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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissione XIII
2.
Giovedì 17 luglio 2008
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Russo Paolo, Presidente ... 3

INDAGINE CONOSCITIVA SULL'ANDAMENTO DEI PREZZI NEL SETTORE AGROALIMENTARE

Audizione di rappresentanti dell'Istituto nazionale di statistica (ISTAT):

Russo Paolo, Presidente ... 3 4 7 9 10
Biggeri Luigi, Presidente dell'ISTAT ... 3 4 8 10
Monducci Roberto, Direttore centrale delle statistiche sui prezzi e commercio con l'estero dell'ISTAT ... 9
Zucchi Angelo (PD) ... 8

Audizione di rappresentanti dell'Istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare (ISMEA):

Russo Paolo, Presidente ... 10 14 15 19 20
Castiglione Ezio, Direttore generale dell'ISMEA ... 18 20
Cenni Susanna (PD) ... 15
Marinello Giuseppe Francesco Maria (PdL) ... 16
Oliverio Nicodemo Nazzareno (PD) ... 18
Semerari Arturo, Presidente dell'ISMEA ... 10 14 15 17 19

ALLEGATI:
Allegato 1:
Documentazione consegnata dall'ISTAT ... 25
Allegato 2: Documento consegnato dall'ISMEA «Tendenze recenti dei mercati agricoli e alimentari» ... 69
Allegato 3: Documento consegnato dall'ISMEA «Tendenze recenti dei mercati agricoli e alimentari - schede» ... 106
Allegato 4: Documento consegnato dall'ISMEA «Tendenze recenti dei mercati agricoli e alimentari - tabelle» ... 134
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Movimento per l'Autonomia: Misto-MpA; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.

[Avanti]
COMMISSIONE XIII
AGRICOLTURA

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di giovedì 17 luglio 2008


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE PAOLO RUSSO

La seduta comincia alle 12,35.

(La Commissione approva il verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata, oltre che attraverso impianti audiovisivi a circuito chiuso, anche mediante la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Audizione di rappresentanti dell'Istituto nazionale di statistica.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sull'andamento dei prezzi nel settore agroalimentare - deliberata dalla Commissione nella seduta del 18 giugno 2008 -, l'audizione di rappresentanti dell'Istituto nazionale di statistica.
Sono presenti il professor Luigi Biggeri, presidente dell'ISTAT, il dottor Roberto Monducci, direttore centrale delle statistiche sui prezzi e commercio con l'estero, la dottoressa Antonietta D'Amore, tecnologia relativamente agli indici dei prezzi dell'agricoltura, nonché la dottoressa Patrizia Cacioli, direttore dell'ufficio comunicazione.
Do la parola al presidente, professor Luigi Biggeri, per lo svolgimento della sua relazione. Alla fine del suo intervento, eventuali interventi, questioni o ulteriori riflessioni dei colleghi saranno, ovviamente, ben accetti.

LUIGI BIGGERI, Presidente dell'ISTAT. Ringrazio ovviamente il presidente e l'intera Commissione per averci fornito la possibilità di informare il Parlamento circa la dinamica del sistema dei prezzi dei prodotti agroalimentari. Abbiamo predisposto un dossier, a cura della dottoressa Cacioli - non so se vi sia già stato consegnato -, che, oltre al testo della relazione, presenta anche grafici, tabelle e così via. Abbiamo anche utilizzato il programma power point, in modo da poter meglio diffondere le slide di cui siamo in possesso.
Intanto, essendoci del materiale a disposizione, ritengo si possa concentrare l'attenzione sugli elementi principali del mio intervento. Come è a tutti noto, nei primi mesi dell'anno l'indice nazionale dei prezzi al consumo è aumentato molto; addirittura, nel secondo semestre l'aumento tendenziale è stato del 3,6 per cento, mentre a giugno ha raggiunto il 3,8 per cento. La forte accelerazione della dinamica tendenziale dei prezzi al consumo è dovuta, soprattutto, a impulsi inflazionistici di origine esterna, che hanno sostenuto, fin dalla seconda metà del 2007, la crescita dei prezzi dei beni del comparto energetico e alimentare.
È chiaro che l'aumento registratosi sui prezzi dei prodotti energetici e alimentari ha avuto rilevanti conseguenze che, eventualmente, analizzeremo in seguito. In particolare, possiamo constatare che i prezzi al consumo dei prodotti alimentari hanno raggiunto il 6,1 per cento nell'ultimo periodo di quest'anno. Le cause sono da ricercarsi soprattutto nelle dinamiche dei prezzi internazionali delle materie prime. Per quanto ci riguarda, cerchiamo di vedere come questi shock hanno influito sul sistema dei prezzi del nostro Paese:


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credo, infatti, sia questo l'elemento che più vi interessa. Da questo punto di vista, a livello internazionale, si sostiene che mentre eventuali fattori speculativi verificatisi non sono misurabili, è invece facile verificare che sono in atto processi dipendenti dalle modifiche demografiche della popolazione e legati anche a profili di consumo e all'utilizzo di cereali per la produzione di biocarburanti.
Dal punto di vista congiunturale gli aumenti corrispondenti alla fine del 2007 e all'inizio del 2008 si rifanno, in realtà, a condizioni meteorologiche avverse. Noi cercheremo di presentarvi queste indicazioni per tutte le filiere, partendo dai prezzi dei prodotti acquistati e venduti dagli agricoltori, considerando i prezzi dei prodotti importati per valori medi unitari e, successivamente, vi illustreremo i prezzi alla produzione legati all'industria alimentare. Un'ultima chiosa riguarderà la dinamica territoriale dei prezzi al consumo dei generi alimentari che, come vedremo, è abbastanza diversa relativamente alla ripartizione tra le diverse regioni.
Se l'indice generale già presenta un aumento abbastanza consistente, si può notare che la dinamica crescente dei prezzi dei prodotti acquistati è dovuta soprattutto ai consumi intermedi; addirittura, a maggio del 2008 si sono registrati aumenti fino al 20 per cento. Quindi, c'è effettivamente un forte aumento dei prezzi dei consumi intermedi; i concimi incidono di più poiché presentano aumenti dal 40 al 50 per cento, anche se in media non ci discostiamo molto da quest'ultimo valore poiché anche per altri prodotti (sementi, lubrificanti) ci troviamo di fronte ad aumenti del 20 per cento.
Riguardo ai prezzi dei prodotti venduti dagli agricoltori, questi ultimi li hanno modificati sia in funzione dei prezzi di acquisto sia, evidentemente, in maniera autonoma. In particolare, possiamo notare che, di fronte ad un valore medio di aumento dei prodotti vegetali attorno al 15 per cento (a maggio il valore si è ridotto al 13,2 per cento), vi sono alcuni prodotti i cui prezzi sono aumentati notevolmente. In particolare, mi riferisco ai cereali (aumentati del 50 per cento), alle piante industriali foraggere e agli ortaggi; di contro, si può notare la diminuzione dei prezzi dell'olio d'oliva. Quindi, è chiaro che questi differenziati aumenti dei prodotti venduti dagli agricoltori hanno una certa influenza sul mercato dei prezzi.

PRESIDENTE. Presidente, quando parla di aumenti questi si riferiscono agli stessi mesi dell'anno precedente?

LUIGI BIGGERI, Presidente dell'ISTAT. Certamente! Tra l'altro, il fatto che i prezzi dei cereali siano aumentati del 50 per cento in un anno induce ad una profonda riflessione.
Da questo punto di vista, è interessante fare anche un confronto internazionale. Come potete vedere nei due grafici, i prezzi dei prodotti venduti dall'Italia sono aumentati all'incirca di tre punti percentuali in meno rispetto alla media di quelli degli altri Paesi europei.
Mentre nel 2006 c'era stato un andamento molto simile, e addirittura eravamo arrivati, all'inizio del 2007, ad avere gli stessi aumenti, ora c'è questa differenziazione. Ciò vale anche per i prodotti acquistati, seppure, in questo caso, la differenziazione è un po' minore, vale a dire che i prezzi dei prodotti acquistati dagli agricoltori in Italia sono aumentati meno di quanto sia avvenuto per gli agricoltori degli altri Paesi. D'altra parte, come potete constatare, i prodotti venduti sono aumentati ancora meno.
In particolare, facendo un focus sui cereali - il riferimento è alla tavola successiva, alla tabella numero tre - si può vedere che tra essi ci sono forti differenze.
Abbiamo detto che, in media, il tasso tendenziale di crescita è stato del 51 per cento, ma chiaramente tra i vari prezzi ci sono tantissime differenze. Come potete vedere, il prezzo del cereale che è aumentato di più è quello del frumento, che ha avuto aumenti addirittura fino al 90 per cento. Anche se a maggio esso ha registrato un leggero calo (siamo al 75,9 per cento) rispetto al maggio precedente, la media nel primo trimestre è stata pari


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all'89,6 per cento, come potete vedere illustrato dalla colonna tra le due righe. Anche l'avena e l'orzo hanno subito aumenti nell'ordine del 40 o 50 per cento e così via. Dico questo per mostrare che ci sono delle differenziazioni, seppur sempre su livelli molto elevati.
L'ultima figura riportata mostra sia l'andamento dell'indice, sia le variazioni tendenziali rispetto all'anno precedente. Qui si nota che nel 2005 c'è stato un forte abbassamento dei prezzi, ma che successivamente la ripresa del loro aumento è stata notevole.
Ciò considerato, e visto che sono aumentati gli indici dei prezzi dei prodotti acquistati, è interessante vedere cosa sia successo per quanto concerne i valori medi unitari all'importazione. Gli indici riguardano gli acquisti degli agricoltori, però è interessante vedere anche, in generale, gli acquisti dell'Italia dall'estero e, quindi, i prezzi dell'importazione in generale. Gli acquisti degli agricoltori, infatti, possono avvenire all'estero, ma più spesso avvengono internamente all'Italia, direttamente da altri venditori, dalla distribuzione commerciale o dalla produzione.
Si può vedere che, con riferimento all'importazione, nel primo trimestre del 2008 c'è stata una forte crescita dei valori medi unitari relativi al grano (42 per cento), al granturco (33 per cento), alla soia (49 per cento), al girasole (46 per cento), agli oli grassi e vegetali (29 per cento), con una minor crescita per quanto concerne latte e crema di latte. Comunque, anche in questo caso, le differenze mettono in evidenza i valori medi unitari all'importazione, cioè quanto gli importatori italiani hanno visto aumentare i prezzi all'importazione di questi prodotti. È ovvio che questi importatori, se hanno poi rivenduto alla produzione, avranno aumentato a loro volta i prezzi e così via.
Le cose che vi ho detto si possono ritrovare nella tabella, quindi non starei a dedicarvi molto tempo, a meno che voi non me lo chiediate. Qui ci sono tutti i dettagli, dal 2005 al 2008, e si può vedere quando sono aumentati i prezzi e quando tali aumenti sono stati di molto superiori a quanto ci aspettavamo.
In particolare, mi sembra interessante, proprio dal punto di vista dell'industria alimentare, il confronto tra gli aumenti dei prezzi dei prodotti venduti sul mercato nazionale. Le industrie alimentari hanno certamente importato, oltre a comprare all'interno, ed hanno subito gli aumenti dei prezzi. È interessante vedere come esse si siano poi comportate nel produrre i prodotti alimentari sul mercato nazionale.
Considerando questo aspetto, si nota che ancora una volta si sono manifestate delle tensioni - non banali, anche se sembrano leggermente inferiori rispetto ad altre - perché a maggio, in media, si arriva ad un aumento forte, ma non fortissimo, pari al 10,6 per cento.
Se, però, si esaminano i vari segmenti dell'industria alimentare, si nota che un particolare aumento e una particolare tensione ci sono stati per i prodotti lattiero-caseari, per i gelati, per le granaglie, per i prodotti amidacei e per gli altri prodotti alimentari, che comprendono panetteria, pasticceria fresca, paste alimentari, cous cous e prodotti farinacei simili.
Come si può vedere, infatti, nella quarta e quinta riga della tabella numero 5 - non so se è indicata come tale, ma non importa: è quella in cui compaiono l'indice dei prezzi alla produzione di alcune classi di prodotti dell'industria alimentare e di bevande e l'indice generale - per quanto riguarda i prodotti lattiero-caseari e i gelati, gli aumenti sono stati nell'ordine del 10-12 per cento, ma se andiamo alle granaglie, sono stati del 28-30 per cento.
L'ultima colonna rappresenta l'inflazione acquisita, cioè l'aumento che, anche se non ci fossero stati altri aumenti durante l'anno, si sarebbe comunque avuto nella media d'anno. In particolare, nella quart'ultima riga, potete vedere il dato relativo a paste alimentari, cous-cous, prodotti farinacei e simili, per i quali gli aumenti, nel 2008, sono stati dell'ordine, rispettivamente, del 31, 34, 36 e 37 per cento.


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Non sono da sottovalutare nemmeno i prodotti per l'alimentazione degli animali, su cui vorrei richiamare la vostra attenzione. A metà circa di questa tabella trovate il dato che riguarda l'aumento del prezzo di questi prodotti, pari al 21-22 per cento circa. Non è un dato banale, visto che noi abbiamo allevamenti abbastanza consistenti, specialmente in certe zone del Paese. Credo che, anche da questo punto di vista, sia importante tenere presenti gli aumenti.
Anche solo dando uno sguardo al grafico successivo - vi è una legenda: il latte è rappresentato dal triangolino, le granaglie dal quadratino e così via - potete vedere, comparativamente, come si sono comportati i prezzi di questi prodotti delle industrie alimentari, venduti sul mercato nazionale.
Credo che, a questo punto, il messaggio sia chiaro, perché avete a disposizione le informazioni sui prezzi dei prodotti acquistati e venduti dagli agricoltori, quelle sui valori medi unitari delle importazioni e quelle sul comportamento della politica dei prezzi delle industrie e dei prodotti alimentari lattiero-caseari.
Il terzo aspetto che vorremmo mettere in evidenza è quello dell'andamento dei prezzi al consumo.
Come è già stato richiamato prima, per i prodotti alimentari, a giugno 2008 abbiamo avuto un aumento del 6,1 per cento e un aumento ancora maggiore per i prodotti alimentari lavorati, come potete vedere nella tabella. Per gli alimentari lavorati l'aumento, a giugno, era pari al 6,5 per cento, mentre per i prodotti non lavorati (ossia i prodotti freschi), esso era pari al 5,4 per cento.
In queste tabelle potete vedere sia i comportamenti, sia l'eventuale influenza di altri fattori sull'aumento dei prezzi. Prima non ho spiegato nel dettaglio ma, volendo, se ci fossero delle domande in merito, sia io, sia i miei collaboratori potremmo rispondervi volentieri.
La differenza sostanziale tra i beni alimentari e gli altri beni si può vedere nel grafico successivo che, sostanzialmente, mette in evidenza la forte differenza esistente tra i relativi prezzi: i beni alimentari (quelli simboleggiati dal triangolino) crescono molto di più. C'è anche la differenza tra i due indici, riportata nella scala sottostante.
Complessivamente, se si analizzano i beni alimentari, nonostante la divergenza che ho appena richiamato (6,4/5,4 per cento), in realtà, come il grafico successivo mette in evidenza, tutto sommato, tranne che nel 2004, gli andamenti sono stati molto simili. Certo, ci sono alcune differenze che, a volte, possono non essere banali, però non sono tali da poter incidere in maniera consistente.
Certamente, se si analizzano nel dettaglio i prodotti non lavorati, possiamo vedere la differenza tra beni alimentari lavorati e non lavorati, che abbiamo richiamato ora e che possiamo vedere soprattutto con riferimento al grafico successivo, nel quale si riportano i dati inerenti sia ai prodotti di origine vegetale, sia quelli di origine animale: le differenze, che erano state consistenti fino alla fine del 2006, come potete vedere si sono poi assottigliate.
Se questa è la situazione e questi sono i suoi effetti, non certo banali, sui nostri indicatori, ci sembra interessante confrontarci con l'Europa. Prima di farlo, è forse opportuno dire velocemente qualcosa sulla tavola successiva, che evidenzia gli aumenti più consistenti verificatisi nell'ambito dei settori cerealicolo e lattiero.
La tabella mette in evidenza che, per i cereali e per le farine, c'è stato un aumento dei prezzi al consumo del 26-27 per cento (l'ultimo dato disponibile è del giugno 2008); per l'olio di semi di circa il 23 per cento; per la pasta del 22 per cento; per il burro del 16 per cento; per il pane del 13 per cento e per il latte dell'11 per cento. Questo considerando solo i prezzi dei prodotti che hanno subito un aumento superiore al 10 per cento, ossia gli aumenti che hanno avuto maggiore impatto sui bilanci delle famiglie. Si tratta di cose in parte note, probabilmente, ma che - spero e penso - vi serviranno per poter meglio analizzare la situazione.


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Il confronto internazionale mette in evidenza che queste tensioni non sono solo italiane. Del resto, se l'impulso viene dall'aumento dei prezzi internazionali delle materie prime e dei prezzi energetici, è chiaro che il fenomeno riguarda tutti i Paesi, anche se con intensità diverse.
Diciamo che, in media, l'aumento dei prezzi è più moderato in Italia, anche se l'espressione «più moderato» vuol dire poco, perché in Italia siamo al 5 per cento (guardate la terza colonna della tabella successiva), mentre in Europa siamo al 5,8 per cento.
Le stesse differenze si possono vedere per quanto riguarda l'anno 2008. Se compariamo l'Italia con i Paesi più simili al nostro, vediamo che siamo sotto alla Germania (6,5 per cento nel primo trimestre) e alla Spagna (7 per cento), anche se, ovviamente, ci sono anche Paesi dove l'aumento dei prezzi è stato molto più basso o molto più alto, com'è messo in evidenza anche dal grafico riportato subito dopo. Come abbiamo precisato anche nel testo, da tale grafico emerge che in Italia, per quanto riguarda il latte, il formaggio e le uova, abbiamo avuto aumenti minori, mentre per quanto riguarda pane e cereali, abbiamo avuto aumenti superiori.
Avevamo predisposto un approfondimento sulla dinamica territoriale dei prezzi al consumo dei generi alimentari in Italia che, occorre precisarlo, è già stato presentato insieme al nostro rapporto annuale, nella Sala della Lupa del Parlamento e non è, quindi, stato realizzato appositamente per questa Commissione.
I comportamenti delle variazioni dei prezzi al consumo, nel nostro Paese, sono in realtà abbastanza differenziati, per quanto riguarda l'indice generale delle regioni italiane, ma anche per quanto riguarda proprio i generi alimentari.
Come potete notare dalla tabella riportata, nell'Italia meridionale e nell'Italia insulare gli aumenti dei prezzi dei generi alimentari sono stati più forti, non solo leggermente. Nel 2007 sono stati comparativamente forti, visto il livello più basso di aumento dei prezzi dei generi alimentari. Molto forti sono stati, invece, nell'ultimo periodo: a maggio l'aumento ha raggiunto il 7 per cento nell'Italia meridionale e il 6,9 per cento nell'Italia insulare. Nell'Italia nord-occidentale e in quella nord-orientale siamo, invece, al 5,2 per cento. Si tratta di una differenza davvero consistente, in termini percentuali.
Le figure riportate in seguito servono a mostrare che queste differenze non sono uniformi, ossia che non in tutte le regioni del sud i prezzi hanno subito le stesse variazioni. Esse mettono, però, in evidenza anche, in particolare per quanto riguarda i prezzi dei generi alimentari, che l'aumento del prezzo del pane è essenzialmente concentrato - lo vedete nella figura successiva - nelle regioni meridionali, che sono tutte nella parte più alta del grafico e hanno avuto aumenti davvero molto consistenti, superiori al valore medio.
In alcuni casi gli aumenti sono stati anche pari al 40 per cento, quando la media, lo abbiamo visto prima, è invece intorno al 13 per cento, se non vado errato.
È quindi ovvio che, da questo punto di vista, per il pane, la pasta e il latte, ma soprattutto per il pane, gli aumenti sono stati molto più forti in quasi tutte le regioni meridionali, salvo alcune, dove tale aumento non c'è stato. Aumenti maggiori o inferiori sono un po' più distribuiti tra le varie regioni, invece, per quanto riguarda la pasta e il latte.
Questo approfondimento serve anche per capire se, nelle analisi della diffusione degli shock degli aumenti dei prezzi internazionali, convenga o meno intervenire in maniera differenziata oppure uniforme su tutto il Paese, sempre che si tratti di intervenire.
Credo di aver così illustrato gli elementi principali. Ovviamente, lo ripeto, io e i miei collaboratori siamo a disposizione, sia per chiarirvi qualche tabella o qualche dato, sia per fornirvi, eventualmente, ulteriori elementi di informazione.

PRESIDENTE. Il suo intervento è stato assolutamente utile e funzionale alle finalità per le quali abbiamo il privilegio di averla qui.


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Do la parola ai colleghi che intendono intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

ANGELO ZUCCHI. Ringrazio il presidente per la sua esposizione.
Spero mi comprenderete se chiederò tre chiarimenti che potranno risultare, forse, persino inappropriati, ma i numeri che avete illustrato sono talmente complicati, persino nella loro lettura, che queste tre domande mi vengono spontanee e ve le pongo.
Pur sapendo, naturalmente, che l'ISTAT registra i fenomeni, più che dare interpretazioni su come essi avvengano, vorrei dire, in prima battuta, che trovo significativo e piuttosto curioso che la crescita dei valori di importazione nel mercato dei cereali - che sappiamo essere sottoposto, nel suo andamento di prezzi, a fenomeni diversi, in parte di carattere speculativo e in parte dovuti ai mutamenti climatici e, quindi, alla stagionalità della produzione - sia inferiore rispetto all'aumento avvenuto in Italia per i nostri agricoltori, posto che i cereali dovrebbero rispondere all'aumento dei prezzi nella stessa misura.
Vorrei capire se vi siate dati una risposta o una spiegazione in merito, perché io non riesco a capire se la dinamica del prezzo sia la stessa per tutti, né quale sia la ragione per cui certi prodotti, in Italia, costano di più.
Vorrei poi fare un'altra domanda sulla questione del prezzo del latte. In Italia, i prezzi di latte, formaggi e uova - ma limitiamoci pure a latte e formaggi - sono aumentati in modo sensibilmente più basso rispetto agli altri Paesi europei. Anche qui non riesco a darmi una spiegazione, perché noi siamo importatori di latte dal resto dei Paesi europei - l'Italia produce, cioè, meno latte di quanto ne consuma - e, quindi, nella dinamica dei prezzi, dovremmo risentire dei prezzi europei, mentre in realtà riusciamo ad ottenere i prezzi più bassi.
Infine, vorrei sapere se vi siate interrogati sulle ragioni per cui le dinamiche dei prezzi e il loro aumento sono diversi in ragione della collocazione geografica nel Paese e se questo abbia, in un qualche modo, a che vedere con i trasporti, la logistica e con tutta l'operazione di intermediazione tra il produttore e il consumatore.

LUIGI BIGGERI, Presidente dell'ISTAT. Risponderò subito e dirò alcune cose, ma penso che il dottor Monducci potrà poi aggiungerne altre.
In primo luogo vorrei dire che noi abbiamo un buon sistema di rilevazione dei prezzi, nel quale siamo tra i migliori Paesi in Europa, ma purtroppo - dico purtroppo perché faccio spesso al Parlamento una richiesta in merito, tutte le volte in cui presento il rapporto annuale e in cui presenziamo alle audizioni; mi perdonerete, ma la faccio anche a voi - non abbiamo un sistema collegato di indici dei prezzi.
Avere un sistema di indici dei prezzi vuol dire che si possono seguire i prezzi dei singoli prodotti lungo le filiere, dall'inizio alla fine. Noi facciamo, invece, delle rilevazioni per aggregati di prodotti che, a volte, sono anche leggermente diversi, a seconda che si faccia riferimento ai valori medi unitari all'importazione oppure ai prezzi dei prodotti agricoli o ad altro, appunto perché non abbiamo il sistema di cui ho parlato, che richiederebbe soprattutto personale e non tanto ulteriori fondi.
In realtà, non ci viene data nemmeno l'autorizzazione ad assumere personale e, anzi, ora andranno via 120 persone perché, come voi sapete, il decreto-legge n. 112 del 2008 consente di riassumerne soltanto il 10 per cento, quindi noi potremo riassumere 12 persone rispetto alle 120 che sono andate via l'anno passato.
È così un po' per tutti, ma noi non facciamo ricerca per la ricerca: noi dobbiamo produrre dati che il Parlamento e voi tutti volete.
La seconda cosa che vorrei dire - poi lascio la parola a Monducci - è che, per quanto riguarda l'analisi delle differenze territoriali, l'elemento da lei citato ha certamente una sua influenza, perché nel


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nostro Paese i costi del trasporto sono notevoli, sia per come è configurata l'Italia, sia per le difficoltà esistenti, sia perché il trasporto è su gomma e così via.
Analizzando la distribuzione degli aumenti dei prezzi nei singoli capoluoghi di provincia, si riscontrano, però, comportamenti non sempre facilmente giustificabili, soprattutto pensando alla correlazione tra prezzi e quantità consumate. Ciò significa che ci sono alcune rigidità e che c'è qualche problema nei canali distributivi, i quali hanno caratteristiche differenti al nord rispetto al sud, come forse qualcuno ha già rammentato, ma come si può in parte ancora vedere.
Anche se non si può individuarne il motivo, si può notare un differente comportamento nelle diverse aree. Probabilmente in alcuni casi c'è rigidità, tant'è che la correlazione tra aumento dei prezzi e diminuzione delle quantità acquistate è bassissima, mentre in altri casi, come a Torino, la correlazione c'è ed è immediata.
Sono, dunque, in gioco il comportamento e l'organizzazione sia del canale distributivo, sia dei consumatori. In certe zone d'Italia, i consumatori sono più «conservatori»: anche se aumenta il prezzo, continuano ad andare a comprare nello stesso negozio, con cui c'è un rapporto quasi familiare. Questa è la mia impressione, sulla base dei dati, anche se non ho evidenze chiarissime.
Cedo ora la parola al direttore Monducci per rispondere alle altre due domande.

ROBERTO MONDUCCI, Direttore centrale delle statistiche sui prezzi e commercio con l'estero dell'ISTAT. Il tasso di cambio è ovviamente un elemento da tener presente, per quanto riguarda l'andamento dei livelli medi unitari delle importazioni e dei prezzi alla produzione interna.
Se noi abbiamo in testa gli andamenti sui mercati internazionali dei prezzi in dollari dei cereali, è evidente che, nel momento in cui andiamo ad importare questi prodotti, dobbiamo tener conto del fatto che, ad esempio, a luglio, rispetto alla media del 2007, l'euro si era rivalutato sul dollaro del 15 per cento e che, probabilmente, si è rivalutato ancora di più rispetto al periodo di riferimento, ossia al primo trimestre 2007. Questo elemento incide sicuramente.
Si potrebbero fare dei calcoli più approfonditi, per trasformare l'andamento delle quotazioni in dollari in andamento delle quotazioni in euro, ma questo è un discorso molto tecnico. Probabilmente alcuni documenti della Banca centrale europea contengono già questo tipo di dati.
In presenza di una rivalutazione nell'ordine del 15-20 per cento, non ci sembra che, tenendo conto di questo andamento, i dati possano divergere più di tanto. Rimane probabilmente un gap del 10 per cento, che comunque potrebbe essere apprezzabile, ma tener conto di questo andamento del tasso di cambio potrebbe ridimensionare il fenomeno.

PRESIDENTE. Quindi il fenomeno euro-dollaro può avere nascosto un ulteriore incremento dei prezzi?

ROBERTO MONDUCCI, Direttore centrale delle statistiche sui prezzi e commercio con l'estero dell'ISTAT. Abbiamo beneficiato del fatto che, in questo periodo, l'euro si è rivalutato e che, quindi, a un aumento forte dei prezzi in dollari, ha fatto chiaramente riscontro un aumento meno forte dei prezzi in euro.
Questo, però, spiega il fenomeno probabilmente solo in parte - io ho parlato di un 15 per cento, ma mi sembra che il differenziale sia più ampio - perché, anche tenendo conto della rivalutazione dell'euro rispetto ai prezzi all'importazione, rimane, comunque, seppur abbastanza ridimensionato, un segnale di maggiore aumento dei prezzi dei cereali prodotti all'interno.
Un altro aspetto che forse merita di essere approfondito è quello dell'andamento dei prezzi di latte, formaggi e uova. Ho con me dei dati EUROSTAT che fanno riferimento ai singoli Paesi. Il dato medio europeo evidenzia un aumento molto forte del prezzo al consumo di latte, formaggi e uova. Si tratta di un dato molto importante,


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fortemente condizionato dall'andamento dei prezzi in Germania, dove si sono avuti incrementi superiori al 20 per cento. La Germania pesa molto nell'indice armonizzato europeo. Questo vale però anche, per esempio, per la Spagna; vale, quindi, per due Paesi - Germania e Spagna - con abitudini di consumo diverse e che hanno vissuto differenti dinamiche (in un caso, aumenti di oltre il 20 per cento e, nell'altro, di oltre il 15 per cento).
Per la Spagna prevale un discorso di inflazione generale, perché lì i prezzi camminano più velocemente che nella media europea, mentre per la Germania prevale un aspetto settoriale molto specifico perché lì, chiaramente, l'andamento del prezzo di latte, formaggi e uova è disallineatissimo rispetto alla media dell'andamento generale dei prezzi tedeschi.
Abbiamo quindi due spiegazioni forse un po' diverse.

PRESIDENTE. Approfittando della cortesia del presidente, mi permetterei di riservarci che, laddove avessimo necessità di ulteriori approfondimenti, anche su questioni specifiche, alla luce dell'analisi dei documenti che ci sono stati quest'oggi forniti, il presidente possa essere ben disponibile ad accogliere qualche nostra ulteriore sollecitazione o approfondimento.

LUIGI BIGGERI, Presidente dell'ISTAT. Sicuramente, se avrete bisogno di particolari analisi o chiarimenti, il presidente me lo potrà comunicare e noi vi forniremo il prima possibile i chiarimenti richiesti, oppure ulteriori documenti. Non credo che, per il momento, ci sia bisogno di fare altre audizioni, però posso dichiarare la disponibilità dell'Istituto a fornire ulteriori approfondimenti, nei limiti, ripeto, delle nostre possibilità.
Essendo questa la prima volta che la Commissione svolge un'audizione con l'ISTAT, noi stessi non sapevamo bene quali fossero le vostre esigenze. Abbiamo letto il documento che il presidente ci ha mandato e, per questo, abbiamo pensato che la cosa migliore fosse illustrare la dinamica dei prezzi nei vari comparti. Se, invece, volete degli approfondimenti per i cereali o per altre cose, in parte li abbiamo fatti, ma li possiamo continuare.

PRESIDENTE. Bene, se non ci sono altre sollecitazioni, ringrazierei il presidente, non solo per la squisita cortesia di essere qui, ma anche per la relazione e i documenti che ci ha fornito, che saranno sicuramente utili alle valutazioni che questa Commissione saprà e vorrà fare nelle prossime occasioni.
Informo i colleghi che la documentazione consegnata sarà allegata al resoconto stenografico della seduta odierna (vedi allegato 1).
Dichiaro conclusa l'audizione e sospendo la seduta per dieci minuti.

La seduta, sospesa alle 13,20, è ripresa alle 13,30.

Audizione di rappresentanti dell'Istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare (ISMEA).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione di rappresentanti dell'Istituto di servizi per il mercato agricolo-alimentare (ISMEA), nell'ambito dell'indagine conoscitiva sull'andamento dei prezzi nel settore agroalimentare che la Commissione, nella seduta del 18 giugno scorso, ha deliberato di svolgere. Sono presenti il dottor Arturo Semerari, presidente, e il dottor Ezio Castiglione, direttore generale.
Darei la parola al presidente e in seguito, eventualmente, al direttore generale. In esito ai loro interventi i colleghi potranno porre quesiti o chiedere chiarimenti.

ARTURO SEMERARI, Presidente dell'ISMEA. Grazie presidente e signori onorevoli.
Abbiamo prodotto un'analisi dal titolo «Tendenze recenti dei mercati agricoli ed alimentari» - il cui allegato credo sia già stato distribuito - per fornire alla Commissione


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gli elementi in possesso dell'ente che mi auguro utili per il prosieguo dell'indagine.
Io esporrò una sintesi di questo studio, contenuta in alcune slide che adesso vi illustrerò e che credo vi siano già state consegnate.
Le tendenze degli ultimi periodi che hanno portato, nel giro di circa un anno, un anno e mezzo, a un notevole incremento dei prezzi dei prodotti agricoli presentano elementi di carattere strutturale e congiunturale.
Tra quelli di carattere strutturale, sul fronte dell'offerta c'è sicuramente una riduzione della profittabilità delle produzioni, il che vuol dire che in questi anni c'è stata una riduzione delle superfici investite - parlo soprattutto dell'Europa, anche in seguito all'applicazione del disaccoppiamento previsto dall'ultima PAC - e delle rese medie, in quanto alcuni processi di estensivizzazione hanno chiaramente portato a una riduzione delle produzioni medie per ettaro e alla conseguente riduzione degli stock.
Come sapete, mentre con la MacSharry il problema enorme dell'Unione europea era l'eccesso degli stock, adesso siamo invece in una fase diametralmente opposta, in cui gli stock, con l'applicazione del disaccoppiamento, si sono fortemente ridotti.
Contemporaneamente a questa riduzione dell'offerta, soprattutto in alcune aree del mondo (tra cui l'Europa), c'è stata una notevole crescita della domanda, dovuta soprattutto - in alcuni Paesi in via di sviluppo o che erano in via di sviluppo ed oggi sono fortemente competitivi, come la Cina e l'India - all'incremento del PIL, che ha ovviamente portato a un incremento dei consumi ed anche a una modifica dei modelli di consumo. È, quindi, in atto, una rapida evoluzione dei consumi.
Va considerato, in parte, anche lo sviluppo della domanda no food, seppure sia ancora molto bassa e, in Europa, bassissima, ma anche nel resto del mondo non ancora particolarmente significativa.
A questi fattori strutturali, che definisco tali perché alcuni di essi rimarranno nel medio-lungo periodo - perciò non è pensabile, come vedremo più avanti, una riduzione dei prezzi o un ritorno ai prezzi precedenti a queste ultime «fiammate», sebbene ci sarà un certo riequilibrio - si sono sommati in questo periodo anche dei fattori congiunturali.
Sul lato dell'offerta, tali fattori sono gli andamenti climatici sfavorevoli, soprattutto in alcune aree del mondo, come la grande siccità in Australia, in Ucraina e in altri Paesi; alcune politiche disincentivanti, nell'ambito del WTO, per i Paesi esportatori, che hanno ridotto la loro volontà di produrre; la svalutazione del dollaro, la moneta su cui si muovono i mercati; e un innesto di attività speculative sulle materie prime, dovuto alla crisi delle borse e dei mercati finanziari classici.
Viviamo la speculazione sul petrolio come un elemento di consuetudine, di cronaca, ma oggi le speculazioni finanziarie si sono spostate in maniera importante anche sul fronte delle materie prime agricole.
Ovviamente, il crescere del prezzo del petrolio ha determinato, anche nel settore agricolo, un aumento dei prezzi dei mezzi tecnici e, quindi, dei costi che gli agricoltori devono sostenere, sia per quanto riguarda la produzione diretta di energia, sia per i prodotti che dal petrolio derivano, come i concimi.
Nella seconda slide, alla prima riga, si vede la crescita dei prezzi agricoli internazionali: alcuni prodotti, nel 2006 rispetto al 1997, hanno effettivamente subito degli incrementi massicci, che si sono confermati anche nel 2007 rispetto al 2006 (il che significa che nel giro di un anno ci sono stati forti incrementi).
Abbiamo voluto inserire, nell'ultima riga, il dato del 2017 rispetto al 2007, per vedere quale fosse la prospettiva nel medio periodo: come si vede, pur riducendosi alcuni prezzi, non si tornerà alla situazione quo ante questi importanti incrementi.
La crescita del prezzo del petrolio e la svalutazione del dollaro, ovviamente, influenzano fortemente anche i prezzi agricoli e, soprattutto, i costi dei mezzi tecnici.


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Il grafico mostra la crescita dei prezzi agricoli nell'Unione europea a 27, mentre il successivo evidenzia tale dato in Italia. Vi è indicata la cosiddetta «ragione di scambio» dell'agricoltura, cioè il rapporto tra l'indice dei prezzi di produzione e l'indice dei prezzi dei mezzi correnti, ossia dei costi.
Come si vede, a partire dal 2003 la ragione di scambio non è mutata fortemente. Ciò significa che, oltre all'incremento - che si vede anche dal grafico - dei prezzi delle produzioni agricole, c'è stato anche un incremento dell'indice dei costi e, quindi, che non si è registrato un beneficio per gli agricoltori (parlo in generale, ovviamente). Gli agricoltori non hanno, quindi, beneficiato di questi incrementi di prezzo, se non in alcuni settori che vedremo più avanti.
Questo è successo in Europa e, pur se con una curva un po' diversa, anche in Italia, che si è ripresa un po' di più rispetto agli ultimi anni, durante i quali soprattutto alcuni settori erano andati in forte crisi. C'è una certa ripresa ma, per quanto riguarda la ragione di scambio, sostanzialmente non si è registrato un vantaggio per il settore agricolo.
Anche i margini di filiera - che considerano l'intera filiera, fino al consumatore - sono in discesa. Normalmente, quando la ragione di scambio e, quindi, il vantaggio competitivo degli agricoltori sono alti, allora i margini di filiera si accorciano. In questo caso, infatti, s'è visto che la crescita sostenuta dei prezzi ha ridotto il margine di filiera, anche perché la filiera si adatta con un certo ritardo all'incremento dei prezzi.
Quali sono state le tendenze recenti dei principali settori? Ovviamente, non abbiamo affrontato tutti i settori, ma solo quelli più importanti.
Partiamo dal settore dei cereali, che ha sicuramente registrato incrementi di prezzo più alti. Dalla tabella si vede chiaramente come per il frumento duro, tra il giugno del 2007 e il giugno di quest'anno, ci siano stati dei fortissimi incrementi di prezzo, che effettivamente hanno portato vantaggio agli agricoltori. In questo settore gli agricoltori hanno, quindi, tratto vantaggio - lo stanno facendo anche con il raccolto di quest'anno - dagli incrementi di prezzo. Lo stesso è avvenuto, anche se in quota minore, sul frumento tenero.
Se noi guardiamo i due grafici successivi, vediamo, però, che l'impennata dei prezzi avvenuta sostanzialmente nell'ultimo anno, altro non è che il recupero parziale dei prezzi di oltre vent'anni fa.
Pensando alle voci, a volte scandalistiche, che hanno attribuito alla parte agricola - come se fosse colpa degli agricoltori, ma non è così - questo incremento dei prezzi, se si analizzano i dati, sia con i prezzi correnti, sia, soprattutto, con la sede rivalutata, si vede che gli attuali prezzi più alti, sono in realtà più bassi di quanto fossero vent'anni fa.
Questo dà la misura - sul frumento tenero, ma sul frumento duro in modo particolare - della sofferenza che questi settori hanno patito negli anni recenti, con il crollo dei prezzi a livelli veramente di sottocosto.
Ovviamente il margine di filiera si è compresso. Negli istogrammi dell'incidenza delle materie prime, che credo sia un altro elemento utile al dibattito, noi chiamiamo «catena del valore» il modo in cui il valore che i consumatori pagano si distribuisce lungo la filiera.
Per quanto riguarda il frumento duro, su 100 euro di pasta pagata nel 2003, la parte che andava alla produzione primaria, ossia all'agricoltura, era pari a 29.
Gli incrementi di prezzi che ci sono stati in quest'ultimo periodo hanno portato il settore agricolo al 45 per cento, quindi c'è stata una leggera compressione dei settori a valle.
Questo è assolutamente in controtendenza, come vedremo dopo, rispetto a tutti gli altri settori agricoli, dove si assiste invece a un graduale, ma inesorabile, incremento del peso dei settori a valle della produzione agricola e, in particolare, a un incremento delle attività di commercializzazione, soprattutto da parte della grande distribuzione. Anche per il frumento tenero c'è stato un recupero di peso del settore agricolo.


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Passando ai prodotti lattiero-caseari, cominciano invece le note dolenti per i produttori agricoli, per i quali i prezzi più alti delle produzioni cerealicole costituiscono maggiori costi di produzione. Questo ha determinato una forte riduzione della ragione di scambio e, quindi, della competitività del settore, come si può notare sia per quanto riguarda le produzioni lattiero-casearie, sia per la produzione della carne (più avanti nel grafico).
Si tratta di due settori dove la capacità di competere delle imprese e i margini di profitto si sono fortemente ridotti a causa dell'incremento del costo delle materie prime.
Vado avanti velocemente per lasciare spazio a domande, interventi e richieste.
La frutta fresca - come anche gli ortaggi - segue delle logiche un po' diverse, sue particolari: si viene da un periodo molto difficile, ma si assiste adesso ad una certa ripresa del trend e l'indice dei prezzi di produzione è abbastanza migliorato.
Segnalo, però, che, sia per la frutta fresca, sia per gli ortaggi (di cui parlerò tra poco), dobbiamo sempre registrare delle variazioni, anche in periodi ristretti. I prezzi dell'offerta hanno degli andamenti molto altalenanti, essendo fortemente sensibili alle variazioni della domanda e alle condizioni climatiche, che variano le quantità che l'offerta può mettere sul mercato: si può passare con estrema facilità da momenti di prezzi alti a momenti di crollo dei prezzi.
Per quanto riguarda gli ortaggi la situazione è simile a quella della frutta, anche se in questo settore si registrano ancora maggiori difficoltà.
Volevo segnalare questo, che vale sia per la frutta fresca, sia per ortaggi e patate: la variabilità dei prezzi, in agricoltura, dipende molto dal rapporto tra domanda e offerta, ma quest'ultimo è un fattore meno rilevante, quando si parla di commercializzazione.
ISMEA gestisce ormai da anni l'osservatorio dell'ortofrutta e si può dire quanto segue. Davanti ad incrementi dei prezzi dei prodotti agricoli che si possono verificare per cause climatiche (come, ad esempio, importanti gelate) c'è un allineamento abbastanza rapido ai maggiori prezzi, da parte del mercato e, quindi, soprattutto della gran distribuzione, ma anche dell'ingrosso e al dettaglio. Quando, invece, il prezzo di questi prodotti crolla o diminuisce, c'è una riduzione più lenta nella fase commerciale. Questi elementi si registrano con frequenza.
Avevamo visto prima la catena del valore per i cereali. Per frutta e ortaggi si nota come la parte primaria, cioè la parte agricola, veda continuamente ridursi il proprio peso.
Come vedete nel grafico, nel 2003, per la frutta fresca - e ovviamente parliamo di frutta fresca, quando non c'è una fase di trasformazione - il peso dell'agricoltura nella determinazione del prezzo è stato pari solo al 40 per cento. Ciò significa che, mentre nel 2003, dei cento euro pagati dal consumatore, quaranta andavano all'agricoltore, oggi gliene vanno trentasette.
C'è, dunque, questa costante riduzione del peso del settore agricolo, che è ancora più evidente e accentuato per quanto riguarda gli ortaggi, dove si è passati dal 38 al 32 per cento. Ovviamente si incrementa sempre più la forza delle fasi a valle, cioè la fase dell'ingrosso e quella del dettaglio.
Il vino, come vedete, ha una storia e una curva sue particolari. L'indice dei prezzi di produzione viene da un periodo di riduzioni - adesso è in atto una certa ripresa - mentre, come vedete, l'indice dei mezzi correnti, quindi dei costi, è rappresentato da una linea che sale costantemente. C'è stato, quindi, un periodo di difficoltà per il settore vinicolo in generale, che adesso vive invece una certa ripresa.
Anche per quanto riguarda l'olio c'è stata una ripresa dei listini, all'inizio della campagna attuale. Poi, come al solito, dalla Spagna sono arrivati i dati relativi alle produzioni spagnole, che condizionano fortemente il mercato italiano, e c'è stata una certa riduzione del prezzo dell'olio.
Farò ora un ultimo accenno al settore ittico, che ho voluto includere perché in questi giorni i problemi del rincaro del


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gasolio lo colpiscono fortemente. Come potete vedere, il prezzo del gasolio è rappresentato da questa curva in totale impennata, mentre il prezzo di alcune specie ittiche più diffuse come naselli, merluzzi e seppie è sostanzialmente stabile, seppur con una variabilità, tendenzialmente debole, condizionata dalla situazione dei mercati locali.
Anche su questo ho voluto mostrare la differenza tra quello che viene pagato ai pescatori e quello che pagano i consumatori: anche in questo caso c'è una curva molto distanziata tra quanto percepiscono i pescatori e quanto, invece, viene pagato dal consumatore.

PRESIDENTE. Può aiutarci a leggere meglio proprio quest'ultimo grafico? A cosa si riferiscono i valori 5,50 e 10,50?

ARTURO SEMERARI, Presidente dell'ISMEA. Quelli sono i valori dei naselli e dei merluzzi, indicati dalla curva superiore. Questo è, invece, il prezzo al consumo, cioè quello che paga il consumatore.

PRESIDENTE. È quindi il prezzo diretto, non una sua quota percentuale?

ARTURO SEMERARI, Presidente dell'ISMEA. No, questo è il prezzo diretto: mentre quelli di prima erano degli indici, questi sono prezzi reali. Qui vediamo qual è il prezzo che incassa il pescatore, sia per naselli e merluzzi, sia per alici e acciughe.
Se si analizza questa differenza - cioè il grosso differenziale di prezzo esistente tra quanto incassa il pescatore e quanto incassano i commercianti - anche nel grafico precedente, inerente l'incremento del prezzo del gasolio rispetto alla tenuta, seppur difficoltosa, dei prezzi dei prodotti ittici, si trova la dimostrazione della difficoltà del settore.

PRESIDENTE. Do ora la parola a Ezio Castiglione, direttore generale dell'ISMEA.

EZIO CASTIGLIONE, Direttore generale dell'ISMEA. Vorrei fare solo due precisazioni, anche se nell'allegato presente nella documentazione preparata per la seduta c'è una relazione che illustra i grafici, per poterli leggere.
Per quanto riguarda il grafico sui cereali e sull'incidenza delle materie prime, apparentemente, per il 2007, c'è stata una crescita della componente agricola, ma dobbiamo ricordare che l'incidenza delle importazioni sul prodotto trasformato dai cereali è molto alta. Questo punto del grafico evidenzia un'esposizione all'importazione dai mercati internazionali: mentre negli istogrammi relativi agli altri settori c'è una forte componente di produzione nazionale, qui c'è una forte componente di importazione.
Infine, per quanto riguarda le ragioni strutturali della crisi, non è stato riportato il dato relativo alla carenza di organizzazione del mercato agroalimentare perché, chiaramente, non è di natura economica ma istituzionale.
Questa è una delle componenti non tipicamente economiche i cui effetti - essendo l'istituzione-mercato così male organizzata in Italia, nella componente produzione e consumo - hanno un'influenza notevole, per quanto riguarda sia i redditi degli agricoltori, sia i prezzi ai consumatori.

ARTURO SEMERARI, Presidente dell'ISMEA. Presidente, vorrei intervenite per sintetizzare il messaggio finale, anche se tutti i nostri studi saranno poi a vostra disposizione.
Per quanto riguarda le grandi commodities agricole (cereali, semi oleosi e così via), la tendenza dei prossimi anni sarà a una lieve riduzione dei prezzi e a una loro stabilizzazione su andamenti maggiori rispetto a quelli di due o tre anni fa.
Questo comporterà alcuni vantaggi agli agricoltori dei settori che producono direttamente queste commodities, mentre porterà degli svantaggi a coloro che utilizzano queste commodities come mezzo tecnico, cioè come mezzo di produzione e, in particolare, al settore zootecnico, quindi alla produzione del latte e della carne.
Frutta fresca, ortaggi, vino e olio d'oliva, invece, hanno delle dinamiche proprie


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che esulano dalla situazione dei mercati internazionali, i quali colpiscono fortemente le commodities e i settori che le devono utilizzare come mezzo di produzione.
All'inizio abbiamo segnalato una serie di elementi nuovi, che elencherò di seguito.
Alcuni grossi Paesi produttori non sono più tali: l'Europa, ad esempio, è stata storicamente un grosso Paese produttore, ma oggi, intesa come un unico Paese, non lo è più. C'è, quindi, un problema di tenuta degli stock e c'è un problema, che segnalo, di potenziale pericolo di autoapprovvigionamento.
Cinquant'anni fa il trattato di Roma, su cui nasceva quella che era allora la Comunità europea, si incentrava sul principio di autoapprovvigionamento agricolo, inteso come capacità minima di autoapprovvigionarsi di prodotti agricoli, il che veniva chiamato sicurezza alimentare.
Oggi intendiamo tale sicurezza in un'altra maniera: in termini di bontà, di qualità e così via. Forse in questo caso bisognerebbe riprendere a parlare di sicurezza alimentare nei due sensi, quello qualitativo ma anche quello quantitativo.
Il secondo elemento nuovo è che, mentre fino a poco tempo fa la speculazione finanziaria snobbava le produzioni e le materie prime agricole, oggi essa è invece entrata pesantemente in questo settore. C'è, quindi, una speculazione finanziaria che, dagli ambiti finanziari classici su cui operava, si è spostata alle materie prime in generale - quindi, in primis, al petrolio - ma anche alle materie prime e alle commodities agricole.

PRESIDENTE. Do la parola ai colleghi che intendono intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

SUSANNA CENNI. Anzitutto vi ringrazio per questa audizione, che ho trovato molto interessante.
Ho poi un solo interrogativo riguardante i dati dell'olio e, soprattutto, del vino. Immagino che il dato a cui qui ci si riferisce comprenda tutto il quantitativo di vino prodotto in Italia, ma vorrei capire se c'è una differenziazione, osservando le dinamiche dei prezzi, tra il vino da tavola generico e quello a denominazione. E per l'olio?

ARTURO SEMERARI, Presidente dell'ISMEA. Certamente nel settore del vino c'è un po' di tutto.
Abbiamo delle situazioni - come nella sua Toscana, ma ovviamente non solo lì - dove ci sono delle eccellenze e dove i prezzi sono molto alti e riescono a tenere i mercati, anche quelli stranieri (come quello americano dove, tra l'altro, siamo cresciuti, nonostante una situazione di svantaggio dovuta al cambio). In quei casi la forte rivalutazione dell'euro non ha compromesso la capacità esportativa italiana nel settore del vino. La produzione pregiata e di qualità, tra l'altro, è ormai molto diffusa: non stiamo più parlando di pochi marchi o di poche DOC, bensì di una produzione diffusa un po' in tutta Italia.
Accanto alla produzione pregiata ci sono, però, anche produzioni più di massa, più indifferenziate, che ovviamente soffrono in maniera molto forte la concorrenza e, prima di tutto, la riduzione dei consumi, perché oggi i consumatori consumano meno vino ma vogliono bere meglio.
Ovviamente c'è, poi, anche la concorrenza di Paesi europei (come la Spagna), molto aggressiva su alcuni mercati, tra cui quello tedesco, e altri Paesi che, come Australia, Cile e Sudafrica, hanno prezzi un po' più bassi e una buona qualità.
Quello è, quindi, un dato medio di tutto il settore.
Lo stesso discorso vale per l'olio, con la differenza che, sebbene tutte le analisi gli diano grandi potenziali di sviluppo, questo prodotto non riesce però mai a manifestarli e renderli concreti. L'effetto sostitutivo che, giustamente, molti auspicano - per esempio nei Paesi del nord Europa - tra grassi vegetali e grassi animali (che, tra l'altro, risponderebbe a motivi di salute e, quindi, farebbe anche bene), non riesce a sfondare.


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Facendo un paragone tra prodotti mediterranei simili, la differenza sostanziale è che, mentre il vino è una bevanda a sé, l'olio è un condimento, che si accompagna ad altri prodotti, ed è ovviamente difficile che venga acquistato, se prima non sfondano la pasta o certe tradizioni alimentari italiane, o soprattutto italiane.
Questi sono i fattori limitanti che, per adesso, non riescono a far decollare il mercato internazionale dell'olio.

GIUSEPPE FRANCESCO MARIA MARINELLO. Vorrei porre delle domande, alcune delle quali hanno, ovviamente, attinenza con la mission dell'istituto da lei presieduto, mentre altre hanno un'attinenza solo relativa.
Formulerò di seguito le mie domande, sviluppando una serie di argomentazioni.
Posto l'aumento delle commodities alimentari; posto l'assunto - benché sia divenuto quasi una vulgata comune - che, in questo momento, le commodities siano legate in maniera quasi diretta al costo del petrolio o, comunque, degli idrocarburi; posta l'altra notizia che lei ci ha dato - ma di cui già avevamo contezza - che in questo momento si ha un aumento in gran parte apparente perché, di fatto, riesce solo parzialmente a riallineare il costo vero di queste materie prime rispetto a quello che era il loro valore venti o trent'anni fa; posto che, se dovessimo fare un calcolo reale del margine d'utile d'impresa, vedremmo che il discorso è assolutamente inverso; allora, non si riesce a capire il motivo reale dell'aumento di prezzo di una serie di materie prime e di commodities alimentari, che non hanno niente a che vedere con le dinamiche dell'aumento dei prezzi degli idrocarburi e, in particolare, del petrolio. A mio avviso, quindi, questa questione andrebbe rivalutata e riverificata.
In subordine alla domanda che le ho appena fatto, emerge un'altra argomentazione che, ancora una volta, non è di diretta pertinenza del suo istituto ma che, evidentemente, dal punto di vista speculativo, pone una serie di questioni. Mi riferisco a quale potrebbe essere l'impatto, in positivo e in negativo, dell'introduzione, anche nel nostro Paese o, comunque, nel sistema Europa, almeno per le coltivazioni di maggiore impatto sociale, degli organismi geneticamente modificati e, quindi, evidentemente, a quale potrebbe essere l'impatto di una produzione di maggiori quantitativi di queste materie prime.
Un'altra domanda è se abbiate registrato, nel corso degli ultimi anni o dell'ultimo biennio, un aumento del valore dell'etanolo e, comunque, degli alcool di derivazione agricola. Vorrei capire quale possa essere, nell'arco del tempo, la tendenza del mercato di questo prodotto trasformato. Non le sfuggirà, infatti, che un'argomentazione di questo genere, anche dal punto di vista prospettico, ci obbliga, oltre certi limiti, ad un ripensamento delle linee di tendenza della politica nazionale e comunitaria degli ultimi cinque anni e anche, tra l'altro, alla luce dell'ultima OCM vitivinicola approvata.
Per quanto riguarda il settore della pesca, debbo farle invece una domanda a partire dai dati che lei ci ha fornito oggi, che peraltro conoscevo ampiamente.
Una delle questioni che riceve le spinte del nostro Governo - non soltanto da ora e, tra l'altro, assolutamente di riflesso e di rimbalzo rispetto alle linee di tendenza della politica comunitaria - è quella di una riduzione continua dello sforzo di pesca, almeno nel mare Mediterraneo, intesa come riduzione del numero degli armamenti e del tonnellaggio.
Vorrei capire se questa linea di tendenza continuerà; se si riterrà che questa sia l'unica strada percorribile per migliorare le condizioni del comparto; se abbiate notato, statisticamente, dal punto di vista economico, una rispondenza in positivo tra una riduzione dello sforzo di pesca o, comunque, degli armamenti presenti nel mare Mediterraneo, nell'arco degli ultimi dieci anni e un miglioramento delle condizioni economiche o di rendita quantitativa e qualitativa del prodotto pescato; e, dal punto di vista prospettico, se siate in grado di valutare, per quanto possibile, che cosa può accadere nel prosieguo.


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ARTURO SEMERARI, Presidente dell'ISMEA. Grazie, onorevole. Per quanto riguarda l'aumento dei prezzi delle commodities agricole, ne ho parlato all'inizio del mio intervento e c'è il primo grafico. Il motivo principale e strutturale dell'aumento dei prezzi agricoli delle commodities agricole è il forte incremento delle economie di alcuni Paesi emergenti o emersi - la Cina, l'India e così via - che hanno aumenti dei consumi in linea con l'aumento del PIL. Siccome hanno aumenti del PIL a due cifre, hanno anche aumenti notevoli dei consumi alimentari, sia dal punto di vista quantitativo, sia dal punto di vista qualitativo, inteso come cambiamento del modus di consumare.
Questo è, quindi, l'elemento strutturale principale che fa prevedere una tenuta dei prezzi delle commodities a livello mondiale.
I picchi sono poi dovuti anche, come ho detto prima, a fattori congiunturali, come, ad esempio, le forti crisi climatiche. In alcune aree del Paese vi sono stati cambiamenti climatici che hanno fortemente ridotto le produzioni dei grandi produttori, soprattutto di cereali.
Parlavo prima delle speculazioni finanziarie, anche sulle materie prime agricole: questo elemento contribuisce all'incremento dei prezzi, ma il motivo principale è legato alla domanda stabile, anzi in crescita, dei prodotti e delle commodities agricole.
Per quanto riguarda la sua domanda sull'introduzione degli OGM, ovviamente l'istituto non se ne occupa, quindi posso esprimere solo un parere personale.
Ritengo che, come tutte le innovazioni, possa essere interessante, anche se, ovviamente, per conoscere meglio questi problemi bisognerebbe investire un po' di più sulla ricerca. Più che su aumenti di capacità di produzione, mi sembra, però, che gli OGM - per quello che ho potuto leggere a livello personale - essendo stati migliorati per poter essere prodotti in determinate aree, possano intervenire solo sulla stabilizzazione delle produzioni di quelle aree.
Per quanto riguarda la terza domanda, inerente all'aumento del valore degli alcool derivati e così via, come ho già detto all'inizio del mio intervento, per adesso, le produzioni cosiddette «no food» hanno un'incidenza marginale sull'incremento dei prezzi delle commodities agricole, soprattutto in Europa, dove stiamo parlando di estensioni molto limitate.
Anche a livello mondiale, pur essendoci stati degli interventi importanti in alcuni Paesi come gli Stati Uniti, il Brasile e così via, questo elemento non è il principale, per adesso, tra quelli che condizionano il prezzo dei prodotti.
In Europa non esiste un vero e proprio mercato per queste produzioni, che sono soprattutto di importazione, perché la capacità di competere con produzioni come quella dell'olio di palma o di altri prodotti non certo italiani è ancora estremamente bassa.
La domanda sulla pesca e sulla politica comunitaria di riduzione costante dello sforzo di pesca, ha portato a una certa stabilità degli stock ittici. L'influenza sul prezzo è stata marginale, nel senso che i prezzi vengono fatti soprattutto dai prodotti di importazione, da cui il mercato è molto condizionato (tranne i mercati locali, che nel settore ittico sono molto importanti).
Nel Mediterraneo però, una politica comunitaria della pesca non risolve tanti problemi, perché sul Mediterraneo si affacciano tanti Paesi che non appartengono all'Unione europea e che adottano le politiche che ritengono opportune.
Tra l'altro nel Mediterraneo non pescano solo i Paesi mediterranei, ma anche altri Paesi (come giapponesi e coreani, che utilizzano le loro flotte oceaniche anche nel Mediterraneo), che intervengono sullo stesso bacino.
Esiste un'organizzazione, denominata Commissione generale per la pesca nel Mediterraneo (CGPM) - che, tra l'altro, ha sede a Roma - che dovrebbe coordinare queste azioni e da cui dovrebbe passare una gestione comune del Mediterraneo, al di là dei confini dei Paesi dell'Unione europea.


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Spesso le politiche comunitarie vincolano molto le produzioni ittiche dei Paesi che fanno parte dell'Unione europea ma, non potendo vincolare quelle degli altri Paesi, si devono ovviamente affrontare problemi di non poco conto.

EZIO CASTIGLIONE, Direttore generale dell'ISMEA. È chiaro che, come istituto, facciamo la rilevazione degli andamenti di mercato, ma i prezzi - dato che, nel caso specifico, evidenziamo gli andamenti dei prezzi - sono indicatori di fenomeni strutturali molto profondi.
Oggi ci confrontiamo con una crisi energetica, ambientale ed alimentare che modifica completamente gli scenari. Non è un caso ciò che si diceva prima sui cereali, ossia, che siamo tornati al prezzo di vent'anni fa.
Questo significa che oggi, con il processo di globalizzazione avviato nei primi anni novanta e con la modifica dei modelli di consumo di aree importanti del mondo come Cina, India e Sudamerica, si sono imposti modelli di consumo che hanno modificato i normali flussi commerciali o di produzione di alcuni Paesi.
Le modifiche in corso sono strutturali, sono profonde. Sicuramente bisognerebbe ragionare su questo tema e approfondirlo, come sta avvenendo, per esempio, per quanto riguarda i mercati finanziari.
Il G8 si occupa proprio di come stabilizzare i flussi finanziari o mettere al riparo i risparmi dei cittadini dalle speculazioni. Oggi si stanno avendo speculazioni tipiche, cioè acquisizioni di stock a livello mondiale, i cui tempi di immissione sul mercato spostano i prezzi delle materie prime. Nel caso specifico del settore agroalimentare, si dovrebbe ragionare su come sterilizzare alcune speculazioni, ma rispetto a questo noi siamo anni indietro.
Se noi ritorniamo a vent'anni fa, a quando i prezzi dei prodotti agricoli erano aperti al mercato, - più aperti di oggi, perché oggi stiamo subendo queste cose - scopriamo che nel nostro Paese esistevano dei sistemi di stabilizzazione contro le speculazioni che oggi non ci sono più.
C'era un sistema, su cui si sono poi abbattute parecchie scuri, strutturato sugli ammassi, sulla stabilizzazione, sul ritiro sul mercato e sui servizi all'agricoltura che, da una parte, mettevano comunque al riparo l'agricoltore dalle fluttuazioni congiunturali di mercato e, dall'altra parte, venivano acquistati dall'agricoltore attraverso processi di acquisizione del mercato che non esponevano il singolo agricoltore rispetto al mercato. Questo Paese, sostanzialmente, ha conosciuto ante litteram l'esperienza dei gruppi chiusi d'acquisto.
Oggi bisognerebbe forse capire, di fronte a un mercato mondiale cambiato, quale strumentazione occorrerebbe per sterilizzare alcune speculazioni e, dall'altra parte, per garantire delle politiche di riduzione dei costi che, chiaramente, non possono più essere quelle vissute negli anni ottanta e novanta, a carico della finanza pubblica. Questo, ovviamente, non è più possibile, e bisogna capire come strutturare in maniera sussidiaria un sistema di servizi che possa confluire su questo.
Solo per darvi un dato: i produttori italiani di cereali, in particolare quelli della Pianura padana (Lombardia, Veneto e così via), oggi, per fare i contratti a medio termine, si riferiscono alla Borsa francese. In Italia non abbiamo una Borsa dove poter acquistare il prodotto e controassicurarsi sulla sua vendita: questo non è possibile.
Sono fenomeni che negli altri Paesi esistono, mentre in Italia non ci siamo dotati, da questo punto di vista: non è possibile fare un future per quanto riguarda i prodotti ortofrutticoli, né fare un warrant per i prodotti cerealicoli. I nostri produttori devono farlo sul mercato francese, quindi con costi di tipo diverso.

NICODEMO NAZZARENO OLIVERIO. Anzitutto vi rivolgo un ringraziamento per le ottime relazioni che avete svolto ed anche per il servizio che fate per la nostra comunità e per il settore. Del resto, le vostre sono conoscenze antiche, che abbiamo avuto modo di apprezzare in altri campi.


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Quando abbiamo proposto di effettuare questa indagine conoscitiva sui prezzi, avevamo sicuramente l'obiettivo di capire meglio come mai l'agricoltura risenta oggi di questa crisi, ma avevamo anche l'obiettivo di verificare come mai il potere d'acquisto delle famiglie sia così diminuito.
È vero che c'è un problema di politica dei salari, ma è anche vero che la differenza tra i prezzi al consumo e i prezzi alla produzione è particolarmente alta. Su questo noi dobbiamo puntare la nostra attenzione, perché abbiamo capito - lo abbiamo visto anche a livello statistico - che in effetti la famiglia agricola italiana è una famiglia povera, non certo una famiglia ricca.
Quando il 10 per cento di loro guadagna meno di 7.500 euro all'anno e un altro 26 per cento guadagna tra i 7.500 e i 15.000 euro, capiamo che oltre un terzo di coloro i quali si dedicano a questa attività sono poveri.
Non possiamo, però, nemmeno dire che è soltanto il prezzo della produzione ad incidere moltissimo sulle materie prime, perché, sebbene la crisi dei prodotti come il gasolio e gli altri prodotti energetici esista, questo secondo me non giustifica il tutto.
Poco fa il dottor Castiglione ha fatto capire che c'è anche un problema di speculazione ed ha spiegato a chiare lettere che bisognerebbe forse intervenire anche sul problema delle riserve, degli stoccaggi e degli ammassi.
C'è, però, anche un problema di distribuzione: forse c'è un monopolio della distribuzione che stringe moltissimo il collo ai produttori, ma anche alle famiglie.
Vorrei allora chiedervi di aiutarci un po' a capire come intervenire sulla distribuzione, perché se, da una parte, non stanno bene coloro i quali producono e, dall'altra parte, non stanno bene quelli che consumano, ci deve essere anche qualcuno che sta bene. Vorrei capire chi sta bene e come evitare che molti stiano male e pochissimi bene.

ARTURO SEMERARI, Presidente dell'ISMEA. Posso dire tranquillamente chi sta male: il consumatore e l'agricoltore, come tutti i dati evidenziano. Mi ricollego a quanto ha giustamente detto prima...

PRESIDENTE. Noi audiremo anche la grande distribuzione organizzata.

ARTURO SEMERARI, Presidente dell'ISMEA. Non abbiamo problemi, da questo punto di vista. Se volete fare una cosa congiunta, su di un ring, lo possiamo fare, anche se, in quel caso, io manderei il direttore, che è un po' più grande di me. Scherzi a parte, il modello italiano di trent'anni fa, per fare un raffronto con oggi, era molto diverso, per esempio sulle commodities.
Allora esisteva la Federconsorzi, esistevano i consorzi agrari, esisteva il sistema degli ammassi, esistevano dei sistemi allora efficienti per coagulare l'offerta, mentre oggi l'offerta è dispersa, gli agricoltori sono tanti, sono deboli e non sono in grado di valorizzare la loro produzione.
Farò un esempio banale. Tra l'altro, io vengo da una famiglia di agricoltori. Con prezzi alti come in questo periodo, con un prezzo del grano duro che supera abbondantemente i 45 euro a tonnellata, in campagna offrono 30 o 29 euro. Stiamo parlando dell'offerta da parte dei commercianti. Non c'è solo un problema nella grande distribuzione: c'è anche un problema di tanti passaggi di mano e di speculazioni di vecchio tipo, che sono tornate. Il problema di fondo è, però, che oggi non ci sono strumenti che permettano una corretta valorizzazione dell'offerta da parte degli agricoltori. Gli agricoltori sono tanti, sono deboli e sono in mano alle fasi a valle della produzione. La stessa cosa vale per i consumatori, che sono tanti e vanno a comprare.
Il prezzo non lo fa né chi produce, né chi acquista: lo fanno gli attori che sono in mezzo alla filiera, ossia la parte commerciale, che tende a crescere sempre di più, anche a scapito della parte industriale, laddove c'è la trasformazione.
Quando parliamo del pane o della pasta, non sempre hanno torto coloro che si occupano della trasformazione perché,


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in effetti, il peso rilevante, il peso cresciuto è quello della parte più vicina al consumatore.
Bisogna, quindi, probabilmente, ripensare a modelli capaci di rafforzare la capacità degli agricoltori di avere un'offerta più forte rispetto a quella di oggi. Credo che questo sia sicuramente un problema.
Certo, alcuni prezzi, anzi molti prezzi (le commodities) sono ormai fatti a livello mondiale e seguono andamenti che vanno sicuramente al di fuori dei nostri confini.
Come diceva l'onorevole Marinello poco fa, stiamo recuperando i prezzi dei prodotti di vent'anni, ma sicuramente non abbiamo recuperato i costi di vent'anni fa, perché i costi crescono con un andamento costante e, qualche volta, repentino, come nel caso di alcuni costi energetici. Recuperiamo i prezzi di vent'anni fa, quindi, ma sicuramente non i costi.
Anche una fase come quella di quest'anno, relativamente buona per i produttori cerealicoli, per esempio, è stata sicuramente meno fruttuosa di quanto sarebbe stata vent'anni fa.
Questa è la situazione in cui ci stiamo effettivamente muovendo.

EZIO CASTIGLIONE, Direttore generale dell'ISMEA. Il presidente si è concentrato sulla parte inerente alla valorizzazione della produzione agricola, mentre io insisto su un altro concetto.
Il problema che noi oggi abbiamo è la non organizzazione del mercato nel settore agricolo: lo diciamo da diversi anni ed è stato confermato dall'indagine sui prodotti ortofrutticoli che l'anno scorso l'ISMEA ha svolto in collaborazione con l'Antitrust. Per anni noi ci siamo occupati dell'organizzazione dei produttori, ma il vero problema è fare il focus sul mercato nel settore agroalimentare.
Non si tratta di fare politiche dirigiste piuttosto che stataliste o altro, ma di considerare il fatto che in agricoltura è saltato qualunque riferimento a istituti giuridici che, nel mercato agroalimentare, di fatto oggi non esistono più.
Abbiamo, quindi, una frammentazione della parte agricola ed un'assoluta non trasparenza nella filiera - definiamola «opacità», per essere gentili - per cui dalla produzione arriviamo fino alle porte della grande distribuzione.
A comprimere il prodotto all'origine non è, quindi, solo il numero infinito di passaggi, che comporta un ricarico di costi, lungo tutta la filiera, ma anche il fatto che la filiera è molto opaca e vi avvengono chiaramente - non è più solo un problema localizzato al centro-sud - fenomeni di infiltrazione, che nella filiera ortofrutticola sono abbastanza evidenti.
Si tratta, allora, di ridiscutere cosa sia il mercato in agricoltura e quali istituti giuridici debbano presiederlo. Questo non significa inserirsi nel dibattito tra liberisti, mercatisti e così via, perché il mercato - come Natalino Irti insegna - viene qualificato dagli istituti giuridici che sono a suo presidio e a tutela dei cittadini.
Nel caso specifico, oggi, in agricoltura, tutto questo non c'è. Qualunque politica parcellizzata o priva di un contesto di riferimento - riguardo alla valorizzazione dell'origine, della qualità o altro - sarà chiaramente sempre parziale, senza quindi riuscire a tradursi in una reale valorizzazione del produttore agricolo. Questo è ciò su cui bisognerebbe ragionare.
È chiaro, poi, che siamo su livelli diversi rispetto a quello del mercato internazionale e delle fluttuazioni. Se pensiamo, però, a quello che possono fare oggi il Parlamento e il Governo italiani, sul mercato italiano, vediamo che c'è tanto da fare.
Gli effetti sui produttori italiani derivano, da una parte, dai fenomeni strutturatisi sul mercato mondiale ma, d'altra, tanta, parte, dalle inefficienze presenti oggi sul mercato italiano e, quindi, sul processo, sulla distribuzione.

PRESIDENTE. Ringrazio il presidente Semerari e il direttore Castiglione per la cortesia di essere stati qui, ma soprattutto


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per il materiale prodotto e per la loro relazione, che ci è sembrata particolarmente esauriente e ricca di stimoli ulteriori per valutazioni che questa Commissione saprà fare. Anche dal punto di vista squisitamente grafico i vostri prodotti sono sicuramente di facile consultazione e ci aiutano nel lavoro che andremo a fare.
Informo i colleghi che la documentazione consegnata sarà allegata al resoconto stenografico della seduta odierna (vedi allegati 2, 3 e 4).
Ringrazio tutti e dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 14,20.

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