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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissione XII
3.
Mercoledì 16 giugno 2010
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Palumbo Giuseppe, Presidente ... 2

INDAGINE CONOSCITIVA NELL'AMBITO DELL'ESAME DELLE ABBINATE PROPOSTE DI LEGGE C. 412 DI VIRGILIO E C. 1992 BINETTI RECANTI «ISTITUZIONE DI SPECIALI UNITÀ DI ACCOGLIENZA PERMANENTE PER L'ASSISTENZA DEI PAZIENTI CEREBROLESI CRONICI»

Audizione di rappresentanti dell'associazione ONLUS «Risveglio», dell'associazione ONLUS «Gli amici di Eleonora», dell'associazione ONLUS «Gli amici di Luca» e della dottoressa Maria Rachele Zylberman, già direttore unità operativa complessa di neurorianimazione intensiva dell'ospedale San Giovanni Battista di Roma:

Palumbo Giuseppe, Presidente ... 2 4 6 8 10 16
Argentin Ileana (PD) ... 12
Castellani Carla (PdL) ... 10
De Nigris Fulvio, Direttore dell'associazione ONLUS «Gli amici di Luca» ... 4 16
Di Virgilio Domenico (PdL) ... 11
Farina Coscioni Maria Antonietta (PD) ... 13
Lunghini Claudio, Segretario dell'associazione ONLUS «Gli amici di Eleonora» ... 16
Molteni Laura (LNP) ... 15
Palagiano Antonio (IdV) ... 14
Rocco Margherita, Presidente dell'associazione ONLUS «Gli amici di Eleonora» ... 2
Taliento Claudio, Vicepresidente dell'associazione ONLUS «Risveglio» ... 6
Zylberman Maria Rachele, Già direttore dell'unità operativa complessa neurorianimazione intensiva dell'ospedale San Giovanni Battista di Roma ... 8 10 16
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Repubblicani; Regionalisti, Popolari: Misto-RRP; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Noi Sud Libertà e Autonomia-Partito Liberale Italiano: Misto-Noi Sud LA-PLI.

COMMISSIONE XII
AFFARI SOCIALI

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di mercoledì 16 giugno 2010


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
GIUSEPPE PALUMBO

La seduta comincia alle 14,45.

(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito.
(Così rimane stabilito).

Audizione di rappresentanti dell'associazione ONLUS «Risveglio», dell'associazione ONLUS «Gli amici di Eleonora», dell'associazione ONLUS «Gli amici di Luca» e della dottoressa Maria Rachele Zylberman, già direttore unità operativa complessa di neurorianimazione intensiva dell'ospedale San Giovanni Battista di Roma.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nel contesto dell'indagine conoscitiva nell'ambito dell'esame delle abbinate proposte di legge C. 412 Di Virgilio e C. 1992 Binetti recanti «Istituzione di speciali unità di accoglienza permanente per l'assistenza dei pazienti cerebrolesi cronici», l'audizione di rappresentanti dell'associazione ONLUS «Risveglio», dell'associazione ONLUS «Gli amici di Eleonora», dell'associazione ONLUS «Gli amici di Luca» e della dottoressa Maria Rachele Zylberman, già direttore dell'unità operativa complessa di neurorianimazione intensiva dell'ospedale San Giovanni Battista di Roma.
Nel dare il benvenuto mio e di tutta la Commissione ai nostri ospiti, ricordo che sono presenti per l'associazione ONLUS «Gli amici di Eleonora» la dottoressa Margherita Rocco, presidente, e il dottor Claudio Lunghini, segretario; per l'associazione ONLUS «Gli amici di Luca» il dottor Fulvio De Nigris, direttore; per l'associazione ONLUS «Risveglio» il dottor Claudio Taliento, vicepresidente; e la dottoressa Maria Rachele Zylberman, già direttore dell'unità operativa complessa di neurorianimazione intensiva dell'ospedale San Giovanni Battista di Roma.
Sono presenti, tra gli altri, la relatrice, l'onorevole De Nichilo Rizzoli e l'onorevole Farina Coscioni, che ha avanzato la richiesta di procedere allo svolgimento di una indagine conoscitiva.
Ricordo, per gli intervenuti, che l'audizione si svolge nella seguente maniera: si svolgono gli interventi di coloro i quali sono stati invitati, in cinque-dieci minuti ciascuno per ogni associazione, dopodiché seguiranno gli eventuali interventi o le domande dei parlamentari e, infine, la replica degli intervenuti.
Ricordo ancora una volta che, al di là degli interventi, se gli auditi volessero lasciare memorie scritte - non è obbligatorio, ma per noi è sempre utile -, ciò costituirebbe un beneficio sia per i presenti, sia soprattutto per coloro che sono colpevolmente assenti.
Do ora la parola, per l'associazione ONLUS «Gli amici di Eleonora», alla dottoressa Margherita Rocco, presidente.

MARGHERITA ROCCO, Presidente dell'associazione ONLUS «Gli amici di Eleonora». Buona sera a tutti. Volevo innanzitutto


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ringraziarvi per l'invito. Siamo davvero onorati di essere qui oggi, essendo un'associazione molto giovane che opera da solo quattro anni - l'associazione è nata nel 2006 - in Campania e nelle regioni del sud.
L'associazione è nata perché, nel momento in cui la nostra piccola Eleonora, che dà il nome all'associazione, era in coma, ci avevano detto che, se avesse acquisito capacità respiratorie autonome, avremmo dovuto trovare un posto, una struttura dove poterla portare per riabilitarla o cercare di stabilizzare le sue condizioni. Sia io che mio marito ci siamo guardati intorno, ma ovviamente, in Campania e nel sud non si era trovato assolutamente nulla.
Successivamente alla morte di nostra figlia, dopo sei mesi di coma, abbiamo deciso di costituire questa ONLUS, che si occupa soprattutto dell'assistenza alle famiglie. Il primo passo è stato quello dell'attivazione di un numero verde, perché le persone che si trovano in queste condizioni particolari non sanno a chi rivolgersi dal momento che neanche nei reparti di terapie intensive vengono preparate delle équipe capaci di accogliere la famiglia e di spiegare la situazione.
Venendo al punto - non voglio dilungarmi sulla nostra associazione - tutti conoscono le condizioni disastrose della sanità in Campania e dei suoi conti. Adesso, poi, si comincia a tagliare terribilmente da tutte le parti, e non si considera che bisognerebbe prestare attenzione alle necessità delle malattie, dei malati, delle loro condizioni e di quelle delle loro famiglie.
Quando una famiglia si prende carico di una persona in stato vegetativo, essa ruota tutta intorno a questa persona. In particolare, uno dei suoi componenti, quasi sempre una donna, decide di - scusate se uso questo termine - immolarsi, cioè di tagliare i suoi rapporti sociali, culturali, di lavoro con l'esterno per occuparsi solo e sempre di questa persona, ventiquattro ore su ventiquattro.
Il mio ideale sarebbe quello di vedere la famiglia - possibilmente di non vederne o di vederne sempre meno - che arriva in terapia intensiva, per malattia o per incidente, presa per mano da un'équipe che si occupi dell'assistenza dal momento in cui la persona viene presa in carico dalla terapia intensiva fino a quando non arriva al domicilio oppure in una residenza protetta o SUAP.
In Campania manca tutto: occorrerebbe una terapia intensiva che si occupasse del primo impegno e unità che in genere vengono chiamate «unità di risveglio» per le sistemazioni dopo la terapia intensiva, chiamate «post-acute». Inoltre, si deve considerare il momento della stabilizzazione del malato, se debba tornare a casa, se la famiglia è preparata e c'è assistenza domiciliare, oppure, visto che non tutte le famiglie possono compiere questa scelta, se debba essere assistito in una residenza protetta.
Dal momento che in Campania non c'è assolutamente nulla, si deve partire, innanzitutto, dall'istituzione di un registro regionale - e poi anche nazionale - delle persone in coma in stato vegetativo. Infatti, non si sa quante persone escono dalle terapie intensive rimanendo in uno stato vegetativo, cosa che è veramente assurda. È assurdo predisporre una legge, un intervento economico senza sapere quante sono queste persone.
Dobbiamo considerare che coloro che si occupano dell'assistenza sia domiciliare, sia nelle residenze protette, non devono lavorare singolarmente, ma devono essere parte di unità bene organizzate. Ci devono essere sinergie tra fisioterapisti, infermieri, psicologi, sociologi. Soprattutto queste due ultime categorie mancano anche nelle terapie intensive; una famiglia dovrebbe, infatti, essere accolta da un'équipe composta anche da uno psicologo, elemento mancante in quasi tutte le terapie intensive.
Il passo successivo, per noi in Campania, ma anche in altre regioni, sarebbe quello di prevedere un unico ufficio, un'unica centrale che coordinasse tutta l'assistenza alle famiglie, indicando quali sono i loro diritti, i presidi che devono avere, i farmaci, le attrezzature che devono


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avere a casa, anziché costringerli a rivolgersi a diversi uffici, perdendo anche tempo prezioso, che invece dovrebbero usare per l'assistenza alla persona oppure per il loro lavoro, perché una famiglia deve comunque andare avanti e occorre che qualcuno si occupi anche di portare uno stipendio a casa. Invece, è necessario sfruttare tutte le ferie, tutti i giorni liberi per andare in giro per uffici a chiedere tali presidi. Non è veramente una situazione che va bene.
Chiediamo, dunque, di inserire nei LEA, cioè nei livelli essenziali di assistenza, tutti i presidi e tutto quanto serve alla persona in stato vegetativo.
È anche importante conoscere sul territorio quali sono le associazioni di volontariato che si occupano dell'assistenza alle famiglie, cercare di elaborare alcune linee guida su come aiutarle e, poi, definire il quoziente familiare.
In linea generale, l'orientamento che va per la maggiore è quello di far sì che le famiglie possano sgravare un poco economicamente dal reddito le spese che sostengono per i presidi e per i farmaci. Personalmente, avevo presentato un'altra proposta, anche se mio marito, che è il segretario dell'associazione, sostiene che non sia molto fattibile, ovvero di corrispondere direttamente un reddito alla persona che si occupa ventiquattro ore su ventiquattro del paziente in stato vegetativo, dal momento che svolge un lavoro sociale molto importante, essenziale. Perché, dunque, non gratificare anche economicamente e professionalmente queste persone, che si sacrificano anche per tutti noi e alleviano i costi della sanità regionale e nazionale?
Questa è la nostra proposta in generale. Abbiamo, inoltre, lasciato una memoria scritta contenente tutte le nostre proposte nel dettaglio.
Vi ringrazio tanto per avermi ascoltato e avermi concesso la vostra attenzione. Grazie.

PRESIDENTE. Grazie a lei. Do ora la parola, per l'associazione ONLUS «Gli Amici di Luca», al dottor Fulvio De Nigris.

FULVIO DE NIGRIS, Direttore dell'associazione ONLUS «Gli amici di Luca». Grazie, presidente. Ringrazio per l'invito. Ho già consegnato alcune memorie.
Vorrei sottolineare il fatto che recentemente il sottosegretario al Ministero della salute Eugenia Roccella ha presentato il Libro bianco sugli stati vegetativi e di minima coscienza, frutto del lavoro delle associazioni che si occupano di queste tematiche, raggruppate nel Seminario permanente di confronto sugli stati vegetativi e di minima coscienza che il Ministero della salute ha istituito dal maggio del 2008.
Ritengo assai importante l'esistenza di questo seminario permanente perché, per la prima volta, oltre 30 associazioni, che fanno parte dei raggruppamenti più significativi oggi esistenti a livello nazionale e che da decine di anni si occupano di questo frangente - l'Associazione «Risveglio» è una di esse - si sono messe attorno a un tavolo, cercando di condividere le proprie esperienze e il proprio punto di vista.
Molto spesso, quando tali tematiche vengono comunicate all'esterno, si parla di anno zero su tali questioni, di risvegli miracolosi oppure di malasanità; in realtà, l'aspetto più importante è che su queste tematiche, le associazioni lavorano ormai da decine di anni: hanno intercettato i bisogni delle famiglie, hanno elaborato strategie sui propri territori e nei propri ambiti regionali e questa volta, insieme, hanno condiviso il citato Libro bianco.
Anche il Ministro della salute Ferruccio Fazio ha mandato una lettera, dando il suo placet a questa iniziativa, perché, effettivamente, in esso si ritrovano molte problematiche e temi che sono oggi in discussione.
Uno di questi è quello che riguarda la proposta di legge sulle SUAP, che viene un po' da lontano. Nel documento dell'allora commissione istituita dal sottosegretario Di Virgilio - mi pare che il Ministro fosse Francesco Storace - che è una chiave di volta dell'attenzione dei governi a tali problematiche, era già stato indicato di


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istituire queste strutture, le speciali unità di accoglienza permanente sul territorio nazionale.
Questo documento, condiviso dalla Conferenza Stato-regioni, costituisce un primo importante documento perché le regioni hanno recepito tale necessità, anche se, obiettivamente, oggi a livello nazionale - il dato figura nel Libro bianco - le SUAP sono poche e si contano sulla punta delle dita. Una tra le più rinomate, anche perché è stata tra le prime, è quella di Crotone del professor Dolce, ma ce ne sono anche altre in Italia che lavorano in questa direzione.
Dobbiamo cercare di affrontare questa tematica in tutti i suoi passaggi, ponendoci un problema. C'è un sistema del coma che, dalla rianimazione alla fase post-acuta - noi, nella Casa dei risvegli Luca De Nigris di Bologna, ci occupiamo in maniera prioritaria di questa - fino alla fase degli esiti con la doppia forchetta, a domicilio o in luoghi di cronicità, deve essere considerato a tutto campo, compreso l'aspetto della comunicazione, ossia di come si comunica il coma.
Sui giornali è molto facile parlare di coma, ma, in realtà, il coma è una situazione che dura in maniera molto limitata, poche settimane, e poi si traduce in uno stato vegetativo, che è molto difficile da comunicare. Questa è la situazione che molte famiglie vivono quando devono tornare al domicilio.
Le due proposte di legge oggetto di questa indagine conoscitiva sono molto importanti, ma presentano alcuni aspetti che andrebbero discussi.
Il primo aspetto riguarda il fatto che oggi si parla molto di federalismo. Sappiamo che le regioni possono decidere e decidono sulla sanità. Dunque, con riguardo a una proposta di legge a livello nazionale, la prima domanda attiene alla ricaduta che essa ha sui singoli territori.
Il secondo aspetto è la connotazione di queste strutture. Noi, un po' da lontano, abbiamo sempre pensato che quando una famiglia non può tornare al domicilio, non può riprendere il proprio caro sia a causa della mancanza stessa della famiglia, sia per un motivo economico come la mancata disponibilità di un caregiver, quando questo succede, si va in una struttura che oggi, però, non esiste. Oggi parliamo di case di cura o RSA dove, obiettivamente, un ragazzo di vent'anni di lunga degenza trova un contesto disastroso.
Dobbiamo, però, pensare qual è la connotazione di queste strutture, dove la persona, ovviamente non rimarrà sei mesi. Parliamo di persone che possono vivere, per fortuna - a mio avviso - anche per molti anni, con grande benessere loro e della famiglia, nonché con segni di miglioramento nel futuro, anche se la coscienza non tornerà.
Dobbiamo chiederci, quindi, qual è la casa di queste persone. Se non può essere la famiglia, le SUAP dove si collocano? Se dobbiamo pensare a una struttura di sei mesi, dove poi, molto genericamente, si sostiene che si valuterà la forma più idonea per il proseguimento insieme alla famiglia, il sistema non funziona. Sappiamo benissimo che ancora oggi nelle regioni succede che, quando una persona deve essere dimessa, i medici invitano le famiglie a trovarsi un posto dove andare. È una situazione drammatica e ingiusta, che non dovrebbe accadere in alcuna zona geografica del nostro Paese. In realtà, deve essere l'ente, l'amministrazione, la regione a indicare il luogo dove la persona deve andare. Per questo lavoriamo per dare informazioni alle famiglie.
Il problema delle SUAP è che se esse sono pensate come strutture permanenti, come figura nella denominazione, dove la persona resterà per tutto il tempo della sua vita, tale connotazione risulta interessante da approfondire; se, invece, sono pensate come strutture per soli sei mesi al termine dei quali non si sa dove la persona andrà, ci troviamo allo stesso punto di oggi, ossia non sappiamo dove le famiglie possano ricoverare i propri cari.
Concludo con un'ultima considerazione. Un altro aspetto importante che oggi si rileva è la mancata condivisione sociale di queste persone. La persona che vive in stato vegetativo e ha una famiglia che deve accudirla, al domicilio o in una


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struttura, è comunque esclusa dall'ambito sociale. Dovremmo creare - questa è la proposta - dei condomini solidali nel cui piano regolatore sia previsto che queste persone possano vivere vicine e integrate alle persone «normali», perché soltanto così, risocializzandole e unendo i punti di vista, potremmo effettuare la vera riabilitazione, che ormai non è più appannaggio solo dei fisiatri, dei fisioterapisti e del mondo medico, ma di un mondo complesso, interdisciplinare, dove anche la famiglia ha la sua competenza. Grazie.

PRESIDENTE. Grazie anche per i suoi suggerimenti importantissimi. Lei, come chi l'ha preceduta, ha toccato alcuni problemi molto importanti, riferiti anche alla sfera regionale. In effetti, noi qui discutiamo per legiferare ponendo principi di carattere generale, che poi le regioni devono applicare oppure no. Non possiamo, come sempre accade per questa Commissione, imporre nulla, ma indichiamo che è necessario e opportuno che determinate iniziative vengano intraprese e che vengano poi applicate nell'ambito di ogni piano sanitario regionale.
Lei ha premesso che alcune iniziative sono state attuate dal sottosegretario Di Virgilio, oggi parlamentare di questa Commissione. È stato presentato oggi dall'onorevole Roccella, che speriamo di audire, a sua volta, alla fine di questo ciclo di audizioni, il Libro bianco sugli stati vegetativi e di minima coscienza.
Stiamo cercando oggi - lo pongo come premessa e penso che i componenti della Commissione siano d'accordo - di fare un punto sulla situazione. Bisognerebbe capire quanti malati di questo tipo ci sono in Italia, anche se lei ha fatto capire che il numero è «variabile», perché c'è chi può essere assistito a casa e chi no e c'è anche chi può, per un periodo, risiedere in una SUAP e poi andare a casa. La variabilità esiste, tuttavia, in linea di massima, un numero orientativo sicuramente si può conoscere, per poi poter stabilire anche quantitativamente quante SUAP realizzare.
Inoltre, come è stato detto anche da chi l'ha preceduta, esiste il problema economico, perché tutto ciò influisce anche economicamente sul bilancio della sanità di ogni regione. Vi sono regioni che fino a oggi hanno messo in funzione tale sistema, altre che non l'hanno fatto e altre nelle quali assolutamente non se ne parla.
Questa Commissione vuol fare un minimo di punto su queste situazioni per cercare di portare avanti un discorso che poi sia, come speriamo, quanto più unanime nel rispetto dei LEA - i livelli essenziali di assistenza - su tutte le regioni. Non vorremmo che in Emilia Romagna, in Toscana, in Lombardia o nel Veneto tutto ciò fosse possibile e in Campania, in Sicilia, la mia regione, o in Calabria non solo non lo fosse, ma non se ne parlasse neanche e poi, magari, ci sarebbe la migrazione anche per questo tipo di «problema».
Do ora la parola al dottor Claudio Taliento, vicepresidente dell'associazione ONLUS «Risveglio».

CLAUDIO TALIENTO, Vicepresidente dell'associazione ONLUS «Risveglio». Ringrazio il presidente e i componenti della Commissione per questa opportunità, che ci permette di esprimere un parere su un'iniziativa, su due proposte di legge che noi riteniamo importantissime, anche se non esaustive della problematica.
Non mi voglio addentrare nel percorso sanitario, a partire dalla terapia intensiva fino alla fase degli esiti, perché ci sono numerose carenze e, comunque, mi associo a quanto illustrato dal dottor De Nigris. Sul Libro bianco, che abbiamo redatto e che è stato ufficializzato da pochi giorni vengono indicate molte questioni.
Voglio, invece, focalizzare il mio intervento sulle SUAP, le strutture che dovrebbero accogliere le persone in stato vegetativo o di minima coscienza.
L'associazione «Risveglio» ha maturato una profonda conoscenza sulla tematica dello stato vegetativo sin dal 1997, cioè dall'anno in cui è stata costituita. Seguiamo molte famiglie con questo problema


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che, personalmente, sto vivendo da sette anni - lo affermo con molta serenità - ragion per cui credo di avere una certa conoscenza di questa problematica in tutti i suoi aspetti in quanto la vivo anche come condizione economica e sociale; personalmente, ma anche insieme a molte altre famiglie diverse dalla mia.
Vorrei svolgere alcune precisazioni. Quando la persona in stato vegetativo ha raggiunto la stabilità clinica e, quindi, arriva nella fase degli esiti, ed è anche nella condizione di poter fare rientro al proprio domicilio, ciò significa che essa non è più da considerare un malato, ma una persona con gravissima disabilità. Questo punto è fondamentale ed è essenziale che l'esistenza di questa categoria venga riconosciuta anche in forma ufficiale. Una volta riconosciuta la categoria, tutti gli strumenti di supporto, sia alla famiglia, sia alla persona stessa, potrebbero essere messi in atto e innescati nel tempo.
Voglio entrare subito nel vivo, anche perché si deve effettuare un'analisi dei costi, quindi, dell'uso razionale delle risorse che abbiamo disposizione, che è un punto fondamentale.
Le esigenze primarie di una persona in stato vegetativo sono acqua, cibo, calore umano, movimento e, se possibile, una passeggiata e una vacanza al mare dal momento che è possibile organizzarle, posso garantirvelo.
Una persona in stato vegetativo non richiede un tipo speciale di assistenza. Ha bisogno di una fisioterapia giornaliera, quindi di movimento, e di persone che non devono essere necessariamente specialisti, infermieri o medici; per esempio, le badanti ben addestrate possono prendersi cura di queste persone, anche perché gestire la PEG non è difficile, come pure gestire una tracheo; anzi, oggi, in merito al discorso dell'iniziativa delle SLA, l'aspirazione tracheo può essere eseguita anche da un familiare. Chi meglio del familiare può eseguirla? È meglio dell'infermiere e dei medici!
Da un punto di vista medico, la persona in stato vegetativo può essere seguita in prima battuta da un medico di medicina generale, dal medico di famiglia, che può diventare all'occorrenza il case manager, colui che definisce il piano assistenziale, se, per esempio, il paziente ha bisogno di una visita specialistica di un dato tipo o di un piccolo intervento. Non abbiamo bisogno di grandi specialisti.
Mi ricollego sempre al punto precedente, ovvero al fatto che dobbiamo considerare l'interessato una persona con gravissima disabilità. Tali persone non possono essere, nella fase degli esiti - sottolineo - ricoverate, a prescindere dai costi che la collettività deve affrontare, in strutture non adeguate, come, per esempio, le RSA; con tutto il rispetto per le RSA, che sono preposte a fornire un altro tipo di assistenza. Se queste persone dovessero finire in queste strutture, le loro aspettative di vita, credetemi, si ridurrebbero notevolmente, il che non è giusto e non è corretto.
Un altro aspetto da tenere in seria considerazione è che il rischio di povertà e, comunque, di emarginazione sociale e di estromissione dal tessuto sociale della famiglia è altissimo, veramente alto: in queste situazioni le famiglie sono soggette davvero a una povertà. Il coefficiente è stato calcolato intorno al 90 per cento, anche perché non tutte le famiglie sono, dal punto di vista sociale, abbienti.
Vi rimando, per questa problematica, al citato Libro bianco, dove, peraltro, abbiamo anche sviluppato il processo della domiciliazione. Dobbiamo motivare, incentivare il rientro al domicilio della persona per il ricongiungimento familiare, che è fondamentale. Lo si può fare, però, solo nel momento in cui la famiglia viene supportata dalle istituzioni, perché, se viene abbandonata, ne deriva un danno sociale per tutta la collettività, in quanto è una famiglia intera ad ammalarsi, non solo la persona in stato vegetativo. Si lascia anche il lavoro!
Questa era una premessa per arrivare, invece, ai contenuti delle proposte di legge. Ci permettiamo di affermare che, come ha evidenziato il dottor De Nigris, noi non abbiamo ben compreso la collocazione


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delle SUAP nel percorso riabilitativo, a partire dall'evento, quindi dalla terapia intensiva. Sono strutture di transito nel percorso riabilitativo? Se così fosse, credo che dovremmo pensare ad altro. Se, invece, sono strutture che vengono utilizzate nella fase degli esiti, cioè di accoglienza permanente della persona in stato vegetativo, allora vanno realizzate.
Nell'articolo 3 si fa riferimento a una permanenza di sei mesi. Non è possibile. Non è assolutamente possibile. Le proposte di legge fanno riferimento alla valutazione da parte dell'Unità valutativa multidisciplinare, che, prima di accogliere la persona nella SUAP, deve valutare se essa è predisposta poi, dopo i sei mesi, al rientro al domicilio. Se così non fosse, però, dove va la persona?
Se le SUAP sono una struttura o vengono realizzate per accogliere le persone in stato vegetativo in modo permanente, cioè a vita, devono essere poi anche organizzate e non devono essere sanitarizzate, cioè non devono essere una struttura sanitaria tout court, anche perché i costi sarebbero altissimi, mentre le esigenze della persona sono diverse.
Noi, di contro, proponiamo al presidente e a questa Commissione di valutare ed eventualmente anche di visitare una realtà, realizzata a Roma, che accoglie persone in stato vegetativo, tiene le famiglie unite e che le coinvolge nel prendersi cura del proprio congiunto. È una realtà di natura sociale, sostenuta con il supporto sanitario: una vera integrazione socio-sanitaria. L'abbiamo realizzata a Roma, si chiama Casa Iride e i costi non sono elevatissimi, al contrario; è la struttura adeguata, il modello che proponiamo come riferimento nazionale, affinché vengano ospitate le persone in stato vegetativo.
Abbiamo avuto il piacere di ricevere la visita dell'onorevole Paola Binetti, qui presente, che è rimasta, credo, entusiasta di tale realtà. Sotto l'aspetto dei costi, occorre dire che questi si possono affrontare, a differenza di quelli sanitari, perché le SUAP si collocano in una struttura sanitaria, mentre Casa Iride, o il modello che rappresenta, si colloca come struttura sociale, con il coinvolgimento diretto della famiglia: il familiare può restare ventiquattro ore in questa casa, se il congiunto ha la febbre, e partecipa direttamente al prendersi cura del proprio congiunto. Vi prego di tenere in seria considerazione questa soluzione come modello di riferimento.
Grazie per l'attenzione.

PRESIDENTE. Lei ha proposto ancora una volta un problema di coscienza sociale. Purtroppo, spesso sono solo i familiari, o coloro che subiscono disgrazie in tal senso, a prendere coscienza dei problemi di queste persone, mentre il resto della società ne rimane estraneo.
Lei propone un esempio che va oltre le SUAP, che hanno sicuramente la loro funzione. Poi, però, come ricordavo poco fa nel mio breve intervento, a volte può esserci, dopo la necessità di ricevere un'assistenza sanitaria più intensa, anche quella di ricevere la cura di una badante ben preparata.
Anche questa soluzione, però, comporta un costo per i familiari, che devono tenere una badante ventiquattro ore su ventiquattro. Ce ne vogliono almeno due e sono costi che non tutti, come lei ha rilevato, si possono permettere. La SUAP ha un costo, la badante ne ha un altro; tutti gli aspetti vanno equilibrati come parti di un'assistenza sociosanitaria che va considerata.
Noi ci siamo posti il problema. Ancora non abbiamo ascoltato il sottosegretario Eugenia Roccella sul Libro bianco. Ne ha dato comunicazione alla stampa, insieme a voi, e ci ripromettiamo di ascoltarla per integrare la nostra indagine conoscitiva, invitandola a farci sapere quali sono le deduzioni della commissione che lo ha predisposto.
Do la parola alla dottoressa Maria Rachele Zylberman.

MARIA RACHELE ZYLBERMAN, Già direttore dell'unità operativa complessa neurorianimazione intensiva ospedale San Giovanni Battista di Roma. Buon pomeriggio


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a tutti e grazie. Cercherò di essere molto sintetica.
Innanzitutto, essendo un tecnico, mi trovo dalla parte degli odiati medici. Devo dire che purtroppo, spesso, non abbiamo in mano gli strumenti per dare quanto necessario. Credo che le associazioni abbiano già illustrato i problemi e non li ripeto, perché li condivido pienamente.
Mi occupo delle conseguenze di gravi cerebrolesioni acquisite da oltre trent'anni e ho dedicato la mia vita professionale a questo tipo di problema da un punto di vista tecnico. Da molti anni sostengo, presso gli organi istituzionali, la necessità di dare una organizzazione a tale problema, ma solamente con l'onorevole Di Virgilio, nel 2005, siamo riusciti a coagulare una commissione che focalizzasse le problematiche più importanti.
In merito alle SUAP, sono favorevole a tali strutture, che tuttavia differiscono da Casa Iride. Ho incentivato la costituzione dell'associazione «Risveglio» - di cui Claudio Talento era il presidente; l'abbiamo fondata insieme all'avvocato Napolitano nel 1997 e ne sono tuttora il consulente scientifico.
Il problema è che si chiude un buco in un colabrodo: infatti, lasciamo aperte molte perplessità. Come medico, rimango molto provata quando devo affermare che approvo tout court le SUAP, pur avendole proposte insieme con Di Virgilio nel 1995. Non ho la sicurezza che oggi in Italia ci sia un'organizzazione mirata per lo stato vegetativo la cui definizione tutti condividiamo, perché è una condivisione scientifica a livello mondiale. Tutti condividiamo che cosa sia lo stato vegetativo; lo preciso perché nella proposta di legge dell'onorevole Binetti è scritto che ci sono ancora difficoltà. Non è vero, abbiamo le idee ben precise di che cosa sia uno stato vegetativo. La nostra grande difficoltà invece, è l'organizzazione delle diverse fasi in un percorso che assicuri al paziente tutto il necessario.
Purtroppo, avendo lavorato in un'unità critica - ho creato io nel 1985 l'unità di «Risveglio», attribuendole questo nome - so che non vengono assicurate le diverse fasi. Non so se chi arriverà a Casa Iride o nelle SUAP abbia compiuto tutto il percorso necessario e se siano state effettuate le famose neuroimmagini di cui parla l'onorevole Binetti. Esse non spettano alle SUAP, che rappresentano una fase di stabilizzazione, ma a un percorso precedente; pertanto il paziente, nell'attuale assetto del sistema sanitario, non è affatto studiato, come si vede.
Il cervello è un «organo» particolare che ha necessità di competenze specifiche, soprattutto da quando ci sono i nuovi pazienti in stati vegetativi. Fino a quarant'anni fa non esistevano, perché morivano. Oggi ci troviamo di fronte a una nuova malattia, che va curata: il coma e, in seguito, lo stato vegetativo sono malattie che vanno curate. Ci sono interventi specifici da compiere e spesso troviamo pazienti che da anni vivono in stato vegetativo e a cui non sono state applicate alcune procedure.
Per questo motivo, prima con l'onorevole Di Virgilio e oggi con la commissione Roccella, di cui ho fatto parte, abbiamo proposto il percorso doveroso per avere la sicurezza di una stabilizzazione e assicurare poi, nella fase di stabilizzazione, il rispetto della dignità della persona. Tutto ciò oggi non esiste dalla a alla zeta, eccettuato sporadiche iniziative, come Casa Iride o come, a Crotone, la struttura del professor Dolce.
Comunque, rispetto alla proposta di legge elaborata per ultima, ci sono alcuni errata corrige, che - se mi permettete - vorrei esporre. Non bisogna più parlare di coma vegetativo: il coma è una cosa e lo stato vegetativo ne è un'altra. Dato che ciò si ripete molte volte, per correttezza, con il sottosegretario Roccella abbiamo stilato anche un glossario per ben definire i significati: si tratta di due quadri clinici completamente diversi.
Inoltre, leggendo la proposta, ho notato, con un po' di orrore devo dire, che si proponevano le SUAP vicino alle rianimazioni. Non c'è nulla di più assurdo, perché la rianimazione è l'inizio di un percorso che poi dovrebbe avere alcune sub-unità, ancora prima della post-acuzia riabilitativa.


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Tale proposta è stata già avanzata oltre che nel Libro bianco, anche in un opuscolo che comunica i risultati di un progetto elaborato dalla commissione tecnica medica.
Il discorso è enorme, ma le lacune sono tantissime. Ben vengano le SUAP, ma non con i criteri proposti, che bisogna assolutamente rivedere. Soprattutto, spero che questo sia l'inizio di un mettere mano al problema anziché dall'inizio, dalla fine; va bene lo stesso, purché intraprendiamo tutto. Come cittadina e come medico, vorrei avere la garanzia che ci occupiamo di un bisogno da soddisfare, che è il bisogno di una salute vera; parliamo di malattie gravi, che hanno una grande incidenza.
A proposito dell'epidemiologia, anche nel libro proposto dalla categoria medica nella commissione Roccella c'è uno studio che identifica quanto le SDO di dimissione non siano corrette, quanto ci sia poca formazione. C'è bisogno di incentivare la formazione specifica, nonché l'osservatorio epidemiologico. Grazie.

PRESIDENTE. Grazie, dottoressa. Lei non ha fatto altro che rafforzare i motivi per i quali la Commissione si è voluta occupare di questo tipo di problema, ossia proprio le carenze da lei evidenziate e la «disorganizzazione» che spesso vige nella gestione di questi pazienti e di questo tipo di assistenza in generale. Si va da situazioni ottimali a situazioni carenti; si cerca di dare un indirizzo, che speriamo le regioni applicheranno validamente. Siamo in questa situazione e non possiamo fare altrimenti.

MARIA RACHELE ZYLBERMAN, Già direttore dell'unità operativa complessa neurorianimazione intensiva dell'ospedale San Giovanni Battista di Roma. In Emilia Romagna hanno cominciato.

PRESIDENTE. Qualcuno ha cominciato, altri sono avanti, altri sono molto indietro, come è stato ricordato poco fa. Il motivo per cui abbiamo trattato questo argomento è che la Commissione ha riscontrato le difficoltà delle famiglie, oltre che dei malati.
Proviamo allora a dare un assetto unitario, che possa aiutare il malato e, soprattutto, anche le famiglie, perché le difficoltà più grosse - diciamolo pure - ricadono sulle famiglie, che, secondo me, diventano pazienti insieme al malato stesso.
Do ora la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

CARLA CASTELLANI. Ringrazio tutti gli auditi per i preziosi approfondimenti, che saranno utili nella discussione a tutti i commissari. In tutti gli interventi ho ravvisato - anch'io ero rianimatore - alcune difficoltà relative all'elaborazione di questa proposta di legge.
La prima riguarda il fatto che, con la modifica del Titolo V della Costituzione, l'organizzazione e la gestione spetta alle regioni, pertanto noi possiamo solo dare alcuni princìpi di fondo che dovranno poi orientare le regioni.
La seconda - devo dire per fortuna - è che pur essendo vero che non si conosce ancora il numero esatto dei pazienti in stato vegetativo, da quanto emerge dagli studi della commissione Roccella, si stima che nel nostro Paese essi siano intorno ai 2.000-2.500, probabilmente in crescita, perché gli incidenti stradali, purtroppo, sono in continuo aumento.
Tenendo conto di tale cifra e dividendola semplicisticamente per il numero delle regioni, avremmo circa 200 pazienti per ogni regione; alcune ne avranno di più, altre di meno.
Dico questo perché è proprio il numero che determina una difficoltà estrema nell'organizzare un servizio completo. In tutti gli interventi è stato detto che è fondamentale per questi soggetti la vicinanza delle famiglie, degli amici, degli affetti, ossia il fatto di ricreare un clima che sia di stimolo per loro.
Si tratterebbe di istituire strutture che in una provincia - considerato il rapporto tra il numero dei pazienti e quello delle


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province - potrebbero essere costituite da due o tre posti letto. Ci rendiamo conto di quanto sia difficile elaborare un testo di legge il più possibile compiuto e realizzabile.
Da parte di tutti ci sono stati forniti grandissimi suggerimenti. Condivido alcune riflessioni che ha svolto il dottor Claudio Taliento, però esse riguardano soprattutto la fase conclusiva del percorso di questi pazienti, nella quella sia loro, sia le loro famiglie hanno prevalentemente necessità di un'assistenza sociosanitaria.
Tuttavia, dopo che escono dalla rianimazione, prima di arrivare a una stabilizzazione che costituisce la fase terminale, ci sono tutte le fasi in cui è necessario creare le condizioni per il recupero di questi pazienti. Concordo con la dottoressa Zylberman sulla necessità di individuare il percorso: una famiglia che ha un proprio familiare in rianimazione deve sapere, dopo la rianimazione, quali sono gli step successivi, quelli più utili dal punto di vista sanitario e quelli, purtroppo, successivi, di natura assistenziale.
Credo che lo sforzo non sia indifferente, ma se riusciremo a compiere bene il nostro lavoro, sicuramente saremo utili alla collettività.

DOMENICO DI VIRGILIO. Innanzitutto, ringrazio sentitamente gli auditi per il loro contributo. Più vengo ad ascoltare tutte queste audizioni, più apprendo e imparo.
Devo riconoscere che questa Commissione ha assunto un'iniziativa coraggiosa, e per ciò ringrazio il presidente e tutti i commissari, decidendo di affrontare un argomento che è praticamente nuovo per l'Italia, anche se ha una storia che dura ormai da anni.
Se mi permettete, muovo una critica al Libro bianco. Lo sto leggendo - sono due volumi: uno delle associazioni, che è un contributo insostituibile, e uno che fa il punto della situazione tecnica - e mi sembra che sia una fotografia dell'esistente. Se così fosse, il Libro bianco non sarebbe sufficiente ad affrontare il problema, come vorremmo fare, con soluzioni possibili.
Condivido le considerazioni dell'onorevole Castellani, sul problema del Titolo V della Costituzione. È vero che le regioni hanno, e ci mancherebbe altro, il riconoscimento dell'autonomia organizzativa. Lo Stato, però, non può assolutamente abdicare - questo è un mio pensiero - dal definire i princìpi fondamentali. Parlo anche di un'altra legge che pochi giorni fa ha conosciuto uno stop. Non possiamo accettare che un paziente, una persona di questo tipo sia trattata in un modo in una regione e diversamente in un'altra. Dobbiamo dare alcuni princìpi fondamentali che le regioni debbono applicare, lasciando poi che esse stesse apportino quelle modifiche migliorative o capacità organizzative delle quali noi non dobbiamo occuparci.
Come è stato giustamente detto, bisogna intanto che arriviamo a un riconoscimento di questa particolare persona, di questo stato di patologia particolare. Sono d'accordo che non si debba parlare più di coma vegetativo e di stato vegetativo; sono persone che non sono attaccate alle macchine e respirano autonomamente: la questione ormai è risaputa.
Sono d'accordo con la collega Castellani: il numero preciso non si conosce, ma conta poco. Sono intorno alle 3 mila unità, in aumento per i fenomeni descritti. Ne deriva anche la difficoltà di programmare, che spetta alle regioni, quanti posti letto disporre nelle SUAP.
Le due proposte di legge, la mia e quella della collega Binetti, rappresentano un pretesto, se volete, per affrontare l'argomento, perché sono, di fatto, superate e devono essere migliorate. Per esempio, riconosco che nella mia ci sono alcuni errori pacchiani. Affermare che il paziente deve stare sei mesi nella SUAP, oppure che l'assistenza deve essere effettuata ogni ora sono questioni che si possono valutare diversamente e, secondo me, vanno elaborate diversamente. Sono, però, una fotografia di un percorso, come è stato ricordato, che riguarda questa persona, che va


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dallo stato acuto, dal momento in cui entra in rianimazione, a quando ha superato tale fase e non deve più stare in rianimazione.
Un altro errore nella mia proposta di legge è l'indicazione che le SUAP dovrebbero stare vicine alle rianimazioni. È un errore. Dunque, al termine di questa indagine conoscitiva, dobbiamo arrivare ad elaborare un testo unificato che tenga conto di alcune proposte concrete sulla base di quanto abbiamo ascoltato.
È stato sottolineato il ruolo delle famiglie. È chiaro che la famiglia ha un ruolo fondamentale. Ce l'ha sempre, ma nel caso di questi pazienti, che vivono per anni in quello stato particolare di dipendenza, anche se in una relativa autonomia, la famiglia gioca un ruolo fondamentale, ragion per cui va sostenuta da tutti i punti di vista.
Sarà una legge che costa. Caro presidente, carissimi colleghi, uno Stato non può abdicare non emanando una legge giusta, che i cittadini si aspettano non tra tre o cinque anni, ma il prima possibile, considerando il costo economico una condicio sine qua non. Parlo indipendentemente dall'appartenenza a un'area politica. È chiaro che la famiglia deve essere supportata dalle istituzioni: senza ciò, qualsiasi legge fallirebbe.
Ringrazio sentitamente gli auditi perché finora avete dimostrato che queste persone possono essere adeguatamente suffragate e sostenute soltanto con l'iniziativa personale, privata, particolare. Non è giusto, però, che lo Stato non sia vicino a queste istituzioni e a questi malati.

ILEANA ARGENTIN. Non potevo mancare dall'intervenire, perché conosco molto bene queste associazioni e ho avuto anche il piacere di incontrarle. Anch'io voglio ringraziarle per averci fornito del «materiale» per lavorare.
Credo che, però, vadano adottati due o tre accorgimenti e segnalate due o tre questioni. È vero che parliamo di uno status vegetativo, che è non proprio la patologia, ma la conseguenza di tale patologia. Abbiamo, però, la necessità di renderci conto che spesso il sistema sanitario, autonomo in ogni regione, crea figli di serie A e di serie B a seconda di dove si vive.
Questo è, purtroppo, uno dei punti drammatici della nostra sanità e credo che sarebbe ora che i presidenti delle regioni dessero vita a un tavolo d'intesa allo scopo di non differenziare sempre e ovunque i comportamenti sanitari. Non solo una persona è sfortunata perché ha un incidente, ma, se nasce nel Mezzogiorno, lo è ancora di più che se nasce in Emilia Romagna. Ciò mi fa pensare moltissimo.
Credo, però, che, quando parliamo della seconda fase, ossia dello stato vegetativo non più tecnicamente sanitarizzato, ma sociosanitario, se vogliamo, e facciamo riferimento con facilità alle persone che sono badanti, abbiamo una grande responsabilità. Se decidiamo che una madre, un marito, una moglie o un fratello possano esercitare manovre invasive, come quelle per aspirare sulla tracheostomia o sulla PEG, ci dobbiamo necessariamente ricordare che la normativa nazionale prevede che tali operazioni debbano essere eseguite da un infermiere della rianimazione, neanche da un infermiere normale. Lo prevede la normativa nazionale.
Sta di fatto che se un genitore ha un figlio in uno stato vegetativo e pratica un'aspirazione perché ha una tracheostomia - non eseguirla, infatti, sarebbe omissione di soccorso ed è quindi costretto a farla - ciò non può essere compiuto da un badante qualunque, perché questi non può effettuare alcuna manovra invasiva. Lo posso garantire perché, essendo stata per molti anni presidente dell'Unione italiana lotta alla distrofia muscolare, abbiamo avuto tantissimi ragazzi e ragazze tracheostomizzate o con PEG. Non è possibile mandare un operatore sociale a compiere questo tipo di attività.
Quindi, se non riusciamo regionalmente a modificare la situazione perché ci sono incongruenze, almeno nazionalmente potremmo fornire alcune direttive che ci accomunino. Ad esempio, potremmo benissimo fare in modo che tale tipo di intervento - non vado a specificare la


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riduzione dei costi perché è chiaro che dove c'è la sanità si ha un costo maggiore rispetto a dove si ha un intervento sociale - venga almeno legittimato e riconosciuto come legale.
Esiste un problema gigantesco nell'intervenire su queste persone. Non è vero che le badanti hanno costi che non tutti si possono permettere. Infatti, in base a una normativa esistente nel Lazio, le badanti possono essere sostituite dall'assistenza indiretta, quella per le persone che hanno capacità di intendere e volere. Se avessimo la possibilità di ampliare - conosco bene questa legge perché l'ho emanata io a Roma, così come ho fondato la casa di cui parlava il dottor Taliento; ho messo io i soldi per i lavori pubblici su tale tema - in molte regioni non l'assistenza domiciliare per le persone che non sono capaci di intendere e volere, ma l'assistenza indiretta, stanziando meno soldi, ma fornendo una qualità dei servizi maggiore, avremmo risolto tre quarti di questo problema.
Ho presieduto 1.800 casi solo a Roma e, quindi, ne ho la consapevolezza. Mi permetto di aggiungere, per poi concludere, che vanno bene le residenze protette, ma non le RSA, perché questi pazienti non possono essere accolti in RSA.
Le strutture previste nelle proposte di legge a firma Di Virgilio e Paola Binetti sono senz'altro un passo importante, ma credo che abbia ragione l'onorevole Castellani quando ha invitato a creare un percorso unitario. Non inventiamo strutture con interventi a pioggia, dal momento che ci sono regioni più o meno ricche che possono realizzarle o no.
Pensiamo, invece, di far uscire realmente queste persone nel modo dovuto da quello status e poi impariamo anche ad ammettere che abbiamo bisogno di un personale meno utilizzato. Disponiamo di un personale medico che non è in grado di gestire psicologicamente alcuna di queste situazioni.
Conosco la dottoressa Zylberman da tanti anni e so che saper comunicare a un genitore o a un parente che una persona potrebbe morire o vivere è complesso, ma comunicare loro che questa persona vive in un modo diverso è ancora più complesso, quando non si sa che cosa offrire loro. Sulla base di questo, forse sarebbe necessario un ufficio di accoglienza; non ci sarebbero mille associazioni, ma un ufficio istituzionale in cui tutti avrebbero la possibilità di avere domanda e offerta.
Siamo un mercato esattamente come gli altri. Se si comprendesse che una persona in stato vegetale, fossero cento o uno - per me sono importanti tutti, anche uno solo - costa alla comunità una certa cifra, questi soldi potrebbero essere utilizzati meglio, anziché continuare a sperperarli, immaginando che lasciare tali pazienti su un letto sia meno «problematico» da gestire o da organizzare piuttosto che metterli su una sedia a rotelle.
Vi assicuro che lo status diventa poi assolutamente discriminante per la famiglia, perché se si mette una persona su una carrozzina, si collega a un respiratore, gli si permette una PEG e un vivere sereno, il genitore è comunque inserito e integrato. Se si chiude un ragazzo, una ragazza, un marito o una moglie dentro un appartamento al quarto piano senza ascensore tutto diventa più complesso. Gli appartamenti al pianterreno ce li hanno coloro che nascono disabili, non coloro che lo diventano.
Questa è una grossa differenza. Noi disabili parliamo spesso di questa questione, perché parliamo di Paglia, un nostro collega che è diventato disabile. Fa la differenza perché chi è disabile è quasi sempre sereno, mentre chi lo diventa è «incazzato» scusate il francesismo. Ciò è dovuto al fatto che, molte volte, se si nasce con uno status, si ha un percorso già delineato; chi diventa disabile sicuramente ha un percorso difficile. Chiedo scusa per la parolaccia.

PRESIDENTE. È vero.

MARIA ANTONIETTA FARINA COSCIONI. Ringrazio i rappresentanti delle associazioni che sono state oggi ascoltate.
È doveroso svolgere alcune precisazioni. Innanzitutto non mi stupisce il ripetuto


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richiamo che è stato fatto al Libro bianco sugli stati vegetativi e di minima coscienza, messo a disposizione della Commissione affari sociali o del Parlamento dal giorno stesso in cui è stato presentato dal sottosegretario Roccella e - ahimè e ahinoi - diffuso a mezzo stampa, anziché anticipatamente, almeno nei contenuti, come sarebbe stato giusto e doveroso.
In merito alla scelta operata dal sottosegretario Roccella per presentare il contenuto di questo Libro bianco, ribadisco che il sottosegretario avrebbe potuto anticiparne i contenuti alla Commissione affari sociali, dal momento che è in corso, proprio in questa Commissione, un'indagine conoscitiva sul tema.
Oggi voi siete stati chiamati a questa audizione per rispondere ad alcune domande precise cui il Libro bianco non ha risposto. Il Libro bianco è fermo al 2005-2006 e i dati che sono stati riportati - mi riferisco alla tabella 1 a pagina 51 - sono gli stessi riportati nell'indagine condotta nella legislatura in cui l'allora sottosegretario Domenico Di Virgilio riaprì lo studio sugli stati vegetativi e di minima coscienza.
Ciò va precisato perché il contributo dato dalle associazioni, anche di una parte di quelle che oggi abbiamo ascoltato, non ha risposto a quello che, invece, l'indagine conoscitiva vuole rilevare. Interessa, cioè, sapere quante persone si trovano nelle condizioni di stato vegetativo e di minima coscienza nei reparti di terapia intensiva e nelle rianimazioni, quindi letteralmente parcheggiate in luoghi inappropriati per le loro condizioni.
Oltretutto, a questo punto, mi chiedo come mai tali numeri non siano stati dati e forniti in questo studio. Semplicemente conoscendo il numero, saremo in grado di impostare la politica e di stanziare finanze adeguate per proteggere queste persone.
Se le esperienze assistenziali analizzate nel Libro bianco sono limitate al caso della Lombardia, della Liguria, del Veneto, dell'Emilia Romagna, del Lazio, della Campania e della Calabria, rimangono fuori realtà ed esperienze assistenziali non rappresentate nella commissione ministeriale nominata dal sottosegretario Roccella. Se il Libro bianco è stato coordinato dal dottor Fulvio De Nigris, che è qui presente, è normale che in questa audizione ci si richiami a questo lavoro. Non vi è, dunque, alcuna sorpresa se i risultati e le conclusioni della commissione ministeriale sono quelli che sono.
Sappiamo che i membri delle commissione ministeriale sono stati scelti, in questo caso, dal sottosegretario Roccella e che si tratta di una commissione nata sulla passione emotiva del caso Englaro. Abbiamo personalmente interrogato anche il sottosegretario Roccella e il Ministro della salute per sapere con quali criteri siano stati scelti i suoi membri. Non vi è, dunque, alcuna sorpresa riguardo ai risultati e alle conclusioni di essa.
Come Commissione affari sociali, chiediamo semplicemente di conoscere quante sono oggi, in questo momento, nel 2010, le persone che si trovano in questa condizione sul territorio nazionale. Chiedo a ciascuno di voi, visto che ognuno rappresenta alcune realtà, quante persone voi accogliete e quante ne conoscete che vivono in realtà inappropriate per le proprie condizioni.
Concludo osservando che, a dispetto del livello di sensibilità dimostrato nel Libro bianco in relazione al modo in cui vivono le persone in stato vegetativo, se è vero che lo stato vegetativo è disabilità e che le persone da questo interessate hanno una determinata sensibilità esterna, a maggior ragione è vero che ci dobbiamo impegnare per sapere quante sono e in che modo vengono impiegate le risorse che dobbiamo destinare loro dal momento dell'avvenimento a tutto il ciclo della loro esistenza. Ancora oggi non conosciamo questi numeri, mentre questa indagine conoscitiva è rivolta proprio a tale scopo.

ANTONIO PALAGIANO. Grazie, presidente. Il mio sarà un intervento breve, perché molte osservazioni sono già state sviluppate.
Vorrei soltanto svolgere una considerazione. Credo che mai come in questo momento la politica sia additata dai cittadini


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come lontana dai loro problemi reali. Credo che lo sia ancora di più quando si parla di cittadini con problemi, come nel caso che stiamo trattando. Queste audizioni dovrebbero davvero servire - per questo rivolgo un invito a tutti a presentare per iscritto i loro interventi - per arricchirci in modo tale da poter varare una legge adeguata che risponda veramente alle aspettative dei cittadini interessati da questi problemi, e soprattutto delle loro famiglie, che si trovano sempre più da sole ad affrontarli.
Questa è la ragione per cui, come affermava l'onorevole Argentin, sorgono le associazioni. Sorgono perché queste persone si trovano isolate davanti a un problema e quindi cercano di creare una forma di rete per sostenersi reciprocamente.
Credo, Presidente, che dopo il fallimento della legge sul governo clinico, tutti nutriamo perplessità sulle nostre reali possibilità. Credo che la sanità si giudichi attraverso tre elementi: omogeneità sul territorio nazionale, ottimizzazione dei costi e prestazioni di buona qualità. Quando ci sforziamo di trovare un'intesa in questa Commissione, riusciamo spesso a interloquire tra di noi, ma poi tutto si blocca a causa dell'autonomia delle regioni.
Nutro grosse perplessità come, forse, anche l'onorevole Di Virgilio ne ha prima espresse. Dovremmo cercare un intervento prioritario, individuare il limite cui possiamo arrivare, la maniera di disciplinare e omogeneizzare sul territorio nazionale per garantire a tutti i cittadini, da Caltanissetta a Milano, che il criterio per stabilire se il tale cittadino sarà curato adeguatamente oppure no, e se potrà trovare una struttura, non deve essere costituito dalla città di appartenenza.
Dubito seriamente che possiamo dare un orientamento in questa Commissione, perché molto spesso il nostro intervento è lesivo delle autonomie regionali e questa è una preoccupazione che da una settimana mi porto addosso. Dovremmo rivedere dove si può spingere la Commissione affari sociali per garantire il diritto alla salute a tutti i cittadini italiani.

LAURA MOLTENI. Sarò molto sintetica. Queste audizioni sono sempre importanti, perché ci portano la testimonianza di chi, nella quotidianità e nelle diverse parti del Paese, vive i problemi in prima persona.
Volevo, però, far presente che quando è stata licenziata la legge sulle cure palliative, noi abbiamo voluto inserirle nelle prestazioni essenziali di assistenza per far sì, da una parte, che tutti i cittadini del Paese, da Lampedusa a Bolzano, potessero ricevere tali prestazioni, senza alcuna esclusione e, dall'altra, che gli enti locali, in questo caso le regioni, fossero, altresì, obbligati a erogare tali prestazioni essenziali ai loro cittadini.
Secondo me, la chiave può essere, da un lato, questa; da un altro, è chiaro che non si possono scavalcare le prerogative per la gestione e l'organizzazione dei servizi sanitari, che il Titolo V della Costituzione attribuisce alle regioni.
Dunque, a livello nazionale, come Parlamento, che cosa possiamo fare? Possiamo emanare alcune linee di principio, alcune linee guida, ma, nel momento in cui inseriamo che determinati tipi di prestazioni sono essenziali e raccordiamo il tutto con i livelli essenziali di assistenza, penso che possiamo, andando a calibrare la nostra azione anche rispetto alle singole problematiche, arrivare a dare alcuni strumenti concreti e fattivi che poi si possano veramente tradurre in risposte concrete ai bisogni dei cittadini. Ricordiamo la storia degli hospice. Per esempio, adesso tutte le regioni sono obbligate ad assicurare le cure palliative, perché siamo passati attraverso la formula delle prestazioni essenziali.
Un aspetto importante riguarda le autonomie regionali e gli enti locali. Penso che nei diversi processi sia importante coinvolgere gli enti locali sull'integrazione dei servizi: da una parte, infatti, il sociosanitario è di competenza della regione, ma dall'altra, non dobbiamo dimenticarlo, il socioassistenziale è di competenza dei comuni. Occorre realizzare anche alcune politiche perché si arrivi alla vera integrazione dei servizi, anche con quanto offrono le diverse associazioni, che spesso


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in alcuni territori surrogano al ruolo che dovrebbe svolgere il comune e talvolta anche la regione nell'erogazione di alcune prestazioni.
Occorre, dunque, vedere un'integrazione del sociosanitario con il socioassistenziale tra regione, comune e associazioni del terzo settore, in base anche a un principio di sussidiarietà orizzontale, in cui il terzo settore viene visto come una risorsa, in una logica di collaborazione e non di contrapposizione con l'ente locale.
Mi sembra una questione importante, che può essere posta tra le linee guida, di indirizzo, che questo Parlamento può dare.

PRESIDENTE. Do la parola agli auditi per la replica.

MARIA RACHELE ZYLBERMAN, Già direttore dell'unità operativa complessa neurorianimazione intensiva dell'ospedale San Giovanni Battista di Roma. Ho l'impressione che non sia stata letta l'altro documento della commissione Roccella, che non è il Libro bianco. C'è una parte estremamente tecnica - e con questo rispondo anche all'onorevole Coscioni - che rappresenta una revisione, direi addirittura un sovvertimento, in quanto abbiamo impostato, come aveva osservato prima, il problema epidemiologico.
Per chiarezza, volevo ricordare che la commissione Roccella ha lavorato su due versanti: con le famiglie attraverso il Libro bianco e, poi, su un'altra parte tecnica.

FULVIO DE NIGRIS, Direttore dell'associazione ONLUS «Gli amici di Luca». Volevo solamente rispondere all'onorevole Coscioni che l'indagine epidemiologica è uno degli obiettivi che ci siamo posti come associazione, ma non è l'obiettivo del Libro bianco. Il Libro bianco ha tutti altri obiettivi. Occorrono fondi per svolgere l'indagine epidemiologica e speriamo che si possa svolgere in futuro.
La commissione composta dalle associazioni non è stata istituita per decreto ministeriale: i membri sono tutti volontari, persone che vi partecipano senza godere di alcun rimborso e le esperienze presentate sono tutte riferite al gruppo delle associazioni partecipanti alla commissione (Commenti).

CLAUDIO LUNGHINI, Segretario dell'associazione ONLUS «Gli amici di Eleonora». Volevo semplicemente svolgere una considerazione. Sono un emiliano trasferito a Napoli e, quindi, conosco la differenza tra l'assistenza sanitaria in Emilia Romagna e nelle regioni del sud.
Queste proposte di legge, secondo noi, devono concludere il loro iter il più presto possibile, perché finalmente si daranno criteri omogenei di scelta in tutto il Paese. È fuori discussione che in ogni regione bisognerà applicare la legge, però, se non forniamo le linee guida uniformi e non istituiamo una commissione nazionale, non avremo mai i numeri e non ci intenderemo nemmeno sui termini sui quali, anche come associazioni, non siamo d'accordo.

PRESIDENTE. La ringrazio. Ho partecipato da vicino alla legge sulle cure palliative, essendo stato anche relatore. Il problema è far rientrare questa assistenza nei livelli essenziali di assistenza, perché, se non vi rientra, non possiamo fare nulla, solo una legge manifesto.
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 16,05.

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