Camera dei deputati

Vai al contenuto

Sezione di navigazione

Menu di ausilio alla navigazione

Cerca nel sito

MENU DI NAVIGAZIONE PRINCIPALE

Vai al contenuto

Per visualizzare il contenuto multimediale è necessario installare il Flash Player Adobe e abilitare il javascript

Strumento di esplorazione della sezione Lavori Digitando almeno un carattere nel campo si ottengono uno o più risultati con relativo collegamento, il tempo di risposta dipende dal numero dei risultati trovati e dal processore e navigatore in uso.

salta l'esplora

Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

Torna all'elenco delle indagini Torna all'elenco delle sedute
Commissione XI
13.
Giovedì 29 settembre 2011
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Moffa Silvano, Presidente ... 3

INDAGINE CONOSCITIVA SUL MERCATO DEL LAVORO TRA DINAMICHE DI ACCESSO E FATTORI DI SVILUPPO

Audizione di rappresentanti di associazioni e comitati di coordinamento dei lavoratori precari:

Moffa Silvano, Presidente ... 3 7 10 11 13 15
Barrano Salvo, Rappresentante del Comitato 9 aprile - Il nostro tempo è adesso; la vita non aspetta ... 10 15
Bobba Luigi (PD) ... 12
Cazzola Giuliano (PdL) ... 11
Damiano Cesare (PD) ... 11
Fedriga Massimiliano (LNP) ... 12
Gatti Maria Grazia (PD) ... 12 15
Pratelli Claudia, Rappresentante del Comitato 9 aprile - Il nostro tempo è adesso; la vita non aspetta ... 7 14 15
Schirru Amalia (PD) ... 12
Voltolina Eleonora, Direttore della Repubblica degli stagisti ... 3 13
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro per il Terzo Polo: UdCpTP; Futuro e Libertà per il Terzo Polo: FLpTP; Italia dei Valori: IdV; Popolo e Territorio (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, La Discussione): PT; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling; Misto-Repubblicani-Azionisti: Misto-R-A.

COMMISSIONE XI
LAVORO PUBBLICO E PRIVATO

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di giovedì 29 settembre 2011


Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE SILVANO MOFFA

La seduta comincia alle 9,05.

(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di rappresentanti di associazioni e comitati di coordinamento dei lavoratori precari.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sul mercato del lavoro tra dinamiche di accesso e fattori di sviluppo, l'audizione di rappresentanti di associazioni e comitati di coordinamento dei lavoratori precari.
Darei subito la parola alla dottoressa Eleonora Voltolina, direttore della Repubblica degli stagisti, anche perché abbiamo tempi piuttosto contingentati.

ELEONORA VOLTOLINA, Direttore della Repubblica degli stagisti. Onorevoli membri della Camera dei deputati, mi fa molto piacere essere qui oggi a rappresentare il lavoro della testata online che dirigo, la Repubblica degli stagisti, che da quattro anni raccoglie le voci di migliaia di giovani nel delicato e ormai purtroppo lunghissimo momento di transizione dalla formazione al lavoro.
Quando si parla di mercato del lavoro e di precariato, infatti, non si deve dimenticare che c'è una zona grigia che negli ultimi anni si è espansa a vista d'occhio, quella di chi è fermo sulla porta di ingresso, non è più uno studente, ma non è ancora un lavoratore.
Si tratta innanzitutto degli stagisti, altrimenti detti tirocinanti. Il loro numero esatto non è disponibile. Esiste una rilevazione piuttosto precisa per quanto riguarda quelli nelle imprese private. Unioncamere, nell'ultimo Rapporto Excelsior, ne censisce poco più di 310 mila, ma non è dato sapere quanti ce ne siano negli enti pubblici.
A questo proposito un membro di questa Commissione, l'onorevole Donella Mattesini, ha presentato a Pasqua un'interrogazione parlamentare, ma non risulta che il Ministro Brunetta abbia mai risposto e, quindi, il numero degli stagisti negli enti pubblici rimane un punto di domanda.
La Repubblica degli stagisti, basandosi su alcuni dati di AlmaLaurea e integrandoli con proiezioni, stima che siano tra i 150 mila e i 200 mila ogni anno. Complessivamente, dunque, imprese private e pubblica amministrazione accolgono ogni anno ben mezzo milione di stagisti.
C'è da aggiungere che i tirocini sono oggi usati in maniera schizofrenica. Da una parte, paradossalmente, ne sono quasi esclusi i giovanissimi: i progetti di alternanza scuola-lavoro sono ancora drammaticamente pochi, spesso osteggiati dai licei e relegati agli istituti professionali, come se gli studenti del classico e dello scientifico non ne avessero bisogno. Dall'altra parte, vengono, invece, utilizzati molto su persone


Pag. 4

già adulte: lo stage post-laurea è ancora più frequente dello stage pre-laurea e questa è una sincronia che fa perdere tempo prezioso ai giovani.
A lungo andare si diventa stagisti vecchi, anziani. Ci sono persone di trenta o addirittura quarant'anni a cui le agenzie per i lavori e i centri per l'impiego, anziché contratti, propongono stage, perché è quello che passa il convento, con la scusa sempreverde che è sempre necessario acquisire nuove competenze, quando è chiaro che un disoccupato vorrebbe acquisire più che uno stage un lavoro e uno stipendio e che un quarantenne si sente anche umiliato a essere ridotto al rango di stagista dopo magari dieci o vent'anni nel mondo del lavoro.
Un'altra prova della schizofrenia dello strumento dello stage è che esso è utilizzato ormai per tutti i generi di mestiere, dall'ingegnere al barista, dal giornalista al commesso. L'aver già svolto uno stage in un determinato settore non mette al riparo dalla possibilità di sentirsi offrire da un altro datore di lavoro del medesimo settore un ulteriore stage. Ne deriva il fenomeno di quelli che io definisco i serial stagisti, ossia persone che hanno svolto nel loro percorso professionale tre o più tirocini, fino a contarne addirittura una decina.
La situazione è anche incontrollabile e incontrollata. Il sistema di attivazione degli stage fa capo a centinaia di diversi enti promotori che non sono in rete tra loro e, quindi, non si scambiano informazioni. Se uno rileva un abuso e annulla una convenzione con un'impresa, questa informazione rimane nascosta e gli altri soggetti promotori non ne vengono a conoscenza. Conseguentemente, continuano a mandarvi gli stagisti, perché non hanno modo di sapere che in quella realtà si sono perpetrate irregolarità o abusi.
Per questo motivo attraverso la Repubblica degli stagisti io da tempo auspico l'istituzione di una sorta di anagrafe degli stagisti, un database nazionale o anche su base regionale che possa convogliare tutti i dati relativi all'attivazione di ogni stage e che permetta una trasparenza totale rispetto all'utilizzo di questo tipo di strumento.
Nella zona grigia non ci sono soltanto gli stagisti, ma anche molti altri modi di chiamare i giovani in formazione. È il caso, per esempio, dei praticanti, giovani che aspirano a diventare professionisti, avvocati, commercialisti, consulenti del lavoro o notai, e che debbono obbligatoriamente svolgere un percorso di pratica per accedere all'esame di Stato. Anche dei praticanti non si conosce il numero preciso. Si stima che possano essere intorno ai 200 mila, perché i praticantati durano in media due o tre anni.
Qual è il problema principale di stagisti e praticanti? Molto spesso essi lavorano gratis, eppure, trattandosi di learning on the job, cioè di formazione pratica, questi giovani di fatto lavorano, osservano, imparano e poi mettono in atto le nozioni appena apprese. Dopo un breve periodo di training diventano operativi e produttivi per la realtà che li accoglie, però il loro apporto non viene quasi mai adeguatamente ricompensato. I soggetti ospitanti che prevedono un compenso a favore dei loro tirocinanti, per esempio, sono solo il 48 per cento, come è emerso da un sondaggio «Identikit degli stagisti italiani» realizzato nel 2009 dalla Repubblica degli stagisti insieme all'ISFOL.
Nella minoranza che mette a budget un emolumento, inoltre, molti prevedono una cifra bassa, quasi simbolica, insufficiente a permettere allo stagista di mantenersi.
Lo stesso discorso vale per i praticanti. Benché nei codici deontologici sia molto spesso esplicitamente previsto l'obbligo di corrispondere al praticante un compenso commisurato all'apporto, il più delle volte i professionisti dimenticano di rispettare questo principio e contemporaneamente gli ordini dimenticano di sanzionare gli iscritti inadempienti.
Addirittura questa violazione della deontologia avviene a livello di enti pubblici. Molte avvocature utilizzano i neolaureati in giurisprudenza senza corrispondere un euro dal primo al ventiquattresimo mese di pratica forense, una pratica


Pag. 5

inaccettabile, che, sullo spunto di un'inchiesta della Repubblica degli stagisti, un deputato di Futuro e libertà, l'onorevole Enzo Raisi, lo scorso ottobre ha denunciato in un'interrogazione parlamentare al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, ricevendone purtroppo una risposta parziale e insoddisfacente.
Da quella interrogazione la situazione non è cambiata: l'INPS, l'Avvocatura dello Stato e centinaia di altri uffici pubblici continuano a essere i primi a violare il codice deontologico forense, utilizzando praticanti gratis.
Si innesta in ciò la riflessione più importante. Si è creata in Italia una situazione non più sostenibile, si è spezzato il legame tra lavoro e retribuzione. Qualcuno potrà sostenere che gli stagisti e i praticanti non sono lavoratori e che per questo motivo non hanno diritto a una retribuzione. A una retribuzione forse no, è vero, ma a un compenso sì, perché ogni persona che dedichi tempo ed energie a un'attività e che contribuisca attraverso il suo apporto alla quotidianità e al profitto di un'organizzazione ha diritto a vedere riconosciuto anche economicamente il suo apporto.
Questo principio non ha nulla di rivoluzionario. È già legge in Francia, dove tutti gli stage superiori ai due mesi devono obbligatoriamente prevedere un rimborso di almeno 400 euro al mese. È già previsto anche in altri Paesi, dove il compenso minimo degli stagisti è agganciato al minimun wage, il salario minimo, che la maggior parte dei Paesi europei già utilizza. L'Italia, ovviamente, è tra quelli che ancora non ne sono dotati.
All'inizio di quest'anno ho avuto modo di collaborare alla stesura di una proposta normativa molto importante al riguardo, che ha come primo firmatario un membro di questa Commissione, l'onorevole Cesare Damiano. La proposta innanzitutto introduce un aspetto totalmente dimenticato dalla legislazione attualmente in vigore, ossia la possibilità di sanzionare chi abusa dello stage, obbligandolo a trasformarlo in un contratto di apprendistato, qualora emerga che il tirocinante viene utilizzato come dipendente. La proposta prevede poi che gli enti ospitanti eroghino almeno 400 euro al mese di emolumento.
La questione della remunerazione è, quindi, centrale per ripartire. Non è più accettabile che i giovani passino mesi o anni devolvendo il loro tempo gratis, come se il loro fosse volontariato. Peraltro, gli stage gratuiti sono pericolosi anche perché alimentano la già preoccupante immobilità sociale del nostro Paese, permettendo che solo i figli delle famiglie abbienti possano affrontare periodi di formazione aggiuntiva non pagata.
Veniamo all'attualità. Nella manovra di Ferragosto è stato toccato a sorpresa il tema dei tirocini, senza però minimamente prevedere un correttivo su questo punto, quindi permettendone ancora la gratuità. L'articolo dedicato agli stage ha il merito di aver ridotto la durata massima dei tirocini extracurriculari, dimezzandola da dodici a sei mesi. Avrebbe anche avuto un altro aspetto per alcuni versi positivo, quello di delineare un perimetro molto limitato per l'utilizzo di questo strumento, circoscrivendolo ai primi dodici mesi dopo il conseguimento del titolo di studio.
Poiché il testo della legge era fortemente lacunoso, non prendendo per esempio in considerazione gli immigrati e i giovani inoccupati o disoccupati di lungo periodo, il Ministero del lavoro è intervenuto il 12 settembre con una circolare che in pratica smentisce i paletti posti dalla legge attraverso una sorta di escamotage. Si afferma, cioè, che quei paletti valgano solo per i «tirocini formativi e di orientamento» e si pretende che ne esistano altri diversi, definiti «tirocini di cosiddetto inserimento o reinserimento lavorativo», per i quali dovrebbero valere altre regole, ma quali non è dato sapere, in quanto nell'ordinamento si è sempre e soltanto parlato di tirocini formativi, intendendo con questa definizione tutti i tirocini.
Operare una distinzione netta tra formazione e inserimento lavorativo è una forzatura pericolosa. Tutti i tirocini hanno in sé, per loro natura, una parte di formazione e un più o meno importante obiettivo di inserimento. Negarlo appare


Pag. 6

pretestuoso e, temo, funzionale alla creazione di una scappatoia per permettere che si perpetui la situazione attuale e che i tirocini possano essere utilizzati ad libitum anche su persone adulte che da tempo hanno concluso gli studi. Anziché spezzettare e differenziare, l'obiettivo dovrebbe essere quello di unificare e semplificare.
L'abuso degli stage non è, tuttavia, una questione solamente italiana. La Repubblica degli stagisti è stata nei mesi scorsi invitata a far parte di un tavolo istituito informalmente presso il Parlamento europeo e guidato dalla più giovane europarlamentare europea, la danese Emilie Turunen, con il coordinamento dello European Youth Forum.
Questo tavolo ha già prodotto una bozza di European Quality Charter on Internships and Apprenticeships, ossia una Carta europea per la qualità degli stage e degli apprendistati, e ora ci impegneremo affinché il Parlamento europeo l'approvi, incentivando tutti gli Stati membri a legiferare in maniera coerente sull'argomento.
Nella Carta vi è un'esplicita condanna della gratuità degli stage e viene sancito il principio che tutte le work experience, indipendentemente da quale sia la terminologia con la quale si battezza l'esperienza formativo-professionalizzante, debbano prevedere un congruo compenso, specialmente quelle svolte dopo il percorso formativo.
In questo senso si sta muovendo l'Europa. L'appello a questa Commissione è quello che l'Italia non rimanga indietro su questo fronte e, naturalmente, che non remi addirittura contro. È urgente adeguare la legislazione in modo da impedire l'utilizzo gratuito e lo sfruttamento degli stagisti e introdurre un obbligo di rimborso spese per tutti gli stage e i praticantati. Del resto, vi è una regione, la Toscana, che proprio in questi giorni sta lavorando a una legge regionale che andrà in questo senso.
Desidero concludere allargando lo sguardo al di là dell'orizzonte dei 500 mila stagisti e dei 200 mila praticanti. Il percorso di ingresso nel mercato del lavoro non è più lineare, lo sapete. Non c'è più un passaggio veloce dalla fine degli studi all'impiego. I tempi sono dilatati e ormai spesso capita ai giovani di «raccattare» quel che c'è, passando da uno stage a una collaborazione, a un contratto a progetto, per poi tornare magari a svolgere un altro stage, in un percorso discontinuo, precario e deleterio anche dal punto di vista previdenziale, perché la posizione di ciascun giovane è indebolita da un gran numero di buchi e da uno spezzettamento in più casse pensionistiche.
Oggi non si può più parlare di una transizione progressiva dalla formazione al lavoro, con tappe ben definite e unidirezionali. È, quindi, necessario compiere un passo in più e capire perché si sia creata questa situazione e quali sono gli strumenti in mano al legislatore per modificarla.
Due sono gli elementi fondamentali che ritengo dovrebbero essere introdotti nel mercato del lavoro. Il primo è un salario minimo che vada a coprire tutti i contratti, o quanto meno tutti i contratti che esulano dai contratti nazionali di categoria. Il salario minimo è un elemento di civiltà che semplicemente vieta che vi siano persone costrette a lavorare per una cifra insufficiente. Le retribuzioni dei giovani in Italia nella stragrande maggioranza dei casi sono, per così dire, anticostituzionali, cioè sono al di fuori dei paletti chiari espressi nell'articolo 36 della Costituzione.
Il secondo aspetto è l'urgenza di introdurre un contratto unico, andando finalmente al di là delle decine di forme contrattuali attualmente esistenti, che generano solamente confusione e disparità di trattamento e spezzettano i diritti dei lavoratori. Si possono mantenere l'apprendistato, il lavoro stagionale e quello occasionale, ma tutte le altre forme di lavoro devono essere ricondotte a una, con tutele progressive e la certezza di poter godere di quelle garanzie che a oggi sono garantite solo a chi ha un contratto a tempo indeterminato e, dunque, precluse alla maggioranza dei giovani, che ormai vengono assunti solo attraverso contratti atipici.


Pag. 7


Alla Camera è, peraltro, depositata una proposta di legge in questo senso a prima firma dell'onorevole Marianna Madia.
A questo proposito, chiudo il mio intervento ricordando che, come direttore della Repubblica degli stagisti, sono tra i firmatari di una denuncia presentata il 14 settembre alla Commissione europea. Gli altri firmatari sono il vicepresidente del Senato, onorevole Emma Bonino, l'onorevole Benedetto Della Vedova, deputato di Futuro e libertà, Antonio Funiciello, direttore di Libertà Eguale, l'onorevole Pietro Ichino, giuslavorista e senatore del PD, Giulia Innocenzi, responsabile italiana di Avaaz.org, e l'onorevole Nicola Rossi, esponente della fondazione ItaliaFutura. La denuncia verte sulla situazione di apartheid del mercato del lavoro italiano, che danneggia soprattutto i giovani e che viene mascherata molto spesso attraverso il finto lavoro autonomo, i contratti a progetto senza progetto, le partite IVA cosiddette «spintanee». Da Bruxelles già entro ottobre potrebbe essere aperta una procedura di infrazione e di diffida nei confronti dell'Italia.
Lascio questa Commissione ponendo io una domanda: perché dobbiamo aspettare sempre di essere messi alle strette per regolamentare decentemente una situazione? La situazione drammatica dei giovani italiani è sotto gli occhi di tutti. Che cosa aspettiamo a intervenire per proteggerli dallo sfruttamento, dalla sottoretribuzione e dal precariato eterno?

PRESIDENTE. Do ora la parola alla dottoressa Claudia Pratelli per il Comitato 9 Aprile.

CLAUDIA PRATELLI, Rappresentante del Comitato 9 aprile - Il nostro tempo è adesso; la vita non aspetta. Buongiorno a tutti. Come sapete, io mi presento per il Comitato 9 aprile, il cui motto è «Il nostro tempo è adesso; la vita non aspetta». Il Comitato è composto da una serie di reti, coordinamenti, associazioni e comitati di lavoratrici e lavoratori precari con diverso tipo di professionalità e appartenenti a diversi settori.
Ciò che tenteremo di fare oggi, con l'aiuto del mio collega Salvo Barrano, che poi potrà aggiungere alcune specificazioni, è provare a dare una panoramica generale dei temi riscontrati che sono diventati istanze collettive del movimento.
Nella rete di cui noi facciamo parte, in questo coordinamento, si sono riunite associazioni che vanno dai ricercatori precari a realtà che si occupano del tema stage, tirocini e praticantato, a giovani lavoratori autonomi di seconda e terza generazione, nonché a lavoratori e lavoratrici precari di settori più tradizionali.
Ciò che noi abbiamo riscontrato e che vogliamo portare oggi alla vostra attenzione ruota intorno a due grandi questioni: un problema di accesso al mercato del lavoro, che in realtà mi sembra essere il focus del lavoro che state conducendo e del motivo per cui ci avete chiamato, e uno relativo alle modalità di ingresso nel mercato del lavoro.
Comincerei dal tema delle modalità d'ingresso nel mercato del lavoro, che noi abbiamo tradotto con il termine di precarietà delle condizioni di ingresso, il quale attiene non solo alla discontinuità del lavoro e dei contratti che vengono per lo più attivati per le giovani generazioni, ma anche alla precarietà delle condizioni di vita e di lavoro che complessivamente riguardano chi accede al mondo del lavoro. Questo serve per chiarire un punto principale che noi abbiamo voluto portare all'attenzione dell'opinione pubblica con il nostro operato, ma che ci teniamo a far presente a voi.
Il tema della precarietà che caratterizza il nostro lavoro è un tema che, secondo noi, non riguarda solo la questione della stabilità e della continuità del lavoro e dei contratti, ma è soprattutto un tema di assenza e deprivazione dei diritti nella condizione di lavoratrici e lavoratori.
Per questo motivo abbiamo individuato alcune aree problematiche che riguardano la condizione di chi entra nel mercato del lavoro e ci sta ormai per tempi sempre più lunghi, sempre maggiori, con contratti di lavoro atipici. È un problema che riguarda il livello retributivo, la dotazione di diritti, la


Pag. 8

questione della dotazione di tutele sociali e previdenziali. Queste sono le macroaree.
Il primo ambito rispetto al quale, secondo noi, è fondamentale affrontare il tema è un ambito mercato-lavoristico. La precondizione per affrontare il tema dal nostro punto di vista è un'azione legislativa che intervenga eliminando le tipologie più precarizzanti di contratti di lavoro.
Questo, però, evidentemente non basta per scoraggiare il lavoro precario. Voi sapete benissimo quanto siano abusate alcune forme contrattuali fino a essere stravolte nella quotidiana realtà che abbiamo sott'occhio. Per questa ragione riteniamo che una lotta agli abusi e alle truffe per cui vengono utilizzati contratti, per esempio, parasubordinati, che coprono in realtà un lavoro che più subordinato non si può, sia indispensabile e che la parola d'ordine debba essere «contratto stabile per lavoro stabile, contratto subordinato per lavoro subordinato».
In primo luogo, occorre intervenire su un elemento, l'elemento del costo del lavoro. Riteniamo che un sistema di incentivi e disincentivi rispetto alle modalità contrattuali da utilizzare possa essere il più efficace per agire su questo fronte.
Per questo motivo riteniamo che il lavoro discontinuo debba costare di più del lavoro a tempo indeterminato, a partire da un parametro, quello dei minimi retributivi previsti dai contratti collettivi nazionali di lavoro del comparto di appartenenza, perché il tema di maggiorare il costo del lavoro discontinuo attiene a due elementi: uno è quello che menzionavo prima, ovvero l'esigenza di scoraggiare l'utilizzo improprio di forme contrattuali atipiche, e l'altro è l'esigenza di dare adeguata copertura previdenziale ai lavoratori discontinui, che adesso sostanzialmente vedono caricato sul proprio compenso il pagamento dei contributi, nonché di risarcire l'assunzione del rischio relativo alla discontinuità del lavoro.
Per quanto riguarda, invece, il tema del welfare e, quindi, delle tutele sociali e previdenziali, anche quello è un grande capitolo sul quale è necessario intervenire. Noi sappiamo che il primo problema che sperimentano i lavoratori precari, in particolare i giovani, in questo Paese è quello del sostegno al reddito nei periodi di non lavoro.
Di fronte a un contratto precario la disoccupazione non si configura come un rischio, come è stato concettualizzato nel Novecento per il lavoratore a tempo determinato, perché non è un evento né aleatorio, né circostanziale. A rigore l'unica certezza che ha un lavoratore a termine è proprio il termine del proprio contratto. Al limite, il rischio in termini di definizione sarebbe il rinnovo del contratto.
È urgente e necessaria, dunque, l'estensione degli ammortizzatori sociali ai lavoratori discontinui, il che significa garantire l'indennità di disoccupazione innanzitutto ai lavoratori subordinati a tempo determinato, che spesso ne sono privati, perché non rispettano i requisiti d'accesso alle prestazioni, i quali, come voi sapete benissimo, sono requisiti molto alti, che non ne consentono la fruizione per molti lavoratori a tempo determinato che lavorano, per esempio, da meno dei due anni previsti per la legge.
È necessario che tali requisiti vengano garantiti anche ai lavoratori parasubordinati, per i quali non è proprio prevista l'indennità di disoccupazione, fatta salva la misura dell'una tantum approvata tre anni fa, che si è rivelata innanzitutto assolutamente inadeguata a coprire le esigenze dei lavoratori per entità esigua e, anche in questo caso, per requisiti di accesso decisamente selettivi e per il fatto che non copriva le lavoratrici e i lavoratori precari del pubblico.
In secondo luogo, rispetto all'estensione degli ammortizzatori sociali e, quindi, al principio della continuità del reddito, è importante compiere una specifica che riguarda i lavoratori autonomi parasubordinati che lavorano con partita IVA pluricommittenti. Anche in quel caso è assolutamente necessario garantire forme di sostegno al reddito che intervengano a rigore


Pag. 9

non soltanto a fronte di casi di disoccupazione, ma anche di caduta sostanziale del reddito.
Anche a un lavoratore autonomo che lavora con più committenti - non è soltanto di fronte a una monocommittenza, che quasi sempre rappresenta un lavoro autonomo spurio - dobbiamo garantire l'estensione delle prestazioni sociali e dell'indennità di disoccupazione. Anche per i pluricommittenti, che spesso sono lavoratori autonomi, tra i più fragili sul mercato del lavoro, in una condizione di caduta consistente del reddito, da individuare rispetto a una percentuale sul reddito prevalente calcolato magari sulle annualità passate, è necessario prevedere strumenti di sostegno.
Sul fronte delle tutele sociali e previdenziali la maternità e la malattia sono altri due grandi capitoli che riguardano in modo differente, a seconda delle tipologie contrattuali, le diverse categorie di lavoratori precari, subordinati a termine o parasubordinati di diverso tipo. Sono altri temi su cui è necessario e urgente intervenire. Dal nostro punto di vista su questi temi bisognerebbe ragionare in termini di universalizzazione delle tutele e del sostegno e, quindi, renderli diritti fruibili ed esigibili a partire dal contratto di lavoro presente.
Concludo con una questione che, invece, riguarda prevalentemente il tema dell'accesso al mercato del lavoro e che probabilmente è lo strumento che noi abbiamo individuato come grimaldello per aggredire l'altissima percentuale di disoccupazione giovanile che le statistiche dell'ISTAT ci ricordano ormai mensilmente, nonché il fenomeno, che forse è tra i più odiosi che osserviamo, dei NEET, ossia di tutti quei giovani così scoraggiati ancor prima di entrare nel mercato del lavoro che non studiano, non lavorano, non si formano e somigliano drammaticamente agli inattivi che abbiamo incontrato tristemente fra i licenziati a metà carriera.
Rispetto a questo tema noi crediamo che sia molto importante l'istituzione di un reddito minimo di inserimento, che individuiamo come forma non solo di sostegno e tutela, ma anche promozionale e abilitante, in chiave di attivazione dei soggetti, che debba essere costituito, da una parte, da un contributo monetario da erogare ai soggetti e, dall'altra parte, da servizi da rendere disponibili e fruibili per i soggetti.
Perché individuiamo questo strumento come un grimaldello per aggredire il tema della disoccupazione giovanile? Moltissimi studi recenti di sociologia ed economia ci raccontano come la riproduzione intergenerazionale delle disuguaglianze in questa fase storica si annidi prevalentemente nella fase del search, cioè della ricerca del lavoro.
Per quale motivo? Di fronte a un mercato del lavoro molto compresso e che offre poche opportunità avere il tempo e le energie per costruire una buona ricerca del primo lavoro diventa centrale. Il primo lavoro che si svolge in realtà è spesso predittivo della qualità dei lavori che verranno svolti successivamente.
Oggi evidentemente la possibilità di dedicare molto tempo e molte energie alla ricerca del primo lavoro è appannaggio di una porzione ridotta di giovani e riguarda coloro che se lo possono permettere e che hanno magari una famiglia che può mantenerli anche più di un anno, terminato il percorso di studi, mentre cercano lavoro.
Noi riteniamo che questo meccanismo sia particolarmente iniquo, oltre ad avere disponibili i dati che ci ricordano come quello diventi uno snodo della riproduzione intergenerazionale delle disuguaglianze. Istituire un reddito minimo di inserimento, non soltanto per i giovani, ma particolarmente prezioso per i giovani inoccupati in cerca di prima occupazione, potrebbe rappresentare uno strumento per aumentare i gradi di libertà dei giovani nella ricerca del lavoro e nell'inserimento del mercato del lavoro.
Noi non l'immaginiamo come una provvidenza da regalare a tutti, ma come un meccanismo promozionale e abilitante che stimoli i soggetti ad attivarsi nel percorso di ricerca del lavoro. È necessario immaginarlo come strumento strettamente connesso a un'azione di supporto pubblica,


Pag. 10

per esempio da parte dei centri per l'impiego, non soltanto in termini di approfondimento della formazione e specificazione della formazione, ma anche in termini di ricerca attiva nel mercato del lavoro.

PRESIDENTE. Do la parola al dottor Barrano.

SALVO BARRANO, Rappresentante del Comitato 9 aprile - Il nostro tempo è adesso; la vita non aspetta. Spendo due parole su tre punti già accennati da Claudia Pratelli e vorrei riallacciarmi anche alla frase con cui concludeva Eleonora Voltolina.
Non a caso noi, come coordinamento, abbiamo scelto la formula «Il nostro tempo è adesso», proprio perché per troppi anni il problema del lavoro è stato rappresentato come un problema del futuro. Invece ci siamo ritrovati a percepire e a vivere sulla nostra pelle in termini collettivi un problema che ha a che fare molto con il presente e che non coinvolge solamente i giovani.
Spesso si commette l'errore di dare una visione fin troppo generazionale al problema della precarietà, mentre sappiamo, e i dati lo confermano, che questo problema ha sfondato la soglia dei trenta e dei quarant'anni. È ormai un problema intergenerazionale e, quindi, assume tutti i connotati di un fenomeno sociale. Di qui la scelta di riferire il nostro movimento all'attualità, all'adesso.
Vengo ai tre punti che volevo sottolineare per quanto riguarda la relazione che ha appena svolto Claudia Pratelli. Il problema principale sicuramente percepito nel presente è quello del reddito e dei compensi. Da questo punto di vista riscontriamo, e non possiamo che farci i conti, una lentezza nei tempi di reazione da parte del legislatore, da parte di chi dovrebbe porre rimedio al problema.
Forse una soluzione potrebbe anche essere quella di stimolare chi ha la forza, le parti sociali, a contrattare e a inserire nei contratti delle parti apposite per chi è escluso attualmente dai contratti, ovvero per i lavoratori atipici che lavorano in forma non dipendente. Questo potrebbe essere uno strumento.
Il secondo problema è quello del welfare e delle protezioni. Da questo punto di vista la strada di universalizzare alcuni diritti è quella che a noi sembra più propria e anche più moderna.
Infine, aggiungo una considerazione per quanto riguarda la previdenza. Noi riscontriamo da parte di diversi mondi, sia dal sindacato, ma anche da diversi settori del Parlamento, della maggioranza e dell'opposizione, un'ossessione ad andare a ritoccare la contribuzione per i lavoratori che versano nel fondo gestione separata dell'INPS.
Ci sembra sospetta quest'attenzione al problema del futuro, che pure esiste, senza un'altrettanta attenta analisi del problema che citava Claudia Pratelli, ovvero della caduta del reddito per i lavoratori atipici, che invece può verificarsi dall'oggi al domani. Una questione che va chiarita da parte nostra è evitare di pensare a ulteriori innalzamenti dell'aliquota della gestione separata per i lavoratori atipici senza prevedere, al contempo, che almeno una quota, quella destinata alle prestazioni sociali, che poi è quella attualmente ridicola dello 0,72 per cento, venga innalzata proprio per far fronte a tutti i problemi del quotidiano di questi lavoratori. Non vogliamo alcun intervento sull'aliquota previdenziale, se non si passa prima dall'aumento dell'aliquota destinata alle prestazioni sociali.
L'altro intervento che sicuramente si può compiere, in attesa di arrivare a soluzioni più organiche e complesse, è quello di eliminare ogni ostacolo per quanto riguarda la valorizzazione della propria contribuzione, come si affermava prima. Il percorso dei lavoratori precari atipici è molto spezzettato, spesso non si maturano i requisiti e spesso si rischia anche di perdere segmenti del proprio percorso contributivo. Fondamentalmente la proposta è l'abbattimento di ogni ostacolo per quanto riguarda la totalizzazione dei propri contributi e l'introduzione eventuale


Pag. 11

di strumenti per valorizzare tutto ciò che si mette all'interno del proprio montante.

PRESIDENTE. Penso che siano stati citati elementi molto interessanti e ringrazio gli ospiti anche per la propensione a fornire proposte rispetto ad altre audizioni, dove spesso le proposte non arrivano.
Do la parola ai deputati che intendano porre quesiti o formulare osservazioni.

GIULIANO CAZZOLA. Intervengo molto rapidamente perché il tempo è poco e dobbiamo poterlo utilizzare tutto nel migliore dei modi. Innanzitutto ringrazio i nostri ospiti per le considerazioni che hanno svolto e per la documentazione che ci hanno lasciato.
Parto da un suggerimento, che ovviamente non vuole essere paternalistico, ma semplicemente presentare in un altro modo un'opinione. A me piace molto questa rappresentazione dell'apartheid, perché trovo che sia piuttosto efficace anche nel presentare un problema assolutamente grave, però vi consiglierei, se posso, di diffidare dei bianchi che vi promettono che, se comandassero loro, diventeremmo tutti bianchi. O i bianchi sono disposti a diventare mulatti anche loro, in buona sostanza a mettere insieme i diritti di tutti e farne una soglia minima distribuibile universale, o altrimenti vi raccontano bugie. Penso che purtroppo ve ne accorgerete strada facendo, ma, se volete tener conto di queste considerazioni, ve le porgo in buona fede.
Per quanto riguarda le altre questioni, io credo che a voi non sia sfuggito e non sia ignoto che la questione del salario minimo è esclusa da tutte le organizzazioni sindacali, in quanto esse ritengono che un salario minimo, che avrebbe una sacca di nuova discriminazione, finirebbe per nuocere ai contratti nazionali di lavoro. In buona sostanza c'è questo elemento, questa resistenza da vincere anche sul versante delle parti sociali, che sono comunque una magna pars nel determinare le condizioni del lavoro.
In conclusione, vorrei chiedere che cosa pensate di un problema, perché, secondo me, non vi si può girare al largo, anche se voi siete liberi di farlo. Che cosa pensate di ciò che oggi afferma la BCE, in una lettera che finalmente è stata resa nota, dove, al punto c), si precisa, anche se i termini sono molto generici, che «dovrebbe essere adottata un'accurata revisione delle norme che regolano l'assunzione e il licenziamento dei dipendenti, stabilendo un sistema di assicurazione della disoccupazione e un insieme di politiche attive per il mercato del lavoro che sono in grado di facilitare la riallocazione delle risorse verso le aziende e verso i settori più competitivi»? A me interessano soprattutto le prime tre righe.

CESARE DAMIANO. Anch'io voglio ringraziare, perché abbiamo un punto di vista dall'interno. Noi sentiamo tradizionalmente le parti sociali, quelle che hanno la cosiddetta rappresentanza del mondo del lavoro, mentre oggi stiamo sentendo voci che portano anche un'esperienza importante.
Mi auguro che i suggerimenti che sono stati dati siano utili per la nostra indagine e che l'indagine ne tenga conto, perché effettivamente siamo di fronte a una ricchezza importante anche dal punto di vista della quantificazione del fenomeno. Spesso parliamo di precarietà, ma non riusciamo mai a individuare le platee, le persone, le coorti e anche i dati anagrafici di riferimento. Vi ringrazio.
Su molte questioni sono d'accordo e su altre meno, ma, per quanto mi riguarda, bisognerebbe andare in quattro direzioni: sfoltire, stabilizzare, pagare e totalizzare, ossia sfoltire il numero di contratti atipici e ricondurli all'essenziale; stabilizzare, facendo costare meno il lavoro, quando è a tempo indeterminato, con incentivi; pagare: in merito c'è la proposta che ho presentato con i miei colleghi per quanto riguarda gli stage, alla quale faceva riferimento la dottoressa Voltolina, che spero venga presa in considerazione da questa Commissione, perché prevede un rimborso alla francese; totalizzare tutti i contributi.


Pag. 12


Quello che non abbiamo fatto è, accanto all'incremento, secondo me abbastanza giusto, ma che andrebbe rivisto distinguendo i pluricommittenti dai monocommittenti, dei contributi previdenziali, è che non abbiamo contemporaneamente garantito una totalizzazione di tutti questi contributi.
In merito al reddito di inserimento, io un reddito per legge universale non lo trovo ancora giusto, però capisco che si tratterebbe di introdurre per legge un reddito minimo di inserimento per i cosiddetti non contrattualizzati. Penso ai lavoratori a progetto, che sono in balia del cosiddetto committente.
Il tempo non mi consente di andare oltre e, quindi, avremo altre occasioni per riprendere l'argomento.

MARIA GRAZIA GATTI. Proprio per questioni di tempo volevo porre un'unica domanda alla dottoressa Voltolina. Tutta l'ultima fase di intervento legislativo sui tirocini, compresa la circolare, ha generato un problema in alcune situazioni. Io sono eletta in Toscana e noi accusiamo un blocco di alcune situazioni. La regione sta tentando di intervenire con atti amministrativi, perché la legge è ancora in iter e il percorso è lungo.
Un punto, però, che è stato rilevato, o almeno che mi viene indicato dalla regione, è quello relativo al fatto dei dodici mesi dalla laurea o diploma. Il punto che mi viene posto è relativo alla fase successiva, post-laurea, e ai master, che vengono effettuati di solito in modo piuttosto comune, con i tirocini e gli stage attaccati a seguire. Forse una formulazione come «alla fine del corso di studi» potrebbe comprendere tutto.
Voi avete valutato questa questione? Capisco che il problema è quello di evitare di avere stagisti che attivino uno stage a quarant'anni o in una condizione di sfruttamento e di abuso dello strumento, però un conto è dire questo e un conto è affermare che una persona che ha concluso gli studi e ha svolto il master non possa attivare uno stage, anche perché di solito è quello che si fa quasi automaticamente. Volevo precisare questo punto, perché lei era stata molto precisa nell'assumere quello come un elemento anti-abuso, però forse andrebbe reso più flessibile rispetto a determinati elementi.

AMALIA SCHIRRU. Si è fatto riferimento alle leggi regionali. Volevo capire, poiché mi è sfuggito, se l'obiettivo delle leggi regionali è riferito a un sistema tipo quello che oggi esiste già per quanto riguarda, in particolar modo, le specializzazioni sanitarie, che sono situazioni di contratti di formazione-lavoro che si svolgono nell'ambito della ricerca negli ospedali, dove c'è il lavoro, ma anche la specializzazione finale e l'abilitazione alla professione sanitaria.

MASSIMILIANO FEDRIGA. Anche io sarò velocissimo. Sarebbe naturalmente necessario poter approfondire l'argomento in molti modi, ma volevo solo capire se per caso avevate provato a quantificare l'onere delle vostre proposte, ovviamente senza compiere un calcolo preciso, ma per capire quanto possano costare.
Realisticamente dobbiamo valutare se le misure, anche nella loro totalità, costino 20 miliardi all'anno o se costino 100 milioni di euro, per capire la quantità delle risorse che sarebbero da impiegare attualizzando e rendendo reali le vostre proposte.

LUIGI BOBBA. Quando si è parlato di un obbligo di rimborso per tutti gli stagisti, volevo capire che cosa si pensava, se a una misura di tipo universalistico, cioè uguale per tutti, e su quale base si attesta tale obbligo in termini quantitativi.
Quando il dottor Barrano dice «meglio l'uovo oggi che la gallina domani», potremmo tradurre così il concetto, ossia meglio intervenire sull'aliquota delle prestazioni sociali che sulle aliquote delle prestazioni previdenziali, sostanzialmente propone di coprire, come avviene normalmente per un lavoratore dipendente, tutte le forme di prestazione sociale. L'aliquota dovrebbe avere, quindi, un importo sufficiente,


Pag. 13

come accade per i lavoratori dipendenti. È questo il succo della proposta?

PRESIDENTE. Do la parola ai nostri ospiti per la replica.

ELEONORA VOLTOLINA, Direttore della Repubblica degli stagisti. Rispondo a tutti a flash.
A proposito dell'osservazione dell'onorevole Cazzola sull'apartheid, io sono assolutamente a favore che diventiamo tutti mulatti, perché ad oggi i giovani sono in una situazione talmente disperata che essere mulatti è sempre meglio.
Sono molto grata ai sindacati per il lavoro che quotidianamente svolgono, però di fatto, poiché la loro azione non riesce a coprire e a garantire una sterminata platea di contratti, a questo punto mi sembra anche piuttosto meschino che siano proprio loro a opporsi a un salario minimo. Come ho affermato nel mio intervento, si potrebbe anche prevedere un'attivazione di questo salario minimo solo in mancanza di contratto nazionale.
Per quanto riguarda la lettera, sono contentissima e a favore. La flessibilità del mercato del lavoro può essere benissimo un valore, però deve essere accompagnata dal welfare per i giovani che hanno questi tipo di contratti flessibili, cioè la flexsecurity non può essere solo precarietà, ma deve anche comprendere la parte della security.
Per quanto riguarda i dodici mesi post-formazione, noi abbiamo rilevato che è bene prevedere un limite massimo entro cui si possano attivare, a partire dalla fine degli studi, gli stage, per evitare che continuino oltre. I dodici mesi forse, nella situazione attuale dell'Italia e dell'occupazione giovanile, sono troppo pochi. Magari si poteva pensare a diciotto o ventiquattro, però, secondo noi, delimitare un perimetro è necessario.
Il problema è che la legge è stata scritta molto sinteticamente e parla solo di neolaureati e neodiplomati. Si apre anche un contenzioso in merito, perché poi c'è la circolare, la quale ha specificato che per neolaureati e neodiplomati si devono intendere tutti i percorsi formativi. Secondo noi, ha anche introdotto una questione di buonsenso, ossia il fatto che, se uno fa un master, possa anche svolgere eventualmente uno stage.
In effetti, nel testo della legge c'è scritto solo «neolaureati e neodiplomati». A seconda se si vuole accettare che la circolare valga quanto una legge oppure se si è molto rigidi nella gerarchia delle fonti, si può pensare che di fatto la circolare vada oltre la legge e dia disposizioni diverse da quelle della legge.
Sulle professioni sanitarie è vero, onorevole Schirru: c'è un contratto di lavoro per i laureati in medicina e per altre professioni sanitarie, soprattutto per i laureati in medicina che svolgono la specializzazione. Esso è un contratto di formazione, peraltro, non di formazione-lavoro, e prevede uno stipendio, contributi, posizione previdenziale sulla gestione separata dell'INPS. Gli specializzandi sono arrabbiati perché non sono sull'ENPAM, ma sull'INPS.
Non è, però, il caso dello stage, perché esso non costituisce contratto di lavoro e non comporta una situazione lavorativa. Bisognerebbe completamente stravolgere la natura dello stage, se si volesse considerarlo un contratto.
Quante risorse occorrono? Nel mio intervento io ho parlato di salario minimo, che non impegna risorse dello Stato, ma semplicemente comporta che le aziende e i datori di lavoro debbano rispettare determinati minimi. Impegnerebbe risorse dello Stato nel momento in cui diventasse impossibile per il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca fare ciò che oggi indegnamente fa, cioè pagare tre euro all'ora i suoi professori a contratto. Questo aspetto potrebbe avere una ricaduta.
Io personalmente non sono molto d'accordo sul fatto che qualsiasi cittadino abbia diritto a ricevere un reddito dallo Stato solo per il fatto che non ha un lavoro. Importantissime per me sarebbero le misure di welfare, cioè di accompagnamento tra un lavoro e l'altro. Pretendo e chiedo che lo Stato copra con misure di welfare anche


Pag. 14

i giovani che oggi ne sono completamente esclusi, come ha descritto perfettamente Claudia Pratelli.
Per quanto riguarda i 400 euro, noi come Repubblica degli stagisti abbiamo creato ormai due anni fa il nostro manifesto delle idee, che si chiama Carta dei diritti dello stagista. In quell'occasione avevamo stabilito 250 euro al mese per chi è ancora studente e 500 euro al mese per chi è laureato, prevedendo quindi una piccola differenziazione anche di valore tra chi svolge lo stage durante il periodo di studi e chi lo svolge nel momento in cui li ha già finiti.
Il valore di 400 euro previsto nella proposta normativa dell'onorevole Damiano è mutuato dalla regolamentazione francese. In Francia c'è lo SMIC, di 1.370 euro circa. La quantità di rimborso spese minimo per gli stagisti è agganciata allo SMIC nella misura del 30 per cento.
Le istituzioni europee, come la Commissione europea e il Parlamento europeo, invece vanno molto oltre e prevedono per i loro stagisti rimborsi spese di 1.100 e addirittura di 1.200 euro, perché hanno agganciato il rimborso spese dei loro stagisti a una percentuale dello stipendio di un funzionario e, quindi, tanto cresce lo stipendio del funzionario, tanto cresce il rimborso dello stagista.
La nostra non è una cifra buttata a caso, ma ragionata sul reddito medio italiano e sulle condizioni e sui dati emersi anche dagli ultimi rilevamenti. Per esempio, penso all'indagine della CGIA di Mestre, che alcuni mesi fa ha fornito dati su quanto guadagnano i precari under 35, i quali guadagnano 1.000-1.050 euro. A questo punto, affermare che uno stagista dovrebbe prendere un po' meno della metà di quello che mediamente prende un giovane che abbia un contratto di lavoro ci sembra una quantità piuttosto ragionevole.

CLAUDIA PRATELLI, Rappresentante del Comitato 9 aprile - Il nostro tempo è adesso; la vita non aspetta. Magari non risponderò su tutto, perché Salvo Barrano integrerà altre questioni, però procedo per flash.
Se diventare tutti mulatti significa introdurre l'articolo 8 della manovra correttiva e, quindi, essere tutti più simili non perché i precari assurgono a una condizione di maggiore dignità nel lavoro, ma perché i lavoratori a tempo determinato vedono nella loro condizione un processo di precarizzazione, «no ai mulatti», per esprimersi con una battuta.
Il secondo tema che mi stava a cuore, ma poi sicuramente Salvo riprenderà il resto, in risposta all'onorevole Damiano, è che noi in realtà abbiamo parlato di reddito minimo di inserimento. Il tema che io ponevo nel mio intervento non era quello del salario minimo, di cui invece ha parlato adesso Eleonora Voltolina e che per via legale mi sembra che lei proponesse o che per via contrattuale può rappresentare una base di compenso. Noi poniamo proprio il tema del reddito minimo, ovvero di una misura di welfare indirizzata a coloro che siano in possesso di determinate condizioni, reddituali in primo luogo, e lavorative in secondo luogo, che secondo noi potrebbe essere particolarmente importante per gli inoccupati, in particolare per i giovani in cerca di prima occupazione, come strumento per entrare nel mondo del lavoro.
Evidentemente non immaginiamo questa come una misura a pioggia da erogare a tutti coloro che hanno finito l'università, per intenderci, ma a tutti coloro che accettano di sottoporsi a determinate condizioni, che sono quella di attivare un progetto con il centro dell'impiego e altre. Su questo tema magari vi possiamo mandare una relazione più dettagliata.
Occorre ricordare che questa misura, il reddito minimo di inserimento, esiste in tutti i Paesi, l'RSA in Francia, riformata dall'RMI, la renta básica in Spagna, la social allowance in Inghilterra. Tranne la Grecia, l'Italia e il Portogallo tutti i Paesi ne sono dotati.
A proposito di stage e tirocini, su cui Eleonora Voltolina ha risposto rispetto alle sue posizioni, il limite temporale dopo la fine del percorso di studi per attivarli in realtà è una fortissima garanzia, è un disincentivo, di cui occorre definire quale sia


Pag. 15

il termine, affinché non si verifichi il fatto che magicamente sotto Natale tutti i negozi di via del Corso a Roma sono pieni di stagiste commesse.

MARIA GRAZIA GATTI. Basterebbe porre la condizione che non vadano in sostituzione di lavoratori in ferie.

CLAUDIA PRATELLI, Rappresentante del Comitato 9 aprile - Il nostro tempo è adesso; la vita non aspetta. Assolutamente, però individuare criteri per evitare che ci sia un raggiro attiene anche al limite temporale.
L'ultima questione riguarda gli oneri delle proposte. In realtà, rispetto ai temi che noi abbiamo posto, ci sono tante quantificazioni promosse anche da organizzazioni e reti diverse. Penso a «Sbilanciamoci!» e ad altre reti che avanzano determinate misure. Sicuramente l'estensione degli ammortizzatori sociali e, quindi, la continuità di reddito è da noi immaginata come misura sostenibile, perché accompagnata da un aumento dei contributi.
Per il resto vorremmo cimentarci su questo fronte e non appena avremo condotto alcuni studi ve li manderemo volentieri.

SALVO BARRANO, Rappresentante del Comitato 9 aprile - Il nostro tempo è adesso; la vita non aspetta. Per quanto riguarda la domanda se avessimo effettuato una stima dei costi, rispondo con un'altra domanda e chiedo all'onorevole che ha posto la questione, anche se non è più presente, se è stata effettuata una stima dei costi sociali della precarietà in Italia. Da questo punto di vista è vero che tutte le scelte prevedono un impegno in termini di finanza, ma è anche vero che tutte le non scelte prevedono costi, che sono costi sociali, che poi covano e montano sempre di più.
Sulla questione della «gallina oggi e l'uovo domani» o viceversa, negli ultimi dieci anni ci si è pensato molto. Io ho fornito, e credo che li abbiate in copia, i dati sull'aliquota dei contributi. Dal 1997 a oggi sono cresciuti, passando dal 10 per cento al 26,72, di 16 percentuali, ed è forse un bene che ciò sia avvenuto, ma è rimasta trascurabile l'aliquota marginale dello 0,72 per cento, che è quella che deve servire.
Questa mia proposta ha che fare molto col quadro che abbiamo disegnato. Ci sono milioni di lavoratori - ho alcuni dati: 836 mila Cocopro, 187 mila professionisti senza albo, 125 mila collaboratori; stiamo parlando di milioni di persone - che vivono tutti i problemi della precarietà, che versano, come dimostrano questi dati, al fondo e che poi sono sprovvisti rispetto a problemi e a situazioni gravi come la perdita del lavoro.
Infine, per quanto riguarda l'ossessione di pensare a un ritocco dell'aliquota, fino a quando non si riuscirà a incidere sui compensi di queste persone, dal momento che l'aliquota viene calcolata sul compenso, se il reddito è da fame, l'aliquota sarà una percentuale da fame su un reddito da fame. Bisogna prima intervenire sui redditi per poi automaticamente avere una ricaduta positiva sul montante.

PRESIDENTE. Propongo di terminare qui la nostra audizione. Vi ringrazio molto, vi auguro buon lavoro e vi ricordo che aspettiamo anche integrazioni da parte vostra alla documentazione che già avete fornito.
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 10.

Consulta resoconti delle indagini conoscitive
Consulta gli elenchi delle indagini conoscitive