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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissione XI
20.
Martedì 17 febbraio 2009
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Saglia Stefano, Presidente ... 2

INDAGINE CONOSCITIVA SULL'ASSETTO DELLE RELAZIONI INDUSTRIALI E SULLE PROSPETTIVE DI RIFORMA DELLA CONTRATTAZIONE COLLETTIVA

Audizione di rappresentanti della Confindustria:

Saglia Stefano, Presidente ... 2 5 7 12 16
Bombassei Alberto, Vicepresidente per le relazioni industriali, affari sociali e previdenza della Confindustria ... 2 6 12
Damiano Cesare (PD) ... 7
Poli Nedo Lorenzo (UdC) ... 11
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Movimento per l'Autonomia: Misto-MpA; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.; Misto-Liberal Democratici-Repubblicani: Misto-LD-R.

COMMISSIONE XI
LAVORO PUBBLICO E PRIVATO

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di martedì 17 febbraio 2009


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE STEFANO SAGLIA

La seduta comincia alle 11,40.

(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso e la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Audizione di rappresentanti della Confindustria.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sull'assetto delle relazioni industriali e sulle prospettive di riforma della contrattazione collettiva, l'audizione di rappresentanti della Confindustria.
Ringraziamo in particolare il dottor Bombassei, che ha voluto nuovamente onorarci della sua presenza in occasione di un breve supplemento di indagine che abbiamo voluto svolgere, all'indomani dell'accordo quadro firmato a Palazzo Chigi.
Accompagnano il dottor Alberto Bombassei, vicepresidente di Confindustria, Giorgio Usai, direttore delle relazioni industriali, Pierangelo Albini, vicedirettore delle relazioni industriali, Patrizia La Monica, direttore dei rapporti istituzionali, Zeno Tentella, responsabile per i rapporti parlamentari ed Emanuela Cherubini, addetto stampa.
Ricordo ai nostri ospiti che, alla conclusione dei lavori e delle audizioni, abbiamo proposto un documento, che non è stato approvato o respinto da parte della Commissione, ma che è stato assunto come base di lavoro, proprio per dare un contributo, da parte del Parlamento, a una riforma delle relazioni industriali - al di là delle posizioni che ogni gruppo parlamentare ha in merito -, offrendo altresì una disponibilità a sostenere gli accordi che le parti hanno intrapreso o intraprenderanno eventualmente attraverso la predisposizione di una legislazione di vantaggio.
Do la parola al vicepresidente di Confindustria, Alberto Bombassei.

ALBERTO BOMBASSEI, Vicepresidente per le relazioni industriali, affari sociali e previdenza della Confindustria. Signor presidente, dato che la raccomandazione espressa è quella di essere il più breve possibile, e dando per scontato che i dettagli della trattativa li conosciate tutti, sintetizzerò quanto avvenuto dopo la nostra audizione e fornirò la nostra interpretazione dell'accordo quadro che abbiamo firmato il 22 gennaio, magari lasciando più spazio - ovviamente se il presidente è d'accordo - alle domande specifiche che vorrete porci.
Quello del 22 gennaio è un accordo, chiamato accordo quadro perché riepiloga le nuove procedure, o regole, che dovrebbero disciplinare le negoziazioni sulla gestione della contrattazione collettiva in sostituzione degli accordi del 1993.
L'obiettivo da raggiungere era quello di esserne sottoscrittori, insieme al più largo numero possibile di enti.
Se ci riferiamo agli accordi del 1993, dobbiamo dire che questi erano stati sottoscritti da tutte le organizzazioni datoriali, dal Governo e da tutti i sindacati.


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Invece, quando parliamo di accordo separato, forse non usiamo un termine corretto. Credo, infatti, che l'accordo del 22 gennaio abbia come sottoscrittori all'incirca venticinque associazioni datoriali, una delle quali è del Governo, in veste di datore di lavoro, e ben sei organizzazioni sindacali. Pertanto, se l'accordo si definisce separato è solo perché manca la sigla, il benestare della CGIL.
Devo dire che questo ci dispiace. Abbiamo fatto davvero di tutto - posso dirlo anche personalmente - per cercare di avere anche il consenso della CGIL, soprattutto pensando ai momenti così drammaticamente difficili che stiamo vivendo.
Faccio notare che questo accordo è stato inseguito per quattro anni. Siamo partiti nel 2004, ma, tralasciando questa lunga storia, sottolineo che, soltanto per arrivare al documento di cui stiamo parlando, abbiamo indetto circa diciassette riunioni - qualcuna delle quali si è spinta anche in ore notturne -, a cui la CGIL è sempre stata presente.
In queste occasioni, abbiamo anche modificato numerose delle nostre raccomandazioni, su indicazione non solo della CGIL, ma anche degli altri sindacati.
Ritenevamo, quindi, che quello presentato fosse un compromesso accettabile.
In realtà, non siamo riusciti a raggiungere il nostro scopo, per cui, da un lato, siamo soddisfatti di essere arrivati a una conclusione così largamente condivisa e, dall'altro, siamo dispiaciuti di non essere stati capaci di convincere anche la CGIL a sottoscrivere un accordo che, dal nostro punto di vista, avrebbe fatto compiere un passo in avanti in vista della ridefinizione di regole che, come sapete, risalgono ormai al 1993, quindi a circa quindici anni fa.
In questo arco di tempo, non è cambiato solo il mondo, ma anche il modo di fare lavoro, il modo di operare e le relazioni industriali.
Soprattutto, se guardiamo agli altri Paesi con cui ci confrontiamo, ormai quasi giornalmente - parliamo di quelli europei, non di altri continenti -, in materia di relazioni industriali e sindacali, credo che questo documento ci faccia compiere un salto verso la condivisione delle regole dei Paesi industriali che sono simili o addirittura più evoluti rispetto al nostro.
La situazione a cui mi riferivo in precedenza, quindi, è per noi motivo di dispiacere. Tuttavia, devo dire che abbiamo predisposto il documento con tutta la buona volontà possibile. Abbiamo accordato alcune concessioni su determinate modifiche - del resto, non potevamo cambiare radicalmente il documento che anche altri avevano condiviso - e abbiamo accettato che il testo fosse il più universale possibile
Infatti, quando, il 10 di ottobre, siamo riusciti ad arrivare a una conclusione quasi condivisa, meno qualche punto, ci è stato chiesto - specificamente dalla CGIL, ma anche dagli altri sindacati - di allargare questo sondaggio anche alle altre associazioni datoriali, perché il documento doveva essere di carattere universale; richiesta che pazientemente abbiamo soddisfatto.
Abbiamo concluso questo giro, comprendendo anche il Governo in qualità di datore di lavoro, proprio il 22 gennaio. Infatti, le ultime modifiche al documento le abbiamo apportate proprio a Palazzo Chigi in quella data, inserendo alcune variazioni che ci sono state richieste, che sono state condivise nello stesso momento dai presenti e quindi sottoscritte.
Da parte nostra, dunque, non possiamo rimproverarci veramente niente.
Peraltro, posso dire - ormai il documento è stato pubblicato, quindi non parlo di nulla di riservato - che proprio lo stesso giorno del 22 gennaio, abbiamo trascorso cinque lunghe ore con il segretario nazionale della CGIL, Guglielmo Epifani, per cercare di trovare in extremis non dico un convincimento, ma una mediazione.
La mia impressione personale è che non ci fosse la volontà di concludere, perché, non appena riuscivamo ad avvicinarci, almeno culturalmente, su qualche argomento, ne sbucava subito fuori qualcun altro. Come ho detto, dunque, penso che non ci fosse la volontà, forse politica,


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di condividere un documento di questo genere. Me ne dispiace veramente, lo ripeto.
Faccio notare che l'accordo quadro in questione rappresenta un cambiamento rispetto al passato, perché apre la possibilità alle varie associazioni di stipulare separatamente degli accordi con i diversi sindacati in maniera difforme, tenendo sempre fede ai principi che abbiamo appena sottoscritto, ma considerando anche le diversità che ogni associazione presenta.
Chiaramente, la Confindustria stipulerà il proprio accordo interconfederale e la Confcommercio farà altrettanto. Quindi, alcune interpretazioni andranno personalizzate in funzione delle necessità che ciascuna categoria, o ciascuna associazione, avrà come input.
Tra gli aspetti più importanti che abbiamo cambiato, vi è sicuramente la durata dei contratti che, come sapete, con gli accordi del 1993 era di quattro anni (due più due) e che abbiamo portato a tre.
L'altro punto su cui siamo tornati per parecchie volte e che è stato uno degli elementi di disaccordo, è l'indice di inflazione previsionale.
In proposito, credo che dobbiamo riconoscere tutti - in questo caso anche con l'accordo del Governo - di aver cambiato un pilastro dell'accordo del 1993, ossia l'inflazione programmata che, come sapete, spettava ai Governi definire.
Spesso e volentieri, non i presenti, che sono degli esperti, ma qualcuno fra di noi ha pensato che l'inflazione programmata fosse la previsione dell'inflazione; il che era sbagliato. Per definizione, infatti, tale inflazione doveva essere più bassa di quella reale, dal momento che serviva da raffreddamento all'inflazione.
Quindi, il fatto di poter cambiare questo termine, credo che abbia portato a un salto di qualità, da parte del sistema e, nello stesso tempo, a un avvicinamento all'indicazione avuta dal sindacato. Nel documento che avevano condiviso, tale elemento era indicato come l'inflazione realisticamente prevedibile; termine molto vago e, oltretutto, molto difficile da definire.
Alla fine, tuttavia, avevamo concordato che si trattasse di un indice previsionale, operato da un ente esterno, o il più neutrale possibile - quindi abbiamo indicato un parametro europeo, quello dell'IPCA -, e che fosse depurato dall'inflazione importata, quindi dall'effetto negativo, come purtroppo quasi sempre accade, o positivo, del costo energetico.
Questa ci sembrava, quindi, una corretta interpretazione, che mettesse i salari al riparo dall'inflazione, in modo che avessero una indicizzazione non totale, perché quello che non potevamo gestire, chiaramente, era proprio il costo energetico che - ahimè - subiamo tutti, sia da parte industriale, che come componenti delle imprese.
Questi sono i dati più importanti che intendevo evidenziare.
L'altro aspetto da sottolineare è relativo allo spostamento dell'attenzione dai contratti nazionali a quelli aziendali, così come avviene in quasi tutti i Paesi europei e soprattutto nei Paesi industrializzati.
Si tratta quindi di spostare l'attenzione laddove il bene si crea. È molto più realistico entrare nella discussione aziendale, anziché in quella nazionale, che spesso è fonte di grande discussione, di grandi perdite di tempo e di spostamenti con firme dei contratti con mesi di ritardo.
In realtà, stipulando i contratti nazionali in questo modo, dovrebbe diminuire anche la conflittualità. Siamo convinti che portando avanti le discussioni, azienda per azienda - oltre a portare maggiore attenzione sul concetto di produttività, rispetto al quale, come tutti sapete e come abbiamo ripetuto più volte, siamo debitori rispetto agli altri Paesi, vale a dire che siamo nel basso della classifica in termini di produttività -, si possa incentivare e accrescere la produttività e che occorra condividere tale vantaggio con i propri dipendenti.
Come dicevo prima, questo avviene regolarmente in quasi tutti i Paesi e ci consentirebbe di avvicinare il nostro sistema delle relazioni a quello dei nostri competitori diretti.


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Un ulteriore elemento da considerare, che credo sia di grande valore, è quello relativo alla garanzia, che abbiamo lungamente discusso, e poi non solo accettato, ma condiviso.
Tale fattore assicura il dipendente che non dovesse far parte o non dovesse essere coinvolto dagli accordi aziendali, quindi che non potesse usufruire dei vantaggi che possono derivare dalla contrattazione aziendale. Dopo quattro anni di assenza, si prevede un automatismo che è previsto nelle regole dall'accordo che abbiamo sottoscritto.
Un altro aspetto da valutare - lo metto in evidenza, perché è stata una delle cause del contrasto con la CGIL - riguarda le deroghe del contratto nazionale, che in questi anni sono comunque sempre avvenute in condizioni particolari.
Ebbene, visto che esse vengono applicate e in qualche modo condivise, abbiamo chiesto che fossero inserite come una delle regole accettabili per gestire condizioni particolari di settore o geografiche. Pertanto, trattandosi di circostanze che avvengono già nella norma, abbiamo voluto regolarizzarle.
Questi sono i punti più importanti della questione che, se desiderate, possiamo approfondire.
Ad ogni modo, spetta a voi decidere se volete porre delle domande specifiche sugli argomenti che ho ritenuto più importanti e che ci hanno fatto definire l'accordo del 22 gennaio.
Aggiungo un'ultima precisazione. Come sapete, proprio perché, come ho detto prima, si tratta di regole condivise, queste dovrebbero ispirare gli accordi interconfederali che ogni associazione farà, tenendo presente e - spero - tenendo anche fede agli impegni presi, per procedere a tutte le personalizzazioni che ciascuna associazione riterrà opportune.

PRESIDENTE. Ringrazio il vicepresidente Bombassei per la sinteticità della sua esposizione e per averci offerto un quadro utile della situazione.
Prima di dare la parola ai colleghi deputati, avrei alcune domande da formulare molto brevemente.
Innanzitutto, da più parti si evoca una difficoltà nell'applicazione dell'accordo quadro, determinata proprio dal fatto che la CGIL non lo ha firmato. Rispetto alla vostra esperienza, questa difficoltà in che cosa si può concretizzare? I tavoli interconfederali potranno vedere la partecipazione della CGIL, anche se non ha preso parte all'accordo quadro?
In secondo luogo, del tema dell'inflazione programmata e previsionale si è discusso molto. Da parte nostra, abbiamo proposto un'idea che poteva essere quella dell'istituzione di un'authority che si occupasse delle relazioni collettive. Questo è un aspetto che avete valutato e a chi attribuireste voi il compito di stabilire questo valore, in modo da poterlo rendere realistico?
L'ultima domanda che vorrei porre non ha a che fare con la contrattazione, ma è un'idea che vorremmo cercare di portare avanti.
Quanto al tema degli ammortizzatori sociali, abbiamo visto che in alcune aree, a macchia di leopardo, gli istituti di credito si sono fatti carico, con accordi locali, di intervenire per anticipare le risorse relative agli ammortizzatori e alla cassa integrazione. Tale decisione è stata determinata anche dal fatto che le procedure per l'attivazione non sono sempre rapide e spesso le aziende sono in difficoltà nell'anticipare. Qualche volta cercano di farlo, ma con la crisi di liquidità attuale, questo risulta difficile.
Chiedo se, a vostro parere, questo elemento è estendibile a tutto il livello nazionale, attraverso un accordo con il Governo.
Inoltre, vorrei sapere qual è - chiedo un ultimo suo commento, visto anche l'osservatorio privilegiato che lei ha, dottor Bombassei, rispetto al suo impegno imprenditoriale - in effetti lo stato della crisi attuale, soprattutto in relazione all'erogazione del credito.


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ALBERTO BOMBASSEI, Vicepresidente per le relazioni industriali, affari sociali e previdenza della Confindustria. Quanto alle difficoltà di applicazione, ci rendiamo conto che, se l'accordo fosse stato condiviso, la situazione sarebbero stata molto più facile.
Non so quali previsioni fare in merito. Del resto, non essendo ancora scaduti i contratti, non conosciamo i comportamenti più o meno virtuosi o virtuali della CGIL.
In base alla mia esperienza, ed essendo firmatario dell'unico contratto dei metalmeccanici senza la CGIL - non è che me ne vanti più di tanto -, so che siamo sopravvissuti in quegli anni e spero che potremo sopravvivere anche adesso. È chiaro che questo è un grado di complicazione.
Dovendo stipulare gli accordi interconfederali - siamo già d'accordo, perché ne abbiamo parlato proprio qualche giorno fa -, è scontato che a quel tavolo ci sarà anche la CGIL. L'invito è già stato inviato. Mi auguro, dunque - ma lo do per scontato -, che i rappresentanti della CGIL saranno presenti.
Spero che, in quella fase, si recuperi quel che è mancato nelle occasioni precedenti. Sarebbe assurdo, tuttavia, che esprimessero il loro consenso, dal momento che il prerequisito è quello di rispettare ciò che abbiamo firmato.
In definitiva, credo che vi sia un contrasto in termini. Tuttavia, limitando il più possibile tali divergenze, mi auguro che sia possibile avere un margine di recupero. Questo è il mio auspicio, al di là del fatto che uno degli obiettivi che ci eravamo posti fosse proprio quello di diminuire il tasso di litigiosità.
In questo caso, parlo da imprenditore. Come ho detto in passato, presiedo delle aziende che hanno presenze in tanti Paesi del mondo e, francamente, devo dire che il grado di difficoltà nel gestire l'aspetto sindacale italiano è il più complicato.
In qualche modo, quindi, dovremmo cercare di stabilire uno standard che ci presenti in maniera più collaborativa, in un momento come questo, nel quale abbiamo, oltre che il dovere, anche l'interesse a stringere degli accordi, dal momento che i problemi sono ben altri.
Mi auguro, dunque, che sia possibile rasserenare gli animi e che, lasciando stare i preconcetti da una parte e dall'altra, vi sia la buona volontà di fare. Sicuramente dovremo gestire qualche difficoltà in più, ma la affronteremo, così come abbiamo fatto per tanti altri problemi.
Quanto alla creazione di un'authority, questa idea non mi trova particolarmente entusiasta. Credo infatti che siamo già tanti e che le due parti e le parti sociali abbiano il diritto-dovere di definire le regole che devono metterci d'accordo.
È evidente quanto sia difficile raggiungere una condivisione, se pensiamo che sono quattro anni che ne stiamo discutendo e che, soltanto in questa ultima fase, abbiamo partecipato a circa diciassette incontri. Pertanto, non so quanto sia utile prevedere la presenza di un ulteriore ente.
Se per authority, si dovesse intendere un'autorità che di imperio può dire qualcosa, forse sarebbe utile; tuttavia, se l'autorità dovesse servire a mediare, credo che quella della sua creazione non sarebbe una grande idea.
Quanto alla terza domanda, relativa alla valorizzazione o all'anticipo, eventualmente, degli ammortizzatori sociali, rispondo che innanzitutto dobbiamo essere molto soddisfatti dell'accordo firmato la scorsa settimana sull'incremento degli ammortizzatori sociali fra Governo e regioni.
Credo che questo aspetto risolva una delle raccomandazioni che tutti abbiamo auspicato, sia come associazioni datoriali, che come sindacato. Senza dubbio, quindi, questo atto è estremamente positivo.
Relativamente alla necessità di una velocizzazione, credo che vi sia, anche a questo riguardo, una buona volontà.
L'ipotesi che le banche possano eventualmente anticipare determinati fondi mi sembra buona e da approfondire. Pertanto, sarebbe molto positivo e auspicabile, soprattutto per le aziende piccole, con uno stato di crisi particolare, riuscire a trovare il modo di anticipare i fondi per pagare la cassa integrazione.


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Vengo ora al quesito relativo allo stato della crisi. Siamo reduci dal nostro incontro mensile delle varie categorie. Ebbene, francamente non sono molto ottimista, pensando ai dati di fine d'anno, incluso gennaio, che sono arrivati, relativamente ad alcuni settori, come quello di cui faccio parte. Quello automobilistico è forse il settore nelle condizioni peggiori.
Da questa situazione deriva la richiesta, molto determinata, di alcuni aiuti. In proposito, devo dire che spesso i giornali sbagliano nell'affermare che si tratta di aiuti alle aziende, perché in realtà essi sono rivolti al consumo. L'incentivo è un aiuto al consumatore, non sono soldi che vanno alle aziende. È chiaro che se le aziende producono di più, automaticamente hanno i risultati migliori.
Devo dire, però, che stando agli ultimi dati, relativi al mese di gennaio e febbraio, sono andati pesantemente in crisi anche altri settori, soprattutto della meccanica: dalle macchine utensili, alle macchine del legno, al tessile.
Purtroppo, questa macchia d'olio si sta allargando. Francamente, questo ci preoccupa. Infatti, nel momento in cui si passa, o si passerà - spero il più tardi possibile - dalla cassa integrazione, che è una forma per continuare ad avere un rapporto di lavoro, quindi per non interrompere il rapporto di dipendenza che dovrebbe riuscire a farci superare un periodo che spero sia il più breve possibile, alla perdita di posti di lavoro (circostanza che accadrà inevitabilmente), al di là dell'aspetto sociale, si verificherà un impoverimento della creazione di ricchezza.
Questo, dunque, è un aspetto che dovrebbe preoccupare il Paese, anche dal punto di vista delle entrate.
Mi auguro che le misure prese a livello nazionale, quelle che si stanno assumendo a livello europeo e quelle che si sono assunte lo scorso week end a livello dei Paesi industrializzati comincino a fare effetto il più velocemente possibile e quindi attenuino le previsioni che non sono sicuramente buone.
Dovremmo cercare di produrre qualche effetto positivo, soprattutto dal punto di vista psicologico, sulla gente. Alla fine, infatti, se guardiamo la situazione in maniera meno passionale, rileviamo che non abbiamo perso un numero di posti di lavoro così elevato da pensare che il Paese si sia impoverito. Mi auguro che tale considerazione sia valida anche fra qualche mese.
Il problema è che la gente probabilmente ha lo stesso denaro, ma non lo spende. Quindi, l'insicurezza del futuro fa sì che la gente sia molto più prudente e dunque non investa, nel caso delle aziende o delle famiglie. In questo modo, quindi, si è rallentato il sistema proprio a causa del timore.
Dovremmo cercare di dare dei messaggi positivi realistici, non dico positivi gratuiti, perché sarebbe altrettanto negativo. Se comunicassimo un sano realismo, con delle soluzioni anche a medio termine, se non ci saranno a breve o a brevissimo, credo che faremmo bene, perché rimetteremmo in moto una parte della produzione che in questo momento è molto rallentata.

PRESIDENTE. Do la parola ai deputati che intendano porre quesiti o formulare osservazioni.

CESARE DAMIANO. Ringrazio Alberto Bombassei per la sua relazione e la delegazione di Confindustria.
Il discorso si è allargato, come era giusto che fosse. Spendo brevissime parole e poi vengo all'argomento.
L'accordo quadro del 22 gennaio capita in un momento particolare. A nessuno questo sfugge. Lo ricordava il presidente Saglia. È evidente che, in un momento particolare, sarebbe necessario compiere delle azioni particolari, degli sforzi speciali.
È altresì evidente che, come rappresentante dell'opposizione, ho una valutazione critica circa gli atti compiuti dal Governo, ma non è questa la sede per fare grandi disquisizioni in merito.
Mi limito a dire che sicuramente ci vorrebbe un'azione robusta, che non vedo, per sostenere il reddito del lavoro dipendente,


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del piccolo lavoro autonomo. Sappiamo che questo vuol dire consumi e un contributo alla ripresa, in una situazione che, invece, vede una recessione in corso di lungo periodo. La Confindustria ha evidenziato questo argomento in più occasioni.
In secondo luogo, si è parlato di ammortizzatori sociali. A mio avviso, oggi questo è un punto fondamentale. Ci rendiamo conto che, soprattutto le giovani generazioni, ma anche le persone che giovani più non sono, ma che passano attraverso questo lungo periodo di precarietà, sono i primi a pagare.
Credo, quindi, che il tema degli ammortizzatori sociali universali, l'unificazione delle condizioni di protezione tra lavoro dipendente a tempo indeterminato, lavoro dipendente a tempo determinato, lavoro a progetto, interinale e via dicendo, sia un tema cruciale, non per l'opposizione, o per il Governo, ma per tutti, per le imprese e per il sindacato, perché altrimenti le tensioni sociali potrebbero aumentare.
Naturalmente, per il momento si colpisce chi non ha voce né nelle organizzazioni sindacali, né nella società, quelli che non hanno protezione, che non sono organizzati, che sono dispersi, che sono nella microimpresa. Tuttavia, se la crisi continua, si arriverà a mordere anche la carne di quelli che hanno maggiori protezioni e che sono all'interno del sistema medio-grande della produzione.
Il terzo punto che vorrei sollevare riguarda il sostegno alle imprese. Dico solo che lei, vicepresidente Bombassei - in questa sede le do del lei, perché si usa giustamente mantenere una regola e un costume, al di là delle amicizie e delle relazioni -, è a capo di una grande impresa che ha che fare con la filiera della produzione automobilistica, motoristica, delle due ruote e via dicendo.
Giustamente, quindi, lei pone il problema non di questa o di quella azienda, ma di un intervento dello Stato a sostegno di settori strategici dell'economia.
Noi, come opposizione, abbiamo sollevato questo argomento, anche tramite alcune mozioni e risoluzioni. Anche dal nostro punto di vista, infatti, in questa situazione, non si tratta di sostenere un imprenditore o un altro, ma alcuni settori strategici, come quello della produzione dei veicoli (a quattro o due ruote), che rappresentano nella filiera un milione di addetti e il 14 per cento del prodotto interno lordo.
Se tali settori non vengono sostenuti adeguatamente, con risorse fresche, che incentivino da una parte il consumo per l'acquisto e, dall'altra, l'impresa per l'innovazione, la compatibilità ecologica e la sicurezza del trasporto - conosciamo la relazione tra trasporto e morti in itinere -, corriamo il rischio di uscire da questa crisi non breve con una situazione di svantaggio competitivo.
In altre parole, se negli Stati Uniti si spendono 15 miliardi di dollari per sostenere Detroit, se in Francia se ne spendono almeno 3 per sostenere l'industria francese, con un ritorno di neo-protezionismo larvato e in Italia si spendono 300 milioni, è evidente che corriamo il rischio di far soffrire alle nostre imprese uno svantaggio competitivo. Riteniamo, quindi, che questo sia un problema.
Peraltro, da vecchio frequentatore dell'industria metalmeccanica, da venti anni a questa parte, discuto con Giorgio Usai - solo perché lei è arrivato dopo - di un punto: vale a dire che in Europa, se parliamo del settore dell'auto, c'è un produttore in più. Non vorremmo che quel produttore in più, a causa dei mancati investimenti adeguati, a fronte di ciò che fanno altri Paesi, che si chiamano Svezia, Germania, Francia, Spagna, Gran Bretagna, fosse il più grande produttore automobilistico nazionale, perché questo significherebbe uscire in modo disastroso dalla crisi.
Pensiamo che effettivamente questo sia il fulcro di una politica e temiamo che le azioni che vengono prodotte non siano adeguate.
Per quanto riguarda l'accordo quadro, questo è un argomento di cui mi occupo da tempo. Ho scritto diversi interventi in


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proposito, ne ho discusso in tante occasioni anche insieme a voi e credo che sia importante arrivare ad una riforma.
Del resto, già verso la seconda metà degli anni Novanta, ricordo che ponevamo il problema della diversa cadenza contrattuale, ossia il triennio. Già a quell'epoca, infatti, avevamo avvertito le incongruenze che derivano da un modello biennale. Quest'ultimo aveva le sue sovrapposizioni, le sue incongruenze e il suo elemento di conflittualità, risolto poi con un ritardo nei rinnovi che era controproducente per l'impresa, ma soprattutto per i lavoratori.
Quindi, dentro quell'accordo, vedo positivamente il fatto che ci sia il triennio. Non è una grande novità. Ho sentito alcuni esponenti del Governo - giustamente chi fa il vino lo decanta - parlare di accordo di portata storica.
Personalmente, direi che siamo di fronte a un accordo, correttamente definito accordo quadro, che non ha grandi innovazioni storiche, se non qualche elemento di giusto ritocco rispetto al 1993. La questione del triennio era condivisa da tutti. Non è questo il punto, anzi.
Allo stesso modo - lo dico a titolo personale -, rafforzare il livello di contrattazione decentrata è un fatto importante, perché legare la produttività a erogazioni salariali è sicuramente una strada da percorrere, aggiuntiva al recupero dall'inflazione reale.
Ugualmente, ritengo molto importante la questione dell'elemento di garanzia nei contratti. Ad esempio, l'ultimo contratto dei metalmeccanici, che ho avuto la fortuna e l'onore di mediare, pur rimandando le parti nella sede naturale per la sua conclusione, contiene questo elemento di garanzia che, se viene esteso universalmente, mi ricorda tanto la clausola che, insieme a Giorgio Usai, eliminai nel corso degli anni Novanta e che si riferiva al premio di produzione nell'industria metalmeccanica, garantito in termini universali a coloro che, lavoratori, non avevano un premio di produzione contrattato.
Diciamo che si tratta di una riedizione giustamente rafforzata e rinnovata. Come si vede, non ci sono delle grandissime invenzioni. Vi sono dei provvedimenti persino ovvi e di buonsenso che hanno un obiettivo.
Vengo ora alla questione della firma separata. Non voglio entrare nel merito di tale discorso in questa circostanza. Penso molto semplicemente che chi firma ha le sue buone ragioni, così come chi non lo fa. I sindacati che firmano e quelli che non lo fanno pensano tutti di rappresentare gli interessi dei propri associati e dei lavoratori.
Detto questo, le mie propensioni sono abbastanza note. Non è il caso che disquisisca su questo punto. Tuttavia, come ha fatto già il presidente Saglia, vorrei sollevare un problema: siamo di fronte ad un accordo quadro, che è un accordo di intenzioni. Vi sono delle proposizioni che vanno raggiunte.
Questo accordo quadro, come lei ha ricordato, vicepresidente Bombassei, dovrà trovare una sua traduzione in accordi interconfederali di settore merceologico. Quindi, la Confindustria farà la sua parte, seguita poi dagli artigiani e via via da tutti gli altri settori.
Successivamente, gli accordi interconfederali dovranno trovare la loro traduzione nei contratti nazionali di categoria. Ad esempio, ripercorrendo la discussione del 1993, ricordo che la prima parte dei contratti di solito recepisce gli accordi quadro che, nella categoria, trovano poi il loro abito su misura.
Come ricordavo nell'audizione precedente, nel famoso contratto del 1994 di cui fui negoziatore, l'«anche» totalmente variabile fu la soluzione di un problema legato alla variabilità del salario e al consolidamento dello stesso, quindi un abito su misura. I chimici scrissero una formula analoga a quella dei tessili, ma non uguale.
Vengo ora alla domanda. Il vicepresidente Bombassei ha già risposto in parte, quindi, più che un quesito diretto la mia è una domanda retorica, una convinzione.
Ebbene, pur considerando che sicuramente tutti avranno fatto il possibile per avere un accordo da parte di tutte le organizzazioni, non le sembra che, nel


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momento in cui si parla di modello contrattuale che dovrà trovare una traduzione tra accordo quadro, accordo interconfederale e contratti di categoria, si corra il rischio di aumentare la conflittualità, anziché diminuirla, se la maggiore organizzazione sindacale non è d'accordo sull'impianto complessivo?
Riporto un esempio in tal senso e mi riferisco ai chimici. Sicuramente la CGIL in quel settore - in altri campi non è così, ma faccio riferimento a questo comparto appositamente - è, da sola, l'organizzazione maggioritaria, quindi farà valere il suo diritto e il suo rapporto di forza. Non sarà facile tradurre sic et simpliciter quell'accordo, nel momento in cui c'è una valutazione difforme.
Detto questo, chiedo se non si corra il rischio che le piattaforme sindacali, per i contratti di categoria, non presentino una sola valutazione, come tutti i buoni imprenditori auspicano. Un buon imprenditore dice «chiedete quel volete, ma, per favore, chiedetemi tutti la stessa cosa»; il che è meglio, soprattutto nelle situazioni che possono avere alta conflittualità.
Ci possiamo trovare di fronte ad una rincorsa, ad una differenziazione - questo vale anche per le piattaforme aziendali -, con un aumento di conflittualità, e comunque, con una situazione di difficile gestione, laddove le organizzazioni sindacali sono sufficientemente salde? È una preoccupazione.
Anche io penso che la CGIL siederà ai tavoli di applicazione di un accordo che non ha sottoscritto. Lo credo, me lo auguro in ogni caso, e so che è stata invitata a farlo.
A mio avviso, tra quell'accordo quadro e la sua traduzione completa vi sono i margini per i chiarimenti, per creare quegli abiti su misura che possano fugare eventuali problemi che hanno comportato la mancanza della firma, oppure trovare le vie di applicazione più adeguate.
Anche a questo riguardo voglio riportare degli esempi. Si sa che i punti di sofferenza, per chi non ha firmato, sono quelli dell'indice previsionale. Anche a questo proposito, sorge una domanda: il fatto di depurare quell'indice, anche nel recupero di quello che abbiamo chiamato costo dell'energia importata, non può renderlo più fragile?
Qualcuno potrebbe rispondermi - mi do la risposta da solo - che adesso, nel momento in cui il petrolio è passato da 150 a 40 dollari, c'è addirittura un più 0,3 (anziché meno, è più). Tuttavia, nel lungo periodo, potrebbe accadere il contrario.
Chi ha agito in questo senso dirà sicuramente che quella è la soluzione migliore e che già nel 1993 si adombrava una soluzione di questo genere.
Allo stesso modo, vorrei sottolineare la questione del valore-punto. Tale questione deve essere chiarita molto bene. Per chi non conosce bene l'argomento, dico che il valore-punto è il valore monetario convenzionale di un punto di inflazione che per ciascun contratto è diverso (mi pare che per i metalmeccanici sia di 18 euro, se non sbaglio).
Il valore-punto rimarrà di categoria, come abito su misura - e io sarei molto d'accordo -, oppure passiamo ad un valore-punto interconfederale medio, che potrebbe aumentare gli uni e abbassare gli altri, creando anche in questo caso delle contraddizioni? Mi sembra, questo, un punto estremamente interessante.
Quanto alle deroghe, dottor Bombassei, è vero che ci sono contratti, come quelli dei tessili e dei chimici, che già ne prevedono alcune. Nell'accordo del 22 gennaio, le deroghe sono normative ed economiche.
Nel contratto dei chimici, ad esempio, vi è una deroga finalizzata: orario di lavoro e risultato economico, nel caso in cui la commissione composta dalle parti sociali deliberi all'unanimità.
Nel contratto dei tessili, se non sbaglio, vi è una deroga, forse, solo sulla questione economica.
Insomma, quando parliamo di tale argomento, andiamo nella direzione di deroghe su misura, limitate e concordate unanimemente, oppure ci riferiamo a una deroga indistinta, che può toccare normative?


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Immagino che saranno, come si dice, delle soluzioni su misura.
È evidente che, da questo punto di vista, vi sono degli spazi di precisazione - non uso termini diversi da precisazione, perché le parole sono sempre molto importanti - che possono contribuire se non a risolvere i problemi, sicuramente a chiarire una serie di questioni e di eventuali equivoci interpretativi che hanno suscitato parecchi dibattiti.
Da ultimo, mi auguro che, se le parti sociali sono così fortemente convinte della bontà - io lo sono - di spostare una quota di contrattazione a livello decentrato, esse chiedano al Governo, insieme alle imprese e al sindacato, di cambiare la norma che incentiva non soltanto la contrattazione del premio di risultato, ma qualsiasi erogazione liberale dell'azienda. Troverei profondamente contraddittorio, rispetto all'intendimento, valorizzare esclusivamente, o principalmente, il premio di risultato, che è la componente fondamentale.
Questo - mi sento di dire - dovrebbe essere chiesto al Governo, con un cambiamento di rotta rispetto agli intendimenti che il Governo ha espresso nei suoi numerosi decreti.

NEDO LORENZO POLI. Non ho ascoltato tutta la relazione del dottor Bombassei, perché sono arrivato alla sua conclusione. Tuttavia, mi preme porre l'attenzione su un aspetto in particolare: come ha detto anche il dottor Bombassei, forse, in questo momento di crisi, occorrerebbe dare maggiore tranquillità e sicurezza ai dipendenti.
Quanto al tema dell'attenzione da dedicare agli ammortizzatori sociali, oggi, sia il Governo che le associazioni ne discutono, ma non lo affrontano.
Al di là degli accordi che dovranno essere presi con le regioni, infatti, vi sono settori totalmente scoperti - mi riferisco a tutte le forme contrattuali: interinali, autonome, a progetto o occasionali - ed estranei a ogni possibile tranquillità per affrontare il futuro. Peraltro, si tratta di quelle categorie che di norma vengono immediatamente escluse dalla prestazione del lavoro.
Quanto alla CIG, sia ordinaria che straordinaria - si discuteva in precedenza l'ipotesi di trovare accordi con le aziende -, credo, presidente, che il Governo dovrebbe trovare una soluzione.
Questa settimana, ho avuto a che fare con persone che sono in cassa integrazione da mesi e che non possono riscuotere fino a che non si chiude la CIG ordinaria e l'istituto non dà il via per recuperare il credito.
Ritengo che la soluzione sia semplice: bisognerebbe cambiare il metodo con cui l'istituto opera. Parlo principalmente della cassa integrazione ordinaria. L'accordo preventivo dovrebbe essere depositato all'istituto, il quale, dal mese in corso, con il deposito del riepilogo delle ore di cassa integrazione già autorizzate e depositate, mensilmente potrebbe fare già la detrazione, in modo tale che gli operai possano incassare. È inutile pensare di suggerire alle banche di dare un fido alle aziende, affinché queste possano anticipare la cassa integrazione.
In un momento come questo, pensate in quali difficoltà possiamo mettere dei dipendenti che si trovano ad aspettare tre, quattro o cinque mesi per poter incassare. Pertanto, il Governo e gli imprenditori devono affrontare questi problemi nel modo giusto.
Inoltre, nel momento di precarietà che viviamo oggi, dovremmo cercare di dare più sollievo e tranquillità alle persone, per poter poi far ripartire, speriamo il prima possibile, l'economia.
Venendo ad un altro aspetto della questione, come dissi nella seduta precedente, mi sembra che in questo Paese non si voglia mai procedere verso una semplificazione.
Mi riferisco a voi, rappresentanti delle associazioni industriali, che ripetete spesso che vi è troppa burocrazia nel Paese, salvo poi, quando si vanno a stipulare gli accordi, non arrivare mai a una soluzione. Intendo dire che, intanto, si potrebbe semplificare un contratto quadro nazionale,


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per poi passare alla contrattazione di secondo livello collettiva, settore per settore.
Invece, ci troviamo ad avere 859 contratti di lavoro, a cui si sommano anche i contratti di secondo livello, inseriti in situazioni che, dalla chimica, alla meccanica, all'edilizia, rappresentano ambiti del tutto diversi.
È possibile che in questo Paese non si possa arrivare a mettere a fuoco determinati punti fondamentali - il contratto di lavoro è uguale per tutti - e, successivamente, proprio tramite questo sistema che permette la contrattazione di secondo livello, la contrattazione territoriale e la contrattazione di settori diversi, verificare quali situazioni possono essere migliorate?
Mi sembra che questo problema non venga mai affrontato. Di conseguenza, nel Paese abbiamo contratti innumerevoli e tanta burocrazia.
Quanto alle procedure, occorrerebbe cercare di essere più chiari, perché spesso predisponete degli accordi che risultano poi difficoltosi anche per chi deve gestirli. Questo succede veramente moltissime volte.
La semplificazione, quindi, a volte potrebbe anche risolvere.
Un altro problema che voglio sollevare riguarda l'apprendistato. Sarebbe necessario prevedere anche in questo settore degli ammortizzatori sociali. Oggi, infatti, con l'innalzamento dell'età, e tolto il contratto di formazione, l'apprendistato ha un ruolo importante nella prevalenza dell'occupazione del mondo giovanile. Mi riferisco a tutti i settori.
Credo che sarebbe giusto focalizzare l'attenzione su questi elementi, al di là del fatto che, per quanto riguarda l'accordo quadro, l'auspicio comune è che tutte le forze sindacali partecipino al tavolo. Penso che sicuramente sarà ritrovato un equilibrio, perché anche questo aspetto è importante per affrontare il momento di crisi che stiamo vivendo.
Dobbiamo essere tutti presenti al tavolo, per assumere decisioni difficili; credo che sia le forze sindacali sia quelle imprenditoriali riusciranno ad avere un atteggiamento di buonsenso.
Questo è il nostro augurio. Ritengo, tuttavia, che in questo momento, affrontare drasticamente questi problemi sia molto più importante, anche perché non credo che i mesi che abbiamo di fronte, nel corso di quest'anno, saranno più rosei di quelli vissuti fino ad ora.

PRESIDENTE. Do ora la parola ai nostri ospiti per la replica.

ALBERTO BOMBASSEI, Vicepresidente per le relazioni industriali, affari sociali e previdenza della Confindustria. Sono d'accordo con l'onorevole Damiano nel dire che, proprio perché stiamo vivendo momenti speciali, dobbiamo affrontarli con dei mezzi speciali.
Questo era l'appello che abbiamo fatto e che abbiamo condiviso, praticamente al 100 per cento, con le associazioni datoriali.
Faccio fatica a pensare a una diversificazione così ampia, sia delle associazioni datoriali, sia del sindacato. Oltre che della CGIL, dobbiamo avere rispetto anche delle altre sigle sindacali.
È difficile che proprio tutti - in questo caso parliamo di quasi trentuno enti diversi, che hanno analizzato nel dettaglio tutto quello che abbiamo detto, scritto e mediato - sbaglino e che sia soltanto uno ad avere l'interpretazione originale illuminata. Francamente, faccio fatica a credere che possa essere così.
Sono invece d'accordo - chiaramente, le parole che sono state dette in proposito sono musica per le mie orecchie, avendo anche un interesse personale, che dichiaro - con quanto esposto a proposito della necessità di dare degli aiuti robusti ad alcuni settori.
Tuttavia, dico questo anche in maniera spersonalizzata, perché vi sono due elementi che vanno valutati. Abbiamo detto e sostenuto che il settore dell'auto - come ci è stato ricordato, e condivido l'interpretazione - rappresenta circa un milione di lavoratori nel nostro Paese, fra diretti e


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indiretti. Per la cronaca: i dipendenti FIAT sono solo 60 mila, rappresentano il 6 per cento della totalità, quindi tutto sommato sono una minoranza.
Spesso si confondono gli aiuti alla FIAT con quelli al settore. In questa sede, stiamo parlando degli aiuti al settore.
Sono contento che possano essere ripresi e auspicati aiuti più robusti di quelli dati fino ad oggi. In maniera corretta, però, devo svolgere alcune considerazioni. Innanzitutto, come Confindustria, rappresentiamo gli interessi di tutti. Quindi anche i settori, che non siano quello dell'auto, ma che hanno posti di lavoro così strategici per il Paese hanno diritto di essere esaminati. Come ho detto, dunque, guardiamo con interesse tutti i settori.
In secondo luogo, è vero che gli altri Paesi hanno dato degli aiuti molto più robusti rispetto ai nostri, anche se francamente non sono poi così tanto maggiori.
Peraltro, credo che buona parte di questi verranno rivisti, perché si tratta di aiuti di Stato vietati dalla normativa europea. I due finanziamenti che la Francia aveva previsto per la Renault e la Peugeot sicuramente verranno ripensati; altra questione è invece il caso della Germania, che ha dato un bonus molto più sostanzioso del nostro.
Devo però ricordare - non certo a voi, che ne sapete molto più di chi vi parla - che, tra quelli citati, siamo il Paese con il debito pubblico più elevato. Non possiamo permetterci, quindi, grandi cose, o essere così generosi.
D'altra parte, credo che la situazione vada esaminata settore per settore. Nel caso delle rottamazioni, ad esempio, ricordo a tutti - l'onorevole Damiano sa molto bene anche questo - che in passato queste erano a saldo positivo per lo Stato, quindi non erano un aiuto per le aziende che rottamavano, ma rappresentavano maggiori entrate per lo Stato.
Non credo la situazione sia la stessa questa volta, ma non penso neanche che si tratti di un costo così elevato come potrebbe apparire.
Se sono vere le previsioni che indicano che sarebbero vendute 200-300 mila vetture in più grazie agli aiuti, credo che le entrate dello Stato saranno molto vicine alla cifra che si dovrà erogare per la rottamazione. Mi auguro, quindi, che tale operazione abbia un costo veramente contenuto.
Diverso è il discorso relativo agli ammortizzatori sociali. Anche a questo proposito, credo che Confindustria, in tempi non sospetti, quindi molto prima della crisi, avesse auspicato l'allargamento degli ammortizzatori sociali.
Non penso di dire niente di nuovo, affermando che sarebbe bastato interpretare o leggere in maniera più allargata la legge Biagi, nella quale era previsto l'allargamento degli ammortizzatori sociali. L'abbiamo applicata soltanto parzialmente, quindi questo non è altro che un allargamento di quanto era già previsto.
Ritengo che sia giusto che categorie di lavoratori che oggi non sono coperti dagli ammortizzatori, siano inclusi.
Vi è, tuttavia, un dato altrettanto importante che dobbiamo considerare e che riguarda il modo in cui reperire le risorse. Anche questo è un argomento di cui si era parlato.
Capisco che questo sia uno dei tanti aspetti impopolari, per cui nessuno in passato lo ha preso in considerazione, o perlomeno solo qualcuno, avendo più coraggio, dato che è un argomento impopolare. Mi riferisco alle pensioni.
Come Stato, spendiamo per la spesa sociale più o meno quanto tutte le altre nazioni: dal 25 al 27 per cento del prodotto interno lordo. L'unica differenza è che noi lo spendiamo al 50-60 per cento per le pensioni, mentre gli altri Stati ne spendono solo il 40, o qualcosa di meno. Invece, su tutte le altre spese sociali, come il lavoro femminile, l'avviamento al lavoro o gli ammortizzatori sociali siamo sbilanciati in un altro senso.
Perché allora non prendere di nuovo in mano, in maniera veramente coraggiosa, il discorso delle pensioni e avvicinarci agli standard europei, prevedendo un'età pensionabile pari a quella degli altri Paesi?
Capisco che potrà essere una proposta impopolare, ma dovremmo approfittare di


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questo momento, anche a costo di un pizzico di impopolarità. Mi piacerebbe che questo pensiero fosse condiviso veramente da tutti, essendo una sfida sociale. Non si tratta di una questione di categorie o altro, ma parliamo di un Paese che si avvicina a un senso sociale più evoluto.
Quando, con grande senso trionfalistico, il Presidente degli Stati Uniti attua una misura sociale con un investimento notevole, realizza una pratica che fortunatamente noi abbiamo già da trent'anni, ossia la cassa integrazione, che valorizziamo poco.
Il nostro è uno dei pochi Paesi al mondo che ha un ammortizzatore sociale così importante e impattante in senso positivo. È una delle poche cose di cui possiamo andare fieri, perciò sottolineiamola e facciamolo a voce alta.
A mio avviso, occorre intervenire in questo ambito, quindi sono d'accordo con l'osservazione espressa in merito, perché questo è ciò che auspichiamo. Tuttavia, deve essere risolto l'altro problema, quello del finanziamento; altrimenti sono tutti bravi.
È molto più facile sostenere certe posizioni quando si è all'opposizione, che quando si è al Governo. È chiaro che occorre agire, ma deve essere risolto il problema principale, che credo sia quello delle pensioni.
Quanto all'intervento dello Stato nei settori strategici, come ho già detto prima, condivido quanto è stato espresso. Tralasciando il fatto che quello dell'automobile è per noi un settore strategico, non credo che sia francamente prevedibile pensare di perdere la nostra unica azienda nazionale. Sarebbe davvero una disgrazia.
Dico questo, tenendo presenti due punti di vista, che spesso vengono poco valorizzati.
Al di là di chi costruisce automobili, abbiamo un valore nazionale, che definirei ancora più elevato, non per la mia presenza, ma perché, nella componentistica dell'auto, oggi siamo molto più esportatori che importatori. Se oggi dovesse venir meno l'industria nazionale, probabilmente cadrebbero anche le ragioni di presenza di aziende di componentistica (cito la mia, solo per fare un esempio).
Vi sono aziende che esportano il 70 per cento di quel che producono, quindi chiaramente non sono vincolate solo alla produzione nazionale, ma a quella internazionale.
Ebbene, sono convinto che se venisse meno o si ridimensionasse l'industria automobilistica nazionale, sicuramente buona parte dell'industria della componentistica troverebbe più interesse a migrare in Paesi molto più accoglienti da tutti i punti di vista: quello fiscale, quello del posto di lavoro e anche quello sindacale.
Spero che questo non avvenga. Quindi, sono d'accordo nel dire che si deve guardare con particolare attenzione a questo settore, ma credo che si debba prestare altrettanta attenzione anche ad altri settori che abbiano un impatto, soprattutto sul lavoro, molto importante.
Mi permetterei, tuttavia, di dire che l'accordo che abbiamo firmato non è soltanto un accordo, come è stato definito, di intenzioni. Si tratta di principi che abbiamo condiviso e che vorremmo fossero rispettati, come tali, da tutti i firmatari, nell'applicazione dei vari e successivi accordi interconfederali.
Un aspetto che forse abbiamo sottovalutato tutti, ma che invece sottolineo perché è importante, è che abbiamo dato e condiviso un valore sperimentale a questo accordo. Abbiamo stabilito di volerlo far durare quattro anni. Al termine di questo lasso di tempo, anziché rivederci come avvenuto con gli accordi del 1993 dopo quindici anni, ci incontriamo, ci riconfrontiamo e, se ci saranno delle rettifiche o delle correzione da fare, le faremo; tutti d'accordo nel poter riaprire l'eventuale discussione alla fine dei quattro anni.
È stato detto anche che su alcuni contratti ci sono delle deroghe. Se vengono applicate, senza grandi drammi, delle deroghe sul contratto A, B o C, perché non prevederle nei principi? Nel principio possiamo stabilire di prevedere anche le deroghe.


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D'altra parte, è scritto, e in maniera anche molto precisa e determinata, che è soltanto con l'accordo di tutte le parti che si possono fare alcune deroghe. Credo, dunque, che sia al di fuori di ogni sospetto il fatto che un'eventuale deroga non possa essere stabilita unilateralmente, però lo facciamo a livello di settore, di territorio. Sono state fatte deroghe nell'interesse generale, quindi perché non prevederlo?
Non c'è nessun tranello in una decisione del genere. Si tratta solo di prevedere quanto è stato già fatto normalmente senza grandi drammi o grandi problemi.
Un altro elemento che vorrei sottolineare - ma anche questo punto, onorevole Damiano, era stato condiviso - riguarda lo spostamento del baricentro dal contratto nazionale a quello aziendale, con due obiettivi.
Alla domanda posta dall'onorevole Poli che chiedeva se, allungando la catena non rischiamo di incrementare la conflittualità, rispondo che non è così, se mi posso permettere.
Infatti, se il criterio fosse applicato alla lettera, i contratti nazionali verrebbero stipulati quasi con un automatismo: un ente terzo indicherebbe qual è l'inflazione da applicare, le basi di calcolo sono definite, quindi non si farebbe altro che procedere al calcolo e applicarlo.
In definitiva, quindi, non dovrebbero esserci motivi, almeno da un punto di vista economico, di conflittualità fra le parti. Inoltre, siccome uno degli obiettivi posti era quello di diminuire la conflittualità, che oggi ci vede in alto nella classifica dei Paesi, credo che questo aspetto si ponga esattamente nella direzione da lei auspicata.
Occorre considerare un ulteriore fatto importante, che non è stato evidenziato, e a cui tutto sommato bisogna dare merito, così come è stato dato merito, a suo tempo, alla previsione riguardante una parte della defiscalizzazione o decontribuzione del costo del lavoro, ad opera del Governo precedente. Dobbiamo invece riconoscere a questo che il fatto di poter defiscalizzare o decontribuire una parte del salario variabile, spostando l'attenzione sui salari dipendenti, è qualcosa che va nella direzione verso cui «spinge» il sindacato.
Quindi, le aziende che non hanno una contrattazione di secondo livello sono incentivate a farla; inoltre, questi soldi vengono in parte decontribuiti o detassati. Pertanto, questo è un modo come un altro per cercare di mettere più soldi veri nelle buste paga dei dipendenti.
Credo che mai come in questo momento convergano più interessi. Penso alle imprese, o agli imprenditori, che devono compiere anche loro un salto qualitativo e culturale. Come sappiamo, infatti, nel nostro Paese ci sono tantissime aziende piccole, piccolissime e medie, dove la contrattazione di secondo livello non è proprio il massimo delle aspirazioni. Tuttavia, lo riteniamo giusto, più corretto e nell'interesse del sistema.
Crediamo che sia più nell'interesse del sistema vedere il dipendente come un collaboratore. Quindi, smettiamola con i confronti conflittuali, o anche con gli scioperi, come quelli della settimana scorsa, che a mio avviso, oltre a non aver avuto alcun tipo di successo, non servono assolutamente a niente.
Credo invece che la sfida sia ben altra. Quindi, ritengo che il maggiore coinvolgimento del dipendente debba fargli sentire una maggior responsabilità. D'altra parte, nel momento in cui si ottengono dei risultati positivi, giustamente questi devono essere condivisi.
In parole povere, questo è il senso del contenuto di quel documento.
Se l'interesse delle due parti converge e il Governo detassa parte delle contribuzioni o del salario variabile, credo che si crei veramente un momento da cogliere. Mancando un appuntamento di questo genere, non faremmo né l'interesse dei lavoratori, né quello delle aziende, ma soprattutto credo che non faremmo l'interesse del Paese.
Quanto agli ammortizzatori sociali, per rispondere all'onorevole Poli, sono assolutamente d'accordo con quanto è stato detto. Ritengo che dobbiamo cambiare le regole, in modo da allargare gli ammortizzatori


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anche alle altre categorie, ma bisogna che qualcuno ci indichi la copertura.
Soprattutto, se in questo momento per necessità sociale dovremo allargare ad alcune categorie, qualcun altro pagherà i contributi anche per chi non li ha pagati. Dobbiamo dunque porre delle regole anche per chi contribuisce a creare questi fondi.
Quanto detto a proposito delle semplificazioni ci trova assolutamente d'accordo. È uno degli obiettivi indicati nel nostro documento: noi gestiamo circa una settantina di contratti, mentre credo che il sindacato ne gestisca oltre duecento.
È meglio non dirlo in giro, perché non ci facciamo una bella figura, ma dobbiamo semplificare, dobbiamo cercare di compattare. È chiaro che l'obiettivo potrebbe essere quello di avere un contratto unico, semplificato per tutti, pubblico e privato, ma probabilmente lo faranno i nostri nipoti.

PRESIDENTE. Nel ringraziare la delegazione di Confindustria, e in particolare il vicepresidente Bombassei, per la disponibilità manifestata, dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 12,50.

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