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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissione XI
14.
Martedì 4 ottobre 2011
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori

Cazzola Giuliano, Presidente ... 3

INDAGINE CONOSCITIVA SUL MERCATO DEL LAVORO TRA DINAMICHE DI ACCESSO E FATTORI DI SVILUPPO:

Audizione di rappresentanti di RETE Imprese Italia:

Cazzola Giuliano, Presidente ... 3 9 12
Silvano Moffa, Presidente ... 6 11 13 14
Bobba Luigi (PD) ... 7
Damiano Cesare (PD) ... 8
Di Croce Ilaria, Rappresentante di RETE Imprese Italia, addetta al settore lavoro e relazioni sindacali della Confcommercio ... 13
Di Niola Stefano, Rappresentante di RETE Imprese Italia, responsabile del dipartimento relazioni sindacali della CNA ... 3 11 12 14
Gatti Maria Grazia (PD) ... 6
Schirru Amalia (PD) ... 10

ALLEGATO: Documentazione presentata dai rappresentanti di RETE Imprese Italia ... 15

Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro per il Terzo Polo: UdCpTP; Futuro e Libertà per il Terzo Polo: FLpTP; Italia dei Valori: IdV; Popolo e Territorio (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, La Discussione): PT; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling; Misto-Repubblicani-Azionisti: Misto-R-A.

[Avanti]
COMMISSIONE XI
LAVORO PUBBLICO E PRIVATO

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di martedì 4 ottobre 2011


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PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE GIULIANO CAZZOLA

La seduta comincia alle 12,35.

(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di rappresentanti di associazioni e comitati di RETE Imprese Italia.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sul mercato del lavoro tra dinamiche di accesso e fattori di sviluppo, l'audizione di rappresentanti di RETE Imprese Italia.
Sono presenti Stefano Di Niola (responsabile del dipartimento relazioni sindacali, CNA), Marco Capozi, (responsabile relazioni istituzionali, CNA), Mario Martino (responsabile relazioni esterne CNA), Danilo Barduzzi (responsabile relazioni istituzionali, Casartigiani), Silvia Ciuffini (responsabile settore mercato del lavoro e formazione professionale, Confartigianato imprese), Stefania Multari (direttore relazioni istituzionali, Confcommercio-imprese per l'Italia), Guido Lazzarelli (responsabile settore lavoro e relazioni sindacali, Confcommercio - Imprese per l'Italia), Ilaria Di Croce (settore lavoro e relazioni sindacali, Confcommercio - Imprese per l'Italia), Elvira Massimiano (responsabile ufficio politiche del lavoro, Confesercenti).
Avverto che i rappresentanti di RETE Imprese Italia hanno messo a disposizione della Commissione una documentazione, di cui autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna (vedi allegato).
Nel ringraziarli ancora una volta per la loro presenza, do loro la parola.

STEFANO DI NIOLA, Rappresentante di RETE Imprese Italia, responsabile del dipartimento relazioni sindacali della CNA. Ringrazio il presidente e gli onorevoli membri della Commissione per averci invitato a partecipare e a dare il nostro contributo all'indagine conoscitiva sul mercato del lavoro. Svolgerò un intervento unico a nome di Rete Imprese Italia, che riunisce Casartigiani, Confartigianato, Confcommercio, Confesercenti e CNA.
Innanzitutto vorrei fare una breve premessa. La crisi economica che il nostro paese sta vivendo dalla fine del 2008 ha posto sotto stress i pilastri della nostra economia per un intero triennio. Tuttavia, nella tarda primavera di quest'anno abbiamo potuto riscontrare un affievolimento dei pesanti effetti della crisi economica. Nei mesi estivi c'è stata, invece, una recrudescenza di queste tendenze che, come sappiamo, hanno portato all'adozione di una serie di misure, che complessivamente hanno inciso per un importo di oltre 50 miliardi di euro, come correttivo al bilancio italiano.
Inoltre, le stime del Fondo monetario internazionale per l'anno 2011, i dati del bollettino della Banca d'Italia e il Documento


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di economia e finanza ribadiscono la presenza di un differenziale importante, che purtroppo si protrarrà anche nei prossimi anni, rispetto alle economie degli altri paesi europei.
Tale andamento è collegato, da una parte, alla contenuta - molto contenuta, purtroppo - domanda interna del nostro Paese e, dall'altra, alla riduzione dei redditi disponibili delle famiglie e alla capacità produttiva oggi inutilizzata. La produzione del nostro Paese è inferiore alle nostre possibilità, e questo trova un riscontro non felice nella competitività delle nostre imprese sia nel mercato interno sia nel mercato europeo, il nostro mercato sovranazionale di riferimento.
La timida ripresa economica che, come dicevo, abbiamo potuto registrare nella tarda primavera di quest'anno è stata resa possibile da meccanismi adottati nel corso della crisi, quali le pesanti ristrutturazioni aziendali o il massiccio ricorso agli ammortizzatori sociali. Questo ha consentito, pur nella sua drammaticità, di ottenere risultati positivi soprattutto in termini di costanza del rapporto di lavoro di figure professionali ad alta specializzazione, che sono rimaste legate all'impresa di provenienza e che sono state poi prontamente reinserite quando, nella tarda primavera di quest'anno, abbiamo assistito a un fenomeno, ancorché minimo, di rilancio della nostra economia.
Nonostante questi timidi segnali di ripresa del ciclo produttivo, appare però evidente che l'attuale crisi economica e finanziaria ha avuto anche effetti pesantissimi, se non addirittura dirompenti, sul versante occupazionale, con altrettanti riflessi dal punto di vista sociale. L'incremento del tasso di inoccupazione e di disoccupazione delle donne e dei giovani nel nostro Paese segna ormai livelli estremamente preoccupanti: sfioriamo il 30 per cento.
Conoscerete anche voi i dati che sono stati recentemente pubblicati: c'è un miglioramento dell'occupazione generale, a cui purtroppo non è seguito un incremento dell'occupazione giovanile. A nostro modo di vedere, ciò evidenzia che il problema occupazionale è uno dei fattori chiave su cui incidere per rilanciare l'economia del nostro Paese e allentare in parte la tensione sociale.
In questo scenario, Rete Imprese Italia ritiene che il percorso da seguire, come ben evidenziato nel documento predisposto da questa Commissione che accompagnava l'invito all'audizione, sia tentare di creare un'interconnessione tra i tre pilastri che concorrono a incrementare l'occupabilità dei lavoratori e promuovere l'inserimento occupazionale soprattutto delle persone più giovani e ovviamente delle donne.
I tre pilastri sono essenzialmente la formazione professionale, l'istruzione nonché una maggiore flessibilità del mercato del lavoro. Accanto a questi, menzionerei il costo del lavoro come fattore importante per contribuire in maniera fattiva all'occupazione dei giovani.
L'emergenza occupazionale ha assunto una connotazione generazionale, e soprattutto i più giovani in questo momento si trovano in una situazione di disagio. Nel nostro Paese, però, la crisi ha accentuato anche difficoltà, a nostro modo di vedere, strutturali, che sono all'origine degli squilibri della crisi stessa e rendono le condizioni dei giovani, se possibile, ancora più drammatiche.
Il nostro mercato del lavoro, infatti, presenta grandissimi problemi strutturali, cominciando dalla rigidità sia in entrata che in uscita e soprattutto dalla preminenza data per lungo tempo alle politiche passive del lavoro. Le politiche passive e gli ammortizzatori sociali ci hanno sostenuto per tre anni consecutivi, e senza di essi sicuramente non avremmo potuto giungere a oggi con questo tasso di occupazione, che è sì preoccupante soprattutto per i giovani, ma mostra alcune possibilità e alcuni segnali di ripresa.
Accanto a questo, però, deve essere strutturata una politica attiva del lavoro, oggi largamente trascurata. Sempre parlando di giovani, ci troviamo di fronte a un fenomeno che nei paesi anglosassoni viene definito NEET (Not in Education, Employment or Training). Vi sono giovani che non


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studiano, né lavorano, né sono alla ricerca di un lavoro. Si tratta di persone - in Italia si stima che siano circa 2 milioni - che vivono totalmente nell'ombra. Nel Mezzogiorno del nostro Paese pare che si trovi in questa condizione l'80 per cento dei giovani uomini.
Il tema dei giovani, però, non rimanda soltanto alla questione occupazionale, a nostro modo di vedere. Parlando di giovani, per associazione mentale, viene subito in mente anche il tema dell'istruzione e della formazione. Questo tema ci permette di apprezzare in maniera sostanziale la grave discrepanza che esiste tra domanda e offerta di lavoro. Riteniamo che senza investimenti in formazione e sistemi di istruzione e formazione coerenti con le esigenze del mercato il nostro Paese non potrà riprendersi dalla crisi che stiamo vivendo.
Strettamente collegato, e tale da creare quasi un effetto di paradosso, è il fenomeno che gli anglosassoni chiamano over-education. Esso riguarda persone che studiano per molti anni e più della media dei propri coetanei e che, a causa di una sovra-specializzazione e dei tanti studi, non appagano le proprie aspettative occupazionali venendo assunti per le competenze acquisite. Trovano altri lavori, ma non collegati agli studi compiuti. Il paradosso che scontiamo è che, da una parte, abbiamo la sovra-istruzione di alcune persone e, dall'altra, il mondo delle PMI fatica a trovare le competenze e le figure specializzate da inserire all'interno dei propri cicli produttivi.
Le organizzazioni di Rete Imprese Italia ribadiscono la necessità di agire velocemente e in modo deciso, in uno spirito di collaborazione istituzionale, per tentare di colmare questo gap. Se non saremo in grado di attuare una politica che non fornisca necessariamente risposte immediate, ma che porti avanti un ragionamento a medio o addirittura lungo termine, rischiamo di perderci e di lasciare indietro un'intera generazione. Credo che sia un lusso che non possiamo permetterci.
La correlazione tra l'offerta di competenze e i fabbisogni del sistema economico e produttivo deve essere valutata attentamente. Come abbiamo osservato dai recenti dati pubblicati attraverso l'indagine Excelsior di Unioncamere, è uno dei temi principali. Credo che dobbiamo recuperare le competenze tecnico-professionali di cui il nostro mondo economico e produttivo, fatto di piccole e medie imprese, ha realmente bisogno.
Riteniamo che il Testo unico dell'apprendistato, approvato dal Consiglio dei Ministri nel mese di luglio, sia un ottimo strumento per tentare di superare questo mismatch. È un importante istituto contrattuale che, per la sua componente formativa, può traguardare il duplice risultato di garantire il diritto all'istruzione, in alcuni suoi ambiti, e alla formazione professionale dei giovani e di incidere in modo significativo sul problema della dispersione scolastica, anche con positive ricadute dal punto di vista occupazionale.
Come Rete, riteniamo quindi che l'apprendistato sia uno strumento ideale per la strutturazione di competenze che oggi sarebbero - ahimè - indisponibili sul mercato. Il nuovo Testo unico dell'apprendistato pone al centro dell'istituto a causa mista, cioè della parte formativa vera e propria, l'impresa come luogo ideale di trasmissione di saperi e competenze, dove può realizzarsi una formazione formale o quanto meno formalizzata, ma lo fa in maniera diversa rispetto al passato.
In passato esisteva una differenza sostanziale tra la formazione obbligatoria, che doveva essere impartita in un luogo deputato, e l'opportunità - che noi riteniamo sempre valida - di poter formare le competenze direttamente all'interno delle imprese. Ripensare l'impresa come luogo formativo oltre che produttivo è uno dei principi che sono stati valutati positivamente nel Testo unico dell'apprendistato, ma che a nostro avviso dovrebbero guidare ulteriori politiche nel nostro Paese.
Un altro aspetto indispensabile è quello che riguarda la formazione continua dei lavoratori. Come sapete, essa rappresenta uno strumento necessario sia per la tutela


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dell'occupazione sia per consentire lo strutturarsi e la stabilità sul mercato delle competenze acquisite dai singoli lavoratori.
Quanto portato avanti negli anni dai fondi interprofessionali, nati poco meno di un decennio fa, è senz'altro da valorizzare, anche perché i Fondi strutturali, segnatamente il Fondo sociale europeo, per vari motivi sono destinati a ridurre il proprio impatto economico. I fondi di natura negoziale e bilaterale, come i fondi interprofessionali, potranno invece rispondere ancora meglio alle esigenze di imprese e lavoratori e svolgeranno di sicuro un ruolo maggiore visto l'affievolirsi di altre forme di finanziamento.
Rete Imprese Italia ritiene indispensabile individuare congiuntamente principi e tecniche volti a migliorare il funzionamento e l'efficacia dell'azione dei fondi interprofessionali. Un'opera di semplificazione, dato che i fondi interprofessionali, come ben sa l'onorevole Damiano, sono vigilati dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, sarebbe molto apprezzata.
Un altro aspetto, contenuto anche nell'indagine, è quello relativo all'inserimento dei giovani nel mondo del lavoro nel suo complesso. Anche qui vorrei citare il Testo unico dell'apprendistato. A nostro modo di vedere, l'apprendistato ha assunto un ruolo strategico anche in termini di incrocio tra domanda e offerta di lavoro, e noi riteniamo che sia ormai il canale principale di ingresso dei giovani nelle nostre imprese.
Il Testo unico ha un grande pregio, quello di tentare di uniformare le discipline coesistenti regionali e nazionali. Vi assicuro che il loro combinato disposto non ha aiutato l'assunzione di apprendisti perché negli anni questo strumento è diventato complesso da gestire dal punto di vista procedurale. Riteniamo, quindi, che il Testo unico dell'apprendistato, tentando di snellire e uniformare le normative coesistenti, rappresenti un elemento positivo.
Da ultimo, come avevo anticipato nella premessa, è chiaro che in una politica generale di rilancio dell'occupazione nel nostro Paese non può essere sottaciuto il tema del costo del lavoro. Questo per noi è un altro fattore che potrebbe essere utile per il mercato del lavoro e per l'occupazione soprattutto giovanile. Secondo noi è indispensabile affrontare il problema. Esistono alcune misure che impattano positivamente sul costo del lavoro riducendolo, segnatamente la detassazione e la decontribuzione: andrebbero rese strutturali.
Con le riforme avviate alla fine degli anni Novanta e che si sono affastellate negli anni, questo meccanismo, da certo che era, oggi è incerto nella quantità e nel funzionamento. È incerto nella quantità perché le risorse sono contingentate e, quindi, chi arriva prima può beneficiare dello sgravio contributivo, mentre chi non riesce a inserirsi in quel percorso e ad accedere come i click day ritengono debba fare è tagliato fuori.
Rispetto alla possibilità di programmare negli anni il costo del lavoro, secondo noi andrebbe compiuta una riflessione seria, perché questi stanziamenti non possono avvenire di biennio in biennio.

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE SILVANO MOFFA

PRESIDENTE. Ringrazio il dottor Stefano Di Niola.
Do la parola ai deputati che intendano porre domande o formulare osservazioni.

MARIA GRAZIA GATTI. Ringrazio Rete Imprese per la relazione svolta. L'esposizione mi ha sollecitato alcune domande.
Uno dei problemi rilevati è la rigidità in ingresso e in uscita dal mercato del lavoro. Sono convinta che esista un problema di accesso, ma ho qualche perplessità sul fatto che, in presenza di quarantasette tipologie di contratti di lavoro, esso possa essere definito rigidità. Penso che forse bisognerebbe semplificare questa miriade di tipi di contratto.
Da qualche tempo si sta sviluppando il tentativo di unificare l'accesso al lavoro per le persone giovani. Ho apprezzato


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tutto ciò che stato detto e l'avviso comune sul contratto di apprendistato, che è l'ultimo esperimento messo in atto. Ho però il sospetto che il problema sia un altro, e forse in questa Commissione ne dovremmo riflettere.
Penso che questo concetto di rigidità copra altro, copra una difficoltà concreta legata alla qualità del nostro apparato produttivo, alla forza che questo apparato produttivo ha - e dopo tre anni di crisi di questa portata immagino che a problemi si siano accumulati problemi - e alla possibilità di mantenere un certo tipo di occupazione.
Mi piacerebbe riflettere su questo e mi piacerebbe che Rete Imprese, che ha un contatto così diretto con il mondo economico e con le articolazioni dell'economia (così «minuta») di questo Paese, abbia anche queste caratteristiche.
L'altro punto riguarda la rigidità in uscita del mercato del lavoro. Rete Imprese è composta da imprese mediamente piccole e medie, non da grandi soggetti. La rigidità in uscita di solito si collega all'articolo 18 che nelle aziende con meno di quindici dipendenti non viene applicato. Anche da questo punto di vista, penso che la sottolineatura della rigidità in uscita copra altro. Io sono convinta che ci sia un problema, ma non sono convinta che sia questo. È la mia sensazione e mi piacerebbe utilizzare le audizioni anche per approfondire tali aspetti.
Ho già presentato un'interrogazione sui dati pubblicati da Excelsior. Non sono dati che rappresentano il fabbisogno. Abbiamo scoperto che per il loro calcolo si chiede a un numero di imprese che intenzioni abbiano dal punto di vista delle assunzioni e che figure ricerchino; poi si confrontano queste figure con i diplomati di quell'anno, senza tenere assolutamente presente lo stock, cioè coloro che sono iscritti ai centri per l'impiego. Secondo me è un problema. L'affermazione secondo cui ci sarebbe un effetto di paradosso che Excelsior dimostra andrebbe verificata davvero. Può darsi che sia vero e che, anche considerando lo stock, il risultato sia il medesimo e che certe figure manchino.
Essendo un Paese manifatturiero, avremmo bisogno di una serie di figure che siano capaci di lavorare; penso però che questo si dovrebbe raggiungere con una scuola professionale e con istituti tecnici di altissima qualificazione. Se noi dimezziamo i laboratori delle scuole professionali e gli istituti tecnici e assegniamo le professionalità più scadenti che abbiamo, non potremo conseguire una qualificazione ulteriore.
Per quanto concerne il discorso dei pochi molto specializzati, mi risulta che nella fascia tra i 19 e i 39 anni i laureati siano il 19 per cento. Siamo agli ultimi posti in Europa dal punto di vista del numero di laureati. Molto probabilmente il problema è la qualità dei laureati, in che cosa sono laureati e le esigenze reali. Tuttavia, un altro elemento particolarmente importante è che noi esportiamo laureati e importiamo manodopera di basso livello. Le persone che impieghiamo non hanno nemmeno un basso livello formativo, perché poi scopriamo che si sono laureate in altri Paesi, ma le assumiamo a livelli molto bassi di inquadramento.
Vorrei che in questa indagine conoscitiva si riflettesse in modo molto libero anche su questo. Secondo me stiamo operando a partire da pregiudizi e modi di dire. Credo sia il caso di mettere le mani in pasta e tentare di capire davvero qual è la situazione.
Mi rendo conto che in questo momento le imprese che rappresentate siano in una condizione molto dura e terribile, anche perché fungete da frontiera. Se la grande impresa, di cui voi di solito siete fornitori, si trova in quelle condizioni, suppongo che i problemi siano molto gravi. Poiché però siete la rete più diffusa e i punti produttivi che voi rappresentate sono i più presenti nel territorio, forse ci potrete dare una mano a individuare misure ragionevoli per intervenire.

LUIGI BOBBA. La mia prima domanda riguarda un tema che è già stato posto dalla collega. Vorrei sapere se, al di là dell'indagine Excelsior, nella vostra Rete


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circolano altri dati che non abbiano il limite poc'anzi evidenziato e se effettivamente esistano aree con forti criticità e carenze occupazionali nel settore della manifattura.
In secondo luogo, vista la valutazione positiva che date sull'apprendistato, vi aspettate che questo generi un'area di potenziale sviluppo occupazionale, in che senso e con quali numeri? Non trovate che la dimensione formativa del contratto di apprendistato, pur in questa rivisitazione, rimanga un elemento debole e poco incisivo rispetto a come sarebbe stato necessario elaborarlo?

CESARE DAMIANO. Ringrazio i rappresentanti di Rete Imprese Italia. Stiamo svolgendo questa indagine molto importante per acquisire qualche orientamento su un tema delicato come è quello del mercato del lavoro.
Ho apprezzato la relazione e avrei qualche domanda da porre. Concordo sul tema occupazione e personalmente sto insistendo da parecchio tempo. Non so se la mia convinzione sarà suffragata dai dati dei prossimi mesi - mi auguro di no -, ma temo quello che ho sempre definito uno shock occupazionale di qui al prossimo anno.
Dall'inizio della crisi a oggi le imprese hanno prenotato - non dico consumato - 2 miliardi di ore di cassa integrazione. È, quindi, evidente che il problema è enorme. Abbiamo la novità della cassa in deroga, e credo che riguardi in particolare molte vostre situazioni. Quando parliamo di cassa integrazione parliamo di posti non più esistenti nei fatti. La cassa integrazione ha un effetto calmante, ma purtroppo non tutti tornano al lavoro.
Molti vostri rappresentati hanno già chiuso bottega e godono della cassa in deroga, che tra l'altro dovrà essere rifinanziata o dalle regioni o, nel caso di imprese con più sedi a livello regionale, dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali. Per il 2012 questo è un passaggio necessario, altrimenti vi saranno situazioni scoperte che produrranno disoccupazione. Anche il problema dei giovani è sotto gli occhi di tutti, con il tasso di disoccupazione che oscilla tra il 27 e il 30 per cento.
Il primo problema che vorrei porre riguarda le tutele passive. Io penso che la questione sia fondamentale. Nel momento in cui la crisi morde ancora, dovremmo cominciare a preoccuparci del passaggio da tutela passiva a tutela attiva. Vorrei ricordare che una parte delle risorse dirottate per le tutele passive arrivano dai FAS e dal Fondo sociale europeo, in quest'ultimo caso dalla formazione. Temo che non si possa immaginare di prolungare all'infinito una tutela passiva senza cominciare a immaginare l'innesto di una tutela per il lavoro, per la formazione, per l'ingresso al lavoro. Vorrei sapere come la pensate a questo proposito.
Inoltre, come ricordava l'onorevole Gatti, anch'io non comprendo la sua affermazione riguardo alla rigidità in entrata e in uscita. Personalmente credo che abbiamo un'eccessiva quantità di forme flessibili di ingresso nel mercato del lavoro. Alle volte immagino che anche voi come imprese facciate fatica a orientarvi. Se come dice l'onorevole Gatti i contratti sono quarantasette, è evidente che siamo di fronte a una sorta di «supermercato». Non sarebbe meglio, sicuramente per quanto riguarda l'ingresso nel mercato del lavoro, parlare non di rigidità, ma di un eccesso di flessibilità che non aiuta né il lavoro né le imprese?
Per quanto riguarda la rigidità in uscita, come è stato già ricordato, voi rappresentate imprese che, almeno in gran parte, sono al di sotto della fatidica soglia dei sedici dipendenti. Coloro che propongono di eliminare l'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori e anche i cultori della materia di ispirazione liberista, che è esattamente il contrario della mia, pensano che abolire l'articolo 18 significhi rendere più costoso il licenziamento per le imprese. Questo bisogna saperlo; probabilmente per voi questo scambio non sarebbe di grande convenienza, visto l'universo di imprese che rappresentate. Io ovviamente penso che sia sbagliato arrivare a questa decisione.


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La formazione è un punto molto importante e si collega alla questione dell'apprendistato. Io penso che sarebbe molto utile per i nostri giovani, per aiutarli a orientarsi nella scelta del lavoro, svolgere stage e tirocini durante il ciclo di formazione secondaria dopo la scuola media, e anche dopo il conseguimento dei diplomi o delle maturità. Soprattutto, credo che sia molto importante un riorientamento culturale sul tema del lavoro manuale.
Questo significherebbe compiere una rivalutazione sociale, remunerare e tutelare adeguatamente il lavoro manuale. Finché i nostri figli percepiranno l'essere operaio come stare al fondo della scala sociale, essere poco pagati, rischiare e faticare, tutto questo sarà molto difficile da realizzare, e utilizzeremo lavoratori extracomunitari o più disponibili a compiere questi lavori che vengono ritenuti impropriamente poco pregiati, mentre nel settore dell'artigianato potremmo formare le nuove generazioni fornendo la capacità delle generazioni precedenti di produrre artigianato di qualità.
Si è arrivati a un accordo tra le parti sociali sul tema dell'apprendistato. Anche noi l'abbiamo valutato positivamente, pur non nascondendo alcune criticità. Ma è importante che ci sia l'accordo da parte di tutti. Io l'ho sempre pensata in un certo modo e non so se condividerete, ma secondo voi è giusto che l'apprendistato non sia né troppo corto né troppo lungo? Se è troppo corto, utilizzeremmo l'apprendistato, che ha un altro intento, come manodopera a basso costo; se è troppo lungo, secondo me non verremmo incontro all'esigenza delle giovani generazioni di vedere a un certo punto stabilizzato il proprio lavoro.
Credo che il periodo di tre anni fotografi bene un lunghissimo periodo di prova, terminato il quale però si pone un problema. Come pensano le vostre imprese, per le caratteristiche che hanno, terminato il periodo di apprendistato, per esempio, di tre anni, di convertirlo, non in automatico ma attraverso le prove selettive che vengono sempre sottoposte a questi giovani lavoratori, in lavoro a tempo indeterminato, in lavoro stabile?
Io credo che questo sia un punto cruciale. Riterrei giusto, per favorire questo passaggio dall'apprendistato al lavoro stabile, intervenire strutturalmente su un costo del lavoro più favorevole nel momento del passaggio, soprattutto per le giovani generazioni, piuttosto che ricorrere a questo click day che, come sappiamo, sottopone a grande stress in particolare gli operatori più sprovveduti o meno provvisti di tecnologie o di apprendimento circa le dotazioni informatiche.
Queste erano le mie osservazioni, mi interesserebbe conoscere le vostre opinioni in merito.

GIULIANO CAZZOLA. Ringrazio i rappresentanti di Rete Imprese e i colleghi che pongono sempre domande stimolanti. Ne porrò alcune anch'io, se saranno stimolanti lo vedremo dopo.
Per quanto riguarda l'apprendistato, nell'esposizione delle posizioni delle vostre associazioni ne è stato dato un giudizio positivo, anche sul piano della speranza e delle prospettive legate al recente decreto legislativo di riforma, che peraltro non mi risulta essere ancora stato pubblicato e che quindi non è ancora una legge dello Stato.
In proposito, però, rammento che l'accordo preliminare che diede vita allo schema di decreto e al decreto legislativo stesso non venne sottoscritto da alcune delle vostre organizzazioni aderenti, soprattutto quelle del settore del commercio, oltre che dall'ABI, per un contrasto rispetto al periodo di durata dell'apprendistato.
Capisco che una volta che sarà legge dello Stato il problema non sarà più quello di aderire o meno, ma di applicarla, ma mi interessa sapere se queste differenze, questi dispareri e queste considerazioni in certa misura anche comprensibili, al di là del giudizio che si può dare, siano stati superati oppure se ritenete che in materia sia possibile svolgere altre iniziative.


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È stato anche fatto notare che la cassa integrazione in deroga è stata in grado di far fronte alle questioni di maggiore urgenza per quanto riguarda il problema dell'occupazione, soprattutto nella fase più calda e più drammatica all'inizio della crisi, che peraltro è lontana dall'essere superata, anche se si è trasformata internamente rispetto ai problemi che si sono posti all'inizio.
Ricordo qui che un'organizzazione audita nel quadro di questa indagine, consegnandoci la relativa documentazione e le valutazioni che la sostenevano, ha fatto notare che grazie al massiccio impiego della cassa integrazione guadagni, soprattutto nei settori che erano scoperti, sono stati salvati 700 mila posti di lavoro.
Facendo un conto fra gli 1,3 milioni corrispondenti all'ammontare delle ore autorizzate di cassa integrazione e i 553 mila posti di lavoro perduti, compensando algebricamente tra italiani che avevano perso il posto di lavoro e stranieri che l'avevano riottenuto, il risultato della sottrazione era in buona sostanza 700 mila posti di lavoro salvati.
L'ISFOL aveva anche fatto alcune considerazioni di confronto, dimostrando come nella crisi dei primi anni Novanta, a fronte di un punto perso di PIL, l'occupazione persa ammontava a 1,1 punti percentuali. Diversamente, nel 2009 per ogni punto di PIL perso la flessione dell'occupazione è stata pari allo 0,48 per cento. Gli strumenti messi in campo, quindi, hanno consentito più che di dimezzare gli effetti negativi - purtroppo parliamo del bicchiere mezzo vuoto - della crisi sul versante dell'occupazione.
Ciò detto, l'onorevole Gatti, che è sempre un'attenta commentatrice e osservatrice dei fatti della società italiana, ha fatto la prova finestra alle indagini di Excelsior Unioncamere e così via, immagino per metterne in discussione la corrispondenza con i dati di fatto. A questo punto, al di là di giudicare i criteri con cui queste indagini vengono condotte, va detto che tali criteri, ivi compresi quelli statistici dell'Istat, sono sempre approssimazioni umane alla verità e si basano su una serie di verifiche, di calcoli e di valutazioni che ovviamente hanno un margine di errore, anche se le statistiche ufficiali vanno prese per quello che sono.
C'è stato un periodo in cui le statistiche dell'Istat erano equiparate ai dati che faceva circolare l'Eurispes e ci sono momenti in cui i dati, per esempio, di organizzazioni sindacali vengono messi a confronto con quelli dell'Istat. Come diceva un mio professore, spesso si usano i dati come gli ubriachi usano i lampioni, cioè per appoggiarvisi nell'incedere claudicante piuttosto che per fare luce.
Sovente i dati vengono usati e strumentalizzati per sostenere delle tesi. Voi però siete gente di impresa e di associazione e quindi saprete anche come va il mondo, saprete se è vero o non è vero, visto che tutti gli anni Confartigianato tira fuori queste informazioni, che certe figure professionali mancano nelle aziende che voi rappresentate, al di là di quello che ci dice l'Eurispes, l'Istat, Excelsior, Unioncamere e via di questo passo.
Per concludere, io sono stato molto impressionato dalla lettura di un articolo comparso ieri sul Corriere della Sera a firma di Fabio Savelli, il quale dimostrava, con dati e confronti internazionali, il dramma che riguarda il lavoro e soprattutto il lavoro dei giovani. Si interrogava su una situazione drammatica, lasciando capire che è più o meno comune a tutti i Paesi. Pensare che in un solo Paese non sia possibile il socialismo, ma sia possibile la risoluzione del problema dell'occupazione giovanile dovrebbe indurci a qualche riflessione più prudente, soprattutto sul fatto che esista una scorciatoia normativa, una regola o una norma fatta o cancellata che possa risolvere questi problemi.

AMALIA SCHIRRU. Volevo un chiarimento sulla questione degli sgravi contributivi a cui è stato accennato. Mi viene rappresentata una realtà molto diversa e mi viene anche difficile oggi ragionare di nuovi strumenti per l'occupazione, dal momento che c'è ancora da lavorare per il mantenimento dell'occupazione da parte del titolare dell'impresa prima di tutto,


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vista la questione di Equitalia e quant'altro.
Ci sono aziende più consistenti che, come avete detto voi, stanno affrontando la crisi con una forma di resistenza, mantenendo l'occupazione, ma non disponendo probabilmente della liquidità necessaria per andare avanti e soprattutto per dare tutela e sicurezza agli stessi lavoratori.
Mi interessava capire meglio come dovrebbe essere articolata questa forma di sgravio contributivo sia per il mantenimento dell'occupazione sia per favorire nuove forme di occupazione. Senz'altro una di queste nuove forme potrebbe essere l'apprendistato, ma con tempi ridotti come si faceva una volta, non di cinque sei anni.
È importante anche la formazione professionale, fermo restando che anch'io penso che oggi il problema grosso non sia tanto quello della rigidità in entrata e in uscita dal mercato del lavoro, anche perché ormai sulla questione della flessibilità ci stiamo tutti orientando.
Come ripeto, mi piacerebbe capire un po' meglio come affrontare la tematica degli sgravi contributi.

PRESIDENTE. Do la parola ai nostri ospiti per la replica.

STEFANO DI NIOLA, Rappresentante di RETE Imprese Italia, responsabile del dipartimento relazioni sindacali della CNA. Provo a dare alcune risposte, poi i colleghi, se riterranno, potranno integrare alcune questioni specifiche inerenti a un comparto e non a tutto l'insieme di Rete Imprese Italia.
Le domande sono tutte quante molto interessanti e stimolanti, tutte, comprese quelle dell'onorevole Cazzola (che prima si chiedeva se le sue lo sarebbero state). Vorrei innanzitutto sottolineare il fatto che per noi esiste un tema flessibilità del lavoro, ma che l'inciso rigidità in entrata e in uscita dal mercato del lavoro tale è: un inciso all'interno di un documento molto complesso e articolato che tocca vari aspetti.
Tutti noi abbiamo letto la richiesta della BCE allo Stato italiano, pubblicata per vie traverse dal Corriere della Sera, e in fin dei conti non siamo fuori da quel solco. Vorrei dire però una cosa su questo tema, tentando di rispondere complessivamente ad alcuni dei quesiti posti.
Oggi, considerando le possibilità che ha un imprenditore di assumere dei lavoratori, non ci troviamo di fronte a un paio di opzioni, ma a un ventaglio talmente ampio che a volte rischia di creare nell'imprenditore, soprattutto in quello meno strutturato, un senso di disorientamento, tanto da indurlo a scegliere solo alcune forme di ingresso nel proprio mercato del lavoro, nella propria impresa. Ovviamente, scegliendo solo o principalmente talune forme piuttosto che altre, si orienterà per quelle più note e più conosciute, che sono anche quelle più tutelate.
Una riflessione intorno a questo tema dovremo farla. Il percorso forse più auspicabile sarebbe quello di semplificare. Tuttavia, senza voler ribadire un refrain come un mantra per convincervi, ma perché secondo noi è davvero così, l'apprendistato da questo punto di vista può essere un canale importantissimo di ingresso nel mercato del lavoro, soprattutto per i giovani.
Il problema della qualità dell'apparato produttivo si pone, ma vorrei segnalare che quello esistente ha resistito. Ogni dieci o quindici anni ci interroghiamo se sia meglio piccolo, medio, grande o micro, ma alla fine oggi siamo questi. Abbiamo tentato di resistere con tutte le nostre forze e con tutte le forze che la legislazione ci ha messo a disposizione, compresi gli ammortizzatori in deroga.
È vero, come diceva l'onorevole Damiano, che sono stati finanziati attraverso uno spostamento di risorse altrimenti destinate alle politiche attive del lavoro, le stesse politiche che noi vorremmo al centro dello sviluppo di competenze nell'ambito di un mercato del lavoro che secondo noi ne è privo (poi arriveremo alla questione di Excelsior).
Ciononostante, questa scelta è stata fatta, con il consenso di tutti, parti sociali,


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Governo e regioni, in un periodo assolutamente emergenziale. Non si poteva fare altrimenti.

GIULIANO CAZZOLA. In quel caso almeno li abbiamo spesi, di solito non si spendono!

STEFANO DI NIOLA, Rappresentante di RETE Imprese Italia, responsabile del dipartimento relazioni sindacali della CNA. È vero, li abbiamo spesi, mentre spesso queste risorse rimangono inutilizzate.
A febbraio del 2009, come sistema, abbiamo stanziato 8 miliardi di euro per gli ammortizzatori in deroga. Ricordo che queste risorse sono state ampiamente utilizzate anche da coloro che sono a pieno titolo inseriti all'interno degli ammortizzatori sociali ordinari. La cassa in deroga è servita ai nostri settori e a coloro che mediamente rappresentiamo, ma anche a quelle imprese, che noi rappresentiamo non nella totalità, che invece sono inserite normalmente nel ciclo degli ammortizzatori sociali ordinari.
Quanto a Excelsior, va preso per quello che è. Si tratta delle intenzioni di assunzione confrontate con uno stock di diplomati di quell'anno. Lo strumento di Excelsior è buono, ma non è l'unico. Ci sono indagini dell'Istat, ci sono quelle dei nostri centri studi, ma tutte confermano che non abbiamo disponibili sul mercato le figure professionali ad alta specializzazione delle quali avremmo bisogno. Per questo ricorriamo a strumenti come l'apprendistato, ma anche ad assunzioni diversamente articolate, attraverso cui inseriamo le persone in azienda e trasferiamo loro le competenze necessarie a svolgere un certo tipo di attività.
Secondo noi, come riportato nel documento, andrebbe compiuto un opportuno ragionamento, riflettendo sulle citate questioni relative al sistema di istruzione e di formazione professionale. Noi riteniamo che gli istituti tecnici e professionali debbano essere salvaguardati. Se l'idea che abbiamo di quel sistema è un'idea di serie B, sbagliamo. Dobbiamo ragionare sul fatto che per noi e per le nostre imprese quelli sono serbatoi di competenze, anche se negli anni non è stato più così.
Negli ultimi vent'anni, forse, il sistema si è deteriorato. Dobbiamo rimettere mano a quel meccanismo. È vero che c'è la fuga dei cervelli e che noi assumiamo persone con basse qualifiche per formale in impresa e ottenere dopo cinque anni la specializzazione della quale avevamo bisogno. Forse però è anche vero che il nostro mercato del lavoro, in termini di disponibilità di posti di lavoro immediati nelle imprese, non è sempre in grado di assorbire le figure che escono dal sistema universitario. Il mondo universitario a volte non è collegato a quello delle imprese.
Questo per noi è un elemento che va ribadito insieme al fatto che, se l'apprendistato prenderà la forma che noi auspichiamo, potrà esserci uno sviluppo del mercato del lavoro, anche attraverso questa strumentazione.
La dimensione formativa dell'apprendistato, come dicevo, consente di recuperare e strutturare competenze all'interno dell'impresa e di assicurare una formazione di base trasversale utile all'esterno per acquisire competenze che non sono importanti subito, ma potranno esserlo dopo un po' di tempo.
Il ruolo delle politiche attive nel nostro Paese, quindi, dovrebbe essere ripensato. Come dicevo prima, abbiamo strutturato gli ammortizzatori in deroga facendo ricorso al Fondo per le aree sottoutilizzate e al Fondo sociale europeo. È stata una necessità, ma non vorremmo che questo diventasse una costante. Se fosse vero, come di certo è, che esistono degli avanzi, riterremmo importante ragionare sulla loro destinazione - quando la crisi sarà finita e non ci sarà più bisogno del concorso di quelle risorse alla cassa in deroga - ad altri tipi di attività, sempre in termini di politiche attive del lavoro.
Per quanto riguarda la rivalutazione del ruolo delle attività manuali, si tratterebbe di una discussione molto complessa e articolata. Tutti sappiamo che nell'accezione comune è molto meglio un «lavoro con la cravatta» piuttosto che un lavoro


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dove si fatichi. Questo però non corrisponde a una retribuzione che sia inversamente proporzionale alla fatica. Faticare di meno e guadagnare di più, non è così che funziona. Prima della crisi, per citare un esempio che coinvolge sia il commercio che l'artigianato, non so quanti in media potevano arrivare a guadagnare quanto un autista di camion. Sia nel commercio sia nell'artigianato abbiamo questo settore e vi assicuro che erano retribuzioni su cui fare un pensierino.
Prima di lasciare la parola alle colleghe, vengo alla questione degli sgravi contributivi. Nel 1997 o nel 1998 - non ricordo esattamente - per uno sgravio contributivo sulla contrattazione di secondo livello derivante da incrementi di produttività lo stanziamento era pari agli attuali un miliardo e 400 milioni di euro. Oggi quelle risorse ammontano a 650 milioni di euro.
Essendo state più che dimezzate, c'è la certezza che quelle risorse non bastino per tutti. Non bastando per tutti, è stato creato il meccanismo del click day, che non è soltanto un meccanismo sfortunato in relazione alla dimensione o alle possibilità aziendali. Se la mia fosse un'impresa strutturata che va anche molto bene, con centinaia di milioni di euro di fatturato, ma si trovasse in una zona dove la banda larga non arriva, il meccanismo non funzionerebbe, c'è poco da discutere. Pertanto, riteniamo che andrebbe ripensato con altri criteri.
La crisi da un certo punto di vista ci ha «aiutato» perché il numero delle richieste è stato inferiore alle aspettative. Noi ci auguriamo che tutta l'economia complessivamente riprenda, ma quando ciò avverrà ci dovremo porre il problema del funzionamento di questi sgravi.

PRESIDENTE. Prima di dare la parola ai suoi colleghi, vorrei porre una domanda.
Mi ha stimolato una piccola riflessione quando ha detto che da tutte le indagini, indipendentemente dai metodi e dai modelli seguiti, emerge un dato, cioè la non corrispondenza della formazione alle necessità obiettive dell'impresa.
Ai fini della nostra indagine, almeno in termini di valutazione prospettica nell'evoluzione di una qualità imprenditoriale che si va ridefinendo nel mercato, per come esso si svilupperà nella fase post-crisi - dobbiamo anche ragionare con un piccolo elemento di fiducia e di ottimismo -, per vedere esattamente come collocare gli interventi strutturali che lei richiamava, sarebbe estremamente interessante conoscere alcuni dati, sia pure approssimativi, che ci consentano di prefigurare una condizione nella quale la domanda di determinate figure professionali possa effettivamente crescere in certi settori piuttosto che in altri.
Ci aiuterebbe anche a fornire alla nostra indagine qualche elemento quantitativo, sul quale posizionare poi una riflessione ai fini della formulazione di un modello formativo diverso. Sono molto convinto e d'accordo con lei sul fatto che istituti professionali e formazione tecnica siano assolutamente essenziali per dare risposta alla domanda e al bisogno che oggi ha l'impresa. Però, in un mondo lavorativo che cambia, alcune figure andrebbero meglio individuate e dettagliate. Se fosse possibile avere questi dati, credo che vi saremmo tutti grati.

ILARIA DI CROCE, Rappresentante di RETE Imprese Italia, addetta al settore lavoro e relazioni sindacali della Confcommercio. Nel ringraziare, volevo rispondere all'onorevole Cazzola che a proposito del Testo unico dell'apprendistato giustamente evidenziava come nel documento si parli di condivisione e ricordava che all'epoca talune parti non l'avevano sottoscritto.
Noi già in quella sede abbiamo condiviso sia le finalità sia la ratio che ha spinto a riformare l'apprendistato. Da questo punto di vista siamo sempre stati d'accordo. La nostra perplessità, che comunque permane, sta nel fatto che per figure professionali identiche siano previste durate differenti. Questa è stata la motivazione che ci ha spinto a non sottoscrivere l'accordo, non invece la finalità, il ruolo della formazione e quant'altro fosse previsto.


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L'onorevole Damiano aveva evidenziato il problema relativo a cosa succede al termine dell'apprendistato. Se ho ben compreso, affermava che è giusto che l'apprendistato non sia né troppo lungo né troppo corto e ci chiedeva come le imprese pensavano di «assorbire» quelle risorse. Nel nostro contratto collettivo prevediamo, a fronte dell'assunzione di apprendisti, l'obbligo di assunzione a tempo indeterminato, una volta terminato l'apprendistato, dell'80 per cento di loro. Laddove questo non fosse, si bloccherebbero le successive assunzioni.
Contrattualmente, questo noi lo facciamo già da parecchi anni.

STEFANO DI NIOLA, Rappresentante di RETE Imprese Italia, responsabile del dipartimento relazioni sindacali della CNA. Vogliamo ringraziare il presidente e tutti i membri della Commissione. Sarà nostra cura farvi pervenire alcuni dati e forse anche alcuni studi, che abbiamo effettuato negli anni, in relazione agli stock in entrata e in uscita e alle qualifiche professionali necessarie alle nostre imprese.

PRESIDENTE. Ringrazio gli intervenuti e dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 13,40.

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