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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissione XIII
21.
Mercoledì 13 luglio 2011
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Russo Paolo, Presidente ... 2

INDAGINE CONOSCITIVA SULLA SITUAZIONE DEL SISTEMA AGROALIMENTARE, CON PARTICOLARE RIFERIMENTO AI FENOMENI DI ILLEGALITÀ CHE INCIDONO SUL SUO FUNZIONAMENTO E SUL SUO SVILUPPO

Audizione del professor Gian Maria Fara, presidente dell'Istituto di studi politici economici e sociali (Eurispes):

Russo Paolo, Presidente ... 2 3 5 6 9
Cenni Susanna (PD) ... 4
Delfino Teresio (UdCpTP) ... 4
Di Giuseppe Anita (IdV) ... 4
Dima Giovanni (PdL) ... 5
Fara Gian Maria, Presidente dell'Istituto di studi politici economici e sociali (Eurispes) ... 2 6
Oliverio Nicodemo Nazzareno (PD) ... 5

ALLEGATO: Documentazione consegnata dal professor Gian Maria Fara, presidente dell'Istituto di studi politici economici e sociali (Eurispes) ... 10
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro per il Terzo Polo: UdCpTP; Futuro e Libertà per il Terzo Polo: FLpTP; Italia dei Valori: IdV; Popolo e Territorio (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, La Discussione): PT; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling; Misto-Repubblicani-Azionisti: Misto-R-A.

[Avanti]
COMMISSIONE XIII
AGRICOLTURA

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di mercoledì 13 luglio 2011


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE PAOLO RUSSO

La seduta comincia alle 12,35.

(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'impianto audiovisivo a circuito chiuso e la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Audizione del professor Gian Maria Fara, presidente dell'Istituto di studi politici economici e sociali (Eurispes).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla situazione del sistema agroalimentare, con particolare riferimento ai fenomeni di illegalità che incidono sul suo funzionamento e sul suo sviluppo, l'audizione del professor Gian Maria Fara, presidente dell'Istituto di studi politici economici e sociali (Eurispes).
Ringrazio il professor Gian Maria Fara per aver accolto prontamente il nostro invito, che è stato sollecitato dall'interesse suscitato dal recente Rapporto sulle agromafie che l'istituto ha elaborato in collaborazione con la Coldiretti.
Do subito la parola al professor Fara. Al suo intervento faranno seguito eventuali domande da parte dei deputati alle quali il nostro gradito ospite potrà replicare.

GIAN MARIA FARA, Presidente dell'Istituto di studi politici economici e sociali (Eurispes). Grazie, presidente, e buongiorno a tutti. Un ringraziamento particolare va alla Commissione per questa convocazione, che considero un segno di attenzione nei confronti del lavoro, spesso ingrato, che l'Eurispes conduce su temi e argomenti fortemente critici.
Vi ho portato stamattina alcune copie del Rapporto sulle agromafie presentato nei giorni scorsi insieme alla Coldiretti. Ne ho portate solo tre perché stiamo provvedendo a ristamparlo, però mi impegno a farne pervenire una copia nei prossimi giorni a ciascuno dei componenti della Commissione. Penso che per questo primo approccio tre copie possano essere sufficienti.
Per non tediarvi con dati, statistiche e tabelle ho preparato un breve appunto, che vi lascerei, sostitutivo di una pretesa relazione, che non ho naturalmente alcuna intenzione di svolgere questa mattina. Preferirei, invece, rispondere alle domande che gli onorevoli membri della Commissione decideranno di pormi.
Svolgo solo alcune brevissime considerazioni. All'interno del Rapporto noi abbiamo segnalato due grandi criticità, che credo rappresentino il tratto essenziale della ricerca.
La prima criticità è data dalla forte presenza delle organizzazioni mafiose, della criminalità organizzata, nel settore dell'agricoltura, sia nel settore della produzione, sia in quello della trasformazione e della distribuzione di prodotti agroalimentari.
Siamo riusciti a calcolare, in collaborazione con la Procura nazionale antimafia e con alcuni magistrati impegnati sul territorio nella lotta alla mafia, in circa


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12,5 miliardi di euro il fatturato - chiamiamolo così - complessivo delle agromafie, cioè delle organizzazioni criminali, all'interno del settore agroalimentare, che, come già detto, si articolano nei settori produzione, trasformazione e distribuzione.
Si consideri che, secondo nostre stime piuttosto recenti, stime di alcuni anni fa che andranno evidentemente adeguate e aggiornate (le stime che produciamo sono sempre approssimate per difetto, trattandosi di cifre difficili da quantificare) il fatturato complessivo delle organizzazioni criminali, 'ndrangheta, camorra, sacra corona unita e cosa nostra, si aggira intorno ai 220 miliardi di euro. Di conseguenza, il fatturato di 12,5 miliardi di euro legato al settore agroalimentare rappresenterebbe il 5-7 per cento del fatturato complessivo delle organizzazioni criminali. Questo è il dato, secondo me, più forte e interessante.
Un altro dato che, invece, ha poco a che fare con le organizzazioni criminali, ma alla formazione del quale anche le organizzazioni criminali contribuiscono è quello dell'italian sounding, cioè della falsificazione di prodotti alimentari che vengono poi messi in commercio in Italia, ma anche a livello internazionale, e che producono un fatturato complessivo che si aggira tra i 51 e i 60 miliardi di euro.
Mi riferisco a tutti quei prodotti che recano impropriamente il marchio, lo stemma o la denominazione di prodotto italiano, ma che di italiano in effetti non hanno assolutamente nulla. Sono prodotti messi a punto in altri Paesi europei e che si richiamano spesso, almeno in termini semantici, a prodotti italiani di larghissima fama - basti pensare al parmesan, che scopiazza il parmigiano, o a presunti prosciutti di Parma - per i quali viene utilizzato il marchio Italia.
La credibilità e l'apprezzabilità del brand italiano vengono utilizzate per mettere in circolazione prodotti che di italiano non hanno nulla. Questo è il quadro per quanto riguarda l'attività all'esterno a danno dei nostri prodotti. Sono prodotti realizzati fuori Italia, contraffatti, spesso importati anche in Italia. Li troviamo anche sugli scaffali di alcuni supermercati e tutto ciò evidentemente crea un danno notevole alla nostra agricoltura e impone o imporrebbe l'adozione di misure più forti e serie a livello europeo a tutela dei nostri marchi.
Noi sappiamo che tutto ciò che è italiano, l'italian style, nel mondo ha un larghissimo successo e non possiamo consentire che il nostro nome, insieme alla nostra storia, alla nostra cultura, alla nostra tradizione sul fronte della produzione, possa essere utilizzato da altri, a danno peraltro della nostra economia.
Voi sapete meglio di me che la moneta cattiva scaccia sempre quella buona. Quando un consumatore tedesco, francese o americano si ritrova su uno scaffale un prodotto che apparentemente potrebbe essere individuato come italiano magari a fianco a un prodotto effettivamente italiano, sceglie quello più economico. Il danno è chiaro ed evidente.
Io ho la sensazione, e noi lo segnaliamo anche all'interno del Rapporto, che forse il nostro Paese anche a livello comunitario faccia poco per tutelare i nostri marchi e la nostra produzione. Grazie.

PRESIDENTE. Proverò a svolgere una riflessione e a porre una domanda al professore. Ovviamente, mi periterò di leggere in modo più approfondito questo primo Rapporto, di cui avevo letto alcuni stralci da interventi sui giornali e del quale autorizzo fin d'ora la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna (vedi allegato).
Dal suo osservatorio privilegiato nell'affrontare questa questione, che cosa pensa del sistema dei controlli nel nostro Paese? In Europa e nel mondo, il sistema della nostra tracciabilità, la sicurezza dal punto di vista soprattutto del profilo della salute, il sistema dei controlli nella sua complessità quali criticità presenta? Necessita, in relazione alla parte che può riguardarci, di sollecitazioni dal punto di vista emendativo e di miglioramento della performance legislativa? C'è la necessità di metterci mano? Ritiene che possa essere uno degli elementi di criticità sui quali intervenire?


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Do la parola ai deputati che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

SUSANNA CENNI. Ringrazio il professore per la sua presenza e per le informazioni che ci ha riferito, ma soprattutto per il lavoro che è stato svolto dall'Eurispes su questo tema.
Ho avuto modo di sentire il dibattito che si è svolto a Cernobbio durante il forum della Coldiretti che preannunciava il Rapporto Eurispes e, quindi, anche di vedere situazioni inquietanti che sono state proiettate in quel momento.
Ovviamente, essendo insieme al presidente uno dei componenti della Commissione bicamerale sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti, anticipo che il PD in tale sede chiederà di compiere un lavoro congiunto fra quella Commissione, quella che opera sui temi delle sofisticazioni e dei falsi e la Commissione antimafia. Riteniamo, infatti, che su alcuni aspetti ci siano legami davvero profondi, che possono riguardare l'agroalimentare in maniera piuttosto pesante.
Sono rimasta assai impressionata dalle prime considerazioni che ho letto, perché mi pare che siano impegnati in questo rapporto alcuni bravi magistrati che sono riusciti a intercettare tale legame.
Passo alla domanda che volevo porre. Lei ha svolto un passaggio, nella conclusione del suo intervento, affermando che forse il sistema Italia non funziona come dovrebbe o che forse non crede più di tanto all'utilità di una battaglia in questo contesto.
Io trovo che, negli anni, abbiamo assistito anche a momenti di grande confusione fra il tema della sofisticazione alimentare, con rischi anche sulla salute, o comunque della contraffazione dei riconoscimenti e dell'etichettatura, ed episodi di natura diversa. Vengo dalla Toscana e ho vissuto tutta la vicenda del disciplinare del Brunello, che era un'altra questione (era una violazione del disciplinare, non un fenomeno di sofisticazione o di altro tipo). Quando, però, lei svolge tali affermazioni, si riferisce a un'insufficienza del sistema dei controlli in questo Paese o ad altro?

TERESIO DELFINO. La sua conclusione, come ha già rilevato la collega Cenni, era piuttosto pessimistica. Poiché in un periodo recente abbiamo sviluppato una normativa (in contrasto con l'Europa, che la combatte), per l'indicazione dell'origine - che noi, ovviamente, vorremmo, essendo consapevoli del valore della produzione, che anche lei ha rilevato, e del danno che viene all'agricoltura italiana dalla contraffazione e dall'agropirateria in genere, oltre che dal fenomeno criminogeno organizzato -, penso onestamente che dobbiamo capire come sviluppare, come sistema Italia, un'azione più convincente sull'Europa. La difficoltà opposta a un orientamento che in Italia, sotto il profilo politico e legislativo, è ampiamente favorevole, sta proprio nell'Europa.
Avendo lei esperienza e guidando un istituto in grado di documentare puntualmente i fenomeni di cui stiamo parlando, ma non solo, le chiederemmo un aiuto, un'indicazione per far sì che la nostra attività, evidentemente con il massimo coinvolgimento del Governo e del Parlamento, trovi in termini anche scientifici e documentali una ragione convincente e persuasiva perché l'Europa finalmente accolga una tutela.
A mio avviso, non si tratta di una tutela solo italiana, perché ogni Paese ha la sua specificità, la sua cultura agricola e alimentare, e, quindi, deve diventare un emblema europeo rispetto alla massificazione delle produzioni OGM che vengono da altre agricolture e non dall'Europa. Questo è, a mio avviso, il tema.
Il fatto che all'interno di ciò ci sia un sistema di controlli ancora evidentemente a maglie troppo larghe, a mio avviso e per l'esperienza che abbiamo svolto al Governo, nonché ancora insufficiente, è probabilmente un dato giustificato anche da una carenza normativa armonica tra Europa e sistema nazionale. Vorrei conoscere il suo pensiero al riguardo.

ANITA DI GIUSEPPE. Ringrazio il dottor Fara per essere con noi. Mi preoccuperò


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di leggere in maniera più approfondita il suo Rapporto.
Attraverso le audizioni che si sono tenute in Commissione abbiamo appreso purtroppo che questi fenomeni di illegalità stanno mettendo in ginocchio l'agricoltura. Non si tratta soltanto, per citare anche il Rapporto, di caporalato, di contraffazione e di altri fenomeni, ma anche di mettere in ginocchio le imprese agricole con furti di attrezzature e di mezzi agricoli magari acquistati con tanta fatica dagli agricoltori.
È chiaro che le associazioni malavitose con il loro modo di agire provocano ripercussioni negative sulle imprese agricole, ma io volevo porle una domanda, professor Fara: come riescono a immettere sul mercato i profitti che derivano loro da questo modo di muoversi e di agire? Come riescono a utilizzare i loro proventi, soprattutto in agricoltura?

NICODEMO NAZZARENO OLIVERIO. Signor presidente, ringrazio il professor Fara per questo spaccato e per il lavoro che ha svolto insieme alla Coldiretti su questo primo Rapporto sui crimini dell'agroalimentare in Italia.
Leggendolo velocemente, mi colpisce, a pagina 7, un'asserzione del testo che ci è stato consegnato: «La mafia agricola non si allontana dalla terra di origine e ne controlla ogni sua parte, ogni singolo accadimento viene sentito, intercettato e fatto proprio».
In questi mesi noi stiamo vedendo, invece, un fenomeno inverso, ossia che la mafia, la 'ndrangheta e le associazioni a delinquere vanno al Nord e vi si insediano. Il testo di questa relazione va quasi in controtendenza.
L'altro aspetto probabilmente collegato a questo fenomeno è il mercato fondiario parallelo. Se ne parla, però durante queste audizioni noi non abbiamo mai trovato elementi caratterizzanti tale aspetto. Le associazioni a delinquere, le mafie, prestano prima i soldi alle aziende agricole e poi le costringono a vendere loro le proprietà, oppure no? C'è una possibilità di intercettare questo fenomeno e di capire se la mancanza di accesso al credito, anzi la difficoltà di accesso al credito, crea tali difficoltà e, quindi, questo mercato fondiario parallelo?
Collegata a questo aspetto è anche la vicenda dei rapporti di lavoro fittizi. L'INPS ne parla spesso, però a noi risulta, seppur non con dati rilevanti e significativi, che il fenomeno esiste. Se lo guardiamo nei singoli comuni e nelle singole realtà, sappiamo che gli elenchi agricoli sono pieni di persone che non lavorano. Bisogna capire chi compie l'intermediazione tra il datore di lavoro e il lavoratore fittizio in questa condizione.
Questo è uno degli aspetti, signor presidente, ma forse un approfondimento del Rapporto Eurispes ci potrebbe aiutare a capire e a entrare nel merito. Noi abbiamo trovato difficoltà a capire se esiste o non esiste un mercato fondiario parallelo. Ne parlano tutti, ma nessuno in effetti lo quantifica.
Vorrei chiedere anche a lei, professore, come possiamo verificarlo e come possiamo quantificare questo fenomeno.

PRESIDENTE. Nel dare la parola al presidente Fara, riprenderei ciò che ha affermato la collega Cenni sulla sollecitazione che viene dal gruppo del Partito Democratico, se ho capito bene. Credo che non sia mai stata tanto opportuna una sollecitazione del genere per armonizzare il lavoro delle indagini conoscitive delle due Commissioni che hanno potere di indagine, quella sui rifiuti e quella sull'antimafia e sull'anticontraffazione. Occorre tentare di armonizzarle, nelle difficoltà comportate dal fatto che esse hanno funzioni, ruoli e prerogative totalmente diverse. Sarebbe utile svolgere una riflessione in questo senso.

GIOVANNI DIMA. Ho pochissime domande da porre. Credo che, al punto in cui siamo arrivati, il tentativo di mettere insieme questa nostra indagine, che ormai va avanti da oltre un anno e mezzo, sia assolutamente necessario anche per porre un punto fermo al lavoro svolto finora, pur avendo la consapevolezza, presidente Fara, che l'assemblaggio di tutto questo


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lavoro probabilmente ci porterà ad avere una maggiore conoscenza e che, nello stesso tempo, dovremo discutere su come agire di conseguenza.
Come agire di conseguenza mi sembra, infatti, essere la partita vera, perché si intrecciano dinamiche che apparentemente possono sembrare interne a un unico profilo di comportamento, ma spesso non lo sono.
Spesso, quando ci troviamo a discutere sul tema della contraffazione, ribadisco un concetto molto semplice: quest'attività illecita spesso fa capo a sistemi criminali, ma molto spesso non lo è. Conosciamo già in partenza il fatto che alcune frodi, alcune contraffazioni, alcuni sistemi di diffusione ampia su come veicolare le nostre produzioni su terreni commerciali diversi dall'Italia o anche dentro il sistema italiano appartengono a strutture non appartenenti a sistemi mafiosi, ma che comunque utilizzano questo modo di agire in maniera piuttosto redditizia. È chiaro che ciò produce un valore aggiunto enorme. Il valore aggiunto è già nel made in Italy. Se vi aggiungiamo un sistema di contraffazione, paradossalmente si arriva a un doppio valore aggiunto.
Sapendo benissimo che corriamo il rischio, se ci dovessimo per un solo istante limitare a svolgere un ragionamento legato ai fenomeni mafiosi connessi a questo sistema, di perdere alcuni aspetti, la nostra attenzione va rivolta a 360 gradi, proprio per evitare di guardare solo in un'angolazione, pur giusta, doverosa e necessaria. Noi dobbiamo far venire meno il sistema della contraffazione e delle truffe, che è un'antica attività in questo settore, un'antichissima attività.
Purtroppo abbiamo riscontrato, anche in questo caso, come dato storico, che molto spesso dentro queste attività illecite erano coinvolti il produttore, il piccolo trasformatore, e il grande trasformatore, cioè, sostanzialmente i soggetti del sistema.
Dobbiamo avere il coraggio e la determinazione di tracciare un quadro generale, ma di operare con altrettanta determinazione il distinguo in questa direzione.

PRESIDENTE. Do la parola al presidente Fara per la replica.

GIAN MARIA FARA, Presidente dell'Istituto di studi politici economici e sociali (Eurispes). Le domande sono molto interessanti e sicuramente saranno più interessanti delle risposte.
Condivido la vostra sollecitazione e spero di non essere presuntuoso nell'affermare che noi, come istituto, auspichiamo che finalmente le tre Commissioni che lavorano su fronti paralleli riescano a trovare il modo di incrociare i propri dati e le proprie informazioni.
È chiaro che gli argomenti finiscono per intrecciarsi. Quando comincerete a mettere insieme i dati, ritroverete gli stessi nomi, gli stessi personaggi, sia sul fronte rifiuti, sia sul fronte delle falsificazioni - penso al doping che si compie sulla mozzarella di bufala in Campania - e scoprirete che magari gli autori non sono del tutto estranei al traffico dei rifiuti. Credo che le tre Commissioni, l'antifalsificazione, l'agricoltura e l'antimafia, debbano lavorare insieme e debbano riuscire a mettere a fattore comune informazioni assolutamente preziose.
L'onorevole Cenni faceva riferimento, e ricollego la risposta anche a quella all'onorevole Delfino, ai controlli. Io penso che noi abbiamo un efficientissimo sistema di controlli. Nessun altro Paese europeo ha un sistema con la stessa capacità e la stessa pervasività del nostro. Ci sono i carabinieri dei NAS, che operano su tutto il territorio nazionale, la Guardia di finanza, che è attentissima al mercato delle falsificazioni, e l'Ufficio delle dogane.
Recentemente ho partecipato a un seminario con i nostri servizi di sicurezza, che sono attentissimi e svolgono un'azione di monitoraggio continua su questi fenomeni. I controlli ci sono, sono efficaci ed è difficile che a maglie tanto strette possano sfuggire fenomeni che sono, peraltro, anche piuttosto evidenti.
Il problema è un altro, e in merito mi ricollego a quanto affermava l'onorevole Delfino: noi controlliamo, però a livello europeo sembra che si lavori in direzione


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contraria. Noi vorremmo tutelare i nostri marchi, il nostro brand e la nostra produzione, mentre a livello europeo sembrano felicissimi di falsificare i nostri prodotti, i nostri marchi, sia in Europa, sia a livello internazionale.
Se devo essere sincero, e lo affermo più da cittadino che da studioso, noi dovremmo avere la capacità di andare a Bruxelles, battere i pugni sul tavolo e imporre, come altri impongono a noi, condizioni giuste. Dovremmo impegnarci in maniera più forte nella difesa dei nostri prodotti.
Si imita ciò che è bello e buono. Personalmente, non mi sognerei mai di scopiazzare un prodotto tedesco. Che i würstel continuino a essere prodotti dai tedeschi. Saranno senz'altro più bravi di noi, ma noi abbiamo tantissimi altri prodotti da difendere.
Nella fattispecie noi siamo coloro che producono i falsi. Noi italiani siamo i primi a falsificare i nostri prodotti e gli europei sono i secondi. Non falsifichiamo nulla che producano altri Paesi europei: non falsifichiamo formaggi francesi, birre tedesche, vini francesi. Questo è il dato.
La criminalità non c'entra. Vi racconterò poi un fatto che sicuramente voi già conoscerete, ma che continua a rimanere scandaloso.
Se posso esprimere un giudizio, i controlli ci sono e sono efficienti. Il 28 luglio andrò al Brennero insieme alla Guardia di finanza, alla Coldiretti e al Corpo forestale dello Stato per un appuntamento ormai annuale, la cosiddetta «operazione Brennero»: si tratta di bloccare a campione un dato numero di TIR che arrivano dall'estero e controllarne il contenuto. Non avete idea di che cosa ci si trovi dentro. È il terzo anno che si compie questa operazione. È molto divertente e ne avrete un resoconto attraverso la stampa, il giorno dopo. C'è di tutto e di più.
Per rispondere all'onorevole Di Giuseppe su come fanno le associazioni criminali a reinvestire i loro utili, li reinvestono come si investe e si reinveste normalmente. Le organizzazioni criminali evidentemente hanno loro terminali assolutamente legali, nonché canali di investimento e di presenza sui mercati. È chiaro che l'obiettivo di una qualsiasi organizzazione criminale, dopo aver prodotto quantità anche massicce di danaro, è quella di ripulire tale danaro e, quindi, di reinvestirlo in attività lecite.
Naturalmente, a questo punto tutte le attività sono buone, compresa l'agricoltura. Riflettete sul fatto che noi possiamo anche fare a meno di alcuni beni, però a pranzo e a cena ci sediamo tutti a tavola e consumiamo quelli che vengono considerati beni essenziali. Che le organizzazioni criminali investano sulla produzione di beni essenziali che hanno una larghissima e spesso anche incontrollabile diffusione mi pare un fatto del tutto normale, così come investono in edilizia o in altre attività. È un mercato come un altro.
Il procuratore Grasso l'altro giorno, durante la presentazione del Rapporto, ha svolto una considerazione molto interessante: dobbiamo pensare alle organizzazioni criminali come al convitato di pietra nelle nostre tavole. Noi non lo vediamo, ma c'è. In un modo o nell'altro c'è, o perché è proprietario dei territori in cui si produce o perché ha messo le mani sulla catena di trasformazione, o perché è riuscito a penetrare e a colonizzare il mercato della distribuzione, naturalmente creando le condizioni per la formazione, l'alterazione o la modificazione dei prezzi.
Pensate al problema del trasporto dei prodotti ortofrutticoli. È un settore nel quale la criminalità organizzata ha una presenza massiccia, ormai riconosciuta e comprovata attraverso numerose indagini di polizia. Investe su questo settore come su altri.
L'onorevole Oliverio segnalava una presunta contraddizione tra l'internazionalizzazione, la globalizzazione delle mafie e l'attaccamento al territorio. L'affermazione che ha citato non ha sostituito altre affermazioni o letture. Entrambi i fenomeni convivono.
Le organizzazioni criminali trovano radicamento nel territorio di appartenenza e di partenza e hanno comunque la necessità di controllare quel territorio, ma poi


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hanno naturalmente anche una vocazione internazionale. Basti pensare alla 'ndrangheta, che secondo le nostre stime fattura 44 miliardi di euro l'anno, praticamente tre punti di PIL. Essa ha una proiezione internazionale fortissima. Ovunque ci siano calabresi nel mondo, con tutto l'affetto e il rispetto per i calabresi, la 'ndrangheta è presente: in Canada, in America latina, è fortissima in Australia e in Germania (dove se ne sono accorti magari con un po' di ritardo). Qui gli 'ndranghetisti sono riusciti a consolidare una presenza fortissima grazie alla esistenza di antiche colonie calabresi. Peraltro, la 'ndrangheta è un'organizzazione criminale che non coopta esterni, a differenza della siciliana cosa nostra. Devono essere solo calabresi, possibilmente parenti stretti o lontani.
Non c'è contraddizione tra le due questioni, ci sono sia il controllo del territorio, sia la proiezione internazionale. Globale e locale in questo caso convivono serenamente e tranquillamente. L'una realtà non esclude l'altra, onorevole Oliverio.
L'altro suo appunto molto interessante è quello relativo al fatto che le organizzazioni criminali crescono sul territorio soprattutto nelle fasi di congiuntura sfavorevole, quando l'economia va male, quando le banche hanno difficoltà a erogare il credito, approfittando, per esempio, del fatto che nel Meridione il credito costa di più di quanto costa magari nel Settentrione.
La tendenza naturale dell'imprenditore, dell'agricoltore, di chi si trova in difficoltà, trovando chiuse le porte del credito ufficiale, è di rivolgersi a chi ha grandi disponibilità di danaro contante. Inizia un percorso che è poi difficile da controllare, perché se l'imprenditore si fa prestare il danaro dal mafioso locale, il mafioso locale piano piano entrerà in partecipazione nell'azienda, fino a controllarla e a far diventare l'imprenditore originario un puro e semplice prestanome. L'azienda diventa dell'organizzazione criminale o della famiglia criminale che opera sul territorio.
Ciò avviene a livello locale, però immaginatelo anche a livello più ampio, uscendo dalla dimensione paesana, ossia a livello provinciale, regionale e anche, perché no, nazionale.
Venendo al mercato fondiario, il mafioso siciliano, calabrese o campano ha una naturale tendenza, come tutti gli italiani, al mattone. I mafiosi hanno gli stessi difetti che hanno i cittadini normali e, quindi, quando possono, investono in «roba». Noi siamo afflitti dalla sindrome di mastro don Gesualdo e abbiamo bisogno di vedere case e terreni, e il mafioso non fa eccezione.
C'è una forte propensione all'investimento in questo settore, che poi può diventare anche redditizio, perché evidentemente entrare in possesso di grandi estensioni terriere, metterle magari a produzione e poi a reddito può diventare un buon affare.
L'onorevole Dima segnalava il fatto che le strutture che producono falsi non sono sempre - io direi che lo sono rare volte - strettamente legate alla criminalità. A produrre falsi ci pensiamo direttamente senza avere bisogno di fare ricorso alla criminalità.
Volevo segnalarvi, ma è citato all'interno del Rapporto - ci sono quattro o cinque storie italiane emblematiche - il caso della Simest, che voi conoscerete e avrete seguito. In quel caso il contraffattore è lo Stato. Lo Stato italiano fa il contraffattore e «buggera» i propri cittadini attraverso una società che produce formaggi in Romania che impoveriscono i nostri pastori sardi.
I pastori sardi che venivano a Roma a protestare, protestavano per questo motivo, perché la Simest, una società a partecipazione statale, ha decentrato un dato tipo di produzione in Romania, dove produce formaggi e prodotti lattiero-caseari che si rifanno naturalmente a nomi italiani, come «Dolce vita» e altri di questo genere, e li reimporta poi in Italia, danneggiando i nostri produttori.
Noi li importiamo in Sardegna. Se volete mangiare pecorino, dovete accontentarvi di mangiare il pecorino che si produce in Romania, per essere chiari, perché il pecorino prodotto in Sardegna


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costerà di più del pecorino prodotto con latte rumeno in Romania, reimportato in Italia con un nome italiano, con marchio italiano e con bandiera italiana.
Questa società, della quale si sono occupati tutti, è citata all'interno del Rapporto. È la Simest, ed è una società pubblica. In questo caso lo Stato è il primo contraffattore e prende in giro i propri cittadini.
Ci sono altri due o tre esempi. Non so se si possono citare, considerato che la seduta è pubblica e che io potrei anche rischiare una querela per diffamazione. Una grande industria italiana, una delle prime, la più nota e la più conosciuta, si è vista bloccare al porto di Ancona due carichi di pasta italiana, con la bandiera italiana e col marchio italiano, che di italiano non aveva neanche il cartone della scatola, perché il grano era forse ucraino e la pasta era stata prodotta in uno stabilimento turco e veniva portata in Italia e poi trasferita in tutta Europa come prodotto italiano.
Sono due piccoli esempi di come funziona il sistema e dei quali, peraltro, il Rapporto dà ampiamente conto.

PRESIDENTE. Ringraziamo il professor Fara per l'utilissima audizione.
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 13,15.

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