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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissione XIII
2.
Mercoledì 26 gennaio 2011
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Rosso Roberto, Presidente ... 3

INDAGINE CONOSCITIVA SULLA SITUAZIONE DEI MERCATI DELLE SEMENTI E DEGLI AGROFARMACI

Audizione dei rappresentanti dell'Istituto nazionale di ricerca per gli alimenti e la nutrizione (INRAN):

Rosso Roberto, Presidente ... 3 5 6
Bianchi Pier Giacomo, Esperto per l'attività sementiera dell'INRAN ... 4
Di Giuseppe Anita (IdV) ... 5
Gerolimetto Amedeo, Commissario straordinario dell'INRAN ... 3
Petroli Salvatore, Direttore generale dell'INRAN ... 5

Audizione dei rappresentanti del Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura (CRA):

Russo Paolo, Presidente ... 6 10 11 14
Cenni Susanna (PD) ... 10
Conte Elisa, Ricercatore presso il Centro ricerca per la patologia vegetale di Roma del CRA ... 8 12
Di Giuseppe Anita (IdV) ... 10
Fogliato Sebastiano (LNP) ... 10
Lupotto Elisabetta, Direttore del Dipartimento di biologia e produzioni vegetali del CRA ... 6 11 13 14
Servodio Giuseppina (PD) ... 10 13 14
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Futuro e Libertà per l’Italia: FLI; Italia dei Valori: IdV; Iniziativa Responsabile (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, La Discussione): IR; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.

COMMISSIONE XIII
AGRICOLTURA

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di mercoledì 26 gennaio 2011


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PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROBERTO ROSSO

La seduta comincia alle 14,15.

(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso e la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Audizione dei rappresentanti dell'Istituto nazionale di ricerca per gli alimenti e la nutrizione (INRAN).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla situazione dei mercati delle sementi e degli agrofarmaci, l'audizione audizione dei rappresentanti dell'Istituto nazionale di ricerca per gli alimenti e la nutrizione (INRAN).
Ricordo che nella seduta di ieri si è svolta l'audizione del Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, Giancarlo Galan, ai sensi dell'articolo 143, comma 2 del Regolamento, su diverse questioni di competenza del suo dicastero, tra le quali è ricompresa anche la situazione dei mercati delle sementi e degli agrofarmaci, oggetto della presente indagine conoscitiva.
Sono presenti il dottor Amedeo Gerolimetto, commissario straordinario, il dottor Salvatore Petroli, direttore generale, e il dottor Pier Giacomo Bianchi, esperto per l'attività sementiera.
Do la parola ai nostri ospiti, ai cui interventi faranno seguito eventuali domande da parte dei deputati alle quali gli auditi potranno replicare.

AMEDEO GEROLIMETTO, Commissario straordinario dell'INRAN. Nel rivolgervi un saluto (vorrei poi lasciare la parola al professor Bianchi, che in materia tecnica sarà preciso e dettagliato sugli argomenti che sono oggetto dell'audizione), approfitto dell'occasione per fare una precisazione, poiché mi accingo a chiudere la fase commissariale dell'INRAN, che aveva visto una particolare preoccupazione da parte di diversi deputati, in modo particolare quelli legati al settore agricolo, al momento della fusione dell'INRAN con ENSE, l'organismo oggi oggetto di attenzione.
Abbiamo chiuso questa fase di aggregazioni in maniera costruttiva e positiva, avendo particolare cura e attenzione anche rispetto alle osservazioni poste attraverso l'ordine del giorno presentato, in cui si manifestava la preoccupazione per un'eventuale dispersione del capitale umano che riguardava l'ENSE, che entrerà nel funzionamento definitivo dal 3 febbraio con l'insediamento del nuovo presidente, il dottor Colombo.
La fase transitoria è dunque sostanzialmente finita e colgo ancora una volta l'occasione per ricordare solo una cosa. L'accorpamento ha comportato sicuramente una serie di osservazioni e una riduzione di costi, ma al tempo stesso anche una grande preoccupazione che nasce dal taglio delle spese per il funzionamento di questo ente. Si tratta di risorse assolutamente necessarie per dare quelle


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risposte che normalmente l'ente da su argomenti molto delicati, strategici e importanti del nostro comparto.
Lascio la parola al dottor Bianchi, che sarà molto dettagliato e preciso sull'argomento specifico oggetto dell'audizione di oggi. Grazie.

PIER GIACOMO BIANCHI, Esperto per l'attività sementiera dell'INRAN. Vorrei iniziare semplicemente ricordando il valore strategico delle sementi e del loro utilizzo in qualsiasi filiera produttiva, a prescindere dall'obiettivo che questa filiera si ponga. Le sementi rappresentano chiaramente un aspetto essenziale nell'ambito di processi di tracciabilità e nel trasferimento dell'innovazione genetica e varietale in agricoltura. Sotto questo profilo, l'Italia si piazza piuttosto bene in un contesto comunitario in relazione all'attività svolta anche solo dal punto di vista quantitativo (siamo attorno al quarto o quinto posto come volume di attività). Tali quantitativi certificati di materiale sementiero stanno subendo però in questo ultimo periodo una notevole riduzione dovuta a diversi fattori (in Italia operavano circa 280 imprese sementire, ma oggi solo 260). Queste ditte sementiere ricorrono a un'attività di moltiplicazione che coinvolge circa 14.000 agricoltori e moltiplicatori.
Nel settore delle sementi, l'Italia è ai vertici comunitari non soltanto dal punto di vista quantitativo, ma anche sotto il profilo qualitativo, in quanto alcuni sottosettori sementieri possono senz'altro essere considerati di eccellenza. In particolare, si possono richiamare i settori del riso e delle sementi foraggere leguminose, in particolare l'erba medica, particolarmente dedicata all'esportazione. Non ho parlato del settore del grano duro, che rappresenta la punta della nostra produzione sementiera, che in questo periodo sta subendo le maggiori difficoltà legate soprattutto al fatto che questo è il primo anno in cui l'impiego di sementi certificate non è un vincolo ai fini dell'aiuto comunitario. Ciò ha infatti determinato una forte riduzione dei quantitativi certificati, basti pensare che nell'arco di un biennio si sono ridotti del 30 per cento, e nella campagna attualmente in corso il quantitativo è prossimo a una riduzione del 50 per cento rispetto al quantitativo dell'anno scorso.
La riduzione dei quantitativi di sementi certificate ha conseguenze a breve, ma anche a lungo termine: gli operatori sementieri avranno meno risorse da destinare alla ricerca e all'innovazione varietale, e questo non può che essere considerato un aspetto negativo per il settore.
Un altro fattore di preoccupazione, in questo momento, è legato al fatto che per alcune tipologie di sementi il 2011 segnerà la fine dell'aiuto comunitario diretto alla produzione. È un elemento che è destinato a destabilizzare il settore, perché la mancanza di questa incentivazione potrà determinare conseguenze negative sull'intervento e sulla disponibilità di operatori sementieri per la moltiplicazione (la moltiplicazione rientra tra le caratteristiche positive del settore, legato alla professionalità degli operatori e alle ottime condizioni per la produzione di sementi in determinate aree che induce diversi operatori sementieri comunitari e mondiali ad operare sul territorio nazionale per la moltiplicazione di sementi di varie specie, in particolare con successo delle sementi ortive).
Questa riduzione di quantitativi di sementi, e in particolare di quelle certificate, può ripercuotersi sulla disponibilità di nuove varietà. Sotto il profilo interno, infatti, anche questo settore della registrazione delle varietà presenta problematiche che rischiano di creare ulteriori difficoltà.
È dunque l'occasione per rappresentare a questa Commissione che le prove di iscrizione al registro vengono finanziate direttamente dai costitutori che la versano al Ministero dell'economia (la registrazione è un obbligo per l'immissione in commercio di materiale sementiero), ma ciononostante, per una farraginosità della normativa attuale, è poi difficile che i fondi costituiti per questa attività, arrivino agli enti e alle istituzioni che effettuano le prove per l'iscrizione.


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Per mettere meglio a fuoco l'oggetto dell'audizione, i cui dati di dettaglio sono nel documento consegnato, si può confermare che c'è una concentrazione di attività e c'è una riduzione di operatori, ma anche che tali aspetti devono essere considerati a seconda dei comparti.
Per quanto riguarda, ad esempio, il mais, in Italia si opera attraverso quindici ditte sementiere (che poi sono quelle che operano a livello internazionale). Anche in questo caso c'è stata una riduzione del numero, perché cinque o sei anni fa erano più di 20. Anche in questo caso c'è stata una concentrazione di attività.
Il caso del mais è particolare, anche perché - con una eccezione - non esiste materiale nazionale nell'ambito del materiale commercializzato. Se vediamo però gli altri settori, per esempio quello dei cereali o delle foraggere, il numero di operatori di questi settori assicura una certa pluralità di soggetti sul mercato.
Credo che questa possa essere la presentazione della situazione. Non mi sono soffermato sull'aspetto dell'oligopolio perché noi svolgiamo una funzione di natura tecnica e non economica, ma siamo comunque a disposizione per approfondimenti in collaborazione con altre istituzioni.

PRESIDENTE. Grazie. Do ora la parola ai deputati che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

ANITA DI GIUSEPPE. L'attività del vostro ente è sicuramente importante sia per l'industria agroalimentare sia per i cittadini italiani, visto che fra le vostre attività di ricerca vi è anche il monitoraggio delle abitudini alimentari del consumatore italiano.
Noi abbiamo voluto avviare questa indagine perché il mercato delle sementi è sicuramente oligopolistico, giacché soltanto sei imprese multinazionali detengono un terzo della produzione delle sementi e anche la quasi totalità delle sementi transgeniche, situazione che sicuramente incide sui prezzi di produzione.
Voi giustamente avete espresso una valutazione tecnica del problema, ma vorrei sapere come le imprese italiane si difendano da questo mercato oligopolistico, visto che sono coinvolte 260 aziende che impegnano 14.000 moltiplicatori sementieri (gli agricoltori che moltiplicano le sementi per conto di queste ditte).
Vorrei capire come, in questo mercato oligopolistico, le nostre aziende possano fronteggiare la competitività delle sei multinazionali operanti nel settore.

PRESIDENTE. Do quindi la parola al direttore generale dell'INRAN, Salvatore Petroli, per la replica.

SALVATORE PETROLI, Direttore generale dell'INRAN. Il problema è sostanziale: per assicurare una competitività reale, un fair trade, occorre anche dotare l'istituto di risorse necessarie che consentano il perseguimento dell'attività sementiera, anche a livello originario.
L'oligopolio evidenziato è conseguenza non tanto di un andamento economico dei mercati mondiali, quanto piuttosto del fatto che il supporto all'agricoltore viene ridotto o addirittura eliminato anche in nome di alcune regole del Consiglio dell'Organizzazione mondiale del commercio, senza però avere riguardo al fatto che taluni prodotti di base come le sementi sono fondamento e partenza della filiera produttiva.
Notiamo quindi quanto evidenziato dal commissario Gerolimetto e dal professor Bianchi, che umilmente mi permetto di ribadire. Se recuperiamo quella parte di finanziamento che ci veniva dato dalle Regioni, ma che ci è stato tolto dall'articolo 14, comma 2, della legge n. 122 - laddove, forse, il legislatore non sapeva di toccare anche il finanziamento alle sementi -, recuperiamo oltre 1,5 milioni di euro da dedicare all'attività di sperimentazione in campo e iscrizione nel registro varietale anche da parte di piccoli produttori e non di grosse multinazionali, che invece in Italia non hanno titolo per ottenere questo.
È quindi innanzitutto necessario rivedere l'articolo 14, comma 2, della legge n. 122, che ha convertito in legge il decreto-legge


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n. 78, e fare in modo che una parte dello stanziamento originariamente assegnato dalle Regioni all'istituto possa ritornare.
In secondo luogo, è necessario sostenere l'istituto per quanto riguarda l'inopinato taglio del 50 per cento del contributo ordinario. Mi permetto di ricordare che originariamente il decreto-legge n. 78 conteneva tre allegati. Il terzo era quello che sopprimeva taluni enti di cultura (ricorderete l'emendamento Bondi).
L'articolo 9, che ha previsto il taglio, terminava dicendo che i tagli erano solo per gli enti in allegato 3. Successivamente, il taglio è stato generalizzato ed esteso a tutti gli enti di ricerca, per cui il nostro ente - che ne era escluso, in quanto il taglio del contributo ordinario al 50 per cento riguardava egli enti culturali, - ne fu ricompreso.
Stranamente, è stata colpita proprio la ricerca, mentre tutti sostengono che il Parlamento la voglia salvare: noi perdiamo 2.075.000 euro all'anno per pagare le spese di finanziamento, come evidenziato dal Commissario all'inizio del suo intervento.

PRESIDENTE. Ringrazio gli auditi e dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta, sospesa alle 14,40, è ripresa alle 14,45.

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE PAOLO RUSSO

Audizione dei rappresentanti del Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura (CRA).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla situazione dei mercati delle sementi e degli agrofarmaci, l'audizione dei rappresentanti del Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura (CRA).
Sono presenti la dottoressa Elisabetta Lupotto, direttore del Dipartimento di biologia e produzioni vegetali e la dottoressa Elisa Conte, ricercatore presso il Centro ricerca per la patologia vegetale di Roma.
Do subito la parola ai nostri ospiti.

ELISABETTA LUPOTTO, Direttore del Dipartimento di biologia e produzioni vegetali del CRA. La situazione del mercato delle sementi è strettamente correlata allo sviluppo del settore primario di un Paese o di un'area geografica. I dati disponibili relativi al settore si avvalgono di statistiche redatte sulla movimentazione di sementi certificate, tali cioè da rispondere ai requisiti di idoneità e purezza imposti dalla normativa comunitaria.
A livello globale, il mercato più ingente è oggi realizzato negli USA, seguiti dalla Cina e dal Giappone. In Europa, dove è approssimativamente rappresentato da un valore di circa 6 miliardi di dollari, la Germania detiene la quota maggiore con Olanda e Francia al seguito.
A livello mondiale, il mercato delle sementi è in mano a una ristretta cerchia di multinazionali, dove per il solo mercato delle specie orticole i primi dieci gruppi detengono l'80 per cento del giro d'affari nel mondo. La situazione attuale trova spiegazione nell'importante scelta di investimenti in ricerca e sperimentazione fatta dagli attori dell'offerta, al fine di assicurare i produttori con un prodotto di alto livello in purezza e performance, con caratteristiche improntate alla innovazione, con garanzia di uniformità e omogeneità di prodotto.
In questo contesto, tra i Paesi europei, l'Olanda può rappresentare un esempio emblematico. Questo Paese infatti può vantare un settore sementiero con più di mezzo secolo di storia alle spalle e un'organizzazione capillare, che, soprattutto nel settore orticolo e floricolo, basa la sua competitività sulla stretta sinergia di azione tra la ricerca (dalla ricerca privata alla ricerca universitaria) e il mondo produttivo.
Il tutto si traduce per il produttore in una certezza di produzione e di risposta al mercato con conseguente reddito garantito. Chiaramente, in questa situazione i detentori del prodotto ottimale fanno il


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mercato, cioè controllano prezzi e andamento globale a livello delle varie filiere.
Il mercato è quindi rispondente alle esigenze del consumatore, che vuole un prodotto sano e ottimale, alle esigenze del produttore, che vuole garantita la performance della sua coltivazione, alle esigenze del mercato, che vuole una durata del prodotto fresco sullo scaffale (shelf life) confacente a una distribuzione che in un lasso di tempo ragionevole garantisca la stabilità del prodotto.
Nell'Europa unita il mercato delle sementi, che come detto è costituito unicamente dal mercato del seme certificato, tende anche ad identificare un territorio o un'area geografica, costituendo così un elemento di valorizzazione del luogo in cui è prodotto e viene ottenuto.
Il settore sementiero è inoltre soggetto a una Organizzazione comune di mercato (OCM) alla quale sono legati gli aiuti al seme concessi alle sementi certificate di colture foraggere e riso, integrando così dal punto di vista economico il settore nel più ampio piano della PAC, che però nel 2013 subirà una notevole modifica causando sin da ora preoccupazione nel settore.
Per quanto riguarda, in particolare, la situazione italiana, possono essere effettuate alcune considerazioni di base. Il nostro Paese vanta una storica tradizione nel miglioramento genetico nelle principali colture agrarie, con particolare riferimento al settore sementiero, soprattutto nel caso dei cereali e delle orticole, specie che caratterizzano da sempre la produzione primaria di date aree geografiche.
In molte regioni italiane si svolge attività sementiera, anche se le principali aree sono rappresentate da Romagna, Marche, Puglia e Campania. Mentre nel secolo scorso la commistione o il cambio di destinazione da consumo a seme era effettuato spesso in corso d'opera - si ricordano i sacconi di granaglie dei consorzi agrari, quando la destinazione era spesso decisa al momento della vendita da alimentare a semente -, ora il seme segue percorsi ben delineati e normati e va a sé rispetto alla vendita per il consumo o per la trasformazione.
L'attività di certificazione ha apportato notevoli vantaggi alle colture con garanzia di uniformità, stabilità e sanità di prodotto. D'altro canto, l'attività di produzione di seme certificato presenta punti di debolezza nell'essere un'attività soggetta a reddito non garantito e con alti costi di registrazione delle nuove varietà.
Quest'ultimo punto è cruciale, sia nella spinta agli operatori del settore a impegnarsi nell'innovazione varietale, sia nella scelta di rivolgersi per la registrazione ad altri Paesi, che hanno costi decisamente inferiori. In Romania, ad esempio, per il riso sono richieste cifre pari quasi ad un decimo di quanto occorre per la registrazione della nuova varietà in Italia.
La risultanza è una forte dipendenza dell'Italia dal mercato estero delle sementi, che per le orticole raggiunge il 40 per cento, mentre tocca il 30 per cento per il mais e le foraggere.
Accanto alla produzione, che costituisce la quota maggiore del mercato e garantisce la presenza della nostra produzione italiana sul mercato sia nazionale che estero, garantendo la fornitura del fresco alla grande distribuzione, è presente una quota ristretta di produttori, che rivolge le proprie attenzioni alle produzioni di varietà da conservazione, peraltro normate a livello nazionale in modo specifico.
In questi casi, ecotipi o antiche varietà vengono coltivati in modo convenzionale o biologico, consentendo un mercato speciale di valorizzazione degli antichi sapori. Questa quota di produzione però rappresenta un settore limitato, che necessariamente non può proporsi come alternativa alla grande produzione. Oltretutto, è noto che le antiche varietà non soddisfano gli standard produttivi e qualitativi delle varietà nuove e che spesso possono essere prodotte solo a spese di una cura particolare, soprattutto per la difesa da malattie, avversità biotiche varie ed abiotiche.
Si evince dunque, chiaramente, che il settore produttivo rivolge la propria richiesta laddove ottiene una garanzia di


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prodotto e di performance. Queste caratteristiche vengono soddisfatte solo nei casi in cui un forte sistema di ricerca e sperimentazione sia alla base di una continua innovazione di prodotto.
È fondamentale che il settore del miglioramento genetico si proponga come cardine centrale di un processo di evoluzione e che sia anche culturalmente vettore di un made in Italy innovativo. Infatti, ciò che per noi oggi è tradizione era innovazione per i nostri nonni.
L'attività di ricerca e sperimentazione agraria e di costituzione varietale di specie agrarie delle principali filiere produttive costituisce ancora oggi l'attività centrale delle varie strutture del Consiglio per la ricerca la sperimentazione in agricoltura (CRA). Il settore necessita di nuova linfa, che integri gli strumenti genomici, che negli ultimi dieci anni, con il sequenziamento del genoma di molte specie di interesse agrario, sono stati sviluppati e adottati in Paesi più avanzati, nella costituzione delle nuove varietà.
Senza andare necessariamente a toccare le piante geneticamente modificate (PGM), si deve sottolineare come la ricerca che opera nel settore del miglioramento genetico tradizionale sia spesso scollata dalla realtà operativa che utilizza strumenti di genetica molecolare, basti solo pensare alla Marker Assisted Selection (MAS) o all'impiego dei Quantitative Traits Loci (QTL) della costituzione varietale.
Il raccordo con le filiere produttive dovrebbe costituire il motore di ricerca della costituzione varietale attuale, per fornire al mercato e al comparto sementiero nazionale le conoscenze e i mezzi per operare al più presto il salto qualitativo necessario per una riqualificazione del settore.

ELISA CONTE, Ricercatore presso il Centro ricerca per la patologia vegetale di Roma del CRA. Gli agrofarmaci o più correttamente i prodotti fitosanitari di sintesi o naturali sono essenziali per la difesa delle colture agrarie dalle avversità e per essere utilizzati devono essere autorizzati. In Italia, il referente per le registrazioni è il Ministero della salute, che opera con il supporto del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali e del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare.
Gli agrofarmaci sono regolamentati ancora dalla direttiva 91/414/CEE recepita con decreto legislativo n. 194 del 1995 e con il decreto del Presidente della Repubblica n. 290 del 2001, che attraverso una revisione puntuale delle circa mille sostanze attive presenti sul mercato al 1993, ne ha revocate settecento.
Nel dicembre 2009 è stato emanato il Regolamento n. 1107, che andrà a sostituire la direttiva 91/414/CEE, regolando l'immissione in commercio dei prodotti fitosanitari dal 14 giugno 2011. Introduce un sistema di autorizzazione a zone (nord, sud e centro Europa), criteri di non autorizzazione per sostanze attive non reputate sicure e di valutazione comparativa per le altre attraverso un meccanismo di sostituzione.
Contemporaneamente al Regolamento n. 1107, è stata votata la direttiva sull'uso sostenibile dei prodotti fitosanitari, che ha come obiettivi la riduzione dei rischi per la salute e per l'ambiente e la razionalizzazione degli impieghi. Individua numerose azioni, tra le quali piani di azione nazionali, formazione, misure di protezione per acque superficiali ed aree pubbliche, certificazione delle macchine per la distribuzione, difesa integrata delle colture che diventerà obbligatoria dal 1o gennaio 2014.
È evidente che nello scenario descritto la gestione della difesa fitosanitaria è cambiata, con conseguenti produzioni agroalimentari ottenute sempre di più con mezzi tecnici a basso rischio per il consumatore e a basso impatto per l'ambiente, che hanno però bisogno di puntuali approfondimenti per realizzare quanto necessario.
Le valutazioni del rischio per le autorizzazioni avvengono sulla base di numerosi studi presentati dalle società, svolti secondo linee guida e protocolli armonizzati a livello comunitario, effettuati da


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laboratori validati, che richiedono competenze, tempo e investimenti consistenti.
Lo sviluppo di un prodotto fitosanitario può richiedere anche dieci anni, e dalle prove di laboratorio alla produzione industriale l'investimento può superare i 125 milioni di euro. L'impegno economico delle società negli ultimi dieci anni insieme alla necessità di ricerca e di innovazione è quindi notevolmente aumentato, influenzando la disponibilità di molecole e determinando sicuramente anche cambiamenti nella presenza delle aziende produttrici sui mercati stessi.
Sono pertanto rimaste sul mercato solo quelle aziende che potevano difendere e promuovere il loro prodotto e non solo a livello nazionale, spesso grazie anche a fusioni e a organizzazioni in task force per specifiche molecole o colture.
Relativamente all'impiego dei prodotti fitosanitari, secondo i dati Istat pubblicati nel 2010 riguardanti il decennio 1999-2009 la quantità dei prodotti fitosanitari utilizzati dal mondo agricolo è diminuita di circa il 7 per cento e i prodotti molto tossici e tossici sono diminuiti di oltre il 60 per cento con un aumento consistente dei prodotti per l'agricoltura biologica grazie alle politiche attuate e all'aumento della sensibilità degli operatori (fonti dell'Agrofarma e dell'ISMEA indicano l'aumento dei prezzi dei prodotti fitosanitari nello stesso periodo intorno al 15 per cento).
In questi anni di così significativi cambiamenti, vi è stato un consistente impegno del mondo della ricerca, e in particolare del CRA, concentratosi in studi volti, per quanto riguarda i prodotti fitosanitari, alla razionalizzazione degli impieghi.
In particolare, l'attenzione è stata posta a individuare e approfondire meccanismi d'azione e persistenza nei vari comparti delle molecole utili per la difesa fitosanitaria, alla messa a punto di macchine e di sistemi di distribuzione meno inquinanti e impattanti, alla gestione della difesa integrata anche attraverso verifiche su tutto il territorio nazionale, a supportare la difesa delle colture minori, solo per citarne alcuni, a dimostrazione di come il filone portante sia in linea con gli obiettivi della politica comunitaria e con le necessità agricole.
I risultati degli studi vengono dibattuti in incontri tecnici e convegni, e pubblicati su riviste divulgative e scientifiche, al fine di formare gli operatori e confrontarsi con altri ricercatori. Sono inoltre di supporto per le attività di Commissioni e comitati, a livello sia nazionale che comunitario, di verifica delle attività svolte dalle società e di ausilio per le valutazioni del rischio in sede di registrazione.
Nel campo della difesa fitosanitaria, sarebbe auspicabile continuare a operare in settori che non sono di ritorno per le aziende produttrici (avversità emergenti, colture minori, studio di tecniche a basso impatto, salvaguardia dell'ambiente). Solo per citare alcuni esempi relativamente alle avversità emergenti la Drosophila suzukii, specialmente presente al Nord del nostro Paese, che distrugge colture di piccoli frutti e fragole, il cosiddetto «Punteruolo rosso delle palme» (Rinchophorus ferugineus), di difficile contenimento e ormai estesosi in poco tempo in tutte le zone con presenza di palme, la Lebbra dell'olivo, che sta pregiudicando le produzioni in Puglia, gli aleurodidi del sedano e la Tuta Absoluta per le solanacee.
Tra le colture minori, ravanello, basilico, sedano, cappero, piccoli frutti, ma anche lino, cachi, bietola, noce, che, se non remunerativi per le aziende di prodotti fitosanitari, rappresentano la peculiarità di alcune realtà agricole.
Per le tecniche a basso impatto, di riferimento per la difesa integrata sarebbe opportuno approfondire le possibilità d'uso di sostanze naturali e microrganismi quali ad esempio estratti di timo, aglio, menta, neem o nematodi entomo-patogeni, mentre la salvaguardia dell'ambiente richiederebbe anche lo studio di sistemi di abbattimento della deriva dei trattamenti fitosanitari o di abbattimento di polveri nella semina di semi conciati, come anche dei trattamenti per endoterapia.


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L'approfondimento di tali problematiche è basato sulla conoscenza delle necessità agricole e finalizzato a promuovere la sostenibilità dell'agricoltura.

PRESIDENTE. Do ora la parola ai deputati che intendano porre quesiti o formulare osservazioni.

SUSANNA CENNI. Grazie per il vostro contributo. Vorrei porre una domanda su un tema su cui la Commissione lavorerà. Nella prima relazione avete affrontato i temi del mercato, degli oligopoli che detengono la maggioranza del mercato delle sementi, poi si è parlato delle varietà da conservazione, precisando come la presenza di questi, che in genere sono piccoli soggetti, non possa in qualche modo modificare lo stato dell'ENSE.
Vorrei conoscere la sua opinione su un tema su cui stiamo lavorando e sapere se lei riterrebbe utile la rimozione di alcuni limiti ad oggi in essere per le norme in vigore sulla libera circolazione di semi (parlo ancora delle varietà da conservazione) e la vendita magari in ambito locale limitato anche per favorire da riproduzione di queste sementi.

ANITA DI GIUSEPPE. Vorrei tornare alla questione degli agrofarmaci perché la sicurezza alimentare è dovuta anche ai farmaci che si utilizzano nelle coltivazioni. Poiché ci sono casi di farmaci illegali, che non si potrebbero usare, occorrono regole (che sicuramente esistono).
Vorrei però sapere se il vostro istituto lavori anche per la formazione dei rivenditori, per fare in modo che nel consigliare l'agricoltore nell'uso dei farmaci ci siano persone che abbiano competenze scientifiche. Il rivenditore non può essere uno qualunque: chi vende agrofarmaci deve avere le competenze per consigliare perché la sicurezza alimentare passa anche attraverso l'utilizzo dei farmaci.

SEBASTIANO FOGLIATO. Ringrazio gli auditi per l'esposizione e per lo spaccato della loro attività che ci hanno portato nell'ambito dell'indagine conoscitiva intrapresa da questa Commissione per l'aumento dei costi dei mezzi tecnici di produzione tra cui gli agrofarmaci e le sementi.
Vi ringrazio quindi di aver portato un punto di vista tecnico anche se l'indagine conoscitiva era più mirata da parte nostra all'aumento negli ultimi anni dei costi di questi materie prime per l'agricoltura, che impatta negativamente sui bilanci delle aziende agricole.
Vorrei chiedervi se il vostro istituto sia a conoscenza o effettui ricerca sugli agrofarmaci illegali di cui si parla da più parti, se effettuiate anche attività di ricerca di questo tipo o sia demandata soltanto alle autorità di controllo.
Vi ringrazio a nome del Gruppo della Lega nord per questa esposizione in cui avete espresso dati significativi, utili per le audizioni che svolgeremo nell'ambito di questa indagine conoscitiva fondamentalmente mirata al tema dei prezzi, non disgiunto dalla qualità delle indagini da voi svolte con puntualità.

GIUSEPPINA SERVODIO. Vorrei associarmi al ringraziamento appena espresso dai colleghi per il contributo molto qualificato che ci è stato dato in merito a questa nostra indagine.
La dottoressa Lupotto faceva riferimento all'esperienza dell'Olanda, sottolineando come l'obiettivo della ricerca sia fondamentale. Si tratta di una fase importante che poi ha una ricaduta sulle attività produttive e anche sulle filiere e sui costi. La dottoressa sottolinea come la ricerca privata e universitaria e il mondo produttivo abbiano trovato una sinergia. Credo che questa sia una delle chiavi di lettura non solo per implementare le azioni positive che comunque in Italia ci sono nel settore della ricerca, ma anche per evitare sprechi e doppioni.
Sono infatti convinta che nel nostro Paese si effettuino molte ricerche, ci siano molte eccellenze, ma manchi un sistema di ricerca tale da avere un impatto positivo con il mondo produttivo.
Provengo da una delle regioni che lei ha citato, la Puglia, dove ci sono esperienze


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molto significative anche all'interno dell'università, e osservo come spesso sia difficile far ricercare le università con lo stesso CRA o viceversa. La Regione ha anche messo in cantiere delle esperienze nel campo della ricerca.
Mi piace sentirla affermare che il nostro made in Italy trova il suo punto di partenza e di forza nella innovazione, che significa mantenere anche quella qualità e quelle caratteristiche che fanno affermare di essere un Paese che ha conquistato il riconoscimento della dieta mediterranea come patrimonio immateriale dell'UNESCO.
Nei prossimi anni su questo argomento dobbiamo essere capaci non solo di meritarlo, ma anche di innovare, perché il riconoscimento non verte su cose antiche, ma sui sapori e le qualità antiche in un processo di innovazione.
Vorrei sapere sulla base della sua esperienza quali possano essere le iniziative concrete da recepire nella parte propositiva di questa indagine intrapresa come Commissione agricoltura.

PRESIDENTE. Do quindi la parola ai nostri ospiti per la replica.

ELISABETTA LUPOTTO, Direttore del Dipartimento di biologia e produzioni vegetali del CRA. Grazie presidente. Innanzitutto, ringrazio per le domande e per questi quesiti che mi permettono di espandere la nota che ho presentato, e personalmente vi ringrazio perché si capisce chiaramente quanto il settore vi sia a cuore e come sia effettivamente importante che noi oggi possiamo portare un seppur piccolo contributo.
Rispondo alla prima domanda sulla questione delle varietà da conservazione, domanda molto delicata perché deve conciliare secondo me quanto è necessario fare affinché il piccolo produttore che ha varietà da conservazione, le produce e le commercializza, sia favorito, spinto e appoggiato nella sua azione, con l'obiettivo di garantire a chi compera quella varietà da conservazione. Spesso, infatti, queste varietà non sono genotipi fissati cioè non sono assolutamente certificati come lo sono invece varietà o ibridi commerciali, che hanno una caratura diversa dal punto di vista della omogeneità. Sono popolazioni ancora in movimento, ma che nel loro complesso forniscono quelle caratteristiche di qualità che danno al prodotto il suo appeal.
Dobbiamo dunque essere sicuri che in qualche modo venga garantito il fatto che quella sia la varietà da conservazione vera e non una deviazione di chi sta coltivando e che senza avere un occhio particolare ha comunque messo tutto assieme e poi lo vende al prezzo di quella che invece doveva essere la varietà da conservazione. Dobbiamo tenere presente questi due pilastri della nostra azione.
L'altra domanda di mia pertinenza (l'altra sui fitofarmaci è rivolta alla collega) è relativa al commento sull'esperienza dell'Olanda relativamente all'integrazione della ricerca pubblica e privata in modo tale da garantire realmente gli aiuti alle filiere. Questo ho voluto trasmettere nella mia frase della relazione in cui ho scritto:«ciò che per noi oggi è tradizione era innovazione per i nostri nonni».
Vengo da un'esperienza in risicoltura, laddove il riso per l'Italia è un pilastro della nostra produzione vegetale. Dalla fine del 1800, quando l'unica varietà era il Nostrale che poi è stato sostituito dal Bertone perché è arrivata una malattia che lo stava distruggendo, gli agricoltori si sono attivati e oggi vi è una serie di varietà storiche che hanno una qualità ottimale e che molto spesso vengono proposte come il vero riso italiano.
Non dobbiamo dimenticare che il vero riso italiano è comunque anche quello della varietà attuale perché siamo sempre noi ad aver fatto il miglioramento genetico, perché il riso in Italia è in una situazione pedoclimatica particolarissima e noi ci avvaliamo delle nostre filiere sementiere produttive. È forse l'unica specie da raccolto (crop species) italiana in cui utilizziamo il seme italiano che deriva dal miglioramento genetico italiano, cosa di cui dobbiamo andare fieri.


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Come nel 1937 è uscito il Carnaroli, che ancora oggi mangiamo perché è l'eccellenza del riso italiano, oggi facciamo altre varietà che hanno eccellenze organolettiche che dobbiamo difendere ugualmente come riso italiano, perché deriva dalla nostra attività di miglioramento genetico della specie.
Ciò che in Italia manca - sono d'accordo sul fatto che molto spesso c'è una pletora di iniziative singole e male organizzate e raccordate - è la fiducia di chi è a valle della filiera che ha bisogno della varietà, ma non si rivolge sempre al sistema nazionale per una sorta di sfiducia sulla possibilità che il sistema nazionale della ricerca possa produrre il meglio. Il 40 per cento delle sementi proviene dunque dall'estero perché dietro c'è un investimento nella ricerca raccordata tra pubblico e privato e necessità della filiera, e c'è una risposta della rete di ricerca pubblica e privata, che sinergicamente risponde ai requisiti del mercato e alla filiera produttiva.
Non dimentichiamoci che questo mercato delle sementi per la maggior parte è di seme ibrido (le orticole detengono il campo prioritario e praticamente tutte le orticole sono ibridi). Per produrre seme ibrido è necessario un grande investimento alla base non solo per la ricerca, ma per la produzione del seme, che non è così immediato come nelle specie ermafrodite che si producono in varietà pure come i cereali, per esempio (tranne il mais che è ibrido e quindi ha bisogno di una tecnologia a parte).
Melanzane, zucchine, peperoni sono le orticole grandi per le quali abbiamo una grande tradizione di competenza e di miglioramento genetico effettuato nelle nostre università e nei nostri istituti sperimentali. Ritengo che sia il momento di venire fuori, di utilizzare questa esperienza e di avere un raccordo con la ditta sementiera, perché nel momento in cui c'è da produrre il seme ibrido da dare poi alla filiera produttiva l'istituto di ricerca non deve più agire, perché deve agire a monte, per produrre i parentali per fare l'ibrido, quindi ci deve essere necessariamente un raccordo. Spero di aver risposto.

ELISA CONTE, Ricercatore presso il Centro ricerca per la patologia vegetale di Roma del CRA. Per quanto riguarda la sicurezza del consumatore, sicuramente ci sono delle regole per la fissazione del residuo.
A settembre 2008 è stato emanato un regolamento comunitario, che armonizza i limiti in tutti i Paesi dell'Unione secondo delle regole ben definite di valutazione del rischio per il consumatore, tenendo in considerazione le varie diete dei vari Paesi, scegliendo una dieta standard ma prendendo in considerazione anche la dieta del Paese dove viene utilizzata in particolar modo la molecola, e valutando anche le classi a rischio (neonati, malati, le persone anziane). Da un bilancio generale viene fuori questo residuo e ogni Paese è obbligato a mantenere il proprio utilizzo per rispettare quel residuo.
È chiaro che poi è una questione di controlli. Sappiamo che a livello comunitario esiste un monitoraggio armonizzato, coordinato, a cui devono poi partecipare tutti i Paesi e nel nostro caso il Ministero della salute. Vengono individuate le colture, il numero di campioni per zone, le molecole che vengono seguite per cinque anni in modo da sapere quale rischio possa arrecare al consumatore l'utilizzo di questa molecola su tutte le colture per la cui è autorizzato, ma in Italia abbiamo fatto anche qualcosa in più.
Indipendentemente dall'attività portata avanti dal Ministero della salute, il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, una quindicina d'anni fa, ha attivato un programma di monitoraggio diverso, per cui il prodotto è stato campionato in campo, il campione è stato accompagnato dalla scheda dei trattamenti (quindi di questo campione si conosceva la storia, con cosa era stato trattato e quando e a che dosi).
Questi campioni sono stati affidati a laboratori riconosciuti e, una volta effettuata l'analisi, i relativi dati sono stati


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elaborati dal CRA per ritornare sul territorio regionale, dando indicazioni per correggere abitudini, trattamenti da effettuare, per scegliere molecole meno impattanti, cercando di individuare proprio la situazione di rischio, i trattamenti effettuati più vicino alla raccolta o i trattamenti ripetuti.
Questa attività ha interessato parecchie decine di migliaia di campioni con milioni di analisi effettuate nell'arco degli anni, in tutte le regioni. Il piano d'azione inoltre è stato valutato anno dopo anno per i prodotti più significativi, in modo da campionare dove poteva esserci rischio.
In questa attività sono stati evidenziati anche alcuni usi impropri, nel senso che se l'etichetta è la somma, la carta di identità di un prodotto, che viene autorizzata sulla base di tutti gli studi presentati, è però capitato che alcune colture siano state trattate con prodotti non autorizzati come nel caso delle colture cosiddette «minori» proprio perché non rientrano nell'interesse dell'azienda produttrice di prodotti fitosanitari.
Ottenere una registrazione su una vite, su un pomodoro, su un frumento o su una lattuga è diverso da ottenerla con la stessa base di dati su un cachi o un cappero. Del resto, questi prodotti, pur cercando di mantenerli in un'ottica di difesa integrata, hanno comunque bisogno di subire un trattamento per alcune avversità particolari che, se effettuato secondo le indicazioni studiate, è di garanzia per il consumatore e per l'ambiente.
Proprio per le colture minori, il Ministero ha attivato un progetto per dare la possibilità di effettuare studi in funzione delle carenze individuate dalle Regioni, che potessero portare a una valutazione del rischio e a un'autorizzazione per poterle trattare.
Per quanto riguarda, invece, la formazione, che viene fortemente esaltata da questo nuovo regolamento, già il decreto del Presidente della Repubblica n. 290 del 2001 prevedeva la formazione dei rivenditori, come anche la formazione di chi utilizza prodotti fitosanitari specie quelli di maggiore tossicità.
La responsabilità della formazione dei rivenditori è regionale e ogni regione organizza i propri corsi, ha le proprie materie, fa i proprio esami periodicamente, perché l'esame deve essere ripetuto (non è una patente per tutta la vita).

GIUSEPPINA SERVODIO. Lei fa riferimento anche al nuovo piano della PAC, e, poiché ieri abbiamo avuto una prima audizione con il Ministro Galan - vi sono anche le mozioni all'ordine del giorno della Camera e ci stiamo interessando di questo argomento come Commissione (il Senato ha già fatto questo passaggio), quindi si apre una stagione molto importante -, vorrei sapere se anche questo settore ne sia interessato.
Personalmente, non ho approfondito questa tema, ma vorrei chiederle di dirci qualcosa perché esprime molta preoccupazione.

ELISABETTA LUPOTTO, Direttore del Dipartimento di biologia e produzioni vegetali del CRA. Sì, ci sono degli aiuti specifici al seme nelle colture foraggere e nel riso.
Parlo con maggior competenza del riso perché è il mondo a me più vicino, e la preoccupazione riguarda la produzione di sementi di riso, perché la produzione italiana di riso è il 50 per cento della produzione italiana dell'Europa. Gli italiani non sono solo i primi produttori di riso europei con 240.000 ettari, ma sono i primi in assoluto perché ne rappresentano in Europa il 50 per cento.
Facciamo attività di miglioramento genetico del riso italiano, che diventa quindi il riso europeo perché anche gli altri Paesi produttori di riso in Europa coltivano varietà italiane. Questo è un dato da tenere presente a difesa di una filiera che è proprio tutta nostra e ha un giro di denaro estremamente elevato, che deve essere tenuto sotto controllo.
L'altro ieri, il mio collega è andato in Romania a registrare le sue varietà di riso italiano perché il costo dei due anni di registrazione di una varietà di riso in Italia è di 7.000 euro, in Romania neanche di


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1.000 euro. Il mio collega breeder è stimolato a fare nuove varietà e ad apportare innovazione, ma il problema è che la nostra varietà italiana, invece di entrare nel registro nazionale italiano ed essere un nostro prodotto, entra in un circuito passando dalla Romania o dalla Grecia (i colleghi greci hanno registrato altre varietà italiane nel loro registro).
A questo punto, se vogliamo mantenere la nostra posizione in Europa e nel mondo, dovremmo fare di tutto per mantenere il miglioramento genetico del riso italiano in Italia, compresa la registrazione della varietà della privativa e per difendere la possibilità di fare nuove varietà, favorendo il miglioramento genetico e la registrazione varietale senza dover andare chissà dove, e trovare il modo di favorire chi produce seme.
L'attività di produzione del seme è infatti estremamente onerosa dal punto di vista economico, perché occorre personale per trattare i campi e occorre proteggere i campi da seme in un modo particolare. Se l'avversità stagionale non favorisce, chi ha speso per fare seme certificato va in perdita. A questo punto è importante chiederci cosa facciamo, perché è un punto di grande delicatezza.

GIUSEPPINA SERVODIO. Ma in questa materia non c'è una regolamentazione?

ELISABETTA LUPOTTO, Direttore del Dipartimento di biologia e produzioni vegetali del CRA. Sì, noi siamo inseriti in una legislazione europea, ma abbiamo il nostro registro nazionale. C'è una registrazione europea, la privativa europea, c'è tutta una normativa, ma, visto che poi andiamo a valle del prodotto, per difendere il made in Italy il passo a monte è la difesa della varietà italiana, che deriva da un nostro miglioramento genetico, soprattutto per quelle specie dove la tipicità territoriale è elevata, e quindi dove la varietà coltivata deriva da una regione particolare (per il frumento duro, ad esempio, è la Puglia).
È chiaro, però, che nel momento in cui la ditta sementiera o produttrice si sposta a produrre il tutto da un'altra parte, automaticamente va dall'altra parte.
Questo è un punto molto importante da tenere ben presente. Tutti coloro che mi hanno fatto da interlocutori prima di questa audizione per darmi la loro opinione mi hanno suggerito soprattutto di sottolineare quanto costa in Italia registrare una varietà.

PRESIDENTE. Ringrazio gli auditi e dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 15,25.

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