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Temi dell'attività Parlamentare

Etichettatura d'origine
Approvata all'unanimità la legge n. 4 del 2011 che individua nell'indicazione in etichetta del luogo di origine del prodotto lo strumento idoneo ad informare correttamente il consumatore. Nella stessa direzione vanno le norme del decreto legge n. 83/2012, che consentono di indicare anche l'origine dei prodotti della pesca. Al termine della Legislatura approvata l'attesa legge per la trasparenza del mercato dell'olio d'oliva vergine, che include severe indicazioni sull'etichettatura. Previsto anche l'aumento del contenuto di frutta nelle bevande analcoliche alla frutta.

Il processo di costituzione e consolidamento dell’unificazione europea si è accompagnato a una giurisprudenza della Corte di Giustizia che ha ritenuto incompatibile con il mercato unico la presunzione di qualità legate alla localizzazione nel territorio nazionale di tutto o di parte del processo produttivo di un prodotto alimentare. A tale principio hanno fatto eccezione solo le regole relative alle denominazioni di origine (Dop) e alle indicazioni di provenienza (Igp). Per i restanti prodotti alimentari è stato sinora fissato il principio che l'indicazione del luogo d'origine o di provenienza possa essere resa obbligatoria solo nella ipotesi che l'omissione dell'indicazione stessa possa indurre in errore il consumatore circa l'origine o la provenienza effettiva del prodotto alimentare (art. 3 della direttiva 2000/13/CE, recepito dall’art. 3 del D.Lgs. n. 109/1992). Il principio è stato confermato anche con il regolamento (CE) n. 1169/2011, che in sostituzione della precedente direttiva ha tuttavia esteso a talune carni l'obbligo di indicarne l'origine (art. 26, par. 2).

Il legislatore nazionale ha tradizionalmente attribuito invece grande rilievo alla possibilità di definire una legislazione che consentisse di indicare l'origine nazionale della produzione agroalimentare, anche ponendosi potenzialmente in contrasto con la politica adottata dalla Comunità. La produzione nazionale alimentare è considerata una delle eccellenze, e pertanto il suo legame territoriale è stato ritenuto costantemente elemento di pregio - quindi degno di segnalazione al consumatore - anche per le produzioni non "a denominazione protetta". 

Con l'approvazione nel 2004 dell’articolo 1-bis del decreto legge n. 157/04 è così stato introdotto l’obbligo generalizzato di indicare il luogo di origine della componente agricola incorporata in qualsiasi “prodotto alimentare”, trasformato e non trasformato. Alla luce tuttavia della legislazione comunitaria la circolare 1° dicembre 2004 del Ministero delle politiche agricole ha rilevato che il decreto legge “contiene molteplici principi e disposizioni che richiedono una corretta interpretazione”, e dovevano ritenersi non immediatamente operative le disposizioni sull’indicazione obbligatoria in etichetta dell’origine dei prodotti. La norma è tuttora in vigore, e dovrà ritenersi abrogata al momento dell'entrata in vigore dei decreti attuativi dell'art. 4 della legge n. 4/11, sull'etichettatura.

I più recenti orientamenti sembrano infine aver preso una diversa direzione. La proposta di regolamento COM(2010)738def, di modifica delle norme di commercializzazione scritte al reg. (CE) n. 1234/2007, prevede che sarà introdotta nel diritto comunitario "una base giuridica che imporrà l'obbligo di indicare in etichetta il luogo di produzione". "Dopo avere svolto un'adeguata valutazione d'impatto, in funzione delle esigenze specifiche la Commissione potrà così adottare atti delegati che dispongano l'obbligo di indicare in etichetta il luogo di produzione al livello geografico appropriato per rispondere alle aspettative dei consumatori in fatto di trasparenza e informazione".

 


Etichettature dei prodotti alimentari

La XIII Commissione (Agricoltura) della Camera, in sede legislativa, ha definitivamente approvato all'unanimità l'AC 2260-bis-B, divenuto la legge n. 4 del 3 febbraio 2011 in materia di etichettatura e di qualità dei prodotti alimentari.

Il testo approvato è il frutto di un iter parlamentare piuttosto complesso, poiché proviene dallo stralcio da un più ampio disegno di legge di iniziativa governativa (C.2260), volto al rilancio competitivo del sistema agroalimentare. Nel corso dell’esame alla Camera la Commissione Agricoltura, posto il ristretto margine di disponibilità in ordine alla copertura finanziaria, ha deciso di concentrare l’esame del provvedimento sulla tematica della promozione del valore delle produzioni (C.2260-BIS), disponendo lo stralcio delle altre disposizioni che avevano ad oggetto questioni quali: le agevolazioni previdenziali per le aree montane e svantaggiate, il sostegno per il settore bieticolo-saccarifero nonché il riordino delle agroenergie. Tali ultime norme (C.2260-Ter) non hanno poi completato l'esame parlamentare.

Il testo del disegno di legge, divenuto poi legge, risulta pertanto incentrato sull'esigenza di promuovere il sistema produttivo nazionale nel quale la qualità dei prodotti è frutto del legame con i territori di origine, e sulla pari necessità di trasmettere al consumatore le informazioni sull'origine territoriale del prodotto, alla base delle dette qualità. Il fine di assicurare una completa informazione ai consumatori è infatti alla base delle norme (artt. 4 e 5) che dispongono l’obbligo, per i prodotti alimentari posti in commercio, di riportare nell’etichetta anche l’indicazione del luogo di origine o di provenienza, in accordo con i più recenti orientamenti che stanno maturando in ambito comunitario (per i quali si veda il tema "Pacchetto qualità dei prodotti agricoli"). Per i prodotti alimentari non trasformati, il luogo di origine o di provenienza è il Paese di produzione dei prodotti; per i prodotti trasformati la provenienza è da intendersi come il luogo in cui è avvenuta l’ultima trasformazione sostanziale e il luogo di coltivazione e allevamento della materia prima agricola prevalente utilizzata nella preparazione o nella produzione. L’etichetta deve altresì segnalare l’eventuale utilizzazione di ingredienti in cui vi sia presenza di organismi geneticamente modificati (OGM) dal luogo di produzione iniziale fino al consumo finale. Le norme, che demandano sostanzialmente alle regioni l'attività di controllo, sono peraltro rafforzate da dispozioni sanzionatorie (così il comma 10 dell'articolo 4), che prevedono l'applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria compresa fra 1.600 euro e 9.500 euro per i prodotti non etichettati correttamente.

Le modalità applicative dell'indicazione obbligatoria d'origine sono state demandate a decreti interministeriali che debbono anche definire, all'interno di ciascuna filiera alimentare, quali prodotti alimentari saranno assoggetti all'etichettatura d'origine. Le disposizioni nazionali non potranno che essere coerenti con la normativa approvata dall'Europa che, prima con la direttiva 2000/13/CE, poi con il regolamento (CE) n. 1169/2011, ha disciplinato le modalità e i contenuti informativi da trasmettere ai consumatori, e si applica agli operatori del settore alimentare in tutte le fasi della catena alimentare. Lo specifico articolo 26 stabilisce condizioni e modalità dell'indicazione del Paese d'origine o luogo di provenienza degli alimenti, e l'articolo 45 regola la procedura con la quale le norme nazionali debbono essere notificate alla Commissione ed agli altri Stati membri.

I decreti attuativi non sono stati a tutt'oggi emanati da parte dei dicasteri agricolo e dello sviluppo economico, anche a causa della difficile applicazione della asserita “obbligatorietà” della indicazione di provenienza, laddove le norme comunitarie prevedono solo regimi “facoltativi”. In assenza di tali disposizioni, per l'attuazione dell'articolo 4 della legge n. 4/2011 al Senato è stato presentato un ddl (S.3337) che, approvato il 30 ottobre del 2012, è stato trasmesso alla Camera (C.5559) dove la Commissione XIII (Agricoltura) lo ha esaminato nel corso di tre sedute, da ultimo il 5 dicembre, senza che l'iter potesse concludersi. Il provvedimento stabiliva che i decreti attuativi dovessero essere adottati entro due mesi dall'approvazione della legge.

La difficile ricomposizione delle esigenze del mercato interno con l'adesione all'area comunitaria ha trovato da ultimo una risposta significativa da parte dell Ministro dell'agricoltura nella seduta del 20/9/12, in Aula al Senato. Rispondendo alle interrogazioni sull'attuazione delle norme sull'etichettatura d'origine dei prodotti, il Ministro ha affermato che "Occorre tener presente che la legge n. 4 del 2011 sull’etichettatura dei prodotti agroalimentari si inserisce in un quadro normativo regolato a livello sovrastante dall’Unione europea e che quindi la redazione dei decreti attuativi pone problemi di compatibilità con la normativa comunitaria vigente". Il Ministro ha poi assicurato di aver predisposto il decreto attuativo per il settore lattiero-caseario (sul latte a lunga conservazione, UHT, pastorizzato microfiltrato e latte pastorizzato ad elevata temperatura), il più importante segmento di mercato tra quelli nei quali non è già in vigore un obbligo di indicazione dell'origine; è invece di prossima definizione un altro decreto per le carni lavorate.

Perseguono le medesime finalità di tutela del Made in Italy le disposizioni approvate con l'art. 43 del decreto legge n. 83/2012 per la crescita del Paese. Lo specifico comma 1-quater, ha novellato l'articolo 4, comma 49-bis della legge n. 350/2003 (legge finanziaria 2004) che, introdotto unitamente al comma 49-ter dal precedente decreto legge n. 135/09, sanziona la condotta del produttore e del licenziatario che maliziosamente omettano di indicare l’origine estera dei prodotti pur utilizzando marchi naturalmente riconducibili a prodotti italiani. Il comma 49-bis definisce le condizioni alle quali l’uso di un marchio costituisce fallace indicazione circa l’origine italiana di un prodotto di origine o provenienza estera: la novella introdotta dal decreto n. 83 reca la definizione di "effettiva origine" per i prodotti alimentari, che è il luogo di coltivazione e allevamento della materia prima, e il luogo della trasformazione sostanziale.

Etichettatura del pescato

Ancora il decreto legge n. 83/2012, con l'art. 59, commi 14-19, ha introdotto un regime facoltativo di etichettatura dei prodotti della pesca che consente di indicare la provenienza del prodotto nella fase di vendita al dettaglio e somministrazione: la dicitura può essere "prodotto italiano", o altra che indichi l'origine nazionale o con precisione la zona di cattura. Le norme si applicano esclusivamente ai prodotti acquistati direttamente da imprese di pesca - anche cooperative, organizzazioni dei produttori o imprese di acquacoltura, che devono essere in grado di dimostrare l'esattezza delle informazioni sull’origine. Anche per la pesca i dettagli applicativi saranno definiti con un decreto del dicastero agricolo, che dovrà tener conto del regolamento comunitario in materia, reg. n. 2065/01/CE.

In merito all’indicazione della provenienza del pescato, va rammentato che l’etichettatura dei prodotti della pesca è disciplinata dal reg. (CE) n. 104/2000 (che regola l'OCM pesca), che con l’articolo 4 stabilisce che nella vendita al dettaglio al consumatore finale i prodotti debbano indicare in etichetta anche la “zona di cattura”, con la sola esclusione dei piccoli quantitativi di prodotti venduti direttamente dai pescatori ai consumatori. Il reg. (CE) n. 2065/2001, con il quale sono state definite le modalità d’applicazione, ha delimitato le zone di cattura che vengono ora individuate con un codice FAO - il pescato nazionale rientra nella cosiddette “zona FAO 37” che comprende l’intero Mediterraneo, ed ha altresì aggiunto (articolo 5) che gli operatori “possono menzionare una zona di cattura più precisa”.

Tale impianto non poteva che essere confermato dalla disposizioni nazionali di attuazione: decreto ministeriale 27/3/02, sull’etichettatura dei prodotti ittici e sul sistema di controllo, e circolare n. 1329/2002 di approfondimento esplicativo. Va peraltro rammentato che, limitatamente ai prodotti non destinati all'esportazione, l'art. 18 della legge n. 99/09 (per lo sviluppo e l'internazionalizzazione delle imprese) ha stabilito quali siano le informazioni minime che debbono esere fornite per tutte le partite di prodotti della pesca e dell’acquacoltura italiani, proprio per garantire la qualità e una migliore valorizzazione commerciale dei prodotti.

Etichettature delle bevande a base di frutta

Nel corso del 2012 la Commissione Agricoltura ha avviato l'esame di tre proposte (C. 4108, C.4114 e C.5090), per innovare la legislazione sulle bevande di frutta o a base di frutta, modificandone la composizione, la presentazione ed etichettatura, il sistema sanzionatorio di tutela, l'identificazione della produzione con un logo nazionale. L'iniziativa parlamentare era collegata per un verso alla volontà di avviare una produzione con un maggiore valore salutistico, per l'altro ad indurre ad un maggior consumo di frutta, in particolare agrumi, da parte dell'industria di trasformazione, sostenendo così indirettamente la produzione agricola.

Oggetto principale delle modifiche era la produzione e vendita: delle “bevande analcoliche con denominazioni di fantasia”, il cui gusto fondamentale derivi dal contenuto di essenze - o paste aromatizzanti - di agrumi (a titolo di esempio i prodotti commercializzati col nome Lemonsoda, Sanguinella, Sprite…); e delle bevande vendute “con il nome di un frutto” (ad esempio aranciata, limonata…). Le proposte variamente innalzavano il contenuto minimo di succo di frutta, o di agrumi, che avrebbe dovuto essere presente in tali prodotti, non disciplinati da specifiche disposizioni europee. In conseguenza del maggior pregio acquisito dalla produzione nazionale, era introdotto l’obbligo di indicare in etichetta lorigine o la provenienza del prodotto (ovvero il luogo dove è avvenuta l’ultima trasformazione sostanziale), l’origine o provenienza della frutta utilizzata (luogo di coltivazione), la percentuale del frutto naturale contenuto. L'obbligo dell'indicazione d'origine era peraltro esteso anche ai succhi di frutta (integralmente ottenuti dalla frutta) ed ai nettari (che devono avere un tenore minimo di succo o purea compreso tra il 25% ed il 50%).

Le proposte non hanno ottenuto l'approvazione parlamentare prima dello scadere della legislatura, ma l'art. 8, co. 16 del decreto legge n. 158/12, cosiddetto "decreto salute", ha parzialmente recepito le novità, elevando il contenuto di frutta delle bevande analcoliche con il nome di uno o più frutti dai precedenti 12 gr. per 100 ad una presenza minima del 20%.

Etichettatura degli oli di oliva vergini

E' stato infine approvato il 18 dicembre, proprio allo spirare della legislatura e rinunciando ad introdurre modifiche al testo trasmesso dal Senato, il disegno di legge C.5565 con il quale sono definite le norme sulla qualità e la trasparenza della filiera degli oli di oliva vergini. Il provvedimento, tradotto nella legge n. 9/13, è stato approvato all'unanimità, dalla Commissione convocata in sede legislativa.

La legge - fortemente voluta dal comparto, costretto a fronteggiare la concorrenza di produzioni qualitativamente inferiori che si avvalgono di una presentazione ingannevole - contiene in verità un articolato complesso di disposizioni tese a tutelare e valorizzare la produzione nazionale di maggior pregio.

La tutela del settore viene posta in atto introducendo nuove norme relative, fra gli altri, ai seguenti profili: una minuziosa regolazione delle modalità di verifica della presenza delle qualità organolettiche; la dettagliata individuazione delle pratiche commerciali ingannevoli; la disciplina dell'uso dei marchi d'impresa; l'introduzione di termine e modalità di conservazione delle specifiche qualità organolettiche; la regolazione della vendita sottocosto; il rafforzamento degli istituti processuali e investigativi; infine, le disposizioni direttamente volte ad imporre una corretta etichettatura degli oli di oliva vergini, che vanno rintracciate:

  • nell'articolo 1, che stabilisce le modalità di indicazione dell'origine del prodotto, in applicazione dell'art. 4 del D.M. 10/11/2009. Le norme approvate entrano nel merito della dimensione dei caratteri da utilizzare, della loro visibilità e leggibilità, della distinguibilità dagli altri segni grafici, del luogo di apposizione dell'indicazione;
  • nell'articolo 10, che obbliga gli uffici della sanità transfrontaliera a rendere accessibili le informazioni sull'origine degli oli extra vergini e delle olive, sia agli organi di controllo sia alle amministrazioni interessate, anche creando delle connessioni con sistemi informativi e banche dati di altre autorità pubbliche.

L'indicazione dell'origine nell'etichetta degli oli d'oliva vergini è ormai ammessa dalle disposizioni comunitarie, che l'avevano un primo tempo prevista con il reg. (CE) n. 1019/2002 esclusivamente come "regime facoltativo". Il regime obbligatorio è stato introdotto solo nel 2009 con l'approvazione del reg. (CE) n. 29/2012. Ai sensi dell'art. 4 del provvedimento la designazione dell'origine deve riferirsi alla zona geografica nella quale l'olio è stato ottenuto, che di norma corrisponde alla zona nella quale è stato estratto dalle olive. Tuttavia, se il luogo di raccolta delle olive è diverso da quello di estrazione dell'olio, tale informazione deve essere indicata sugli imballaggi o sulle relative etichette per non indurre in errore il consumatore e non perturbare il mercato dell'olio d'oliva.

E’ prossimo alla definitiva redazione lo schema di decreto del ministro delle politiche agricole (del 12 dicembre), istitutivo del sistema di qualità alimentare nazionale per l'olio extravergine di oliva SQN OLIO. L’adesione al sistema è volontaria, comporta il rispetto del disciplinare associato e la sottoposizione al sistema di controllo, ma autorizzerà l’operatore ad identificare il prodotto con la dicitura “Olio Extra Vergine Alta Qualità”, che potrà essere apposta in etichetta, anche in associazione al marchio nazionale identificativo dei “sistemi di qualità alimentare nazionale”.

Le disposizioni comunitarie che defiscono sistemi di qualità alimentare, prevendone anche il sostegno da parte dell'UE, fanno capo al reg. (CE) n. 1698/2005 sul sostegno allo sviluppo rurale. L'articolo 32 prefigura un incentivo, sotto forma di erogazione annuale, per prodotti agricoli destinati al consumo umano che rientrino nei sistemi di qualità alimentare comunitari o riconosciuti dagli Stati membri. L'articolo 22 del reg. (CE) n. 1974/2006, di applicazione del menzionato reg. n. 1698, detta i criteri cui debbono rispondere i sistemi, fra i quali: una qualità del prodotto finale significativamente superiore alle norme commerciali correnti in termini di sanità pubblica, salute delle piante e degli animali, benessere degli animali o tutela ambientale.