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Temi dell'attività Parlamentare

Ineleggibilità, incandidabilità e incompatibilità parlamentari
Nella XVI legislatura si sono registrati diversi interventi normativi diretti a modificare la disciplina dell'elettorato passivo. Di particolare rilievo l'introduzione di cause di incandidabilità alla carica di parlamentare a seguito di sentenza definitiva di condanna penale.
Ineleggibilità

La legge 175/2010 ha introdotto una nuova fattispecie di ineleggibilità connessa alla violazione del divieto di svolgimento di attività di propaganda elettorale per le persone sottoposte a misure di prevenzione.

In primo luogo, questa legge interviene sulla disciplina delle misure di prevenzione, introducendo il delitto di violazione del divieto di svolgimento di attività di propaganda elettorale, nelle forme previste dalla legge 212/1956 (affissione di stampati, giornali murali o manifesti di propaganda, propaganda elettorale luminosa o figurativa, lancio di volantini) per le persone sottoposte a tali misure. Il delitto è punito con la reclusione da 1 a 5 anni e la pena si applica anche al candidato che, conoscendo la condizione di persona sottoposta in via definitiva alla misura della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza, richiede alla medesima di svolgere attività di propaganda elettorale e se ne avvale concretamente (art. 10, commi 5-bis.1 e 5-bis.2 L. 575/1965, introdotti dall'art. 1 della L. 175/2010, poi confluiti nel D.Lgs. 159/2011, Codice antimafia, artt. 67, comma 7 e 76, comma 8).

La condanna comporta, inoltre, l’interdizione dai pubblici uffici dalla quale consegue l'ineleggibilità del condannato per la stessa durata della pena detentiva. La sospensione condizionale della pena non ha effetto ai fini dell'interdizione dai pubblici uffici (art. 2, L. 175/2010).

Incandidabilità

Nella XVI legislatura sono state introdotte nell’ordinamento alcune cause di incandidabilità alla carica di parlamentare. In precedenza l’istituto dell’incandidabilità era previsto esclusivamente per le elezioni regionali e amministrative.

Le stesse cause di incandidabilità costituiscono cause ostative all'assunzione di incarichi di governo a livello nazionale, regiobnale e locale.

Dalla giurisprudenza della Corte costituzionale emerge che le cause di incadidabilità costituiscono una specie delle cause di ineleggibilità (sent. 141/1996); tuttavia, a differenza di queste ultime, che possono generalmente essere rimosse entro un termine predefinito, le cause di incandidabilità precludono la possibilità di esercitare il diritto di elettorato passivo per il tempo previsto dalla relativa disciplina.

Una prima causa di incandidabilità è stata introdotta dal D.Lgs. 149/2011 (premi e sanzioni) adottato in attuazione della legge sul federalismo fiscale (L. 42/2009).

Il presidente di regione rimosso a seguito di grave dissesto finanziario con riferimento al disavanzo sanitario è incandidabile alle cariche di deputato e senatore, nonché alle cariche elettive a livello locale, regionale ed europeo per un periodo di tempo di dieci anni (art. 2, comma 3, D.Lgs. 149/2011).

Parimenti i sindaci e i presidenti di provincia ritenuti responsabili del dissesto finanziario dell’ente locale non sono candidabili, per un periodo di dieci anni, al Parlamento nazionale e a quello europeo, nonché alle cariche elettive di sindaco, di presidente di provincia, di presidente di giunta regionale, nonché di membro dei consigli comunali, dei consigli provinciali, delle assemblee e dei consigli regionali (art. 248, comma 5 del D.Lgs. 267/2000, come modificato dal comma 1, art. 6 del D.Lgs. 149/2011, e dal comma 1, lett. s) dell'art. 3 del D.L. 174/2012).

Ulteriori cause di incandidabilità sono previste dal decreto legislativo recante il testo unico in materia di incandidabilità (D.Lgs. 235/2012), adottato dal Governo in base alla delega disposta dall’art. 1 della L. 6 novembre 2012, n. 190 (legge anticorruzione); questa delega, tra i principi e i criteri direttivi, prevede la temporanea incandidabilità a parlamentare di chi abbia riportato condanne definitive per alcuni delitti, ferme restando le disposizioni del codice penale in materia di interdizione perpetua dai pubblici uffici.

Il testo unico contenuto nel decreto legislativo prevede l’incandidabilità alla Camera e al Senato e che, comunque, non possa ricoprire la carica di deputato e di senatore chi è stato condannato, con sentenza passata in giudicato, anche in caso di applicazione della pena su richiesta delle parti (c.d. patteggiamento), per tre categorie di condanne definitive riferite a delitti, non colposi, consumati o tentati.

La prima categoria riguarda le fattispecie di condanna a pena detentiva superiore a 2 anni di reclusione per i delitti previsti dall’art. 51, commi 3-bis e 3-quater del codice di procedura penale (si tratta di gravi delitti quali quelli concernenti mafia, terrorismo, stupefacenti ecc.)

La seconda categoria è costituita dalle condanne a pena detentiva superiore a 2 anni di reclusione per i delitti previsti nel Libro II, Titolo II (Delitti contro la pubblica amministrazione), Capo I (Delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione) del codice penale.

La terza categoria riguarda i casi di condanna a pena detentiva superiore a 2 anni di reclusione per i delitti per i quali sia prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a 4 anni stabilita in base all’art. 278 c.p.p. Tale articolo disciplina la determinazione della pena ai fini dell’applicazione delle misure cautelari.

Qualora una causa di incandidabilità sopravvenga o sia comunque accertata nel corso del mandato elettivo, la Camera di appartenenza delibera in sede di verifica dei poteri, a norma dell’art. 66 Cost., il quale prevede che ciascuna Camera giudica dei titoli di ammissione dei suoi componenti e delle cause sopraggiunte di ineleggibilità e di incompatibilità.

Incompatibilità

Con la XVI legislatura al numero di cariche incompatibili con quella di parlamentare si sono aggiunte anche quelle di presidente di provincia e di sindaco di comuni con più di 5.000 abitanti. Il D.L. 13 agosto 2011, n. 138 (art. 13, comma 3), ha, infatti, stabilito l’incompatibilità tra le cariche di deputato e di senatore, nonché le cariche di governo, con qualsiasi altra carica pubblica elettiva di natura monocratica relativa ad organi di governo di enti pubblici territoriali aventi, alla data di indizione delle elezioni o della nomina, popolazione superiore a 5.000 abitanti. La norma dispone l’applicazione di tali incompatibilità a partire dalle elezioni politiche del 2013.

Tuttavia, la Corte costituzionale ne ha anticipato, in un certo senso, il principio ispiratore, nel dichiarare l’illegittimità costituzionale degli articoli 1, 2, 3 e 4 della L. 60/1953 (relativa alle incompatibilità parlamentari), nella parte in cui non prevedono l’incompatibilità tra la carica di parlamentare e quella di sindaco di comune con popolazione superiore ai 20 mila abitanti (sent. 277/2011).

La Camera dei deputati ha recepito la sentenza della Corte costituzionale con la decisione della Giunta delle elezioni adottata nella seduta del 14 dicembre 2011 che ha accertato l'incompatibilità con il mandato parlamentare delle cariche di sindaco di comune con popolazione superiore a 20 mila abitanti ricoperte da 6 deputati.

La Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari del Senato ha invece ritenuto di non applicare gli effetti della sentenza a due senatori/sindaci sui quali la Giunta si era già pronunciata in precedenza (seduta del 21 dicembre 2011).

Nella legislatura sono state introdotte ulteriori cause di incompatibilità parlamentari con cariche in organismi (quali ad esempio autorità e agenzie di settore) ad opera dei provvedimenti istitutivi dei medesimi organismi.

Infine, la legge anticorruzione (art. 1, co. 49, L. 190/2012) reca una delega per modificare la disciplina dell’attribuzione di incarichi dirigenziali delle pubbliche amministrazioni, compresa la modifica della disciplina vigente in materia di incompatibilità tra gli incarichi dirigenziali e lo svolgimento di incarichi pubblici elettivi o la titolarità di interessi privati che possano porsi in conflitto con l'esercizio imparziale delle funzioni pubbliche affidate. Tra i principi e criteri direttivi è prevista l’esclusione del conferimento di incarichi dirigenziali a coloro che abbiano svolto incarichi di indirizzo politico o abbiano ricoperto cariche pubbliche elettive nel periodo, comunque non inferiore ad un anno, immediatamente precedente al conferimento dell’incarico.