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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissione XI
19.
Giovedì 27 ottobre 2011
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Cazzola Giuliano, Presidente ... 3

INDAGINE CONOSCITIVA SUL MERCATO DEL LAVORO TRA DINAMICHE DI ACCESSO E FATTORI DI SVILUPPO

Audizione del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, Mariastella Gelmini:

Cazzola Giuliano, Presidente ... 3 8 9 13 14 19
Damiano Cesare (PD) ... 11
Fedriga Massimiliano (LNP) ... 9
Froner Laura (PD) ... 12
Gelmini Mariastella, Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca ... 3 15 19
Gnecchi Marialuisa (PD) ... 8
Pelino Paola (PdL) ... 13
Scandroglio Michele (PdL) ... 13 19
Schirru Amalia (PD) ... 10
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro per il Terzo Polo: UdCpTP; Futuro e Libertà per il Terzo Polo: FLpTP; Italia dei Valori: IdV; Popolo e Territorio (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, La Discussione): PT; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling; Misto-Repubblicani-Azionisti: Misto-R-A.

COMMISSIONE XI
LAVORO PUBBLICO E PRIVATO

Resoconto stenografico

AUDIZIONE


Seduta di giovedì 27 ottobre 2011


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PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE GIULIANO CAZZOLA

La seduta comincia alle 14,05.

(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, Mariastella Gelmini.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sul mercato del lavoro tra dinamiche di accesso e fattori di sviluppo, l'audizione del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, Mariastella Gelmini.
Ricordo che, secondo quanto convenuto nell'ambito dell'ufficio di presidenza integrato dai rappresentanti dei gruppi, con la presente audizione può considerarsi esaurito il programma dell'indagine avviata dal maggio di quest'anno, fermo restando che la presidenza si riserva di presentare una proposta di documento conclusivo entro la prima decade del mese di novembre, al fine di fare il punto sul complesso degli elementi emersi nel corso delle audizioni svolte.
Ringrazio quindi il Ministro Gelmini per la sua presenza e le do la parola.

MARIASTELLA GELMINI, Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. Ringrazio l'onorevole presidente e gli onorevoli colleghi della Commissione lavoro per questa opportunità di illustrare quanto stiamo facendo nell'ambito dell'istruzione, dell'università e della ricerca per favorire l'occupazione.
Parto da un principio che informa le nostre politiche in materia scolastica e universitaria, cioè il tentativo di creare una vera integrazione tra il sistema dell'istruzione e della formazione e il mercato del lavoro. Infatti, come sapete, per troppo tempo vi è stata una distanza incolmabile fra questi due mondi e il tutto si è riflesso in maniera estremamente negativa sul tema dell'occupazione, in particolare l'occupazione dei giovani.
Avvicinare scuola e università al mondo del lavoro credo che sia il tratto distintivo e comune di numerosi provvedimenti, di numerosi interventi che abbiamo fatto nel corso della legislatura con l'obiettivo di contrastare la dispersione scolastica, che nel nostro Paese è oltre la media europea di circa 9 punti, e anche per ridurre una disoccupazione giovanile, che purtroppo ha raggiunto livelli di grande preoccupazione.
Mentre la disoccupazione media è sotto il livello europeo, quella disoccupazione giovanile risulta ben oltre il 20 per cento, e questo è un dato preoccupante.
La prima decisione che abbiamo assunto è stata quella di non cominciare da capo, di non azzerare quanto il precedente Governo aveva fatto in questo ambito, ma di mantenere ciò che di positivo poteva esserci con un risparmio di tempo e con una logica della continuità istituzionale. In


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tal senso, abbiamo mantenuto l'obbligo di istruzione a 16 anni già innalzato dal Ministro Fioroni, consentendo però l'assolvimento dell'obbligo di istruzione anche attraverso i percorsi della formazione professionale regionale e il contratto di apprendistato, sul quale il Ministro Sacconi ha profondamente innovato.
Nell'ambito della riforma della scuola secondaria abbiamo cercato di evitare il rischio di una licealizzazione, che non ritenevamo condivisibile, e abbiamo mantenuto il sistema dei licei ma rilanciando l'istruzione tecnica, cercando di dare pari dignità a queste due tipologie di scuola, intercettando un bisogno del sistema delle imprese, che è quello di avere professionalità adeguate e tecnici qualificati.
Faccio notare che nel 2010 - nonostante la disoccupazione sia al livello che vi ho detto poc'anzi - abbiamo avuto 100.000 posti di lavoro non occupati (sono dati Unioncamere) proprio perché la scuola non è stata in grado di offrire i profili tecnici che il mercato del lavoro e il settore produttivo richiedevano.
In questo senso, credo che la riforma dell'istruzione tecnica, al fine di ridare valore e peso specifico a questo segmento di scuola, sia stata una scelta in coerenza e in continuità con il precedente Governo. La Commissione De Toni, insediata dal Ministro Fioroni, ha continuato a lavorare anche nel corso di questa legislatura, rivedendo i quadri orari, le impostazioni dell'istruzione tecnica e prevedendo non solo la formazione nei laboratori tecnici, ma anche l'alternanza scuola/lavoro e la formazione in ambiente lavorativo.
Non a caso abbiamo utilizzato molto gli stage, i tirocini, che sono stati recentemente disciplinati e regolati dal Governo attraverso la previsione di tempi certi e limitati dopo la laurea e dopo il diploma, onde evitare che sotto la forma di pseudo-tirocini o stage si potesse celare uno sfruttamento dei giovani lavoratori.
Abbiamo anche scelto di rilanciare l'istruzione tecnica di terzo livello. Come sapete, all'interno della riforma universitaria sono stati tagliati i corsi inutili, molte sedi distaccate, molti corsi che non garantivano qualità, che non erano accreditati, spesso corsi con uno, due o tre studenti che non avevano ricadute occupazionali. Abbiamo però fatto questo non solo in un'ottica di razionalizzazione, ma nell'ottica di dare valore e di rivedere il sistema dell'università.
Mancava la formazione di terzo livello, cioè la formazione di tecnici altamente qualificati, altamente specializzati, che sono particolarmente richiesti nel nostro Paese e che danno garanzie di occupazione. Abbiamo completato l'iter normativo che porta all'istituzione degli ITS, cioè degli istituti tecnici superiori, e lo abbiamo fatto nella logica di creare delle fondazioni, alle quali accedono e partecipano istituti tecnici, centri di ricerca pubblici e privati, università, imprese.
Sono nati spontaneamente, qualche volta con il sostegno del Ministero, in quasi tutte le Regioni circa 58-59 ITS, che rappresentano la possibilità di avere tecnici molto qualificati nei settori del made in Italy, delle nuove tecnologie, dell'agroalimentare, della salute, dell'aerospazio per citare solo alcuni settori.
Stiamo affrontando e monitorando queste esperienze con grande attenzione, perché come tutti i progetti sperimentali devono essere poi affinati, migliorati, emendati nella loro realizzazione, ma crediamo che questo sia un fiore all'occhiello, un punto fermo del sistema dell'istruzione italiana.
Abbiamo anche varato con il Ministro Sacconi e il Ministro Meloni un piano per l'occupabilità dei giovani attraverso l'integrazione tra apprendimento e lavoro, un piano che richiama l'attenzione sull'urgenza del problema della disoccupazione giovanile, individuando 6 aree di intervento.
La prima è legata alla transizione dalla scuola al lavoro e al tema dell'orientamento, che è un tema fondamentale, perché oggi forse più del passato i giovani e le famiglie non sono messi in condizione di fare scelte consapevoli e ragionate sulla base delle loro attitudini e inclinazioni, ma anche della conoscenza puntuale delle possibilità occupazionali.


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L'orientamento, materia sulla quale abbiamo investito risorse ingenti, riguarda i professori ma anche la società nel suo complesso, perché è compito dei quotidiani, dei mezzi di informazione televisivi, delle nuove tecnologie concorrere a fornire agli studenti, ai giovani, alle loro famiglie gli strumenti necessari per fare scelte puntuali.
Su questo abbiamo realizzato un grande lavoro per fare in modo che l'orientamento si esplichi in un insieme di attività, che mirino a formare e a potenziare le capacità degli studenti e delle studentesse di conoscere se stessi, ma anche l'ambiente in cui vivono, i mutamenti culturali e socioeconomici, le offerte formative, affinché possano essere messi nelle condizioni di programmare il proprio percorso di studi e la propria carriera professionale.
Abbiamo anche liberato le modalità con cui utilizzare il collocamento e responsabilizzato le università attraverso un accordo sul sito Cliclavoro: abbiamo chiesto alle università di aiutarci a pubblicare per un anno i curricula dei neolaureati al fine di aiutarli nella ricerca di un posto di lavoro.
Dicevo prima del rilancio dell'istruzione tecnica superiore ma anche della formazione professionale, e questo è un punto che ci deve fare riflettere sulle deleghe alle Regioni delle diverse competenze, ma in particolare di questa sulla formazione. Infatti, abbiamo chiesto a tutti gli assessori regionali all'istruzione di aiutarci a operare un monitoraggio sull'andamento e sulla qualità della formazione professionale, che non ha standard qualitativi omogenei ed elevati in tutto il Paese.
Su questo abbiamo concentrato un'analisi, uno sforzo di rappresentazione del punto di partenza: stiamo collaborando con le Regioni per capire i punti di debolezza soprattutto nel Mezzogiorno. Abbiamo anche previsto il rilancio del contratto di apprendistato di primo, di secondo e di terzo livello: ne abbiamo ridotto il costo e abbiamo anche dato la possibilità attraverso questa tipologia di contratto di ottenere un dottorato di ricerca, non solo un diploma di scuola superiore.
Questo punto si è inserito all'interno della riforma dell'università, ma anche della riforma del dottorato di ricerca, che era una necessità, perché moltiplicare le scuole di dottorato senza verificare la qualità e la spendibilità per chi consegue il dottorato di quel titolo di studio è un modo per tradire le attese e le aspettative.
Oggi, a seguito dell'attuazione della riforma e del regolamento relativo al dottorato di ricerca, daremo a poche università particolarmente qualificate la possibilità di attivare scuole di dottorato, che saranno in grado di garantire le aspettative e di fare in modo che coloro che conseguono i dottorati possano spendere questo titolo nell'ambito di competenza.
Abbiamo anche ripensato l'utilizzo dei tirocini formativi, promosso esperienze di lavoro nel corso degli studi, educato alla sicurezza sul lavoro, costruito sin dalla scuola e dall'università una sensibilità in materia di tutela pensionistica. In particolare, abbiamo condiviso con il Ministero del lavoro e delle politiche sociali i corsi sperimentali all'interno di alcune scuole (soprattutto scuole superiori) sul tema della sicurezza sul lavoro, e abbiamo collaborato con le scuole secondarie e superiori per sviluppare una consapevolezza della necessità di una tutela pensionistica, al fine di conoscere i fondamentali di questo settore fin dalla giovane età.
Oltre alla riforma della scuola superiore, l'altro punto fermo è stata la riforma dell'università, che è entrata a pieno titolo nel documento che l'Italia ha predisposto per rispondere all'Unione europea, al Consiglio europeo. Il primo punto riguarda la valorizzazione del capitale umano e le riforme scuola e università, proprio perché noi riteniamo che siano un punto centrale per la crescita e per la competitività del sistema Paese e anche per fare in modo che esista concretamente un patto fra le generazioni, per cui i costi di questa crisi non siano pagati dalle giovani generazioni, da coloro che oggi sono studenti o poco più in là negli anni.


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Abbiamo assunto l'impegno di completare il processo di attuazione della riforma, che comporta ben 38 provvedimenti attuativi entro la fine del 2011, impegno che siamo in grado di mantenere, perché riteniamo che in futuro debba comparire almeno una - ma mi auguro più d'una - università fra le prime cento al mondo. Oggi questo non succede, abbiamo impostato male l'investimento nell'ambito universitario. Dico questo perché sono carenti i servizi e gli aiuti agli studenti, mentre sono pletorici i corsi, gli indirizzi, le cattedre, le sedi distaccate.
Pur con alcune doverose eccezioni, perché livelli di eccellenza esistono anche in Italia, in molti casi vi è stata una sorta di licealizzazione delle università, atenei nei quali si faceva poca ricerca e solo didattica. Questo piano di razionalizzazione che abbiamo portato avanti nella prima parte della legislatura con non pochi sacrifici oggi ci consente di cambiare il paradigma, di cambiare il modello e quindi pensare non più a un'università sotto casa, ma a servizi per gli studenti (residenze universitarie, borse di studio, prestiti d'onore) per aiutare le famiglie in un momento di crisi a mantenere i figli alle università.
È chiaro che non siamo ancora soddisfatti delle risorse che abbiamo potuto mettere a disposizione, ma alcuni numeri sono confortanti. Con il Ministro Fitto abbiamo recuperato 1 miliardo di euro: non si legge mai sui giornali, sento parlare dei tagli 2008, ma non di 1 miliardo di euro, che è una grossissima cifra, destinato a tutto il Mezzogiorno per il rilancio delle università, dei centri di ricerca, della didattica, per i laboratori, per le residenze universitarie. Questa grossa somma è stata ottenuta grazie a una collaborazione interistituzionale, non solo interministeriale, in particolare con le regioni.
Le regioni del sud hanno condiviso la priorità università e di conseguenza hanno posizionato i POR, i fondi strutturali sul tema dell'università. Questo ha determinato una disponibilità di risorse significative, che entrano a far parte del piano per il Mezzogiorno e che rappresentano una risposta alla fuga dei cervelli, alla disoccupazione, ma anche alla necessità di innalzare le competenze, le conoscenze, il grado di istruzione in quella parte del Paese.
A questo miliardo di euro si sommano 400 milioni di un bando infrastrutture in ricerca, che abbiamo da poco completato, e 915 milioni di euro (quasi un altro miliardo) per i distretti tecnologici. Questo dovrà produrre maggiore sviluppo, maggiore crescita, non solo attraverso una valutazione ex ante, ma anche attraverso una valutazione ex post - che è una delle novità più importanti della riforma universitaria - che si sostanzia in un riordino degli enti di ricerca.
È necessario infatti valutare i progetti non solo ex ante, prima di selezionarli, ma anche una volta ammessi al finanziamento e una volta finanziati, valutando le ricadute sul territorio in termini di occupazione, di sviluppo, di crescita di un determinato ambito territoriale.
Solo per la ricerca e per l'università nel Mezzogiorno abbiamo 2,5 miliardi da spendere: non capiterà più, è l'ultimo treno che passa, lo dobbiamo prendere nel migliore dei modi. Ciò significa evitare la frammentazione delle risorse e dei progetti, una forma di clientelismo purtroppo diffusa nel nostro Paese, e fare, al contrario, una valutazione oggettiva, meritocratica, consentitemi di dire spietata per scegliere il meglio, ciò che è in grado di produrre risultati in quel territorio.
Il rilancio del Mezzogiorno non a caso è fra i primi punti del famoso documento che abbiamo inviato all'Europa ed è una riforma possibile, perché non è a costo zero, ma è ampiamente finanziata.
All'interno della riforma universitaria, oltre all'impegno che abbiamo chiesto alle università per l'occupazione, per divulgare i curricula degli studenti, ci sono molti regolamenti che svecchiano il sistema universitario. Diminuisce l'età nella quale si diventa ricercatori, associati e poi ordinari, non arriviamo all'abolizione del valore legale del titolo di studio ma abbiamo l'accreditamento delle università, quindi una misurazione rigorosa degli standard qualitativi anche attraverso l'istituzione di


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un'agenzia per la valutazione, l'ANVUR, che è stata proposta dal precedente Governo e che noi abbiamo completato e finanziato.
Mi auguro che entro i primi mesi del 2012 ci consentirà di stendere un ranking delle migliori università. Oggi il Ministero non è ancora in grado di verificare attraverso indicatori oggettivi la qualità del nostro sistema universitario. L'ANVUR, con l'impegno del presidente Fantoni, di tutti i componenti del Consiglio, dei panel dedicati alle singole materie, sta costruendo l'albo della ricerca italiana, per cui ci sarà grandissima trasparenza nella valutazione dei curricula. Infatti, saranno pubblicati gli articoli, le ricerche, le pubblicazioni, gli approfondimenti, e quindi per ogni ricercatore e studioso italiano ci sarà una specie di curriculum, per cui saranno evidenti la qualità, la competenza, il peso, il prestigio di ciascuno.
All'interno della riforma dell'università abbiamo anche guardato alla gestione degli atenei, perché in alcuni casi vi si annidavano sprechi, inefficienze, spese fuori controllo, e, se non fosse stato individuato e curato, non solo con i tagli, ma anche con una governance più efficace, tutto questo avrebbe prodotto l'aumento delle tasse universitarie. Questa è la scelta operata ad esempio dall'Inghilterra, che però noi abbiamo rifiutato perché crediamo che non debbano essere i giovani a pagare gli sprechi e gli errori di altri.
Pur con alcune sollecitazioni di senso contrario, abbiamo deciso di non aumentare le tasse e di liberare alcune risorse sul fondo di finanziamento ordinario. Nella legge di stabilità trovate 300 milioni di euro sul FFO, 20 milioni per le università non statali, e sui servizi agli studenti abbiamo stanziato 150 milioni di euro per le borse di studio. Inoltre, abbiamo istituito, in un'ottica di collaborazione con il sistema delle imprese, il Fondo per il merito, che è cosa diversa rispetto al diritto allo studio e quindi alle borse di studio (in condivisione con il sistema regionale), essendo una fondazione da poco costituita che ha a disposizione 50 milioni di euro: essa ci consentirà di diffondere e implementare non solo la prassi delle borse di studio, ma anche quella dei prestiti d'onore.
Nel nostro Paese per diversi motivi questa non ha mai funzionato né è stata mai molto sperimentata, ma esiste in tutto il mondo. Ho chiesto la disponibilità del sistema bancario, dell'ABI, della Banca d'Italia per verificare i punti di debolezza del sistema dei prestiti e fare in modo di superarli, perché questo potrebbe essere davvero un grosso volano di aiuti agli studenti: non più solo le borse di studio, ma anche un prestito anticipato, che una volta terminato il corso di studi deve essere restituito.
Queste sono solo alcune delle modifiche legate alla formazione universitaria. Ricordo la partecipazione nei Consigli di amministrazione anche di imprenditori e di esponenti della società civile, perché l'apertura della scuola e dell'università al territorio diventa un modo per enfatizzare la vocazione produttiva di un determinato territorio, che cambia da regione a regione e che la scuola deve tenere presente, perché scuole autoreferenziali e università non calate nel territorio e non valutate producono inefficienza e poca occupazione.
È chiaro che la scuola e l'università da sole non possono farsi carico dei problemi occupazionali del Paese, ma possono condividere gli strumenti e le ricette per migliorare il grado dell'occupazione, in particolare quella giovanile.
Sapete che il Ministro Meloni, con grande sensibilità e con grande tenacia nel recuperare risorse, ha previsto alcune agevolazioni, che saranno contenute nel decreto sviluppo. Mi riferisco alle agevolazioni per i giovani studenti, per gli studenti lavoratori, per le madri impiegate part time. Il tentativo è quello di rendere più flessibile il mercato del lavoro e di creare sinergie adeguate con il sistema della formazione e il sistema dell'università, anche attraverso il finanziamento privato.
Sottolineo questo ultimo punto non con una visione ideologica: non si tratta di privatizzare alcunché, tantomeno la scuola e l'università, ma di liberare risorse, energie. Oggi abbiamo la necessità di crescere


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attraverso il mantenimento in Italia dei migliori cervelli, delle migliori intelligenze, delle migliori competenze. Lo possiamo fare non solo attraverso un investimento maggiore di risorse, ma anche innanzitutto attraverso un cambio delle regole che presiedono al mercato del lavoro e soprattutto al sistema dell'istruzione e dell'università.
Lo stiamo facendo, completeremo le riforme entro la fine dell'anno e poi quello costituirà un punto di partenza e non di arrivo, perché voi mi insegnate che sono molte le leggi approvate dal Parlamento e poi inapplicate. Credo quindi che la verifica e il monitoraggio costante sull'andamento di queste riforme, al fine di apportare le modifiche necessarie alla luce dell'esperienza e mettere in pratica ciò che abbiamo previsto, costituiscano un punto ineliminabile dal quale partire per dare risposta non solo all'Europa, ma anche e soprattutto per aumentare la mobilità sociale di una scuola che deve tornare ad essere un ascensore sociale in questo Paese.
In un'epoca in cui la concorrenza e la competizione, anche di Paesi emergenti oggi forse definitivamente emersi, sono agguerrite, non possiamo stare fermi, non possiamo raccontare ai giovani che ricette vecchie e superate siano in grado di reggere la crisi attuale, dobbiamo avere la forza del cambiamento. La collaborazione con l'opposizione è un fatto fondamentale così come la collaborazione con i sindacati, che possono essere di aiuto o di freno quando si affrontano riforme e processi di cambiamento.
Oggi, presso l'Associazione nazionale presidi ho condiviso un sistema di valutazione della dirigenza nella scuola, dopo aver portato avanti due progetti sulla valutazione del personale docente. Credo che queste forme di collaborazione e di condivisione degli obiettivi siano fondamentali e propedeutiche alla formazione di sistemi di valutazione e innovazione, che non possono essere calati dall'alto, ma devono essere frutto dell'esperienza e di una condivisione dal basso.
Se riusciamo a moltiplicare questi buoni esempi, queste buone pratiche, di cui la scuola e l'università sono dotate, si creeranno le condizioni per velocizzare il cambiamento e soprattutto per dare fiducia ai giovani, che oggi troppe volte sono angosciati dalla precarietà, dall'assenza di occupazione.
Concludo qui, pronta a rispondere a eventuali domande.

PRESIDENTE. Ringrazio il Ministro Gelmini per la sua illustrazione. Do la parola ai deputati che intendano porre domande o formulare osservazioni.

MARIALUISA GNECCHI. Mi soffermerò solo su una parte del discorso, perché devo dire sinceramente che mi sarebbe molto piaciuto essere in un'aula di una scuola superiore dove l'anno scorso e quest'anno si siano tenute delle lezioni sulla sicurezza previdenziale e sullo stimolo ai giovani a pensare alla propria pensione.
Immagino infatti che nello scorso anno scolastico si sarebbe spiegato che bisogna cercare di lavorare e avere contributi versati perché così poi si era sicuri di avere una pensione; quest'anno scolastico invece gli si sarebbe dovuto spiegare che bisogna avere questa sicurezza però solo se si lavora in un posto solo, perché, se si lavora iscritti all'INPDAP, all'INPS o alla gestione separata, si rischia di dover pagare contributi due volte.
Sarei molto curiosa di sapere cosa venga raccontato ai giovani rispetto alla sicurezza previdenziale, però anche cosa venga raccontato agli insegnanti, perché con la legge n.122 del 2010 gli insegnanti erano stati addirittura la categoria «privilegiata»: se perfezionavano il requisito entro il 31 dicembre, potevano addirittura andare in pensione il 1 settembre. Quest'anno, invece, dopo la manovra di agosto, se perfezionano il requisito a ottobre, vanno in pensione 23 mesi dopo.
Mi interesserebbe sapere cosa si dice rispetto alla sicurezza previdenziale dei giovani e degli insegnanti, che immagino ascoltino insieme ai giovani le lezioni, perché anch'io che mi occupo di pensioni non so più cosa pensare e cosa possa


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succedere da un giorno all'altro. Infatti, dal 2008 a oggi mi è sembrato un sistema a lotteria: i 10.000 in cassa integrazione, per cui 9.999 ce la faranno e il decimillesimo no, gli insegnanti un anno sì e l'anno dopo no.
C'è un tale disorientamento che anche chi ha avuto fiducia nelle istituzioni fino a qualche anno fa adesso vacilla. Mi interessa quindi capire cosa si vada a dire ai giovani, quali sicurezze andiamo a dare ai giovani, come spieghiamo sistemi che da un anno all'altro possono cambiare radicalmente. Cosa andiamo a dire a gente che poteva essere sicura di un proprio percorso pensionistico, visto che poi si vive con la pensione 20-30 anni? Adesso appare una sfortuna, ma prima pensavamo che l'accresciuta aspettativa di vita fosse una fortuna!
Cosa andiamo a dire ai giovani rispetto all'importanza del sistema di istruzione e di formazione professionale, quando tutto il dibattito sul maestro unico è servito in realtà a ridurre da 30 a 24 ore il numero delle ore settimanali alle scuole elementari, dai sei agli undici anni?
Ho veramente difficoltà nel capire quale possa essere la fiducia nelle istituzioni e come si possa trasmettere il valore della scuola visto che sulla scuola e sul sistema pensionistico in questi tre anni si è solo fatto cassa. Abbiamo difficoltà nel riuscire a dire ai giovani che avranno una scuola nella quale fare scuola; per noi la scuola è un valore, invece è stata ridotta alle elementari o scuola primaria, alle medie o scuola superiore di primo grado e alla scuola superiore di secondo grado.
Per di più c'è questa insicurezza profonda, per cui anche persone meno giovani non capiscono più quale sarà il futuro. Vorrei che vi rendeste conto che, se non riuscite a spiegarlo a noi che siamo adulti, vaccinati e anche vicino alla pensione, non so come possiate pensare di riuscire a spiegarlo ai giovani: dovete veramente dirci i contenuti rispetto alla sicurezza previdenziale, ai contratti, a cosa corrisponderanno retribuzioni e contribuzioni, quale futuro avranno davanti.

PRESIDENTE. Se mi consente, onorevole Gnecchi, se avesse rivolto le prime domande al Ministro Sacconi invece di uscire dall'aula insieme al suo gruppo, forse avrebbe potuto ricevere risposte più precise.

MASSIMILIANO FEDRIGA. Se mi permette un piccolo inciso, io ai giovani spiegherei che anche gli insegnanti hanno le stesse finestre degli altri lavoratori (Commenti del deputato Gnecchi). Vanno in pensione nell'anno successivo, come succede per gli altri lavoratori con le finestre mobili.
Ringrazio il Ministro per il suo intervento sull'orientamento, perché in questa indagine è emerso che la carenza sull'orientamento non solamente nell'ambito universitario, ma anche nelle scuole medie di primo e secondo grado ha comportato percorsi di studio scelti dai giovani che non hanno soddisfatto le esigenze lavorative delle imprese del nostro Paese.
Lei ha citato il dato dei 100.000 posti di lavoro tecnici non occupati, noi abbiamo avuto in audizione anche i rappresentanti di aziende che somministrano lavoro temporaneo), che ci hanno ricordato che esiste una richiesta di 150.000 posti di tecnici che non viene soddisfatta.
È chiaro quindi che il momento dell'orientamento dei giovani è fondamentale, perché bisognerebbe anche spiegare con chiarezza che determinati posti di lavoro post laurea sono a volte peggio retribuiti e danno forse minore soddisfazione lavorativa rispetto a lavori tecnici di cui c'è molta esigenza nel nostro Paese.
È dunque fondamentale rilanciare la formazione tecnica, per cui condividiamo le scelte operate dal Governo anche per quanto riguarda l'obbligatorietà della formazione e dell'istruzione sino a 16 anni, che però può essere svolta anche tramite apprendistato e corsi professionali.
Per quanto riguarda la questione stage che il Ministro ha ricordato, si è cercato di dare maggiori regole per quanto riguarda gli stage, ma forse sono stati dimenticati determinati percorsi di studio e di formazione: questi ultimi sono stati ricompresi


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in una successiva circolare, ma dal mio punto di vista in modo poco chiaro, per cui sarebbe necessaria una revisione legislativa. Cito l'esempio dei master di specializzazione, che erano esclusi dalla prima stesura della legge, nonostante garantiscano il 90 per cento di impiego (nel mio territorio, ad esempio, c'è il MIB di Trieste, secondo in Italia come qualità dopo la Bocconi).
In questo caso, secondo la legge non si poteva fare lo stage perché molti di questi master vengono seguiti anche dopo un'esperienza lavorativa, mentre secondo la circolare essi possono essere svolti all'interno del master stesso; quindi gli organizzatori dovranno rivedere la durata del master per ricomprendere gli stage all'interno della durata del percorso di studio. Si tratta quindi di complicare le cose per chi svolge un servizio sicuramente di altissimo profilo e di alto interesse anche per la parte privata, visto che i privati sono direttamente coinvolti nel finanziamento del master, dal momento che garantiscono e cercano forza lavoro all'interno delle loro aziende.
Ha parlato di valore legale del titolo di studio, battaglia che ci sta molto a cuore. Si possono trovare tutti i passi migliori per avvicinarsi a questo obiettivo, però potrebbe essere veramente la panacea che risolve i mali dell'istruzione del nostro Paese, perché si andrebbe a creare una competizione fra università ed enti di formazione basata non più sul voto di laurea, ma sulla qualità della formazione.
Se diciamo ai nostri giovani di scegliere l'università in base alla preparazione che hanno, perché tramite la preparazione potranno vincere i concorsi e superare i competitor nel mondo del lavoro, riusciremo a far sì che i giovani scelgano l'università in base alla qualità del servizio e della formazione data e non purtroppo, come avviene in molti casi, in base alla facilità del percorso di studio.
Come secondo effetto non collaterale ci sarebbe anche quello di mettere sullo stesso piano tutti coloro che si apprestano a competere nel mondo del lavoro, perché altrimenti avremmo alcune persone che vengono avvantaggiate, con voti di laurea molto più alti, ma con una preparazione nettamente inferiore rispetto a colleghi che hanno invece scelto di seguire percorsi più difficili, ma assolutamente più formativi.
Non voglio rubare troppo tempo, ma desidero solamente concludere ricordando che per quanto riguarda la formazione e l'orientamento dei giovani non ci si può limitare all'azione legislativa, essendo necessario da parte di chi si occupa direttamente della questione un senso di responsabilità che non può essere garantito da nessuna norma scritta.
Personalmente ho seguito il nuovo ordinamento nei corsi di laurea: nella triennale c'è l'obbligatorietà dello stage per avere i crediti necessari. Con molti colleghi dovevamo cercare lo stage chiedendo a qualche azienda amica di prenderci gratuitamente, a titolo di favore. Non è possibile: serve un'università che coinvolga direttamente il privato e che faccia accedere il giovane con un vantaggio per l'azienda ma soprattutto per il giovane che si trova a fare un percorso professionale non fittizio! Se l'azienda sarà soddisfatta, avrà così una possibilità di assunzione postlaurea.
Se andiamo verso questo percorso, riusciremo ad accettare e superare le sfide che si presentano. Come giustamente rileva lei, Ministro, non si può continuare a tenere un'università basata su un corpo docente - non voglio fare il populista, quindi ovviamente non parlo della maggioranza, però sicuramente di una parte - che preferisce fare il professore e lasciare lo scopo della didattica e della formazione (che comporta seguire gli allievi) a degli assistenti assunti con contratti precari e poco retribuiti.

AMALIA SCHIRRU. Ringrazio il Ministro, ma andrebbero approfonditi alcuni temi che nella sua relazione sono stati appena accennati, soprattutto per capire meglio come affrontare il tema emerso dalle diverse audizioni fatte in Commissione; mi riferisco ai giovani che non hanno studiato, non lavorano e sono connessi al fenomeno della dispersione scolastica e dell'abbandono


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della scuola (che ancora non è stato quantificato o almeno ciò non è stato riportato nella sua relazione).
In base ad alcune ricerche che ho svolto nella mia regione, questo fenomeno riguarda soprattutto i giovani delle classi sociali più deboli, con elementi di povertà e disagio, che hanno scelto gli istituti tecnici e professionali e che provengono soprattutto dai territori più lontani dalle sedi e dagli istituti scolastici superiori. In questi ultimi giorni ho appreso che questo fenomeno riguarda in modo altrettanto grave - essendo una tendenza sempre più in espansione - i minori stranieri, che arrivano al primo o al secondo anno delle scuole superiori professionali e poi si ritirano.
Vorrei chiederle quindi se non ritenga che a monte di questo fenomeno ci sia anche quanto accennato dall'onorevole Gnecchi, ovvero non solo elementi oggettivi di carattere sociale, ma anche, oltre a una mancanza di orientamento, un impegno venuto meno nella scuola media ed elementare non solo nel trovare strutture adeguate per migliorare la formazione elementare, ma soprattutto nel garantire una didattica e una formazione a causa delle ultime scelte legislative assunte, che non permettono di dare una formazione completa ai nostri ragazzi.
Credo sia giusto puntare al rafforzamento degli istituti tecnici e professionali, purché sia svolta una verifica, dal momento che - da quanto mi risulta - spesso tali istituti sono dotati di aule, di laboratori, di macchinari che però non vengono utilizzati per mancanza di personale o di risorse per la gestione di questi strumenti. Mi sta bene anche puntare a fare un monitoraggio e una verifica per quanto riguarda la questione della formazione professionale, che in questi anni purtroppo non è stata capace in alcune regioni di sopperire alla carenza delle scuole, perché la formazione affidata agli enti in modo a volte non trasparente, per mancanza di controllo, ha finito per non aiutare i giovani a inserirsi nel mondo del lavoro.
Vorrei chiederle se ci siano dei dati, quali siano i risultati degli incontri con le regioni per rivedere il sistema della formazione e soprattutto vorrei capire concretamente cosa si stia facendo per quanto riguarda la dispersione scolastica, che sta diventando una tragedia per il Mezzogiorno. Anche Report riportava recentemente come molti giovani abbandonino la scuola anche per cercare lavori spesso non visibili per sostenere la propria famiglia. Vorrei quindi capire cosa si sta facendo anche su questo fronte.

CESARE DAMIANO. Vorrei fare alcune domande al Ministro, che ringrazio. Mi baso naturalmente sui nostri dati, che lei confermerà oppure smentirà.
Risulta che nel biennio 2009-2010 il taglio dei docenti e del personale ATA sia stato di circa 67.000 unità, nel biennio 2010-2011 di 42.000, la previsione 2011-2012 di 34.000, per un totale di circa 143.000 persone.
Risulterebbe altresì che la percentuale dei cosiddetti «docenti precari», nonostante i tagli che hanno riguardato anche i docenti precari stessi, nel biennio 2010-2011 sia del 14,9 per cento e nel totale dei docenti sarebbe di circa 779.000 unità. Il dato curioso è che secondo la nostra ricostruzione questa percentuale del 14,9 per cento di docenti precari sul totale sarebbe uguale a quella del 2005-2006.
Ci chiediamo come sia possibile perché questo testimonierebbe la presenza di un fenomeno strutturale. È evidente che questo fenomeno rimarrà strutturale, se non si procede con una certa regolarità al reclutamento in ruolo, soprattutto se non si mettono a disposizione tutti i posti vacanti anche al fine di realizzare l'organico funzionale all'offerta formativa prevista nei singoli piani di istituto.
Faccio poi rilevare che c'è un dato socialmente preoccupante - lei potrà smentire o confermare - circa il fatto che mentre cresce il numero degli alunni disabili, i docenti di sostegno diminuiscono percentualmente.
Seconda osservazione: naturalmente i tagli sono giustificati dalle spese, laddove si sostiene che spendiamo di più degli altri Paesi. Dai nostri dati OCSE risulterebbe


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però che in realtà in Italia si spende per la scuola il 4,2 per cento del Prodotto interno lordo (dati relativi al 2008, quindi precedenti al suo intervento, insieme a quello del Ministro Tremonti), contro una media OCSE del 5,7 per cento, e risulterebbe che soltanto la Slovacchia e la Repubblica Ceca tra i Paesi industrializzati spenderebbero meno di noi per quanto riguarda la scuola.
Anche su questo mi piacerebbe avere una delucidazione. Naturalmente queste cifre escludono i sussidi alle famiglie e i prestiti agli studenti.
Terza ed ultima questione: ho visto che nella sua relazione afferma di aver mantenuto l'obbligo di istruzione a 16 anni innalzato dal Ministro Fioroni nel passato Governo, però mi pare che poi questa affermazione venga contraddetta, perché il mantenimento a 16 anni si mescola con un riconoscimento dai 15 anni dell'addestramento, della formazione professionale con il contratto di apprendistato.
Faccio anche qui notare che negli altri Paesi europei, anche in quelli governati da Governi di centrodestra, si sta andando verso l'obbligo a 18 anni e che sicuramente questo innalzamento di obbligo non solo sarebbe correlato alle indicazioni del Trattato di Lisbona, ma potrebbe a mio avviso - poi lei potrà esprimere la sua opinione - prevenire quella dispersione scolastica di cui abbiamo parlato. Mi pare che anche in questo caso si tratti di una controtendenza, non allineata alle tendenze dei Paesi più avanzati, che naturalmente deve tener conto della situazione reale, però, se non forziamo questa situazione verso un'evoluzione del sistema, facciamo un pessimo servizio alla scuola.
I dati relativi alla diminuzione di personale ci preoccupano. Lei comprende che, essendo in Commissione lavoro, mi sono concentrato molto sul dato relativo all'occupazione, perché non rinnovare il turnover, diminuire le piante organiche, diminuire il personale vuol dire anche precludere alle giovani generazioni la possibilità di accedere al mercato del lavoro.
Tutto questo accresce il mio allarme nel momento in cui, leggendo la lettera finalmente resa pubblica inviata all'Unione europea da parte del suo Governo, in un punto relativo all'occupazione si afferma che «entro maggio 2012 l'Esecutivo approverà una riforma della legislazione del lavoro funzionale alla maggiore propensione ad assumere, alle esigenze di efficacia dell'impresa, anche attraverso una nuova regolazione dei licenziamenti per motivi economici nei contratti di lavoro a tempo indeterminato».
Faccio presente anche alla Commissione che, essendo in presenza da tre anni di una prenotazione di cassa integrazione pari a 3 miliardi di ore che può corrispondere a 3-400.000 persone, l'introduzione proprio in questa circostanza, di fronte al permanere della crisi, di una clausola di licenziamento per causa di crisi aggiungerà nuova disoccupazione a quella della scuola e della pubblica amministrazione cui abbiamo assistito.
Si tratta insomma di una bomba sociale, che mi pare assolutamente sbagliato innescare, perché temo che con queste scelte del Governo andremo incontro a un pericoloso shock occupazionale che il Paese non è in grado di reggere.

LAURA FRONER. Cercherò anch'io, presidente, di essere estremamente sintetica. Vorrei porre alcuni punti all'attenzione del Ministro per avere ulteriori delucidazioni.
Condivido l'importanza dello strumento dell'alternanza scuola/lavoro soprattutto per la formazione professionale e l'istruzione tecnica, ma mi piacerebbe capire come si pensa di potenziare l'utilizzo di questo strumento, sia per favorire un maggiore orientamento nella scelta dei ragazzi, sia per le opportunità di conoscenza reciproca delle competenze che si potrebbe sviluppare tra studenti e imprese o enti e istituti presso i quali effettuare questo tipo di alternanza. Potrebbero esserci ottime opportunità per andare incontro all'esigenza sempre più impellente di dare risposte concrete di occasioni di lavoro per i giovani.
Per quanto riguarda la formazione professionale, già nella scorsa legislatura si è


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affrontata un'indagine conoscitiva per valutare lo stato della formazione professionale nel nostro Paese. Vorrei sapere se siano stati compiuti ulteriori passi soprattutto sulla verifica dei titoli rilasciati dalle varie scuole che si occupano di formazione professionale, perché mi sembra che l'attendibilità di questi titoli sia molto diversa a seconda di chi promuove la formazione, di chi effettua questi corsi e delle zone nelle quali vengono effettuati.
Se una delle prime istanze a cui rispondono è quella di limitare la dispersione scolastica, dobbiamo però anche verificare che i titoli possano essere equiparabili.
Sempre a proposito del riconoscimento dei titoli di studio, vorrei sollevare la questione del mercato unico europeo per quanto riguarda le professioni, e chiederle a che punto sia il processo di riconoscimento dei titoli di studio e soprattutto l'equiparazione delle competenze individuate al termine dei percorsi effettuati. Vorrei sapere se in questo campo, tenendo conto delle difficoltà emerse in questi anni anche all'interno del progetto delle piattaforme europee, ci sia l'idea di rivedere il sistema dei titoli di studio in uscita dal percorso scolastico formativo.

PAOLA PELINO. Vorrei soltanto ringraziare il Ministro. Non entro nel merito della sua relazione, perché già altri colleghi lo hanno fatto e lascerei al Ministro il tempo per la replica, ma vorrei esprimere un mio pensiero, fortunatamente in gran parte condiviso, per darle atto innanzitutto di un grande coraggio e di una grande fermezza nell'affrontare questa riforma della scuola e dell'università, una riforma da tempo invocata, i cui punti focalizzati e gli orientamenti modulati sui tempi porteranno in qualche anno risultati.
Voler evitare sprechi e ottimizzare le risorse, voler rendere più efficiente possibile il sistema in una fase transitoria come questa può talvolta porre alcuni interrogativi come quelli che sono stati esposti, ma sono convinta che lei prenderà atto di quanto è stato detto oggi e che comunque ci si stia avviando a una conclusione che fra qualche anno arriverà a definirsi. Desideravo quindi ringraziarla.

PRESIDENTE. L'ho tenuta per ultimo, onorevole Scandroglio, perché ha il merito di aver proposto questa indagine, per cui, visto che siamo alle fasi finali, è giusto che lei possa dire qualche parola conclusiva.

MICHELE SCANDROGLIO. Grazie, presidente, grazie, signor Ministro. Non dubitavo che il presidente poi aggiungesse con la sua fine sapienza elementi di maggiore chiarezza.
Sottolineo senza alcuno spirito polemico che alcune delle osservazioni fatte qui sono molto pertinenti, altre meno. Il tema è l'indagine sul mercato del lavoro tra dinamiche di accesso e fattori di sviluppo, per cui non credo che la quantità di precari o le percentuali di disoccupati e di assunti possano essere così rilevanti, anche se rilevo che questo Governo come nessun altro nella storia della Repubblica ha assunto un numero così importante di precari. Il Ministro forse mi correggerà, ma credo che compresi gli ATA siano circa 67.000 unità: nessun Governo della Repubblica ha mai fatto tanto, forse anche troppo.
Questo è un tema che lascerei ad altro tipo di valutazione, mentre ho chiesto al presidente Moffa di procedere a questa indagine perché credo che la nostra Commissione debba avere una maggiore integrazione con il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, perché nella fase in cui ci troviamo dobbiamo adeguare la scuola al lavoro che c'è, non al lavoro che non c'è. Per fare questo percorso, abbiamo bisogno di essere vicini alle famiglie in un momento che potrebbe essere addirittura quello dell'inizio del percorso scolastico.
Quando ci avventuriamo a immaginare degli studenti che hanno ormai superato la scuola dell'obbligo e si aggirano fra gli istituti superiori, questi hanno ormai compiuto una scelta che raramente diventa reversibile, quindi poi procedono con ostinazione verso luoghi di cultura magari


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anche significativi, quelli universitari del triennio o del quadriennio, che poi si riducono ad essere luoghi di disoccupazione permanente.
Credo che - e ringrazio molto il signor Ministro per aver colto puntualmente nella sua relazione la parte dell'orientamento - dobbiamo sforzarci di integrare il percorso che indichi ai nostri figli la possibilità concreta di trovare un lavoro, senza illuderli che grandi percorsi culturali si risolvano nella soddisfazione del proprio percorso individuale di benessere.
Sono convinto che il lavoro - e su questo invece concordo con l'analisi marxista - sia la dignità dell'uomo, ma qualunque genere di lavoro: non illudiamoci che solo il lavoro dotto, che scaturisce da percorsi formativi significativi, dia l'intima soddisfazione. Quella è la cultura, che è altra cosa, che ognuno si può fare facendo anche un lavoro «materiale»: l'idraulico piuttosto che il gelataio hanno più soddisfazioni personali e sono più sereni all'interno della propria famiglia (se hanno poi un bagaglio culturale nessuno se ne lamenterà) perché hanno trovato una dignità propria in questo contesto sociale molto più adeguata a renderli dei cittadini coerenti con lo spirito dei tempi, felici e capaci di guardare al loro futuro in una prospettiva diversa.
Questo è il vero punto in cui vorrei che il Ministro ci aiutasse - come ha fatto, ma forse si potrebbe fare ancora di più - perché è molto labile il confine che si inserisce fra la scuola e la famiglia ed è in quel momento che, se noi riusciamo a spiegare alle famiglie e ai ragazzi che il loro percorso formativo può essere solo quello che li colloca in un mondo che gli dà un lavoro vero, sarà un percorso vincente.
Condivido quindi pienamente l'impostazione data e invito il Ministro a porre in essere le politiche più semplici, meno burocratiche possibili, che possano con tutta la semplicità avvicinare le famiglie a un percorso di realtà e non lasciarle abbandonate nell'illusione che i figli debbano fare quello che non hanno fatto loro. Infatti, si pensa che essi, avendo una laurea, avranno un'altra vita, mentre la realtà è che avranno un'altra vita probabilmente più grama di quella che invece potrebbe essere se il loro percorso fosse determinato nella semplicità e nella concretezza. Ringrazio molto il signor Ministro.

PRESIDENTE. Oggi abbiamo finito per entrare più nel mondo della scuola, anche se ovviamente, essendo Commissione lavoro e avendo in audizione il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, il problema dell'occupazione nel settore della scuola è un problema di nostra competenza. Abbiamo così approfittato della presenza del Ministro per affrontare tali tematiche, piuttosto che vedere come la scuola possa servire al mondo del lavoro nel suo insieme e all'occupazione, che è poi il punto focale di questa nostra indagine.
Speriamo di aver colto nel segno, speriamo che la relazione riesca a dare un contributo come altre iniziative che abbiamo svolto. Proprio perché abbiamo agito su due terreni, resterò anch'io nel settore della scuola e rivolgerò brevemente alcune domande al Ministro.
Credo che, se c'è un'anomalia del sistema scolastico formativo del nostro Paese, non sia nel livello di spesa, perché probabilmente non siamo in Europa il Paese che spende di più nel settore dell'istruzione e questo probabilmente è un limite, però abbiamo un record dal mio punto di vista negativo nel rapporto in tutti i gradi di istruzione, compreso quello universitario, fra docenti e studenti.
Siamo ai primi posti per rapporto ridotto, 1 docente ogni 10 studenti. All'università abbiamo 60.000 docenti nei tre ordini (Professore ordinario, associato e ricercatore) rispetto a un organico di studenti di 1.800.000, per cui abbiamo 1 docente ogni 27 studenti iscritti, quindi non frequentanti.
Le altre questioni invece riguardavano alcuni aspetti emersi nel dibattito. Non sono favorevole all'abolizione del titolo di studio, perché la ritengo una cesura troppo violenta rispetto ad altre cose che si potrebbero fare, giacché sono assolutamente convinto che nel mondo lavoro privato i datori di lavoro siano assolutamente


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in grado di procedere all'assunzione di un giovane considerando anche dove si è laureato. Sono convinto infatti che, se si è laureato alla Bocconi, lo assumano più volentieri (Commenti del deputato Fedriga).
Non credo che per questo sia necessario arrivare alla soluzione più tranchant, mentre un sistema di valutazione degli atenei con un relativo punteggio potrebbe anche diventare un modo per valutare nei concorsi, garantendo un punteggio superiore a chi si è laureato in certi atenei.
Nei giorni scorsi, sui giornali - i giornali raccontano sempre bugie perché devono uscire tutti i giorni - si è data notizia dell'intenzione del Governo di portare a 68 anni l'età pensionabile dei professori universitari. Riterrei sbagliata una misura di questo genere e quindi sarei molto confortato se il Ministro volesse smentire.
Do quindi la parola al Ministro per la replica.

MARIASTELLA GELMINI, Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. Innanzitutto raccolgo con favore l'auspicio dell'onorevole Scandroglio di una maggiore collaborazione non solo fra le due Commissioni cultura e lavoro, ma anche con il Ministero, quindi dichiaro da subito la mia massima disponibilità.
Sono stati toccati molti temi. Parto da un tema centrale, che è stato sollevato dagli onorevoli Gnecchi, Cazzola e Damiano: il tema delle condizioni degli insegnanti e dei tagli. Abbiamo avviato un piano di razionalizzazione, che consta di un taglio di 87.000 docenti e di 44.500 rappresentanti del personale tecnico-amministrativo fino al 2012. La maggior parte di questi tagli è già stata effettuata e quest'anno il numero delle assunzioni supera il numero dei tagli, perché, come evidenziato dall'onorevole Scandroglio, abbiamo 67.000 nuove immissioni in ruolo (35.000 sono insegnanti e i restanti sono tecnici amministrativi).
Quest'anno abbiamo anche bandito un concorso (non si faceva da sette anni) per circa 2.380 dirigenti scolastici, abbiamo bandito un concorso per ispettori e quindi l'insieme di queste misure, dopo una fase di sacrifici e di razionalizzazione che continuo a pensare dolorosa ma necessaria, rappresenta una fase di rilancio e anche di stabilizzazione del personale dentro il sistema scolastico. Come giustamente evidenziato dal presidente Cazzola, non discuto la spesa complessiva, ma certo il numero di insegnanti per classe e delle ore è di gran lunga superiore alla media europea, oltre al fatto che abbiamo la presenza positiva e assolutamente da tutelare dell'insegnante di sostegno, che in altri Paesi non c'è e su cui tornerò dopo.
Occupandoci del tema della precarietà o viceversa della stabilità dentro la scuola, può sembrare strano ma questo piano di razionalizzazione cioè di riduzione della pianta organica sulla base di un fabbisogno oggettivo di insegnanti per numero di studenti, unitamente alle immissioni in ruolo che noi abbiamo fatto, ha prodotto una maggiore stabilità. Sono dati di Tuttoscuola, dati Istat e non del Ministero: abbiamo una riduzione della precarietà pari quasi a 5 punti percentuali.
So di fare un'affermazione che può non essere condivisa in modo particolare in un contesto come questo della Commissione lavoro, ma non credo che la finalità principale della scuola sia quella di creare occupazione. È chiaro che la scuola rappresenta un numero di occupati importante, ma non dobbiamo confondere il tema dell'occupazione con la missione fondamentale della scuola, che per me è e resta quella di formare i giovani, di formare il capitale umano.
In un momento di competizione internazionale, in cui l'Europa ci preme ma direi che è il mondo a farlo, abbiamo il compito di migliorare la qualità dell'offerta formativa, non quella di aumentare il numero di occupati. Se poi una cosa va di pari passo con l'altra, ci rallegriamo tutti, ma siamo stati costretti a un piano di razionalizzazione proprio perché a un certo punto si è ingenerata la convinzione che la scuola dovesse servire innanzitutto per fare occupazione e poi eventualmente formazione.
Continuo invece a ritenere che la priorità sia quella della formazione, della


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qualità dell'istruzione e non quella della moltiplicazione delle cattedre, prassi che ha determinato un impoverimento sul piano della qualità della scuola italiana, che è riscontrabile a livello internazionale, dove per almeno un decennio per quanto riguarda sia la comprensione del testo, sia le scienze e la matematica abbiamo continuato a perdere punti.
Questo significa che l'investimento deve essere commisurato al fabbisogno effettivo di personale. Abbiamo invece la necessità di migliorare qualitativamente l'investimento, che significa formazione degli insegnanti, il loro aggiornamento, la loro motivazione, le strutture, l'edilizia, cioè tutto ciò che migliora le condizioni della scuola italiana. Finché però si continuava a spendere il 97 per cento del bilancio in spese correnti, l'investimento nella qualità era irrisorio.
Nella prima parte della legislatura abbiamo imposto sacrifici e revisione della spesa peraltro in coerenza con il Libro bianco fatto dal precedente Governo, lo abbiamo fatto convintamente, con senso di responsabilità, non con superficialità. Oggi, però, è cominciato il secondo tempo della legislatura, che porta nuove immissioni in ruolo, un ricambio generazionale interno alla scuola, una riforma degli indirizzi che è stata avviata dal Ministro Moratti, proseguita da Fioroni e poi completata dalla sottoscritta.
Occorre lavorare ulteriormente in questa direzione per rendere omogenei gli standard qualitativi. Oggi le scuole di alcune regioni sono ben oltre la media europea come qualità, mentre altre sono al di sotto della media. Questo determina una disparità di condizioni di partenza in capo ai ragazzi, che rappresenta una forte penalizzazione, un forte limite alla mobilità sociale, alla crescita.
Il nostro compito è quello di innalzare la qualità abbandonando però un approccio quantitativo. Prima l'onorevole Gnecchi sottolineava il numero delle ore, ma è un'impostazione - lo dico sommessamente, con rispetto per chi la pensa diversamente - assolutamente superata. Non sono solo io a sostenerlo, ma anche l'OCSE ci dice che non è aumentando all'infinito il numero delle materie e delle ore che si migliora l'apprendimento dei ragazzi, perché c'è una soglia di attenzione oltre la quale l'aumento del numero delle ore può garantire occupazione, ma non porta miglioramento nell'apprendimento degli studenti.
È chiaro che su questi temi è quasi scontato avere posizioni diverse e non ci sono ricette miracolose. Credo che il buonsenso ci porti però a prendere in considerazione le migliori prassi, le buone pratiche, le ricette che hanno prodotto risultati laddove sono state applicate. Se andiamo a vedere le migliori esperienze, non solo quelle dei Paesi scandinavi che francamente per condizioni di partenza non sono molto confrontabili con il nostro sistema, ma soprattutto quelle degli Stati Uniti, della Germania, della Francia, della Gran Bretagna, si rileva una grande attenzione al tema della qualità degli insegnanti, perché anche in un momento in cui le nuove tecnologie sembrano risolutive, l'ICT cambia l'ambiente di apprendimento ma non elimina il problema della qualità degli insegnanti.
Su questo credo - e lo pongo in questa Commissione che si occupa di temi legati al lavoro - che oggi le condizioni nelle quali sono chiamati ad operare gli insegnanti italiani non siano le migliori possibili. Mi riferisco non solo alle questioni economiche, ma anche all'assenza di una carriera e di un riconoscimento del lavoro svolto, a una progressione legata solo all'anzianità e al trascorrere del tempo.
Questo non si coniuga con la motivazione e l'impegno di ciascuno. Credo che, se lo stipendio è esclusivamente legato al trascorrere del tempo, questo sia un elemento di forte limite e di stanchezza. È chiaro che l'esperienza è un valore e non può essere soppressa perché si impara strada facendo anche a fare l'insegnante, ma non può essere l'unico parametro. Riformare il reclutamento per dare continuità didattica, cercare di innalzare lo stipendio degli insegnanti legandolo alla performance è quindi una strada obbligata.
In un momento di tagli sembra contraddittorio parlare di incentivi e di premi


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al merito, però voglio ricordare che, se nell'ambito della scuola, diversamente da quanto è stato possibile fare in altri settori, non abbiamo congelato gli scatti di anzianità, questo è stato possibile grazie alla razionalizzazione, perché con il 30 per cento dei risparmi noi abbiamo garantito a tutti gli insegnanti gli scatti di anzianità.
Ci troviamo anche per il 2012 a confrontarci con questo problema, abbiamo già un tavolo con il Ministero dell'economia e delle finanze e riteniamo che attraverso uno sforzo, attraverso alcuni suggerimenti da parte del sindacato, manterremo gli scatti di anzianità, risultato rilevante in un momento in cui altrove gli scatti sono stati bloccati.
Altri punti sono stati toccati, innanzitutto la disabilità e gli insegnanti di sostegno. Su questo sono state fatte molte polemiche spiacevoli e francamente non basate sui numeri, perché si è evidenziata più volte una riduzione del numero degli insegnanti di sostegno che non è avvenuta, perché oggi gli insegnanti di sostegno sono 96.000, il picco più alto mai raggiunto nella scuola italiana; manteniamo il rapporto di un insegnante di sostegno ogni due studenti diversamente abili, e quindi direi che questo è un grande risultato.
Abbiamo fatto la formazione iniziale per il sostegno e sono molti i progetti che cercano di accogliere, di creare le condizioni migliori per gli studenti disabili, merito non del Governo, ma della scuola in quanto tale e del Paese: non riconoscerlo crea solo sfiducia e autolesionismo, perché basta verificare questo dato per comprendere che è assolutamente veritiero.
Per quanto riguarda il tema della dispersione della cosiddetta «generazione né-né», cioè quei 2 milioni di ragazzi che non sono impegnati né in un percorso di studi né in un percorso lavorativo, sono due punti molto critici del sistema Paese. La dispersione scolastica è intorno al 17 per cento ed è di 7-8 punti superiore alla media europea. Le risposte sono sicuramente il mantenimento della scuola anche in contesti abitativi e socioeconomici disagiati, la capacità di motivazione da parte degli insegnanti e la collaborazione con le famiglie per evitare il disinteresse, la dispersione, l'abbandono.
Anche un innalzamento della qualità della formazione professionale è una risposta puntuale al tema della dispersione scolastica. Con riferimento ai due milioni di ragazzi che non sono impegnati in percorsi professionali e di studio, con la collaborazione di tutti gli assessori regionali stiamo cercando di valutare progetti sperimentali, legati anche al tessuto territoriale delle singole regioni, per coinvolgerli e indurli a scegliere un percorso di lavoro o di studio e non di inerzia e di disinteresse completo.
Il tema del riconoscimento e dell'equiparazione dei titoli è molto delicato, perché in passato, nel tentativo generoso e sicuramente in buona fede di aumentare il numero dei diplomati e dei laureati, talora il titolo è diventato più un pezzo di carta che non un deposito di conoscenze, di competenze, di professionalità, e questo - lo vediamo a valle di quanto è accaduto - non ha prodotto occupazione.
Oggi siamo chiamati dall'Unione europea da un lato ad aumentare il numero dei diplomati e dei laureati perché comunque siamo indietro, dall'altro a dare sostanza, a dare contenuti a questi titoli. Questo è un problema interno di crescita della qualità, di tensione verso un miglioramento dei corsi di laurea e degli indirizzi scolastici. Abbiamo poi un problema di reciprocità, cioè di riconoscimento reciproco dei titoli, che mi ha molto sorpreso perché avrei immaginato che all'interno dell'Unione europea il meccanismo fosse automatico.
Si tratta invece sempre di accordi bilaterali, in molti casi di accordi fra università, cosa che trovo veramente assurda perché per il riconoscimento della laurea in ingegneria non serve l'accordo tra il singolo Politecnico e l'università di un altro Paese. Dovrebbe essere tutto automatico, ma purtroppo così non è. Stiamo lavorando con il Ministro degli affari esteri - soprattutto con il Sottosegretario Scotti - perché ogni volta che il Ministro degli affari esteri si reca in un Paese nel quale


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non ci sono ancora accordi sul riconoscimento reciproco dei titoli questa pratica venga avviata.
Questo è un modo per creare coerenza fra l'aumento dei progetti Erasmus, l'aumento della mobilità studentesca e della mobilità dei ricercatori e la semplificazione della vita di coloro che fanno un'esperienza all'estero e poi si trovano penalizzati nel proprio Paese.
Personalmente condivido l'abolizione del valore legale del titolo di studio in linea teorica, ma sul piano pratico nutro anch'io le perplessità espresse dal presidente Cazzola, perché ritengo che sarebbe un passaggio troppo brusco, se non mediato dall'accreditamento, che è la scelta che abbiamo fatto all'interno della riforma: non l'abolizione del valore legale del titolo di studio, ma la valutazione puntuale degli standard qualitativi, dei requisiti minimi di ogni corso, di ogni ateneo, di ogni indirizzo.
Questa valutazione non deve diventare, come spesso accade in Italia, amministrativa, burocratica, procedurale, ma deve essere una valutazione dei contenuti, della sostanza che informa un indirizzo di scuola superiore piuttosto che un corso di laurea. Questo è lo sforzo, perché il regolamento sull'accreditamento è stato fatto, ma verificare in concreto che funzioni, che venga applicato in maniera omogenea, che porti a una misurazione oggettiva e corretta dello stato delle cose è la sfida che abbiamo davanti, non è qualcosa di acquisito.
Il regolamento sull'accreditamento ci consentirà di intraprendere una strada che stanno percorrendo anche gli altri Paesi europei e che ci deve portare, anche con fatica e dispiacere, alla chiusura di tutto ciò che è inutile e dannoso perché non produce competenze e qualità, e non è sostenibile.
In questo anno e mezzo è già avvenuto che le università, a volte attribuendo la colpa al Ministro e al Governo, mosse dalla non sostenibilità di corsi con uno, due o tre studenti in province poco capaci di offrire servizi agli studenti e quindi di creare un indotto universitario, abbiano chiuso e deciso di accorpare.
D'altra parte, la riforma pensa anche al sistema di riorganizzazione, non necessariamente con la chiusura che è l'extrema ratio, ma anche attraverso la fusione, la federazione tra atenei, la collaborazione con le regioni, che troppe volte hanno peccato di un eccesso di ottimismo e di entusiasmo nell'avviare nuovi corsi, nuove esperienze, che poi nell'arco di uno o due anni si sono esaurite. Attraverso una ripianificazione dell'offerta formativa sul territorio, siamo nelle condizioni di coniugare qualità con capillarità del servizio, perché anche questo è un punto importante.
Per quanto riguarda il tema della previdenza, al momento non mi risulta che ci sia questa preoccupazione. In sede di riforma abbiamo già tolto il biennio Amato, quindi è chiaro che la mia preoccupazione è soprattutto per i giovani, per coloro che sono all'ingresso dell'università e hanno meno opportunità, che credo debbano essere agevolati. Mi pare però che all'interno della riforma abbiamo trovato un sostanziale equilibrio.
Sull'alternanza scuola/lavoro abbiamo ripensato l'utilizzo dei tirocini formativi, degli stages mettendo un limite a questa prassi avviata dopo la laurea e dopo il diploma, fissando la durata di un anno, perché ci siamo accorti che spesso celavano una forma di sfruttamento. Nella riforma sull'istruzione tecnica l'alternanza scuola/lavoro riveste un'importanza particolare, perché i nuovi modelli organizzativi quali dipartimenti e comitati tecnico-scientifici possono svolgere un ruolo importante per attivare le procedure e per strutturare i percorsi di alternanza.
Abbiamo rafforzato l'autonomia delle scuole dentro una normativa generale, però sono poi i singoli istituti tecnici che, attraverso i dipartimenti e i comitati tecnico-scientifici, scelgono i percorsi di alternanza scuola/lavoro e le collaborazioni sul territorio da attivare con le imprese. Devo dire che questa prassi rende più facile lo sviluppo dell'alternanza scuola/lavoro perché non avrebbe senso imporre rigidamente un modello


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nazionale non adeguatamente flessibile per adattarsi alle singole realtà territoriali e anche alle singole vocazioni socioeconomiche dei territori.
All'interno di una riduzione degli indirizzi abbiamo però salvaguardato dei percorsi formativi personalizzati, perché vi è un'attenzione all'inclinazione del ragazzo, al suo particolare interesse, alla scelta di un indirizzo puntuale dentro il sistema della produzione. Anche attraverso il sito internet del Ministero e una collaborazione con i consorzi informatici, abbiamo attivato una rete di imprese, che ci aiutano a offrire disponibilità per formare i ragazzi in ambiente lavorativo.
Si tratta di un percorso che abbiamo ampiamente avviato e che, evidentemente, con una maggiore gradualità e una progressione del lavoro, andrà ulteriormente rafforzato, ma oggi il percorso di alternanza scuola/lavoro è dentro i curricula scolastici e all'interno dell'indirizzo di ciascun percorso di studi, nel rispetto dell'autonomia assegnata al singolo istituto e al singolo territorio.

MICHELE SCANDROGLIO. Una sola osservazione: poiché il Ministro ha parlato di profilo giuridico del personale scolastico, vorrei sapere se esista un tavolo aperto per immaginare che i nuovi assunti possano inserirsi in questa ipotesi di lavoro che prevede una progressione dello stipendio della carriera non solo legata al tempo.

MARIASTELLA GELMINI, Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. Al momento è chiaro che valgono le leggi vigenti e quindi le immissioni in ruolo sono a tempo indeterminato, però abbiamo la necessità di bandire quanto prima nuovi concorsi e soprattutto per i posti vacanti per gli insegnanti vorremmo improntarli a nuovi criteri.
Ci sono due strade davanti: l'applicazione della delega Fioroni con alcune novità, perché diversamente si tratterebbe di bandire i concorsi come è stato fatto fino ad ora (quindi la delega andrebbe poi attuata e un poco ampliata), oppure una riforma. La difficoltà di affrontare questo tema è dimostrata dal fatto che presso la Camera sono depositati almeno quattro o cinque disegni di legge di maggioranza e opposizione.
La proposta di legge Aprea su questo tema sembrava essere particolarmente condivisa, anche perché è frutto di una grande concertazione che l'onorevole Aprea ha svolto durante questa legislatura, ma soprattutto nella precedente. Quando però si arriva al momento di decidere, le tensioni su questo punto sono molte.
A mio modo di vedere, però, è giunto il momento di affrontare anche questo nodo e di risolverlo, perché diversamente si corre il rischio di penalizzare i più giovani e di trascinare lacune che ovviamente non ci aiutano a crescere e non aiutano a migliorare le condizioni di lavoro degli insegnanti e di apprendimento degli studenti.

PRESIDENTE. Ringrazio il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, Mariastella Gelmini che, al di là delle valutazioni sull'iniziativa del Governo, ha dialogato con noi dimostrando impegno e serietà nell'affrontare il rapporto con questa Commissione.
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 15,50.

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