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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissione XI
24.
Mercoledì 25 febbraio 2009
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Saglia Stefano, Presidente ... 3

INDAGINE CONOSCITIVA SULL'ASSETTO DELLE RELAZIONI INDUSTRIALI E SULLE PROSPETTIVE DI RIFORMA DELLA CONTRATTAZIONE COLLETTIVA

Audizione di rappresentanti dell'UGL:

Saglia Stefano, Presidente ... 3 6 11 15
Bobba Luigi (PD) ... 11
Damiano Cesare (PD) ... 9
Delfino Teresio (UdC) ... 7
Fedriga Massimiliano (LNP) ... 9
Miglioli Ivano (PD) ... 7
Polverini Renata, Segretario generale della UIL ... 3 11

Audizione di rappresentanti dell'ABI:

Saglia Stefano, Presidente ... 15 20 23
Faissola Corrado, Presidente dell'ABI ... 16 20 21
Miglioli Ivano (PD) ... 20
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Movimento per l'Autonomia: Misto-MpA; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.; Misto-Liberal Democratici-Repubblicani: Misto-LD-R.

COMMISSIONE XI
LAVORO PUBBLICO E PRIVATO

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di mercoledì 25 febbraio 2009


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE STEFANO SAGLIA

La seduta comincia alle 14,20.

(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso e la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Audizione di rappresentanti dell'UGL.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sull'assetto delle relazioni industriali e sulle prospettive di riforma della contrattazione collettiva, l'audizione di rappresentanti dell'UGL.
Ringrazio il segretario generale dell'UGL Renata Polverini, che è accompagnata dai segretari confederali Paolo Varesi e Nazzareno Mollicone, dal direttore confederale Pietro Giovanni Zoroddu e dai dirigenti confederali Francesca D'Avello e Fiovo Bitti.
Come sapete, abbiamo deciso di eseguire un breve, ma intenso, secondo round di audizioni, alla luce dell'accordo che è stato firmato a Palazzo Chigi, per poter aggiornare il documento conclusivo che ci auguriamo di poter offrire alle parti nelle prossime settimane.
Do la parola al segretario Polverini.

RENATA POLVERINI, Segretario generale dell'UGL. Ringrazio il presidente, soprattutto per la sensibilità dimostrata chiedendo di nuovo l'audizione di tutti coloro che nel frattempo hanno o meno raggiunto un'intesa su una materia così delicata. Voglio ricordare che la mia organizzazione aveva una piattaforma diversa da quella raggiunta unitariamente da CGIL, CISL e UIL e che abbiamo sottoscritto esclusivamente il testo del 22 gennaio. Non avevamo condiviso né la prima versione, né la seconda versione di ottobre. Abbiamo condiviso questo testo, perché abbiamo innanzitutto ritenuto che rappresentasse un giusto compromesso e, soprattutto, che fosse il frutto di evoluzioni rispetto ai documenti presentati, in particolare dalla Confindustria, in prima e seconda istanza. Siamo convinti che questo testo - per questo lo abbiamo condiviso e sottoscritto - abbia perso buona parte delle connotazioni che avevamo per certi versi giudicato ideologiche, con una visione troppo liberista che tendeva, almeno nel primo testo iniziale, a un totale depotenziamento del contratto collettivo nazionale di lavoro. Questo testo invece, a nostro avviso, ribadisce e conferma la centralità del contratto collettivo nazionale di lavoro, che per noi è elemento di garanzia tra i lavoratori dei vari territori e delle diverse aziende, cioè il vero elemento di solidarietà tra i lavoratori. Lo abbiamo sottoscritto con convinzione, anche perché riporta a un ruolo centrale e di libertà il rappresentante sindacale unitario nonché i rappresentanti sindacali aziendali, cioè coloro che sono nei posti di lavoro e che ben conoscono le questioni relative alle specifiche realtà aziendali.
Diciamo che oggi queste figure fondamentali - nelle quali soprattutto si riconoscono


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i lavoratori che si associano o che votano per ciascuna organizzazione sindacale di riferimento - si trovavano ad essere un po' defilate, in presenza di un complesso che accentrava e accentra responsabilità e poteri di iniziativa.
Siccome siamo convinti che l'azienda sia il luogo dove si recepiscono i bisogni dei lavoratori, troviamo che il riconoscimento del ruolo dei rappresentanti in azienda conferisca un chiaro significato alla firma che abbiamo voluto apporre.
Inoltre, siamo convinti che soltanto a livello aziendale, di singola unità produttiva, si possa realizzare quel reale momento di partecipazione per il quale la nostra organizzazione ha speso tanti anni della propria storia e che speriamo possa essere sostenuto anche da disegni di legge che sappiamo sono stati presentati in Parlamento.
Un altro elemento non indifferente, che ci ha convinto a sottoscrivere questo accordo, è che il testo si prefigge non più soltanto di aumentare la produttività - come era invece indicato nei testi precedenti - ma anche e soprattutto di aumentare i livelli retributivi dei lavoratori.
Per chi rappresenta, come noi, i lavoratori, questo è un punto evidentemente centrale.
È in corso un grande dibattito, anche rispetto alla modalità individuata per il calcolo dell'inflazione, che prevede un nuovo indice IPCA (sapete bene di che cosa si tratti), che sarà articolato, evidentemente, in maniera diversa rispetto a quello attuale, ma che viene anche lasciato all'autonomia dei vari accordi e, quindi, dei settori e delle categorie di riferimento.
Stiamo parlando di una questione molto delicata, anche perché tutti noi, che eravamo convinti che il protocollo del 1993 - i dati poi, purtroppo, ci hanno dato ragione - avrebbe portato a un indebolimento costante delle retribuzioni (oggi rileviamo indici di differenza con i colleghi europei veramente molto alti), essendo un sistema che si basava sulla famosa inflazione programmata stabilita unilateralmente dal Governo nel DPEF e che si discostava molto dal dato dell'inflazione reale, non siamo mai riusciti - questo dobbiamo dirlo con grande chiarezza - a recuperare tale indebolimento nei rinnovi successivi.
Quindi, questo indice rende giustizia, secondo noi, da questo punto di vista e lascia comunque a un soggetto terzo la facoltà di individuare un indice più vicino all'inflazione reale.
I nostri calcoli stimano nel triennio 2009-2011, parlando soltanto della fascia di lavoratori con reddito annuo da 15 mila a 28 mila euro, un incremento compreso fra i 315 e i 600 euro all'anno.
Questo accordo prevede un meccanismo che riuscirà a garantire incrementi retributivi a far data dalla scadenza del contratto collettivo nazionale. Questo è stato un altro elemento che ha portato all'impoverimento dei salari, poiché sappiamo perfettamente che i contratti successivi, seppure prevedevano erogazioni una tantum, non erano in grado di recuperare l'inflazione e neppure, molto spesso (visto il lungo tempo che passava tra la scadenza e il rinnovo del contratto), la parte di salario che i lavoratori avevano perso per scioperare a sostegno della richiesta di un nuovo accordo. Ricordo che i contratti collettivi nazionali di lavoro, in questi anni, si sono rinnovati con ritardi che sono andati da un anno o un anno e mezzo, fino a quello dei giornalisti che - come tutti sappiamo - ha totalizzato un ritardo di 1.500 giorni.
È chiaro che nessuna una tantum è mai riuscita a coprire questo gap che si creava. Invece, oggi, questo accordo prevede tempi e modalità che faranno ripartire le retribuzioni dalla scadenza naturale dei contratti.
Voglio evidenziare un ulteriore elemento, che rappresenta il primo vero tentativo che si fa in questo Paese, dopo la legge Bassanini, di avvicinare il lavoro pubblico a quello privato, rispetto alle modalità di rinnovo dei contratti e anche rispetto alle condizioni salariali.
Si tratta chiaramente di un tentativo, ed è altrettanto chiaro che esiste una normativa che il comparto pubblico non può che rispettare. Un accordo non può


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certamente superare la normativa, però abbiamo preteso di inserire la condizione che la parte di incentivi fiscali già in vigore per i contratti di secondo livello nel privato possa essere estesa anche alla parte pubblica.
Quando venne approvato il provvedimento sugli straordinari, ritenemmo questa differenza di trattamento una grande ingiustizia. Categorie come la Polizia o gli operatori della sanità, che svolgono un lavoro molto importante, che ha a che fare con la nostra vita, dovendo necessariamente fare straordinari senza preavviso - non possono fare diversamente - in qualche modo erano rimaste penalizzate. Questo accordo segna un percorso utile affinché si possa dare anche a queste categorie un equo riconoscimento.
Poiché siamo convinti che ci sia bisogno di riequilibrio anche sul piano fiscale, rispetto alla questione della tassazione troppo onerosa per i redditi da lavoro dipendente e da pensione, riteniamo che tale riequilibrio può derivare dall'agire su una parte di reddito che benefici di una fiscalità inferiore. In ogni caso, non demordiamo dall'insistere per avere una riforma che comunque riporti le cose nel giusto ordine.
Un punto molto delicato di questo accordo riguarda il tema della bilateralità. Invitiamo la Commissione a seguire con grande attenzione l'evoluzione dei fatti, perché è chiaro che, seppure le nuove funzioni previste dal Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali sembrano voler andare a beneficio della bilateralità, vogliamo comunque la garanzia che su alcune questioni, in particolare sugli ammortizzatori sociali, tutto ciò non faccia venir meno il ruolo dello Stato. Riteniamo che debba essere mantenuta una competenza pubblica.
Semmai, la bilateralità può sostenere o integrare strumenti, che, però, rimangano di competenza dello Stato. Solleviamo un dubbio, vista l'esperienza degli anni passati: forse è bene mettere sotto sorveglianza la situazione, proprio per le funzioni che questi organismi avranno, affinché sussistano - dal punto di vista del metodo e del merito - garanzie di effettiva partecipazione agli strumenti da parte di tutti coloro che firmano i contratti e che hanno una rappresentatività. Questi ultimi hanno il diritto-dovere di accedere a questi strumenti, per poter garantire ai propri associati quanto gli strumenti stessi prevedono. Purtroppo fino ad oggi così non è stato, perlomeno non lo è stato per tutti quegli strumenti che sono a disposizione dei lavoratori, ma non dei sindacati.
In questo accordo viene anche toccata per la prima volta, addirittura con un impegno a tentare una soluzione entro tre mesi, la questione ormai famosa della rappresentanza e della rappresentatività. È chiaro che, nel momento in cui si demanda al secondo livello una parte importante della contrattazione, è ancora più importante avere un meccanismo che riconosca i soggetti autorizzati a contrattare su quella specifica parte di riferimento. Bisognerà, da parte nostra, trovare una qualche soluzione per arrivare a una condivisione tra organizzazioni sindacali, e poi tra noi e i datori di lavoro, per tentare infine di condividere alcune regole e, magari, di farci sostenere dalla legislazione.
Pongo a questo punto una questione: sento troppo parlare in questo Paese di rappresentanza delle organizzazioni sindacali, mentre sento poco parlare di rappresentanza delle imprese, che pure rappresentano un problema. Se andiamo verso una misurazione che dia la legittimazione alla trattativa, è evidente che questa deve poter valere da entrambe le parti.
In questo accordo si rileva la volontà di arrivare a una migliore regolazione dei conflitti, rispetto ai testi iniziali che erano molto rigidi e che noi non avevamo condiviso. In questo testo definitivo, che abbiamo sottoscritto, si trova infatti un rinvio alla contrattazione. Lo abbiamo considerato un grande passo indietro - positivo - rispetto a quella che invece all'inizio sembrava soltanto una volontà di limitare fortemente l'esercizio dello sciopero.
Accenno brevemente che abbiamo avuto un incontro con il Ministro del


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lavoro, della salute e delle politiche sociali rispetto alla volontà del Governo di legiferare sul diritto di sciopero - ci era stato detto - nei servizi pubblici in generale. Per fortuna, mi pare che invece la norma si stia evolvendo, tentando però una regolazione solo nel servizio dei trasporti.
Abbiamo dato una nostra disponibilità, purché, se da un lato si tenta di garantire il diritto dei cittadini alla mobilità, dall'altro non si dimentichi che il diritto di sciopero è costituzionalmente previsto ed è un diritto individuale.
Per fortuna, abbiamo appreso dal Ministro che il provvedimento sarà un disegno di legge delega, che quindi affronterà un percorso parlamentare completo. Credo che questa sia la Commissione che dovrà seguire attentamente il provvedimento, per garantire esattamente questi due diritti.
In questo momento, da rappresentanti dei lavoratori, ci preoccupiamo dell'aspetto che riguarda appunto il diritto di sciopero, che la Costituzione prevede.
Esiste un unico elemento che mi lascia un po' di rammarico, rispetto al testo che abbiamo condiviso (però, abbiamo detto all'inizio che si tratta di un compromesso e, come tale, deve far fare passi avanti e passi indietro a tutti i soggetti in partita e corrispondere al punto di equilibrio che in quel momento è possibile raggiungere): nella nostra piattaforma abbiamo presentato (e qui insistiamo nel sostenerla) la possibilità di stipulare il contratto di filiera o di distretto, che ritenevamo un elemento molto importante. È vero che ci sarà comunque, per chi non ha la contrattazione di secondo livello, un meccanismo che salvaguarderà le retribuzioni; tuttavia dobbiamo spingere affinché i contratti di secondo livello siano possibili in tutte le situazioni che abbiamo fino ad ora elencato.
Visto il nostro tessuto produttivo e industriale, è chiaro che la possibilità di accedere a un contratto di filiera, di distretto, di consorzi, o come vogliamo altrimenti chiamarlo, poteva rappresentare un elemento di garanzia in più per tutti i lavoratori. Credo che quella adottata sia stata una scelta politica delle organizzazioni sindacali che, in un momento di difficoltà, volevano togliere dalla discussione un tema che ci trascinavamo dietro da troppi anni e che poteva in qualche modo dare risposte ai lavoratori. Nel merito, tutti abbiamo accettato una forma di compromesso che ha soddisfatto alcune ragioni degli uni e degli altri, ma che non poteva essere evidentemente l'espressione né di una, né dell'altra sigla.
Abbiamo firmato con questo spirito, cercando di dare un segnale: in un momento di crisi drammatica come quello attuale, il sindacato, insieme al mondo delle imprese, può sottoscrivere un accordo per dare le risposte che da tanti anni il Paese chiedeva, per passare poi magari a occuparsi tutti insieme della grande crisi che stiamo vivendo e che sta colpendo in maniera molto importante le persone che rappresentiamo.

PRESIDENTE. Ringrazio il segretario Polverini, al quale vorrei porre alcune domande. Ci ha interessato molto il tema della contrattazione di distretto e di filiera, perché il Governo e il Parlamento si sono fatti promotori di un'iniziativa legislativa che fa del distretto un soggetto giuridico, che può addirittura accedere al concordato fiscale di distretto. Mi chiedo se servano iniziative di carattere legislativo e quali siano state le difficoltà che hanno impedito di introdurre questo strumento.
La seconda domanda non ha a che fare con gli accordi, bensì con la crisi. Abbiamo visto il sistema, soprattutto le banche di credito cooperativo, intervenire «a macchia di leopardo» sul territorio, laddove sussistono problemi legati agli ammortizzatori sociali. Quando gli ammortizzatori vengono ammessi e poi erogati, passa un certo lasso di tempo, durante il quale le banche del territorio, tramite accordi locali, intervengono nel trattamento di sostegno al reddito, proprio per evitare che il lavoratore sia scoperto per alcuni mesi. Le chiedo se si tratti di uno strumento, secondo voi, esportabile ed estensibile, se


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avete delle esperienze al riguardo e se potete fornirci spiegazioni, anche perché la prossima audizione prevede l'intervento del presidente dell'ABI e ciò ci consente di mettere in campo tutto il sistema.
Do la parola ai deputati che intendano porre quesiti e formulare osservazioni.

TERESIO DELFINO. Signor segretario, ho sentito nella sua chiusura l'affermazione che così sintetizzo: non è il miglior accordo, bensì l'accordo possibile.
Non essendo totalmente persuaso riguardo agli accordi separati - per la mia breve esperienza sindacale, ho sempre ritenuto che è meglio sbagliare insieme piuttosto che procedere in ordine sparso - le chiedo se non rimaneva veramente più alcun margine o se invece hanno inciso anche altre istanze in quella che lei ha definito, se non ho sintetizzato e tradotto male, una scelta privilegiata di politica sindacale.
A mio avviso, la crisi delle piccole e medie imprese è molto forte e lo sarà sempre di più, non ultimo per le difficoltà del credito bancario. Appena lunedì scorso ho dovuto seguire nel biellese un'azienda che ha ordini, commesse e quant'altro, ma che, per la stretta creditizia, non accede più ai normali canali di finanziamento. Chiederemo certamente ragione al rappresentante dell'ABI di queste situazioni che risultano veramente incomprensibili. Mi chiedo se, forse, vista questa drammatica situazione di crisi, non fosse il caso di tentare di raggiungere un accordo.
La seconda domanda riguarda i risultati attesi. In altre audizioni, nel corso di questi mesi di presenza nella Commissione lavoro, ho appreso che esiste un fronte sindacale dove c'è chi crede di interpretare legittimamente (ognuno, in fin dei conti, difende le proprie tesi) un ruolo più attento al dato della retribuzione e della salvaguardia - lo dico in modo un po' sintetico - dei livelli retributivi e quant'altro, mentre altri invece pongono questioni più generali, che poi rischiano di apparire collaterali a posizioni politiche.
Nella mia brevissima esperienza, ritengo che la questione di garantire un salario adeguato ai lavoratori sia forte, poiché i lavoratori devono sostenere una famiglia e tutte le relative dinamiche. Le torno a chiedere, quindi, quali siano concretamente i risultati attesi da un accordo che, tra l'altro, differenzia ancora tra pubblico e privato, ad esempio sul recupero del triennio.
Non riesco più a capirvi molto, nella strategia sindacale, giacché in questo accordo si prevede un meccanismo che per alcuni ha effetto retroattivo, mentre per gli altri ha effetto successivo.
In ultimo, sulla questione dei due livelli di contrattazione, mi pare che ci sia una adesione ormai unanimemente riconosciuta. Se ho capito bene, lei afferma che il livello migliore è quello aziendale e non il livello territoriale, perché in esso si realizza meglio la partecipazione. A tale riguardo, le domando se pensate che una posizione debba essere lasciata ai territori e alle singole unità produttive, oppure se avete in mente di operare diversamente, anche con il coinvolgimento dei lavoratori (non tanto con il referendum a favore o contro: notoriamente non sono assemblearista e preferisco la partecipazione delegata rappresentativa). Ritenete che la definizione di questo ulteriore livello debba essere il frutto di un'articolazione regionale, provinciale e quant'altro, con modalità che verranno stabilite, oppure che debba esistere una posizione nazionalmente definita?

IVANO MIGLIOLI. Il segretario Polverini ha ripreso una parte delle considerazioni che già aveva espresso in una precedente audizione. Parto dalle sue conclusioni per porre alcune domande.
Il segretario Polverini ha concluso affermando di avere siglato quell'accordo per le ragioni che ci ha illustrato, per affrontare meglio e tutti insieme la crisi drammatica che sta attraversando il Paese. Parto da qui: tra di noi non dobbiamo riprendere i dati e le affermazioni fatte ieri dal segretario della CIGL, né la drammaticità che ciascuno di noi vive nei territori.


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Venerdì mi trovavo con un collega in un'area ricca del Paese, nel distretto di Carpi, a incontrare i lavoratori in crisi. Non si trattava solo di tessili (già quel settore ha subito profonde trasformazioni, come è noto), ma era presente anche il settore metalmeccanico, quello delle macchine per la lavorazione del legno e parlavamo a lavoratori che, in qualche modo, hanno qualche tutela, godono di strumenti di ammortizzazione sociale che consentono loro, almeno per un periodo di tempo, di affrontare l'emergenza.
Successivamente, abbiamo incontrato un gruppo di cosiddetti «lavoratori precari», che fanno parte di quei quattro milioni di lavoratori che, da flessibili, a precari, a disoccupati, seguono una trafila che li porta a non avere alcuna risposta. Parto da qui, perché è evidente che, rispetto a questa esigenza, la priorità consiste nell'affrontare, come forze sociali e politiche e come Governo, questo tema, ancor prima dei livelli di contrattazione. Mi sembra che, di fronte a questa situazione drammatica, il Paese, per prima cosa, ci chiede come la affrontiamo.
Naturalmente, ciò non significa evitare il confronto sui livelli di contrattazione. Tuttavia le chiedo, segretario, se le questioni seguenti, riferite soprattutto alle misure previste rispetto agli ammortizzatori sociali, rispondano a queste esigenze.
In primo luogo abbiamo il tema di come le banche intervengono per fare in modo che, nel momento in cui ci sono sospensioni, i lavoratori ricevano gli stipendi. Si tratta di un problema drammatico, per cui si trovano soluzioni particolari in ciascun territorio, ma mi sembra che siamo ancora lontani dall'offrire una vera opportunità, soprattutto alle fasce più deboli e, francamente, vedo carenze sia nell'iniziativa del Governo, sia anche nelle organizzazioni sindacali.
In secondo luogo, nel mondo ci si sta interrogando se sia necessario un intervento maggiore dello Stato nell'economia e, nelle forme opportune, addirittura sulle banche, rispetto a un modello che ci era stato «propinato» un po' di tempo fa che prevedeva, invece, la libertà del mercato su tutti gli aspetti, compresi anche quelli del sistema di welfare (discussione che stiamo conducendo su un altro tema e che riguarda il «libro verde»). In quell'accordo si attribuisce alla bilateralità un ruolo certamente importante e, per alcuni versi, anche decisivo (penso alle categorie meno protette, come gli artigiani, a proposito di settori di filiera). Ieri, nel suo intervento, il segretario nazionale della CGIL, pur riconfermando la scelta della bilateralità, ha paventato il rischio che, da una parte, sia sostitutiva dell'intervento dello Stato - che deve rimanere - e, dall'altra parte, che modifichi e trasformi il ruolo stesso delle organizzazioni sindacali e delle imprese.
Vengo alla terza questione. Lei, nel precedente intervento, fu molto esplicita per quanto riguarda il tema della rappresentanza e della rappresentatività delle imprese e dei lavoratori. Oggi parliamo di quella dei lavoratori. In quella piattaforma non sottoscritta da UGL si definiva il problema fra le organizzazioni sindacali. Epifani e, in parte, Bonanni lo hanno ripreso in questa sede. Stabilito che questo è terreno autonomo di valutazione da parte delle organizzazioni sindacali, le chiedo se non sia utile una legislazione a sostegno per affrontare anche questa questione (non solo, quindi, sui temi dello sciopero, che discuteremo, ma anche su quelli della rappresentanza). Adesso si aprirà una fase in cui, a quell'accordo quadro sottoscritto, deve seguire la definizione di piattaforme e la conferma della validità sia delle piattaforme, sia degli accordi. Si aprirà pertanto un tema di non facile soluzione, anche perché mi risulta che in alcune realtà esistano atteggiamenti che vedono UGL sottoscrivere piattaforme con CGIL o viceversa. Le chiedo se tutto ciò possa consentire la riapertura di un confronto fra tutte le organizzazioni sindacali, visto che si è stipulato un accordo quadro, che deve essere attuato nella definizione di diversi aspetti, a partire da


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quale sarà l'ente terzo al quale affidare la definizione di quel famoso parametro riferito al costo dell'inflazione.

MASSIMILIANO FEDRIGA. Intervengo soltanto per toccare particolari temi, che il mio partito ha particolarmente a cuore. Prima di tutto, per quanto riguarda la contrattazione di secondo livello (che vediamo positivamente), siamo favorevoli alla contrattazione territoriale, in quanto dobbiamo sempre considerare che non esistono soltanto le grandi imprese, ma anche quelle piccole e piccolissime, soprattutto in un tessuto economico come quello del nord-est. È chiaro che, se non si forniscono gli strumenti per incidere positivamente anche su un aumento del reddito, riesce difficile rispondere alle esigenze di vita dei lavoratori.
Signor segretario, come ho ricordato anche ai suoi colleghi segretari generali delle altre sigle che l'hanno preceduta, il valore del lavoro non si può calcolare esclusivamente in termini di valori assoluti del salario, ma anche in termini relativi di potere d'acquisto del lavoratore. Laddove esistono situazioni in cui il costo dei beni di prima necessità (o comunque dei beni) è più alto rispetto ad altre zone e in altri territori, è chiaro che andiamo a penalizzare i lavoratori che vivono nelle prime.
Tutto ciò è molto chiaro: basta vedere in aree più vaste, come quelle dei diversi Stati che compongono l'Unione europea, come i salari siano differenziati non soltanto in relazione al fatto che alcuni Paesi garantiscono effettivamente ai propri cittadini salari che permettono un potere d'acquisto maggiore, ma anche in virtù di un vincolo rappresentato da un costo della vita molto maggiore. Facciamo un esempio su tutti: l'Inghilterra, Londra, le grandi capitali, dove il costo della vita è maggiore, ma i salari sono molto più elevati. Non vedo perché un ragionamento del genere non possa valere anche nel nostro Paese.
Concludo ricordando un esempio che non riguarda direttamente l'accordo quadro, bensì la questione degli ammortizzatori sociali, che ho sentito citare in precedenti interventi.
Vorrei che i sindacati tenessero presenti le ottime esperienze avvenute, per esempio, nelle province lombarde di Brescia e Bergamo, cui è stata assegnata la competenza a seguire la contrattazione e l'accordo tra le parti e nelle quali si è raggiunto un ottimo risultato, a beneficio esclusivo dei lavoratori. Vedo che il presidente annuisce, poiché conosce bene quei territori.
Voglio aggiungere un'ultima notazione sul diritto allo sciopero collegato alla rappresentatività delle sigle. Credo che sia importante - penso che tutti concordino - verificare quanto i sindacati realmente contino nella tutela dei lavoratori, accertando da chi gli stessi lavoratori decidano effettivamente di farsi rappresentare. È chiaro che il diritto di sciopero, fissato dalla Costituzione come diritto individuale, non può andare in contrasto con i diritti individuali di libertà e di circolazione, per esempio, del singolo cittadino. Oltretutto, se è vero - come lei afferma - che il sindacato deve tutelare in primo luogo i lavoratori, è altrettanto vero che lavoratore è anche chi si reca al lavoro usando il mezzo pubblico. Penso dunque che nel sindacato debba svilupparsi anche questo tipo di sensibilità.

CESARE DAMIANO. Volevo rivolgerle, segretario, la seguente domanda. Abbiamo continuato - credo che sia l'opinione di tutta la Commissione - a pensare, dopo l'accordo che non ha visto la firma della CGIL, che il risultato sarà tanto maggiore quanto più sarà largo il consenso. Non rinunciamo, quindi, a sperare che si possa ricomporre l'unità del sindacato. L'accordo è preceduto da linee guida - anche queste non firmate dalla CGIL - e avrà bisogno di una sua traduzione che porti dall'accordo quadro agli accordi interconfederali di settore e poi ai contratti di categoria.
Ieri, il segretario della CGIL, di fronte a una domanda che gli ho rivolto, ha dichiarato che la sua organizzazione sarà al tavolo del negoziato. Mi auguro (anche per la mia esperienza) che dall'accordo


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quadro alla sua traduzione si trovino quei chiarimenti e miglioramenti (che del resto non solo una parte, bensì tutti chiedete) che possano consentire di aprire spazi unitari.
La prima domanda che le volevo sottoporre è se lei non veda una contraddizione tra l'idea di fondo, condivisibile, di regolare e diminuire il conflitto e una conclusione separata, che sicuramente aumenterà il conflitto.
Ripeto anche in questa seduta che, chi ha firmato, lo ha fatto a buon titolo e tutelando i lavoratori dal suo punto di vista; chi non ha firmato, egualmente, ha fatto le proprie valutazioni e pensa di tutelare i lavoratori. Temiamo che, non avendo condiviso l'impianto di base, l'applicazione dell'accordo, soprattutto là dove l'organizzazione non firmataria è maggioritaria, sarà difficile e conflittuale. Le chiedo se non veda un rischio esattamente opposto al desiderio: non una, ma tante piattaforme per rinnovare un contratto nazionale, aziendale, o territoriale.
Tralascio la questione dell'IPCA, sulla quale è già stata posta una domanda e vorrei soffermarmi solo sul valore punto. Le domando se il valore punto, nelle linee guida dell'intesa, sarà confederale oppure - come io auspico - di categoria. Le chiedo cioè, nell'applicazione, in quale direzione andrete. Un valore punto di comparto interconfederale mi sembra alquanto problematico: abbassa chi ha di più e aumenta chi ha di meno. Non mi sembra che si possa procedere in questa direzione e gradirei un chiarimento.
Per quanto riguarda il livello decentrato, concordo con quanti hanno parlato del valore della contrattazione territoriale, nei confronti della quale sappiamo sussistere un pregiudizio di Confindustria. Le chiedo se l'accordo la includa o meno, se riconfermi il «detto e non detto» del protocollo del 1993, se con il termine decentrato si intenda aziendale o territoriale. In definitiva, vorrei conoscere il suo giudizio sul valore della contrattazione territoriale.
Sulla bilateralità, concordo con quanto da lei espresso in precedenza. Ci siamo trovati di fronte a un Governo che non fa della bilateralità - come lei ha affermato - una sorta di complemento, un completamento delle tutele e anzi ne fa l'innesco del diritto alla tutela universale pubblica. Questo, a nostro giudizio, è molto pericoloso. Vorrei sapere che cosa ne pensa la sua organizzazione: mi sembra che lei abbia già detto, all'inizio, di avere un'opinione critica, quindi, forse è persino superflua la risposta.
L'ultima questione che vorrei sottoporle riguarda la rappresentatività. Nella giornata di lunedì, lei ha partecipato al seminario dell'associazione Lavoro & welfare con gli altri segretari confederali, con rappresentanti di Governo e opposizione. Mi è sembrato di registrare, a conclusione del convegno, una convergenza sulla necessità, in questo momento, di far emergere il tema della rappresentatività come un punto che può in qualche modo dare una mano a risolvere alcuni problemi. Mi pare di avere colto anche una convergenza sul ricercare la rappresentatività attraverso indicatori iscritti-voti e, al tempo stesso, sulla fissazione della soglia del 5 per cento, varcata la quale - sul piano nazionale - l'organizzazione ha diritto a negoziare un accordo. Anche lei si è espressa in modo positivo, rispetto a questa scelta. Le domando se ritenga che sia utile, nel caso in cui si raggiungesse su questi temi un accordo, una legislazione di recepimento, anzi di sostegno, come si dice classicamente.
Vengo infine sulla scelta del Governo di anteporre alla rappresentatività il tema del diritto di sciopero, con tutte le criticità evidenziate dal collega Fedriga. Sono, per la seconda volta, d'accordo circa il carattere di diritto soggettivo del lavoratore nell'esercizio dello sciopero. Le chiedo se non pensi che anteporre la definizione delle regole sullo sciopero (anche se circoscritte al settore dei trasporti) possa, in qualche modo, compromettere il tentativo, politicamente e socialmente utile, di trovare una convergenza bipartigiana sul


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tema della rappresentatività, con il recepimento di un accordo su questi punti esclusivi da parte di una legislazione di sostegno successiva, che non leda l'autonomia delle parti. Credo che questa Commissione potrebbe persino trovare, come si dice, una convergenza di opinione al riguardo.

LUIGI BOBBA. La prima osservazione è una sottolineatura della domanda posta adesso dal collega Damiano sulla contraddizione esistente tra la concezione della bilateralità che lei, segretario, ha esposto e quanto contenuto in particolare nel «libro verde» del Governo. Quest'ultimo ha un approccio direi piuttosto lontano dalla sua concezione, come ha ricordato prima il collega che mi ha preceduto.
In secondo luogo, lei ha giustamente osservato che la scelta di questo indice rivela, in qualche modo, un tentativo di evitare quello che è accaduto, cioè che con l'inflazione programmata, alla fine, ci hanno rimesso i lavoratori. Sto schematizzando rozzamente, tanto per capirci.
Nelle precedenti audizioni ho rivolto la stessa domanda anche agli altri segretari: non si capisce ancora bene chi sarà il dominus di questo indice. La Banca d'Italia non lo vuole fare, l'Istat neppure. Quello che dovrebbe essere il cuore di una scelta che cambia le carte in tavola, rispetto al passato, per ora rimane ancora un'«araba fenice».

PRESIDENTE. Do la parola al segretario Polverini per la replica.

RENATA POLVERINI, Segretario generale dell'UGL. Cercherò di andare in ordine e spero di rispondere in breve tempo a tutti. Il presidente chiedeva come mai non si è riusciti a parlare del contratto di filiera o di distretto, che addirittura è stato e potrebbe essere sostenuto dal punto di vista legislativo. Si è svolta una discussione, a mio avviso, molto ideologica sulla questione riguardante il secondo livello di contrattazione, con una posizione molto ferma di Confindustria, ma anche della mia organizzazione, nel non volere un contratto territoriale (io credo che Confindustria non lo volesse per una questione di organizzazione interna).
Non è irrilevante quello che abbiamo sottoscritto su come si articoleranno le discussioni, le trattative e le contrattazioni sul piano interno organizzativo delle confederazioni. Bisognerà modificare le nostre strutture ed è chiaro che arrivare a un livello più basso comporta, comunque, la necessità di mantenere a livello centrale una sorta di governo della questione. Demandare a un secondo livello territoriale, a mio avviso, poteva invece mutare gli assetti organizzativi. Per una sorta di retaggio, personalmente mi sono sempre mostrata contraria al livello territoriale, che in qualche modo richiamava sempre la questione delle gabbie salariali.
Condivido quanto evidenziato dal rappresentante della Lega Nord Padania, cioè che esistono esigenze diverse nei vari ambiti territoriali, poiché i livelli di vita e del costo della vita sono differenti. Però, è anche vero che laddove, per esempio nel Mezzogiorno, esistono magari alcune situazioni che possono avere un impatto minore sul salario, sussiste anche un gap infrastrutturale, dei servizi, che invece grava in maniera pesante sugli stessi redditi. Se da un lato si dice banalmente che al sud la vita costa di meno rispetto al nord, dall'altro poi si rileva che in pratica non è vero, in quanto la persona che abita nel Mezzogiorno ha un problema in più nel trovare un asilo nido o nel cercare un'assistenza per gli anziani, rispetto a un cittadino del nord. Bisognerebbe trovare un equilibrio, in questo senso.
Poiché questa discussione iniziale è stata subito messa da parte, non si è cercato più alcun livello intermedio e si è andati direttamente sui posti di lavoro. Se partiamo dal concetto che occorre ripartire aumentando la produttività, per poi, in base a quella, aumentare anche le retribuzioni, è evidente che ciò, a mio avviso, si può fare sul piano aziendale, sul piano della filiera o del distretto, ma non si può fare sul piano territoriale, poiché


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non si sa in base a quali parametri si possa ridistribuire la produttività rispetto ad imprese che in quel momento vanno bene e ad altre che, invece, in quel momento vanno male. Si tratta di un problema molto complesso, quindi, evidentemente, si è ritenuto di lasciare le cose come stanno.
Anche da questo punto di vista dobbiamo dirci la verità: credo che l'elemento migliore per incentivare il secondo livello sia l'azione fiscale. Quest'ultima conviene all'impresa e ai lavoratori; quindi, si cercherà di spostare su quel livello una parte del reddito. Diversamente, rispetto a tutte le altre misure che vogliamo mettere in campo, ritorniamo a come siamo adesso: una parte delle imprese fanno normalmente il contratto integrativo, mentre le altre usufruiscono di una quota che in qualche modo le pone sullo stesso piano, anche laddove la contrattazione di secondo livello non è avvenuta.
Per quanto riguarda la domanda sugli ammortizzatori sociali, siamo stati l'unica organizzazione che, nell'unico tavolo a cui abbiamo partecipato con il Governo e con i rappresentanti delle regioni sull'accordo che poi è stato raggiunto, ha chiesto che il Governo si facesse carico di tentare di raggiungere un accordo con l'ABI, tale da costringere tutto il sistema bancario ad anticipare, là dove sussisteva il diritto riconosciuto, gli ammortizzatori sociali.
Abbiamo avanzato questa richiesta nel Lazio, per la questione Alitalia, perché ad un certo punto nessuno parlava più dei lavoratori di questa compagnia aerea ed eravamo in difficoltà nell'assicurare questo sostegno al reddito. A mio avviso, questa è una strada percorribile. Non si può lasciare l'intervento alla bontà o al rapporto di alcuni istituti di credito che sono naturalmente più vicini al territorio. Esiste un settore, quello delle banche, che deve fare la propria parte. Del resto, gran parte dei nostri problemi arrivano da lì. Per fortuna, in questo Paese ancora non abbiamo un coinvolgimento diretto degli istituti, ma credo il Governo debba mettere in campo tutte le forme che può e deve trovare, da un lato per sostenere i lavoratori con gli ammortizzatori, dall'altro per far erogare credito alle piccole e medie imprese (le banche hanno chiuso i rubinetti e non li riaprono). Su questo punto continuiamo a chiedere un'interlocuzione.
L'onorevole Delfino ha tradotto bene la scelta politica sindacale. Di scelta, infatti, si trattava: arrivano momenti in cui le organizzazioni di rappresentanza che partecipano a una discussione molto ampia debbono operare delle scelte. Ho detto anche al segretario della CGIL che, in alcuni momenti, la scelta sicuramente è anche di merito, ma principalmente è di politica sindacale, se si vuole continuare a percorrere una certa strada o si vuole cercare, in qualche modo, di dare una scossa alla situazione. Saremmo sopravvissuti anche senza questo accordo: è chiaro che abbiamo una crisi da fronteggiare, ma non si è giunti a questo accordo in otto mesi, com'è stato detto, oppure - come qualcuno ha affermato - addirittura senza discussione; ci si è giunti dopo quattro anni di discussione. Non dobbiamo dimenticare che anche la presidenza Montezemolo, in qualche modo, tentò vari percorsi per arrivare a un nuovo modello di relazione sindacale, senza successo.
La presidente Marcegaglia ha preso in mano la situazione nel maggio dello scorso anno e fra le sue priorità aveva messo questo modello. Si è svolta un'intensa discussione, probabilmente ci si poteva arrivare prima, anche per non rimanere imbrigliati in questo contesto di crisi che ovviamente ha cambiato un po' tutto, ma si è arrivati in fondo. Credo che, nel momento decisivo, la scelta della mia organizzazione sia stata quella di tentare. Nessun accordo è perfetto. Gli accordi nascono sempre dalla mediazione, quindi non ci sarà mai nessuna organizzazione che potrà rivendicare il diritto di dire: «Quell'accordo è il mio accordo».
Si tratta di una sintesi: ho scelto di tentare un accordo, il migliore possibile (ovviamente, ritengo tale l'accordo raggiunto), per sgomberare il campo da una


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discussione che stava oggettivamente gravando quotidianamente su tutte le altre scelte che invece dobbiamo compiere. Ho scelto, con grande senso di responsabilità, di sottoscrivere un'intesa.
Mi sembra questa la sede propria per puntualizzare (siccome, molto spesso si dice, in vari dibattiti televisivi e convegni, che il Governo ha voluto questo accordo per dividere), che a mio parere non si può dare per scontato che l'unico fra i soggetti presenti al tavolo che non ha firmato sia anche quello che detiene il verbo, la verità. Continuare a suggerire questa intenzione del Governo, a sostenere che la colpa è del Governo, è anche offensivo per chi - non soltanto chi vi parla - ha una storia di organizzazione di tutto riguardo e che, in totale autonomia, ha preso la sua decisione, anche con l'obiettivo di portare poi il Governo di fronte alle proprie responsabilità. Dire sempre di no, alla fine, mette tutti nelle condizioni di subire sempre un rapporto conflittuale, che non porta nulla alle persone che rappresentiamo.
Per quanto riguarda la questione del triennio, voglio ricordare che qualche tempo fa fu sottoscritto anche dalla CGIL - non con questo Governo - un accordo che già prevedeva la triennalizzazione dei contratti pubblici. Non era una novità, quindi, per la CGIL che non ha sottoscritto in questo momento: era già stato fatto un protocollo con il Governo Prodi (che noi dell'UGL non sottoscrivemmo).
Come ho detto nel mio intervento, per quanto riguarda la parte pubblica, abbiamo dovuto tener conto degli stipendi. Il Governo è, in quel caso, datore di lavoro e partecipa all'accordo in quanto tale, non come istituzione. Tuttavia, le retribuzioni, come tutte le spese dello Stato, fanno parte del bilancio dello Stato. Quindi, non possiamo superare con un accordo i vincoli che lo Stato pone sul bilancio con una legge.
Il livello aziendale - l'ho già detto prima - in qualche modo restituisce una naturale forza di contrattazione a chi vive nel luogo dove, poi, la produttività si deve ridistribuire. Penso che sia molto meglio, sul piano della partecipazione e del coinvolgimento di tutte le strutture sindacali, quindi anche del mio sindacato, che il livello sia quello. Sugli altri livelli, ad esempio su quello territoriale, la probabilità di centralizzare la decisione è molto più alta.
In questo modo si darà un indirizzo, ma chi vive nei posti di lavoro avrà modo di partecipare maggiormente.
Vengo alla crisi, alle misure e agli ammortizzatori sociali. È stato fatto un accordo con le regioni e devo dire che ho apprezzato molto l'atteggiamento che queste ultime hanno tenuto nel trovare comunque una soluzione insieme al Governo, per utilizzare risorse che, diversamente, sarebbero state finalizzate soltanto a percorsi formativi. Queste risorse, invece, in questo momento serviranno (evidentemente senza tralasciare un aspetto importante come la formazione) anche per sostenere le persone che perdono il posto di lavoro. Ci siamo fatti anche parte attiva, laddove le ragioni stesse, non più di qualche giorno fa, ci hanno sollecitato a richiamare il Governo ad alcuni adempimenti che ancora non erano stati espletati. Il processo sta andando avanti. Comunque, spero che da quel punto di vista le risorse a disposizione siano sufficienti, perché, se così non sarà, vorrà dire che veramente ci troviamo in un guaio molto più grave di quanto ancora non riusciamo a immaginare.
Sulla bilateralità, vorrei dire che la mia organizzazione è l'unica che ha rifiutato fin dall'inizio il concetto secondo cui in qualche modo essa si sostituisce, in alcuni contesti, al ruolo dello Stato. Ribadisco il concetto che la bilateralità deve solo sostenere, però, allo stesso tempo, vi consiglio di navigare su Internet e accedere ai siti delle organizzazioni sindacali, così potrete dirmi chi ha un rapporto organico con la bilateralità e chi non lo ha. Non si può sostenere, in alcuni momenti storici, che la bilateralità va bene e in altri no. Dal momento che anch'io ritengo che questo rapporto troppo stretto fra imprese e lavoratori, a volte, possa deviare i comportamenti,


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caricandoci tutti di un'enorme responsabilità, su questo bisogna procedere con molta prudenza, con direttive chiare e precise e anche con adeguati controlli, poiché tutto ciò ha a che fare, a mio avviso, anche con la discussione in corso sulla rappresentatività.
Non si può pensare di regolare la vita delle organizzazioni soltanto con la delega e il voto. Gli strumenti a disposizione delle organizzazioni sono tanti e, quindi, credo che i parametri possano e debbano essere molteplici; diversamente, rischiamo di non avere mai un quadro completo delle situazioni.
Qualche anno fa, il legislatore misurò la rappresentanza e l'esistenza in vita degli enti di natura previdenziale di emanazione sindacale che gestiscono danaro pubblico. Per il tipo di bilateralità di cui stiamo discutendo, parliamo della stessa cosa, cioè dell'impianto che stabilisce quali sono le organizzazioni che hanno accesso a denaro pubblico. Gli strumenti di controllo e i parametri per stabilire se un dato ente può effettivamente erogare quel servizio sono ben altri e dobbiamo cominciare a renderci conto di cosa stiamo parlando. Personalmente, non sfumerei la questione della rappresentatività, così come invece si sta cercando di fare.
Rispetto alla crisi, penso che il Governo, insieme a noi e a chi ha la possibilità di controllare il sistema produttivo, debba evitare abusi (che pure ci sono, perché non tutte le imprese che stanno accedendo agli strumenti di protezione lo fanno perché sono in crisi). Certamente non potremo mai governare, o controllare tutto, tuttavia qualche misura contro gli abusi bisognerà pur metterla in campo. Qualche settimana fa, con un'azione sindacale, abbiamo evitato che uno dei più grossi call-center d'Italia ponesse in cassa integrazione 1.200 lavoratori; quel provvedimento è stato ritirato.
Sulla crisi, certamente, bisogna ancora fare molto: ci sono stati i primi interventi, ma permane una fascia in particolare, quella delle persone e delle famiglie da noi rappresentate, che ancora non trae alcun beneficio diretto dai provvedimenti che pure il Governo ha messo in campo. Continuiamo a ripeterlo ogni giorno.
L'onorevole Damiano dice che la CGIL verrà al tavolo. Ebbene, io ricordo che una volta, quando i sindacati non firmavano, al tavolo non andavano. Anche qui bisogna stabilire regole che, se valgono, siano valide per tutti e non soltanto per alcuni soggetti.
L'onorevole aggiunge che rileva una contraddizione fra la regolazione del conflitto e la conclusione dell'accordo separato. In effetti, stiamo tentando di regolare il conflitto che nasce dall'esigenza di agire per garantire i rinnovi dei contratti ai lavoratori. Non spetta a noi, che abbiamo sottoscritto l'accordo, regolare un conflitto che la CGIL mette in campo su altre questioni. L'accordo rappresentava un tentativo di regolare il conflitto, poiché, dando una certezza rispetto ai rinnovi, come ho detto all'inizio, il 90 per cento del conflitto in qualche modo si esaurisce da solo.
Sul valore punto io la penso come l'onorevole Damiano, in quanto conosco la sua posizione. Siamo noi che dobbiamo far sì (l'accordo, su questo punto, non è stringente) che il valore punto sia individuato dai settori. Non possiamo pensare che possa esistere un valore punto uguale per tutti: ciò andrebbe a penalizzare settori che invece, da sempre, hanno un punto superiore.
Sullo sciopero mi ripeto: è chiaro che, se si raggiunge un accordo, una legge di sostegno può far bene. Cito un'affermazione di Tiziano Treu al convegno richiamato dall'onorevole Damiano: attenzione a pensare di regolamentare tutto il lavoro, perché ciò è incostituzionale!
Quella sindacale è, ancora, una libera associazione. Non si può blindare totalmente un sistema. Rispetto al 5 per cento, rispondo all'onorevole Damiano che questa percentuale sussiste già nel pubblico impiego, quindi possiamo mantenerla. Nel convegno citato ho detto a tutti, maggioranza e opposizione (in quell'occasione rappresentata dall'onorevole Cazzola, oggi


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presente), che per noi il 5 per cento va bene e che, in realtà, siete proprio voi che, politicamente, da poco avete individuato nel 4 per cento la soglia minima per andare a sedere in Parlamento. Quindi, qualcuno potrebbe obiettare che, mentre per andare al Parlamento basta il 4 per cento, per fare un contratto si pretende il 5 per cento. Su questo aspetto ho voluto richiamare l'attenzione dei politici presenti al convegno citato.
Venendo alle domande dell'onorevole Bobba, sulla bilateralità ho già risposto e anche sull'indice mi pare di avere espresso il mio pensiero.

PRESIDENTE. Ringrazio il segretario Polverini, al quale diamo appuntamento per le prossime iniziative e garantiamo il nostro massimo impegno nei prossimi lavori parlamentari, in particolare sulla regolamentazione del diritto di sciopero, sul quale attendiamo qualche suggerimento, sempre opportuno.
Dichiaro conclusa l'audizione. Sospendo la seduta, avvertendo che essa riprenderà a breve con lo svolgimento della prevista audizione di rappresentanti dell'ABI.

La seduta sospesa alle 15,20, è ripresa alle 15,25.

Audizione di rappresentanti dell'ABI.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sull'assetto delle relazioni industriali e sulle prospettive di riforma della contrattazione collettiva, l'audizione di rappresentanti dell'ABI.
È presente il presidente dell'ABI Corrado Faissola, con il quale ci scusiamo per il ritardo, dovuto al prolungarsi della precedente audizione, e che ringraziamo per la partecipazione. Siamo molto interessati a conoscere la posizione dell'ABI - si tratta dell'ultima audizione svolta nell'ambito di questa indagine conoscitiva - sul tema delle relazioni industriali, visto che ha destato scalpore, a suo tempo, la non immediata sottoscrizione da parte dell'ABI dell'accordo firmato a palazzo Chigi.
Stiamo conducendo questa indagine per offrire alle parti sociali un punto di vista del Parlamento attraverso la presentazione di un documento conclusivo sul tema delle relazioni industriali.
Per risparmiare tempo - sempre tiranno in Parlamento - premetto subito le due considerazioni che volevo offrirle, presidente Faissola, in modo da darle l'occasione di inserire le eventuali risposte già nella sua esposizione.
La prima considerazione è di carattere generale: la Commissione lavoro vive il problema della crisi economica, naturalmente, in prima battuta dal punto di vista dei lavoratori, cioè di coloro che sono più a rischio. Le chiedo, quindi, un'opinione sulla tenuta occupazionale nel nostro Paese vista dal vostro osservatorio, sia per quello che riguarda il sistema bancario, sia, più in generale, riguardo alla crisi economica che stiamo attraversando. Visto che ogni giorno c'è qualche novità, a volte spiacevole, vorremmo capire dal punto di vista dell'ABI quali sono le sensazioni suscitate da questa crisi, in riferimento anche ai temi del lavoro.
La seconda questione mi sta particolarmente a cuore e alcune parti sociali l'hanno anticipata anche nelle loro audizioni. Lei sa bene che il sistema di ammortizzatori sociali è stato potenziato, però la tempistica di somministrazione dei trattamenti di sostegno al reddito non sempre coincide con la presentazione del progetto. Questo, in parole povere, significa che il lavoratore che va in cassa integrazione rimane scoperto per qualche mese. Abbiamo giudicato molto positivamente le notizie che ci pervenivano da parte del territorio: spesso le banche locali vengono in qualche modo a sopperire a questo problema, intervenendo con prestiti, in modo da coprire questo lasso di tempo. Esistono progetti non solo di banche del territorio: so che anche Banca Intesa ha un proprio istituto al proprio interno, che svolge questo genere di attività.


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Vorrei capire qual è il giudizio dell'ABI su queste iniziative e se esse possano in qualche modo rendersi strutturali. Chiaramente esse hanno un costo e, tuttavia, significano anche una ripresa significativa della responsabilità sociale di impresa nonché dell'immagine di un sistema bancario che non sempre ha goduto di consensi allargati da parte dell'opinione pubblica.
Do la parola al presidente dell'ABI, Corrado Faissola, per lo svolgimento della relazione.

CORRADO FAISSOLA, Presidente dell'ABI. Ringrazio il presidente e porgo un saluto cordiale a tutti i membri di questa autorevole Commissione. Cercherò di non tediarvi con discorsi che siano troppo filosofici, iniziando dalla posizione che l'ABI ha assunto in occasione della sottoscrizione dell'accordo di palazzo Chigi. In quella stessa sede avevo assicurato che il contenuto dell'accordo che stava per essere sottoscritto in quel momento era in verità condiviso dall'ABI, ma sussistevano alcune esigenze di carattere interno - finalizzate al mantenimento di un clima di solidarietà nell'ambito di diversi sindacati che rappresentano tutti i nostri lavoratori - tali per cui ritenevamo più opportuno attendere qualche momento prima di sottoscriverlo, cosa che poi si è realizzata con il consenso di tutti.
Devo dare atto a tutte le componenti che erano presenti al tavolo di palazzo Chigi, sia di parte sindacale, sia di parte governativa, sia di parte confindustriale, della comprensione che hanno avuto della nostra posizione e della fiducia che hanno avuto riguardo alle mie assicurazioni.
Avevamo due finalità che, apparentemente, erano inconciliabili: da un lato tenere al nostro tavolo anche la FISAC CGIL e la FABI, dato che, in un certo momento, si era creata una situazione di linea comune fra queste due organizzazioni. Ora, come voi sapete, questi due sindacati sommati rappresentano la maggioranza dei lavoratori del settore. Era interesse di tutti, anche delle stesse FIB CISL e UIL che il tavolo ABI del nostro settore non venisse a essere in una qualche misura complicato da una firma non adeguatamente preparata.
Dall'altro lato, c'era l'esigenza, in qualità di associazione importante per ciò che rappresenta nel mondo dell'impresa, di sottoscrivere un accordo che - come quello del 1993 e mi auguro con lo stesso successo - costituisce un parametro di riferimento estremamente importante per superare la crisi di oggi (così come allora si superava un'altra crisi, che era prevalentemente di tipo finanziario), che non è solo di tipo finanziario, ma anche, purtroppo, di carattere economico sociale.
Il risultato che abbiamo ottenuto è che tutti i nostri sindacati, FISAC CGIL compresa, hanno preso atto dell'opportunità sia di sottoscrivere questo accordo, sia di mantenere l'unità sindacale almeno fino alla scadenza del nostro contratto, che arriva al 31 dicembre 2010, augurandoci per quella data che la coesione tra le parti sociali di tipo sindacale possa coinvolgere tutti. In caso contrario, il problema che oggi ci siamo risparmiati ce lo ritroveremo a quella data.
Tutti i sindacati - come ho sottolineato, compresa la FISAC - hanno apprezzato la sottoscrizione da parte nostra, con tutte le prospettive che al nostro interno sia possibile continuare a coltivare relazioni sindacali improntate alla coesione. Il raggiungimento dell'unità sindacale che, in sede ABI, abbiamo conseguito mi pare due anni e mezzo orsono, è stato da noi considerato assolutamente un successo, così come lo è stato considerato da parte delle organizzazioni sindacali.
È un valore a cui teniamo, anche perché gli attuali assetti delle relazioni sindacali hanno dato direi, risultati particolarmente positivi nel nostro settore.
Negli ultimi dodici anni, cioè dall'accordo firmato a palazzo Chigi con il protocollo del 4 giugno 1997 fino a oggi, il sistema bancario ha stipulato una quantità rilevantissima di accordi a livello nazionale, aziendale, interaziendale e territoriale, che hanno consentito di gestire la


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ristrutturazione del sistema senza gravi tensioni sociali e senza gravare, neanche per una lira, sul bilancio dello Stato.
Questo viene spesso dimenticato, o comunque sottovalutato: il fondo di solidarietà del settore, che non ha alcun contributo da parte del bilancio pubblico o di altri soggetti ed è stato alimentato esclusivamente dal contributo e dal sostegno delle banche, ha consentito un ricambio generazionale dei nostri dipendenti che al 31 dicembre del 2008, quindi alla fine dello scorso anno, aveva coinvolto 30 mila lavoratori e che quest'anno dovrebbe coinvolgere ulteriori 10 mila lavoratori circa. Tutto ciò rappresenta più del 10 per cento della forza lavoro originaria.
A mio giudizio vale la pena di sottolineare che gli ultimi dati disponibili non evidenziano contrazioni dell'occupazione nel nostro settore. Non abbiamo espulso forzatamente nessuno e abbiamo rimpiazzato tutti coloro che sono andati in pensione, che hanno anticipato la pensione o goduto comunque del prepensionamento, immettendo una quantità rilevante di giovani; non abbiamo un problema di precariato; abbiamo un'occupazione sempre più di qualità.
Negli ultimi dieci anni, la percentuale dei laureati è salita dal 18 al 33 per cento. La presenza femminile è raddoppiata, passando dal 20 al 40 per cento. Ormai, nel settore bancario c'è una sostanziale parità. So già che qualcuno mi potrebbe dire - quindi anticipo la critica - che ci sono poche donne ai vertici delle nostre banche. Questo è vero, ma proprio i dati che vi ho fornito, cioè che negli ultimi dieci anni la percentuale è raddoppiata e siamo arrivati al 40 per cento, indicano che nei tempi passati, quando si sono formati gli attuali nostri quadri dirigenti, le donne erano pochissime. Al vertice, comunque, di diversi gruppi bancari, abbiamo ormai alcune colleghe che sono a livello di vice direzione generale e di direzione centrale in ruoli particolarmente importanti. Ciò si rileva in tutti i principali gruppi bancari italiani.
Abbiamo ridotto, attraverso questa ristrutturazione, anche il costo unitario del lavoro per unità di prodotto. Siamo ancora - questo è un aspetto che ritengo necessario sottolineare - con un costo del lavoro che è più alto della media degli altri Paesi dell'Unione europea e anche dell'area euro, poiché la comunità europea, ormai allargata a 27, contiene Paesi dove in generale il costo del lavoro in tutti i settori è significativamente più basso di quanto non sia nei Paesi che fanno parte dell'area euro.
I processi di concentrazione del sistema bancario sono stati realizzati. Qualche volta mi pongo la domanda di come saremmo, in questo momento, se questi processi di ristrutturazione e di concentrazione li avessimo realizzati in momenti economicamente e nettamente più favorevoli dell'attuale. La risposta, ciascuno di noi, se la può dare.
C'è un altro aspetto che intendo sottolineare, utilizzando questa occasione di dialogo con voi. La ristrutturazione e la riorganizzazione sono avvenute anche con una grande attenzione ai territori. Tornerò su questo quando risponderò al presidente in ordine al tema della cassa integrazione.
Le nostre banche sono diventate molto grandi, alcune sono ai vertici della classifica a livello europeo e, se togliessimo tutte le banche che sono state ricapitalizzate dallo Stato in maniera massiccia, una percentuale elevatissima delle banche maggiori a livello mondiale sarebbe fallita. Questo non sarebbe stato bene per nessuno, neanche per il sistema bancario del nostro Paese, poiché «l'effetto domino» certamente non avrebbe lasciato nessuno indenne.
Le nostre banche hanno dimostrato, attraverso la ristrutturazione e la concentrazione, di potersi misurare non solo alla pari, ma addirittura con punti di vantaggio, con tutti gli altri gruppi bancari e finanziari del mondo.
Introduco brevemente l'attuale situazione del nostro sistema bancario. È indubbio che una crisi sistemica, globale


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come quella che stiamo attraversando, non poteva e non può non creare problemi anche al nostro settore in Italia.
È altrettanto vero che siamo a fine febbraio 2009, che la crisi è iniziata con la fine del 2007 e che le banche italiane fino ad ora sono riuscite a mantenere un livello di stabilità in grado fornire servizi senza aver avuto neanche una lira da parte del bilancio pubblico. Questo è un aspetto meritevole di apprezzamento che in parte, seppur non adeguatamente e concretamente, è stato riconosciuto.
Abbiamo il problema del costo del lavoro più elevato e più avanti vedremo, quando si sarà arrivati a una stabilizzazione, quale sarà la situazione. Si rileva una tale trasformazione, un tale mutamento nell'ambito dei ricavi, che non è facile andare a prevedere quale sarà il rapporto fra costo del personale e margine d'intermediazione allorché - io auspico in tempi ragionevolmente brevi - avverrà la ristrutturazione globale, con il venir meno di tutte le bolle finanziarie che hanno ben evidenziato la scarsa solidità dei ricavi, in particolare, delle banche internazionali.
Comunque, oggi troviamo che, anche per aver mantenuto alti gli assetti di presenza sul territorio, siamo penalizzati rispetto a tutti gli altri Paesi della Unione europea in materia, ad esempio, di IVA infragruppo.
La vostra Commissione non è direttamente competente in materia, però ci tengo a evidenziare questo aspetto anche nella presente occasione, perché essa ha riflessi fortissimi anche sui livelli occupazionali e sugli sforzi che stiamo facendo per sostenere l'economia.
L'IVA infragruppo influisce indirettamente sull'occupazione delle imprese degli altri settori e direttamente sull'occupazione che riguarda il nostro settore. È un tema sul quale torneremo sicuramente assieme ad altri temi riguardanti la pressione fiscale.
Vi presento un documento - che non è stato neanche letto dal sottoscritto, perché è di oggi - in cui è riportata una tabellina riguardante la pressione fiscale. La maggiore imposta che le banche pagano, rispetto alle imprese, in Italia, nel 2007 è stata pari all'11,4 per cento e nel 2008, probabilmente, andrà peggio. A livello europeo, nel 2006 (non abbiamo il 2007 e il 2008 ancora come dati) siamo al 7 per cento in più.
La situazione rispetto alle imprese si era sostanzialmente normalizzata, in Italia, nel 2003, 2004, 2005 e 2006 (mentre a livello europeo era sempre fortissimamente penalizzante), pur in presenza - lo sottolineo - di Governi non omogenei dal punto di vista delle forze politiche che li sostenevano.
Nel 2007 la situazione è esplosa e il motivo è ben noto al Ministro dell'economia e delle finanze. Manca ancora il 2008 e poi, ancora peggio, il 2009. L'IVA infragruppo era stata neutralizzata nel 2007-2008 e la famosa Robin Hood tax, che oggi non ha più alcuna risonanza, partiva dal presupposto che le banche fossero ricche e che gli altri fossero tutti poveri. Purtroppo, gli altri non sono diventati ricchi e anche noi siamo diventati poveri come tutti gli altri.
Il fatto di non poter dedurre le perdite sui crediti è un altro di quegli aspetti di cui Governo e Parlamento dovrebbero tenere conto, a mio giudizio, in un clima di maggiore serenità, ponderazione e riflessione. Avere un sistema bancario forte costituisce, come hanno dimostrato i fatti in questi giorni, un fiore all'occhiello per un Paese. Quindi, il Governo e il Parlamento, le istituzioni che ci controllano come la Banca d'Italia, dovrebbero tutti essere in sintonia con noi, allorquando sosteniamo queste nostre esigenze.
Vengo a un ulteriore aspetto che credo sia di attualità anche nella vostra Commissione. Alludo agli interventi fatti dal Governo in materia di decontribuzione, cioè di detassazione dei premi della parte di salario correlata ai risultati aziendali, che costituisce la pietra miliare dell'accordo di palazzo Chigi del 22 gennaio.
Nel nostro sistema bancario questa impostazione è già vigente. Abbiamo una consistente parte di retribuzione legata ai


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risultati aziendali. Quindi avremmo dovuto essere i primi a essere favoriti da queste norme. Ma la farraginosità nonché - scusate la franchezza - l'assurdità di come vengono applicate, rendono di fatto una scommessa il loro utilizzo.
Non so se voi conosciate la normativa nel dettaglio - a me l'hanno spiegata i colleghi - ma i meccanismi sono tali che, per accedere al fondo di 650 milioni di euro, si ricorre a una prenotazione via Internet e chi prima arriva, ne può usufruire. Nessuna istruttoria preventiva, nessuna verifica sul rispetto di requisiti preliminari.
Credo che questo sia un tema sul quale sia necessario l'intervento normativo in aggiunta a quello amministrativo, affinché si ponga rimedio, se vogliamo attribuire alla parola salario un qualche significato e, soprattutto, se vogliamo che sussista anche un equilibrio tra i diversi soggetti.
Gli attuali risultati evidenziano palesemente un vizio indiretto di costituzionalità, poiché non siamo trattati tutti allo stesso modo. Quello che riguarda le banche riguarda tutti e le banche sono maggiormente penalizzate. Eppure, avendo già un sistema retributivo con un'importante componente salariale correlata ai risultati documentati, oggetto di accordi sindacali e anche di monitoraggio nel tempo, esse avrebbero dovuto risultare privilegiate.
Siamo tutti, evidentemente, nella stessa situazione.
Vi è stato consegnato un documento, dal quale ho ricavato i punti che ho ritenuto più importanti, anche per offrire spunti alla discussione.
Concludo dando adeguata risposta ai quesiti che il presidente mi ha posto.
Inizio con il problema dell'occupazione. Per quanto riguarda il sistema del credito oggi, come già ho accennato, non ci sono problemi occupazionali immediati attinenti al nostro settore. È indubbio che le previsioni di ricavi, come settore, per il 2009, se dovessero consolidarsi negli anni futuri, comporterebbero gravi problemi occupazionali. Quando ho visto il budget del gruppo - di cui sono presidente - nell'ambito del consiglio di sorveglianza, la prima reazione è stata che se i ricavi crollano del 50 per cento, mentre i costi si mantengono sostanzialmente identici, non si tratta di una scelta imprenditorialmente valida.
Dato che i nostri costi, per il 70 per cento, se non ricordo male, sono rappresentati dal costo del personale, pensiamo e auspichiamo che quella attuale sia una situazione contingente, che la ripresa ci sarà e che quindi continueremo a utilizzare il nostro fondo esuberi, finanziandolo. Su questo tema sarebbe necessario che ritornassimo alle stesse agevolazioni fiscali e contributive di cui il fondo esuberi godeva quando l'abbiamo costituito, alla fine degli anni Novanta, perché oggi sono state peggiorate anche quelle. In tal modo ci si darebbe un po' di fiato, sia pure in una situazione di ricavi fortemente in calo, alla quale si devono aggiungere le perdite su crediti.
È oggettivamente inimmaginabile che, in una situazione di crisi generale dell'economia, i nostri clienti possano mantenere la stessa qualità del credito di cui godevano negli anni scorsi, quando l'economia, soprattutto negli ultimi due anni, aveva manifestato segni di forte ripresa con un forte incremento dell'export. Oggi l'export è sostanzialmente fermo e taluni Paesi emergenti, come la Russia, hanno bloccato tutto.
Parlavo con un imprenditore della bassa bresciana, del settore tessile, e gli chiedevo come andavano le cose. Parlo di un imprenditore medio, con oltre 100 milioni di fatturato. Ebbene, costui mi diceva di avere avuto, per quanto riguarda l'Europa occidentale, l'Italia e altri Paesi, un calo del fatturato del 10-12 per cento, mentre nei confronti della Russia il fatturato è crollato totalmente, laddove esso rappresentava il 20-25 per cento del fatturato globale. La situazione è grave. Cercheremo di sostenere le imprese nel miglior modo possibile ma è indubitabile che le rettifiche sui crediti sono aumentate moltissimo nell'ultimo trimestre dell'anno e continuano a aumentare.


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In un quadro di questo tipo, il fatto di ritornare ad avere quanto noi avevamo concordato con il Governo alla fine degli anni Novanta, può costituire un supporto importante. Per gli altri settori sono moderatamente ottimista, poiché ci sono tanti settori - tutto il settore alimentare e della grande distribuzione - che addirittura prevedono una crescita degli occupati.
A fronte di ciò, continua a verificarsi, evidentemente, una moria di piccoli negozi, che peraltro, anche negli anni d'oro - se li vogliamo così chiamare - della nostra ripresa economica già si verificava. Ciò porterà a un'accentuazione del decremento dell'occupazione nelle piccole imprese che non godono di ammortizzatori sociali adeguati e che sono anche, almeno nell'immediatezza, difficilmente monitorabili.
Ci mancano i parametri di riferimento per vedere compiutamente quello che accade. Si vedrà meglio nei prossimi mesi, probabilmente, e speriamo che il quadro sia meno drammatico di quello che un pessimista potrebbe pensare.
Vengo al problema degli ammortizzatori sociali. I singoli gruppi bancari, anche importanti, si sono già fatti carico di risolvere questo problema, attraverso convenzioni a livello provinciale. Ne conosco direttamente due: Bergamo e Brescia, che sono state tra le prime ad anticipare l'indennità di cassa integrazione, sostanzialmente a tasso zero.
La provincia di Milano ci ha chiesto di predisporre un modello, modulistica compresa, per facilitare il ricorso a questo strumento. Abbiamo convenuto un protocollo con la provincia di Milano, con Assolombarda e quant'altro, e venerdì lo firmiamo, diffondendo presso le nostre banche la documentazione pronta per l'uso.
Non c'è assolutamente alcuna difficoltà, se lo si ritiene opportuno, a stipulare un accordo di carattere generale, che riguardi tutto il mondo delle banche e delle imprese italiane.
Da parte delle banche, proprio per il radicamento che esse hanno nel territorio, su questo tema c'è una sensibilità assoluta. Si tratta di uno dei non numerosi punti - purtroppo, in quanto auspicherei il contrario - in cui non si sono verificate particolari distonie nei rapporti con le organizzazioni sindacali.
Ce ne sono state di maggiori nei confronti dei rappresentanti delle imprese, poiché talvolta si chiede al sistema bancario l'impossibile. Ridurre i tassi, quando i tassi di mercato a cui noi ci approvvigioniamo sono cresciuti di 200-250 basis point (mi riferisco soprattutto alla raccolta a medio lungo termine), è impossibile. Non solo è anti economico, ma va anche contro la prudente gestione delle banche, per i motivi che vi ho accennato.

PRESIDENTE. La relazione del presidente è stata molto significativa e registriamo la disponibilità annunciata, facendoci carico di riferire che esiste una possibilità di ragionare sui temi degli ammortizzatori dicendo che le banche si sono rese disponibili. Non mancheremo di dirlo al Governo.

CORRADO FAISSOLA, Presidente dell'ABI. Presidente, ditegli anche le altre cose che ho detto, che mi sono lamentato con il Governo, indirettamente!

PRESIDENTE. Per ragioni di tempo non vi è la possibilità di far intervenire i colleghi. Do la parola all'onorevole Miglioli per una breve considerazione.

IVANO MIGLIOLI. Purtroppo il tempo è limitato e la relazione del presidente Faissola meriterebbe approfondimenti. Mi limito quindi a fare qualche domanda, nel rispetto dei tempi strettissimi che abbiamo. Lei ha trasmesso quello che ha definito «un moderato ottimismo». Questo fa piacere naturalmente, anche se, purtroppo, i dati del Paese, della Borsa di oggi e del sistema bancario all'interno della Borsa stessa, si discostano un po' da questo suo moderato ottimismo. Non voglio citare i dati generali di questo Paese, riguardanti il PIL, il debito in rapporto al PIL, il debito pubblico.


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La prima domanda è la seguente. Fra i primi atti del Governo - arrivo alla specificità - vi sono state misure a sostegno delle banche, anche se io preferisco dire a sostegno dei risparmiatori, così come è avvenuto in altri Paesi. In altri Paesi, oggi, si sta pensando anche a interventi che vedono la presenza di capitale pubblico nel sistema creditizio.
Il nostro sistema creditizio, che pure è stato al riparo fino oggi da quegli eventi così drammatici, segna gli andamenti noti. Non so quanto sia vero quello che pubblica oggi un giornale, cioè che se alcuni Paesi dell'est europeo entrano in defaulting, anche una parte del sistema bancario italiano rischia. È del tutto infondato, capisco che c'entra poco con la nostra questione.
La seconda domanda è più pertinente. Lei ha iniziato affermando di non aver firmato quel protocollo subito e di avere aspettato a firmarlo perché si è lavorato per avere un rapporto unitario con le organizzazioni sindacali e, in particolare, con quelle che rappresentano la maggioranza all'interno del sistema bancario: CGIL e FABI. Si tratta di una valutazione che porta a chiederle se, rispetto all'accordo che io non definisco «separato», ma che comunque non ha visto la sottoscrizione da parte di una delle maggiori organizzazioni sindacali, esso - utilizzo una definizione dell'onorevole Cassola - non risulterà «zoppo».
Alla terza domanda lei, in parte, ha già risposto. Chi paga maggiormente i costi della crisi sono i lavoratori, i precari in particolare, e le piccole e medie imprese. Ho apprezzato quanto da lei affermato, rispetto ad alcuni esempi di Brescia e Milano. Le assicuro che, grazie alla nostra presenza nei territori, sentiamo le difficoltà delle imprese e dei lavoratori. Ebbene, non sempre gli istituti di credito assecondano, nei limiti del possibile rispetto alle condizioni date, le esigenze dei lavoratori riguardo all'anticipo della cassa integrazione nonché quelle delle imprese, che a volte versano in enormi difficoltà.
Non conosco il merito di quell'accordo ma sicuramente è una strada da seguire.
Le pongo un'ultima domanda, che non vuole essere una provocazione. Alludo alla recente inchiesta, mi sembra pubblicata su L'Espresso di questa settimana, che riguarda il sistema bancario e gli stipendi dei manager.
Anche qui guardo a quello che è successo in altri Paesi e non entro in un merito sul quale tanto meno ha titolo di intervenire una «casta» quale quella dei parlamentari. Tuttavia, lei ha parlato sugli interventi del Governo, sulla Robin Hood tax che ci ha resi tutti più poveri. Le chiedo quindi se non sia forse necessario cogliere l'opportunità della crisi per l'introduzione di elementi di maggiore equità, giustizia e socialità anche per quanto riguarda, ad esempio, gli stipendi dei manager bancari.

CORRADO FAISSOLA, Presidente dell'ABI. All'inizio del suo intervento, onorevole, lei dice che io sono moderatamente ottimista per poi citare una serie di dati, compreso il rapporto debito pubblico-PIL, che storicamente ci portiamo dentro. Il mio moderato ottimismo è sul superamento della crisi, nel senso che se lavoreremo tutti uniti in una unica direzione, potremo superare più in fretta le difficoltà del momento e, soprattutto, potremo evitare che ci sia una profondità della crisi che venga a stravolgere tutta una serie di valori, non soltanto economici, ma anche sociali di cui il nostro Paese è sicuramente portatore.
Indubitabilmente le imprese sono in difficoltà, da settore a settore, chi più chi meno.
Una delle sue successive domande riguarda il sostegno che l'impresa bancaria dà a tutto il mondo delle piccole e medie imprese.
Ci sono situazioni, indubitabilmente, nelle quali direi certamente che viene fatto molto, ma in cui si potrebbe fare di più attraverso un maggior coordinamento degli interventi e l'utilizzo di strumenti che sono a disposizione, ma che finora non


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sono stati sufficientemente utilizzati dal punto di vista operativo.
Faccio un esempio: nella mia cartellina è contenuto l'insieme degli interventi della BEI; degli interventi congiunti tra sistema bancario e Cassa depositi e prestiti; del sistema di cartolarizzazioni lanciato dal Governatore sabato scorso. Tutti sono alla nostra attenzione e naturalmente necessitano un concerto forte tra i diversi soggetti e le diverse istituzioni.
Sulle nazionalizzazioni, ritengo che il sistema bancario italiano, proprio perché non aveva nei propri attivi una quantità importante di titoli «tossici» (come vengono definiti), non ne abbia avute e non ne abbia bisogno.
Lei dice che la prima cosa che il Governo ha fatto è stata quella di sostenere le banche. Ebbene, questo Governo - mi scusino i rappresentanti della maggioranza - per prima cosa ha aumentato la pressione fiscale sulle banche, attraverso provvedimenti particolarmente pesanti. Ha fatto questo nel mese di luglio, prima delle vacanze.
Quando la crisi è esplosa, il Governo ha ritenuto opportuno contro garantire il fondo di tutela dei depositi che l'Italia possiede e che è il migliore di tutta la comunità europea. Il Governo ha messo a disposizione strumenti, quali la garanzia dello Stato per la raccolta a medio e lungo termine. Il costo che viene attraverso questi strumenti è uguale, o in taluni casi superiore al costo della provvista che andiamo ad accantonare, perché è maggiore di 200 basis point. Quindi, le banche non hanno utilizzato questi strumenti, perché non era conveniente farlo.
Adesso, abbiamo i cosiddetti «Tremonti bond» e le singole banche li valuteranno. Anche questi non rappresentano un regalo, nella maniera più assoluta, perché il costo è particolarmente importante e significativo.
Direi che tutto quello che il Governo ha fatto in termini di copertura, è stato fatto soltanto indirettamente nell'interesse del sistema bancario. Una crisi sistemica avrebbe determinato - sarebbe stato veramente un peccato per il nostro Paese - un impatto non particolarmente favorevole.
Riguardo alla domanda sul protocollo, rispondo che non sono (anche se ho fatto pure questo, nella mia vita) un esperto di relazioni industriali.
Credo che l'accordo di Palazzo Chigi, perché possa dare il massimo dei risultati possibili come quello del 1993, dovrebbe raccogliere il consenso di tutti. Quindi lo sforzo - noi lo abbiamo compiuto, nel nostro piccolo - è proprio quello di allargare anche alla CGIL questo tipo di accordo.
Ribadisco e sottolineo che uno dei motivi per i quali noi abbiamo ponderato molto la sottoscrizione è quello di avere cercato - nel nostro settore ci siamo riusciti - di non far saltare i tavoli. Questo è un aspetto di cui tutti siamo convinti, o almeno tutti coloro che hanno a cuore la ripresa economica e il futuro del Paese.
Riguardo agli stipendi dei manager, sono d'accordo con voi che bisogna ritornare a una situazione che sia più di tipo italiano e meno di tipo americano.
Questa crisi, che è scoppiata in modo veramente sconvolgente negli Stati Uniti, ha portato con sé anche l'adozione di una serie di mezzi e di strumenti che erano classicamente di tipo americano, non italiano. Su questo punto, chi mi conosce sa che sono sempre stato critico. Finiscono sui giornali anche cifre che non hanno alcun senso, comprese quelle che mi riguardano. Leggo che avrei guadagnato tre milioni di euro in un anno, mentre tre milioni all'anno non li ho mai guadagnati in vita mia. Neppure due, del resto, poiché in quei tre milioni hanno inserito (scusatemi, ma parliamo di retribuzioni e di merito) un' indennità di fine rapporto concordata ventuno anni fa, quando venni a Brescia, pari 100 mila euro per ogni anno. Dopo ventuno anni, il totale è 2,1 milioni, ai quali si aggiungeva un emolumento, che adesso è anche più basso.
Sono assolutamente d'accordo, credo di poterlo dire con grande libertà di coscienza, sulla necessità di istituire limiti e


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parametri di riferimento (ne parlavamo assieme al collega Durante, responsabile delle relazioni sindacali), che siano certi e comprensibili.
Preciso che dico ciò a titolo personale, visto che rappresento tutto il sistema bancario e che ognuno dei miei colleghi ha il diritto e il dovere di pensarla come ritiene opportuno: bisogna che ci siano parametri fissi. Se il contratto prevede che un dirigente guadagni 100, chi guadagna più di tutti nell'azienda, dovrebbe guadagnare un moltiplicatore di questo 100.
Però, al riguardo, dobbiamo guardare non solo in casa delle banche. Si parla sempre di manager bancari, ma leggevo oggi sul giornale - sono molto attento nell'argomentare attraverso quello che leggo sul giornale il giorno stesso in cui parlo - che al massimo esponente della massima industria privata italiana, che deteneva stock option che non valgono più niente e che, come tali, dovrebbero essere cancellate, hanno ricostituito il beneficio sotto altra forma. Non si tratta solo dei banchieri, dunque: il problema è una cultura che non fa parte della mia generazione.
Spero di essere stato sufficientemente, se non convincente, quanto meno esaustivo.

PRESIDENTE. Conosciamo la tradizione dalla quale proviene il presidente, che, però, non è comune a tutti i banchieri. Ringraziamo il presidente Faissola.
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 16,10.

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