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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissione XII
1.
Giovedì 1° marzo 2012
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Palumbo Giuseppe, Presidente ... 3

INDAGINE CONOSCITIVA SUGLI ASPETTI SOCIALI E SANITARI DELLA DIPENDENZA DAL GIOCO D'AZZARDO

Audizione di rappresentanti del Gruppo Abele, dell'Associazione Libera, della Caritas Italiana, del CNCA-Coordinamento nazionale delle comunità d'accoglienza, del Coordinamento nazionale gruppi per giocatori d'azzardo (CONAGGA) e dell'Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII:

Palumbo Giuseppe, Presidente ... 3 4 6 8 9 10 17
Grassi Gero, Presidente ... 20 21 24
Cerron Ugo, Responsabile della formazione dell'Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII ... 17
Croce Mauro, Collaboratore volontario del Gruppo Abele ... 4
Farina Coscioni Maria Antonietta (PD) ... 20 23
Iori Matteo, Consigliere del Coordinamento nazionale delle comunità d'accoglienza (CNCA) e presidente del Coordinamento nazionale gruppi per giocatori d'azzardo (CONAGGA) ... 10
La Regina Andrea, Responsabile dell'ufficio macro progetti della Caritas Italiana ... 8
Miotto Anna Margherita (PD) ... 22
Molteni Laura (LNP) ... 22 23
Nanni Walter, Responsabile dell'ufficio studi della Caritas Italiana ... 8 9
Patarino Carmine Santo (FLpTP) ... 18
Pedoto Luciana (PD) ... 19
Poto Daniele, Consulente sugli aspetti del gioco d'azzardo dell'Associazione Libera ... 6
Rondini Marco (LNP) ... 21
Sarubbi Andrea (PD) ... 20
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro per il Terzo Polo: UdCpTP; Futuro e Libertà per il Terzo Polo: FLpTP; Popolo e Territorio (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, La Discussione): PT; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling; Misto-Repubblicani-Azionisti: Misto-R-A; Misto-Noi per il Partito del Sud Lega Sud Ausonia: Misto-NPSud; Misto-Fareitalia per la Costituente Popolare: Misto-FCP; Misto-Liberali per l'Italia-PLI: Misto-LI-PLI; Misto-Grande Sud-PPA: Misto-G.Sud-PPA.

COMMISSIONE XII
AFFARI SOCIALI

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di giovedì 1° marzo 2012


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GIUSEPPE PALUMBO

La seduta comincia alle 10,15.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).

Audizione di rappresentanti del Gruppo Abele, dell'Associazione Libera, della Caritas Italiana, del CNCA-Coordinamento nazionale delle comunità d'accoglienza, del Coordinamento nazionale gruppi per giocatori d'azzardo (CONAGGA) e dell'Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sugli aspetti sociali e sanitari della dipendenza dal gioco d'azzardo, l'audizione di rappresentanti del Gruppo Abele, dell'Associazione Libera, della Caritas Italiana, del CNCA-Coordinamento nazionale delle comunità d'accoglienza, del Coordinamento nazionale gruppi per giocatori d'azzardo (CONAGGA) e dell'Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII.
Ringrazio per il Gruppo Abele il dottor Mauro Croce, collaboratore volontario; per l'Associazione Libera, il dottor Daniele Poto, consulente dell'associazione sugli aspetti del gioco d'azzardo; per la Caritas Italiana don Andrea La Regina, responsabile dell'ufficio macro progetti e il dottor Walter Nanni, responsabile dell'ufficio studi; per il CNCA-Coordinamento nazionale delle comunità d'accoglienza e per il Coordinamento nazionale gruppi per giocatori d'azzardo (CONAGGA), il dottor Matteo Iori, consigliere del CNCA e presidente del CONAGGA; per l'Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII, il dottor Ugo Cerron, responsabile della formazione dell'associazione e responsabile della Comunità terapeutica «San Daniele» di Lonigo (Vicenza) e il dottor Meo Barberis, responsabile del Centro accoglienza di Via Mameli di Rimini.
Nel dare il benvenuto a tutti gli auditi, ricordo che la nostra Commissione ha deliberato lo svolgimento di un'indagine conoscitiva sulla dipendenza dal gioco d'azzardo - che in Italia è diventato un problema sociale - per cercare di capire come fronteggiare, limitare e controllare questo fenomeno, ormai grave per la nostra popolazione.
Pur essendo un problema di non facile soluzione, perché vi si intrecciano aspetti sociali, psicologici e anche finanziari, la XII Commissione ha ritenuto opportuno svolgere un'indagine su questo argomento, per cercare di capire come migliorare il fenomeno e come dare aiuto alle persone che hanno queste dipendenze più o meno pesanti, più o meno gravi. Questa è la prima delle audizioni in materia, ma ne è stata programmata una serie.
Vorrei chiarire come si svolgono le audizioni a coloro i quali sono auditi per la prima volta. Ognuno dei soggetti presenti svolgerà una relazione, che prego di contenere in tempi brevi. Dopo le relazioni, i parlamentari che lo desiderano formuleranno domande e infine ci saranno le vostre eventuali repliche.


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Do la parola al primo dei nostri ospiti, il dottor Mauro Croce, collaboratore volontario del Gruppo Abele.

MAURO CROCE, Collaboratore volontario del Gruppo Abele. Grazie, signor presidente, anche per questo invito. Sono Mauro Croce, collaboro con il Gruppo Abele, lavoro come psicologo in un'azienda sanitaria locale e anni fa, insieme ad alcuni colleghi, ho fondato l'ALEA, Associazione per lo studio del gioco d'azzardo e dei comportamenti a rischio, che raggruppa professionisti del settore, e che vi pregherei di invitare in Commissione, qualora non lo aveste già fatto.

PRESIDENTE. L'intervento di ALEA è già previsto.
Ho dimenticato di dire che chiunque intervenga può lasciare o inviare successivamente anche un testo scritto, considerato che a volte, magari a causa dei tempi ristretti, non si riesce a dire tutto. Poiché non tutti i commissari sono oggi presenti - benché ve ne sia una buona parte - in questo modo anche gli assenti potranno avere il piacere di leggere quello che ogni associazione ritiene di dire.

MAURO CROCE, Collaboratore volontario del Gruppo Abele. Sarò conciso perché so che tanti colleghi hanno moltissimi elementi con cui contribuire all'ampliamento del dibattito. Toccherei quindi solo quattro punti.
Anzitutto in Italia, dagli anni '90 in poi, c'è stato un cambiamento radicale rispetto al gioco d'azzardo. Prima esisteva, da parte del legislatore, una sorta di giudizio di disvalore rispetto al gioco d'azzardo, che in un certo senso era considerato un fenomeno da contenere e da controllare (non è un caso che i casinò fossero del Ministero dell'interno).
Intorno agli anni '90, come ben sappiamo, inizia invece una diffusione del gioco d'azzardo, che per molti aspetti appare incontrollata ed è priva di meccanismi di monitoraggio e di valutazione dei danni sociali causati dal fenomeno.
Questo riguarda sia l'aspetto quantitativo, perché abbiamo a disposizione moltissimi giochi in ogni situazione - i dati che saranno successivamente esplicati evidenzieranno bene quale sia il volume di affari del gioco d'azzardo in Italia - sia dal punto di vista qualitativo, perché è cambiata proprio la funzione sociale del gioco.
Prima il gioco era un elemento di socialità, quando quattro amici al bar giocavano insieme a briscola, mentre ora abbiamo quattro persone sole che giocano ciascuna contro una macchinetta. Prima il gioco era caratterizzato da ritualità - pensiamo alla tombola di Natale - mentre ora è caratterizzato da consumo continuo e incontrollato. Prima accedere al gioco richiedeva una determinazione, in un certo senso - quella di andare in un casinò, di decidere di giocare - mentre ora è il gioco che si presenta al giocatore, con linguaggi che fanno leva sulle sue debolezze, come il desiderio di vincere facile, risolvendo i problemi della sua vita attraverso il gioco. Si tratta di un gioco che spesso consente la riscossione immediata delle vincite, il che fa poi ritornare immediatamente al gioco questo denaro, se vinto da chi è nella spirale della dipendenza. Il Bingo, per esempio, si rifà alla tombola, che per un pomeriggio impegnava nonni e bambini, mentre ora è tutto velocissimo.
Ho citato solo alcuni degli elementi che mi fanno pensare, così come dimostrano molti studi statunitensi e anglosassoni, che i giochi non siano tutti uguali, ma che abbiano diverse «additività» - la parola deriva dall'inglese addiction - cioè capacità di creare dipendenza. Il gioco d'azzardo diventa una forma di dipendenza del tutto simile alle dipendenze da sostanze, con l'escalation della monopolizzazione del pensiero, per cui il giocatore, ovunque sia, con chiunque parli, pensa sempre a come rifarsi, a come poter ritornare a giocare, arrivando a trascurare affetti familiari, impegni lavorativi e così via. Il tutto è stato riconosciuto dalla comunità scientifica già nel 1980, il Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM)


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cita il gioco d'azzardo e l'Organizzazione mondiale della sanità (OMS) lo riconosce come disturbo. I giochi che abbiamo a disposizione favoriscono questa addiction, quindi sarebbe utile una loro distinzione in base al minore o maggior potere di favorire la dipendenza.
C'è stato un cambiamento sostanziale anche per quanto riguarda la quantità di giochi a disposizione, e credo non sia necessario fare degli esempi, poiché sono sotto gli occhi di tutti. Abbiamo una pubblicità invasiva che fa leva sulle debolezze, perché non punta sulla possibilità di divertirsi o passare una serata in compagnia, ma sull'idea che vincere facile possa risolvere i problemi della vita.
Ieri ho incontrato dei ragazzi di un liceo classico che mi chiedevano se dovessero studiare l'Eneide, considerato che è così facile vincere. Credo valga la pena di riflettere anche sulla ricaduta di questi messaggi, nel lungo periodo, sulle giovani generazioni.
Ho promesso che sarei stato breve e lo sarò. Il terzo punto riguarda il fatto che questo fenomeno non poteva che determinare l'interessamento di nuove fasce sociali, di nuove persone che altrimenti non si sarebbero avvicinate al gioco o per le quali esso avrebbe mantenuto la caratteristica del rituale, come con la schedina del sabato, che tutti i nostri genitori giocavano una volta alla settimana: se vincevano, risolvevano i problemi della loro vita e se perdevano, tutto restava uguale. Il fenomeno ha avvicinato moltissime persone, in particolare, ai giochi «pesanti».
Questo non poteva che determinare l'enorme allargamento della platea dei giocatori e il conseguente aumento esponenziale dei casi di dipendenza da gioco: così come molte persone giocano, si divertono e passano una volta alla settimana, acquistano il loro biglietto, molte altre sono coinvolte in questa spirale. Questo interessa i ceti meno abbienti e le persone più povere, dal punto di vista relazionale, culturale ed anche economico. Non esiste più il giocatore descritto da una letteratura tra il decadente e il romantico, penso a Dostoevskij, o quello che, come Vittorio De Sica, ha avuto tutto dalla vita e cerca delle nuove emozioni. Le persone che giocano oggi non hanno avuto nulla e cercano di rifarsi delle angustie della vita, cercando di costruirsi una parentesi di sogno che spesso si traduce in un incubo.
Vengo all'ultimo punto. Per chi come me ha lavorato nei servizi per le tossicodipendenze o nelle comunità di volontariato, si è resa necessaria una revisione completa della propria filosofia. Ora abbiamo a che fare con dipendenze che nascono e si innescano senza una sostanza, ma da comportamenti del tutto legittimi, accettati, se non addirittura promossi socialmente, per cui è molto labile la percezione di fare qualcosa che può essere dannoso alla propria salute, che comporta dei rischi; e c'è anche una corruzione mentale, perché il giocatore pensa che, in fondo, giocando contribuisce anche al bene dello Stato. Mi pare fosse Cavour, del resto, a dire che il gioco è la tassa degli stupidi. Oggi è diventata una tassa delle povertà: credo che questo sia il punto.
Vi ringrazio veramente per questo invito, che spero produrrà delle azioni significative.
Il tema non è quello del proibizionismo sul gioco d'azzardo. Credo che ognuno di noi sia esterrefatto di fronte agli incidenti stradali e alle vittime della strada, ma a nessuno viene in mente di risolvere il problema andando a piedi. Dobbiamo dare delle regole, non limitarci a invitare il giocatore a giocare in modo responsabile, perché la responsabilità è anche nostra. La legislazione inglese, ad esempio, contiene degli elementi molto interessanti: innanzitutto cerca di non far lievitare la domanda e di far giocare il consumatore entro determinate regole, ben precise; essa è rigorosa nei confronti dei minori e prevede sanzioni severissime nei confronti di chi induce i minori a giocare, in maniera diretta o indiretta.
Io credo che in Italia sia veramente venuto il momento di recuperare il tempo perduto, approvando della norme - così come avviene in altri Stati - che non consentano pubblicità ammiccanti del


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gioco d'azzardo, proposte tra luci sfavillanti, senza un codice deontologico. Si potrebbe inoltre, come avviene in altre legislazioni, destinare una quota degli introiti del gioco d'azzardo a iniziative di prevenzione e recupero.
Non ultimo, occorrerebbe inserire la cura della dipendenza dal gioco d'azzardo tra i servizi garantiti dai Livelli essenziali di assistenza (LEA) della sanità, perché il giocatore d'azzardo - stiamo parlando di una patologia riconosciuta dall'OMS - non ha la certezza del trattamento e la possibilità di cura è casuale: a seconda che si abiti in un luogo piuttosto che in un altro si può avere o meno la fortuna - non il diritto - di trovare un servizio o una comunità attenti e disponibili, che possano fornire aiuto. Vi ringrazio per l'attenzione.

PRESIDENTE. Do la parola al dottor Daniele Poto, consulente sugli aspetti del gioco d'azzardo dell'Associazione Libera.

DANIELE POTO, Consulente sugli aspetti del gioco d'azzardo dell'Associazione Libera. Signor presidente, io sono un giornalista ricercatore e collaboro con Libera. Il frutto del mio lavoro si è tradotto a inizio gennaio nel libro Azzardopoli, uscito ai primi di febbraio, che costituisce una fotografia dell'esistente. Se posso, ne darei copia alla Commissione perché venga messo a disposizione dei deputati.
Cercherò di completare quanto detto dall'amico Mauro Croce, integrandolo anche in base alla filosofia di Libera che, come diceva Mauro, sicuramente non è proibizionistica. Noi ci poniamo solamente fini etici, di controllo, quegli stessi fini che probabilmente negli ultimi anni lo Stato, con una politica piuttosto onnivora e cieca, non ha avuto.
Un libro di una collega su questi temi, che rispecchia lo stato delle cose, si intitola significativamente Lo Stato biscazziere. Lo Stato non si è preoccupato del fenomeno, lo ha alimentato, tra l'altro cannibalizzando gli unici giochi di abilità esistenti, come il Totocalcio e le scommesse ippiche - settore peraltro discusso, quest'ultimo, ma per altri motivi - in cui un giocatore poteva far ricorso alla propria competenza, dato che facendo tredici al Totocalcio ci si poteva complimentare con sé stessi, in maniera autoreferenziale, in quanto appassionati competenti di calcio.
Questi giochi sono stati smontati, con alcune complicità da parte del CONI e dei Monopoli. Le scommesse ippiche stanno morendo, gli ippodromi chiudono perché non riescono più a mantenersi. Non sarà un caso, quindi, che gli unici due giochi in cui c'era una piccola seppure significativa componente di abilità sono stati smantellati, in coerenza con una filosofia consumistica dei nostri giorni, a favore dei giochi istantanei, di pura fortuna, come il «Gratta e vinci», in cui si gratta e si vede subito se si vince.
Questo ha portato ad una situazione in cui, complice lo Stato, il gioco è oggi tout court il gioco d'azzardo. Si è entrati in un territorio borderline, con una commistione profonda tra legale e illegale, che sono molto vicini e promiscui. Nel libro è riportato, ad esempio, che quarantuno organizzazioni mafiose sono presenti nel settore. Parliamo della parte emersa e documentata del fenomeno, ma c'è tutta una parte ancora inesplorata e da approfondire.
Tali organizzazioni sono presenti nel settore del gioco perché hanno grandi capitali disponibili, comprano dei punti gioco, spesso lussuosissimi, e in questo modo riciclano il denaro. Con una modesta perdita del 10 per cento, riciclano danaro sporco, che viene ripulito direttamente dallo Stato. Possono inoltre intervenire nei punti gioco di esercenti onesti chiedendo loro il pizzo oppure «taroccando» le macchinette, ossia scollegandole per un certo numero di ore dal controllo dei Monopoli di Stato e arricchendosi a proprio piacimento.
In una trasmissione televisiva di alcuni giorni fa il senatore Pisanu ha mostrato un'evidenza molto grave e quanto mai significativa, se portata alle estreme conseguenze. Pisanu ha detto testualmente che per ogni euro legalmente guadagnato dallo Stato, le organizzazioni mafiose guadagnano 7 o 8 euro, il che ci porta ad una


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cifra complessiva spaventosa. Il gioco d'azzardo è una componente percentuale primaria all'interno del fatturato delle mafie - che secondo calcoli di diverse organizzazioni ammonta a 140 miliardi di euro all'anno - probabilmente stimabile attorno al 40 per cento. Smantellare tutto questo settore probabilmente equivarrebbe a far risparmiare agli italiani qualche manovra di tutte quelle, varate dai due Governi, che si sono affastellate tra il 2011 e il 2012.
In conclusione, vorrei fornire qualche cifra. Come si sa, il fatturato dell'industria dei giochi nel 2011 è stato di 79,9 miliardi, dai quali lo Stato ha guadagnato 8,8 miliardi. La cosa curiosa è che sembra non esistere una precisa strategia statuale, perché questa cifra di 8,8 miliardi è quasi la stessa che lo Stato guadagnava già quattro anni fa, ma a fronte di un fatturato molto inferiore. Non c'è quindi una strategia di guadagno particolarmente pianificata o evoluta.
Dal punto di vista etico, vorrei rilevare anche, ad esempio, che mi sembra piuttosto criticabile aver legato la ricostruzione dopo il terremoto in Abruzzo agli introiti dei giochi. Come deve sentirsi un terremotato d'Abruzzo pensando che la sua fortuna, la ricostruzione della sua casa dipende da quanto gli italiani investono in determinati giochi? Mi pare che il filone del welfare dovrebbe attivare un'entrata ben diversa. Logicamente è stato il Ministro Tremonti a chiedere ai Monopoli di avere 1,5 miliardi supplementari dall'industria dei giochi, ma come se si trattasse di premere un bottone, senza preoccuparsi delle conseguenze anche etiche di quello che queste azioni producono.
Gli italiani spendono 1.200 euro pro capite all'anno per i giochi. Considerando che lo stipendio medio è di 1.400 euro, vuol dire che circa l'8-9 per cento delle entrate degli italiani va in destinazione dei giochi. È come se quasi un intero stipendio di un impiegato ministeriale andasse in giochi. Siamo il Paese con gli stipendi più modesti nell'area evoluta dell'Europa occidentale. La commistione di queste due constatazioni dovrebbe quindi portare a qualche preoccupazione, a far calare la spesa sui giochi e aumentare gli stipendi contemporaneamente.
L'universo dei giocatori italiani è fatto da 30 milioni di persone, quindi quasi uno su due gioca, dal «Gratta e vinci» di un euro ad alcune migliaia di euro all'anno. I giocatori potenzialmente a rischio di dipendenza sono 2 milioni, mentre 800.000 sono i giocatori patologici di cui si occupano esperti meritevoli come Mauro Croce, che giustamente parlava di tossicodipendenza. Secondo recenti stime, in Italia i tossicodipendenti da sostanze sono 393.000, contro 800.000 giocatori patologici, pari a più del doppio. Questo Stato che guadagna dal gioco 8,8 miliardi all'anno dovrebbe preoccuparsi della spesa sociale connessa, di quanto costerebbe recuperare questi 800.000 giocatori patologici, ammesso e non concesso che le ASL riconoscano la dipendenza dal gioco come un'effettiva devianza e malattia, come da dettato dell'OMS.
Abbiamo parlato di costi sociali di recupero sanitario: mi chiedo - e chiedo a voi - quanto valga, in costo-lavoro, in costo-vita, questo monte ore che i giocatori dedicano al gioco. Io ho fatto una piccola ipotesi: se ogni giocatore - da quello che vi dedica pochi secondi a quello che vi dedica molte ore - dedica al gioco un tempo medio di due ore mensili; se moltiplichiamo questa cifra per dodici mesi e per i 30 milioni di giocatori e consideriamo che un'ora di lavoro - proprio tenendoci a livelli bassi - costa 5 euro, arriviamo alle rispettabile cifra di 4 miliardi di euro. Questo tempo non è guadagnato, ma buttato, disinvestito, su un'attività che non porta niente, che non regala niente alla cultura, alla personalità, ma che continua ad isolare il giocatore. Immagino abbiate ben presente la figura di un giocatore del videopoker, solo davanti a sé stesso, con la sua disperazione, la sua voglia di riscatto e la sua solitudine, che affida a questa macchinetta il proprio futuro.
Questa non può essere una fotografia dell'Italia migliore, dell'Italia esistente. Si tratta di questioni che fanno riflettere.


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PRESIDENTE. Do la parola al dottor Walter Nanni, responsabile dell'ufficio studi della Caritas Italiana.

WALTER NANNI, Responsabile dell'ufficio studi della Caritas Italiana. L'intervento di Caritas sarà a due voci: io parlerò come responsabile dell'ufficio studi della Caritas nazionale, con un approccio volto a far comprendere quanta sia diffuso questo fenomeno nel mondo Caritas. Noi non parliamo quindi di tendenze complessive - non ci basiamo sui dati pubblici - ma di quanto sia diffuso il fenomeno della dipendenza da gioco nel mondo delle persone che si rivolgono alla Caritas per chiedere aiuto, cioè tra quelle persone che hanno problemi sostanzialmente di povertà economica, evidenziando questo legame tra gioco e povertà.
Le fonti sono essenzialmente i dati che noi ricaviamo dai centri di ascolto della Caritas, dai servizi e dalle iniziative anticrisi che sono stati messi in atto in questi ultimi 3-4 anni dalle diocesi italiane e dalle fondazioni antiusura. Notiamo infatti spesso un collegamento tra usura, sovra-indebitamento e ricorso al gioco.
Per quello che riguarda i dati raccolti presso i centri di ascolto, quando le persone vanno a chiedere aiuto alla Caritas possono segnalare diversi problemi, tra i quali anche una dipendenza da gioco. Di fatto, se andiamo a vedere il dato delle persone con problemi di dipendenza che si rivolgono alla Caritas, questo ammonta solamente allo 0,1 per cento del totale. Dalle nostre statistiche questo fenomeno apparirebbe quindi sostanzialmente sommerso.
Il problema è che la registrazione di questo fenomeno in quella sede non avviene perché, molto evidentemente, queste persone non considerano il ricorso al gioco come un problema per cui bisogna chiedere aiuto. Si chiede aiuto alla Caritas, nel 70 per cento dei casi, per problemi economici, ma non per risolvere un problema di dipendenza da gioco, che di fatto non viene percepito come un problema, ma anzi, al contrario, è considerato una risorsa dalle persone che sono già in difficoltà economica. Paradossalmente si utilizza quindi lo strumento del gioco per intaccare sempre di più, tra le fasce di reddito al limite della sussistenza, anche quella parte del reddito che non è un surplus da investire in bisogni voluttuari, come ad esempio il cinema, ma anzi legata alla sussistenza.
Il nostro discorso vorrebbe quindi portare a far sì che ci sia maggiore consapevolezza del fatto che quel tipo di comportamento può non soltanto essere causa del fenomeno ma, associato a fattori di povertà, contribuire al suo aumento. Andando oltre questi dati, nei territori riusciamo però a cogliere, in fasce sociali molto diversificate, delle tendenze qualitative sulle quali si soffermerà don Andrea La Regina.

PRESIDENTE. Do la parola al responsabile dell'ufficio macro progetti della Caritas Italiana, don Andrea Regina.

ANDREA LA REGINA, Responsabile dell'ufficio macro progetti della Caritas Italiana. Continuando il discorso del dottor Nanni è importante comprendere che, mentre l'usura e il sovraindebitamento possono venire in evidenza, il gioco rimane abbastanza sommerso e spesso viene visto come un fattore di accompagnamento del fenomeno dell'indebitamento. Diremmo che non ne è la causa iniziale, a monte, ma emerge come segnale che la persona è passata dal debito al sovraindebitamento, all'usura, al gioco, in un circolo vizioso che le impedisce di uscire, soprattutto perché la dipendenza dal gioco, nella mia esperienza di alcuni anni, nel passato, mi dice che è difficile aiutare una persona in sovraindebitamento che contemporaneamente gioca, se non viene attivato un percorso di natura sociale, con gruppi di mutuo aiuto, per uscire da questa situazione.
Secondo i dati Caritas, in Piemonte, per esempio, meno del 10 per cento degli utenti presenta il gioco come unica causa del suo sovraindebitamento, mentre invece in tre casi su dieci il gioco è una semplice concausa, che però indica una dipendenza,


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prima dalla finanziaria o dalla banche, poi dall'usuraio e infine proprio dalla realtà materiale della macchinetta o di tutti gli altri tipi di gioco.
Dai nostri dati emerge chiaramente, è stato già detto, un coinvolgimento delle fasce sociali e reddituali più basse, soprattutto degli stranieri, che creano anche dei gruppi di gioco a turnazione alle slot machine. C'è coincidenza tra i giorni con maggiore frequenza di gioco e quelli in cui si riscuote la paga o i sussidi sociali. Spesso i nostri operatori hanno la possibilità di capire se la persona sia affetta da dipendenza da gioco anche guardando il suo estratto conto bancario, valutando in quali momenti fa i prelievi o se ne fa alcuni di seguito senza una motivazione molto chiara.
C'è difficoltà a liberarsi dalla dipendenza perché non la si ammette e perché le offerte attrattive sono molto più forti: mentre l'usura è infatti stata presentata come qualcosa che diventa una schiavitù, il gioco è invece associato a un pregiudizio in positivo.
L'organizzazione del turismo da gioco permette anche di andare a giocare nelle zone di confine in altre nazioni dove ce ne sia la possibilità: in Slovenia, per esempio, o nel Canton Ticino, dove ci sono delle iniziative interessanti anche sul versante della cura e dell'accompagnamento. Il fatto che ci sia ormai un'offerta mista sui territori, a qualsiasi ora, in qualsiasi momento, tramite il web, lascia ormai sola la persona singola, che di fronte a questa realtà non è più capace di rimanere nella propria autonomia. Ci si richiude poi nella realtà del gioco anomico on line - il quale coinvolge anche i minori - che non prevede più il gioco come momento di socializzazione.
Abbiamo riportato alcune esperienze che, per lo più, fanno riferimento o ai centri di ascolto della Caritas o alle fondazioni antiusura che ci sono in Abruzzo, Calabria, Campania, Triveneto, Liguria, Lombardia, Marche, Molise, Piemonte e Puglia.
Adesso cedo volentieri nuovamente la parola al dottor Nanni, se il presidente lo consente, per la conclusione e per le proposte.

PRESIDENTE. Prego, dottor Nanni.

WALTER NANNI, Responsabile dell'ufficio studi della Caritas Italiana. Teniamo conto che la Caritas è essenzialmente un organismo pedagogico, è vero cioè che noi facciamo assistenza materiale a persone in difficoltà, ma in realtà la nostra mission più forte è quella pedagogica, di educare alla carità, all'assistenza, alla solidarietà, alla vicinanza, alla prossimità, quindi in questo senso le proposte possono essere di diverso tipo, ma la prima, più importante di tutte, è forse quella di tipo culturale.
Da diversi anni noi abbiamo un approccio pedagogico sull'uso responsabile del denaro e del debito, e facciamo quindi un discorso complessivo, dentro cui si può collocare anche il tema dell'uso del gioco. È chiaro che in una famiglia sempre più propensa a spese inutili ed eccessive, anche il gioco fa parte di un uso irresponsabile del denaro, e quindi campagne culturali di sensibilizzazione al consumo, all'uso responsabile del debito sarebbero elemento di prevenzione primaria del fenomeno.
Ci sono poi invece possibili interventi che potremmo definire, tutto sommato, di riduzione del danno, che cercano cioè di limitare alcune delle conseguenze del fenomeno, sul quale, in primo luogo, rileviamo l'esigenza di indagini qualitative. I mass media ci chiamano e ci chiedono quanti siano i giocatori patologici, se siano 10.000 in più o 10.000 in meno. Ci chiediamo se il quantificare questo tipo di fenomeni sia un'esigenza così forte, laddove invece non conosciamo alcuni meccanismi qualitativi inerenti a come ci si avvicina al gioco d'azzardo, quali sono i canali di diffusione, per quanto tempo una persona rimane vittima del gioco o ne ha delle conseguenze negative, come se ne può uscire. Questo sforzo, spesso eccessivo, di quantificare per forza i fenomeni dovrebbe ripiegare invece anche sulla necessità


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di indagini qualitative e di approfondimento, che purtroppo molto spesso non sono disponibili, diversamente da quelle che non fanno altro che fornire dati su dati e stime, spesso anche su base epidemiologica molto incerta.
Proponiamo una maggiore comunicazione flash sui rischi del gioco nei supporti cartacei e là dove si gioca, così come già si fa col fumo e con le sigarette, cercando di capire se sia possibile trasmettere un'immagine che comunichi i rischi a cui si va incontro.
Sosteniamo l'idea, proposta da Mauro Croce all'inizio, dell'introduzione della dipendenza da gioco nei livelli essenziali di assistenza sociosanitari. Questo sarebbe assolutamente imprescindibile, in modo da poter avere una parità di trattamento, regione per regione, e da garantire un livello essenziale d'aiuto in questo tipo di percorso.
Per quanto riguarda il maggiore controllo da parte delle forze dell'ordine, da quanto sappiamo, sul territorio sono molto spesso presenti, ad esempio, delle slot machine legate a sistemi di racket nei confronti degli esercizi commerciali. Sembrerebbe che la nuova forma del pizzo commerciale non preveda più il solo pagamento di un pizzo, ma l'introduzione di più slot machine all'interno dello stesso bar. In questo senso occorre quindi capire quali siano le correlazioni esistenti tra la criminalità organizzata, la criminalità del territorio e la diffusione di questo tipo di slot machine negli esercizi pubblici.
C'è poi tutto un discorso riguardante la diffusione del gioco vicino alle scuole, negli orari di apertura di certi luoghi, nonché la commistione di tossicodipendenza, spaccio di sostanze, gioco d'azzardo e gioco legale nello stesso luogo, che in alcuni quartieri spesso diventa l'unico punto di ritrovo dei giovani. Il fatto che in uno stesso luogo ci sia socializzazione positiva e negativa - e devianza - offre alle nuove generazioni un esempio sicuramente negativo.

PRESIDENTE. Do la parola al dottore Matteo Iori, consigliere del Coordinamento nazionale delle comunità d'accoglienza (CNCA) e presidente del Coordinamento nazionale gruppi per giocatori d'azzardo (CONAGGA).

MATTEO IORI, Consigliere del Coordinamento nazionale delle comunità d'accoglienza (CNCA) e presidente del Coordinamento nazionale gruppi per giocatori d'azzardo (CONAGGA). Buongiorno. Intanto grazie per l'invito a discutere di questo tema, a cui noi teniamo molto.
Farò una relazione su richiesta di due enti che sono stati qui invitati: il Coordinamento nazionale delle comunità di accoglienza (CNCA) e il CONAGGA. Cercherò di essere molto breve, farò vedere molte slide, molto velocemente, ma ho preparato una relazione cartacea - che ho messo a vostra disposizione - in cui riprendo esattamente gli stessi contenuti delle slide. È inoltre disponibile per ogni membro della Commissione un libro che tocca tutti questi temi e anche altri.
Il CONAGGA è un coordinamento nazionale di gruppi per giocatori d'azzardo, a cui aderiscono molti enti che negli anni hanno raccolto 6400 richieste di giocatori d'azzardo e hanno avuto in carico oltre 3000 persone. Sono 140 i gruppi che ogni settimana vengono organizzati dal CONAGGA.
Sono presidente anche del gruppo Emilia-Romagna del CNCA, il coordinamento nazionale delle comunità di accoglienza, che in alcuni casi si occupa di persone con questo tipo di problema; inoltre, sono presidente dell'associazione ONLUS Centro sociale Papa Giovanni XXIII di Reggio Emilia, che dal 2000 gestisce interventi sul gioco d'azzardo. Questo per dirvi perché sono qui, oggi.
La mia relazione concernerà quattro argomenti: affronterò il fenomeno socio-economico del gioco d'azzardo, coi dati aggiornati a ieri sera, quando i Monopoli di Stato hanno diffuso i dati ufficiali dell'anno scorso concernenti i giochi d'azzardo; parlerò poi di promozione e della prevenzione fatta, in teoria, dai Monopoli di Stato; del gioco d'azzardo fra abuso e dipendenza; infine, formulerò conclusioni e proposte.


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La prima parte riguarda quindi la definizione del fenomeno del gioco d'azzardo. Noi sappiamo che il gioco in Italia risale al 1500, nasce a Genova, viene legalizzato nel 1576, poi negli anni '30 viene in qualche modo definito con delle leggi tuttora in vigore. Queste leggi sono riprese dal codice penale, dal codice civile e dal testo unico delle leggi di pubblica sicurezza (TULPS), che dichiarano chiaramente cos'è il gioco d'azzardo: quello in cui il risultato del gioco dipende totalmente o in parte dalla fortuna, rispetto all'abilità, e dove si scommettono dei soldi per avere altri soldi.
Questi giochi sono vietati dalla legge: il codice penale lo sancisce tuttora. Viene vietato perché il codice civile dice chiaramente che il gioco d'azzardo è un'attività immorale e socialmente dannosa, che fomenta la cupidigia di denaro, incentiva l'avversione al risparmio, deprime la dignità, impedisce alla persona di realizzare uno sviluppo armonico ed è causa di molte tragedie.
Nella storia questo impianto legislativo è poi stato di fatto superato da una serie di divieti con riserva di permesso. I vari Governi hanno cioè permesso la nascita di nuovi giochi che hanno portato al fenomeno attuale. Nel 1997 sono nati la doppia giocata del Lotto, il Superenalotto, le sale scommesse; nel 1999 è arrivato il Bingo, nel 2003 le slot machine, nel 2005 la terza giocata del Lotto e le scommesse «Big Match»; nel 2006 sono stati creati i nuovi corner per le scommesse; nel 2007-2008 sono comparsi i giochi che raggiungono l'utente, gli sms telefonici, il digitale terrestre; nel 2009-2010 sono nate nuove lotterie ad estrazione numerica come il «Win for life» e i giochi on line senza limitazioni, è stata introdotta la possibilità di giocare a poker in solitario e sono nate le videolottery (VLT), una sorta di slot machine.
Nel 2011 è nato un nuovo Bingo a distanza, sono state aperte altre 1.000 sale da gioco per tornei di poker dal vivo, sono aumentate le videolottery, sono stati inaugurati altri 7.000 punti vendita di scommesse, è stato introdotto un concorso aggiuntivo mensile del Superenalotto, quello che oggi noi conosciamo come «Si vince tutto». Infine, c'è stata la proposta di giochi di sorte legati al consumo, per cui alla massaia che fa una spesa da 16 euro e paga con una banconota da 20 euro si sarebbe domandato se volesse il resto o volesse invece partecipare alla lotteria del supermercato. Da notizie di due giorni fa, sembra però che l'attuale Governo abbia bloccato questo nuovo gioco in arrivo.
Questo ha comportato un contesto che vede dislocato in Europa un terzo - il 34 per cento - del giocato al mondo. L'Italia ha in Europa la fetta più grande. Per farvi capire quale sia la differenza da altre nazioni a noi vicine, nel 2009 l'Italia ha fatturato 54 miliardi di euro, la Spagna ne ha fatturati 17, la Francia 19, il che ci permette di capire la distanza fra noi e le nostre cugine europee.
Un altro esempio è quello del «Gratta e vinci», di cui in Italia si concentra il 19 per cento del mercato mondiale, mentre al secondo posto c'è la Francia: dal «Gratta e vinci» noi incassiamo 12 miliardi di euro, la Francia 5,6 miliardi; terza è la Cina con 4,7 miliardi. Questo ci permette di capire quanto in Italia il gioco d'azzardo sia preponderante, nonostante la crisi economica importante in atto e nonostante l'ISTAT ci dica che la gente ha meno soldi per comprare da mangiare. Abbiamo quindi meno soldi per comprare cibo ma molti più soldi da giocare d'azzardo. Nel 2000 erano 14 i miliardi di euro spesi, che sono poi saliti a 18 nel 2002, a 24, a 28, a 35, a 47 eccetera, fino ad arrivare ai 79,8 miliardi di euro del 2011. In Italia c'è quindi una recessione ma è in atto un aumento esponenziale del gioco d'azzardo.
La somma maggiore, pari al 56 per cento, viene giocata alle slot machine - questi sono appunto i dati sul fatturato totale diffusi ieri - seguono i «Gratta e vinci», i giochi a distanza, gli skill game, il lotto e il resto.
Se analizziamo il fatturato dei giochi d'azzardo negli anni, vediamo che esso ammontava a 14 miliardi di euro nel 2000 ed è cresciuto costantemente, raggiungendo


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quasi gli 80 miliardi di euro nel 2011. Se andiamo però a vedere come questi 80 miliardi siano suddivisi tra le singole regioni italiane, vediamo che quella in cui si è giocato di più è la Lombardia, con quasi 15 miliardi di euro nel 2011; seguono il Lazio con 9 miliardi di euro, la Campania, l'Emilia-Romagna eccetera, fino all'ultima, che è la Val d'Aosta, con soli 159 milioni di euro. Il problema è che queste regioni hanno ovviamente percentuali di abitanti diverse, quindi se noi facciamo un passaggio in più e proviamo a chiederci quanto spendano gli abitanti della Lombardia e quanto quelli della Val d'Aosta, vediamo che le cifre cambiano. Se consideriamo il giocato pro capite di ogni abitante maggiorenne - perché i bimbi e i minori non possono giocare, per legge, quindi auspichiamo che ciò non avvenga - compreso il novantenne alla casa di riposo, in ogni singola regione, nel 2011 la cifra spesa è stata di 1930 euro per ogni maggiorenne del Lazio e di 1929 euro in Campania; poi seguono l'Abruzzo, la Lombardia, l'Emilia-Romagna e via elencando. La regione in cui si spende di meno, nei documenti lo leggete meglio, è la Calabria, con 1729 euro a testa. Sono cifre diverse da quelle che vengono citate parlando di una popolazione nazionale divisa. Nel Lazio ogni maggiorenne spende cifre veramente molto alte.
Chi gioca e perché? Ci dice la Corte dei conti che la fascia sociale più debole gioca di più: un fenomeno, questo, legato alla scarsa diffusione della cultura scientifica e a quel desiderio di comprarsi un sogno che ha portato l'industria del gioco ad essere la terza in Italia, oltre che la seconda causa di usura. Questo viene però accettato perché il gioco è considerato una sorta di tassa occulta, si sa cioè che i soldi ricavati dal gioco vanno in parte allo Stato.
Se però noi ci chiediamo quanto vada effettivamente allo Stato, come prima anticipava Poto, vediamo che, sebbene la cifra del giocato cresca enormemente, la cifra che va allo Stato resta più o meno sempre uguale. Sembra una cosa molto strana, ma è così. Andiamo a vedere quanto si gioca ogni anno e quanto di questo va allo Stato. La cifra incamerata dallo Stato è salita dai 6 miliardi del 2005 ai 9 miliardi del 2011, se però guardiamo questa cifra in termini percentuali, vediamo che è crollata dal 29 per cento del 2004, al 21, al 19, al 17, al 16, al 16, al 14, fino all'11,2 per cento.
Evidentemente questi soldi vanno ad altri, il che indebolisce però l'argomento per cui il gioco d'azzardo serve allo Stato perché incamera risorse, dato che in questi anni c'è stato un taglio enorme delle tasse sul gioco. Ci si domanda come questo sia stato possibile. Un esempio lampante che ce lo dice chiaramente sono le manovre finanziarie del 2008 e del 2009, le quali hanno detto ai gestori delle slot machine - la fetta più importante del gioco in Italia - che più avrebbero incassato e meno tasse avrebbero pagato. Se fossero riusciti cioè a incassare come nel 2008, quando le tasse erano al 13 per cento, avrebbero pagato una tassa del 12 per cento; se avessero incrementato l'incasso, avrebbero progressivamente pagato meno tasse, fino a scendere al solo 8 per cento qualora fossero riusciti ad incrementare il giocato del 65 per cento. L'idea alla base è dunque quella di aumentare la torta per poi però prenderne una fetta percentuale minuscola, sempre più piccola, senza che nessuno si sia interrogato su tutte le persone che questa torta stanno facendo aumentare.
Questo avviene perché la promozione (e, in teoria, anche una prevenzione) ci dice che vince sempre il banco, come sappiamo. Adam Smith, il primo economista della storia a occuparsi del fenomeno, nel XVIII secolo, ci diceva una cosa interessante è cioè che «non è mai esistita e mai esisterà al mondo una lotteria perfettamente equa», aggiungendo che «nessun uomo, per quanto sano, è immune dall'assurda fiducia nella propria fortuna».
Ci dicono che, se vogliamo, possiamo essere più ricchi; che se siamo sfortunati in amore possiamo ovviamente avere fortuna al gioco; che i soldi non crescono sugli alberi, ma potremmo sempre appenderceli


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noi, quando vinceremo i 64 milioni di euro del jackpot. Ci dicono «avanti il prossimo milionario», «lascia stare le pecore, conta queste», «l'erba del vicino ti sembrerà molto meno verde appena saremo milionari» e che «anche l'intelligenza ha bisogno a volte di un aiutino», il che significa che non basta aver studiato, essere intelligente e applicarsi, perché senza il gioco d'azzardo non si può diventare un milionario. Questi sono i messaggi che i cittadini italiani ricevono quotidianamente: se si vuole essere persone che contano e avere tutto nella vita basta giocare e vincere perché questo potrebbe essere il nostro biglietto fortunato: «non farlo volare via», ci dicono, o «fino a un milione di euro subito».
Addirittura ci sono proposte inviate direttamente a casa a persone anziane, senza alcuna richiesta. Quella che vedete è una pubblicità del «10 e lotto» arrivata con una schedina prestampata a casa di una persona anziana, che me l'ha portata durante un convegno. È una pubblicità che arriva in tutti i luoghi, che ci dice «è tempo di sognare», che quindi non con l'impegno potremo affrontare le difficoltà, ma con la fortuna. «Lasciatemi sognare» dice uno spot oggi molto diffuso.
La Corte dei conti ci diceva che il consumo dei giochi interessa prevalentemente le fasce sociali più deboli ed è legato al desiderio di comprarsi un sogno. Su questo si sta lavorando. Esiste la pubblicità del «Lasciatemi sognare», che immagino già conosciate. Lo spot si basa sulla canzone Lasciatemi cantare di Toto Cutugno e dice: «Io voglio giocare perché sogno il parco per il mio bambino» e «lasciatemi sognare con il biglietto in mano». Il testo è questo: «Io sogno il parco per il mio bambino, voglio champagne ghiacciato a tutte le ore, con un sistema in ricevitoria si sistema la mia compagnia» e - la parte più grave, a mio avviso - «darò ai miei figli un futuro splendente». Questi sono i messaggi comunicativi che arrivano ai cittadini italiani e, in particolare, alle fasce più deboli, le più sensibili a queste cose.
Si dice però anche «Gioca il giusto». La mia domanda è però: il giusto per chi? Per la SISAL? Qual è quindi l'informazione disponibile nel settore? Se da un lato siamo bombardati di pubblicità, dall'altro non ci sono altrettante informazioni sulla pericolosità del gioco d'azzardo.
Vedete ora un articolo comparso sulla prima pagina de La Gazzetta di Reggio - uno dei giornali di Reggio Emilia, da dove provengo - dal titolo «Gioca e si assicura il futuro». Ci sono esempi in merito anche nell'informazione televisiva ufficiale. Potrei mostrarvi un servizio andato in onda su Raidue in cui un giornalista del telegiornale parla del «Si vince tutto» del Superenalotto dicendo: «Abbiamo qualche speranza in più, ci sono buone notizie, vince anche chi non azzecca il 6, c'è molta più possibilità, era ora, si potrà vincere fino a 1.000 euro, che non è poi così male, visti i tempi che corrono». Quante persone avranno visto questo servizio e deciso di conseguenza di andare a giocare? È peggio illudere le persone o lavorare sulle frustrazioni? Si tratta di una bella lotta.
Vi mostro ora una pubblicità del Superenalotto che dice: «Il tuo capo è un incompetente raccomandato, è ora che qualcuno glielo dica. Oggi puoi vincere 43 milioni di euro, gioca oggi, diventa milionario». Mi domando quante persone frustrate, immedesimatesi in questa situazione, si saranno dette: «Io lavoro, fatico, il mio capo è un incompetente, ma se diventassi milionario potrei uscire a testa alta fra i colleghi e dire al mio capo di andare a quel paese». Questo è a mio avviso lavorare sulle frustrazioni della povera gente.
Questi messaggi colpiscono peraltro le persone più fragili, più deboli, che credono più facilmente che la vincita sia vicina. Si parla di gioco responsabile, ma di fatto non c'è un reale interesse, da parte dell'industria del gioco, a promuovere il gioco responsabile, mentre invece si propone il gioco come una soluzione a tutti i problemi. «La tua vita ti stressa?» - quanti sono stressati in Italia? Immagino molti - «Non ti preoccupare, rendila spensierata, c'è "Win for life"». «Hai un mutuo? Non


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ti preoccupare, la soluzione per il mutuo c'è: "Win for life"». Noi stiamo dando dei messaggi a mio avviso molto gravi ai cittadini italiani, anche alle persone più giovani, tra le quali i giochi d'azzardo vengono diffusi anche tramite alcuni modelli da loro riconosciuti, come il Grande fratello o tanti sportivi.
In Italia esiste però anche qualcuno che, in teoria, pensa alla prevenzione: i Monopoli di Stato. Vorrei mostrarvi una loro campagna, a mio avviso molto grave, che si chiama «Giovani e gioco» ed è pensata per affrontare il problema delle dipendenze e della compulsività da gioco d'azzardo. L'iniziativa ha toccato 70.000 studenti delle scuole superiori e il direttore dei Monopoli di Stato dice che è loro intenzione potenziare il progetto per coinvolgere le fasce dei minori più piccoli. Vi presenterò alcune slide, quelle che a mio avviso sono più preoccupanti, e non tutto il progetto (che potete vedere anche all'interno del libro da noi consegnato alla Commissione, contenente due DVD, in uno dei quali approfondisco nello specifico questo tema).
Nella prima parte si chiede che cosa sia il gioco d'azzardo. Ci sono due ragazzini, uno dei quali - di sedici anni, che quindi per legge non potrebbe giocare - dice: « È divertente, gratificante e ti fa guadagnare un bel po' di soldi senza fatica». L'altro dice «È un modo come un altro per passare il tempo, non c'è nulla di male, l'importante è rispettare le regole».
Si prosegue poi facendo capire quanto sia importante il gioco. «Il gioco» si dice «ha un valore educativo, è una cosa che tutti ritengono giusta, una via alternativa all'apprendimento tradizionale, un'opportunità di analisi e di scoperta; col gioco ci si mette alla prova, si valutano i propri limiti, si stabiliscono le relazioni con noi stessi e con gli altri, si trasmettono idee sui nostri valori e la nostra cultura». Qui si parla di gioco, non di gioco d'azzardo, anche se sotto, se vedete, c'è una carta da poker: un asso di picche in trasparenza sullo sfondo. Si dice dunque che il gioco è importante, che anche i grandi del passato lo dicevano. «Platone diceva che il gioco è la forma più giusta di vita, Schiller diceva che è in grado di equilibrare la bilancia tra istinto e ragione, Froebel diceva che permette di esprimere le proprie attività sensoriali, motorie e linguistiche. Anche Dante parlava del gioco d'azzardo». Poi si inizia a parlare di rischio: «Non a caso Dante parlava di giochi. Il rischio del gioco è sempre stata una componente essenziale della vita. Dopotutto, il meccanismo dell'evoluzione della specie è un insieme di rischio e selezione. Evolve chi prende una giusta dose di rischio, mentre è punito chi non rischia mai, o chi rischia troppo: avete mai sentito i due detti "Chi non risica non rosica" o "Tanto va la gatta al lardo che ci lascia lo zampino"?». Si dice quindi ai giovani che devono giocare, che il gioco è importante, ma che anche il rischio è importante, perché «Chi non risica, non rosica» e non evolve.
Nella terza parte si dice che è importante il gioco on line, quello che come sappiamo nei prossimi anni crescerà di più, in prospettiva. «L'on line permette di avere risposte immediate a tutti i propri bisogni, senza limiti orari, permette di giocare ovunque, sempre e comunque, attraverso la rete, i videogiochi, i portatili, i cellulari. Ci permette di rispondere alla nostra voglia di ammazzare il tempo, come e quando vogliamo». Qui si inizia poi a parlare di gioco d'azzardo: «Ci si attacca alla rete, al cellulare, alle slot machine e ai videopoker parcheggiati nei bar per dare risposta al primordiale bisogno di vincita che l'essere umano ha in sé». Questo dicono i Monopoli di Stato ai 70.000 studenti delle scuole superiori. Sarei curioso di chiedere a don Andrea se ritenga che questo è il primordiale bisogno dell'essere umano. Il testo prosegue così: «Non c'è bisogno di cercare compagni di gioco, come si faceva da bambini, perché questo gioco è spesso solitario e decontestualizzato». Si dice cioè ai ragazzini che non sono più bambini, che devono giocare insieme agli altri, perché possono giocare da soli, on line, nella loro cameretta.
Nella quarta parte si dice che il gioco d'azzardo è anche un problema, che per alcuni crea anche dipendenza. Lo si dice


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però presentando il giocatore come un malato, un pazzo, in cui i ragazzini non si riconosceranno, perché dipinto come qualcuno che ha una dipendenza nascosta nell'ombra, con una malattia mentale, che con occhi sgranati e bocca aperta dà dei pugni alla slot machine. I ragazzi delle superiori non si riconosceranno in questa figura e vedranno quindi la dipendenza da gioco d'azzardo come una cosa molto lontana da sé.
Si invita però anche a stare tranquilli perché ce l'AMS: «Essere un giocatore responsabile è più facile di quanto si pensi, perché ci sono i Monopoli di Stato. Senza i Monopoli di Stato ci sarebbe un grande rischio di imbattersi in situazioni davvero rischiose, mentre chi gioca sui siti dei Monopoli di Stato sa che i siti garantiscono regole trasparenti e vincite senza tranelli». Non si parla di perdite, ma solo di vincite senza tranelli. Al giovane vengono quindi proposte due opzioni, la porta del gioco legale e quella del gioco illegale. Attenzione, nella proposta dei Monopoli di Stato non c'è una terza porta, non viene detto ai giovani che possono scegliere di non giocare. I ragazzi hanno due sole opzioni: o entrano nel gioco legale o in quello illegale. Poiché ovviamente quello illegale non paga, se ne deduce che allora quello legale paghi.
Non è però finita qui. La parte più grave è la quinta, che contiene un test interattivo per dare modo ai ragazzini di capire quale sia il loro rapporto con il gioco d'azzardo. Questo è il profilo di chi totalizza meno di sei punti, rispondendo in modo molto grave alle domande del test (affermando, ad esempio, che non appena ha un po' di soldi li va a giocare, o che se il padre è sempre sulle slot machine anche lui va a giocare per avere qualcosa che lo accomuna col papà): «Meglio che ti guardi le spalle. Le regole cosa sono? Solo sentire questa parola ti provoca l'orticaria. Non vuoi che gli altri ti dicano cosa devi fare. Vuoi essere trasgressivo, ma sei sicuro che la trasgressione sia tutto questo? Continua su questa strada e il gioco non sarà solo un passatempo».
Segue poi quello che i Monopoli vogliono far passare come profilo equilibrato, del ragazzino che gioca ogni tanto, senza esagerare: «Sei un po' di qua e un po' di là, potresti sembrare una bandiera che va dove gira il vento, ma in realtà non è così. Tutto sommato hai una buona idea di cosa sia il gioco, non sei un fanatico, ma non ti fai mancare una partitella ogni tanto, giusto per tenerti in allenamento. Il tuo motto: "Poco non fa male nemmeno il veleno"». Questo è il motto dei Monopoli di Stato.
Sarei curioso di vedere cosa accadrebbe facendo nelle scuole una campagna sulle droghe che si rivolgesse ai ragazzi con questo stesso motto.
La terza cosa, più grave, è il profilo tracciato per chi risponde che non gioca mai, anche se ha dei soldi, perché è minorenne e sa che non può farlo; che anzi mette da parte quei soldi; o che, se il suo papà ha dei problemi di gioco, cerca il numero telefonico di un servizio di aiuto: «Integerrimo. Ti manca solo la frusta tra le mani. Lo spirito del bacchettone aleggia sulla tua testa. Per te non esistono colori, tutto è bianco o tutto è nero. Il gioco è rischio e a te i rischi non piacciono. Meglio aggirare gli ostacoli. Così facendo, però, perdi tutte le sfumature della vita. Integerrimo o semplicemente rigido come un ghiacciolo appena tolto dal freezer? Urge ammorbidente». Se io fossi un ragazzino che non gioca, dopo aver letto questo profilo mi vergognerei, e penserei di dover andare a giocare, una volta uscito da scuola, e di dover giocare ogni tanto per non restare «troppo rigido».
Succede quindi che la popolazione italiana ha problemi sempre più importanti di gioco d'azzardo. Sappiamo che c'è una stretta correlazione tra l'incertezza e il gioco: più la prima aumenta, tanto più si gioca. Sappiamo che a giocare maggiormente sono le persone più fragili, cioè gli indigenti, gli appartenenti al ceto medio-basso e i disoccupati. Da una ricerca nazionale sappiamo inoltre che circa il 70 per cento ha giocato almeno una volta nell'ultimo anno. A giocare di più sono gli uomini; chi ha una scolarizzazione più


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bassa (l'80 per cento di chi ha la licenza media contro il 60 per cento dei laureati); e chi ha una situazione lavorativa precaria (il 70 per cento di chi ha un lavoro a tempo indeterminato, il 73 per cento dei disoccupati, l'80 per cento dei precari e l'86 per cento dei cassintegrati). Il 10 per cento gioca ad almeno sei o più i giochi. Il 10 per cento circa gioca più di tre volte alla settimana. Il 10 per cento gioca più di tre ore alla settimana. Il 4,2 per cento spende parecchie centinaia di euro al mese: una parte oltre trecento euro a settimana e un'altra parte fino a trecento euro. Chi gioca dice di farlo soprattutto per vincere denaro e in più piccola parte per sfidare la sorte. A volte qualcuno aggiunge che gioca perché vuole cambiare vita, perché lo fanno tutti o per aiutare i propri familiari in difficoltà. Se però guardiamo quali sono i giocatori a rischio di patologia, vediamo che quel 10 per cento scende a un 7,2 per cento.
Questi sono dati che noi vediamo in tante altre ricerche, sia italiane sia estere. Soprattutto, vediamo che in questo 7,2 per cento a rischio c'è una parte di popolazione - il 2,1 per cento - che ha invece tutte le caratteristiche dei giocatori patologici. Sappiamo anche che l'11 per cento dei giocatori giovani sono a rischio di patologia: ce lo dice anche il Dipartimento nazionale per le politiche antidroga, secondo cui in Italia ci sono 32 milioni di giocatori, 1,7 milioni di giocatori problematici e 800.000 giocatori patologici, persone con tutta una serie di problemi.
Quali sono le persone con questa patologia di cui noi abbiamo avuto esperienza? Ebbene, coloro che, avendo una dipendenza, ci hanno chiesto aiuto, erano per il 90 per cento uomini; il 61 per cento avevano dipendenza da slot machine; il 79 per cento dei giocano d'azzardo avevano un lavoro ed erano persone integrate, dai trentacinque ai quarantacinque anni, sposati e con figli, con una famiglia.
Termino con conclusioni e proposte, illustrando che cosa sarebbe opportuno fare secondo noi. Sappiamo che sono le persone più fragili a giocare; lo diceva già Milton Friedman negli anni '50, parlando del business sulla povertà, quindi non è una novità, in realtà lo abbiamo sempre saputo.
Esiste un editto del 1799 in cui si proibiva il gioco d'azzardo perché andava a grave danno soprattutto delle famiglie bisognose. Sappiamo infatti che sono i più poveri a giocare e che a questo fenomeno è connesso un problema di criminalità organizzata - come diceva prima Poto - che gestisce moltissimi soldi. Sappiamo che tra i tanti problemi legati ai vari tipi di gioco, c'è anche quello dell'usura, come abbiamo sempre saputo. Vi mostro una stampa di metà dell'Ottocento, che raffigura una ricevitoria del lotto poco distante da un usuraio.
Come diceva prima il dottor Croce, sappiamo che quella da gioco d'azzardo è una dipendenza, riconosciuta dall'OMS dal 1980 - tutte queste cose le sappiamo da moltissimi anni - e nonostante questo in Italia non è ancora stata riconosciuta come tale.
Le nostre proposte sono che in Italia venga riconosciuta la patologia del gioco d'azzardo come avviene all'estero; che venga inserita nei LEA la possibilità di cura per i giocatori d'azzardo, consentendo ai giocatori e ai loro familiari il diritto alla cura, come dice la nostra Costituzione, parificando ciò che vige nel campo delle dipendenze a questo tipo di patologia, con il diritto alla cura, il mantenimento del posto di lavoro e la possibilità di usufruire dei benefici di legge e di una parificazione tributaria e fiscale.
Chiediamo che siano promosse iniziative di sensibilizzazione attraverso campagne informative alla cittadinanza; che siano avviati studi e ricerche di carattere epidemiologico da parte di enti senza conflitti di interesse; che si avviino iniziative sperimentali di prevenzione per i più giovani; che si promuovano iniziative di formazione con gli esercenti, mirate alla prevenzione degli eccessi di gioco nei luoghi in cui si gioca. Chiediamo che si prosegua il lavoro iniziato nel 2011 - sul quale l'attuale Governo, al momento, ha ritenuto opportuno soprassedere - sulla proposta di decreto inter-dirigenziale sulle


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ludopatie, già avallata dalla Conferenza Stato-regioni e dai Monopoli di Stato; che si sospenda il progetto dei Monopoli di Stato «Giovani e gioco» fino a quando non sarà stato modificato nei contenuti prima descritti; che si limiti la pubblicità dei giochi d'azzardo; che si attuino le tutele già in vigore per le pubblicità sui tabacchi, che si vietino pubblicità che possono raggiungere i minorenni e le pubblicità ingannevoli che possono promuovere la percezione di una facile vincita.
Le risorse economiche si possono trovare, basta prendere esempio dalla Svizzera, che destina una parte degli introiti da gioco - lo 0,5 per cento - ad attività di ricerca, prevenzione e cura sul gioco d'azzardo. In ogni caso, secondo noi, non si può più far finta che il problema non esista. Grazie per l'attenzione.

PRESIDENTE. Grazie, dottor Iori. La sua è stata una relazione molto completa.
Do ora la parola al dottor Ugo Cerron, responsabile della formazione dell'associazione Comunità Papa Giovanni XXIII.

UGO CERRON, Responsabile della formazione dell'Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII. Gran parte delle cose importanti sono già state ricordate, quindi nella mia esposizione cercherò di limitarmi soprattutto ad alcune analisi e ad alcune proposte.
La nostra Comunità Papa Giovanni XXIII è un'associazione internazionale di fedeli, di diritto pontificio, che da oltre trent'anni opera nel mondo dell'emarginazione ed ha in don Oreste Benzi il suo fondatore. Dal 1968 la condivisione di situazioni di marginalità ha portato alla realizzazione di diverse realtà, tra cui le comunità terapeutiche, che dal 1980 hanno accolto al loro interno diversi quadri di dipendenza patologica. È da questa esperienza, legata alla cura, alla prevenzione e alla riabilitazione nel mondo delle dipendenze, che ci sentiamo di portare alcune piccole riflessioni e delle proposte, seppur magari formulate in maniera grezza.
Una prima riflessione generale che ci viene da fare è che in questi anni, come abbiamo sentito, lo Stato ha promosso in maniera vertiginosa l'offerta di giochi, giungendo anche alla liberalizzazione dei giochi on line via internet. Questo andamento sta esponendo la popolazione in generale, e i giovani in particolare - come abbiamo appena visto - a una pressione fortissima, nel tentativo di spingerla ad affidarsi alla sorte per sollevare situazioni di precarietà crescente.
Ci sembra quindi responsabile che al crescere della povertà, della precarietà lavorativa e del tasso di recessione economica in generale, si vada a far cassa attraverso una vera e propria tassazione sulla speranza, che si affida al pensiero magico della vincita probabile. Chiediamo quindi che lo Stato riveda questo suo percorso.
Una prima proposta, ad esempio, potrebbe riguardare l'ultimo decreto-legge del 13 agosto 2011, n. 138, con cui il Ministro dell'economia e delle finanze dava mandato all'amministrazione autonoma dei Monopoli di Stato di emanare tutte le disposizioni in materia di giochi pubblici utili al fine di assicurare maggiori entrate: tali disposizioni potrebbero essere agganciate al tasso di crescita del Paese. Non è possibile infatti che, di fronte a un tasso di crescita negativo come quello attuale, questo tipo di attività abbia invece un andamento generale di crescita del 20 per cento.
Un secondo aspetto sul quale vorremmo porre l'accento - che è già stato ricordato prima - è l'aggressione pubblicitaria sul gioco che ha luogo in tutti i mezzi di comunicazione on line. Si stima che, ad oggi, ogni dieci messaggi pubblicitari trasmessi in TV, tre siano sul gioco. Questo ci dà conto di quanto questo tipo di pressione sia forte e vada quindi regolamentata - questa è la nostra proposta - secondo il criterio che dicevamo prima, cioè agganciandola al tasso di crescita del Paese.
Un altro elemento viene dai dati clinici della nostra esperienza con le persone affette dalla dipendenza dal gioco che, come è già stato ricordato, già dagli anni '90 è stata riconosciuta come una patologia


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specifica, ma non è stata ancora inclusa nei LEA. Questo ha determinato in Italia la proliferazione di una serie di iniziative, sia pubbliche sia del privato sociale, a carattere prettamente sperimentale e in buona misura rese possibili dai finanziamenti provenienti dai fondi regionali per la lotta alla droga della legge del 9 ottobre 1990, n. 309, che oggi sono azzerati. Ciò ha determinato una profonda precarietà di queste iniziative, che non possono funzionare con risorse certe e inserite nelle risposte istituzionali dei diversi dipartimenti delle dipendenze. Si chiede, quindi, che la patologia da gioco d'azzardo venga inclusa nei LEA e che si possa beneficiare del diritto alla cura, come è stato ricordato.
Facciamo però attenzione, perché se questo passaggio avvenisse, ci troveremmo di fronte a un'esplosione dei costi per le cure delle persone che probabilmente potrebbero afferire ai servizi per le dipendenze e tale innalzamento dei costi potrebbe ridurre ancora di più le risorse già scarse. La nostra proposta, come veniva esplicitato prima, è che le maggiori entrate dell'Erario vadano a finanziare in prima istanza la costituzione di un fondo specifico per la prevenzione, la cura e la riabilitazione di persone affette da dipendenza da gioco patologico. Secondo noi, in dettaglio, il fondo dovrebbe avere almeno due comparti: uno dedicato alla copertura di spesa per le attività preventive e cliniche in genere e un altro di intervento nelle situazioni debitorie.
Noi osserviamo che generalmente la dipendenza dal gioco d'azzardo coinvolge il contesto relazionale di vita del soggetto, in particolare le famiglie, arrivando a creare delle situazioni patrimoniali impossibili da reggere. Spesso si vengono a creare dei contenziosi per cifre assolutamente irrealistiche, la cui riscossione è affidata alle diverse agenzie (come, ad esempio, Equitalia) che giustamente chiedono costantemente il rientro economico.
Può accadere, e lo notiamo giornalmente, che alcune persone, al termine dei percorsi di cura, si trovino di fronte a una situazione debitoria impossibile da affrontare, rendendo così quasi irrealizzabile un rientro nella società. Ci troviamo di fronte a persone che, ad esempio, riescono a reimpostare una propria vita, magari ricollocandosi in un normale lavoro, ma che con un reddito mensile di poco più di 1.000 euro devono affrontare situazioni debitorie di centinaia di migliaia di euro. La nostra proposta è che la parte debitoria di un possibile fondo del gioco d'azzardo possa intervenire a sostegno di quelle persone che, a seguito di un percorso certificato e accreditato, magari anche secondo un meccanismo crescente, siano dichiarate in remissione ma non abbiano la capienza economica per far fronte ai debiti loro ascritti dopo la verifica dello stato di remissione. A onor del vero, questo tipo di intervento a copertura delle posizioni debitorie potrebbe essere utile per diversi quadri di dipendenza.
Al di là di questa formulazione tecnica, che potrebbe sicuramente essere rivista e migliorata, ci sembra importante chiarire i due princìpi di riferimento: il primo è che la persona può curarsi e ricostruirsi una propria esistenza assumendosi, nella misura delle proprie possibilità, la propria responsabilità di cittadino debitore; il secondo è che questo percorso sia sostenuto anche dallo Stato, con un atteggiamento di responsabilità condivisa. Grazie.

PRESIDENTE. Ringrazio gli auditi.
Do la parola ai deputati che intendano porre quesiti o formulare osservazioni.

CARMINE SANTO PATARINO. Dirò pochissime cose. Devo intanto complimentarmi con i nostri cortesi ospiti, aggiungendo che non abbiamo visto spesso un'audizione di questo genere. Davvero, complimenti, perché dalla ricchezza delle informazioni, dalla serietà e dal rigore delle indagini e dalla chiarezza espositiva, quest'oggi è venuto alla luce, nella maniera più giusta e più opportuna, un quadro della situazione, se vogliamo anche impietoso, proprio perché non c'è stata ipocrisia.
Ciò che ci fa pensare, ciò che ci deve preoccupare - e vi ringraziamo anche per


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come avete presentato il problema e formulato le proposte, che sono concrete e sicuramente fattibili - e su cui vorrei qualche elemento in più, per poter avere più chiare le idee, è il volume d'affari di tutti quanti i giochi d'azzardo. È stato detto che esso ammonta a circa 80 miliardi di euro. Questa cifra è relativa a tutti i giochi? Per me i giochi d'azzardo sono tutti, dal «Gratta e vinci» alle slot machine e via dicendo. L'utile che ne ricava lo Stato ammonterebbe inoltre a 9 miliardi di euro: una cifra che non si discosta molto, è stato detto, dagli introiti che lo Stato incassava quando non c'erano tutti questi giochi.
Se non ho capito male, se le cose stanno così, che senso ha per lo Stato? Capirei se lo Stato incassasse e potesse utilizzare quel danaro anche per scopi diversi, interessanti anche dal punto di vista sociale, ma se ciò non accade, qual è la ragione? Questo sistema e questo modo di pensare è comune ai diversi Governi che si sono succeduti: non si tratta del Governo di oggi, di quello di ieri o di quello di avantieri, bensì di una visione del gioco d'azzardo che, come è stato detto, si è affermata da un po' di tempo a questa parte, a partire dal 1995. Che senso ha allora, mi chiedo e vi chiedo, che addirittura si continui a incentivare il consumo? È paradossale che, mentre noi dobbiamo preoccuparci e ci stiamo preoccupando di incentivare i consumi perché migliorino la qualità della vita e anche l'economia, lo Stato non si preoccupi invece, nell'incentivare il consumo del gioco d'azzardo, di ricavarne degli utili. Mi pare, davvero, una maniera folle di agire.
Concludo rinnovandovi ancora una volta il nostro ringraziamento per quello che ci avete detto. Quest'oggi usciamo di qui con le idee più chiare e forse anche con una determinazione che fino a ieri ci è mancata. Grazie ancora.

LUCIANA PEDOTO. Anch'io voglio ringraziare coloro che sono intervenuti perché ci hanno dato una riprova di qualcosa che temevamo, che non solo è stato confermato, ma che è molto, molto più grave di quello che ciascuno di noi poteva pensare o immaginare dal suo angolo di osservazione.
La correlazione tra la propensione al gioco d'azzardo e le fasce sociali di più basso livello culturale o reddituale era già nota a chi, come me, ha fatto studi economici, secondo le correlazioni di Milton Friedman. Ciò che ci siete venuti a dire oggi, purtroppo confermando i nostri timori, ci fa capire una cosa: questo problema, nonostante tutto, forse non è considerato poi così grave né dai cittadini che lo vivono né dagli altri, né dalle istituzioni, che sembrano rivolgere lo sguardo altrove. Che il gioco d'azzardo, oltretutto, non comporti nemmeno un vantaggio in termini di entrate erariali, se non entro un certo limite iniziale, è molto, molto grave.
Noi dobbiamo essere determinatissimi nel contrastare questo fenomeno. Quanto al come farlo, mi sembra che le proposte da voi formulate siano abbastanza uniformi e condivisibili. Certamente occorre fare un'azione primaria di prevenzione, con la diffusione di aspetti culturali, per migliorare veramente la situazione delle persone e delle famiglie che si trovano in uno stato di povertà e anche di isolamento, di solitudine.
In secondo luogo, ben vengano anche le indagini di tipo qualitativo che qualcuno ha proposto, per sapere non solo quanti siano i giocatori, se siano maggiorenni o minorenni, ma per avere a disposizione anche altre informazioni, sempre molto utili per intraprendere le campagne più appropriate nel contrastare il fenomeno. Sicuramente lo Stato si deve inoltre impegnare nella parte del controllo perché, come è stato sottolineato, anche per la criminalità organizzata si tratta di un «bel mare in cui pescare». In ultimo, ma non per importanza, occorre sicuramente inserire questa patologia nei LEA.
Vi ringrazio davvero, perché mi confermate che è necessario - più che opportuno - essere determinatissimi a iniziare questo percorso, ad esempio, con eccezionale severità nei riguardi delle trasmissioni televisive in cui vengono pubblicizzati i giochi.


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ANDREA SARUBBI. Non so se lo sapevate, ma noi ci siamo già occupati del gioco almeno un paio di volte, dall'inizio legislatura, ma forse anche di più, anche se credo che lo abbiamo fatto nella maniera peggiore. Dapprima c'è stata la conversione in legge di un decreto - è stato uno dei primi atti di questa legislatura, di cui se volete possiamo mettere a disposizione il testo, così che ci diate una mano a vedere se abbiamo combinato qualche danno - e poi un documento finale, il cosiddetto «Libro verde» sul gioco d'azzardo on line, pubblicato a novembre dalla VI Commissione.
Pur essendoci occupati di questo tema, non l'avevamo mai fatto in questo modo. È strano che si scopra sempre in ritardo l'acqua calda, benché a volte sia comunque importante scoprirla.
Devo sottolineare una cosa, non per la mia provenienza, ma per quanto sento veramente: ascoltando queste associazioni una ad una, e conoscendone la storia, osservo che, guarda caso, c'è una matrice cattolica in molte di esse.
Le domande che pongo, da cristiano impegnato in politica, ma soprattutto da parlamentare, sono dunque le seguenti: dov'è lo Stato in questo momento? Ha delegato parte del suo ruolo? Lo Stato fa il danno e delega alle associazioni cattoliche di rimediare? Questo è un problema serio, che mi pongo più da parlamentare che non da cristiano. È chiaro che le associazioni cattoliche non sono le uniche ad occuparsi di questo, però sono in prima linea. Questa è una prima valutazione che mi sentivo di fare.
In secondo luogo, io non vorrei arrivare alla fine dell'iter legislativo, ammesso che riusciamo a concluderlo, con una legge ambivalente, che confermi la necessità di quei soldi per realizzare una serie di scopi, lavandoci però la coscienza nel riservarne una percentuale minima, alla Svizzera, per recuperare i danni che abbiamo fatto. Da un lato, destinare dei fondi alla cura delle patologie farebbe fare bella figura al Parlamento rispetto all'opinione pubblica, ma non possiamo dimenticare che sono patologie create da noi. È come se si stuprasse una donna dicendole che poi verrà mandata in un consultorio dove la aiuteranno. In questo caso, se lo Stato non cambiasse linea, sarebbe complice. Magari sono poco diplomatico, però certamente non dobbiamo accontentarci di riparare ai danni.
Questa è una cosa che mi sento di dire anche perché, da un punto di vista economico, se andiamo a vedere quanto costa trasmettere la pubblicità che recita «Lasciatemi sognare, sono un italiano» in certe fasce orarie sulle reti nazionali, scopriremmo certamente un impatto economico paragonabile, se non addirittura superiore, a quello «0,x» che potrebbe essere destinato a riparare i danni. Con una mano lo Stato alimenterebbe queste dipendenze e con l'altra mano andrebbe a curarle. Non bisogna agire soltanto sul fronte della riparazione, dunque, ma anche evitando il bisogno indotto, come indotta, in questo momento storico, è la maggior parte dei bisogni, anche commerciali. Il gioco è indotto, oltre che dalla pubblicità, anche da una crisi economica che evidentemente deve avere soluzioni diverse. Vorrei dire che in questo senso lo Stato si rende complice non se ammette il gioco, ma se specula, alimentandole, sulle debolezze dell'altro.
Io spero, mi auguro, che questo Parlamento trovi una linea comune. Vi devo dire, però, che come in ogni Parlamento, anche in questo ci sono degli interessi contrapposti sul tema, che chiaramente usciranno fuori. Siete qui, in una Commissione che è terreno fertile, che «vi dà ragione», ma magari in altre Commissioni trovereste obiezioni di tipo opposto, che avrebbero uguale forza e potere contrattuale, da un punto di vista legislativo.

GERO GRASSI. Le cose dette dai colleghi che mi hanno preceduto sono tutte condivisibili. Tra l'altro, mi sono imbattuto nella mia vita in qualche «sciagurato» che è passato dal gioco d'azzardo, quindi ne capisco il dramma...

MARIA ANTONIETTA FARINA COSCIONI. Non giudichiamoli!


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GERO GRASSI. No, io non sto giudicando nessuno. Forse le è sfuggito, onorevole Farina Coscioni, ma ho usato il termine «sciagurato» nell'accezione affettuosa e positiva. Sciagurato significa «caduto in una sciagura» e il gioco d'azzardo è una sciagura. Evidentemente anche le parole hanno un senso. Andiamo avanti.
Da quanto avete detto capisco che, non per la prima volta, ci sono settori del nostro Paese che si sostituiscono allo Stato. Basti pensare alla funzione della Caritas in tante realtà: quando qualcuno non ha da mangiare, spesso non va al comune, ma alla Caritas. Capisco quindi la funzione che voi svolgete.
Poiché se questa discussione si fosse svolta nella V Commissione essa avrebbe avuto tutto un altro senso, siccome le regole del Parlamento in questo momento, forse da troppo tempo, sono spesso più regole economiche che sociali, senza infingimenti e senza ipocrisie, per essere concreti e abbracciare quello che voi avete detto, che peraltro io condivido totalmente, vi chiedo di dirci che cosa dobbiamo fare; dateci cioè la possibilità di andare verso una legge che, come diceva il collega Sarubbi, sarà avversata da tantissimi, ma che almeno da questo luogo deve poter partire senza ipocrisie.
Da profano, rispetto a voi, potrei pensare ad aumentare il guadagno dello Stato, portandolo dall'11 per cento attuale al 50 per cento, quindi riducendo l'aggio dei committenti, ma il problema non è questo, non è far guadagnare di più allo Stato e di meno a chi gestisce i giochi. Il problema, dal mio punto di vista, è evitare che la gente possa cadere nella sciagura della dipendenza dal gioco. Anche su questo l'onorevole Sarubbi ha ragione: senza ipocrisia, non possiamo prendere il 20 per cento e curare le patologie che noi stessi creiamo. Spesso, tra l'altro, queste patologie le facciamo curare a voi, che non ne avreste la titolarità giuridica, in quanto voi non solo le curate ma vi opponete quotidianamente ad esse.
Concludendo, per essere concreti, come potremmo noi risolvere il problema a monte, e non a valle? Quando dico «a monte», non ho la presunzione di eliminarlo, ma perlomeno di ridurlo in larga parte. La riduzione può essere per luoghi, per accesso (non soltanto fisico), per distribuzione sul territorio, per incompatibilità ambientali che possiamo creare.
Quando io, «da bambino», facevo il sindaco, per esempio, non si potevano autorizzare delle sale giochi - non so se la norma persista ancora - a una distanza inferiore a 500 metri dalle scuole. Parliamo di sale giochi che, all'epoca, contenevano i biliardini, le carambole e i flipper. Allora, se noi aggirassimo o contribuissimo a rendere più difficile, più complessa, più articolata, la capillarità dei giochi, ridurremmo anche l'accesso. Diteci allora, per essere concreti, che cosa dobbiamo fare per arrivare al risultato che voi avete auspicato e che io condivido perfettamente.

MARCO RONDINI. Anch'io mi associo ai ringraziamenti fatti dai colleghi ai rappresentanti delle associazioni che oggi abbiamo audito.
Condivido le parole pronunciate dai colleghi Sarubbi e Grassi e anch'io ritengo che forse, prima di cercare di curare, sarebbe meglio prevenire il fenomeno. Credo che forse, anche se dirlo è poco diplomatico - ripeto le parole del collega Sarubbi - più che aumentare la percentuale che lo Stato guadagna sul gioco d'azzardo, eventualmente devolvendo parte dell'introito alla cura di chi è un giocatore patologico, sarebbe opportuno vietare la pubblicità dei giochi d'azzardo, forse fatta eccezione per le vetrine delle sale giochi o dove si fanno queste cose. Sarebbe forse una soluzione drastica, però è l'unico modo attraverso il quale si potrebbe intervenire. Vietare la pubblicità su tutti i mezzi di informazione potrebbe essere utile più della campagna ipocrita sul gioco intelligente che vorremmo magari mettere in piedi, consigliando che comunque si può giocare, basta che lo si faccia con moderazione.
Credo che non basti una campagna culturale per evitare che qualcuno scivoli nella dipendenza e diventi un giocatore


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patologico. Forse sarebbe più opportuno vietare la pubblicità e magari cominciare ad affrontare un problema importante come questo riconoscendo alla ludopatia il carattere di malattia come già è riconosciuto dall'OMS.

ANNA MARGHERITA MIOTTO. Vi ringrazio molto e vi chiedo scusa per essere arrivata, purtroppo, con colpevole ritardo, ma stamani è successo un parapiglia: ero in Aula, dove era fissata una mia interpellanza, quindi non potevo essere qui. Vi chiedo davvero scusa.
I miei colleghi sono già intervenuti e hanno già detto cose che ovviamente condivido e che, come avete visto, sono contenute nella richiesta di indagine conoscitiva che abbiamo promosso.
Dirò due cose brevissime. Siamo tutti consapevoli che non basta scrivere in una legge, in un documento, in un manifesto, in una risoluzione o in una mozione che il gioco d'azzardo è un disvalore e che è un costo per la società e per le singole persone. Non basta, le istituzioni devono fare qualcos'altro, devono contrastare con opportune iniziative legislative tutte quelle attività che non costituiscono occasione di crescita della comunità.
La nostra Commissione, come sapete, ha competenze per quanto riguarda la sanità, gli affari sociali e l'assistenza. Noi non siamo dei buoni samaritani: ovviamente apprezziamo chi lo è, ma la nostra funzione è un'altra. Le ragioni, le radici, a cui faceva riferimento un attimo fa il collega Grassi, se opportunamente contrastate, possono consentire l'induzione di comportamenti diversi, virtuosi.
Come ha detto il collega Sarubbi, la V e la VI Commissione hanno già assunto iniziative in merito, sulle quali ovviamente interloquiremo con i nostri colleghi in maniera dialettica. Noi siamo preoccupati, per le nostre competenze, di tutti gli aspetti concernenti anzitutto la prevenzione e la cura. Affronteremo quindi il tema della dipendenza, anche con il finanziamento o rifinanziamento del decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, ma soprattutto mettendo in campo iniziative che consentano di affrontare convenientemente questo problema che - ahimè - come abbiamo sentito, riguarda migliaia di persone, soprattutto quelle socialmente meno attrezzate ad affrontare una condizione di dipendenza.
Avete visto l'elenco di tutte le persone, le associazioni e gli enti che sono stati individuati come soggetti che possono dare un contributo per una visione complessiva del problema. Io vi chiedo una cosa molto semplice: voi, che siete in trincea, potete darci una mano anche nell'individuare le competenze che inavvertitamente abbiamo magari trascurato in quell'elenco? Per esempio, abbiamo avuto qualche difficoltà a individuare delle competenze specifiche da interpellare nel campo della formazione e della scuola, insomma del sistema scolastico nel suo insieme. Lì occorre infatti promuovere un'azione di sensibilizzazione, se vogliamo intervenire sui giovani, anche per sviluppare quella coscienza critica che consente di difendersi rispetto all'aggressività del messaggio pubblicitario.

LAURA MOLTENI. A breve ci sarà la presentazione anche di un nostro progetto di legge sul tema. Voglio evidenziare che, già da quando ero consigliere comunale a Milano, mi sono sempre battuta affinché non venisse favorita l'immissione di videolottery, di videopoker e di tutti gli altri giochi a rischio di reazioni compulsive, soprattutto nelle periferie della nostra città, che sono i luoghi più difficili, dove maggiore è il disagio sociale, ad esempio, delle persone anziane piuttosto che dei giovani. Questi giochi, in alcuni casi, diventano delle risposte molto attrattive per passare il tempo in quelle periferie, dove sempre più viene a mancare il rapporto umano tra le persone, il rapporto sociale, momenti di aggregazione e quant'altro.
È con questo spirito che, insieme a un gruppo di esperti, sto terminando la stesura di un progetto di legge. Mi trova d'accordo quanto diceva prima il collega Grassi, perché chi è stato amministratore o anche consigliere in un comune sa


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benissimo quanto sia importante avere dei riferimenti legislativi. Al comune arrivano infatti le richieste di concessione e autorizzazione per l'apertura di sale giochi, per l'installazione di certi giochi, dove magari già ci sono punti di scommesse ippiche e quant'altro. È quindi importantissimo che il comune possa avere dei riferimenti legislativi, sebbene esso si muova in questo campo attraverso le municipalità a Roma oppure attraverso i consigli di zona in altre realtà, chiedendone il parere. Secondo me è importante che il comune abbia dei riferimenti legislativi certi, che possono essere di livello regionale piuttosto che nazionale, ai quali potersi appellare nel momento in cui vengono negate certe concessioni e certi tipi di autorizzazione.
Sono quindi importantissime le questioni dei luoghi, dell'accesso, della distribuzione sul territorio, delle condizioni di incompatibilità ambientale, così come altrettanto importante è che sia vietata la pubblicità rivolta alle fasce protette, in cui bisognerebbe inserire sia i giovani, sia gli anziani. Bisognerebbe invece fare un altro tipo di pubblicità: il nostro Paese dovrebbe promuovere delle pubblicità in senso contrario, rivolte proprio a queste fasce, che illustrino i pericoli del gioco, anche in considerazione del fatto che i ragazzi trascorrono tantissime ore su internet, lontano dagli occhi dei genitori. Penso all'ipotesi di dare ai genitori anche degli strumenti per bloccare i siti internet pericolosi, fornendo loro un elenco dei siti internet legati a certi tipi di gioco, in modo da poterli bloccare sul computer dei propri figli...

MARIA ANTONIETTA FARINA COSCIONI. Lo possono già fare i genitori!

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE GERO GRASSI

LAURA MOLTENI. Non tutti i genitori sono attrezzati per operare su internet. Non abbiamo un esercito di genitori tutti quanti tecnologicizzati, pronti a intervenire per bloccare un sito. Io non sono capace di farlo, ad esempio.
Sul territorio dovrebbero inoltre esserci anche dei punti ai quali rivolgersi, nei quali il genitore possa sapere esattamente con quali procedure poter bloccare certi tipi di siti.
Ritengo importante che venga comunque aumentato il prelievo statale sugli incassi da parte delle società di gioco e che parte di questo prelievo vada a costituire un fondo destinato a garantire tutte le prestazioni necessarie, dal punto di vista sanitario, per far fronte ai problemi di chi entra nella dipendenza da gioco, la quale deve rientrare nei LEA. Le persone devono poter avere anche tutta una serie di informazioni, quale primo aiuto, e poter rivolgersi a servizi quali i Sert, che generalmente si occupano oggi di altri tipi di dipendenze. Anche questo tipo di dipendenza deve essere trattata all'interno di servizi come i Sert.
Un altro punto importante credo sia l'introduzione, all'interno dei casinò autorizzati dallo Stato, di punti informativi in grado di dare comunicazioni e ragguagli per un primo aiuto, per far sì che le persone che riconoscono di aver una dipendenza di questo tipo possano trovare l'offerta territoriale in termini di servizi ai quali rivolgersi. Le campagne informative dovrebbero essere previste anche nei luoghi dove già si praticano giochi, videogiochi, videolottery e quant'altro, in modo che chi ne ha la necessità possa trovare subito una risposta, un librettino informativo o un numero di telefono a cui rivolgersi.

MARIA ANTONIETTA FARINA COSCIONI. Sarò brevissima. Sono stata sollecitata da alcuni interventi dei miei colleghi. Credo che tutti, nella nostra Commissione, abbiamo sempre sostenuto che la sicurezza, la legalità e la trasparenza di chi fornisce il servizio del gioco sono al centro dell'indagine conoscitiva che abbiamo avviato.
Mi pare di aver compreso - non dalle parole di chi è oggi utilmente è venuto a fornirci degli elementi per questa indagine,


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ma da quelle dei miei stessi colleghi - che ci si potrebbe orientare verso una limitazione delle libere scelte delle persone sui propri svaghi, che credo onestamente sia poco comprensibile.
Oggi, dopo questa prima audizione, mi sento di dire una cosa semplice: nessuno si sognerebbe mai di bloccare dei siti - o di bloccarne la pubblicità - in cui è possibile fare acquisti on line solo perché qualcuno soffre di shopping patologico. Attenzione, dobbiamo avere in mente questo aspetto, perché il collega della Lega ha ipotizzato di vietare la pubblicità, in modo da evitare che un soggetto si rivolga ad un prodotto piuttosto che ad un altro.
Mi pare che, in questo primo ciclo di interventi, sia venuto a mancare un aspetto. Sono dunque qui a chiedervi perché non si sia parlato del trattamento di questi soggetti definiti «dipendenti da gioco».
Ho trovato bellissima la relazione di chi ci ha fornito i dati ed ha fornito una definizione di gioco d'azzardo, mentre qui ci sono stati richiami alla tombola, al biliardino, ai giochi legali e a quelli illegali. L'indagine è complessa e secondo me dobbiamo focalizzare la nostra attenzione su alcuni punti.
Credo che sia però importante conoscere che tipo di trattamento occorra e chi abbiamo davanti quando definiamo una persona con una dipendenza da gioco: da lì bisogna partire. Di questa persona abbiamo capito oggi l'estrazione: si tratta di un soggetto debole, sia culturalmente, sia economicamente. Facciamo attenzione a non sostenere che, laddove già c'è una posizione di disagio, allora il disagio cresce, perché a quel punto le variabili da prendere in considerazione sarebbero tante.
Non so se adesso ci sia il tempo per una piccola replica, ma la auspicherei sul trattamento di questi soggetti, chiamati «persone dipendenti da gioco».

PRESIDENTE. Vi ringrazio, anche a nome del presidente Palumbo, che si è dovuto assentare per concomitanti impegni. Faccio altresì presente che, se qualcuno di voi volesse aggiungere o chiarire qualcosa rispetto al dibattito che c'è stato e a quello che brillantemente avete esposto oggi, potrà inviare una documentazione scritta suppletiva. Ove necessario, sarà in ogni caso possibile risentirsi, anche sulla base degli sviluppi dell'iter legislativo.
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 12,10.

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