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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissione XII
4.
Mercoledì 30 giugno 2010
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Palumbo Giuseppe, Presidente ... 3

INDAGINE CONOSCITIVA NELL'AMBITO DELL'ESAME DELLE ABBINATE PROPOSTE DI LEGGE C. 412 DI VIRGILIO E C. 1992 BINETTI RECANTI «ISTITUZIONE DI SPECIALI UNITÀ DI ACCOGLIENZA PERMANENTE PER L'ASSISTENZA DEI PAZIENTI CEREBROLESI CRONICI»

Audizione del professor Gian Luigi Gigli, direttore della SOC Neurologia e Neurofisiopatologia dell'Azienda ospedaliera Santa Maria della Misericordia di Udine, e del professor Antonio Carolei, ordinario di neurologia dell'Università degli studi de L'Aquila:

Palumbo Giuseppe, Presidente ... 3 6 8 9 11 12
Argentin Ileana (PD) ... 8
Binetti Paola (UdC) ... 9
Carolei Antonio, Professore ordinario di neurologia dell'Università degli studi de L'Aquila ... 3 11
Castellani Carla (PdL) ... 10
Di Virgilio Domenico (PdL) ... 8
Farina Coscioni Maria Antonietta (PD) ... 9
Gigli Gian Luigi, Direttore della SOC Neurologia e Neurofisiopatologia dell'Azienda ospedaliera Santa Maria della Misericordia di Udine ... 7 9 12
Molteni Laura (LNP) ... 10
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Repubblicani; Regionalisti, Popolari: Misto-RRP; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Noi Sud Libertà e Autonomia-Partito Liberale Italiano: Misto-Noi Sud LA-PLI.

COMMISSIONE XII
AFFARI SOCIALI

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di mercoledì 30 giugno 2010


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GIUSEPPE PALUMBO

La seduta comincia alle 14,30.

(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito.
(Così rimane stabilito).

Audizione del professor Gian Luigi Gigli, direttore della SOC Neurologia e Neurofisiopatologia dell'Azienda ospedaliera Santa Maria della Misericordia di Udine, e del professor Antonio Carolei, ordinario di neurologia dell'Università degli studi de L'Aquila.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nel contesto dell'indagine conoscitiva disposta nell'ambito dell'esame delle abbinate proposte di legge C. 412 Di Virgilio e C. 1992 Binetti, recanti «Istituzione di speciali unità di accoglienza permanente per l'assistenza dei pazienti cerebrolesi cronici», l'audizione del professor Gian Luigi Gigli, direttore della SOC di neurologia e neurofisiopatologia dell'Azienda ospedaliero-universitaria «Santa Maria della Misericordia» di Udine, e del professor Antonio Carolei, ordinario di neurologia dell'Università degli studi de L'Aquila.
Do la parola al professor Carolei.

ANTONIO CAROLEI, Professore ordinario di neurologia dell'Università degli studi de L'Aquila. Signor presidente, onorevoli deputati, partecipo all'odierna audizione anche in veste di componente del gruppo di lavoro, istituito dal sottosegretario Roccella nell'ottobre del 2008, al quale era stato affidato il compito di elaborare un documento aggiornato circa gli stati vegetativi e di minima coscienza.
Premesso che sono a disposizione per rispondere ad ogni richiesta di chiarimento in merito alla materia oggetto delle due proposte di legge presentate dagli onorevoli Di Virgilio e Binetti, le chiedo innanzitutto la cortesia, signor presidente, di indicarmi in quale modo desidera che offra il mio contributo ai lavori della Commissione.

PRESIDENTE. Professor Carolei, le consuete modalità di svolgimento delle audizioni prevedono che i soggetti ai quali chiediamo di intervenire illustrino una relazione e, in seguito, replichino alle domande e osservazioni eventualmente formulate dai componenti della Commissione. Ove lo ritengano opportuno, gli auditi hanno anche la possibilità di consegnare memorie scritte.
Nel caso di specie, desidereremmo che lei e il professor Gigli portaste a conoscenza della Commissione le vostre valutazioni in merito alle predette proposte di legge.

ANTONIO CAROLEI, Professore ordinario di neurologia dell'Università degli studi de L'Aquila. La ringrazio, signor presidente.
Ho esaminato le due proposte, il cui testo mi sembra sostanzialmente coincidente in parecchi punti.


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Partendo dalla formulazione dell'articolo 1 della proposta di legge a prima firma dell'onorevole Di Virgilio, al cui articolato farò riferimento anche nel prosieguo della mia relazione, ritengo opportuno, innanzitutto, definire con maggiore precisione i pazienti e le situazioni ai quali si ha riguardo, in quanto l'uso di terminologie molto caratterizzanti potrebbe creare problemi applicativi. Un ulteriore rilievo attiene all'espressione «coma vegetativo», che potrebbe essere sostituita dalla locuzione «disturbo cronico della coscienza»: la seconda dizione, più ampia, renderebbe più agevole stabilire chi debba usufruire delle speciali unità di accoglienza di cui si propone l'istituzione.
Passando ai rilievi concernenti gli articoli successivi, l'articolo 2 prevede che le speciali unità di accoglienza permanente (SUAP) possano essere inserite in centri di rianimazione come unità distinte. Credo che ciò non sia corretto: le SUAP dovrebbero essere inserite non in centri di rianimazione, sia pure come unità distinte, ma in residenze sanitarie assistenziali indipendenti dai centri di rianimazione.
Il comma 2 dell'articolo 3 garantisce la continuità e l'equità nell'accesso alle cure, per un periodo che, di norma, non può superare i sei mesi. A tale riguardo, sarebbe opportuno specificare che, nel caso di pazienti in stato vegetativo, l'accesso alle cure abbia luogo, sin dall'inizio, a tempo indeterminato, senza che sia necessario un nuovo accoglimento.
L'articolo 4, comma 1, lettera c), stabilisce che ad ogni paziente sia assicurata l'assistenza di un'apposita équipe medica, nell'ambito di un piano di assistenza individualizzato. In proposito, dal momento che la genericità della dizione «équipe medica» potrebbe creare difficoltà sul piano applicativo, suggerirei di prefissare i requisiti e le competenze professionali occorrenti per farne parte, in quanto i pazienti con disturbo cronico della coscienza hanno bisogno di attenzioni particolari. Naturalmente, poiché non disponiamo di dipendenti con una formazione specifica, bisognerebbe anche fornire le necessarie indicazioni relativamente all'addestramento e alla formazione di tali unità di personale. Inoltre, per evitare che si verifichino contrasti, dovrebbero essere chiariti i compiti, all'interno dell'équipe medica, dell'infermiere coordinatore cui fa riferimento la lettera d).
Ai sensi della lettera f) «il controllo medico avviene a intervalli non maggiori, in media, di un'ora». Non so se questa sia la migliore formulazione possibile, ovvero se non sia più opportuno stabilire una durata complessiva giornaliera del controllo medico.
La lettera m) garantisce il libero accesso dei familiari del paziente e la predisposizione e l'attuazione, a loro favore, di un programma di sostegno psicologico, con l'intervento dell'assistente sociale, ove necessario. Si tratta di un aspetto delicato: i familiari sono certamente utilissimi, ma sarebbe opportuno specificare, eventualmente acquisendo l'opinione in merito delle associazioni delle famiglie, in quale modo essi possano offrire il proprio contributo all'interno delle unità di accoglienza.
L'articolo 5, comma 1, relativo alle modalità per il rientro al domicilio, specifica che il Servizio sanitario nazionale assicura ai pazienti e ai familiari conviventi che li assistono un'adeguata assistenza globale rapportata alla gravità della patologia. Anche in questo caso, per evitare controversie, converrebbe entrare più nel dettaglio, superando la generica formulazione della disposizione.
L'articolo 5, comma 2, prevede che le SUAP valutino, prima dell'accoglimento del paziente, le modalità per organizzare il suo rientro al domicilio. Mi sembra contraddittorio che le SUAP, prima di ammettere il paziente, debbano prima di tutto valutare come farlo rientrare a casa. Forse, sarebbe il caso di chiarire meglio il senso di tale previsione.
Per quanto riguarda le unità di valutazione multiprofessionale di cui all'articolo 6, deputate a definire il percorso socio-assistenziale più idoneo per orga-nizzare il rientro domiciliare protetto, a facilitare tale rientro, a effettuare il monitoraggio periodico sul decorso delle condizioni


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del paziente, nonché a promuovere, eventualmente, le iniziative necessarie per la sua collocazione permanente presso la SUAP di competenza, sembra che la disposizione in esame affidi tali compiti a personale appartenente all'azienda sanitaria locale e, in quanto tale, in qualche modo avulso dalla gestione delle speciali unità di accoglienza. Anche in questo caso, forse, sarebbe opportuno cercare di garantire una migliore collaborazione tra ASL e SUAP, definendo le modalità di interazione tra tali strutture. Suggerirei, quindi, di specificare in maniera più dettagliata i compiti delle unità di valutazione multiprofessionale, che non sono semplici. Inoltre, dal momento che sia l'articolo 6 sia l'articolo 3, comma 2, secondo periodo, fanno riferimento alla definizione del percorso successivo alla permanenza nelle SUAP, occorrerebbe, a mio avviso, valutare l'opportunità di un coordinamento tra le due disposizioni, integrando il testo dell'articolo 3, comma 2, ovvero inserendovi uno specifico rinvio all'articolo 6, comma 2.
L'articolo 7, concernente i servizi forniti alla famiglia, stabilisce che «il Servizio sanitario nazionale assicura un'assistenza domiciliare integrata di tipo medico, infermieristico, fisioterapico e psicologico». Al riguardo, poiché il bisogno medico è individuato in modo generico, suggerirei di specificare che la famiglia non soltanto può usufruire di un'assistenza medica generalista, ma può anche avvalersi di competenze specialistiche multiprofessionali, perché vengono in rilievo situazioni oltremodo delicate.
Considero meritevole di qualche riflessione anche l'articolo 8, relativo all'istituzione del Registro nazionale dei pazienti in stato vegetativo e in stato di minima coscienza.
Innanzitutto, non so se, a fronte di uno stato non identificato come patologia, l'Istituto superiore di sanità possa essere sede di un registro nazionale.
Inoltre, al Registro nazionale della malattia di Creutzfeldt-Jakob e sindromi correlate pervengono dalla rete diagnostica le segnalazioni relative ai casi sospetti della malattia e al numero dei decessi, le quali sono basate su specifici esami di laboratorio. Tuttavia, nel caso di cui ci stiamo occupando, fra i competenti specialisti esistono difficoltà e difformità già nel differenziare un paziente in stato vegetativo da uno in stato di minima coscienza.
Peraltro, istituire un registro nazionale delle gravi cerebrolesioni acquisite, in senso lato, è diverso dal dedicare specifica attenzione agli stati vegetativi e di minima coscienza. I registri esistenti non permettono di risalire al numero dei casi di pazienti in stato vegetativo, perché alcuni - sono pochi, in verità - non prevedono neanche l'indicazione del relativo codice diagnostico.
All'interno del gruppo di lavoro mi sono occupato, con altri colleghi, dell'epidemiologia degli stati vegetativi nel nostro Paese. In proposito, è possibile rilevare come l'intento di ottenere dati attendibili sia stato in qualche modo intralciato dalle difformità dei percorsi diagnostici adottati sul territorio nazionale: vi sono regioni, come la Lombardia, rispetto alle quali si può dedurre, sulla base delle schede di dimissione ospedaliera, un'incidenza di ricoveri con diagnosi di stato vegetativo persistente quasi due o tre volte superiore alla media nazionale.
Prima di arrivare a un registro nazionale, sarebbe opportuno, pertanto, procedere a una verifica a campione della documentazione clinica, effettuata sul campo, per accertare quanti dei pazienti dimessi con diagnosi di stato vegetativo fossero realmente in tale condizione.
Rischiamo, infatti, di commettere due errori: quello di sottostimare il numero dei pazienti che hanno necessità di usufruire delle proposte misure assistenziali, ovvero quello, opposto, di sovrastimarlo. Fra sovrastima e sottostima esiste una media, che dovremmo essere in grado di individuare ricorrendo all'opera di esperti con competenze specifiche ed effettuando un'indagine mirata su un campione rappresentativo della realtà nazionale. Procedere in tal modo ci permetterebbe di risolvere le criticità risultanti dai dati riportati nelle schede di dimissione ospedaliere


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(che il gruppo di lavoro ha potuto ottenere dal Ministero). È paradossale, ad esempio, che un istituto di una regione con popolazione estremamente più bassa di quella della Lombardia (non faccio il nome della struttura, che è poco rilevante, ma specifico che è ubicata in una regione a bassa densità abitativa) abbia dimesso, nel corso del 2006, 59 pazienti in stato vegetativo, mentre quelli operanti in altre regioni con una popolazione maggiore ne abbiano dimesso un numero inferiore.
Poiché l'intervento legislativo deve rivolgersi a coloro i quali hanno realmente bisogno della migliore assistenza che il Servizio sanitario nazionale può offrire, considero estremamente importante effettuare la predetta verifica sul campo.
Un altro elemento di criticità è costituito dal sistema di codifica. Non tutte le strutture utilizzano, all'atto della compilazione delle schede di dimissione ospedaliera, i codici ICD-9-CM, ma il sistema non dovrebbe permettere, in linea di principio, di perdere segnalazioni, poiché le predette schede dovrebbero riportare almeno una dimissione di un paziente in stato vegetativo (nel senso che un paziente in stato vegetativo viene segnalato almeno una volta, mentre la presenza del codice fiscale rende possibile evitare il conteggio ripetuto dello stesso soggetto).
Leggendo i resoconti delle precedenti audizioni, ho potuto constatare come sia stato posto il problema della degenza di troppi pazienti in stato vegetativo nelle unità di rianimazione. A tale proposito, ho voluto verificare i dati acquisiti tramite il Ministero, che per esigenze di spazio non abbiamo potuto inserire nel nostro report sintetico. Ebbene, il numero dei pazienti dimessi dalle unità di terapia intensiva non è particolarmente elevato: nel 2006, su 1338 dimissioni, 145 sono state disposte direttamente da strutture di terapia intensiva.
Naturalmente, vale l'osservazione già formulata in precedenza: dovremmo essere in grado di controllare i dati che forniamo. Ritengo, tuttavia, che, al di là di ogni possibile alternativa, le schede di dimissione ospedaliere costituiscano, ad oggi, un buon modo, oltre che l'unico, di rapportarsi al problema.
Mi preme sottolineare che l'analisi dei dati riferiti al quinquennio 2002-2006 ha evidenziando un trend di incremento annuale delle dimissioni totali, verosimilmente riconducibile non soltanto a un aumento dei casi di pazienti dimessi con diagnosi di stato vegetativo, ma anche al fatto che il codice relativo a tale stato, in considerazione degli eventi nazionali e di alcuni dibattiti, è stato usato, forse, di più e meglio. Aggiungo che il gruppo di lavoro ha promosso una verifica anche sui dati del 2007, constatando come, mentre fino al 2006 c'era una tendenza all'aumento, nel 2007 il numero dei dimessi con diagnosi di stato vegetativo si sia stabilizzato (con una leggera diminuzione di circa due dozzine di casi).
Credo che la fonte dalla quale abbiamo attinto i dati continui a essere una delle più attendibili.
Raccomanderei, prima di ogni decisione in merito all'istituzione di un registro nazionale, di effettuare comunque verifiche a campione. In particolare, tale compito dovrebbe essere affidato al Ministero della salute, che ha, tra l'altro, la possibilità di finanziare progetti finalizzati alla verifica delle diagnosi di dimissione, come proposto dal gruppo di lavoro.

PRESIDENTE. La ringrazio, professor Carolei.
Il relatore e i componenti della Commissione faranno sicuramente tesoro delle sue osservazioni, che sono state molto accurate e puntuali.
Tuttavia, noi non siamo una Commissione scientifica e, quindi, il nostro compito non è quello di dettare criteri per valutare la sussistenza di uno stato vegetativo o di minima coscienza (io stesso, pur essendo medico, devo svolgere, in questa sede, la funzione di politico).
Abbiamo, invece, la responsabilità di dare regole; in particolare, lo spirito dell'indagine conoscitiva e delle proposte di legge al nostro esame è quello di fare in modo che si istituiscano, fuori della rianimazione,


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centri nei quali i pazienti possano essere assistiti nel miglior modo possibile.
Non spetta a noi risolvere problemi diagnostici o semantici; è necessario, piuttosto, elaborare regole che definiscano un'impostazione generale. Successivamente, ogni regione dovrà organizzarsi al meglio. Diversamente, continueremmo a scontrarci con i problemi connessi alla riforma del Titolo V e all'inerenza alla legislazione concorrente della materia oggetto del nostro interesse.
Stiamo effettuando questa indagine anche per renderci conto della situazione.
Il gruppo di lavoro ha predisposto un documento, che il sottosegretario Roccella ci illustrerà oggi, ma i suoi suggerimenti, professor Carolei, saranno sicuramente molto importanti per la stesura definitiva del provvedimento.
Ho voluto brevemente spiegare lo spirito con cui stiamo lavorando e le nostre intenzioni.
Ribadisco che i nostri ospiti svolgono una relazione sull'argomento oggetto dell'audizione - oggi, in merito all'istituzione delle SUAP, con riferimento specifico alle due proposte di legge C. 412 e n. 1992, a prima firma, rispettivamente, degli onorevoli Di Virgilio e Binetti -, alla quale seguono gli interventi dei parlamentari.
Do ora la parola al professor Gian Luigi Gigli.

GIAN LUIGI GIGLI, Direttore della SOC Neurologia e Neurofisiopatologia dell'Azienda ospedaliera Santa Maria della Misericordia di Udine. Signor presidente, onorevoli deputati, credo che le due proposte di legge abbiano colto nel segno.
Tralasciando gli altri aspetti di ordine scientifico ed epidemiologico, già trattati dal professor Carolei, il gruppo di lavoro istituito dal sottosegretario Roccella, di cui ho coordinato i lavori, ha messo il dito - diciamo così - su due piaghe del sistema dal punto di vista assistenziale.
A parte la disomogeneità di comportamenti, che hanno determinato una situazione a macchia di leopardo, la prima piaga è rappresentata dalla fase immediatamente successiva alla prima emergenza.
Il paziente deve uscire al più presto dalla rianimazione, per tre ordini di motivi.
Il primo è di carattere puramente clinico: la rianimazione è fonte di complicanze, fa perdere il ritmo sonno-veglia e toglie il supporto dei familiari; inoltre, il trattenimento di un paziente in rianimazione impedisce l'accesso ad altri ammalati, i quali potrebbero giovarsene, e comporta un onere improprio, atteso che i costi della rianimazione sono più elevati per il Servizio sanitario nazionale.
Di conseguenza, abbiamo posto l'accento, innanzitutto, sull'esigenza di individuare strutture subintensive, che permettano di fare uscire al più presto il paziente dalla rianimazione. L'obiettivo è quello di stabilizzare il paziente prima di affidarlo alle cure di istituti di riabilitazione, assicurandogli comunque, già nella prima fase, una riabilitazione di altissimo livello, al fine di non aggiungere danno al danno. Superata tale fase, tramite le unità per gravi cerebrolesi, il sistema offre una possibilità di riabilitazione. Oggi, ci arrivano in ritardo, ma ci arrivano.
Il problema si determina quando vengono in rilievo situazioni di cronicità. Credo che il gruppo di lavoro abbia opportunamente indicato un limite temporale di un anno, che non è assoluto, ma può permettere anche prese in carico successive, come impegno riabilitativo serio, dopo il quale si entra nella condizione di cronicità.
In tal caso, i percorsi possono essere fondamentalmente due: l'assistenza domiciliare, creando le condizioni per offrire un adeguato sostegno alle famiglie, oppure l'accoglimento in strutture quali le SUAP, sia con la possibilità di permanenza per lunghi periodi sia in termini di sollievo alle famiglie per periodi anche brevi.
Credo che le due proposte di legge rappresentino, da quest'ultimo punto di vista, una scelta di civiltà. Oggi, le associazioni dei familiari lamentano proprio l'abbandono, il carico eccessivo sulle famiglie, che non può essere alleviato dalla visita di mezz'ora da parte dell'assistente


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domiciliare. In particolare, si possono determinare autentici disastri, nelle famiglie in cui vi sono vittime di traumi di età relativamente giovane con genitori anziani, quando questi ultimi non riescono più a sostenere la situazione ovvero vengono meno.
Oltre a sottolineare l'importanza che il sistema si doti, in maniera omogenea sul territorio nazionale, di speciali unità di accoglienza permanente, il gruppo di lavoro ha cercato anche di individuare standard minimi relativi sia alle strutture sia all'impegno assistenziale, per evitare che le degenze prolungate trasformino le predette unità in lazzaretti, in dimenticatoi. Come abbiamo precisato nel documento conclusivo, sono stati definiti standard di qualità e di impegno riabilitativo di mantenimento che possono rivelarsi utili per l'attività del legislatore.
Al di là degli standard, le SUAP non possono essere semplicemente angoli delle RSA, ma devono avere una propria individualità, perché i pazienti necessitano di un'assistenza particolare e di un ambiente specifico. Le speciali unità di accoglienza permanente possono essere contigue alle RSA o stare all'interno di strutture opportunamente configurate, di ex ospedali in via di dismissione. È necessario, in ogni caso, che tali unità siano distinte da altri reparti e strutture: abbiamo ipotizzato una dimensione non inferiore a dieci e non superiore a venti posti letto, con personale dedicato.

PRESIDENTE. Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

DOMENICO DI VIRGILIO. Ringrazio il professor Gigli e il professor Carolei, che conosco, grandi esperti i quali hanno dato un contributo fondamentale al gruppo di lavoro istituito, nel 2008, dal Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali.
Desidero soltanto evidenziare, senza alcun intento polemico, che il testo della proposta di legge, da me presentata oltre due anni fa, riporta dizioni superate (ad esempio, non si adopera più, oggi, l'espressione «coma vegetativo»); inoltre, sono da rivedere anche la durata dell'assistenza e l'ubicazione delle SUAP.
Dalla relazione dei due esperti emerge che l'Italia deve affrontare il problema dell'assistenza dei pazienti cerebrolesi cronici una volta per tutte e in maniera efficace. Da questo punto di vista, chiedevamo loro di illustrarci anche come abbia proceduto il gruppo di lavoro.
Come evidenziato anche nelle altre audizioni, una valutazione completa del numero di pazienti in condizione di stato vegetativo non è possibile, anche perché le stesse procedure diagnostiche sono continuamente aggiornate.
Certamente, non si può fare a meno del coinvolgimento della famiglia, che anzi va supportata da tutti i punti di vista.
Ringrazio, dunque, i nostri due ospiti. Credo, signor presidente, che quando la Commissione giungerà a una sintesi delle problematiche e all'eventuale redazione di un testo unificato, rielaborato alla luce delle attuali cognizioni scientifiche e organizzative, il provvedimento dovrà essere nuovamente sottoposto agli esperti, i quali sono intervenuti con grande dedizione all'audizione odierna.

ILEANA ARGENTIN. Innanzitutto, ringrazio i nostri ospiti per la loro disponibilità.
Poiché l'applicazione delle norme socio-sanitarie può creare, in concreto, qualche difficoltà, vorrei sapere se le SUAP siano strutture sociali o sanitarie. Dovrebbero essere di tipo socio-sanitario, ma un'indicazione più precisa potrebbe facilitare l'applicazione della futura legge, poiché le regioni, quando redigeranno i loro bilanci, dovranno imputare i relativi costi come sociali ovvero come sanitari.
Vi chiediamo un'indicazione al riguardo affinché la futura legge possa essere applicata più facilmente.
Comprendo l'esigenza di prevedere un'equipe all'interno della quale coesistano competenze variegate, di tipo sia sociale sia sanitario, ma mi chiedo quali dei due assessorati, nelle singole regioni, debba farsene economicamente carico.


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PRESIDENTE. Si tratta di oneri afferenti all'ambito socio-sanitario.

GIAN LUIGI GIGLI, Direttore della SOC Neurologia e Neurofisiopatologia dell'Azienda ospedaliera Santa Maria della Misericordia di Udine. Posso esprimere un'opinione del tutto personale, fermo restando che, come da lei correttamente evidenziato, onorevole Argentin, siamo in un territorio per sua natura ibrido.
Ciò nonostante, riterrei più opportuno collocare le nuove strutture nel contesto sanitario, avendo chiaro, tuttavia, che si tratta di un sanitario poco medico, ma molto infermieristico e fisioterapico, nell'ambito del quale acquistano un notevole rilievo le competenze ausiliarie. Ebbene, anche se il ruolo del medico è secondario, le mansioni infermieristiche e riabilitative sono certamente sanitarie.
Ho espresso, lo ripeto, un'opinione del tutto personale.

MARIA ANTONIETTA FARINA COSCIONI. Intervengo non soltanto per ringraziare il professor Gigli e il professor Carolei, i quali hanno fatto parte del gruppo di lavoro istituito dal Sottosegretario Roccella, ma anche per ricordare che l'indagine conoscitiva in corso è espressamente volta a raccogliere dati sul numero di posti letto di terapia intensiva occupati da pazienti in stato vegetativo e da pazienti in stato di coscienza minima.
Il documento finale del gruppo di lavoro, prodotto all'esito di un'attività protrattasi per quasi due anni, è sicuramente autorevole, ma manca dei predetti dati, la cui acquisizione costituisce una premessa indispensabile per realizzare gli interventi strutturali ed organizzativi necessari all'istituzione di speciali unità di accoglienza permanente, oggetto delle proposte di legge a prima firma dei colleghi Di Virgilio e Binetti.
Nell'auspicare che l'indagine ci consenta di raccogliere tali dati, mi attendo che il professor Gigli e il professor Carolei, anziché richiamare i numeri forniti dal Ministero della salute, ci facciano conoscere la realtà della quale si occupano e il numero di posti letto di terapia intensiva occupati da pazienti in stato vegetativo e in stato di minima coscienza.

PAOLA BINETTI. L'onorevole Farina Coscioni ha posto l'accento sull'aspetto quantitativo.
Il dato numerico è certamente importante, perché consente di effettuare valutazioni più appropriate. Tuttavia, mi sembra ancora più interessante mettere l'accento sul modello integrato multidisciplinare, sulla specificità del team che deve prendere in carico dai dieci ai venti pazienti, nonché sull'inserimento delle speciali unità di accoglienza in un sistema integrato regionale volto a garantirne una distribuzione equilibrata sul territorio.
Colpisce che, effettuata la diagnosi iniziale, non si proceda mai, anche nell'arco di molti anni, a una nuova valutazione della condizione dei pazienti in stato vegetativo. Di qui la necessità di rendere più rigorosi i criteri diagnostici. Credo che questo aspetto richieda molta attenzione da parte nostra. Ci preme molto ricevere indicazioni circa gli strumenti diagnostici utilizzabili per monitorare, sulla base di parametri scientifici, il decorso delle condizioni dei pazienti in stato vegetativo.
Il primo aspetto che intendiamo sottolineare è proprio quello della profondità e della continuità diagnostica, considerata l'evoluzione che può aversi nei pazienti in stato vegetativo.
Inoltre, fermo restando che la riabilitazione deve tendere a evitare l'insorgere di lesioni secondarie di qualunque tipo (non soltanto potenziali ulcere da decubito, ma anche potenziali disagi neurologici), mi chiedo quale standard di attività neuroriabilitativa sia necessario garantire ai pazienti in stato vegetativo.
Dalla quantità di tempo di assistenza necessaria per assicurare al paziente non soltanto lo status quo ma, possibilmente, anche il recupero di competenze funzionali, dipenderanno sia le previsioni di costo sia la decisione in ordine all'utilizzazione del team di infermieri e di fisioterapisti in via esclusiva presso le SUAP ovvero in condivisione con altre strutture.


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CARLA CASTELLANI. Ringrazio i professori Carolei e Gigli per la relazione, frutto anche della grande esperienza maturata nell'ambito del gruppo di lavoro, che ha svolto un'importantissima attività.
Soltanto da qualche anno ci stiamo ponendo il problema di quantificare il numero dei soggetti aventi diritto a un certo tipo di assistenza. In passato, ci si fermava ai centri ad alta valenza riabilitativa, dai quali il paziente in stato vegetativo, dopo essere stato dimesso, era trasferito in centri di assistenza generici.
Ritengo, quindi, che il rilievo dell'onorevole Farina Coscioni possa essere preso in considerazione, ma debba essere proiettato nel futuro: si tratta di un passaggio fondamentale, che stiamo cercando di attuare anche con le proposte di legge presentate dai colleghi Di Virgilio e Binetti.
Ho apprezzato molto l'intervento del professor Gigli, che condivido pienamente. Per i soggetti con gravi lesioni cerebrali, causate da emorragie cerebrali o da incidenti stradali, il professore ha definito alcuni step: la rianimazione, i centri di terapia intensiva o subintensiva ad alta valenza riabilitativa, oltre che diagnostica, e le SUAP, ai quali si aggiunge l'assistenza domiciliare dei pazienti, laddove la famiglia sia in grado di accoglierli.
La cosa più interessante è considerare di prevalente valenza sanitaria anche la terza fase. Considero necessario, infatti, valutare caso per caso, anche in periodi successivi, l'evoluzione delle condizioni dei soggetti in stato vegetativo, perché ancora nessuno di noi è in grado di stabilire se tale stato sia permanente ovvero sia suscettibile di un miglioramento.
A questo proposito, sebbene la definizione ricalchi quella in uso a livello internazionale, definirei le SUAP non «speciali unità di accoglienza permanente», ma «speciali unità di accoglienza della persona», in quanto il termine «permanente» potrebbe far pensare a situazioni nelle quali non si possa prevedere il rientro al domicilio dei pazienti. Sottopongo, quindi, ai due relatori la valutazione circa la possibilità di utilizzare una nuova terminologia, proprio per la flessibilità che le predette strutture di accoglienza, prevalentemente sanitarie, dovrebbero dimostrare nei riguardi dei pazienti.
Nell'ambito degli standard minimi, relativi alla struttura e all'assistenza, sono stati definiti moduli da dieci a un massimo di venti posti letto, riservandone alcuni anche per i familiari. Considerato che vi sono regioni come la Lombardia, che conta circa 9 milioni di abitanti, ma anche come il mio Abruzzo, con 1 milione e 200.000 abitanti, o come il Molise, che ne ha 600.000, stabilire standard fissi può comportare, in qualche caso, la realizzazione di sedi provinciali e regionali, nelle quali, spesso, non è possibile avere vicino i familiari. Mi chiedo, quindi, quale sia il modo migliore per far sì che i familiari possano essere costantemente accanto ai pazienti e per evitare la creazione di strutture non funzionanti, a regime, in maniera compiuta e continuativa.

LAURA MOLTENI. Ringrazio i nostri ospiti per il loro contributo prezioso: insieme a quello già fornito da altri soggetti in occasione di precedenti audizioni, esso ci permetterà di migliorare le proposte di legge ad oggi presentate per assicurare un'adeguata assistenza ai pazienti in stato vegetativo.
L'esigenza è quella di garantire a tutti le prestazioni essenziali. Poiché si tratta, nel caso di cui ci stiamo occupando, di persone in stato vegetativo, è giusto individuare prestazioni essenziali in forma standard, le quali devono essere erogate in maniera uniforme, da Lampedusa a Bolzano. Il paziente non deve essere visto come una sorta di pacchetto postale preso in carico dalla struttura, anche perché lo stato vegetativo può essere lungo, ma temporaneo, come dimostrano i casi di persone che ne sono uscite.
Considero importante aprire una riflessione sia sui criteri da utilizzare per definire lo stato vegetativo, e per differenziarlo da altre condizioni, sia sulle modalità della presa in carico del paziente, che non deve essere vista come permanente.


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Occorre farsi carico, inoltre, delle esigenze delle famiglie, anche coinvolgendole nel progetto assistenziale.
In simili situazioni, nelle quali sono necessari l'assistenza sanitaria e servizi di competenza degli enti locali, sarebbe interessante prevedere protocolli d'intesa tra l'ente che deve erogare il servizio sanitario e quello che deve erogare il servizio sociale, al fine di garantire un servizio integrato, di tipo socio-sanitario e socio-assistenziale, idoneo a prendere in carico, con progetti individualizzati, anche i familiari dei pazienti e, auspicabilmente, a condurre il soggetto fuori dalla condizione di stato vegetativo.
Il percorso assistenziale e riabilitativo - lo ribadisco - deve tener conto della famiglia e dei disagi, anche psicologici, che essa affronta nel momento in cui deve farsi carico di una persona in stato vegetativo.
Come gruppo terremo conto delle risultanze delle audizioni, consapevoli del fatto che la problematica affrontata dalla Commissione è molto ampia, e va oltre la condizione delle persone in stato vegetativo.

PRESIDENTE. Do la parola ai nostri ospiti per la replica.

ANTONIO CAROLEI, Professore ordinario di neurologia dell'Università degli studi de L'Aquila. Nel documento sintetico non è riportato il numero dei pazienti dimessi da unità di terapia intensiva, che ho tuttavia indicato nella relazione introduttiva, laddove ho specificato che 145 dimissioni su 1.338 sono state disposte, nel 2006, direttamente da strutture di terapia intensiva. Nel primo grafico a pagina 31 del documento finale del gruppo di lavoro, i predetti pazienti sono compresi sotto la voce «Altri», nella quale abbiamo fatto confluire, sulla base delle schede di dimissione ospedaliera, tutti i casi di dimissioni con codici di specialità diversi dagli altri ivi indicati. Infatti, la maggior parte dei pazienti con diagnosi principale o secondaria di stato vegetativo persistente sono stati dimessi con l'indicazione di codici relativi ai ricoveri per «attività di riabilitazione intensiva» (codice 56), per «attività di riabilitazione estensiva» o intermedia, dopo la riabilitazione intensiva, erogata in strutture di lungodegenza (codice 60) e per «attività ad alta specialità riabilitativa», svolta in strutture di riabilitazione di terzo livello (codice 75).
È evidente che il percorso è in qualche modo delineato. Per avere dati più precisi e più aderenti alla realtà, occorre fare ciò che ho già suggerito, vale a dire una verifica sul campo, preferibilmente nella regione Lombardia, nella quale è stata riscontrata, rispetto al dato complessivo italiano, una più alta percentuale di dimissioni totali codificate come stato vegetativo.
Per quanto riguarda l'osservazione dell'onorevole Argentin, credo che il problema sia più sanitario che sociale, perché il paziente in stato vegetativo è comunque - non possiamo dimenticarlo - a carico del Servizio sanitario nazionale.
Dobbiamo anche tenere conto dell'aspetto della continuità assistenziale. Come evidenziato dal professor Gigli, ogni intervento rischierebbe di risultare poco incisivo se non fosse definito il percorso assistenziale da garantire, successivamente all'evento che ha causato la grave cerebrolesione acquisita, al paziente in stato vegetativo o di minima coscienza. In particolare, la permanenza in terapia intensiva, se di durata superiore a pochi giorni, può creare più problemi di quanti possa risolvere. Per rendere operativo tale passaggio, dobbiamo fare quanto evidenziato dall'onorevole Binetti, ovvero aumentare le competenze diagnostiche, ricorrendo non soltanto a costosi strumenti neuroradiologici o neurofisiologici, ma anche all'applicazione di semplici scale di valutazione standardizzate. In un contesto di assistenza integrata, è più che mai necessario, per verificare esattamente quello che succede, l'addestramento di équipe di volontari, che, però, necessitano di un adeguato training formativo.
Vi è, infine, il problema terminologico. È necessario specificare esattamente a chi siano dedicate le SUAP; infatti, se non si


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differenzia lo stato vegetativo da altri esiti del coma, si crea una struttura che non sappiamo chi debba ospitare.
Concludendo la mia replica, auspico che all'approvazione delle proposte di legge all'esame della Commissione si pervenga - come ho già posto in risalto - anche attraverso la definizione di specifiche verifiche da effettuare sul campo, per fare in modo che l'intervento sia basato su numeri il meno possibile astratti.

GIAN LUIGI GIGLI, Direttore della SOC Neurologia e Neurofisiopatologia dell'Azienda ospedaliera Santa Maria della Misericordia di Udine. Innanzitutto, mi sia consentito esprimere un ringraziamento a lei, signor presidente, e ai numerosi deputati presenti, i quali mi hanno dato modo di constatare una grande sensibilità per un tema che sta a cuore, evidentemente, a tutti noi.
Negli interventi che si sono susseguiti sono stati toccati alcuni punti nodali.
Il primo attiene al rifiuto di un modello basato su una sorta di profezia e alla connessa esigenza di un monitoraggio periodico sul decorso delle condizioni dei pazienti in stato vegetativo. Sotto questo profilo, è necessario mettere in piedi un sistema che, attraverso semplici strumenti clinici, scale di valutazione, esame dei riflessi ed altro ancora, consenta di individuare eventuali segnali di ripresa. A tal fine, deve essere codificato un percorso che garantisca un'attenta sorveglianza, senza mai escludere la possibilità di un cambiamento anche in senso inverso.
Posto che il termine «permanente» non si può certamente riferire alla condizione di stato vegetativo del paziente, l'onorevole Castellani ha giustamente sottolineato che tale qualificazione non dovrebbe essere attribuita nemmeno alla struttura di accoglienza, come invece - sbagliando - avevamo ipotizzato. Forse, sarebbe più corretta la dizione «speciali unità di accoglienza prolungata».
Devono essere forniti i necessari servizi anche ai familiari dei pazienti, evitando di caricarli di oneri estremamente pesanti.
Per quanto riguarda gli standard minimi di struttura e il tipo di scenario che si va a configurare sul territorio nazionale, abbiamo stimato una necessità di cinque posti letto dedicati a pazienti in stato vegetativo o in stato di minima coscienza ogni 100.000 abitanti. Abbiamo valutato, quindi, che ogni modulo disponga di non meno di dieci e non più di venti posti letto, perché con meno di dieci non si ha la qualificazione necessaria e con più di venti si crea un coacervo ingestibile. Prevedere cinque posti letto ogni 100.000 abitanti significa immaginare la presenza sul territorio di un'unità di accoglienza ogni 200.000 persone (quindi, non troppo lontana dalle famiglie).
Per garantire omogeneità sul territorio nazionale, occorre definire opportunamente gli standard, con la consapevolezza che, dando risposta ai bisogni delle persone più fragili della nostra società, facciamo veramente una scelta di civiltà.

PRESIDENTE. Ringrazio i nostri ospiti per il contributo offerto e dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 15,30.

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