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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissione XIII
4.
Mercoledì 25 febbraio 2009
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Rosso Roberto, Presidente ... 3

INDAGINE CONOSCITIVA SUL FENOMENO DEI DANNI CAUSATI DALLA FAUNA SELVATICA ALLE PRODUZIONI AGRICOLE E ZOOTECNICHE

Audizione dei rappresentanti dell'Ente nazionale protezione animali:

Rosso Roberto, Presidente ... 3 7 10 13
Cenni Susanna (PdL) ... 8
Nola Carlo (PdL) ... 8
Procacci Annamaria, Consigliere nazionale dell'Ente nazionale protezione animali ... 3 10

Audizione dei rappresentanti dell'Ente produttori selvaggina:

Rosso Roberto, Presidente ... 13 14
Franolich Marco Franco, Direttore tecnico dell'Ente produttori selvaggina ... 13
Scala Francesco, Subcommissario dell'Ente produttori selvaggina ... 13

ALLEGATO: Documentazione prodotta dai rappresentanti dell'Ente produttori selvaggina ... 15
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Movimento per l'Autonomia: Misto-MpA; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.; Misto-Liberal Democratici-Repubblicani: Misto-LD-R.

[Avanti]
COMMISSIONE XIII
AGRICOLTURA

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di mercoledì 25 febbraio 2009


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PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROBERTO ROSSO

La seduta comincia alle 14,30.

(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso e la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Audizione dei rappresentanti dell'Ente nazionale protezione animali.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sul fenomeno dei danni causati dalla fauna selvatica alle produzioni agricole e zootecniche, l'audizione dei rappresentanti dell'Ente nazionale protezione animali.
Do la parola all'onorevole Anna Maria Procacci, consigliere nazionale dell'Ente nazionale protezione animali.

ANNAMARIA PROCACCI, Consigliere nazionale dell'Ente nazionale protezione animali. La ringrazio, presidente, e sono grata a questa Commissione per aver offerto all'Ente nazionale protezione animali l'occasione di far sentire la sua voce e di esprimere le proprie posizioni su una questione da molti anni controversa, ovvero il rapporto tra fauna selvatica e danni all'agricoltura e alla zootecnia.
Sono particolarmente lieta di essere qui, perché da tanto tempo la nostra associazione è impegnata in modo molto attivo su tutto il territorio nazionale, e convinta che occorra fare chiarezza per il giusto riconoscimento delle esigenze degli agricoltori così come per quanto attiene alla salvaguardia della biodiversità. Siamo convinti che, in primo luogo, la chiarezza debba riguardare l'esclusione di ogni rapporto tra la questione danni agricoli e la caccia. In questo Paese, la commistione è stata ampiamente esercitata, per cui i cacciatori sono stati ritenuti elemento indispensabile ed efficace per risolvere i danni all'agricoltura.
Riteniamo necessario superare questo errore concettuale, che non soltanto ha portato a non risolvere i problemi di danni denunciati alle attività agricole, ma ha causato un notevole danno ambientale agli animali selvatici e un inasprimento nei rapporti con le associazioni ambientaliste e animaliste. Tale contenzioso si trascina da tanto tempo e si è concretizzato in una serie di ricorsi alla magistratura, che hanno dato quasi sempre ragione alle associazioni ricorrenti.
Vorrei quindi sottolineare subito questo elemento, giacché la questione dei danni all'agricoltura e alla zootecnia deve essere distinta dall'attività venatoria. Per l'approvazione della legge nazionale sulla caccia, la n. 157 del 1992, in questo Parlamento, c'è stato un lungo sforzo comune. Personalmente, sono stata alla Camera per dodici anni e in Senato per due e ricordo la legge n. 157 come uno straordinario sforzo da parte mia, di tante associazioni e dei legislatori di tutte le forze politiche per dare al nostro Paese una legislazione efficace. È stata un buon punto di equilibrio fra portatori di interessi diversi: gli


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ambientalisti, i cacciatori, gli agricoltori, gli uomini e le donne di scienza e anche i cittadini, dal momento che gli anni Novanta come gli Ottanta sono stati molto vivaci dal punto di vista del confronto culturale sull'attività venatoria.
All'articolo 19 la legge prevede il controllo sulla fauna selvatica anche nelle zone vietate alla caccia e dichiara testualmente: «(...) Tale controllo, esercitato selettivamente, viene praticato di norma attraverso l'utilizzo di metodi ecologici su parere dell'Istituto nazionale della fauna selvatica (...)». Oggi l'Istituto nazionale per la fauna selvatica INFS non ha più questa denominazione perché è stato assorbito nell'ISPRA, Istituto superiore per la ricerca ambientale e, qualora l'istituto quindi verifichi l'inefficacia di questi metodi ecologici, le regioni possono autorizzare i piani di abbattimento. Nella normativa nazionale è quindi previsto un cammino graduale, che parte dall'adozione di metodi ecologici e giunge soltanto in seconda battuta, qualora altre soluzioni non siano praticabili, ai metodi di abbattimento praticati dalle guardie venatorie dipendenti delle amministrazioni provinciali.
Ci chiediamo cosa sia successo in questi anni. Le regioni e le province hanno fatto frequentemente ricorso ai cacciatori per risolvere i problemi dei danni all'agricoltura e alla zootecnia. L'adozione dei metodi ecologici non c'è stata praticamente mai, come l'Ente nazionale protezione animali può testimoniare con totale cognizione di causa, giacché abbiamo promosso e vinto numerose cause e una delle motivazioni più frequentemente addotte dalla magistratura per accogliere i nostri ricorsi era il mancato tentativo da parte delle amministrazioni locali di ricorrere ai metodi ecologici.
In questa breve relazione, che consegno adesso alla Commissione, ho voluto fare riferimento al famoso episodio delle volpi di Rovigo, che erano state condannate alla selezione cruenta con un piano di controllo addirittura triennale. Le ragioni delle associazioni ambientaliste e animaliste sono state riconosciute, giacché non c'era mai stato nessun tentativo degli amministratori di provvedere in un altro modo.
Queste volpi erano state condannate a morte, pur non essendo responsabili dei danni arrecati alle produzioni agricole, perché una percentuale tra il 7 e il 9 per cento della loro dieta riguarda carne proveniente dagli animali di ripopolamento, per esempio i fagiani, per cui i danni alle produzioni agricole e alla zootecnia non erano affatto attribuibili a loro. Le motivazioni erano quindi esclusivamente venatorie.
Oggi, mi appello ai legislatori, perché considero necessario realizzare progressi nell'analizzare la situazione e nel proporre soluzioni diverse alla problematica dei danni all'agricoltura. Questo esige un inquadramento più ampio del problema, in particolare per quanto riguarda gli ungulati, che presumo rappresentino la motivazione principale per l'avvio di questa indagine conoscitiva.
Il problema degli ungulati deve essere affrontato all'origine, nella fase delle immissioni. Considero inammissibile che in presenza di denunce di danni motivati dalla presenza eccessiva di ungulati in Italia si continui ancora a immettere ungulati di allevamento sul territorio. Quando una cascata d'acqua allaga un pavimento, infatti, è efficace non tanto correre freneticamente ai secchi e alle scope, quanto chiudere il rubinetto.
Vi chiediamo quindi di interrompere questi ripopolamenti, elemento più grave e paradossale, giacché in modo contraddittorio da una parte si denunciano danni causati dall'eccessiva presenza di cinghiali, dall'altra le regioni e le province continuano a immetterli anche se in misura minore rispetto al passato. La mia associazione sta conducendo, a livello nazionale, una disamina del comportamento di regioni e province sui ripopolamenti e vorremmo far avere al Parlamento questo nostro lavoro, che non è facile dato il grande numero dei soggetti da esaminare.
Circa due anni fa, la provincia di Crotone ancora comprava e liberava cinghiali a 500 euro a cinghiale. Lascio alla


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Commissione ogni considerazione. Ho citato Crotone ma avrei potuto citare tantissime altre località del nostro Paese. Raccomando vivamente l'attenzione su tutti gli aspetti del problema fauna e agricoltura. Questo è quello più grave, che si può più facilmente risolvere con l'interdizione dei ripopolamenti dei cinghiali, che considero un dovere morale nei confronti degli agricoltori e di loro eventuali problemi, essendo legato anche al danno alla biodiversità.
In questa brevissima relazione che vi consegnerò sono inserite anche altre nostre proposte legate a una visione molto pragmatica dei problemi, perché dobbiamo anche essere in grado di coniugare le posizioni di principio con una grande capacità di azione.
Siamo favorevoli a una velocizzazione dei rimborsi per i danni all'agricoltura e all'aumento dei fondi destinati a questo fine. Condividiamo però l'esigenza di verificare le denunce dei danni, perché spesso nei nostri ricorsi alla magistratura i magistrati hanno dato ragione alle nostre opposizioni e ai provvedimenti perché non c'era alcuna documentazione sui danni che avrebbero dovuto giustificare l'abbattimento di animali. È dunque necessario verificare la reale presenza di questi danni e la loro entità. A volte danni irrisori scatenano veri massacri di animali selvatici. Agire con un piano di controllo e quindi sparare nelle aree protette, nei parchi nazionali e regionali, fuori dal calendario venatorio significa non solo colpire determinate specie animali, ma anche provocare un disturbo biologico enorme su tutti gli altri.
Dobbiamo avere la capacità di riconoscere come l'intervento cruento con i fucili provochi uno sconvolgimento dal punto di vista biologico delle popolazioni naturali nella fase della riproduzione, nella giornata perché non riescono normalmente a procurarsi il cibo e questo è tanto più grave quando hanno i piccoli nella fase di dipendenza. Un piano di controllo sui cinghiali che avvenga a maggio con l'intervento dei fucili provoca un danno biologico scientificamente provato su tutte le altre specie. L'ambiente è un tutt'uno rispetto al quale dobbiamo avere una capacità di intervento globale.
Un altro elemento che portiamo all'attenzione della Commissione è la necessità di effettuare censimenti che non sono stati ancora realizzati, se non in modo approssimativo, sporadico, a macchia di leopardo, casuale e anche da operatori non preparati scientificamente, perché quasi sempre queste valutazioni sul numero di cinghiali vengono affidate alle associazioni venatorie, che non sono in grado di condurre questi censimenti, mentre è necessario personale scientificamente preparato e dotato di strumenti scientifici di rilevazione e di valutazione. Questo deve essere affidato indubbiamente all'ISPRA, come i metodi ecologici quali trappole, altri sistemi cattura, eventuali spostamenti, eventuali sterilizzazioni. Tutti questi elementi non cruenti devono però essere adottati da parte di personale scientificamente ben preparato. Questo è molto importante nel nostro Paese, dove si prende il fucile e si spara e i metodi ecologici previsti dalla legge e dalla normativa europea non vengono usati.
L'Ente nazionale protezione animali propone la previsione di un sistema sanzionatorio per gli enti, province e regioni, che non rispettano le regole della normativa nazionale e non solo. Ad esempio, i piani di controllo attualmente vengono adottati dalle province con le cosiddette «determinazioni direttoriali», provvedimenti sbrigativi che non vengono neppure pubblicati nell'albo pretorio. Poco tempo fa, quindi, Viterbo ha deciso un massiccio piano di intervento cruento sui cinghiali comprese le femmine gravide e tale provvedimento è stato impugnato dalle associazioni. Non c'è neanche l'elemento di doverosa trasparenza nei riguardi dei cittadini. Altrettanto frequentemente i pareri scientifici dell'ISPRA non sono tenuti in nessun conto, giacché vengono scavalcati, ignorati, spesso neppure letti. Questo prevede l'articolo 19 della citata legge n. 157.
L'articolo 19-bis della legge n.157 riguarda le deroghe e qualche anno fa è stato oggetto di un braccio di ferro, che ha


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purtroppo portato a una legge di cui l'articolo 19-bis appunto è la traduzione. Si tratta di un delicatissimo principio in diretto rapporto con la direttiva europea 79/409/CEE sulla conservazione degli uccelli selvatici. Stiamo parlando di uccelli protetti e soprattutto di piccoli uccelli, quali pettirossi, peppole, fringuelli, storni. L'Europa prevede il ricorso all'esercizio delle deroghe in condizioni particolarissime.
Nel trentennale della direttiva madre europea, primo pilastro della normativa comunitaria in materia di ambiente, vorrei che tutti leggessero questo testo sia nella parte concernente i princìpi e quindi l'obbligo degli Stati membri di mantenere le popolazioni selvatiche in un soddisfacente stato di conservazione, sia nella parte in cui lo si riconosce patrimonio irripetibile e prezioso che non appartiene ai singoli Stati, ma di cui questi sono tutori nell'interesse del continente europeo e del pianeta.
La direttiva ammette la possibilità di derogare al vincolo di tutela sugli uccelli, sull'avifauna protetta, a condizioni particolari, ma il termine «deroga» significa eccezione legata a elementi speciali anche irripetibili. Una deroga non può quindi essere un elemento protratto nel tempo, ma deve essere puntuale. In Italia, è accaduto esattamente il contrario.
Come segnala la procedura di infrazione n. 2131/2006 della Commissione europea, che si sta avviando alla condanna piena del nostro Paese per violazione di questa direttiva comunitaria, l'Italia ha fatto spesso ricorso all'esercizio delle deroghe di caccia sugli uccelli protetti per affermare un regime surrettizio di caccia, invocare danni mai verificatisi e quindi allargare il carniere ormai sempre più povero, perché in Italia la biodiversità versa in una situazione molto grave. Alcuni studi internazionali indicano che oggi, per la situazione delle popolazioni naturali, soprattutto degli uccelli, nel nostro Paese dovremmo cancellare quindici specie di avifauna cacciabile perché il loro stato è in declino netto. Si tratta di quindici specie su quarantasette di animali cacciabili.
Questo dovrebbe essere un elemento prioritario: il nostro rapporto con la biodiversità è un fatto di politica internazionale. Rio de Janeiro non è stato solo un appuntamento concluso, ma ha uno sviluppo nel tempo, comporta vincoli e doveri da parte nostra. L'anno prossimo, nel 2010, ci sarà il grande appuntamento del countdown sulla biodiversità, ossia il grande tentativo dei Paesi del mondo di fermare o almeno frenare il declino della biodiversità. Nel mondo, stiamo perdendo il 25 per cento dei mammiferi, numerose specie di uccelli, i pesci d'acqua dolce, giacché trentasette specie su quarantotto sono in pericolo. Vorrei che il Parlamento affrontasse il problema sul declino della biodiversità.
Noi siamo sotto accusa da parte dell'Europa e pagheremo molto danaro. Lo faranno le regioni che hanno adottato le deroghe e sarà molto difficile per il Governo e il Parlamento, in questo periodo finanziariamente ed economicamente di crisi per le famiglie italiane, spiegare che noi pagheremo multe salate perché una regione ha ammazzato le peppole o i fringuelli senza alcuna ragione, se non quella delle tradizioni venatorie dichiarate assolutamente inaccettabili dall'Europa.
Poco fa mi è stato chiesto qualche chiarimento sullo storno, specie che non è cacciabile in Italia ed è in rapido declino in tutta Europa. Negli altri Paesi d'Europa sta per essere inserito nella lista rossa delle specie a rischio di scomparsa.
Cito come esempio il modo in cui l'amministrazione locale della provincia di Latina ha esaminato la questione storni. Ha autorizzato una deroga di caccia allo storno, che ripeto è protetto, in presenza di un danno non verificato e denunciato di 8 mila euro. Quindi, per 8 mila euro abbiamo intrapreso un massacro di migliaia di storni ed è stata aperta una procedura di infrazione da parte dell'Unione europea. Non chiedo a nessuno di essere animalista, ma nel valutare il rapporto fra costi e benefici ritengo che il


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prezzo pagato dall'Italia con la procedura di infrazione sia veramente eccessivo. Negli ultimi anni, dal 2004 in poi, con il regime delle deroghe, le regioni italiane hanno autorizzato l'abbattimento di quasi 10 milioni di uccelli protetti, danno ambientale enorme.
Mi avvio alla conclusione esprimendo qualche considerazione operativa. Vorrei ribadire con calore la necessità di separare la questione danni agricoli e fauna dalla questione caccia, perché la commistione ha provocato un notevole inquinamento dei ruoli e delle responsabilità dovuto al comportamento degli enti locali che rincorrono i voti dei cacciatori in moltissime località d'Italia. Ci rimettono la fauna selvatica, la normativa italiana, l'immagine dell'Italia di fronte all'Europa, i cittadini, le cui regioni usano le deroghe illegittime, che determinano successivamente condanne da parte dell'Unione europea, gli agricoltori. Se ancora oggi siamo a discutere dei danni, significa che anche le politiche più dure nei confronti degli animali non hanno dato nessun frutto.
È quindi necessario adottare sistemi diversi, in primo luogo chiudere il «rubinetto» dei ripopolamenti e adottare la serie di proposte che ho avanzato, quali i censimenti, l'applicazione dei metodi incruenti ecologici, la ricerca scientifica, l'aumento dei fondi, l'erogazione rapida agli agricoltori degli indennizzi. Noi siamo sempre a disposizione della Commissione. Vorremmo però che quest'ultima distinguesse anche i livelli degli attori. In un Paese che applica le regole, la questione dei danni sarebbe normale e risolvibile ricorrendo alle norme già esistenti, alla legge n.157, ma a causa della citata commistione questo è ancora un risultato da raggiungere.
Si potrebbe quindi anche ipotizzare in particolarissime e documentate circostanze il ricorso ai prefetti, ma mai ai sindaci, perché la «comunalizzazione della fauna», come purtroppo si cerca di fare con un provvedimento legislativo contestatissimo in Senato, porta allo sterminio della fauna selvatica, anche di quella protetta e iperprotetta. Questi compiti non devono mai essere affidati ai sindaci, ma lo Stato può esprimersi con un livello di neutralità più alto quale quello dei prefetti.
Desidero rivolgere un'ultima richiesta. Ho lavorato per tanti anni nella Commissione agricoltura, ma quando ero in Parlamento lo scenario era diverso, giacché in pochi anni questo Paese è estremamente cambiato. Prima accennavo alla crisi della biodiversità, alla necessità che il Parlamento affronti un'indagine su questa situazione. La crisi della biodiversità, che è connessa ai danni all'agricoltura e alla presenza della fauna, ammesso che provochi davvero questi danni all'agricoltura, è legata al territorio e alla restrizione progressiva del territorio.
Oggi, presidente, in Italia, abbiamo tentato con le associazioni animaliste e ambientaliste di fare i conti sul nostro territorio e questi si sono rivelati dolorosi e gravi per l'agricoltura, che nel nostro Paese negli ultimi 35 anni ha perso 7,5 milioni di ettari e lo spazio si restringe sempre più. Anche l'Italia è vittima dell'urban sprawl e quindi dell'esplosione dell'edilizia selvaggia, che uccide il territorio, la fauna con la frammentazione ecologica e l'impossibilità di riproduzione, uccide anche le attività agricole ed economiche da cui dipende la nostra vita e la nostra salute, che oggi purtroppo troppo spesso sono considerate optional.
La mia associazione chiede quindi a questa Commissione di avviare un'indagine sul consumo illimitato del territorio, che ormai è una emergenza primaria a livello mondiale, dal momento che il 2008 è stato il primo anno nella storia della nostra specie a registrare più della metà della popolazione mondiale residente nelle città. Vi chiediamo che in tal modo la Commissione verifichi il rischio progressivo per le attività agricole e per il patrimonio di biodiversità.

PRESIDENTE. Ringrazio l'onorevole Procacci. Do ora la parola ai colleghi che intendono intervenire per porre quesiti e formulare osservazioni.


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SUSANNA CENNI. Desidero innanzitutto ringraziare l'onorevole Procacci anche a nome del gruppo del Partito Democratico e scusare i colleghi che non sono intervenuti perché stanno seguendo i lavori di un importante seminario del nostro gruppo. Al di là della condivisione delle sue considerazioni, la ringrazio per la complessità del ragionamento che ci ha voluto proporre.
Mi sono procurata gli atti del dibattito parlamentare che ha portato all'approvazione della legge n. 157 e ho constatato l'enorme abisso fra quel dibattito, soprattutto per quanto riguarda il ruolo che alcuni parlamentari come Laura Ponti vi hanno svolto, e quanto sta avvenendo oggi, non soltanto per la mia totale contrarietà rispetto allo scenario che si sta aprendo in Commissione agricoltura al Senato, che considero pericolosissimo. Non a caso, è infatti emersa una presa di distanza anche di un tavolo molto composito, che vede riuniti il mondo venatorio, il mondo ambientalista, il mondo agricolo.
Lei ha dichiarato che oggi si faranno passi avanti solo se li faremo insieme, come francamente ritengo anch'io. Considero opportuno fare un bilancio delle esperienze delle ATC, che si sono insediate solo in alcune parti d'Italia. Probabilmente, sono viziata dalla mia esperienza, essendo stata sino ad otto mesi fa assessore all'agricoltura e alla caccia in Toscana, dove c'è un'esperienza piuttosto consistente e diffusa, però mi interrogo dinanzi alla sua raccomandazione di tenere separata la questione dei danni dall'esercizio della caccia.
Uno dei temi al centro della legge n.157 è stata proprio la volontà di riunire il mondo agricolo, il mondo ambientalista e il mondo venatorio per una lettura e una programmazione integrata di tutta la materia. Vorrei quindi capire meglio questa sua affermazione, perché temo che ove le immissioni non siano state programmate - in alcune aree della mia regione abbiamo avuto crescite sino al 65 per cento della presenza degli ungulati in pochissimo tempo - siano sfuggite completamente al controllo e alla programmazione degli enti. Riterrei pertanto utile l'adozione di norme molto severe e sanzionatorie di fronte a fenomeni di questa natura.
Ritengo che avremmo bisogno di fare i conti su dati reali, che è difficile avere, anche in relazione all'adozione delle deroghe. Alcune deroghe sono state adottate anche nella mia regione su relazioni validate dall'allora INFS e per periodi limitati ad esempio alla vendemmia e alla raccolta delle olive, soprattutto nelle aree dove ci sono prodotti a denominazione di pregio. Mi chiedo se dopo la scelta operata dal Governo di cancellazione dell'INFS e di nascita dell'ISPRA, non sia necessario invece tornare ad una definizione più puntuale dei saperi e della scienza a supporto della programmazione venatoria anche in presenza di dati oggettivi. Su alcuni aspetti è difficile avere numeri precisi, su alcune situazioni è più facile, anche di fronte a realtà in cui la crescita eccessiva soprattutto degli ungulati ha portato a situazioni drammatiche, causando incidenti stradali e alcune vittime legate a situazioni di questo tipo.
Le pongo infine una domanda utile anche per il lavoro che potremmo svolgere come Commissione. Vorrei sapere infatti se non sia arrivato il momento di prevedere nella normativa una cabina di regia efficace su tutta questa materia. Credo che in questi anni qualche problema sia stato determinato a causa di competenze estremamente sfalsate fra le politiche agricole e le politiche ambientali perché quelle agricole sono competenza delle regioni e in parte delle amministrazione provinciali, mentre alcune competenze di tutela ambientale sono chiaramente dello Stato. Ritengo che questi due comparti abbiano dialogato poco e che difficilmente si ottengano risultati quando un'imposizione centrale non si misura con la programmazione territoriale. Vorrei quindi conoscere la sua opinione anche rispetto a un possibile scenario di evoluzione normativa in questa direzione. La ringrazio.

CARLO NOLA. Ho ascoltato con molta attenzione l'intervento della rappresentante dell'Ente nazionale protezione animali


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e su alcuni temi posso concordare, mentre mi sorgono dubbi su altri, quali innanzitutto il tema cardine, ovvero l'esigenza di separare il tema dei danni alla produzione agricola dall'esercizio dell'attività venatoria.
In base alla mia esperienza personale, questo è difficile da sostenere nel momento in cui il danno all'attività di produzione agricola è dovuto all'esubero dei capi rispetto alle condizioni del territorio. Come in Toscana, anche in Lombardia per quanto riguarda gli ungulati si tratta soprattutto di ripopolamenti clandestini. In Lombardia, è persino vietato l'allevamento del cinghiale, per cui sicuramente posso concordare su questo.
Lei ha citato l'esempio delle volpi che si cibavano di fagiani, ma i fagiani erano lì perché alcune aziende agricole producono i fagiani e li immettono, perché la consistenza di fagiani nel nostro territorio è abbastanza limitata senza i ripopolamenti. Ritengo quindi che il dubbio espresso dall'onorevole Cenni debba essere argomento di dibattito, perché, come insegnano anche i corsi organizzati dall'INFS sulla diffusione e sul controllo delle varie specie, l'interazione di tutte le forze e gli interessi in campo può portare a un risultato più soddisfacente. Il controllo delle specie è su base triennale, perché un controllo di specie con alta mobilità su base annuale darebbe poco riscontro. Questo secondo quanto dicono i tecnici dell'INFS.
Ritengo che probabilmente il radicamento dello scontro tra le diverse opinioni abbia portato a penalizzare gli interessi veri della biodiversità e della conservazione delle specie. Quando una delle parti contrapposte tenta di prevalere senza valutare la possibilità di incontro tra le diverse esigenze si giunge a mettere in discussione il pilastro principale della legge n.157: l'autonomia dell'INFS. Molti si sono battuti in questa sede per riportare l'INFS sotto il controllo della Presidenza del Consiglio dei ministri come garante, perché ho ricoperto il ruolo di amministratore locale come l'onorevole Cenni - riconoscono l'inopportunità di affidare al comune la gestione della fauna selvatica, per cui è necessario un organo terzo.
Questo prevalere di interessi di un tipo rispetto a un altro ha tolto all'ISPRA la sua funzione originaria di organo terzo. In questo momento, infatti, non riveste il ruolo di organo imparziale nei confronti delle amministrazioni. Vorrei quindi conoscere la sua opinione sull'attuale situazione dell'istituto, che la legge n.157 descrive come l'arbitro della situazione, a garanzia della fauna selvatica e della tutela della biodiversità.
Come amministratore, nel momento in cui si è affrontato il tema delle deroghe, ho rilevato un atteggiamento della Commissione europea che non operava distinzioni. Probabilmente, nella procedura di infrazione sono state coinvolte tutte le regioni che hanno applicato la deroga, senza valutare, salvo due procedimenti specifici per Liguria e Veneto, come sia stata attivata la deroga. Non si possono collocare sullo stesso piano un prelievo di centinaia di capi di peppola o di fringuello e quello riguardante 1.200 capannisti solo se ultrasessantenni di ridicole quantità per salvaguardare la tradizione venatoria. L'influenza sulla biodiversità di un prelievo rispetto all'altro è completamente diversa. Se poi uno di questi provvedimenti è preso in puntigliosa osservanza della guida interpretativa emessa dalla Commissione europea, con margini di prelievo dell'1 per cento rispetto alla mortalità naturale, si evidenzia la difficoltà di aiutare gli amministratori a tenere un comportamento responsabile piuttosto che un comportamento che si fa influenzare dagli estremisti del prelievo venatorio.
Tornando al ragionamento politico del contemperamento degli interessi in campo, spesso ho utilizzato le fonti messe a disposizione dalle strutture della regione Lombardia e dall'Istituto nazionale della fauna selvatica e ho scoperto che mentre la popolazione di storno in parte dell'Europa è in calo, soprattutto in Grecia e in Spagna è in forte sviluppo e in Italia è stabile o in leggero sviluppo. Ho quindi presentato a questa Commissione, che l'ha


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votata all'unanimità, la proposta di inserire lo storno nell'elenco delle specie cacciabili.
Qualora si riuscisse a soddisfare un certo tipo di esigenza venatoria con lo storno, che comunque in alcune aree del nostro Paese produce danni molto ingenti, perché è difficile circondare vigneti o uliveti con reti o altri interventi, questo potrebbe riuscire a mettere fine alle deroghe su altri piccoli uccelli a rischio di estinzione. Forse il politico deve trovare questo contemperamento di interessi, non accontentando tutti ma trovando una soluzione che, tamponando il danno alla fauna selvatica, riesca a contenere anche le pressioni che possono mettere in difficoltà sia gli amministratori locali che il legislatore.
Il comportamento delle regioni e degli enti locali non è uniforme. Lei, onorevole Procacci, ha citato una serie di specie a rischio inserite nel carniere della legge n.157, ma le regioni con il parere dell'INFS provvedono annualmente a togliere dall'elenco le specie più in sofferenza e c'è chi non le ha messe nel calendario venatorio, come è accaduto per il daino in Lombardia. Anche gli amministratori locali non sono quindi sempre motivati dall'obiettivo di rincorrere il voto. Una collaborazione in questo campo può giovare a tutti e non dare soddisfazione solo ad alcuni, dal momento che purtroppo questa si è trasformata in una vera partita di calcio con i tifosi delle due parti, lasciando privo di protezione il bene primario del mantenimento della biodiversità. Vorrei conoscere il suo parere su questi aspetti.
Aggiungo un'ultima notazione da parte del collega della Lega Nord che ha dovuto assentarsi, concernente il tema dei danni prodotti dalla nutria non solo alle produzioni, ma soprattutto alle infrastrutture agricole. Risiedo in una regione che, essendo attraversata dal Po e da altri fiumi, soffre moltissimo l'inserimento di questa specie alloctona. Gli interventi delle province con i trappolaggi e altri strumenti non cruenti sono stati inutili. Il prelievo affidato alle guardie venatorie e agli agricoltori non può sradicare questa specie estranea alla Pianura padana, però soprattutto vicino ai centri urbani l'intervento delle guardie provinciali con il prelievo cruento attualmente è forse l'unica chance. Vorrei conoscere la sua opinione anche su questo.

PRESIDENTE. Vorrei aggiungere alla questione della nutria quella dei cormorani, specie alloctona che ha provocato enormi danni in numerose zone d'Italia. C'è una eradicazione dei pesci d'acqua dolce da parte di questa specie non autoctona in Italia, sulla cacciabilità della quale, però, vengono espresse considerazioni negative. Vorrei conoscere il suo parere, anche in considerazione del fatto che alcune specie autoctone quali il martin pescatore stanno venendo meno a causa della concorrenza di questo predatore.
Do la parola al consigliere nazionale dell'Ente nazionale protezione animali, onorevole Procacci, per la replica.

ANNAMARIA PROCACCI, Consigliere nazionale dell'Ente nazionale protezione animali. Vi ringrazio moltissimo di queste domande. È un dibattito che mi appassiona, quindi rispondo molto volentieri considerando necessario un confronto.
Condivido la sua affermazione, secondo cui l'elemento primario è la tutela della biodiversità. Nel 1992, dopo 2 anni e mezzo di difficile confronto, abbiamo scritto che «la fauna selvatica è patrimonio indisponibile dello Stato, che la tutela nell'interesse della comunità nazionale e internazionale». Questi sono gli elementi cardine della legge in via di smantellamento al Senato. Resta infatti l'indisponibilità, ma si smantella l'interesse nazionale. Questo significa che il patrimonio indisponibile dello Stato esiste, ma lo Stato non ha nessun interesse nel tutelarlo. Questo è un fatto gravissimo, devastante, senza citare poi le politiche dell'Unione europea né quelle internazionali da Rio de Janeiro in poi.
Nella legge n. 157, negli altri articoli, abbiamo scritto che la caccia è una concessione, non un diritto. L'elemento cardine


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è quella oggi definita la tutela della biodiversità. La caccia è quindi ammissibile ad alcune condizioni: la compatibilità con le popolazioni naturali senza arrecare danno alle attività agricole. Nell'ambito della legge nazionale, la gerarchia viene ben definita. Da questo punto di vista, ritengo che la legge n. 157 oggi sia più importante che mai perché l'Italia, l'Europa, il mondo sono completamente cambiati dal punto di vista delle specie. I rapporti del Worldwatch Institute che si sono susseguiti negli anni forniscono un bollettino di guerra e di scomparsa delle specie. Pochi conoscono la situazione di assoluta emergenza dei pesci di acqua dolce. Esiste quindi un rapporto preciso tra fauna, patrimonio indisponibile tutelato, e caccia, che è una concessione.
Sono consapevole delle pressioni a livello locale e non casualmente ho parlato di prefetti e non di sindaci. Sappiamo come le amministrazioni siano soggette a forti pressioni, ma questo non può essere un elemento dirimente nell'assunzione delle politiche e delle decisioni delle regioni, delle province e dei comuni. È un elemento cui la classe politica deve dare risposta.
Credo molto nel dialogo, dal momento che in tutti questi anni ho avuto numerose occasioni di scontro con le associazioni venatorie e con i singoli cacciatori, ma anche moltissime occasioni di dialogo. Il dialogo ha fatto nascere la legge n. 157 e deve svilupparsi a ogni livello, anche a quello difficile ma necessario delle amministrazioni locali.
Se dovessi dimenticare di rispondere a qualche quesito, vi prego di farmelo notare.
Per quanto riguarda gli ATC, occorre fare un bilancio del lavoro dei 1.800 ambiti territoriali di caccia, che sono un altro elemento forte della legge n. 157, che lega il cacciatore al territorio, quindi pone fine alla mobilità, garantendo maggiore capacità di gestione, maggiore responsabilizzazione di chi spara e maggiore conoscenza del bene fauna sul territorio.
Anch'io vorrei conoscere il bilancio di lavoro degli ambiti territoriali di caccia. Per alcune regioni come la Toscana mi è abbastanza chiaro, mentre per altre, soprattutto nell'Italia meridionale, occorrerebbe diradare la nebbia. Vorrei infatti conoscere la loro politica sul territorio, la loro risposta relativa agli aspetti della legge oggi non applicati, gli aspetti migliori quali ad esempio i ripristini ambientali, che in numerosi ambiti territoriali di caccia non ci sono mai stati.
Dobbiamo quindi far sviluppare le buone potenzialità, il ruolo pieno, globale degli ATC, perché sono strumenti importanti da tutti i punti di vista. Purtroppo, però, onorevole Cenni, non abbiamo ancora una relazione sull'applicazione della legge, aspetto incredibile e vergognoso. In questo Parlamento molte parole sono state usate e forse anche sprecate per chiedere l'applicazione della legge! Come si può pensare di riformarla e modificarla - forse come associazioni abbiamo una conoscenza abbastanza precisa della sua applicazione - se non possediamo i dati complessivi?
Lo stadio di applicazione della legge potrebbe rispondere a moltissime domande da voi poste, ma tutto ciò non può essere nelle tre o quattro pagine presentate qualche anno fa come risultato dell'indagine svolta in due mesi sull'applicazione della legge!
La relazione, che è un elemento prioritario e imprescindibile - bisognerebbe dirlo all'altro ramo del Parlamento - significa chiedere a tutti gli ambiti territoriali di caccia come abbiano agito, con quali finalità, con quale impiego del pubblico danaro, con quali problemi, significa chiedere al Ministero di grazia e giustizia tutto l'elenco delle infrazioni venatorie e fare luce globalmente sul problema del bracconaggio, che è un fenomeno terribile, specifico e vergognoso di questo Paese. Fare la relazione sull'applicazione della legge significa rispondere a tutto questo compresi i censimenti complessivi di tutte le specie o almeno di quelle oggetto di caccia.
Non si può pensare di modificare questa legge senza conoscere tutto questo. Vi ho citato per brevità soltanto questi tre


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aspetti, ma ce ne sono altri contenuti dal primo all'ultimo articolo della legge nazionale.
Questo sul bilancio degli ATC è uno degli elementi più interessanti, più importanti, perché solo alcuni hanno agito bene, perché un problema è dato dalle loro dimensioni. Quando approvammo la legge, ci fu una lunghissima discussione sulla dimensione di ogni ambito territoriale di caccia. Se si voleva affermare davvero il principio di un legame stretto del cacciatore con il territorio, non si poteva pensare a un finto freno alla mobilità. Un ATC non può essere grande come una provincia o una regione. In Campania, ci sono pochissimi ATC, per cui questa parte della legge n.157 non è purtroppo applicata.
Per quanto concerne le deroghe, desidero citare l'esempio dello storno, che non abbiamo alcun imbarazzo ad affrontare. La colonia italiana ha attualmente dimensioni quasi soddisfacenti; dal punto di vista scientifico non possiamo chiudere la caccia a una specie perché ridotta malissimo e riaprirla appena questa specie raggiunge un livello di maggior respiro. Dal punto di vista scientifico e concettuale, questo è un elemento di contraddizione. Non possiamo tenere la biodiversità in questa condizione precaria, perché la caccia è uno degli aspetti del problema, l'altro è quello del territorio, che con passione vi raccomandiamo, ovvero la distruzione degli habitat, il consumo del territorio. Dobbiamo porci il problema di dove debbano andare gli animali selvatici. Sta nelle nostre mani il destino delle specie, compresa la nostra, dal momento che non si deve dimenticare l'effetto boomerang.
Sono quindi contraria a riaprire la caccia solo perché quella determinata specie animale ha raggiunto un certo numero, anche perché dobbiamo pensare agli equilibri di specie come complessivi. La mia città, Roma, ospita una popolazione discreta di storni, perché dentro la città nessuno spara contro e l'inquinamento li tiene più al caldo.
L'onorevole Cenni aveva parlato delle deroghe. Il parere dell'INFS è stato spesso violato perché si faceva abbattimento di storni fuori dal periodo dei raccolti, in condizioni quindi assolutamente incompatibili con qualunque preoccupazione di danni per l'agricoltura. Abbiamo sempre vinto questi ricorsi perché i danni non erano documentati, non era stata tentata nessuna altra strada e scientificamente lo storno si alimenta soprattutto delle olive in cui c'è la larva della mosca olearia. Vi consegnerei quindi volentieri i dati che abbiamo raccolto.
Per quanto riguarda la cabina di regia, considero necessario fare il punto sulla legge in modo disinteressato, non piegato a un estremismo venatorio, come purtroppo sta accadendo, perché abbiamo un'enorme urgenza ambientale.
L'INFS ha un ruolo molto importante nella legge n. 157. Il grosso problema dell'INFS è sempre stato il finanziamento, perché più che un organismo scientifico è stato considerato una sorta di rischio per i suoi pareri scientifici e quindi al 95 per cento scomodi per il mondo venatorio. Vorrei quindi verificare la vostra capacità di mediare, di portare questi elementi di nuova realtà. Viviamo in un ambiente completamente sconvolto e di questo dobbiamo tenere conto.
Dobbiamo porre l'INFS che oggi è nell'ISPRA nella sua vera dignità, dotandolo di fondi, di ulteriore personale, di capacità di fare ricerca come fanno tutti Paesi civili. La ricerca in Italia purtroppo è sempre «la Cenerentola». In Francia l'istituto analogo all'INFS è da sempre serenamente sotto il controllo del Ministero dell'ambiente, sebbene i cacciatori francesi non siano pochi né deboli. Dovremmo quindi guardare anche a criteri internazionali, anche se poi l'aspetto principale è rappresentato dai fondi che assicurano il ruolo dell'INFS.
Per quanto riguarda la separazione tra caccia e danni all'agricoltura, non casualmente noi abbiamo scritto nell'articolo 19 sul controllo della fauna selvatica che «(...) Tali piani devono essere attuati dalle guardie venatorie dipendenti dalle amministrazioni provinciali», perché un piano di abbattimento triennale motivato dal


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fatto che la volpe mangia tra il 7 e il 9 per cento dei fagiani è inaccettabile, perché l'Europa non lo ammette. Nella direttiva comunitaria si parla di sicurezza aerea, di rispetto della produzione zootecnica, di rispetto della produzione agricola, ma non si stabilisce certo che le volpi debbano essere uccise perché mangiano in piccola parte i fagiani. Questa è una motivazione inaccettabile, venatoria, che tra l'altro moltissimi cacciatori non hanno condiviso, perché il tavolo tra ambientalisti, cacciatori e agricoltori sta dando frutti interessanti.
Per quanto concerne il problema delle peppole e dei fringuelli, la Lombardia è sempre stata una delle regioni che ci ha creato problemi. Le cacce tradizionali devono appartenere al passato. Sono inaccettabili per l'Unione europea e dal punto di vista ambientale. Ritengo che un cacciatore sessantenne possa capire che non si possono più cacciare peppole e fringuelli perché il mondo è cambiato e siamo veramente alla rovina per molte specie. Credo nel dialogo.
Gli ungulati clandestini rappresentano un grosso problema. I poveri cinghiali, che sono diventati simbolo di ogni negatività in Italia, non appartengono più alla specie nostrana del sus italicus piccolino che fa pochi figli, ma sono stati soppiantati dalle specie di carniere, importate, che garantiscono maggiori soddisfazioni venatorie, perché hanno dimensioni molto più grandi dal punto di vista fisico e una prolificità decisamente maggiore. Abbiamo più volte denunciato le immissioni clandestine, che rappresentano uno dei punti principali. Vi prego quindi di vietare i ripopolamenti. Questo è il primo intervento necessario per gli animali selvatici, per i buoni rapporti complessivi tra cacciatori, amministrazioni e associazioni e per il bene della biodiversità. Perdonatemi la lunghezza della mia esposizione.

PRESIDENTE. Nel ringraziare l'onorevole Procacci di essere stata così esauriente, dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione dei rappresentanti dell'Ente produttori selvaggina.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sul fenomeno dei danni causati dalla fauna selvatica alle produzioni agricole e zootecniche, l'audizione dei rappresentanti dell'Ente produttori selvaggina.
Do la parola a Francesco Scala, subcommissario dell'Ente produttori selvaggina.

FRANCESCO SCALA, Subcommissario dell'Ente produttori selvaggina. L'Ente produttori selvaggina è un vecchio ente riconosciuto con regio decreto del 1939. Ha personalità giuridica privata riconosciuta con decreto del Presidente della Repubblica del 1978 ed è un'associazione venatoria ai sensi dell'articolo 34 della legge n. 157. Le finalità di questo ente sono previste dall'articolo 3 dello statuto e prevedono assistenza tecnica a favore delle aziende faunistiche e venatorie, dei centri privati di produzione di selvaggina, riserve di caccia, allevatori, produttori. L'ente è organizzato in sezioni regionali, provinciali e locali e attualmente associa circa 550 aziende faunistiche e venatorie e 2.000 soci per l'attività ricreativa.
Negli ultimi tempi, si è creato un certo contrasto all'interno degli organi sociali dell'ente, che ha recato pregiudizio al proseguimento dei suoi scopi istituzionali. Conseguentemente il Ministero delle politiche agricole e forestali, con decreto dell'aprile del 2008, ha sciolto gli organi sociali e nominato commissario straordinario il dottor Giuseppe Ambrosi, attuale capo di gabinetto, e un subcommissario, il sottoscritto, con il compito di ricostituire gli organi sociali.
Per quanto riguarda gli aspetti tecnici, lascio la parola al dottor Franolich, direttore tecnico dell'ente.

MARCO FRANCO FRANOLICH, Direttore tecnico dell'Ente produttori selvaggina. Vorrei fare un breve flash sulla situazione


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relativa all'analisi dei dati in nostro possesso relativi ai danni all'agricoltura provocati da fauna selvatica.
Nella documentazione prodotta, che intendiamo consegnare alla Commissione, è contenuta una tabella riassuntiva di dati relativi sia agli ungulati che a tutte le altre specie per quello che riguarda la dorsale appenninica. Da anni è stato svolto un maggiore lavoro con le regioni e le province per la conoscenza dei dati, che vengono veicolati dai concessionari.
I danni da selvaggina, per quanto riguarda gli istituti faunistici privati, sono direttamente rimborsati dai concessionari degli istituti agli agricoltori e pertanto non passano per le normali vie amministrative come quelle delle province e delle regioni. Questo da una parte rappresenta un handicap per la conoscenza dei dati, dall'altra costituisce un sistema molto chiaro di come avviene il rimborso dei danni della selvaggina soprattutto agli agricoltori.
Nello stesso documento sono riportati i dati relativi agli istituti faunistici vallivi, dal momento che oltre a problemi con l'agricoltura si rilevano anche problemi con l'acquacoltura, dovuti soprattutto a cormorani e gabbiani.
In merito alla situazione dei danni della fauna selvatica, il grosso handicap consiste nella mancanza di una gestione faunistica compatibile con l'obiettivo di evitare i danni. L'attuale legge nazionale sulla caccia può intervenire attraverso piani di controllo per limitare la fauna. Uno studio da noi seguito anche come Ente produttori selvaggina su un progetto relativo al cinghiale fatto in areale appenninico ha dimostrato che il piano di controllo è sicuramente di aiuto, ma non essendo selettivo crea sbilanciamenti nelle popolazioni di ungulati tali da aumentare talvolta i danni all'agricoltura a causa di questa destrutturazione delle classi degli animali.
Come istituti faunistici, siamo già tenuti a pagare agli agricoltori i danni, in quanto responsabili della fauna per il nostro territorio, come avviene anche in altri Paesi europei. Sarebbe opportuno riflettere su alcune specie di fauna che non possono essere gestite in quanto protette e che dovrebbero rappresentare un bene sociale, di cui dovrebbe sempre farsi carico lo Stato. Recentemente, alcuni Paesi degli Stati Uniti hanno adottato nuove norme per una maggiore protezione del lupo, prevedendo che lo Stato contribuisca al ristoro dei danni provocati all'agricoltura e alla zootecnia.
Riteniamo quindi che, per quanto ci riguarda, non siano necessarie regole nuove, in quanto siamo già tenuti a pagare per i danni all'agricoltura ed è difficile trovare soluzioni in merito.

PRESIDENTE. Ringrazio i rappresentanti dell'Ente produttori selvaggina anche per la documentazione prodotta, di cui autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna (vedi allegato).
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 15,45.

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