinari non possiamo parlare tout court di produttività. Tutti conoscono l'andamento del sistema. Gli straordinari si fanno fare dove si possono fare, e a chi si vuole, da parte delle gerarchie aziendali. Ubbidiscono a tanti argomenti, non solo a quelli della crescita della produzione.
Senza dubbio, lo straordinario non è ascrivibile tout court a una crescita di produttività del sistema, sicuramente di produzione e, nel caso in cui il costo sia così basso, evidentemente, esso risponde a una diminuzione del costo del lavoro per ora lavorata.
Allo stesso modo, mi domando come si possa affermare, nel momento in cui si vuole riformare il modello contrattuale - affermazione che lei non ha fatto, ma che ho sentito in questo dibattito -, che il sistema dovrebbe riformarsi esclusivamente prevedendo, per la crescita della produttività, la contrattazione aziendale.
Lo ripeto ancora una volta: se questa è la posizione del Governo, o di alcuni autorevoli esponenti, voi condannate interi settori di cui credo tutti dobbiamo farci carico - gli artigiani, i commercianti e il settore dell'edilizia - all'esclusione dai benefici di carattere fiscale che derivano da queste manovre (decontribuzione per le imprese, pensionabilità per i lavoratori, detassazione sempre per i lavoratori).
Quindi, credo che la questione della contrattazione territoriale non sia semplicemente risolvibile con una negazione, motivata dal fatto che non è possibile fissare una media di produttività, ma vada ricondotta alle particolari caratteristiche di determinati settori produttivi - prendo a riferimento l'artigianato - che vivono di contrattazione territoriale, la cui esclusione da questo contesto provocherebbe a quel settore, in termini di competitività, un passo indietro rispetto alla grande e media impresa rappresentata da Confindustria.
Non è un caso che Confindustria abbia sostenuto, nel corso della definizione del protocollo del 23 luglio, esclusivamente la logica della decontribuzione nella contrattazione aziendale.
Tuttavia, noi dobbiamo difendere gli interessi di Confindustria o del sistema produttivo nel suo insieme, comprese le piccolissime realtà della produzione?
Quindi, la questione della territorialità, a mio avviso, è fondamentale. Non so quale sia la sua opinione in merito.
Infine, ho molto apprezzato il fatto che nella sua relazione ci sia un preciso richiamo, quando si parla di straordinari e della loro detassazione, alla verifica dell'efficacia di queste regole, tesa anche a verificare un uso elusivo di tale misura.
Mi preoccupa che, nella definizione del Governo, accanto alla questione relativa allo straordinario, ci sia quella del lavoro supplementare. Possono generarsi degli effetti distorsivi, riconducendo il full time al part time, perché le altre ore vengono fatte lavorare a minor costo.
Lo stesso può dirsi per l'intenzione di finalizzare - come qui è stato scritto - alla questione della competitività tutto il sostegno alla contrattazione di secondo livello, che non passa sicuramente attraverso gli straordinari.
Infine, aggiungo una notazione, che ho proposto in un'altra occasione all'onorevole Cazzola e che è stata ripresa dal CNEL. Per sostenere la diffusione del secondo livello di contrattazione, sarebbe


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utile rafforzare - come lei scrive - strumenti individuati dal protocollo del 23 luglio del 2007 che corrono il rischio di rimanere inattuati. Sappiamo che i decreti relativi, firmati dai ministri dell'epoca, sono presso la Corte dei conti e, nel caso in cui non vengano sbloccati ed aiutati nella loro applicazione, corriamo il rischio di non avere decontribuzione e pensionabilità del salario di produttività per le imprese dal 1o gennaio di quest'anno.
Inoltre, vorrei sapere quale sia la sua opinione circa gli elementi di decontribuzione e quelli di detassazione dei premi decentrati. Vale per gli accordi - come io sostengo - negoziati dalle parti, o anche per le cosiddette liberalità delle imprese?
Infatti, se andiamo nel senso di favorire una detassazione anche del salario erogato unilateralmente dalle imprese, è inutile che si parli di riformare il modello contrattuale e di valorizzare il rapporto fra le parti sociali e il ruolo della contrattazione. Da questo punto di vista, c'è un'evidente contraddizione da parte dell'azione del Governo.
Per questo, in termini generali - e ho concluso -, ritengo le misure del Governo assolutamente fuorvianti rispetto ad una crescita vera della produttività. Soprattutto, rilevo l'impossibilità di svolgere una discussione che sposti ad esempio le risorse, come noi abbiamo chiesto, dagli straordinari verso i premi di produttività, che vanno incrementati e messi in sintonia con la legislazione precedente. Questo sì che avrebbe potuto portare un risultato che aiuterebbe la crescita di una contrattazione che, come giustamente rilevato nella sua relazione, è purtroppo in discesa piuttosto che in salita.

SESTINO GIACOMONI. Ringrazio il professor Marzano per l'ampia relazione. Il CNEL oggi apre questa indagine conoscitiva sull'assetto delle relazioni industriali e, soprattutto, sulle prospettive per una riforma della contrattazione collettiva.
Mi dispiace che l'onorevole Damiano, e soprattutto l'onorevole Delfino, non apprezzino i provvedimenti del Governo, in particolar modo quelli su cui oggi voteremo la fiducia.
Credo, infatti, che sappiano bene che la detassazione degli straordinari, così come l'abrogazione dell'ICI, sono provvedimenti presi in fase di emergenza, quindi in tempi molto stretti, proprio per provare a dare al sistema quella piccola scossa, che negli ultimi anni non era stata data.
In ogni caso, la detassazione degli straordinari e dei premi di produzione è un modo per legare l'aumento degli stipendi a una crescita di produttività.
Su questo tema piacerebbe anche a me avere un parere del professor Marzano, come presidente del CNEL o come economista.
Dal momento che mi auguro che l'indagine conoscitiva dia i suoi frutti e porti noi, come Commissione, ad elaborare delle proposte che il Governo potrebbe anche condividere, chiederei al professor Marzano, e al CNEL, come la contrattazione possa favorire, nei fatti, l'aumento del reddito dei lavoratori e, contemporaneamente, anche un aumento della produttività e della competitività.
Inoltre, professore, mi interesserebbe particolarmente sapere che cosa ne pensa di quelli che vengono definiti contratti in deroga.

PRESIDENTE. Do la parola al presidente Marzano per la replica.

ANTONIO MARZANO, Presidente del CNEL. Il CNEL si è espresso, in quanto, come dicevo all'inizio, ha realizzato una convergenza di posizioni delle parti sociali. Quindi, Marzano riferisce di ciò. Non ha riferito opinioni personali in questa occasione, anche se mi accingo a farlo.
Naturalmente, il CNEL non si è potuto esprimere su misure che sono oggi al voto del Parlamento, perché le posizioni di cui ho parlato sono state prese in passato e, quindi, non si potevano considerare gli sviluppi. Se queste misure vanno considerate come una sperimentazione di cui verificare risultati, forse possiamo controllare, perché si tratta di argomenti terribilmente complicati.


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Consentitemi - stavo per dire colleghi, per i miei precedenti trascorsi, ma ormai con mio dispiacere non posso più usare termine -, però, di porre alcune questioni di metodo, se posso, a titolo personale.
Sono molto perplesso sulla misura della produttività in questo Paese. Mi spiego: quando un'economia ha una data struttura produttiva e cresce, o non cresce, con quella data struttura produttiva, i problemi forse non ci sono. Tuttavia, il caso è diverso quando un Paese si ristruttura, come sta accadendo - io ho cominciato a notarlo già a suo tempo -, e comincia a puntare sulla qualità del prodotto, sul range elevato, consapevole com'è che sulla base dei costi è difficile competere con Paesi a bassi salari, come sapete tutti. Quindi, la competizione va portata sulla qualità, sicché la variazione della produzione, se volete del PIL, non è solo una variazione quantitativa, che è abbastanza statica, ma anche qualitativa.
Chi misura la variazione della qualità? Questo mi rende perplesso.
Lo ripeto, non porrei il problema se l'economia fosse a struttura stazionaria. Tuttavia, stiamo vivendo una situazione in cui le imprese si specializzano nella qualità.
Quindi, potrebbe darsi che, misurata in termini di quantità prodotta, effettivamente, la produttività è quella che è, ma potrebbe anche verificarsi un aumento di produttività dovuto al miglioramento della qualità che non viene misurato, e che quindi è assente anche nella contrattazione.
Intendo dire che si pone un problema di misura della produttività che mi lascia piuttosto perplesso.
Detto questo, vorrei svolgere un'ulteriore considerazione leggermente diversa da quella precedente. Si usa misurare la produttività come valore aggiunto, diviso il numero dei lavoratori, delle ore. Il valore aggiunto è la differenza tra il valore della produzione e il valore delle cose usate nella produzione (materie prime e via dicendo).
Per un Paese povero di materie prime, che le deve importare dall'estero, è ovvio che la produttività risulta più bassa, perché la differenza tra il valore della produzione e quello delle materie prime è tutta negativa. Se le materie prime si producessero nel Paese, questo non accadrebbe, perché da una parte si dovrebbe togliere il loro valore, ma dall'altra parte lo si ritroverebbe come produzione.
Quando tutto si importa dall'estero, è ovvio che la produttività risulta più bassa, ad esempio rispetto agli altri Paesi che hanno alcune materie prime e un po' di energia.
Non sto proponendo alla Commissione di dedicare la propria attenzione a queste questioni di metodi di misurazione, però ho l'impressione che forse andrebbe fatto.
Vengo ora all'esame del problema della contrattazione territoriale, che è stato sollevato in varie occasioni. È chiaro che, applicando la contrattazione territoriale, occorre considerare che c'è una parte del territorio, il sud, dove la produttività e i prezzi delle merci sono più bassi.
Quindi, bisogna sapere che se si attua la contrattazione territoriale e si tiene conto di questi elementi, ne derivano salari più bassi. Occorre dunque spendere un attimo di riflessione su questo aspetto. La contrattazione a livello settoriale, in qualche modo, esiste già (i 400 contratti a cui ho fatto riferimento in precedenza più o meno sono settori; non solo -dipende dal modo in cui si sono associati gli imprenditori - ma tendenzialmente sono settori).
A mio avviso, quindi, la forma che andrebbe considerata di più è proprio quella aziendale. Di nuovo mi riferisco a quello che dicevo in precedenza sulla ristrutturazione del sistema produttivo.
In uno stesso settore - colleghi, lasciate che ve lo dica -, ci sono imprese che vanno bene, che sono riuscite a fare le scarpe di qualità, perché le hanno immaginate che respirano o cose di questo genere (non voglio entrare nella pubblicità) e altre no.
L'appartenenza al medesimo settore calzaturiero significa, in realtà, che le


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produttività sono molto diverse per le imprese che ci sono riuscite e per quelle che non ci sono riuscite.
È vero che con la contrattazione decentrata i salari saranno diversi, sono unici se c'è una sola contrattazione nazionale.
A mio a viso, tuttavia, se vogliamo tenere comunque alla base del livello salariale la produttività -altrimenti nascono i problemi che abbiamo sperimentato in altri tempi della nostra economia, quando non si teneva conto abbastanza di tale fattore -, è meglio che ci sia una certa differenziazione salariale, piuttosto che avere salari bassi per tutti.
Ecco perché, sono favorevole alla contrattazione decentrata. Il CNEL lo è (questa non è un'opinione personale).
Certo, vi è una certa misura di differenziazione dei salari se si sceglie la contrattazione decentrata, ma è meglio avere un margine di differenziazione con salari più alti, che non salari tutti uguali e più bassi. Questa è la mia opinione personale, che forse è anche politica. Di questo, eventualmente, mi scuso.
L'onorevole Cazzola ricordava la Commissione, le opinioni di Giugni e di altri - effettivamente, le ho richiamate anch'io nella mia relazione - che preludevano a innovazioni nel settore.
Il problema di arrivare alla quarta settimana si pone già da alcuni anni. Ho l'impressione che esso nacque, ma non perché fosse desiderato, in occasione di quello che accadde nel sistema commerciale italiano con l'introduzione dell'euro. Sul valore dell'euro, in termini di ex lire, infatti, avvenne una certa sconnessione nel sistema.
Devo anche dire che, come Ministro, chiesi all'Europa di poter continuare a esporre il prezzo dei prodotti in lire, assieme a quello in euro, per un periodo più lungo di quello in cui si fece in realtà e la risposta europea fu negativa. La circolazione legale era in euro e quindi i prezzi andavano espressi nella nuova moneta. In ogni caso, fu in quella fase che cominciò il problema.
Devo anche aggiungere che, avendo studiato storia economica, con riferimento al Mezzogiorno, quando la lira sostituì le monete dei vari regni l'Italia, nel sud i prezzi erano più bassi. Con l'unificazione monetaria, i prezzi al sud diventarono più alti. «Una moneta, un prezzo», dicono gli economisti. Quindi, i prezzi tendono a livellarsi verso l'alto, perché i beni sono mobili, mentre i lavoratori non lo sono altrettanto. Il salario, dunque, tende a rimanere quello iniziale, mentre i prezzi si uniformano ai livelli più alti di Parigi, di Berlino e così via.
Questo accadde anche nel Mezzogiorno. Uno dei primi avvii dell'impoverimento del Mezzogiorno fu che i prezzi diventarono quelli piemontesi - per intenderci -, mentre i salari erano rimasti quelli del Regno delle Due Sicilie. Si è verificato, insomma, un fenomeno analogo a quello che è successo in Italia.
Il problema, quindi, cominciò allora. Non è una questione di questi giorni, quella di arrivare alla fine del mese. Nel breve periodo, credo che la situazione si possa risolvere solo usando la leva fiscale. Nel medio e lungo periodo, invece, si potrebbe rilanciare la produttività e favorire la contrattazione decentrata.
Quanto alla partecipazione, sottolineo che naturalmente queste sono tesi, sulle quali anche le rappresentanze sindacali sono molto divise.
Personalmente, ritengo che una maggiore partecipazione dei lavoratori - io dico anche al limite agli utili, ma è un'opinione personale - alla gestione, all'impostazione, sarebbe un modo per accrescere la produttività del sistema, perché ci sarebbe un maggior coinvolgimento dei lavoratori.
Per quanto riguarda l'ipotesi che l'incentivo degli straordinari abbia effetto o meno sulla produttività, questo dipende da come misuriamo la produttività. Se la misuriamo su base oraria, è chiaro che al denominatore crescono le ore di straordinario e la produttività non aumenta. Se la misuriamo su base annua, con più straordinari, la produzione cresce e aumenta anche la produttività del lavoro annuo.


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Vengo ora all'inflazione programmata. In proposito, personalmente penserei all'inflazione europea, quella dichiarata in sede europea, come obiettivo. Perché non pensare a quella? Tale dato è quello a cui ci dobbiamo riferire.
Inoltre, sull'inflazione, sono in corso studi che anche il CNEL ha sollecitato all'Istat.
Ovviamente, infatti, l'inflazione non è la stessa per tutti. Dipende dal paniere, dal tipo di beni che si acquistano normalmente.
Naturalmente, se si analizza anche questo elemento, ne deriverà che l'indice dei prezzi è più basso nel meridione. Questo è uno degli argomenti che vi troverete ad affrontare, ove parlaste di contrattazione territoriale.
Il costo della vita nel meridione è più basso. Quindi, idealmente, l'Istat dovrebbe calcolare un indice del costo della vita diverso a seconda del tipo di paniere, e del reddito - le due cose sono collegate -, ma dovrebbe calcolare anche l'indice del costo della vita per territorio, almeno per il sud.
Sui provvedimenti - ripeto - non esprimo un giudizio del CNEL, che non li ha esaminati. Le considerazioni che vi ho riferito si riferiscono al passato.
In ogni caso, raccomanderei la sperimentalità di questi provvedimenti. Vale a dire che, a distanza di un anno, si verifica come sono andati, che risultati hanno prodotto e se occorre apportare delle correzioni. Del resto, credo che questo punto di vista sia stato anche espresso; ma non voglio entrare nella vostra giusta dialettica politica, perché non è il mio ambito. Non sono una parte politica.
Con riferimento a qualche domanda che è stata posta, desidero ricordare che quando facevo un altro mestiere, ho predisposto alcuni provvedimenti (potrei ricordare l'energia o Parmalat). Ebbene, tra questi, ve ne era uno che non era una legge, ma una decisione di cui vado particolarmente orgoglioso: l'asilo nel mio ministero. Facciamo gli asili, molti asili, e non solo al ministero che allora si chiamava delle attività produttive!

PRESIDENTE. Professore, la ringrazio molto per la disponibilità manifestata,. Sicuramente, abbiamo fatto bene a iniziare la nostra indagine con l'audizione del presidente Marzano.
Credo che il CNEL ci potrà aiutare a raggiungere qualche obiettivo ambizioso, anche perché - questo è un giudizio personale - nel dibattito che è in corso tra le parti sociali, più dell'80 per cento delle imprese non è rappresentato. La voce di coloro che non sono rappresentati da un'unica associazione datoriale, evidentemente, ha esigenza di trovare altri spazi. Speriamo di poter svolgere questo ruolo insieme.
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 15,15.

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