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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissione XIII
18.
Mercoledì 4 maggio 2011
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Russo Paolo, Presidente ... 2

INDAGINE CONOSCITIVA SULLA SITUAZIONE DEL SISTEMA AGROALIMENTARE, CON PARTICOLARE RIFERIMENTO AI FENOMENI DI ILLEGALITÀ CHE INCIDONO SUL SUO FUNZIONAMENTO E SUL SUO SVILUPPO

Audizione del sostituto procuratore presso la Direzione nazionale antimafia (DNA), dottor Maurizio de Lucia:

Russo Paolo, Presidente ... 2 5 7 11
De Lucia Maurizio, Sostitutoprocuratore presso la Direzione nazionale antimafia (DNA) ... 2 7 10
Di Giuseppe Anita (IdV) ... 5
Dima Giovanni (PdL) ... 6 10
Fiorio Massimo (PD) ... 6
Fogliato Sebastiano (LNP) ... 6
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro per il Terzo Polo: UdCpTP; Futuro e Libertà per il Terzo Polo: FLpTP; Italia dei Valori: IdV; Iniziativa Responsabile (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, La Discussione): IR; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.

COMMISSIONE XIII
AGRICOLTURA

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta antimeridiana di mercoledì 4 maggio 2011


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE PAOLO RUSSO

La seduta comincia alle 9,10.

(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione del sostituto procuratore presso la Direzione nazionale antimafia (DNA), dottor Maurizio de Lucia.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla situazione del sistema agroalimentare, con particolare riferimento ai fenomeni di illegalità che incidono sul suo funzionamento e sul suo sviluppo, l'audizione del sostituto procuratore presso la Direzione nazionale antimafia (DNA), dottor Maurizio de Lucia.
Do la parola al dottor de Lucia, che ringrazio per aver accolto il nostro invito. Al suo intervento faranno seguito eventuali domande da parte dei colleghi deputati, cui il nostro ospite potrà replicare.

MAURIZIO DE LUCIA, Sostituto procuratore presso la Direzione nazionale antimafia (DNA). Ringrazio per l'invito e spero che quanto dirò possa essere utile ai lavori della Commissione. Quanto segue, naturalmente, è frutto non soltanto dell'esperienza personale e di quella dell'ufficio della Direzione nazionale antimafia cui appartengo, ma, proprio per la collocazione istituzionale come ufficio di coordinamento nazionale delle indagini che riguardano la criminalità organizzata, anche di ciò che è sistematicamente raccolto dall'ufficio in quanto proveniente da indagini di tutte le direzioni distrettuali antimafia italiane.
In particolare, mi occupo, per delega del procuratore nazionale antimafia, anche delle infiltrazioni della criminalità organizzata nel settore dell'agricoltura non soltanto per la produzione, ma anche per la distribuzione e per il commercio dei prodotti agroalimentari.
In questo quadro, la situazione che intendo prospettare è sostanzialmente analoga a quella di altri settori produttivi dell'economia nazionale. Nel settore dell'agricoltura, infatti, l'interesse delle organizzazioni mafiose è lo stesso che si registra in tutti gli altri settori della produzione. Laddove si possono realizzare dei profitti e c'è la possibilità di lucrare su queste attività, le organizzazioni criminali sono presenti e cercano di infiltrarsi.
Il settore dell'agricoltura è, peraltro, tradizionalmente attenzionato dalle mafie. La storia, ad esempio della più importante delle organizzazioni criminali nazionali, ci dice che Cosa nostra nasce sul latifondo e soltanto intorno alla metà degli anni sessanta i suoi interessi si spostano, soprattutto nel settore dell'edilizia, e quindi verso la metropoli.
Proprio Cosa nostra presenta alcuni episodi simbolici che testimoniano l'importanza e l'attenzione che ha verso il


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fenomeno dell'agricoltura. Salvatore Riina agli inizi degli anni Settanta era titolare per mezzo di prestanome - uno di questi era un commercialista massone che si chiamava Pino Mandalari, poi arrestato e processato a Palermo negli anni Novanta - della RISA, evidentemente le iniziali di Salvatore Riina, un'impresa agricola che agiva nel territorio di Corleone.
Tuttavia, l'attenzione delle famiglie mafiose siciliane verso questo settore, sempre a livello simbolico, si rinviene fino agli anni duemila: ho contribuito all'indagine per il processo nei confronti del figlio di Salvatore Riina, Giuseppe Salvatore Riina, il quale, quando fu arrestato nel 2001, era titolare dell'Agrimar, impresa specializzata nella commercializzazione dei trattori. Ci sono tante attività economiche, dunque, nelle quali Cosa nostra siciliana, ma tutte le mafie, sono interessate. Tra queste, però, l'occhio all'agricoltura è tradizionalmente radicato e lo è per una ragione che ci porta, con un salto nel tempo, ai giorni nostri: le organizzazioni criminali, soprattutto le tre principali mafie del sud, 'ndrangheta, camorra e Cosa nostra, sono radicate sul territorio, elemento imprescindibile della loro struttura. Con territorio intendiamo non solo quello metropolitano, ma anche uno più esteso, per cui quelle organizzazioni hanno una possibilità di gestione diretta, con una particolare sensibilità verso determinate attività e determinate zone del territorio stesso.
Rimanendo ancora un momento alla Sicilia, va detto che vi è il grande mercato di Vittoria, uno dei più importanti d'Italia e forse d'Europa, infiltrato dalle organizzazioni mafiose non da ora, ma da sempre. Vittoria dista oltre tre ore di macchina da Palermo, ma da una delle più importanti indagini svolte agli inizi degli anni Duemila dalla Direzione distrettuale antimafia di Palermo, emergeva che, ad esempio, il mercato di Vittoria costituiva un luogo di scambio dei famosi pizzini con i quali Bernardo Provenzano, all'epoca capo indiscusso di Cosa nostra, distribuiva ordini e decisioni ai suoi sodali.
Questo dato è significativo perché significa che, poiché lo scambio di questi famosi pizzini avveniva in luoghi in cui vi era un'assoluta sicurezza da parte dell'organizzazione criminale del controllo di quel territorio, anche il mercato indirettamente poteva definirsi non solo infiltrato ma addirittura controllato dalle cosche mafiose siciliane, in particolare quelle palermitane. Notate bene che era necessario molto tempo per trasmettere i «pizzini», eppure si sceglieva di farli arrivare dall'altra parte della Sicilia per ritrasmetterli magari in luoghi vicini a quello da dove erano partiti. Questo garantiva, però, l'assoluta impermeabilità della comunicazione, che si svolgeva in una situazione di assoluta sicurezza per l'organizzazione proprio perché in luoghi dominati dall'organizzazione stessa.
Oggi, una serie di dati che testimoniano l'interesse delle organizzazioni criminali al settore dell'agricoltura vengono, ad esempio, dalla costituzione dell'Agenzia nazionale per la gestione dei beni sequestrati alla criminalità organizzata. Tale struttura è entrata in funzione lo scorso anno e attualmente ha confiscato 1.323 aziende, di cui 87 nel settore agricoltura, e servizi; ma soprattutto, su 9.660 beni confiscati, 1.941 sono terreni agricoli. Si pone, pertanto, un problema di utilizzazione di questi terreni, di riconversione verso la legalità di questi terreni.
Oggi, inoltre, il problema è dato anche da situazioni diverse da quelle tradizionalmente interessanti per la criminalità organizzata. Mi riferisco, in particolare, al problema della liquidità che investe le organizzazioni criminali in questo momento di crisi economica per il Paese e di grande carenza di liquidità per le imprese. Si verifica, infatti, che le imprese criminali abbiano proprio il problema inverso, ossia quello della grande liquidità.
Mi capita spesso di fare un esempio con riferimento a un sequestro di cocaina avvenuto pochi mesi fa nel porto di Gioia Tauro: ne furono sequestrati 500 chilogrammi, del valore di mercato di 25 milioni di euro. Si tratta di contanti che l'organizzazione criminale ha il problema di riciclare e lo fa guardando con attenzione


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a tutte le piazze dove ciò è possibile, quindi evidentemente laddove ci sono imprese in crisi.
Il fenomeno non riguarda soltanto l'agricoltura, ma un po' tutto il sistema economico. Il rischio, riscontrato non più soltanto nel meridione Italia, ma in tutto il territorio nazionale, in particolare nelle zone più ricche del Paese, e ancora più in particolare in Lombardia, è che l'imprenditore in difficoltà, stante l'oggettiva situazione economica, è portato ad accettare denaro da qualunque parte gli provenga, per cui molto spesso accade che ne accetti senza preoccuparsi da chi proviene - molto spesso da un esponente della criminalità organizzata - con il risultato che in un primo momento l'imprenditore trova soldi freschi per la sua impresa, ma assieme a quelli accetta anche quello che diventa un socio occulto, il camorrista, l'esponente della 'ndrangheta e il mafioso. Questo comporta, evidentemente, la possibilità per le organizzazioni criminali di diventare in un tempo ragionevolmente breve proprietarie di quelle imprese che si rivitalizzano, ma con soldi sporchi. Ciò non soltanto consente il riciclaggio di quel denaro, ma soprattutto l'acquisizione di imprese sostanzialmente sane da parte delle organizzazioni criminali con una serie di vantaggi a cascata per queste ultime perché, naturalmente, l'imprenditore titolare dell'impresa rimane tale e diviene così un prestanome pulito. Si dà in questo modo accesso ai conti bancari, a una partita IVA, si possono gestire ulteriori denari provenienti da traffici illeciti, in particolare quello degli stupefacenti, investendolo in imprese inizialmente sane che appunto vengono infiltrate. Poiché si tratta di un fenomeno che non riguarda una sola impresa, ma una molteplicità di imprese, soprattutto medie e piccole, questo significa che l'intero tessuto economico di una determinata regione rischia di essere inquinato in maniera stabile da presenze mafiose.
Un altro rischio che va segnalato è quello che riguarda l'uso distorto del territorio: registriamo questa situazione soprattutto con riferimento alle zone del meridione d'Italia, dove il controllo del territorio è molto più pervasivo da parte delle organizzazioni criminali. In questo periodo, ad esempio, il tema delle energie alternative e, in particolare, del fotovoltaico, è di particolare rilevanza anche per le organizzazioni criminali: non si tratta di considerare migliore una scelta energetica piuttosto che un'altra, ma di considerare che, qualunque essa sia, le mafie vi sono interessate e cercano comunque di sfruttarla nel migliore dei modi possibili.
Con riferimento al fotovoltaico, per un mafioso non conta tanto impadronirsi degli incentivi di quest'attività, quanto sfruttare il territorio, che potrebbe utilmente essere sfruttato per attività agricola, per collocarvi pannelli fotovoltaici. Questi possono essere installati in diversi spazi e l'opzione del territorio agricolo è solo una di queste. Quando la mafia si interessa di convertire un territorio agricolo in uno in cui collocare pannelli, lo fa per lucrare nell'immediatezza, per sfruttarlo secondo i suoi canali tradizionali: l'acquisizione a prezzi di favore con minacce, estorsione dei terreni da parte dei proprietari e vendita dei terreni a chi vi colloca impianti fotovoltaici.
Esiste una serie di rimedi possibili. Naturalmente, il primo di questi sta nel sapere chi ha sviluppato la filiera dell'acquisto e quindi nel controllare personalmente i soggetti che hanno effettuato l'acquisizione dei territori, sui quali hanno poi promosso la collocazione degli impianti fotovoltaici. È necessario, inoltre, controllare le società che hanno collocato gli impianti perché la loro serietà è misurabile con una serie di parametri, come il tipo di garanzie che offrono. Sul lungo periodo, infatti, c'è un rischio ulteriore: se la società che ha collocato i pannelli fotovoltaici non è seria, ma infiltrata da criminali, i pannelli fotovoltaici possono restare sul terreno anche dopo aver esaurito la loro funzione, ammesso che siano riusciti a esercitarla. In questo modo, non soltanto quel terreno non avrà avuto per molti anni la sua destinazione naturale - la produzione agricola - ma sarà inquinato dai pannelli abbandonati.


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Un altro punto che forse le nostre investigazioni hanno individuato come quello di maggiore sviluppo degli interessi criminali nel settore agroalimentare è quello della distribuzione. Parliamo, in particolare, del controllo dei mercati, e in particolare di due specifici, quello di Vittoria, cui ho già fatto riferimento, e quello di Fondi.
Sul mercato di Fondi sono state condotte indagini dalla direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria, di Roma e di Napoli, che ci ha rivelato un'alterazione della concorrenza in forza della minaccia criminale. Ciò fa sì che, ad esempio, il ruolo dei commissionari non sia più quello naturale, ossia di spuntare il miglior prezzo in favore dei produttori e far funzionare il mercato come dovrebbe, ma di agire come punto di riferimento esclusivamente dai produttori mafiosi. Questi impongono il prezzo, il che comporta alterazioni che danneggiano anche il consumatore perché i prezzi determinati per forza mafiosa non sono stabiliti dalla concorrenza, con quanto ne consegue.
Abbiamo registrato, inoltre, anche una sorta di monopolio sostanziale - ancora imposto in forza di mano mafiosa, attraverso la minaccia, talvolta implicita - nel trasporto dei prodotti ortofrutticoli, soprattutto dal sud al nord Italia, attraverso lo snodo oramai nevralgico del mercato nazionale, che è il mercato di Fondi. La situazione di monopolio in cui avviene questo trasporto fa sì anche qui che non soltanto, da un lato, la mafia lucri direttamente attraverso una gestione diretta di questi trasporti, ma dall'altro, il mercato ne subisca un vulnus significativo, essendo il monopolio il contrario del mercato. Questo ha comportato e comporta una sensibile lievitazione dei prezzi dei prodotti agroalimentari del sud quando vengono venduti, in particolare sulle piazze del nord Italia.
In buona sostanza, la situazione è molto complessa e questo per flash è lo stato dei punti evidenziati dalle investigazioni di questi anni rispetto all'interesse criminale nei confronti del settore agroalimentare, ma ripeto che l'interesse di tutte le forme di criminalità organizzata che conosciamo è generalmente esteso a tutti i luoghi dove si produce denaro. Un interesse particolare è proprio quello della penetrazione nei mercati leciti, a causa del grande guadagno ottenuto attraverso attività illegali. Il principale problema delle mafie è infatti proprio quello di trasportare masse di denaro nei mercati legali. Tra questi, quello dell'agroalimentare è certamente individuato dalle mafie come uno dei mercati dove maggiore è l'interesse a penetrare proprio per questo scopo. Ciò determina una penetrazione e addirittura l'acquisizione di territori fino a qualche anno fa non infettati dalla presenza mafiosa.
Presidente, mi fermerei qui. Resto a disposizione per approfondire qualunque profilo.

PRESIDENTE. Do la parola ai deputati che intendano porre quesiti i formulare osservazioni.

ANITA DI GIUSEPPE. Anch'io ringrazio il dottor de Lucia. La sua relazione è stata non solo esaustiva, ma ha trattato uno degli argomenti più importanti: l'uso distorto del territorio (soprattutto per quanto riguarda il fotovoltaico) da parte delle associazioni criminali.
Il fotovoltaico è uno nei modi per produrre energia pulita e c'è adesso una certa diffidenza proprio sull'impianto di strutture fotovoltaiche a causa di questo modo di agire. Per noi dell'Italia dei Valori, che siamo contro il nucleare, è chiaro che la possibilità da parte dell'agricoltore di offrire il proprio terreno per installare impianti fotovoltaici è anche un modo per migliorare il reddito dell'agricoltore stesso, sul quale la mafia interviene.
Lei ci ha descritto molto bene l'interesse che Cosa nostra nutre per il settore agroalimentare, non solo per la distribuzione e la commercializzazione, ma anche per la contraffazione. Io ho scambiato alcune opinioni con lei poco fa sottolineando che soprattutto occorre uno sviluppo economico di quel territorio, per cui deve essere innanzitutto lo Stato a migliorare


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la situazione. Ho, inoltre, constatato che in quelle zone c'è un grande bisogno di educare alla legalità, e ciò deve avvenire soprattutto all'interno della scuola.
Lei ci ha descritto la situazione come è, ma in che cosa consiste in realtà il vostro lavoro? Come agite su questi fenomeni? Qual è la vostra azione? Poiché la nostra indagine conoscitiva deriva proprio dalla preoccupazione che il settore alimentare possa soccombere in questa situazione di illegalità, vorrei sapere qual è il vostro ruolo in tale ambito.

MASSIMO FIORIO. Dalla relazione si evince che le organizzazioni malavitose si stanno muovendo nell'ambito dell'agricoltura anche con una certa capacità di cogliere delle opportunità in questo settore, che sta dando in questi anni interessanti novità, ad esempio sul versante dell'energia. Il quadro da lei offerto è risultato ancora più interessante nel momento in cui ha anche rappresentato la capacità e pervasività delle organizzazioni malavitose di crescere nella filiera non soltanto delle produzioni, ma anche degli elementi di distribuzione. Questo è motivo di preoccupazione e noi da qualche mese stiamo affrontando quest'indagine e venendo a conoscenza di una grande capacità delle organizzazioni malavitose di crescere e di essere molto mobili, al fine di cogliere le opportunità offerte da questo settore.
Agganciandomi all'intervento precedente, vorrei conoscere il tipo di attività che state svolgendo anche rispetto a queste nuova opportunità e sapere se avete dati della distribuzione dal sud verso il nord del Paese, verso le grandi catene distributive.
Vorrei anche notizie sui controlli delle risorse pubbliche. Quello dell'agricoltura è, infatti, un settore fortemente sostenuto da politiche e risorse pubbliche: quali sono gli strumenti per controllare la distribuzione di risorse presso le aziende «in odore di mafia o di camorra» rispetto alle produzioni e alla capacità di muoversi sul mercato?

SEBASTIANO FOGLIATO. Ringrazio, anche a nome del Gruppo della Lega, il dottor de Lucia della Direzione nazionale antimafia per lo spaccato che ha fornito alla nostra indagine conoscitiva. Di alcune informazioni eravamo già venuti a conoscenza nelle precedenti audizioni, ma lei ci ha illustrato comunque un quadro importante.
Credo che l'aspetto più interessante, cui si è accennato anche nell'audizione di ieri, sia rappresentato, oltre che dalla presenza della criminalità organizzata nel mercato ortofrutticolo, dalla filiera dei mercati che continuano a trattare prodotti a 30 o a 40 centesimi al chilogrammo. Questa filiera non può che avere un'origine illegale, che crea una concorrenza sleale nei confronti delle aziende, una sorta di mercato parallelo. Mi chiedo come possa accadere che tutti i giorni i prezzi possano essere così bassi. Basta fare due conti per capire che la filiera non è remunerata, non solo, cioè, non paga i contributi INPS, ma non ripaga neanche chi ci lavora.
Sul fotovoltaico fate bene ad «accendere un faro» sui grandi impianti di aziende che si improvvisano generando attività nell'ambito delle energie rinnovabili. Giustamente, oltretutto, avete accennato al problema del successivo smaltimento, una volta cessata la funzione dell'impianto. Se alle spalle vi è, infatti, un'azienda criminale, è ovvio che dopo i 15 o 20 anni, o quale che sia la durata di una pannello solare, l'impianto viene abbandonato ponendo problemi anche dal punto di vista ambientale, che a noi sta a cuore.
Vorrei chiedere se siete a conoscenza di organizzazioni criminali, l'avete prima accennato, che nel nord aggrediscono e acquistano aziende del settore agroalimentare intrecciandone la gestione a fenomeni come l'usura o simili.

GIOVANNI DIMA. Ringrazio il nostro ospite e gli pongo direttamente tre questioni. Innanzitutto, non mi è chiaro il meccanismo riguardante l'installazione dei pannelli solari. Intanto, c'è un problema legato alla verifica delle società che si


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propongono. I primi enti interessati dalla concessione per l'installazione di pannelli fotovoltaici sono i comuni, che devono comunque concedere un'autorizzazione: come possono questi capire fino in fondo se dietro una società c'è anche la mano della mafia? Non è problema semplice e, comunque, nell'immediatezza c'è il rischio di alterare il rapporto con le municipalità in quanto le stesse, soprattutto in questo periodo, sono sempre alla ricerca di investimenti sui propri territori per creare non solo ritorni economici al proprio ente, ma anche opportunità per favorire processi di sviluppo. Si sta diffondendo, ad esempio, la pratica di installare pannelli fotovoltaici sulle serre. Questo significa che il produttore agricolo, o comunque le aziende che investono, hanno un doppio risultato: da un lato, un'attività prettamente agricola e, dall'altro, il ritorno che la produzione di energia solare riflette positivamente nell'economia delle aziende e più complessivamente. Molti territori, tra l'altro, sono ormai non più utilizzati ai fini dell'attività agricola, per cui c'è una tendenza abbastanza diffusa a occuparli per altre attività, come quelle derivanti dall'installazione di pannelli fotovoltaici.
Del binomio Vittoria-Fondi abbiamo già sentito parlare ieri sera, ne abbiamo parlato anche in altre occasioni. Vittoria è storicamente un'area di grande produzione, soprattutto di ortofrutta; Fondi è ormai diventato storicamente il grande mercato del centro-sud, ma ormai ha caratteristiche anche di grande mercato europeo. Per questo, in occasione dell'audizione di ieri ho chiesto - e lo chiedo anche a lei - se si hanno notizie - anche rispetto alla «triangolazione» di produzioni di origine non italiane, ma europee o nordafricane (che avviene spesso attraverso la Spagna), che finiscono sul mercato di Fondi - di una presenza della mafia.
Faccio, infine, un'osservazione personale. Lei parla di Gioia Tauro e del sequestro di 500 chilogrammi di droga per un valore nominale di 25 milioni di euro, per cui molti, giustamente, si pongono la domanda di come potrà la mafia reinvestire questa cifra. Vorrei anche qui essere forse un po' in controtendenza: sappiamo benissimo che la mafia deve distribuire questa risorsa in mille rivoli. Attività di questa natura coinvolgono, infatti, vari livelli di stratificazione mafiosa sul territorio, per cui queste risorse spesso non si riconducono a un'unica cassa centrale e la mafia, nella frammentazione del ricavo di quest'attività nello spaccio di droghe, trova maggiore facilità nell'investire risorse in questi segmenti più piccoli.

PRESIDENTE. Aggiungerei un elemento, dottor de Lucia. Ci diceva che le organizzazioni criminali intervengono generando un'azione distorsiva sul fronte dei prezzi: a loro risulta che accanto a quest'azione criminale vi sia anche un'azione distorsiva sul fronte dei prodotti, privilegiando i prodotti di alcune aziende a discapito della concorrenza?
Inoltre, vi risulta o vi sono indagini in corso circa infiltrazioni in aziende partendo anche dalla criticità della condizione finanziaria dell'azienda attraverso fenomeni di usura, utilizzando le difficoltà di accesso al credito?
Infine, avete elementi sulla possibilità che la criminalità organizzata incida e, se sì, come, nei confronti della grande distribuzione sul fronte non solo prezzi, ma dei prodotti, imponendo o determinando l'acquisto di taluni prodotti a discapito di altri?
Do la parola al nostro ospite per la replica.

MAURIZIO DE LUCIA, Sostituto procuratore presso la Direzione nazionale antimafia (DNA). Su come agiamo posso dare solo una breve illustrazione perché ripeto che siamo soltanto un'articolazione della risposta repressiva ai fenomeni della criminalità organizzata, quella giudiziaria. Come è noto, infatti, partendo da un'idea promossa da Giovanni Falcone, che non fu realizzata secondo il suo intendimento, ma di fatto fu realizzata tra il 1991 e il 1992, accanto alla DIA (Direzione investigativa antimafia) - so che ieri avete ascoltato il dottor Girone - fu istituita la Direzione


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nazionale antimafia, che si compone allo stato di un procuratore nazionale antimafia e di venti sostituti procuratori nazionali antimafia che hanno non compiti investigativi, ma di coordinamento e impulso delle attività di indagine di tutte le direzioni distrettuali antimafia sul territorio. Ce n'è una per ogni corte d'appello.
La nostra funzione è quella di assumere informazioni, sviluppare analisi e indicare luoghi di impulso per le attività di investigazione delle direzioni distrettuali antimafia. In qualche misura confezioniamo anche delle notizie di reato sulla scorta di quanto acquisiamo da tutte le fonti di conoscenza che abbiamo.
Con particolare riferimento al settore agroalimentare, al di là delle evidenze alle quali ho fatto riferimento, ne sono emerse delle altre, come lo sfruttamento della manodopera clandestina e si sono svolte indagini, ora in stato avanzato (in particolare nella zona di Reggio Calabria), come le attività della procura non distrettuale di Palmi a proposito dei noti fatti di Rosarno. Il nostro compito è anche quello di evidenziare momenti di criticità - e utilizzerò le mie conoscenze per rispondere anche alle domande dei suoi colleghi - anche per individuare degli strumenti in qualche misura di prevenzione, che evitino l'intervento penale, che dovrebbe appartenere soltanto al momento patologico e, nel migliore dei mondi possibili, non dovrebbe esserci, perché tutto dovrebbe funzionare in maniera tale da limitare l'intervento del giudice ai fenomeni di devianza individuale. Qui siamo, invece, in presenza di complessi fenomeni di aggressione da parte di forme organizzate di criminalità al vivere sociale.
Un'indicazione che in qualche misura può rispondere anche ad alcune delle domande dei suoi colleghi è data dalla tracciabilità dei flussi finanziari, tema generale di contrasto alle mafie, che deve essere attenzionato anche con riguardo al settore agroalimentare. Già nel mondo degli appalti pubblici i pacchetti antimafia del 2009 e del 2010 hanno dato un significativo contributo, ma una delle grandi difficoltà della mafia è proprio il riciclaggio del denaro, il momento in cui si passa dal cash al mercato finanziario, in cui il denaro deve diventare contabilizzato, moneta elettronica, ed entrare nel circuito finanziario bancario. Questo è il punto debole della catena e molto spesso è lì che si può incidere. Un controllo della filiera finanziaria, sapere da dove vengono i soldi, è uno strumento assai efficace di prevenzione per impedire il riciclaggio e l'infiltrazione mafiosa in tutti i settori produttivi, incluso quello economico.
Venendo, invece, ai termini della distribuzione e delle risorse pubbliche, sulle risorse non c'è dubbio che le investigazioni svolte fino a questo momento dimostrino come questo sia un settore tradizionalmente di interesse delle organizzazioni mafiose. Quando Cosa nostra era Cosa nostra, negli anni ottanta soprattutto, nel momento di maggiore forza dell'organizzazione - sovrana nel traffico internazionale di stupefacenti - non disdegnava affatto le frodi, in particolare nel settore agrumicolo. I Greco di Ciaculli - stiamo parlando del Papa della mafia - avevano enormi quantità di aranceti e le truffe all'allora AIMA erano assolutamente consistenti dal punto di vista economico. Questa tradizione è continuata e continua fino a oggi.
Devo dire che sul piano dei finanziamenti europei, in particolare i fondi FEAGA-FEASR (Il Fondo europeo agricolo di garanzia e il Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale), dei POR (Programmi operativi regionali), emerge un sensibile interessamento delle organizzazioni criminali, per la verità qui non soltanto di quelle di tipo mafioso, perché abbiamo, ad esempio, fenomeni di frodi comunitarie anche nel nord Italia piuttosto significativi che con le organizzazioni criminali c'entrano poco.
Da questo punto di vista, tuttavia, bisognerebbe spezzare una lancia a favore del nostro Paese: se è vero, infatti, che sul piano statistico risultiamo, dopo la Bulgaria e il Belgio, quelli in chiave europea con maggiori fondi da recuperare perché erogati in maniera irregolare, questo non dipende però soltanto dal livello di penetrazione


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della criminalità in questo settore, ma anche dalla qualità della repressione, che in questo Paese è più efficiente che in altri Paesi. Molti Paesi europei, infatti, chiudono un occhio e risultano così i primi della classe, e quindi hanno maggiori pretese di ricevere fondi che non vengono erogati a quei Paesi nei quali, invece, il livello delle denunce è più alto. Bisogna stare molto attenti, dunque, nell'analisi completa di tutti gli aspetti perché se noi abbiamo seri problemi di infiltrazione criminale, è anche vero che il nostro sistema repressivo è sicuramente più efficiente di quasi tutti gli altri sistemi repressivi europei, che spesso fanno finta di non vedere i problemi di infiltrazione mafiosa. La Germania ha ignorato l'esistenza della 'ndrangheta fino alla strage di Duisburg, quando all'improvviso ne ha scoperto la presenza.
Questo è un problema che riguarda quasi tutta l'Europa perché, appunto, mentre noi continuiamo ad avere anche problemi di frontiere, i primi ad averle abolite sono proprio le organizzazioni criminali che gli affari li fanno in qualunque parte d'Europa diventi conveniente farne.
Abbiamo parlato del fotovoltaico e dell'interesse delle organizzazioni criminali al territorio sul quale si collocano gli impianti, ma naturalmente anche qui l'interesse sarebbe lo stesso ove ci occupassimo di energia nucleare. In quel caso il problema è dei terreni sui quali collocare gli impianti. Adesso l'attenzione, per quello che siamo in grado di comprendere, è sul fotovoltaico, ma fino a poco tempo fa era sull'eolico, come avveniva in Sicilia per una ragione apparentemente banale ma significativa. Come è noto, infatti, le pale devono essere montate su torri di cemento armato di un'altezza di circa 80 metri e il ciclo del cemento è tradizionalmente affare delle organizzazioni criminali meridionali, in particolare di Cosa nostra, che per un lungo periodo di tempo ha gestito in una situazione di monopolio le cave in tutta la Sicilia.
Anche gli Stati Uniti, infatti, in particolare lo Stato di New York, in un certo periodo di tempo hanno avuto il problema delle infiltrazioni criminali nel ciclo del cemento e hanno nazionalizzato le imprese che lo producevano per un periodo di tempo credo di due anni, dopodiché l'hanno restituito al mercato consentendo così una depurazione dalla presenza criminale. Nella Sicilia occidentale, in maniera non programmata, è avvenuta la stessa cosa: per quello che mi risulta dai dati del tribunale delle misure di prevenzione di Palermo, tutte le cave di quella provincia sono in questo momento sotto amministrazione giudiziaria. Questo ha fatto venire meno l'interesse delle organizzazioni criminali a investire su quel tipo di energia alternativa in mancanza dell'interesse di collocare il cemento che prima produceva. Così anche per questo motivo l'interesse si sposta verso il settore del fotovoltaico.
Quanto alla collocazione degli impianti, anche qui dobbiamo partire dal basso. Al di là dei loro consiglieri, che danno direttive di ordine generale, la mafia cerca di fare le cose semplici, elementari, quelle in cui può trarre profitto senza particolari complessi esercizi intellettuali. Naturalmente, il problema non è quello dell'imprenditore agricolo che possiede la serra e ci colloca sopra l'impianto fotovoltaico, che mi pare una buona cosa, salvo scoprire se questo imprenditore è per bene, ma questo vale in tutti i casi; il problema è rappresentato dalle attività di speculazione su terreni originariamente destinati a una collocazione agricola magari fruttuosa. La mafia procede come tutte le volte che deve entrare in un nuovo settore, ovvero acquisisce a prezzi non di mercato i terreni - e qui agisce anche in maniera non particolarmente manifesta l'intimidazione mafiosa - e sfrutta quei terreni secondo il massimo rendimento possibile, che in questo momento può essere dato dalla collocazione di pannelli fotovoltaici.
Quanto al controllo su questo tipo di attività, una parte della procedura è affidata alle amministrazioni comunali, ma non sono soltanto queste a decidere sulla collocazione degli impianti. In Sicilia, ad esempio, il livello decisionale è quello della regione, dopodiché si tratta anche qui di


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effettuare, se possibile, il minimo dei controlli possibile, ma efficienti, e quindi ad esempio sapere chi è il soggetto che chiede l'installazione dell'impianto, valutare se quel terreno aveva prima una destinazione economicamente efficiente o meno, e soprattutto capire chi è la società che si propone per l'impianto...

GIOVANNI DIMA. Come fanno a verificare?

MAURIZIO DE LUCIA, Sostituto procuratore presso la Direzione nazionale antimafia (DNA). Precisavo di proposito che la decisione non è soltanto del comune. Esistono diversi step di controllo. Devo dire che questo non è un problema nostro, ma è chiaro che va fatta un'attività di verifica della società. Le garanzie che la società può offrire sono una cartina di tornasole interessante. Ci si potrebbe chiedere, ad esempio, come fanno le banche a erogare o meno un finanziamento: hanno le loro fonti di conoscenza. Sono tutti i parametri ai quali si può fare riferimento su un piano di intervento che non è quello penale, ma di prevenzione chiamiamola «sana».
A proposito del riciclaggio, c'è un'impostazione che va corretta: non è affatto vero che esiste una frammentazione dei guadagni delle organizzazioni criminali. Se fosse vero, poiché in questo momento non c'è dubbio che la più ricca delle organizzazioni criminali sia la 'ndrangheta, dovremmo assistere in Calabria a un vero e proprio boom economico. La 'ndrangheta, al contrario, fa tutto tranne che investire in Calabria. Esistono grandi masse di denaro che sono investite dove producono quanta più ricchezza è possibile, dunque non in Calabria, e le strutture criminali non sono frammentate, tendono piuttosto sempre più a seguire il modello di Cosa nostra che, come è noto, è verticistico.
La più importante delle organizzazioni camorristiche, quella dei Casalesi, si stava strutturando - ora, per fortuna, ha problemi che dipendono dalla repressione penale di polizia - proprio sul modello di Cosa nostra, dunque con una struttura verticistica. Teniamo presente che gli affiliati alle organizzazioni criminali ai livelli più bassi in realtà guadagnano pochissimo (sono i capi ad accumulare grandi quantità di denaro). Gli affiliati spesso non dico che ci perdono, ma hanno stipendi da fame, i loro ritorni sono altri. In una certa cultura, ad esempio, un momento esaltante della vita è rappresentato dall'acquisire lo status di uomo d'onore in Sicilia o di combinato nella 'ndrangheta in Calabria, ma i capi pagano molto poco.
Il denaro, quindi, rimane concentrato in poche mani, che lo investono dove meglio possono, compreso il settore agroalimentare e la sua grande distribuzione. Abbiamo anche qui processi che hanno avuto sviluppi molto interessanti. In Sicilia, ad esempio, le acquisizioni investigative che dal 2006 a oggi hanno caratterizzato la ricerca del più noto dei latitanti in questo momento in circolazione, Matteo Messina Denaro, costituite anche da documenti, in particolare quelli rinvenuti a Montagna dei Cavalli con l'arresto di Bernardo Provenzano e con la cattura di Salvatore Lo Piccolo, testimoniano di concreti interessi a entrare nel settore della grande distribuzione. È stato arrestato, processato e condannato un imprenditore siciliano di nome Grigoli, prestanome di Matteo Messina Denaro, proprio nel settore della grande distribuzione.
La grande distribuzione alimentare coinvolge anche, ad esempio, il tema dei centri commerciali più in generale, dove Cosa nostra, e le organizzazioni mafiose in genere, si muove secondo i criteri che ho illustrato, quindi acquisendo il terreno dove il centro commerciale può sorgere. Il primo vantaggio sta nell'essere monopolista nella cessione dei terreni alla società che deve installare il centro commerciale. C'è poi la trattativa con la società, nel corso della quale ci si spartiscono i lavori necessari per edificare i centri, che devono essere appannaggio di imprese mafiose. Ci si accorda sulle assunzioni, molto spesso decise dal capomafia. Ci si accorda anche, nell'ipotesi di centri commerciali caratterizzati da alcuni grandi store, anche del settore agroalimentare, e da diversi negozi,


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una parte dei quali spesso è trattata come già nella proprietà della famiglia mafiosa del luogo.
Tutto questo, naturalmente, comporta per l'impresa del centro commerciale una serie di vantaggi: tanti problemi, pensiamo ai sindacati, non ci sono nel momento in cui a gestire l'affare è il capomafia della famiglia locale; ma per il capomafia i vantaggi sono notevolissimi, da quelli economici, che dipendono da quanto ha lucrato sul terreno, all'essersi impossessato dei negozi e, soprattutto, all'avere procurato posti di lavoro a una larga parte della popolazione di un paese. Infatti, quei posti di lavoro non saranno riconosciuti all'impresa, nell'immaginario della popolazione, ma al capo mafia che li ha procurati, generando così un indotto di voti che andranno in una certa direzione anziché in un'altra.
La presenza è riscontrata da una serie di indagini in questo settore della grande distribuzione ed è, dunque, particolarmente pericolosa per gli effetti indotti che creano anche di consenso sociale alle mafie.
Infine, non c'è dubbio che la lunghezza della filiera faccia di per sé lievitare i costi (in questo caso una lunghezza del tutto artificiosa perché dipende dalle scelte dell'organizzazione mafiosa che in regime di monopolio la gestisce), determinandone i prezzi, ed eliminando la concorrenza con passaggi molto spesso fittizi.
Tutto questo dipende anche da un altro dato, e cioè dalle dimensioni delle imprese agricole, che sono molto spesso medio-piccole o piccole. Naturalmente, quanto più è piccola l'impresa, tanto più è soggetta alla pressione del mafioso perché più facilmente possono verificarsi fenomeni di minaccia o anche di offerta. Si citava prima il caso dell'usura con prestiti in denaro che comportano non la restituzione del prestito a elevato tasso di interesse, ma l'espropriazione dell'impresa.
Credo che questo mi consenta di rispondere all'ultima domanda che il presidente ha formulato a proposito dei momenti di criticità economica e della possibilità di penetrare nel sistema agroalimentare quando l'impresa è in crisi. Il meccanismo è proprio questo. Si offre denaro a tassi usurari, ma non è neanche necessario che vi sia un tasso d'usura: l'importante è che si crei un canale tra il mafioso che offre e l'imprenditore che riceve. In questo canale la minaccia non compare, essendo invece evidente solo il vantaggio per l'imprenditore, soprattutto uno di una realtà non tradizionalmente permeata da fenomeni mafiosi, come il nord Italia, che è meno sensibile a cogliere che dietro l'offerta di danaro può esserci una presenza mafiosa. Tale presenza sarà scoperta quando sarà troppo tardi, quando sarà fatto notare all'imprenditore che la gran parte degli investimenti che hanno tenuto in piedi la sua impresa e magari l'hanno fatta sviluppare vengono, appunto, dall'«amico» che aveva offerto il denaro. Quello è il momento in cui, se del caso, interviene anche la minaccia, che fa capire all'imprenditore, soprattutto se piccolo, che oramai l'imprese è persa e che lui da proprietario dell'impresa diventa un dipendente al soldo del vero proprietario, ovvero chi ha portato i soldi, il mafioso.

PRESIDENTE. Ringrazio il dottor de Lucia per averci offerto un punto di vista straordinariamente pertinente rispetto ai lavori che andiamo facendo e utile alla nostra riflessione. Si percepisce un altro elemento: la consapevolezza di una criticità straordinaria dal punto di vista delle infiltrazioni nella filiera agroalimentare, ma anche la percezione di un sistema investigativo di controllo e di repressione che mi pare particolarmente efficace nel nostro Paese.
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 10,05.

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