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Resoconti stenografici delle audizioni

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Commissione I
1.
Giovedì 5 giugno 2008
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Bruno Donato, Presidente ... 3

Audizione del Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione, Renato Brunetta, sulle linee programmatiche (ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento):

Bruno Donato, Presidente ... 3 7
Brunetta Renato, Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione ... 3 7
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Movimento per l'Autonomia: Misto-MpA; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.

COMMISSIONE I
AFFARI COSTITUZIONALI, DELLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO E INTERNI

Resoconto stenografico

AUDIZIONE


Seduta di giovedì 5 giugno 2008


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DONATO BRUNO

La seduta comincia alle 14,05.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata, oltre che mediante l'attivazione dell'impianto audiovisivo a circuito chiuso, anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Audizione del Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione, Renato Brunetta, sulle linee programmatiche.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento, l'audizione del Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione, onorevole Renato Brunetta, sulle linee programmatiche.
Ringrazio, a nome mio e di tutta la Commissione, il Ministro per la sua presenza.
Informo la Commissione che, secondo quanto stabilito nella riunione della Conferenza dei presidenti di gruppo che si è da poco conclusa, i lavori dell'Assemblea riprenderanno alle ore 14,30 con votazioni. Pertanto, se il Ministro concorda, potremmo ascoltare oggi la sua esposizione e rinviare ad altra data il seguito dell'audizione, concordata e fissata fin d'ora alle ore 12 di mercoledì prossimo.
Do la parola al Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione, Renato Brunetta.

RENATO BRUNETTA, Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione. Signor presidente, è con particolare piacere che vengo a esporre in primo luogo a questa Commissione il programma del mio lavoro e della mia attività. I giornali hanno pubblicato molte cose, spesso in maniera forzata; ad ogni modo, ho portato con me due documenti che descrivono in maniera compiuta i ragionamenti che sto sviluppando e che costituiranno poi la base dei testi di legge che verranno presentati nelle prossime settimane.
L'idea è quella di partecipare come pubblica amministrazione al decreto di correzione strutturale della finanza pubblica che il Ministro dell'economia e delle finanze Giulio Tremonti sta preparando. A tale decreto seguirà un disegno di legge e un disegno di legge delega, in maniera tale che si possa formare un pacchetto riguardante il piano industriale - citato nel documento - nonché la riforma del lavoro pubblico e della contrattazione.
Il tutto dovrebbe procedere in maniera coesa e convergente, non solo per contribuire alla razionalizzazione, allo sviluppo e in qualche maniera all'eliminazione degli sprechi nel settore, ma anche per rilanciare il settore stesso.
Se non fosse ancora particolarmente chiaro, vi ricordo che il testo della manovra correttiva riguarderà quanto già definito dal precedente Governo Prodi in ambito europeo. Si tratta, sostanzialmente, di una correzione di circa 30 miliardi di euro in tre anni, corrispondente all'impegno preso con l'Europa per arrivare al pareggio di bilancio nel 2011.
Probabilmente si tratterà di più di 30 miliardi di euro, in ragione del peggioramento della congiuntura prevista nel triennio. Come avrete visto, le previsioni di


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crescita 2008-2009 e, in parte 2010, sono sensibilmente più ridotte rispetto a quelle prese da Prodi come base per l'impegno di correzione nella RUEF (Relazione unificata sull'economia e la finanza pubblica) e concordato con l'Unione europea. Pertanto, la manovra correttiva strutturale 2009-2010-2011 sarà eccedente di 10 miliardi di euro per ciascun anno e, quindi, probabilmente si arriverà - non è ancora chiaro e definito, si stanno facendo gli ultimi conti - intorno ai 12 miliardi di euro l'anno per il triennio. Ciò consente di ottemperare agli obblighi europei di pareggio di bilancio al 2011 e di rientro dal rapporto debito-PIL al di sotto del 100 per cento, sempre al 2001.
Questo è l'impianto di carattere strutturale che porta il Governo a definire una manovra correttiva fatta ovviamente di tagli, di liberalizzazioni e privatizzazioni - cioè di un rilancio e di uno sviluppo per questa via - ma anche di razionalizzazioni e semplificazioni.
La parte che mi riguarda non è solo quella dolorosa dei tagli, riguardo ai quali è attribuita al mio dicastero una competenza orizzontale (ancorché esistano competenze specifiche nei vari ministeri, come per la scuola e la sanità), ma soprattutto - ed è ciò a cui tengo di più - quella riguardante le razionalizzazioni, le semplificazioni, le qualificazioni e lo sviluppo.
Si tratta di aspetti difficilmente cifrabili dal punto di vista della finanza pubblica, nel senso che i miei amici della Ragioneria, quando racconto loro queste cose, mi guardano con l'occhio storto, domandandomi quanto, in concreto, esse valgano.
Nella sostanza, invece, tali aspetti sono cifrabili, poiché dovrebbero comportare un rilevante aumento di produttività ed efficienza, non solo della pubblica amministrazione, ma anche di tutti i settori ad essa collegati. Il Paese constaterà quanto dico, rilevando un delta, già a partire dal 2009. L'effetto è difficilmente cifrabile in termini di ragioneria e di bilancio pubblico, mentre esso sarà chiaramente visibile, auspicabilmente, in termini di maggior crescita del sistema economico.
Faccio solo un esempio, di carattere macroeconomico: se l'Italia oggi cresce fra lo 0,3 e lo 0,5 per cento (secondo le ultime stime OCSE) e l'eurozona cresce fra l'1,5 e l'1,7 per cento, è molto probabile che il differenziale di crescita tra l'Italia e l'eurozona sia imputabile alle nostre tradizionali carenze strutturali: le infrastrutture, la scuola e la ricerca, la pubblica amministrazione. Nessuno se ne abbia a male, ma questa è la realtà. Se noi riuscissimo a imputare alle singole aree di inefficienza ciascun pezzo di questo differenziale, arriveremmo alla fine ad avere una crescita simile a quella dell'eurozona.
Nel passato, quando l'Italia non aveva una moneta comune con gli altri Paesi, il differenziale c'era, ma non si vedeva in quanto era nascosto dall'inflazione e dalle svalutazioni competitive. Inflazione e svalutazioni competitive hanno consentito all'Italia di mettere la polvere delle proprie inefficienze sotto il tappeto, nascondendola. Quando abbiamo fatto la scelta - opportuna e necessaria - della moneta unica, i nostri gap strutturali sono venuti alla luce.
Uno di questi gap strutturali è proprio l'inefficienza delle pubbliche amministrazioni.
L'oggetto della riflessione che sto svolgendo con il Ministero e con gli altri ministri competenti, le parti sociali, il sindacato, il mondo dei datori di lavoro e dei rappresentanti delle associazioni dei consumatori, è proprio su come riformare e rendere più efficienti le pubbliche amministrazioni. Ci chiediamo come liberare - come ho già detto in altra occasione - il serbatoio di crescita compresso dentro le pubbliche amministrazioni e che non viene fuori.
Attualmente le pubbliche amministrazioni sono percepite - e probabilmente, dal punto di vista economico, lo sono oggettivamente - come un elemento di rallentamento e di ritardo della crescita del Paese. Ciò non è inevitabile, non è frutto di una diversità antropologica, bensì semplicemente il frutto di una cattiva regolazione.


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Troverete nelle prime pagine del testo «Piano industriale» alcune affermazioni che, a prima vista, potrebbero sembrare poco in linea con quanto si pensa della pubblica amministrazione. In primo luogo, la pubblica amministrazione ha una dotazione di capitale umano mediamente superiore agli omologhi settori privati. Se consideriamo la pubblica amministrazione, formata in gran parte da servizi, e prendiamo nel settore privato settori simili, troviamo che per scolarità, dotazione di capitale umano, addirittura per componente femminile e quant'altro, la qualità e quantità del capitale umano nel settore pubblico è superiore a quella del settore privato.
In secondo luogo, si era spesso affermato, in maniera sociologicamente un po' superficiale, che esisteva un patto perverso tra Stato e lavoratori pubblici: io ti pago poco e tu lavori poco, oppure io ti pago poco, non importa se tu lavori. Non è vero! Mediamente i lavoratori pubblici hanno - per fortuna - livelli stipendiali omologhi, se non superiori, a quelli dei corrispondenti settori privati. Si è anche detto che, però, i rinnovi contrattuali nel settore pubblico sono mediamente meno dinamici di quelli del settore privato. Non è vero neanche questo: non solo i livelli, ma anche le dinamiche (lo ripeto: meno male, per fortuna!) delle retribuzioni dei lavoratori dei settori pubblici sono mediamente superiori a quelle del settore privato. Riassumendo, la dotazione di capitale umano è superiore, le retribuzioni sono quanto meno in linea, se non superiori, e le dinamiche, cioè i rinnovi contrattuali, sono in linea, se non superiori, a quelli del settore privato.
Allora c'è da chiedersi cosa è che non va. Antropologicamente non sono razzista (non posso permettermelo), non penso che esista una diversità antropologica, è impossibile. Pertanto, devo concludere che esistono condizioni particolari che gravano sul lavoratore pubblico, preposto alla produzione di particolari e straordinari beni (li definisco tali perché sono un grande amante e fautore dei beni pubblici) quali l'istruzione, la sicurezza, la salute. Non si tratta di bulloni, né di caviale o champagne, né di griffe che, pur essendo molto importanti, non sono come i beni pubblici, che tengono assieme un sistema, un Paese, una società. Parlo appunto dell'istruzione, della cultura, della salute, della sicurezza e quant'altro.
Mi domando perché mai un capitale umano qualificato, pagato (non vorrei dire ben pagato, ma comunque pagato), che produce beni fondamentali e essenziali per la vita di un Paese, viene considerato così male o viene additato al pubblico ludibrio. Se qualcuno parla di un pubblico dipendente, ben che gli vada vede nell'interlocutore una smorfia. Mi domando cos'è che non va. Questo è il punto. Me lo domando da economista e da uomo politico.
Quello che non va è che nel settore pubblico, pour cause, non esiste un mercato!
Si è cercato in tanti modi di introdurre regole, funzionamenti, meccanismi di mercato, ma oggettivamente è una missione impossibile. Il mercato non c'è; per quanti sforzi si possano fare per inserirlo nell'ambito del settore pubblico, si tratta di una realtà diversa: il lavoro pubblico è la produzione di beni pubblici.
In particolar modo, nel settore pubblico manca il datore di lavoro. O meglio c'è, ma è un datore di lavoro anomalo. Può essere il policy maker, come il sottoscritto, il Governo, oppure la dirigenza. Normalmente, tradizionalmente, storicamente, questo datore di lavoro è o assenteista, o fannullone - uso questi termini in maniera ironica - o poco interessato ai suoi lavoratori, o interessato ad altro. Potete immaginare che se un datore di lavoro privato avesse la stessa attitudine del datore di lavoro pubblico, la sua azienda fallirebbe in una settimana.
Un datore di lavoro pubblico, che spesso è connivente con la controparte, a cui non importa niente del mercato o della soddisfazione dei cittadini, cioè del cliente, non può essere paragonato a un datore di lavoro privato che, così agendo, porterebbe al fallimento la propria azienda in pochi giorni.


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Nel sistema pubblico il datore di lavoro è quantomeno inefficiente, poco funzionale, poco strategicamente mirato. Semplicemente, possiamo dire che non esiste un datore di lavoro.
Un altro elemento da considerare è che le regole di funzionamento del sistema pubblico, del lavoro pubblico, sono spesso non finalizzate alla produzione efficiente e ottimale dei beni e dei servizi pubblici. Si tratta piuttosto di regole autoreferenziali, di connivenza tra datore di lavoro e lavoratori. È come se in un settore privato - scusate il paragone - tutto il tempo del datore di lavoro e dei lavoratori si sprecasse non per produrre bulloni, bensì per produrre regole necessarie a produrre bulloni. Pensate all'attività di un povero e disgraziato Ministro della funzione pubblica, travolto per il 90 per cento del proprio tempo in discussioni sindacali non miranti a produrre più servizi pubblici di migliore qualità, ma regole spesso strane, anacronistiche, autoreferenziali, astratte, salvo poi non misurare la soddisfazione dei clienti finali, dei quali non interessa a nessuno.
Mi sono chiesto che cosa fare. Poiché non credo che i dipendenti pubblici siano, ripeto, antropologicamente né diversi né peggiori - tutt'altro - bisogna fornire strumenti per far diventare i datori di lavoro dei veri datori di lavoro, introducendo all'uopo anche la sanzione. Prima delle sanzioni per i lavoratori, occorre prevedere sanzioni per il datore di lavoro. Se fallisce, questi deve essere cacciato via.
Secondariamente, occorre misurare la soddisfazione dei clienti finali, che io non chiamerei utenti, ma cittadini. Siamo qui per produrre beni e servizi pubblici per far sì che le imprese funzionino, le famiglie siano felici, i ragazzi abbiano una buona scuola, le persone malate abbiano una buona sanità e quant'altro. Misuriamo la soddisfazione dei cittadini!
Riassumendo, il datore di lavoro faccia il suo vero mestiere, i cittadini facciano sentire la loro voce (attualmente non avviene) e, in mezzo, consideriamo ovviamente l'organizzazione del lavoro pubblico. Se il datore di lavoro è veramente un datore di lavoro, o quantomeno assomiglia il più possibile al datore di lavoro privato, se si dà voce ai cittadini, l'intendenza seguirà. I dirigenti faranno il loro mestiere di dirigenti, premieranno il merito, puniranno il demerito e i lavoratori (che, ripeto, sono forse più dotati dei lavoratori del settore privato) lavoreranno come, se non meglio, di quelli del settore privato.
I giornali, evidentemente, si sono buttati sulla caccia ai fannulloni, ma i primi fannulloni sono i datori di lavoro. Immaginate un datore di lavoro privato fannullone: di quello non mi preoccupo, poiché esiste un piede invisibile che si incarica di estrometterlo. Se un'azienda ha un datore di lavoro fannullone, quell'azienda fallisce. Nel pubblico non c'è alcun piede invisibile. Il datore di lavoro pubblico continua a fare il suo mestiere di fannullone, i dirigenti non potranno svolgere il loro mestiere e se i lavoratori lavoreranno sarà per orgoglio, buonsenso, senso di responsabilità individuale, ma non certamente per ragioni di organizzazione.
Due settimane fa ero al Forum PA, dove si raccolgono ogni anno le eccellenze e dicevo ai tanti bravi funzionari di comuni, province, regioni e Stato che erano lì riuniti per essere premiati: voi qui non esistete. Non siete qui per meccanismi incentivanti che vi portano a diventare eccellenze, ma semplicemente per orgoglio, senso di responsabilità individuale. Così, un magistrato di Bolzano organizza bene il tribunale di Bolzano, oppure un funzionario dell'urbanistica di un comune sardo organizza bene quel sistema e non c'è nessuno che lo premia, nessuno che gli dica grazie. Forse, una volta l'anno al Forum PA qualcuno se ne incarica e gli dà la medaglietta, ma il sistema non produce l'eccellenza. Il sistema produce, anzi, l'appiattimento e la banalizzazione. Se qualcuno è un'eccellenza, allora è un mostro, un animale strano che per ragioni totalmente endogene e individuali produce l'eccellenza.
Mi sono chiesto se non si possa invertire il meccanismo e produrre regole che facciano sì che tutti si divertano di più a


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fare il proprio mestiere, a non fidare sul buonsenso e sull'orgoglio individuale, ma su meccanismi premiali. Se c'è un premio, tuttavia, c'è anche una punizione. Il punto fondamentale è la misurazione del merito, a partire, lo ribadisco, dal datore di lavoro.
Questo è il punto fondamentale: il pesce puzza dalla testa. Se non c'è un datore di lavoro nelle pubbliche amministrazioni, come c'è nel settore privato, il sistema non potrà mai funzionare se non lasciato al buon cuore delle singole individualità.
Probabilmente sono matto e penso di essere Napoleone. La statura e probabilmente l'intelligenza sono inferiori (mi prendo un po' in giro, ovviamente, perché fa bene sempre a tutti farlo). Io ci provo. Ho un unico argomento forte: sono del mestiere, me ne intendo, faccio questo mestiere da una vita, ho scritto su queste cose, ho una coerenza personale, culturale e politica. Non mi sono inventato queste cose in venti giorni. Non vi ho tediato portandovi i miei libri perché sarebbe stato di cattivo gusto. Vi ho portato però alcuni strumenti per riflettere.
Tra una settimana o quindici giorni avrete i testi di legge su cui lavorare, non chiacchiere.
Chiedo il vostro aiuto e la vostra collaborazione, così come chiedo quella dei lavoratori, dei sindacati, dei datori di lavoro privati e delle associazioni dei consumatori.
Questa è una battaglia comune, non di parte. Il consenso che rilevo su queste banalità che vado dicendo da venti giorni è trasversale, a partire dagli stessi lavoratori pubblici, che non sopportano più di essere da un lato additati al pubblico ludibrio come causa di tutti i mali del Paese - come abbiamo visto, così non è - per terminare con la gente, che non ne può più di avere una pubblica amministrazione, di fatto, palla al piede.

PRESIDENTE. Come detto in precedenza, poiché la Conferenza dei presidenti di gruppo ha previsto la ripresa dei lavori dell'Assemblea alle 14,30 con votazioni immediate, abbiamo convenuto con il Ministro di dedicare la seduta odierna allo svolgimento della relazione testé conclusa, da contenere entro un tempo predeterminato, avendo consegnato alla Commissione i due documenti cui ha fatto cenno. Il seguito dell'audizione avrà luogo mercoledì 11 giugno alle ore 12, sapendo però che alle ore 14 il Ministro avrà analogo impegno presso la Commissione lavoro.
Se vuole, può aggiungere in questo brevissimo lasso di tempo qualche ulteriore elemento che può essergli sfuggito, in maniera tale da esaurire questa prima fase di intervento e di collaborazione.
Do nuovamente la parola al Ministro Brunetta.

RENATO BRUNETTA, Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione. Non sono partito da zero in questo lavoro. Ci sono stati ovviamente negli ultimi dieci, quindici anni tentativi multipli di grandissimo valore, dal decreto legislativo n. 29 del 1993 in poi, che hanno affrontato lo stesso tema. Essendo io del mestiere, quando mi sono messo a scrivere i testi di legge non ho fatto altro che raccogliere il meglio di quello che è stato prodotto, quantomeno a partire dal provvedimento appena citato.
Quanti di voi che hanno lavorato nelle passate legislature a questi stessi temi troveranno molto della propria attività e sensibilità politica e culturale, giacché nessuno inventa niente.

PRESIDENTE. Ringrazio il Ministro.
Rinvio il seguito dell'audizione ad altra seduta.

La seduta termina alle 14,30.

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