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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissione XI
5.
Mercoledì 18 novembre 2009
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Moffa Silvano, Presidente ... 2

INDAGINE CONOSCITIVA SU TALUNI FENOMENI DEL MERCATO DEL LAVORO (LAVORO NERO, CAPORALATO E SFRUTTAMENTO DELLA MANODOPERA STRANIERA)

Audizione di rappresentanti di Confindustria:

Moffa Silvano, Presidente ... 2 6 7 8
Delfino Teresio (UdC) ... 6
Galli Giampaolo, Direttore generale di Confindustria ... 2 7
Gatti Maria Grazia (PD) ... 6
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Repubblicani; Regionalisti, Popolari: Misto-RRP.

COMMISSIONE XI
LAVORO PUBBLICO E PRIVATO

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di mercoledì 18 novembre 2009


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
SILVANO MOFFA

La seduta comincia alle 14,25.

(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso e la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Audizione di rappresentanti di Confindustria.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva su taluni fenomeni distorsivi del mercato del lavoro (lavoro nero, caporalato e sfruttamento della manodopera straniera), l'audizione di rappresentanti di Confindustria.
Sono presenti, e li ringrazio, il dottor Giampaolo Galli, direttore generale, la dottoressa Patrizia La Monica, direttore dei rapporti istituzionali, il dottor Elio Schettino, direttore fisco, finanza e welfare, la dottoressa Patrizia Cariddi, comunicazione e stampa, e la dottoressa Francesca Mazzolari del Centro studi.
Do la parola al dottor Giampaolo Galli, direttore generale di Confindustria, per lo svolgimento della relazione.

GIAMPAOLO GALLI, Direttore generale di Confindustria. La ringrazio molto e ringrazio tutti voi per l'invito a riferire il punto di vista di Confindustria su un tema che riteniamo di grandissima importanza e attualità e che ha costituito sempre, non da oggi, oggetto della nostra attenzione: il tema della lotta al lavoro sommerso, in particolare, che assume nel tempo connotati diversi.
Noi riteniamo che il lavoro sommerso vada combattuto senza nessuna esitazione. Innanzitutto, vi sono motivazioni etiche ovvie. Lo sfruttamento dei soggetti più deboli, che caratterizza indubbiamente il lavoro irregolare, non può essere tollerato in un Paese che fonda proprio sul lavoro la partecipazione dei cittadini alla vita sociale e che, quindi, postula il rispetto della persona e delle regole che favoriscono la convivenza sociale.
Vi sono, altresì, motivazioni finanziarie, di gettito. Il sommerso, infatti, obbliga a tenere una pressione fiscale alta. Se misuriamo la pressione fiscale, al netto del sommerso, sui cittadini e le imprese che pagano le imposte, siamo a livelli ancora più alti di quelli che appaiono dalle statistiche ufficiali.
Infine, vi sono motivi economici. Il sommerso e il lavoro nero sono fenomeni di concorrenza sleale a danno di tutte quelle imprese - sono l'assoluta maggioranza - che agiscono nel rispetto delle leggi. Noi siamo per il massimo di trasparenza e di regolarità per ristabilire una concorrenzialità sana all'interno del sistema economico.
Anticipo che sul tema lasceremo una nota, nella quale sviluppiamo anche qualche considerazione sul metodo. In particolare, ci sembra che il pregevole lavoro dell'ISTAT, che non viene svolto da altri istituti di statistica in altri Paesi, possa essere, data la rilevanza del fenomeno in Italia, ulteriormente potenziato, soprat


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tutto attraverso l'incrocio di banche dati amministrative con i dati dell'ISTAT stesso.
Per quanto riguarda gli aspetti quantitativi del fenomeno, ci atteniamo alle valutazioni dell'ISTAT - qualcuno ritiene siano sottovalutate ma, comunque, sono fatte con grande serietà e professionalità - che ci parlano del 12 per cento di unità di lavoro sommerse in Italia. Questi stessi dati ci dicono che il sommerso è aumentato in maniera significativa (dall'11 ad oltre il 13 per cento) negli anni '80 fino al 1991, è cresciuto ulteriormente, sia pure a ritmi meno dinamici, nel corso degli anni '90, si è ridotto nel 2002 e 2003 e poi si è tendenzialmente stabilizzato. Da questo punto di vista, dunque, c'è qualche elemento positivo, difficile dire quanto dovuto alle regolarizzazioni, che sicuramente hanno un impatto su questi dati, e quanto dovuto a elementi di flessibilità che sono stati introdotti nel mercato del lavoro e che pure contano (pacchetto TREU e legge Biagi).
Vi sono grandi differenze fra settori produttivi e fra regioni nella dimensione del lavoro sommerso. Vorremmo dire che l'industria in senso stretto, che è un aggregato statistico utilizzato dall'ISTAT che include sia ciò che normalmente chiamiamo industria sia una parte di ciò che chiamiamo artigianato, è solo marginalmente coinvolta nel fenomeno del lavoro non regolare. Nel 2007 - l'ultimo anno per cui è disponibile il dato - eravamo al 3,8 per cento; evidentemente, si tratta di dati di irregolarità che riguardano soprattutto le imprese meno strutturate e di dimensioni più piccole.
L'altro dato che emerge con grande forza riguarda le differenze territoriali. Nel Mezzogiorno il tasso di irregolarità, sempre misurato sull'unità di lavoro, era del 19,6 per cento, nel nord ovest dell'8,8 per cento, nel nord est dell'8,6 per cento, in Lombardia del 7,8 per cento. Ci sono, dunque, queste differenze di cui tenere conto.
Questi sono dati dell'ISTAT, pertanto li do per noti, anche in ulteriori disaggregazioni che si possono fare e che sono riportate nella nota che consegniamo.
Per quello che riguarda l'immigrazione - buona parte dei quesiti che voi ci ponete riguarda l'immigrazione - in parte (ma solo in parte, e non maggioritaria) i due fenomeni del sommerso e dell'immigrazione si sovrappongono. Sappiamo tutti che c'è stato un fortissimo aumento della popolazione immigrata regolarmente residente nel nostro Paese: dallo 0,6 per cento della popolazione nel 1991 a quasi il 6 per cento nel 2008, con un fortissimo aumento di stranieri residenti regolari, fino a raggiungere 3,4 milioni di persone, negli ultimi cinque anni. Ci sono, poi, le stime sugli stranieri irregolari, che sarebbero 650 mila unità, ma il numero varia a seconda delle fonti che si utilizzano. Qualcuno, infatti, dice che siano molti di più. Questa, comunque, è una stima fatta da fonti abbastanza autorevoli.
Quello dell'immigrazione è un problema estremamente complesso, sia in Italia sia in tutti i Paesi che hanno dovuto affrontarlo. Negli Stati Uniti ci sono 12 milioni di stranieri irregolari, eppure si tratta di un Paese in cui l'enforcement delle leggi è molto serio. Sappiamo tutti quello che succede al confine fra il Messico e gli Stati Uniti, quindi non ci sono bacchette magiche e noi non abbiamo la pretesa di proporvele.
Ciò che di utile possiamo dirvi è che c'è una crescente domanda di lavoro da parte delle imprese, di lavoro straniero, e che il modello italiano di utilizzo del lavoro immigrato, che è stato tradizionalmente caratterizzato dal fabbisogno di profili bassi - operai nell'industria e lavoro domestico nelle famiglie - sembra modificarsi negli ultimi tempi, nel senso che cresce la domanda di lavoro qualificato da parte delle imprese.
Quello che possiamo dirvi, ancora, di utile è basato su un'indagine di Confindustria sul lavoro immigrato e sulle difficoltà che le imprese vedono nell'affrontare il problema. In particolare, un'indagine svolta annualmente da Assolombarda nel 2008 ha riguardato specificamente il problema dell'immigrazione. Questo è un lato


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del problema, che riguarda le imprese e la domanda di lavoro extracomunitario. Ci sono, poi, altri aspetti complessi, sociali e politici, che noi non affrontiamo. Cerchiamo di specializzarci sulle cose che ci sono vicine e che conosciamo meglio, quindi mi scuso per la parzialità del contributo.
Un primo ordine di problemi riscontrati dalle imprese riguarda i dispositivi di ingresso dei lavoratori immigrati e di reclutamento della manodopera. In particolare, i responsabili aziendali lamentano i tempi lunghi, la complicazione delle procedure richieste per assumere regolarmente un lavoratore straniero. L'obiettivo, che pure ci sembra assolutamente da condividere, di collegare più strettamente soggiorno e lavoro si traduce però spesso in un sovraccarico burocratico che grava sulle imprese.
Molto complesso è anche il tema dell'incontro tra domanda e offerta di lavoro, in cui i canali ufficiali, quindi i servizi pubblici per l'impiego, risultano essere sostanzialmente non utilizzati, mentre funzionano molto i canali informali, le conoscenze di immigrati che sono già presenti e in qualche modo si fanno garanti.
Questo ci pone un problema di come fluidificare l'incontro tra la domanda e l'offerta, come far sì che l'impresa sappia che c'è un lavoratore con una certa qualifica in un Paese estero, come far sì che quel lavoratore sappia che c'è un'industria che domanda quel tipo di qualifica o di specializzazione. Questo è un tema estremamente vasto, che a nostro avviso va affrontato e su cui, peraltro, in questi anni sono stati fatti dei passi avanti, ma altri forse possono essere fatti.
Un ultimo blocco di questioni riguarda le qualifiche elevate: resta estremamente problematico il riconoscimento dei titoli di studio e delle competenze professionali. Secondo la nostra indagine, tra i lavoratori stranieri provenienti dai Paesi extracomunitari uno su cinque ha riscontrato serie difficoltà nel riconoscimento dei titoli di studio.
Naturalmente, ci sono poi le questioni che sono esterne alle aziende e che, tuttavia, vanno affrontate. Mi riferisco ai problemi che gli immigrati devono affrontare sul territorio, a cominciare dal problema abitativo. Secondo questa indagine, quasi il 30 per cento delle imprese ha messo in atto qualche azione per aiutare l'immigrato regolare; una su dieci è intervenuta in relazione alle soluzioni abitative.
Sono, a nostro avviso, ancora inadeguate le politiche sociali per la formazione linguistica degli stranieri, cui in qualche caso cerchiamo di sopperire attraverso soluzioni individuate tramite la contrattazione collettiva in materia di utilizzazione dei permessi per il diritto allo studio, quindi soluzioni concordate con le organizzazioni sindacali, e anche per l'accoglienza dei minori.
Un tema connesso a questo è quello della presenza di studenti stranieri nelle nostre scuole. Secondo i dati aggregati, nell'anno scolastico 2007-2008, gli alunni con cittadinanza non italiana erano circa il 6,4 per cento del totale, ma sappiamo che in molte città del nord siamo al 50 per cento e oltre. A noi sembra che si debba fare uno sforzo, un investimento in termini di progettazione di lavoro all'interno delle strutture educative per evitare situazioni che svantaggino sia lo studente figlio di genitori stranieri sia anche gli studenti italiani, se non si trova il giusto modo di affrontare le questioni.
Chiaramente, dato che i flussi migratori crescono e che il numero di figli degli immigrati è molto più alto di quello della popolazione di origine italiana, non investire nel capitale umano di queste persone può comportare problemi abbastanza seri, nei prossimi anni, per quello che riguarda in generale l'economia e la società italiana.
Quanto agli interventi che si possono mettere in atto per affrontare il problema, mi limito a citare degli elementi che, probabilmente, non sono novità assolute, ma rispetto ai quali ci sembra difficile inventare qualcosa di diverso, tanto più che come sistema Paese, negli anni passati, abbiamo realizzato programmi per l'emersione e via discorrendo.


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Il primo intervento non può che essere quello di ridurre il cuneo fiscale e contributivo e la pressione fiscale sulle imprese. Voglio citare un dato della Banca mondiale, derivante dal confronto tra 181 Paesi: l'Italia risulta come uno dei Paesi che ha, oltre a un cuneo fiscale, anche un tax rate sulle imprese fra i più elevati, che la Banca mondiale stima al 68,4 per cento. Basti pensare che la Germania, che è uno dei Paesi più vicini, è al 40-45 per cento.
Per quanto riguarda la semplificazione amministrativa, uno studio della Banca mondiale quantifica il tempo necessario a un'impresa tipo di piccole dimensioni per pagare tasse e contributi: si stima che occorrano 334 ore in Italia, 196 in Germania, 132 in Francia. Siamo uno dei Paesi in cui essere ligi alle leggi è più costoso in termini di adempimenti.
Naturalmente, occorre rafforzare il sistema sanzionatorio, evitando accanimenti su errori formali che non producono danni all'erario, quindi evitando di appesantire la situazione già piuttosto pesante delle imprese in regola.
A nostro avviso, molto si può fare non solo a fini statistici, ma a fini di prevenzione e repressione, attraverso l'utilizzo e l'incrocio delle banche dati amministrative. C'è già una direttiva del Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali, in materia di servizi ispettivi e attività di vigilanza, sulla base della quale l'INAIL ci informa che è già stato scoperto un notevole numero di aziende e sono stati recuperati parecchi milioni di contributi. Si potrebbe fare molto di più, lo ripeto, lavorando attraverso l'incrocio delle fonti di dati disponibili.
Naturalmente un tema molto importante è quello dell'efficienza del mercato del lavoro. Da questo punto di vista, ho espresso prima un'opinione circa il pacchetto Treu e la legge Biagi, ed è un'opinione che risulta essere confermata anche da analisi dell'ISTAT, secondo le quali alla diminuzione negli ultimi anni dei tassi di irregolarità ha contribuito la diffusione crescente di rapporti di lavoro flessibili in termini di orario, durata e attivazione di nuovi contratti. Il pacchetto Treu e la legge Biagi, dunque, ci sembra che siano state innovazioni utili anche a questi fini.
Riteniamo che, se si vuol fare seriamente - e non ho dubbi che lo si voglia fare - la lotta e il contrasto al lavoro sommerso occorre un fortissimo coinvolgimento della società civile, delle associazioni di impresa, delle organizzazioni sindacali. Quindi, assicuriamo piena disponibilità da parte nostra, come c'è già stata in passato.
L'impegno congiunto dei vari attori politici, sociali, istituzionali ed economici non deve essere limitato alla lotta all'illegalità intesa in senso del sommerso, ma deve estendersi ovviamente a tutte quelle forme di criminalità che ne agevolano la diffusione.
Vorrei ricordare che Confindustria di recente ha rinnovato il suo impegno nella lotta alla criminalità con una serie di iniziative sul territorio e istituendo nel suo vertice una delega per la legalità che mi pare sia apprezzata da chi combatte sul territorio le diverse forme di criminalità organizzata.
Per quello che riguarda l'immigrazione, mi limito a dire che c'è una forte domanda di lavoro immigrato da parte delle imprese e che, in sintesi, c'è una domanda crescente di lavoro qualificato. Riteniamo che a questa domanda di lavoro qualificato, in particolare, dobbiamo riuscire a dare delle risposte, ad esempio facilitando il riconoscimento dei titoli di studio. Persone qualificate che vengono da Paesi extracomunitari possono dare un contributo, da diversi punti di vista, al dinamismo e alla capacità di innovare del nostro sistema economico.
Naturalmente, sottolineiamo anche noi, come ho visto è stato fatto con grande forza a livello istituzionale, che nel momento in cui c'è la libera circolazione delle persone in Europa soluzioni vere, o comunque più efficaci di quelle attuali, ai problemi dell'immigrazione - sia nel senso di impedire quella irregolare, sia nel senso di integrare i lavoratori regolari - non


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possono che essere trovate con un forte coordinamento europeo. Su questo insistiamo molto.
Ci rendiamo conto che l'Europa è un po' in difficoltà su questa materia e, in qualche caso, ci lascia soli. Noi ci auguriamo che con la nuova Commissione si possa riprendere questo ragionamento con molta più forza ed efficacia di quanto non sia accaduto fino adesso.
Vi ringrazio. Rimaniamo a vostra disposizione.

PRESIDENTE. Do la parola ai deputati che intendano porre quesiti o formulare osservazioni.

TERESIO DELFINO. Credo che dobbiamo essere grati al direttore generale di Confindustria e a tutta la sua delegazione molto qualificata per l'intervento ampio, pur nella sintesi, e molto efficace rispetto alle questioni affrontate. Solo per capire se ho inteso bene, farei una riflessione iniziale e poi porrei alcune domande.
In primo luogo, mi sembra di capire che, secondo la vostra visione, l'immigrazione è una risorsa ormai indispensabile. In secondo luogo, rilevo che c'è una forte domanda di lavoro, anche qualificato, che è indispensabile per il contributo forte di innovazione che portano sull'offerta, sul mercato del lavoro e, quindi, anche nell'innovazione (soprattutto parlando di domanda di lavoro straniera e di lavoro qualificato).
Partendo da questa mia brevissima sintesi, pongo alcune domande. La prima è attinente al dato della disoccupazione italiana, certificata anche dall'ISTAT, che lei ha richiamato per altri elementi. Sappiamo che nelle nostre comunità locali si determinano numerose difficoltà, collegate all'idea che, mentre gli italiani non hanno lavoro, si impiegano lavoratori stranieri. Ora, secondo voi, qual è il rapporto tra lavoro nero straniero e italiano, ovvero in che misura il lavoro nero coinvolge i cittadini italiani rispetto ai cittadini stranieri? Questo rientra nel tema più critico e più discusso per cui ci sarebbe un eccesso di presenza di lavoro straniero, nero o regolare, rispetto alla difficoltà occupazionale che il nostro Paese sta attraversando.
La seconda questione che volevo porre riguarda come far fronte a questa domanda di lavoro che lei ha evidenziato e come migliorare i flussi migratori. Al di là delle sanatorie o regolarizzazioni che abbiamo introdotto in questi anni, ritengo pienamente condivisibili le critiche ad esempio circa i tempi lunghi, perché sono questioni che si ravvisano nel rapporto quotidiano con le imprese sul territorio (imprese agricole, artigianali, industriali e di servizi). Non riesco a capire come non possiamo, con il concorso delle rappresentanze del mondo imprenditoriale largamente inteso, definire una politica di flussi migratori che preveda anche presenze temporanee e che possa effettivamente rispondere a esigenze di lavoro e, quindi, dare una risposta tempestiva alle necessità delle aziende.
Infine, lei ha detto che per contrastare il fenomeno del lavoro nero dobbiamo diminuire i costi - ha citato anche delle cifre - e incrociare i dati dei vari enti, istituti, ministeri che lavorano con apposite banche dati nell'ambito del mercato del lavoro e di tutto quello che lo riguarda (INAIL, INPS, Ispettorato del lavoro, ASL, e via discorrendo). Tuttavia, non ho compreso bene se tra le varie misure che lei ha richiamato per contrastare il lavoro nero rientri anche un'intensificazione dei controlli.
In conclusione, sono totalmente d'accordo con lei circa la necessità di andare verso una tolleranza zero rispetto al lavoro nero, all'illegalità e, con forza ancora maggiore, ai fenomeni di caporalato (ma non solo), che sono presenti in diverse aree del Paese.

PRESIDENTE. Prima di dare la parola all'onorevole Gatti, che l'ha richiesta, volevo ricordare che i lavori di Aula iniziano alle 15. Invito i deputati ad interventi più sintetici, in modo da dare la possibilità al nostro ospite di replicare.

MARIA GRAZIA GATTI. Signor presidente, sarò brevissima e mi limiterò a


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porre alcune domande. Condivido le informazioni che ci ha riferito il rappresentante di Confindustria e ho assolutamente apprezzato il fatto che Confindustria si sta impegnando in modo molto forte, in larghe aree del Paese, contro l'illegalità e la criminalità, con interventi dal punto di vista organizzativo interno ma anche con posizioni pubbliche che aiutano la lotta alla criminalità.
Vorrei conoscere, se fosse possibile, un punto di vista molto interno dell'organizzazione. Questa indagine è appositamente strutturata per capire quanto fenomeni come il lavoro nero e il caporalato, soprattutto in direzione del lavoro immigrato, in qualche modo si alimentano. Al riguardo, vorrei sapere, in primo luogo - mi rendo conto che in questo caso non ci possono essere dei numeri - quanto ha influito la crisi sulla possibile immersione del lavoro. Quale sensazione avete, al riguardo, come organizzazione degli imprenditori? Immagino che Confindustria abbia una rappresentanza di aziende molto grandi, strutturate, dove certi fenomeni non si verificano. Penso, però, che forme di esternalizzazione e di appalti di certe parti di lavorazione (penso al carico e scarico delle linee, alla pulizia, alla gestione dei magazzini e via dicendo), anche in grosse imprese, in qualche modo possano determinare collegamenti con imprese minori che potrebbero essere interessate da fenomeni di questo tipo.
Mi chiedo se siate a conoscenza di questo, se abbiate questa sensazione e cosa pensate sia necessario per evitare che questo avvenga in situazioni di esternalizzazioni, di appalto, di subappalto, in particolari fasi delle lavorazioni.

PRESIDENTE. Do la parola al dottor Galli per la replica.

GIAMPAOLO GALLI, Direttore generale di Confindustria. Onorevole Delfino, l'immigrazione è una risorsa e c'è una forte domanda di lavoro qualificato anche per l'innovazione: è vero, noi abbiamo detto questo, ma ho anche aggiunto che in questa audizione ci concentriamo su quello che vediamo e sentiamo come mondo delle imprese, dunque siamo consapevoli che le nostre considerazioni devono essere coniugate con considerazioni più ampie, su cui non mi sono soffermato, che riguardano la capacità della nostra società, così come è configurata storicamente, di accogliere gli immigrati. Non siamo insensibili, dunque, ad altre esigenze.
Noi diciamo che ci sono momenti in cui l'immigrazione viene percepita dalla popolazione come un problema emergenziale - questo non possiamo sottovalutarlo - ma diciamo anche che, nel fenomeno dell'immigrazione, c'è un aspetto importante che va oltre l'emergenza.
Quanto al rapporto tra disoccupazione italiana e lavoro degli stranieri, studi condotti in diversi Paesi (ma per l'Italia non ne conosciamo) tendono a rilevare che gli immigrati non sostituiscono lavoro dei residenti, poiché vanno a riempire posizioni che non sono richieste appunto dai residenti. Al di là di questi studi, vorrei dire che in Italia - a differenza di quanto è successo in Francia - persino con questa crisi, che evidentemente ha aumentato la disoccupazione, non abbiamo visto tensioni sociali rilevanti fra lavoratori italiani e lavoratori immigrati. In Italia non abbiamo vissuto questo problema; le banlieue francesi, invece, sono un caso in cui queste questioni si pongono in termini molto diversi.
Per quanto riguarda il problema dei tempi lunghi per le imprese, sicuramente noi riteniamo che si debba arrivare a definire una politica di flussi migratori che preveda semplificazioni per le imprese. Essendo molto interessati al tema, mettiamo a disposizione il nostro sistema per vedere che cosa si può realizzare al riguardo.
Naturalmente bisogna intensificare i controlli, su questo non c'è dubbio. Siamo per la tolleranza zero, tolleranza al minimo possibile: per questo credo che si dovrebbero usare, oltre alle banche dati amministrative, INAIL, INPS, anche le bollette (Telecom, allacci elettrici e via discorrendo) perché attraverso quei dati si


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può risalire abbastanza facilmente a qualcuno che utilizza l'energia elettrica, ma non è noto al fisco o all'INPS o a entrambi. Si possono, dunque, prevedere azioni senza gravare ulteriormente sulle imprese.
Onorevole Gatti, le nostre non sono grandi imprese. Possiamo dire che sono per lo più abbastanza strutturate, ma il 97 per cento delle imprese iscritte a Confindustria sono piccole imprese e solo il 3 per cento sono medie o grandi. L'altro giorno, ad Assago, abbiamo svolto una convention con le imprese che si sono iscritte nell'ultimo anno a Confindustria nel centro nord: ebbene, c'erano 2000 imprenditori, molti dei quali titolari di imprese di piccolissime dimensioni, con due o tre dipendenti.
Ci è stato chiesto se abbiamo la percezione che con la crisi aumentino l'immersione e i tassi di irregolarità. Non posso confermare tale impressione, perché nessuno me l'ha riferita o suggerita. La sua domanda, onorevole, è del tutto ragionevole; è infatti abbastanza normale intuire che, in una situazione di crisi e di difficoltà delle imprese, possa esservi un tasso maggiore di irregolarità. In fondo, si potrebbe sostenere che questo è un modo per ridurre i costi, ma a me questo non risulta.
Nella nota che vi lasciamo troverete un grafico dei tassi di irregolarità, così come misurati dall'ISTAT, nel quale abbiamo segnato con fasce in grigio i periodi considerati di recessione, in base alla classificazione dell'ISAE. È molto difficile vedere un aumento dell'irregolarità in connessione con le fasi recessive. Per quanto questa possa essere un'ipotesi ragionevole, non sembra che le imprese ricorrano maggiormente al lavoro irregolare in una fase di crisi.

PRESIDENTE. Vi ringrazio per il contributo e per la documentazione che cortesemente vorrete lasciarci. Credo che avremo modo di risentirci sul medesimo argomento.
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 15,05.

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