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Resoconti stenografici delle audizioni

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Commissione II
10.
Mercoledì 14 ottobre 2009
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Bongiorno Giulia, Presidente ... 3

Seguito dell'audizione del capo del Dipartimento per l'Amministrazione penitenziaria, dottor Franco Ionta (ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento):

Bongiorno Giulia, Presidente ... 3 5 7 11 16
Bernardini Rita (PD) ... 11
Cavallaro Mario (PD) ... 7
Di Pietro Antonio (IdV) ... 5 7
Ferranti Donatella (PD) ... 9
Follegot Fulvio (LNP) ... 5
Ionta Franco, Capo del Dipartimento per l'Amministrazione penitenziaria ... 3 11
Melis Guido (PD) ... 5
Molteni Nicola (LNP) ... 8
Paolini Luca Rodolfo (LNP) ... 10
Samperi Marilena (PD) ... 11
Touadi Jean Leonard (PD) ... 10
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Repubblicani; Regionalisti, Popolari: Misto-RRP.

COMMISSIONE II
GIUSTIZIA

Resoconto stenografico

AUDIZIONE


Seduta di mercoledì 14 ottobre 2009


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GIULIA BONGIORNO

La seduta comincia alle 14,45.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso e la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Seguito dell'audizione del capo del Dipartimento per l'Amministrazione penitenziaria, dottor Franco Ionta.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento, il seguito dell'audizione del capo del Dipartimento per l'Amministrazione penitenziaria, dottor Franco Ionta.
Ricordo che nella scorsa seduta il dottor Ionta ha svolto una relazione sui temi oggetto dell'audizione e che alcuni deputati hanno formulato quesiti ed osservazioni.
Do la parola al dottor Ionta per rispondere ai quesiti posti nella precedente seduta.

FRANCO IONTA, Capo del Dipartimento per l'Amministrazione penitenziaria. Ringrazio la Presidenza e gli uffici di questa Commissione, che mi hanno fornito il resoconto dell'audizione della scorsa volta, il che mi ha consentito di apprestare un po' di documentazione, che lascerò poi alla Commissione e che illustrerò molto brevemente.
Partendo dalle richieste dell'onorevole Tidei, che chiedeva della situazione della casa Circondariale di Civitavecchia, lascio alla Commissione il documento dal quale risulta che sono in corso alcune opere di ultimazione del funzionamento dell'istituto. La fine dei lavori relativi a questi interventi è prevista per il 20-21 dicembre 2009, e la spesa suppletiva, che pure mi veniva chiesta, è di 560 mila euro. I lavori di Civitavecchia termineranno, dunque, nel dicembre del 2009 e renderanno disponibili 156 posti detentivi. Questa è una prima questione.
Per quello che riguarda il servizio sanitario penitenziario e la trasmigrazione della sanità penitenziaria al Servizio sanitario nazionale, ho una copiosa documentazione, che lascio alla Presidenza, naturalmente sottolineando ciò che ho avuto modo già di dire la volta scorsa, ossia che le regioni a statuto speciale e le province autonome sono escluse, in questa prima fase, ma che, in virtù dei rispettivi statuti e delle correlate norme di attuazione, vi verranno ricomprese.
In merito a un'altra richiesta, sulla parametrazione, dal 2001 a oggi, ossia il rapporto tra la presenza del personale di polizia penitenziaria, da un lato, e dei detenuti in quel momento dall'altro, ho con me uno specchietto riepilogativo, che posso anche sintetizzare: nel 2001 erano presenti 41.608 poliziotti penitenziari, con una popolazione detenuta di 53.165 detenuti. Attualmente, abbiamo 40.627 poliziotti penitenziari per una popolazione detenuta di 64.859 detenuti nelle nostre strutture penitenziarie. Faccio presente, però, che dal numero di 40.627 dobbiamo togliere 804 persone, che sono adibite alla


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giustizia minorile. In sostanza, abbiamo circa 39 mila unità di polizia penitenziaria.
Faccio notare - altro punto molto importante - che la pianta organica per la consistenza del personale di polizia penitenziaria è fissata per legge, al 2001, in 45.121 unità. Sostanzialmente, abbiamo una carenza di oltre 5 mila unità di personale di polizia penitenziaria. Ovviamente, lo specchietto riproduce poi la situazione per gli anni dal 2001 al 2009, così come mi è stato richiesto.
Mi è stato poi richiesto anche uno specchietto riepilogativo dei detenuti che sono stati fatti uscire dal carcere e poi espulsi. Ho un riepilogo dal 2002 al 2008, fino all'agosto del 2009: il trend ha visto, nel 2002, 449 espulsioni; nel 2003, 2004, 2005, 2006 si superano le mille unità; poi il dato è regredito nel 2007 a 381, nel 2008 a 711 e ad agosto 2009, ultimo dato disponibile, a 668 espulsioni.
Per quello che concerne la situazione dei 39 psicologi vincitori di concorso, lascio alla Commissione due mie note che la fotografano. Proprio il passaggio della sanità penitenziaria al servizio sanitario nazionale, oltre alla carenza di fondi, rende impossibile l'assunzione delle persone che hanno vinto il concorso. Da quello che so, vi è una disponibilità del Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali a prendersi carico della situazione e mi risulta che siano in atto procedure per verificare se i titoli che sono stati prodotti da queste persone, nel momento in cui hanno svolto il concorso presso l'amministrazione della giustizia, siano sufficienti e validi rispetto all'eventuale assunzione presso il Ministero stesso.
Faccio presente, però, che, essendo anche il presidente del relativo Consiglio di amministrazione, in Cassa ammende abbiamo finanziato un progetto per utilizzare, sia pure parzialmente, una parte dei vincitori di tale concorso per venire incontro alla loro giusta esigenza di trovare collocazione. Lascio quindi le due note che fotografano la situazione.
Per quello che riguarda la questione delle azioni di autoferimento, o addirittura di suicidio, vi lascio una documentazione che ripercorre le iniziative messe in atto dall'amministrazione per tentare di arginare questo grave fenomeno, nonché tutta la casistica, a partire addirittura dal 1980, con le statistiche relative al numero dei suicidi, alla media dei detenuti rispetto a tale numero, al tasso di percentuale, e tutto il materiale di cui dispone il mio ufficio per fotografare questa drammatica situazione. Gli ultimi dati mi comunicano che nel 2005 ci sono stati 57 suicidi su 60 mila detenuti e, nel 2008, 42 suicidi su 54 mila. Queste sono più o meno tutte le informazioni di cui dispone il mio ufficio.
Si poneva poi una questione relativa al costo dei detenuti. Anche in questo caso, lascio un piccolo specchietto in cui risulta che la cifra finale del costo giornaliero per detenuto è di 148 euro, comprendendo ovviamente tutte le spese, tra cui quelle dello stipendio per il personale.
Lascio ancora un appunto che riguarda la situazione delle case mandamentali, facendo presente, peraltro, che esse non sono nella disponibilità del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria. Se non ricordo male, ne sono state dismesse 325, anche per diseconomicità del loro trattenimento.
Abbiamo svolto una valutazione su quale debba essere la struttura tipo, al di sotto o al di sopra della quale si rende diseconomica la gestione, e abbiamo visto che, quando si va al di sotto di determinati numeri, dovendo comunque mantenere tutti i servizi legati alla detenzione, diventa molto difficile e anche diseconomico gestirle. Abbiamo, di conseguenza, orientato la nostra azione verso la creazione di strutture che si aggirano intorno ai 450 posti detentivi, una dimensione gestibile e, nello stesso tempo, anche vantaggiosa sul piano economico.
Al di sotto di questo limite la situazione diventa meno vantaggiosa, anche in relazione al rapporto tra personale di polizia penitenziaria e popolazione detenuta.
Non ricordo se nella scorsa occasione, ma mi è comunque stato segnalato il problema di Reggio Calabria, su cui lascio un appunto riepilogativo. Faccio presente che l'istituto di Reggio Calabria è nella responsabilità


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del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e che c'è stato un lungo contenzioso tra la ditta che si era aggiudicata i lavori e il Ministero stesso. Con delibera del Comitato interministeriale per la programmazione economica del 31 luglio 2009 abbiamo ricevuto - questo è un dato sicuramente positivo - anche se fisicamente non sono ancora arrivati nelle nostre casse, però sono assegnati, 200 milioni di euro per favorire istituti penitenziari in zone cosiddette di area di sottoutilizzazione, che ricomprendono anche la Calabria. Abbiamo immaginato di utilizzare 21 milioni e mezzo per risolvere il problema di Reggio Calabria, creando in questo modo 250 nuovi posti detentivi.
Questo è, più o meno, salvo mie omissioni, il quadro delle richieste che mi era stato posto. Credo di aver esaurito gli argomenti che mi erano stati sottoposti.

PRESIDENTE. Do la parola ai deputati che intendono intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

FULVIO FOLLEGOT. Ringrazio il dottor Ionta per le risposte. Vorrei porgli alcune domande. Sappiamo che gli immigrati nelle carceri sono circa 24 mila. Ci sono convenzioni con gli Stati per far scontare la pena nel Paese di origine? Ed eventualmente, se lei ne è a conoscenza fin d'ora, quanti sono, almeno indicativamente?
La seconda domanda è molto più specifica e riguarda il carcere di Pordenone, che credo lei conosca attentamente. Vorrei porle degli interrogativi precisi, perché non sono stato in grado di avere risposte precise. È stato già individuato il sito, come si dice in giro? Sono state allocate le risorse? Quali sono i possibili tempi di realizzazione?

ANTONIO DI PIETRO. Leggo dalla rassegna stampa di oggi che al Consiglio dei ministri di domani era atteso un provvedimento in materia di carceri, che avrebbe dovuto portare una boccata di ossigeno nelle celle, dove sono accatastati - riferisce l'agenzia - 64 mila esseri umani. Il sottosegretario Caliendo ha però fatto sapere che il grande piano Ionta - lo chiama così, come tutti - non è ancora pronto. Vorrei sapere esattamente in che cosa consiste tale piano e quanti soldi ha a disposizione, se ne ha.
Se sono vere le cifre che ci ha fornito il direttore, ossia che ci sono 5 mila agenti carcerari in meno rispetto a una popolazione carceraria aumentata, come direttore dell'amministrazione penitenziaria dispone dei fondi per trovare gli agenti che mancano, posto che vi è una diminuzione rispetto a quanto prevede la pianta organica? Se non ci sono neanche i fondi per assumere gli oltre trenta psicologi che hanno vinto il concorso, è stato previsto a quali risorse fare ricorso? Noi abbiamo conoscenza della carenza di personale da diversi anni, ma non sappiamo ancora da dove derivano i soldi per assumere questi agenti. Ripeto, è di oggi la notizia che i provvedimenti che si sarebbero dovuti affrontare in Consiglio dei ministri domani, non lo saranno più, perché si sta aspettando il Piano Ionta. Vorrei sapere se qualcuno le ha indicato dove lei dovrebbe andare a prendere i soldi.

GUIDO MELIS. Ringrazio il dottor Ionta. Torno anche io su questo argomento. A Ferragosto ho sentito alla radio, e ho anche letto in un'agenzia, una conferenza stampa del Ministro Alfano, in cui si diceva, in primo luogo, che entro settembre si sarebbe presentato il piano; in secondo luogo che allora c'erano a disposizione 250 - lei dice 260, se non sbaglio - milioni di euro; e in terzo luogo che sarebbero occorsi, a regime, 1500 milioni di euro. La differenza è notevole tra le risorse accantonate e quelle che servono. In quell'occasione Alfano disse che l'Europa si sarebbe dovuta far carico di determinate responsabilità, giacché noi siamo terra di frontiera, che la grande ondata migratoria che proviene dall'Africa e dall'Asia o dall'Europa orientale penetra prima in Italia, e che dunque i governi europei avrebbero dovuto concorrere.
Alcuni giorni dopo ho letto, per caso, su un giornale una dichiarazione di una delle autorità europee che già si manifestava


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molto tiepida rispetto a tale assunzione di responsabilità. Si tratta di un problema politico molto grave. Ripeto anche io la domanda dell'onorevole Di Pietro: come si pensa di varare il piano? Non viene varato, perché non c'è contezza di quali siano le risorse finanziarie da dedicargli.
Ho poche domande molto precise da porre. La prima riguarda la questione degli educatori. C'è speranza per questa essenziale funzione, se si vuole che la pena sia davvero non soltanto afflizione, ma recupero del detenuto, che gli educatori possano tornare davvero a svolgere la loro funzione in maniera ottimale nelle carceri italiane?
La seconda domanda riguarda il tema dell'immigrazione: se possibile, vorrei avere, magari col tempo, una classifica delle componenti nazionali dell'immigrazione in carcere, sapere cioè quali sono le nazionalità che più concorrono alla triste gara che si è sviluppata, e anche se sono in atto, presso il dipartimento, o in generale nel Ministero, politiche per fronteggiare questa tipologia particolare di detenuti. Naturalmente un detenuto di religione e di etnia diversa, che spesso non conosce la lingua, che ha usi anche igienici o di costume completamente diversi dai nostri, presenta, immagino, tipologie di trattamento del tutto differenti.
Io ho visitato un po' di carceri e ho visto che è tutto un mescolamento, talvolta anche pericoloso, di detenuti di diversa estrazione, che vengono tenuti spesso, come lei sa, al di là dei limiti fisiologici delle celle, di cui è stato effettuato anche, nella grande visita di Ferragosto, un calcolo dei metri quadri col metro. Capisco che siamo in emergenza, ma siamo al di là dei limiti sopportabili. Ci sono politiche per affrontare la diversa tipologia dei ceppi migratori che purtroppo alimentano la clientela delle carceri italiane? La sensazione che si ha è che tale piano, e in genere tutta la politica che viene messa in cantiere, sia di contenimento e non di previsione. Anche la cifra di 1 miliardo e 600 milioni di euro, che creerebbe 17-20 mila posti detentivi in più, serve per l'emergenza. Con questo andiamo in pareggio, ma non prevediamo quello che può succedere nei prossimi anni, per esempio l'effetto dei provvedimenti recenti che il Governo ha voluto e che il Parlamento ha varato rispetto alla sicurezza. Come in tutte le imprese di questo mondo, e purtroppo questa è una triste impresa, si pone un problema di programmazione.
L'ultima domanda che volevo porle, se mi consente, è su un tema che mi è molto caro, sul quale ho presentato anche un'interrogazione. C'è una cospicua colonia di detenuti romeni che rinunciano a esperire i gradi d'appello del giudizio, accettando la condanna definitiva, pur di essere trasferiti rapidamente in Romania. Ho già posto la stessa domanda al sottosegretario Caliendo, che mi ha assicurato il richiamo ai trattati con la Romania e alle politiche tra i due Paesi. Mi consta, invece, che questo flusso di uscita, che molto gioverebbe a ridurre la densità e il peso sulle nostre carceri, non si sta verificando. Vorrei sapere che cosa accade in questo campo.
L'ultimissima domanda riguarda il carcere sassarese di San Sebastiano, che era stato oggetto di una mia interrogazione nel mese di luglio - se non ricordo male - del 2008. Sono tornato un anno dopo e la situazione è peggiorata, naturalmente, nonostante gli eroici sforzi della direttrice Mascolo e del personale. Vi è un sottodimensionamento dal punto di vista del personale. Si attende, come una panacea, il trasferimento nel nuovo carcere, che dovrebbe sorgere ai confini della città, ma i cui lavori non sembrano, almeno a vederli dal di fuori - mi riprometto di chiedere un permesso per poterli visitare - procedere con la dovuta celerità.
Si era detto che nel 2010 il vecchio carcere sarebbe stato smobilitato - è un pezzo di archeologia carceraria degna degli studi degli storici - e che tutti i detenuti sarebbero stati trasferiti nel nuovo. Ho la sensazione che questo nel 2010 non avverrà, se si vuol essere realisti e seri. Per come stanno procedendo le cose e per come sono le risorse finanziarie - anche questo le domando, se c'è un finanziamento adeguato per consentire quest'operazione


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- temo che anche questo potrebbe non essere un obiettivo raggiungibile.

ANTONIO DI PIETRO. Vorrei restasse agli atti che devo intervenire in sede di question time in Assemblea. Me ne scuso con la Commissione e con il dottor Ionta. Dal momento che oggi sono l'unico a rappresentare il mio gruppo in Commissione, chiederei al collega Touadi la cortesia di raccogliere le risposte che verranno date.

PRESIDENTE. Poiché oggi dovremmo concludere quest'audizione, vorrei terminare tutti gli interventi prima di dare la parola al direttore.

MARIO CAVALLARO. Signor presidente, il contenuto delle domande è molto simile. Io però vorrei partire da una premessa, non dichiarativa, ma da una domanda di premessa, in relazione soprattutto al fatto che tutti parlano di questo piano Ionta, che intanto la gratifica almeno per il nome.
Mi scuso se i documenti possono produrre una risposta indipendente dalla sua affermazione, ma ho svolto una piccola ricerca e ho trovato almeno due step del 2001 e del 2004 di un decreto che doveva essere, se non ricordo male, ricognitivo del vecchio piano straordinario, e vorrei sapere se su tali piani sono appostate risorse ordinarie o straordinarie, e che sorte hanno avuto tali pianificazioni.
In pratica, ricordo che c'era un elenco - lo ricordo anche come componente in passate legislature della Commissione giustizia di altro ramo del Parlamento - addirittura di ventuno carceri che avrebbero dovuto essere oggetto o di profonde ristrutturazioni o comunque di trasformazioni tutte già finalizzate all'ottenimento di un ampliamento dei posti e anche di un miglioramento della qualità delle strutture.
Mi pare di ricordare e di capire che di tale pianificazione non vi sia più traccia visibile. Soprattutto le chiedo se il dipartimento abbia tuttora, a valere su fondi ordinari o straordinari che potrebbero essere residui, una disponibilità e che cosa intende fare in relazione agli stabilimenti che oltretutto erano stati posti in una graduatoria. Io ricordo - lei saprà, perché forse fisicamente mi riconosce come colui che ha caldeggiato una delle piccole carceri che esistono nel nostro Paese, il carcere di Camerino - che esse risalivano faticosamente in questa graduatoria un po' come le lumache che risalgono dal pozzo, poi scivolavano in giù, ma vi era, per quello come per altri stabilimenti, una prospettiva di qualche tipo. Peraltro, nel caso specifico, al di là del fatto che Camerino - come la parola stessa dice - è piccola cosa, si tratta di uno dei pochi stabilimenti penitenziari nelle Marche, e quindi consente di trovare una risposta.
Il secondo punto, invece, riguarda il piano. Io non voglio fare dichiarazioni di carattere generale o di principio, che hanno già svolto gli altri colleghi. Sicuramente lei, pur non potendole o non volendole presentare, per ragioni di completezza, al Consiglio dei ministri, ha già studiato ed elaborato alcune linee, dunque credo che possa dirci, nell'ambito di tali linee generali, quali sono le risorse finanziarie che lei ritiene di dover appostare per realizzare quanto meno l'obiettivo minimale di cui si diceva, cioè arrivare a un pareggio sostanziale tra posti disponibili ed esigenze carcerarie del Paese, e quale cronoprogramma lei ritiene di poter attuare in relazione a tali disponibilità finanziarie. Noi, peraltro, partimmo da piani decennali che si sono rivelati non degni di questo nome, perché nessuno ha avuto avvio.
Vengo al terzo e ultimo discorso, che ritengo non irrilevante: quali modalità e forme di attuazione di questi progetti, programmi o piani lei ritiene di dover proporre?
Come diciamo noi in tribunale, ricordo a me stesso, ma ricordo anche a chi mi ascolta, che uno dei motivi per cui naufragò ogni esigenza dichiarata pianificatoria fu anche la modalità con la quale, contro il nostro parere, l'allora Ministro Castelli ritenne di poter realizzare, in


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quattro e quattro otto, una riforma consistente delle disponibilità carcerarie attraverso - alcuni fra i presenti lo ricorderanno - la costituzione di una società di scopo, che poi mi pare sia stata addirittura liquidata, che si chiamava Dike Aedifica Spa - anche il nome non è bellissimo - e che doveva essere emanazione del Ministero della giustizia; vi si aggiunge poi l'irrisolto conflitto fra tale Ministero e quello delle infrastrutture e dei trasporti, nonché quello sulle procedure e modalità. Si era evocata l'utilizzazione della legge obiettivo, che poi non si è inverata; si è parlato di un project financing basato in parte sull'utilizzazione delle strutture carcerarie in posizioni di prestigio all'interno dei perimetri urbani, ma anche di questo non c'è traccia. Vi è inoltre l'esigenza, se si accede a questo tipo di progetto, di procedere attraverso un sistema nitido, limpido e soprattutto coerente, quanto meno con il sistema europeo dell'organizzazione.
Vorrei, se lei ritiene di poterle illustrare o di poter rinviare a una sua eventuale documentazione, conoscere tali linee guida che, secondo me, indipendentemente dalla loro attuazione pratica, debbono già essere contenute nelle indicazioni. Ho già riferito della questione puntuale di cui mi sono occupato. In cauda non è venenum, quindi, se mi vuole dare una piccola risposta, le sono grato.
Vorrei, però, sollevare ulteriormente due questioni, sempre di carattere operativo. Mi sono avveduto, anche per esperienze personali e perché nella XIV legislatura abbiamo svolto un'indagine conoscitiva praticamente totale sul sistema carcerario, che, se esso nel suo complesso è assolutamente carente, vi è una carenza ulteriore nell'attuazione delle misure di sicurezza - in particolare quelle di carattere sanitario o custodiale - e anche nelle misure alternative alla detenzione, quando però in parte riguardano anche le attività degli stabilimenti penitenziari.
Soprattutto, vi è un buco nero totale nel lavoro in carcere e nella riabilitazione dei detenuti. Questo è un campo nel quale dovremmo, come Paese, dare una risposta di eccellenza - è anche gradito alla pubblica opinione che i detenuti non dico che debbano lavorare, ma almeno che lo possano fare, il che è anche una delle forme di rieducazione principe - e invece io mi accorsi, e registro tuttora dai dati che raccolgo, che la quasi totalità degli stabilimenti penitenziari non ha le adeguate strutture, come il personale spesso ci racconta, e che non è assolutamente in grado di garantire le modalità per l'esercizio del lavoro. Occorrono strutture dedicate e un'attività custodiale di particolare complessità. Anche su questo le chiederei un chiarimento sulle iniziative. Si tratta non tanto di costituire nuovi stabilimenti, ma di ristrutturare almeno quelli esistenti, o una parte di essi, per consentire a una parte della popolazione carceraria l'attività lavorativa.
L'ultimo discorso riguarda la detenzione minorile. In questa sede non abbiamo parlato affatto di tale aspetto, anche perché diamo per scontato che sia un'eccezione, però esiste anche questo tipo di problematica: quali misure, di carattere in parte emergenziale e in parte, soprattutto, strutturale, intende il dipartimento assumere, in tempi ovviamente compatibili con la soddisfazione delle esigenze?

NICOLA MOLTENI. Signor presidente, sarò abbastanza rapido. Innanzitutto vorrei porre al dottor Ionta, che ringrazio per la sua presenza, la seguente questione: si era sostenuto che, per poter ovviare al problema del sovraffollamento delle carceri, poteva essere una soluzione il provvedimento di indulto, che è stato votato nella XV legislatura. Abbiamo visto che tale provvedimento, da quanto è stato evidenziato, non ha portato alcun effetto, tant'è che oggi ci troviamo nuovamente a dover affrontare il problema. Volevo chiederle innanzitutto se ci conferma, dandoci anche numeri e dati, che il provvedimento dell'indulto ha avuto effetti sostanzialmente fallimentari.
La seconda domanda è la seguente: anche alla luce delle affermazioni che ha fatto ieri il Ministro Alfano a Bruxelles, il quale ha sostenuto che, per poter ovviare


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al problema del sovraffollamento delle carceri, stante la presenza del 40 per cento di una popolazione di origine straniera, la soluzione sarebbe quella - da più tempo auspicata da parte del gruppo della Lega Nord - di far scontare ai detenuti stranieri la pena nelle carceri dei Paese d'origine, vorrei chiederle a che punto sono le intese con tali Stati e quante persone a oggi vi sono effettivamente state trasferite per poter scontare la pena.
La terza domanda specifica, e ovviamente campanilistica, riguarda la situazione del carcere di Como, che intendo segnalarle. Non entro nel merito di nulla, perché ho depositato due interrogazioni, ma le chiederei se cortesemente potesse, in tempi abbastanza rapidi, fornire risposte. Anche il carcere di Como soffre delle problematiche sia di sovraffollamento, sia di carenza di organico della polizia penitenziaria, cui si aggiunge anche un altro problema, ossia che quarantadue dipendenti fanno parte della pianta organica del carcere di Como, ma sono soggetti che non vi hanno mai svolto attività, perché hanno immediatamente chiesto il trasferimento e il distaccamento presso altre strutture. Spesso si verifica che dipendenti vengano assegnati a determinate strutture, e poi chiedano il trasferimento, in modo particolare in alcune strutture del sud, per ovvi motivi, legati anche ai salari. Questa problematica mi è stata fatta presente in modo particolare dalle rappresentanze sindacali della Polizia penitenziaria.
Vorrei segnalare, quindi, la situazione complessiva del carcere di Como, e sapere se fosse possibile avere un intervento e se lei potesse, in tempi abbastanza rapidi, comunicarmi numeri e ipotetiche soluzioni, a fronte delle due interrogazioni che avevo depositato.

DONATELLA FERRANTI. Ringrazio il dottor Ionta di essere qui. Molte domande sono già state poste dai colleghi, io vorrei avere una precisazione.
Si è sentito parlare del piano carceri da lei firmato, il cosiddetto piano Ionta. Vorrei sapere, ma credo che la risposta sia no, se è stato portato in Consiglio dei ministri e se è stato approvato. Vorrei sapere anche se l'annuncio di un piano carceri, arrivato due o tre giorni fa dal Presidente del Consiglio, sia riferito allo stesso che lei ha già elaborato col suo ufficio, oppure se si tratta di altro documento, eventualmente di che genere sia, se lei lo conosce e se le è stato rappresentato, o se esiste un documento diverso.
All'epoca ne parlammo col Ministro Alfano. Vorrei sapere qual è stata la strategia, o comunque la linea direttrice, riguardante le nuove carceri. Si tiene presente anche una diversa modalità dell'edilizia carceraria - il cosiddetto carcere-fortino - a seconda anche del tipo di detenuti, quindi anche sul modello spagnolo o su altri modelli europei?
Mi ricollego alla domanda formulata ora dal collega Molteni. Per quanto riguarda le convenzioni con gli Stati esteri - mi sembra peraltro che non siano in stato avanzato - è stato fatto anche un calcolo di quanto costa il trasferimento all'estero? Anche a me interesserebbe sapere - perché questo riguarda in particolare tutta l'immigrazione - con quanti Paesi abbiamo sottoscritto convenzioni in corso di attuazione, e quante sono effettivamente praticate.
Il terzo punto è il seguente: mi sta particolarmente a cuore il problema dell'assistenza psicologica in carcere. Io le chiederei, se possibile, un impegno per cercare di risolvere questa annosa problematica, che non possiamo sciogliere noi a colpi di interrogazioni. Continuiamo, infatti, a presentare interrogazioni riguardanti le assunzioni di psicologi, e il concorso espletato o meno: sappiamo che c'è un rimpallo tra le regioni, oltre che sulla questione della assistenza sanitaria, anche in relazione al fatto che, per esempio, nella parte di assistenza sanitaria si comprenda solo - ho visto i documenti - lo psicologo di assistenza ai tossicodipendenti, e non anche quelli che noi abbiamo inserito, con un emendamento condiviso, nella legge sullo stalking e in quella sulla violenza carnale, che avrebbero dovuto comporre l'organismo collegiale dell'articolo 80 dell'ordinamento penitenziario per


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far sì che i sex offender siano sottoposti a un giudizio più rigoroso, per poter essere ammessi poi ai sistemi alternativi alla pena, quali le situazioni premiali, dopo aver scontato un dato numero di anni.
Da un lato noi sappiamo che in alcune carceri, per esempio Bollate, ci sono sperimentazioni o realtà molto favorevoli sotto questo punto di vista; dall'altro, invece, non riusciamo a comprendere perché, pur nelle maglie di una burocrazia o di una legge che ha limiti - mi rendo conto - si continui, da un lato, a pensare di stipulare convenzioni con gli psicologi per un numero di monte ore sostanzialmente insufficiente rispetto al servizio, e, dall'altro, non si risolve il problema - che voglio promuovere per il bene dei detenuti - anche sotto il profilo di realizzare l'aspettativa di vincitori di concorso giovani (ormai non più tanto, visto che è passato un po' di tempo), persone che hanno impegnato energie, studio e risorse economiche in tale attività, fermo restando che a me sembra che, in ogni caso, anche una comparazione di costi, in relazione ai benefici di avere strutture operanti all'interno, consenta di restituire alle carceri la funzione di recupero della pena e della personalità, a cui non dobbiamo mai rinunciare.
L'altra questione che le vorrei porre è una curiosità scientifica: nel redigere il piano carceri, che sicuramente sarà stato stilato, anche per il suo impegno e per la sua specifica professionalità, con tutte le procedure del caso, è stato effettuato un monitoraggio delle situazioni carcerarie, carcere per carcere, per verificare la situazione reale e non quella generalizzata? Quali sono i criteri a cui vi siete ispirati per il piano carcere che è stato elaborato, un documento che speriamo di conoscere a breve?

JEAN LEONARD TOUADI. Signor presidente, vorrei chiedere al dottor Ionta a che punto è il diritto allo studio in carcere. Qualcuno potrebbe obiettare che, con tutti i problemi che abbiamo, di infrastrutture e di risorse, io chieda del diritto allo studio. Invece penso che sia importante, perché è un dettato costituzionale assicurare che, oltre a scontare la pena, i detenuti siano messi nelle condizioni di prepararsi al ritorno in società anche attraverso la formazione e lo studio.
Glielo chiedo perché, nella mia veste passata di Assessore alla sicurezza e all'università del Comune di Roma, ho avviato un'esperienza pilota interessante, soprattutto con le Università di Tor Vergata e della Sapienza, nel carcere di Rebibbia con risultati estremamente positivi. Penso che lei ne sia a conoscenza e, quindi, vorrei sapere se si è proceduto su questa linea e quali altre esperienze pilota ci sono in giro.
La seconda domanda, che è stata anticipata dal collega Cavallaro, riguarda invece la situazione degli istituti per minori. È una questione molto delicata, come sapete, in relazione all'età evolutiva dei giovani che vi sono ospitati; c'è un turnover maggiore rispetto agli istituti per adulti, però i problemi di infrastrutture e di personale rimangono. Anche una recente ispezione che ho svolto al carcere minorile di Casal del Marmo è indicativa di ciò. Vorrei avere più notizie sulla situazione.
Ho, inoltre, una domanda campanilistica che riguarda Roma: ogni tanto la leggenda metropolitana riporta della chiusura del carcere di Regina Coeli, che si trova, come lei ben sa, in mezzo alla città e rappresenta un impatto urbanistico piuttosto importante. In città ogni tanto torna questa leggenda metropolitana. Vorrei sapere se ci sono notizie in merito.

LUCA RODOLFO PAOLINI. Dottor Ionta, le segnalo due numeri: 40 mila e 63 mila, ossia 40 mila agenti e 63 mila detenuti. Non mi pare che sia un rapporto detenuti-guardie carcerarie molto negativo. Uno dei problemi emersi nella visita che facemmo con altri deputati a Ferragosto di quest'anno è stato proprio quello delle sperequazioni nella ripartizione territoriale, anche grazie a un utilizzo distorto della legge n. 104, di cui il Ministro Brunetta si sta occupando. Che percentuale di incidenza ha, nell'alterazione dei


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normali criteri di ripartizione del personale, l'utilizzo di questa e di altre facilitazioni?
Da molte notizie date anche da programmi divulgativi, come Striscia la notizia, apprendiamo dell'esistenza di molte carceri, pressoché concluse, ma bloccate per ragioni non note. Quante sono e che tipo di problematiche hanno impedito il collaudo, e quindi la messa in servizio, di tali carceri, che mi pare siano una decina, almeno stando a notizie sommarie raccolte?

MARILENA SAMPERI. Faccio solo una battuta. Ci sono molte case circondariali che hanno messo in atto sperimentazioni per cercare di reintrodurre i detenuti nel mondo del lavoro, facendo acquisire loro una professionalità, e anche un tentativo di avviare laboratori stabili all'interno dei propri spazi. Tali esperienze hanno avuto un'efficacia tanto maggiore, quanto più sono stati coinvolti altri soggetti esterni alle carceri, come enti locali, associazioni, agenzie di sviluppo.
Vorrei capire qual è l'orientamento del dipartimento e se intende sostenere queste attività e con quali risorse, se con quelle della cassa, che credo ammontino attualmente a circa 150 milioni di euro, per incentivare la presentazione di progetti che vedano la concertazione e il coinvolgimento di tanti soggetti locali. Il problema del reinserimento e della rieducazione passa anche attraverso la presenza attiva di altri soggetti, che non siano solo ed esclusivamente i funzionari o il personale delle carceri.

RITA BERNARDINI. Io sono già intervenuta nell'occasione scorsa per porre domande al dottor Ionta. Dal momento che non mi ha risposto, vorrei capire se è prevista un'altra coda di risposte.

PRESIDENTE. Il programma è il seguente: il dottor Ionta risponderà direttamente a ciò cui può rispondere adesso. Se si tratta di dati - qualcuno ha chiesto dati relativi a un carcere, e probabilmente l'audito non li avrà qui - ce li farà avere per iscritto. Se lei, invece, ha una domanda alla quale si può rispondere oralmente, la può ripetere.

RITA BERNARDINI. Richiamo rapidamente e sostanzialmente le mie tre questioni: una è stata riproposta oggi dall'onorevole Ferranti, cioè se il piano Berlusconi è diverso dal piano Ionta, se è stato portato al Consiglio dei ministri, quando verrà portato ed entro quali tempi. Questa era la prima domanda.
La seconda era relativa al conteggio dei suicidi. Possiamo metterci a confronto con le notizie che vengono date sui giornali, e i conti da voi effettuati: noi chiamiamo i nomi di coloro che si sono ammazzati in carcere, e voi ci dite in che modo sono morti, perché un chiarimento, da questo punto di vista, va dato.
La terza domanda era relativa alla Cassa delle ammende, e a quale parte di tale tesoretto intendete spendere per la costruzione delle nuove carceri. Inoltre, vorrei sapere che cosa avete intenzione di fare sul reinserimento sociale dei detenuti rispetto alla Cassa delle ammende, considerato che c'è anche un ordine del giorno che vi impegna a questo.

PRESIDENTE. Do la parola al dottor Ionta per la replica.

FRANCO IONTA, Capo del Dipartimento per l'Amministrazione penitenziaria. Grazie. Intanto sgombro il campo da una risposta che non devo fornire, ossia quella che riguarda la detenzione minorile. Come è noto, esiste un Dipartimento dalla giustizia minorile, che ha responsabilità su questo aspetto, e quindi io non ne sono informato.
Per quanto riguarda le questioni di carattere generale, inizierei con la seguente osservazione: il punto di partenza per l'analisi che ha determinato le linee guida del Piano di edilizia penitenziario è il periodo di luglio, agosto e settembre 2006, allorquando, all'esito dell'indulto, i detenuti negli istituti penitenziari sono diventati 39.005. In questo momento, come ho già ripetuto più volte, le persone detenute


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sono 64.859, con un trend di assoluta crescita, poiché, nei tre anni, da 39 mila si è passati a quasi 65 mila. Questo, ovviamente, ha imposto, sin dal momento del mio insediamento, una riflessione molto seria su quanto si potesse fare per venire incontro a questo trend, che risulta, allo stato, costante. Naturalmente, si sono sondate le diverse possibilità.
Vengo al problema della possibilità, che pure oggi è riemersa, dell'espiazione di pene all'estero. Partiamo da questi dati che mi sembrano fondamentali: in questo momento ci sono negli istituti penitenziari 24.122 stranieri, che rappresentano ormai oltre il 37 per cento della popolazione detenuta. I Paesi di provenienza più significativi di tale composizione di detenzione straniera sono, per quello che riguarda l'ambito europeo, Romania e Albania. Ragionevolmente, ci attestiamo poco al di sotto dei 3 mila detenuti per ciascuno. Esistono convenzioni con tali Paesi, che non hanno avuto attuazione. Non ho ora con me i numeri relativi alle persone che vi sono state effettivamente ricondotte, ma si tratta di poche unità.
Pertanto, il primo dato che è stato tenuto presente per la redazione del piano è la sostanziale inefficacia degli strumenti convenzionali con altri Paesi. È inutile menzionare quale difficoltà ci sia, poi, nei confronti degli altri Paesi - sostanzialmente Tunisia, Marocco, Nigeria e alcuni altri Stati del nord Africa - che costituiscono la gran parte della consistenza della popolazione detenuta in questo momento in Italia.
Laddove ci sono convenzioni, non hanno dunque avuto applicazione. In molti altri casi esse non esistono nemmeno. Concretizzare la possibilità di far scontare la pena all'estero ha avuto effettivamente scarsissimo risultato.
Passo al secondo punto. L'indulto ha fatto uscire dalle prigioni italiane oltre 20 mila persone, di cui circa un terzo è rientrato in carcere. Questo è il dato di cui disponiamo per svolgere un ulteriore ragionamento: come abbiamo visto, mettendo insieme il terzo di persone che è rientrato e il trend continuamente in crescita, si dimostra come l'indulto sia una misura che può essere atta a fronteggiare un periodo medio-breve, ma che non risolve stabilmente il problema. Analogamente, altre forme di espiazione di pena all'esterno del carcere non hanno avuto un grande utilizzo da parte della magistratura di sorveglianza, per svariati ostacoli normativi, ma anche per una resistenza psicologica a tale situazione.
Questi erano i punti di partenza, da cui abbiamo svolto le nostre riflessioni per cercare di utilizzare l'emergenza, che è ormai sotto gli occhi di tutti ed è condivisa, credo, da tutte le componenti del Parlamento, per stabilizzare il sistema. Ciò significa agire su più fronti, e, per cominciare, ristrutturando, dove è possibile, le strutture già esistenti. Noi ci siamo già mossi in questa direzione, tanto che, da quando ho il compito di gestire il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria e facendo data alla fine del 2009, abbiamo già recuperato e recupereremo circa 1.700 posti detentivi: abbiamo aperto, come molti sanno, una struttura di circa 200 posti a Perugia, una sezione di Regina Coeli, una di Cassino, una grande parte del carcere di Noto, e verrà aperto, a breve, il carcere di Rieti, nonché, fra alcuni mesi, quello di Trento.
L'amministrazione si è, dunque, mossa nella ristrutturazione dell'esistente con indubbi risultati. Considerate che, dal 2000 al 2008, non si sono aperti tanti posti detentivi quanti ne sono stati aperti dall'agosto dell'anno scorso al 31 dicembre del 2009. A parte l'apertura di un carcere a Milano, sono stati compiuti nel periodo 2000-2008 pochissimi interventi e su pochissimi posti.
La seconda tranche di intervento riguarda quelli che noi chiamiamo i padiglioni. Sono strutture che vanno a insistere su strutture penitenziarie già esistenti. Per tutti cito il caso di Rebibbia, che ha la possibilità di vedere allocata all'interno del carcere, e quindi del suo muro di cinta, un'ulteriore struttura che va a gravare sui servizi già esistenti. Ciò significa molto risparmio in termini di personale e di gestione economica dell'istituto, in questo


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caso a Rebibbia, ma tale operazione verrà duplicata per molte strutture penitenziarie.
La terza tranche di intervento riguarda la costruzione di nuovi edifici penitenziari, tenendo conto delle esperienze sostanzialmente negative, delle procedure, delle tempistiche e del contenzioso, che ha determinato nel tempo situazioni abbastanza sgradevoli. Citavo prima il caso di Reggio Calabria, sul quale io spero di poter intervenire sulla base dei fondi che sono assegnati dal Comitato interministeriale e che riguardano, prevalentemente, istituti della Sardegna, tra cui anche Sassari e Cagliari. Spero di poter utilizzare i 21 milioni e mezzo di euro che servono per poter finalmente rendere operativa la struttura di Arghillà.
Per citare altri casi, porto l'esempio di Pontremoli, una piccola struttura, di cui talora si sente e si legge anche sulla stampa, che noi stiamo cercando di riconvertire e di passare al Dipartimento della giustizia minorile. Sono già in contatto con il dottor Brattoli, il mio collega capo dipartimento della giustizia minorile, per vedere di utilizzare questo carcere, che in questo momento è sostanzialmente privo di detenuti, o ne ospita pochissimi, per la detenzione minorile.
Si sente anche spesso parlare di Barcaglione ad Ancona, un nuovo istituto che ha una capienza di 180 posti, consegnato nel 2008. Purtroppo, in questo momento vi risultano attivati soltanto ventiquattro posti detentivi. Mi auguro che, entro la fine dell'anno, si possa arrivare a un ampliamento. Con il finanziamento di 5 milioni di euro, che sono stati richiesti dal provveditore, potremmo utilizzare tale istituto nella sua completezza.
Un'altra situazione più volte segnalata è quella di Gela. Si tratta di un'ex casa mandamentale, consegnata alla mia amministrazione nel 2008. Sono in corso lavori per l'attivazione della struttura come casa circondariale, la cui ultimazione è prevista per il dicembre del 2010.
Un'altra situazione che presenta difficoltà è quella di Bologna. Sono in corso lavori di manutenzione straordinaria, per i quali spenderemo circa 900 milioni di euro, che si prevede di terminare prossimamente, dal momento che la scadenza è fissata a gennaio del 2010.
Queste sono le situazioni che, come ricordava un onorevole, assumono anche rilievo a livello di cronaca da parte di trasmissioni televisive.
La terza tranche di intervento riguarda, come dicevo, l'edificazione di nuovi istituti penitenziari, che noi pensiamo di due tipologie: una per la custodia - il ragionamento sul calibro della popolazione detenuta rispetto alla struttura è ovviamente tenuto presente dal mio dipartimento - e dunque strutture che siano in grado di contenere, naturalmente in termini di sicurezza, persone non particolarmente pericolose; e poi altre strutture più tradizionali, dove le misure di sicurezza evidentemente devono essere maggiori, perché devono contenere, per esempio, i condannati al 41-bis, come da legge del Parlamento approvata recentemente, la quale prevede che ci sia un loro accorpamento in un numero limitato di istituti, preferibilmente insulari. Non so se possiamo effettivamente attuare ciò, però stiamo mettendo in atto una politica di accorpamento di tali detenuti in strutture, o in sezioni di strutture, particolarmente dedicate al regime detentivo del 41-bis.
Lo stesso faremo per quello che noi definiamo il circuito dell'alta sicurezza, in cui la sicurezza ha una prevalenza rispetto al trattamento, per via della tipologia detentiva.
Per tutte le altre persone che non sono in una situazione di gravissima o di alta pericolosità verranno approntate strutture che cerchino di coniugare, da un lato, la custodia, e, dall'altro, anche la possibilità trattamentale. È evidente che tra le priorità del dipartimento, non soltanto per debito costituzionale, ma anche per vocazione, e direi anche per i risultati raggiunti, c'è proprio una cultura trattamentale, che pervade l'amministrazione. Sono molteplici le iniziative che le fanno anche vanto, con punte di vere e propria eccellenza: cito per tutti Laureana di Borrello, Bollate, e altre situazioni in cui lo studio,


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la formazione, la possibilità di accedere al lavoro, anche all'esterno, è del tutto coltivata.
Probabilmente qualcuno di voi sa che abbiamo aperto un'agenzia, che abbiamo chiamato «dell'articolo 27», che offre la possibilità a Milano di coinvolgere enti locali e operatori economici; abbiamo avviato la stessa iniziativa anche a Genova, e stiamo tentando di attivarla in altre realtà, per dimostrare la possibilità di lavorare all'esterno da parte dei detenuti, di formarli all'interno del carcere dando loro una professionalità, e rendendo anche appetibile sul piano economico-finanziario per le imprese esterne l'utilizzo della manodopera detenuta. Ci sono, come voi sapete, provvidenze legislative che rendono anche particolarmente interessante impiegarla per un imprenditore esterno, con punti, come dicevo prima, anche di eccellenza. Abbiamo, per esempio, lavori di pasticceria molto accurati nel carcere di Padova, con una trasmigrazione dentro-fuori attraverso convenzioni finanziate dalla Cassa ammende, che rendono possibile tale tipo di attività.
Quanta parte del patrimonio della Cassa ammende è disponibile per il trattamento, rispetto all'edilizia? Voi sapete che esiste una legge, approvata nel febbraio 2009, che le attribuisce un'ulteriore finalità, oltre a quella trattamentale. Io ho verificato che, negli scorsi anni, l'impegno di spesa della Cassa ammende è inferiore ai 10 milioni di euro l'anno, ragion per cui, avendo a disposizione in questo momento 159 milioni, vi è una fetta che può essere utilizzata per la costruzione di carceri, per la loro riattazione o per la creazione di strutture all'interno di altre già esistenti. Naturalmente non so rispondere alla domanda relativa a quanti dei 159 milioni verranno utilizzati per la costruzione o ristrutturazione dei carceri. Posso dire che, naturalmente, i progetti trattamentali verranno adeguatamente valutati: non ci sarà, come forse si può ventilare, un taglio della finalità originaria dell'ente. Esso continuerà a finanziare i progetti che hanno evidentemente una finalità trattamentale molto precisa e concreta, e quindi l'edilizia penitenziaria non sottrarrà risorse a tale finalità originaria.
Non esiste, quindi, una ripartizione percentuale, per la quale parte va all'edilizia e parte al trattamento: si vedrà, di volta in volta, come Consiglio di amministrazione, quali progetti trattamentali finanziare. Voi sapete bene che la Cassa ammende è un ente presieduto anche da me, ma che ha una sua entità giuridica autonoma anche rispetto al dipartimento.
Per concludere, non vi è una ripartizione percentuale delle due finalità; quello che vi posso garantire - mi prendo l'impegno su questo - è che la parte trattamentale non verrà a essere erosa rispetto alle esigenze dell'edilizia. Si cercherà un contemperamento delle due finalità, che peraltro sono previste dalla nuova legge che ha modificato l'ente.
Ho già predisposto la bozza di statuto della Cassa ammende, che è all'approvazione del Ministro della giustizia, che poi dovrà trasmetterlo per l'approvazione al Presidente del Consiglio dei ministri. Potrei sbagliarmi, ma comunque va approvato a livello governativo. Ciò mi serve per poter procedurizzare i vari progetti che presento direttamente io, o che presentano i provveditori tramite me, sia per l'edilizia, sia per la parte trattamentale.
Ho segnato alcuni altri punti e spero di non dimenticare nulla. È evidente che il monitoraggio sulle singole strutture, di cui mi chiedeva l'onorevole Ferranti, è la premessa del lavoro che ho eseguito, sia personalmente sia tramite i miei uffici.
Vi tranquillizzo sul fatto che non esiste, neanche dal punto di vista giuridico, un piano riferibile alla persona del Presidente del Consiglio dei ministri, perché l'articolo 44-bis della legge che citavo prima ne assegna a me, affidandomi i poteri di Commissario straordinario per l'edilizia penitenziaria, la redazione. La procedura è sostanzialmente questa: redazione del piano, approvazione del ministro, che lo condivide, e poi condivisione del Governo per metterlo in esecuzione.
Vengo alle risorse finanziarie, di cui più volte si è parlato. Questa legge mi dà


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grandi poteri e mi indica anche quali sono le mie responsabilità, che comprendono, ovviamente, di indicare il fabbisogno finanziario. Io non sono in grado di dire dove andare a reperire i finanziamenti. Il compito che devo svolgere, e che ho svolto, è indicare il fabbisogno finanziario in relazione a tale operazione.
Faccio presente che l'idea è quella di organizzare una struttura nei prossimi tre anni, cioè di portare, come dicevo all'inizio, dall'emergenza alla stabilizzazione tutto il sistema penitenziario nell'arco del 2010, 2011 e 2012. Non sono io, lo ripeto, a indicare il meccanismo di finanziamento. Io ho indicato qual è il fabbisogno finanziario per i tre anni, tempi piuttosto stretti, ma nei quali ritengo che, lavorando in modo adeguato, si possa effettivamente produrre l'effetto di ottenere 20-21 mila nuovi posti detentivi con le caratteristiche che ho cercato di descrivere e che privilegeranno una detenzione più sociale rispetto a quella attuale, in cui la cella ha una funzione promiscua, e il detenuto vi passa molta parte del suo tempo. Cercheremo di sviluppare strutture che siano in grado di aumentare i momenti sociali, di contatto, sia all'interno della popolazione detenuta che all'esterno, rispetto alla funzione originale della cella, che in questo momento è piuttosto promiscua.
Bisogna togliere la polifunzionalità dalla cella e farla ritornare nella situazione normale, quella di luogo di riposo prevalentemente notturno, in cui non si debbano svolgere altre attività. Faccio l'esempio di una mensa possibilmente comune, piuttosto che rendere la cella il luogo dove si preparano i pasti. Questa è solamente un'indicazione.
Non ricordo quale parlamentare, e me ne scuso, faceva riferimento al rapporto tra la popolazione detenuta di un carcere e il personale della polizia penitenziaria. Non si tratta solo di un problema di rapporto percentuale, perché, come cercavo di spiegare, le carceri sono un mondo complesso, in cui convivono spesso diversi circuiti: c'è una persona particolarmente pericolosa, che abbisogna di una custodia che non può essere rappresentata da un solo agente, e poi ci sono persone relativamente tranquille in cui il rapporto tra custodia e detenuto è evidentemente falsato.
Non si può fare una media aritmetica per stabilire quanti agenti di polizia penitenziaria servono per gestire i detenuti. Bisognerebbe andare a verificare da quanti agenti, peraltro specializzati, debbano essere custoditi i 600 e oltre 41-bis, le attuali circa 8 mila persone ad alta sicurezza, e tutta un'altra serie di tipologie di detenuti.
Voi capite bene che il rapporto con un detenuto che magari ha problematiche di tossicodipendenza, o malattie conseguenti a ciò, richiede un determinato tipo di intervento. Se una persona si comporta mediamente bene, non ha particolari patologie, vuole lavorare e studiare, probabilmente è più che sufficiente anche un solo agente per poterne governare un dato numero. Non esiste una percentuale scientifica che dica quante sono, in relazione alla popolazione detenuta, le persone che devono costituire il Corpo di polizia penitenziaria.
Perché io prima ho fatto riferimento alla stabilizzazione? Ho detto più volte, e su questo concordano tutti i sindacati, al di là delle differenziazioni che pure sono presenti tra di loro, e io sono altrettanto d'accordo, che la legge fissava - questo è un concetto che vorrei ripetere - al 2001 una dotazione organica della polizia penitenziaria di 45.121 persone. Tale dotazione non si è mai raggiunta, e in questo momento siamo a meno di 40 mila, con la differenza, però, che la popolazione italiana è aumentata, come pure l'immigrazione e anche la popolazione detenuta, per i dati che vi ho fornito prima. È evidente che noi non chiediamo un'implementazione della pianta organica, ma di cercare di arrivare alla dotazione organica fissata per legge nel 2001, non di andare oltre le 45.121 unità già fissate per legge. La dotazione della Polizia penitenziaria deve tendere a raggiungere il numero fissato già nel 2001, quando, peraltro, le condizioni erano di gran lunga inferiori, per numero sia di popolazione dei cittadini italiani, sia


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di immigrati, sia di presenze nel carcere. È, quindi, evidente che il piano si accompagna a una necessaria implementazione concreta delle unità che costituiscono il Corpo di polizia penitenziaria.
Queste sono le risposte che in questo momento posso dare. Per quello che riguarda le questioni specifiche, naturalmente non ho un dettaglio immediato, però certamente posso affermare che ciò che è stato elaborato nel 2001 e nel 2004 in questo momento ha subìto necessariamente una rivisitazione, sulla base delle attuali situazioni da fronteggiare. Come ho cercato di spiegare, la popolazione detenuta è cambiata come tipologia e come consistenza, ragion per cui il lavoro di volontariato e di mediatori culturali, l'ingresso di mamme in carcere, la tipologia di alimentazione hanno comportato uno sforzo di adeguamento di tutta la struttura alla nuova popolazione detenuta, che si è sicuramente modificata sensibilmente nel corso di questi ultimi anni.
Per queste ragioni, alcune situazioni locali, che probabilmente nel 2001 venivano ritenute da privilegiare, in questo momento sono state considerate meno prioritarie rispetto alle esigenze attuali, che indubbiamente - e chiudo - devono andare a privilegiare le grandi aree. Le maggiori problematiche riguardano l'afflusso in carcere: secondo i nostri calcoli, in un anno entrano ed escono dal carcere circa 80-90 mila persone, che poi, al saldo dell'anno, rappresentano 10-12 mila unità in più rispetto all'anno precedente. Questo turnover vorticoso si verifica nelle grandi aree metropolitane. È evidente che abbiamo bisogno di intervenire su tali aree, e ciò rappresenta il primo gruppo di interventi che bisogna effettuare.
Bisognerà, inoltre, tentare, nella direzione della stabilizzazione del sistema cui accennavo, di distinguere nettamente tra persone in attesa di giudizio e persone con condanna definitiva. Molto spesso le situazioni si confondono: le case circondariali, come voi sapete, detengono le persone in attesa di giudizio, e per queste proprio il turnover di cui vi dicevo prima rende impossibile qualunque tipo di attività trattamentale; quelle che, invece, sono condannate e sono più ragionevolmente all'interno di un istituto penitenziario per mesi o anni, sempre che ci sia il consenso - questo va da sé - possono essere accompagnate in quello che io chiamo il percorso evolutivo ai fini del reinserimento.
Spero di aver risposto, più o meno esaurientemente, alle vostre domande. Se ci sono temi su cui non ho risposto, pregherei la presidenza di farmi avere, come nella passata occasione, il resoconto di quest'audizione. Se vi sono, come è altamente probabile, elementi che ho dimenticato di segnare, farò pervenire risposte scritte.

PRESIDENTE. Credo che l'audizione ci abbia offerto numerosi dati sui quali discutere. Come sapete, vorrei che focalizzassimo l'attenzione sul problema carcere anche al fine di dare suggerimenti, essendo questa, a mio avviso, forse una delle priorità del settore giustizia. In tal senso, auspicherei anche che i rappresentanti dei gruppi indicassero i componenti del Comitato.
Ringrazio il dottor Ionta e dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 15,55.

II Commissione (Giustizia)

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