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Resoconti stenografici delle audizioni

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Commissioni Riunite
(III, V e XIV)
1.
Mercoledì 18 luglio 2012
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Stefano Stefani, Presidente ... 2

Audizione del Ministro dell'economia e delle finanze, Vittorio Grilli, sui recenti sviluppi nell'ambito dell'eurozona in relazione al processo di ratifica del Fiscal Compacte del Meccanismo europeo di stabilità (ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento): ... 2

Stefani Stefano, Presidente ... 2 7 13 16
Baretta Pier Paolo (PD) ... 8
Boniver Margherita (PdL) ... 7
Buttiglione Rocco (UdCpTP) ... 11
Cambursano Renato (Misto) ... 10
Crosetto Guido (PdL) ... 13 16
Evangelisti Fabio (IdV) ... 12
Grilli Vittorio, Ministro dell'economia e delle finanze ... 2 13 16
La Malfa Giorgio (Misto-LD-MAIE) ... 10
Narducci Franco (PD) ... 13
Pescante Mario, Presidente della XIV Commissione ... 12
Pianetta Enrico (PdL) ... 8
Polledri Massimo (LNP) ... 13
Simonetti Roberto (LNP) ... 9
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro per il Terzo Polo: UdCpTP; Futuro e Libertà per il Terzo Polo: FLpTP; Popolo e Territorio (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, Democrazia Cristiana): PT; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling; Misto-Repubblicani-Azionisti: Misto-R-A; Misto-Noi per il Partito del Sud Lega Sud Ausonia: Misto-NPSud; Misto-Fareitalia per la Costituente Popolare: Misto-FCP; Misto-Liberali per l'Italia-PLI: Misto-LI-PLI; Misto-Grande Sud-PPA: Misto-G.Sud-PPA; Misto-Iniziativa Liberale: Misto-IL.

COMMISSIONI RIUNITE
III (AFFARI ESTERI E COMUNITARI), V (BILANCIO) E XIV (UNIONE EUROPEA)

Resoconto stenografico

AUDIZIONE


Seduta di mercoledì 18 luglio 2012


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DELLA III COMMISSIONE STEFANO STEFANI
La seduta comincia alle 8,30.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione del Ministro dell'economia e delle finanze, Vittorio Grilli, sui recenti sviluppi nell'ambito dell'eurozona in relazione al processo di ratifica del Fiscal Compact e del Meccanismo europeo di stabilità.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento, l'audizione del Ministro dell'economia e delle finanze, Vittorio Grilli, sui recenti sviluppi nell'ambito dell'Eurozona in relazione al processo di ratifica del Fiscal Compact e del Meccanismo europeo di stabilità.
Saluto i presidenti della Commissione bilancio e della Commissione politiche dell'Unione europea, nonché i colleghi presenti.
Ringrazio il Ministro Grilli per aver accettato l'invito delle Commissioni III, V e XIV della Camera dei deputati a svolgere i necessari approfondimenti conoscitivi prima di procedere all'approvazione definitiva dei disegni di legge di ratifica trasmessi dal Senato in questa che è la sua prima audizione parlamentare nella sua nuova titolarità. Gli rivolgo, perciò, doppi ringraziamenti.
In considerazione del tempo limitato a nostra disposizione, pari a circa un'ora, per impegni precedenti del Ministro, ho convenuto con i presidenti Giorgetti e Pescante di organizzare il dibattito successivo alla relazione del Ministro Grilli assegnando quattro minuti a ciascun Gruppo parlamentare.
Lei è stato in Europa e lo sa benissimo, onorevole La Malfa. È già un minuto in più di quello concesso dal dibattito europeo.
Gli eventuali minuti residui saranno concessi ai gruppi maggiori. Prego i rappresentanti dei gruppi di far pervenire fin d'ora all'ufficio di presidenza le iscrizioni a parlare, preannunciandovi che dovrò assolutamente essere fiscale.
Se i colleghi Pescante e Giorgetti non intendono intervenire, do la parola per la sua relazione, ringraziandolo nuovamente, al Ministro Grilli.

VITTORIO GRILLI, Ministro dell'economia e delle finanze. Ringrazio i presidenti per questo invito.
I trattati che sono in discussione costituiscono tappe cruciali del cammino verso una maggiore e più profonda integrazione europea. Si tratta di un percorso che è stato caratterizzato da momenti di stasi e da forti accelerazioni. Sotto la spinta dell'emergenza di questi ultimi periodi sono stati compiuti passi impensabili fino a pochi anni fa. A fronte di circostanze straordinarie si sono rese necessarie risposte straordinarie ed è quanto è accaduto nei mesi scorsi.
La risposta europea alla crisi internazionale si è gradualmente estesa ai debiti sovrani,


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crisi che ha ora l'Europa come suo epicentro, e la risposta europea si è sviluppata secondo molteplici direttrici. Ne individuerei due principali.
La prima riguarda il rapporto tra misure di breve termine e di lungo periodo. Le misure di breve termine, che sono necessarie per contrastare nell'immediato la grande volatilità dei mercati, devono inserirsi in un quadro organico di visione di medio e lungo termine. Per poter essere efficaci gli strumenti concepiti in risposta all'emergenza devono trasformarsi in assetti duraturi tali da costruire veri e propri punti fermi istituzionali.
È ciò che è avvenuto, per esempio, con gli strumenti per la stabilizzazione finanziaria. Il primo strumento per l'intervento di assistenza finanziaria, chiamato EFSF, ossia European Financial Stability Facility, costituito tramite una società veicolo a carattere temporaneo garantita dagli Stati, è stato il prototipo del futuro ESM, ossia European Stability Mechanism, che è, invece, un'istituzione finanziaria internazionale a carattere permanente, dotata di un consistente capitale conferito dai Paesi membri.
La seconda direttrice è quella relativa al bilanciamento tra una maggiore integrazione delle politiche di bilancio e una più stretta cooperazione attraverso strumenti comuni di intervento. Il rafforzamento delle regole comuni e del monitoraggio per la disciplina fiscale è andato di pari passo con la costruzione di meccanismi per fronteggiare crisi di liquidità e/o periodi di difficile accesso ai mercati finanziari da parte dei Paesi dell'area dell'euro.
La prima reazione al manifestarsi delle pressioni dei mercati sui debiti sovrani è stata quella di rafforzare gli strumenti di disciplina fiscale tramite gli interventi sul Patto di stabilità e crescita, sintetizzati nel complesso di norme denominato Six Pack, entrato in vigore lo scorso autunno.
Tali norme rendono più strette le condizioni per il rispetto della stabilità di bilancio, con regole più stringenti nella parte preventiva del Patto, regole numeriche vincolanti per garantire il mantenimento dell'equilibrio di bilancio e il percorso progressivo di riduzione del debito e regole più cogenti per comminare anche eventuali sanzioni.
Nel dibattito svoltosi nei Parlamenti nazionali e nel Parlamento europeo una possibilità di enforcement efficace della disciplina fiscale si è prospettata come l'indispensabile prerequisito per l'introduzione di meccanismi di solidarietà tra i Paesi. I progressi nei due ambiti, quindi, si sono sviluppati di pari passo.
In parallelo al salto di qualità compiuto dal meccanismo di stabilizzazione finanziaria, con il suo trasformarsi in un'istituzione finanziaria internazionale a carattere permanente regolata da un accordo intergovernativo, come ho accennato in precedenza, si è sviluppato il progetto, confluito nel Fiscal Compact, di far assurgere nella gestione nella legislazione di più alto rango di ciascun Paese il nucleo essenziale delle regole della disciplina fiscale già approvata nel Six Pack, ovvero l'obiettivo del bilancio in pareggio.
In entrambi i casi la firma di specifici accordi intergovernativi sottoposti alla ratifica dei Parlamenti nazionali consente di conferire massima visibilità politica ai paralleli progressi su entrambi i fronti, rafforzando nel contempo il coinvolgimento dei Parlamenti nazionali nei due processi.
L'impostazione che ho descritto brevemente ci trova in larga parte favorevoli, anche se, a nostro avviso, siamo ancora in cammino e non siamo ancora arrivati al compimento di questo progetto. Il percorso su entrambe le direttrici è, quindi, in continua evoluzione.
Personalmente ritengo che l'Italia abbia contribuito in maniera determinante al negoziato sui due trattati, il cui testo definitivo è stato il risultato di un processo lungo e non privo di difficoltà, influenzato dall'incalzare della crisi e dai rischi crescenti di contagio tra i diversi Paesi dell'area dell'euro.
La posizione dell'Italia è sempre stata improntata alla necessità di inviare ai mercati segnali chiari in merito alla volontà di fare tutto ciò che è necessario a garanzia della moneta comune. Abbiamo


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sostenuto con forza l'evoluzione progressiva della dimensione finanziaria degli strumenti di intervento, nella consapevolezza che maggiore è la loro dimensione e minore è la probabilità che essi debbano essere effettivamente utilizzati.
Allo stesso modo abbiamo caldeggiato il progressivo ampliamento delle modalità possibili di intervento, inizialmente limitate ai soli prestiti ai Paesi, allo scopo di rispondere con maggiore flessibilità ed efficacia alle diverse esigenze specifiche che derivano dai momenti particolari di mercato.
Siamo anche stati favorevoli al rafforzamento della disciplina fiscale, nella consapevolezza che si trattasse, per l'Italia come per molti altri Paesi, di una strada obbligata di risanamento delle finanze pubbliche che sarebbe stato necessario percorrere comunque, indipendentemente dai vincoli esterni, per il bene del Paese, allo scopo di affrontare con determinazione le vulnerabilità.
Proprio per questi motivi è opportuno porre l'accento in termini non tanto di cessione di sovranità delle politiche di bilancio in cambio di maggiore solidarietà, come spesso la questione è stata presentata, semplificando forse eccessivamente il dibattito, quanto piuttosto di modalità con cui si possono identificare e costruire progressivamente, nel rispetto di tutte le sensibilità nazionali e politiche, strumenti più efficaci ed efficienti di governo comune dell'economia e delle finanze pubbliche per garantire la stabilità finanziaria dell'area dell'euro.
Si tratta, come ho accennato, di un percorso in continua evoluzione, necessariamente basato, come insegna l'esperienza, su passi graduali e improvvise accelerazioni e non ancora giunto a completamento.
È questa l'ottica in cui l'Italia si appresta a conferire, in quanto terzo contributore tra i Paesi dell'area dell'euro, dopo Francia e Germania, risorse significative per l'attivazione del Meccanismo europeo di stabilità, condividendo la posizione che al maggiore impegno comune per la stabilità finanziaria debbano necessariamente corrispondere scelte improntate a princìpi e obiettivi comuni nelle politiche di bilancio, rispettando nel contempo le specificità dei Paesi e le prerogative dei Parlamenti nazionali.
È questa anche l'ottica a cui è stato improntato il cosiddetto Rapporto dei quattro presidenti per il futuro dell'Unione monetaria presentato dal Presidente Van Rompuy allo scorso Consiglio europeo del 28 e 29 giugno. In esso si sono definite, tra le altre questioni, i contorni per l'unione fiscale fondata su una forte integrazione delle politiche di bilancio, a cui si possono accompagnare in prospettiva anche nuovi strumenti per la stabilizzazione finanziaria, tali da includere emissioni comuni di titoli di debito e una completa unione bancaria, fondata su meccanismi comuni di garanzia dei depositi e di risoluzione delle crisi.
Come annunciato all'ultimo Consiglio europeo, maggiori dettagli sul contenuto del rapporto insieme alla tempistica delle tappe per una vera unione economica e monetaria saranno presentati in autunno.
I due trattati, rispettivamente il Meccanismo europeo di stabilità (ESM) e il Fiscal Compact, costituiscono, pertanto, due tasselli essenziali, che ora è necessario rendere pienamente operativi, di un percorso che prevede di necessità ulteriori importanti tappe.
Come mostrano chiaramente le perduranti instabilità dei mercati, le risposte fornite non sono ancora complete. È indispensabile, in particolare, che gli Stati dell'area dell'euro siano in grado di dimostrare la chiara volontà di affrontare la crisi con determinazione e unità di intenti. L'obiettivo di lungo termine è necessariamente la creazione di condizioni di una ripresa sostanziale e duratura della crescita economica e dell'occupazione nei Paesi europei, in modo tale da dare loro la competitività necessaria per svolgere il ruolo economico e politico che compete loro nel mutato quadro economico mondiale.
A questo fine è stato rilevante che sia stata compiuta molta strada anche nell'intensa azione politica che questo Governo


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nelle sedi europee ha cercato di continuare a portare avanti. In particolare, si è accresciuta la consapevolezza della necessità di accompagnare all'impegno sul fronte della disciplina fiscale un quadro favorevole alle politiche per la crescita.
La definizione di cosiddetto Growth Compact da parte dell'ultimo Consiglio europeo costituisce, ben oltre gli specifici contenuti, un passaggio politico a nostro avviso cruciale, in quanto rimette al centro dell'agenda europea la responsabilità di politiche che possono creare prospettive durature di sviluppo.
Anche altre iniziative sostenute dall'Italia, miranti a un'attenzione particolare alle spese per investimenti produttivi, rispondono all'esigenza di incoraggiare la costruzione nel medio periodo di condizioni economiche più favorevoli.
Sarei molto veloce nella descrizione dei meccanismi per concedere più tempo alla discussione. Voglio solo ricordare l'evoluzione che ho già descritto sinteticamente, ossia il passaggio da meccanismi temporanei ed emergenziali come l'European Financial Stability Facility (EFSF) a un meccanismo a permanente, il Meccanismo europeo di stabilità.
Le differenze sono notevoli in termini di costruzione finanziaria. Vi ricordo che il primo strumento, l'EFSF, non solo era un meccanismo temporaneo, ma era anche basato semplicemente su una dotazione fondata su garanzie prestate dagli Stati. Esse ammontano ancora oggi a 780 miliardi, a cui corrisponde di fatto una capacità di prestito pari a 440 miliardi.
Questa costruzione non solo aveva, dunque, la problematicità della temporaneità, ma comportava anche implicazioni sulla capacità di prestito, con grande necessità di garanzie, quasi il doppio di quanto in realtà si riusciva a prestare, ossia circa 800 miliardi di garanzie contro circa 400 miliardi di possibilità di prestiti.
Inoltre, esso aveva un'implicazione, che noi ovviamente abbiamo sperimentato, per cui, di fronte a prestiti a Paesi terzi, i Paesi prestatori di garanzia, in questo caso l'Italia, avrebbero avuto nel calcolo del proprio debito il peso delle garanzie. Era un modo non molto efficiente, sia nella capacità di prestito, sia nell'aggravamento dei debiti nazionali, di gestire questo tipo di crisi.
Al contrario, il meccanismo permanente, il Meccanismo europeo di stabilità, ha cambiato anche la struttura finanziaria, oltre a essere diventato un'istituzione permanente, e si parla, invece che di garanzie da parte degli Stati membri, di capitale conferito. Il capitale potenzialmente conferito al Meccanismo europeo di stabilità è di 700 miliardi di euro, di cui 80 di capitale versato e 620 di capitale «a chiamata».
In questo meccanismo l'Italia detiene il 17,9 per cento delle azioni ed è il terzo sottoscrittore dopo la Germania e la Francia. Lo sforzo finanziario che l'Italia dovrà sostenere è, perciò, pari, per gli 80 miliardi di paid-in, a 14,33 miliardi di euro, da versare entro il 2014 con le seguenti scadenze: 5,73 miliardi nel 2012 e nel 2013, e 2,87 nel 2014.
La quota di capitale a chiamata per l'Italia è pari a circa 111 miliardi. Il capitale a chiamata non viene versato secondo modalità e tempi prestabiliti, ma ogni Paese deve impegnarsi a rispondere rapidamente e incondizionatamente a eventuali richieste di capitale da parte del Meccanismo europeo di stabilità. Le norme che disciplinano il capitale a chiamata sono contenute nell'articolo 41 del trattato.
Come ho anticipato, contrariamente a quanto avviene per l'EFSF, in cui le garanzie vengono contate nel debito pubblico, nell'ESM ciò non succederà. È vero, però, che la nostra quota del paid-in capital entrerà nel conto del nostro debito pubblico.
Da questo punto di vista mi sembra utile ricordare che, per quanto riguarda l'Italia, l'incremento del debito dovuto ai programmi di assistenza attualmente in corso - per l'Irlanda, il Portogallo e la Grecia - e ai versamenti dovuti per il Meccanismo europeo di stabilità sarà circa di tre punti percentuali, una volta raggiunto il 2015, cioè una volta arrivato a regime. A questi andranno aggiunti i contributi


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dell'Italia per l'intervento per la ricapitalizzazione del sistema bancario in Spagna, il cui ammontare, però, non è ancora stato definito con precisione.
Va comunque osservato che, ai sensi delle nuove regole del Patto di stabilità, l'incremento del debito pubblico imputabile direttamente o indirettamente allo sforzo di solidarietà compiuto a favore dei Paesi beneficiari di programmi di assistenza finanziaria non potrà essere, di per sé, motivo per una valutazione di mancato rispetto delle regole del Patto di stabilità. C'è, quindi, una depurazione per quanto riguarda la vigilanza del rispetto delle regole del Patto da questo aggravio del debito dovuto ai programmi di assistenza.
Altra questione importante è la governance. La governance del Meccanismo europeo di stabilità è un'evoluzione importante rispetto alla governance dell'EFSF, che, come vi ricordate, funziona sempre e solamente per unanimità.
La governance del Meccanismo europeo di stabilità è più articolata ed è costituita da due livelli. Il primo livello, l'organo apicale di governo, è il board dei governatori, composto dai diciassette ministri delle finanze dei Paesi membri. Le decisioni più importanti, tra cui quella di accordare un programma di sostegno a un Paese, sono prese da questo organo apicale e sono assunte di comune accordo, cioè con il mutual agreement, che comporta l'unanimità, ma soltanto dei Paesi che votano. I Paesi che si astengono, in questo caso, non fanno parte del quorum necessario per l'unanimità. Ogni altra decisione, salvo questa di primaria importanza, è adottata a maggioranza qualificata dell'80 per cento.
In casi di emergenza è prevista anche una procedura decisionale di urgenza per cui la regola del mutual agreement viene sostituita con un voto di maggioranza qualificata all'85 per cento.
I voti del board sono conteggiati sempre in termini di quote proprietarie e l'Italia, come ho ricordato prima, ha il 17,91 per cento di quota di tale istituzione.
Per la gestione ordinaria del meccanismo europeo di stabilità vi è un Consiglio di amministrazione, un board of directors, composto da un amministratore e da un supplente nominato da ciascun Governatore. Il Consiglio di amministrazione decide di norma a maggioranza qualificata dell'80 per cento dei voti, sempre espressi in termini di quote proprietarie.
Il menù di strumenti a disposizione del MES è analogo a quello già oggi disponibile per l'EFSF. Stiamo continuando a lavorare e, quindi, la nostra speranza e il nostro impegno sono quelli di continuare ad allargare lo strumentario che il MES può mettere a disposizione e che, in particolare, riguarda l'accensione di linee di credito precauzionali, la concessione di prestiti veri e propri a un Paese, l'acquisto di titoli sovrani del Paese beneficiario sul mercato sia primario, sia secondario e la ricapitalizzazione delle banche, che fino a oggi avviene attraverso prestiti agli Stati, ma che poi, quando sarà ammessa all'Autorità europea per la supervisione bancaria, avverrà anche tramite possibili interventi diretti di ricapitalizzazione.
Per necessità di brevità completerei con un richiamo innanzitutto al Fiscal Compact, ricordandovi che il trattato è stato firmato il 1o marzo da venticinque Stati dell'Unione europea, a esclusione del Regno Unito e della Repubblica Ceca. È un trattato di diritto internazionale che non rientra nel quadro giuridico del Trattato di Lisbona e che, quindi, non fa parte, dal punto di vista del diritto in stretto senso, del diritto comunitario.
Oltre a richiamare i princìpi generali del diritto comunitario, però, esso riprende, rafforzandone il rango giuridico, norme già contenute nei Regolamenti cosiddetti Six Pack, con riferimento al nuovo Patto di stabilità e crescita, con i quali, una volta entrato in vigore, si coordinerà.
Uno degli aspetti più rilevanti del Fiscal Compact prevede vincoli stringenti alla capacità di indebitamento strutturale attraverso l'obbligo di introdurre negli ordinamenti nazionali la regola del bilancio in pareggio, operazione che abbiamo già compiuto nella nostra Costituzione.
Il trattato poi ribadisce l'impegno delle parti contraenti a garantire la convergenza verso


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gli obiettivi di medio termine, con un margine massimo di scostamento consentito per il deficit strutturale dello 0,5 per cento del PIL. Il trattato prevede deviazioni rispetto a questo obiettivo solo in presenza di circostanze eccezionali e stabilisce, infine, l'impegno di definire meccanismi automatici di correzione che entreranno in funzione nel caso di deviazioni significative dagli obiettivi di medio termine.
Come ultima informazione tratterei dello stato delle ratifiche negli altri Paesi europei. Nel vertice del 9 dicembre del 2011 i Capi di Stato e di Governo dell'area dell'euro hanno assunto l'impegno comune di anticipare di un anno, rispetto a quanto inizialmente previsto, l'entrata in vigore del trattato del Meccanismo europeo di stabilità, ossia dal luglio del 2013 al luglio del 2012.
Nel rispetto dell'impegno a cui il Governo italiano auspica di attenersi pesano i tempi di pronunciamento, di cui abbiamo appena avuto notizia, della Corte costituzionale tedesca in merito al ricorso presentato da alcuni parlamentari dell'opposizione per la presunta incompatibilità del trattato con la Costituzione tedesca. Pertanto, fino ad allora è prevedibile che la Germania non sarà in grado di completare il processo di ratifica.
Per quanto concerne gli altri Stati, la situazione è la seguente. Dieci Stati hanno già depositato gli strumenti di ratifica (Belgio, Grecia, Spagna, Francia, Cipro, Olanda, Portogallo, Slovenia, Slovacchia e Finlandia). A essi si aggiunge l'Austria, che ha completato la ratifica parlamentare ieri. Tre Stati hanno già pubblicato in Gazzetta Ufficiale l'avvenuta approvazione parlamentare (Irlanda, Lussemburgo e Malta). Al momento gli Stati che hanno ratificato rappresentano una percentuale di circa il 50 per cento del capitale sul 90 per cento necessario per l'entrata in vigore.
Infine, il Fiscal Compact, cioè il Trattato sulla stabilità, sul coordinamento e sulla governance nell'unione economica e monetaria, entrerà in vigore il 1o gennaio 2013, a condizione che almeno dodici parti contraenti la cui moneta è l'euro abbiano depositato gli strumenti di ratifica. Al momento dieci Paesi (Danimarca, Irlanda, Grecia, Cipro, Austria, Portogallo, Lettonia, Lituania, Romania e Slovenia) hanno già approvato il trattato nei rispettivi Parlamenti. In Germania, dove è già stata ottenuta l'approvazione parlamentare, il processo di ratifica è, invece, sospeso, come ho riferito, in attesa della pronuncia della Corte costituzionale.
Si rammenta che, a parte il forte legame politico, il Fiscal Compact è correlato al trattato del Meccanismo europeo di stabilità da un vincolo giuridico, consistente nel fatto che la concessione dell'assistenza finanziaria da parte del nuovo Meccanismo europeo di stabilità sarà subordinata, a decorrere dal 1o maggio 2013, all'avvenuta ratifica del Fiscal Compact da parte dello Stato interessato.
Grazie, presidente.

PRESIDENTE. Grazie a lei, signor Ministro. Se i presidenti delle altre Commissioni non intendono esprimersi, do la parola ai deputati che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

MARGHERITA BONIVER. Grazie, presidente. Abbiamo ascoltato con grandissima attenzione e preoccupazione l'ottima relazione del Ministro, ma permangono evidentemente tutti i timori e gli interrogativi che la situazione in cui ci troviamo detta.
Lei ha elencato con molta capacità e sapienza questo percorso molto complesso, che sta tentando di portare a un'unione fiscale i Paesi che hanno aderito alla moneta comune, che non avevano e ancora non hanno compiutamente una politica fiscale comune degna di nota.
La domanda che proviene spontanea da parte di persone che non sono addentro a questo tipo di meccanismo in tutte le sue sfaccettature è se non ci troviamo di fronte a una situazione piuttosto paradossale, per cui siamo consapevoli che la capacità di questo Governo di entrare in questi meccanismi, di dominarli e di indirizzarli,


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come è avvenuto anche nell'ultimo Consiglio europeo di fine giugno, è sotto gli occhi di tutti. Verrebbe da dire - mi scusi per la sintesi un po' volgare - che è ottima e abbondante. Contemporaneamente, però, ci si deve chiedere e gli italiani si chiedono se tutto ciò non sia in realtà too little, too late.
Quando lei parla giustamente della necessità di ogni Paese di inviare segnali forti ai mercati, ma noi vediamo quotidianamente che questi segnali non sono mai bastevoli e non sono mai sufficientemente convincenti e che, oltre a Moody's, c'è tutta una situazione per cui la speculazione continua imperterrita sull'euro ed è in questo momento concentrata sull'Italia, la domanda che continua a essere posta e che, secondo me, ancora non ha avuto una risposta compiuta è: fino a quando durerà tutto ciò? Siamo in grado di vincere questa battaglia?
Questa è la domanda che vorrei porle, signor Ministro.

ENRICO PIANETTA. Presidente, anch'io ringrazio il Ministro, il quale, partendo da una situazione di crisi, ha anche particolarmente insistito sulla necessità di un percorso continuo relativamente a questi strumenti.
Mi voglio riferire al MES. Anche in un recente intervista lei ha fatto riferimento, a fronte di una volontà politica, alla necessità di affidare al MES compiti precisi e dotazioni adeguate. Occorrono, infatti, dotazioni adeguate perché, indubbiamente, a fronte di una crisi così forte, i 500 miliardi forse sono insufficienti. Vorrei sentire da lei una sua considerazione.
Sappiamo anche che prima dell'entrata in vigore ci può essere una verifica per quanto riguarda la dotazione che ha a disposizione il MES. Lei ha fatto riferimento poco fa allo stato dell'arte delle ratifiche da parte dei diversi Paesi. Poiché attualmente è ancora luglio la data di possibile entrata in vigore, voglio capire, in ragione del fatto che uno o più Paesi non dovessero ratificare il trattato, a questo punto come ci comportiamo. Qual è la definizione? Si può ridurre il capitale, si può aumentare? È un elemento indubbiamente complesso, su cui bisogna capire qual è la posizione dei diversi Stati, anche perché siamo in una grande evoluzione.
Concludo ricordando che, come lei forse sa, domani il Bundestag si riunisce a livello straordinario per compiere alcune valutazioni circa la situazione delle ricapitalizzazioni delle banche spagnole. Mi pare che ci sia una situazione complessa, attorno alla quale la consistenza e la dotazione adeguata del MES diventano un elemento centrale e fondamentale per affrontare compiutamente questa crisi.

PIER PAOLO BARETTA. Signor Ministro, la ringrazio di essere con noi e mi congratulo per la sua recente nomina, che ci aiuta in un lavoro anche diretto di comunicazione.
Come lei sa, le nostre preoccupazioni non sono tanto rispetto alle politiche di rigore e di stabilità, perché le abbiamo condivise, le condividiamo e ci stiamo apprestando ad approvare in anticipo rispetto ad altri Stati importanti il Fiscal Compact e, quindi, ad annoverarci tra gli Stati che inviano ulteriori segnali ai mercati. Le nostre preoccupazioni sono, invece, in ordine al fatto che si fatica a incidere sugli elementi di crescita e che, quindi, l'accentuazione sulla stabilità è importante, ma non è sufficiente rispetto alle dinamiche economiche interne del nostro Paese, ma anche europee e allo scarto esistente tra gli sforzi che i Governi e i popoli compiono e l'effetto che essi ancora hanno nella situazione di incertezza generale dei mercati.
Il Presidente Monti nei giorni scorsi ha fatto presente che nei prossimi mesi la situazione potrebbe addirittura accentuarsi e tutti i commentatori mettono insieme le valutazioni di quadro economico con quelle di stabilità politica.
Da questo punto di vista, la prima considerazione è che il vertice del 28 giugno è stato sicuramente un elemento positivo. Si tratta di capire, e in parte lei l'ha già accennato, qual è l'implementazione e, se è possibile, qual è la valutazione che il Governo italiano svolge sulla


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possibilità di uno sforzo ulteriore di integrazione europea.
Il Fondo salva Stati esiste e ha la caratteristica di entrare in vigore se ratificato da un numero di Stati che rappresenta almeno il 90 per cento del capitale. Noi stiamo affermando che non lo utilizzeremo, il che rappresenta una saggia politica di comunicazione, ma effettivamente le osservazioni che ha svolto l'ultimo collega, domandandosi, qualora ci fosse una situazione di maggior difficoltà nella ratifica da parte di singoli Stati, che politica pensiamo di adottare, dal momento che, giustamente, il Governo italiano sta sostenendo una politica di sostegno dell'euro e della tenuta europea, mi sembrano corrette.
Quando si parla di spese per investimenti e della possibilità di emettere titoli a livello europeo e, soprattutto, dell'osservazione che lei ha svolto sul fatto che le garanzie non entrino nel debito, sono strumenti che hanno bisogno di essere, a questo punto, a totale disposizione degli Stati, in una logica maggiore di integrazione europea.
Mi chiedo anche, però, se lei valuti che sia possibile, in tempi ragionevolmente brevi, effettuare un intervento di carattere europeo su una maggiore regolazione dei derivati e di altri meccanismi finanziari, alla stregua anche di quanto sta avvenendo negli Stati Uniti. Sappiamo che l'intreccio della speculazione americana con quanto avviene in Italia è rilevante.
Ovviamente glielo chiedo con tutta la cortesia e la delicatezza, ma io sono incerto nel valutare se questo rinvio a settembre della ratifica tedesca aumenti i problemi o paradossalmente non consenta piuttosto margini all'iniziativa europea per rafforzarsi in un quadro di strumentazione addirittura più stringente e adeguata.
Affermo che sono incerto io, in modo da formulare in questo modo la domanda che intendo porle.

ROBERTO SIMONETTI. Grazie, Ministro, della sua esposizione e della cordialità di aver affrontato un'audizione in un momento economico particolare a livello non solo nazionale, ma anche internazionale.
Le iniziative che si stanno mettendo in campo di fatto vanno a surrogare il problema principale che l'Europa sta vivendo: c'è una moneta senza uno Stato, situazione che viene a essere surrogata da accordi intergovernativi che possono essere considerati alternativi e palliativi rispetto a una sostanza propria di una vera unione fiscale, monetaria, economica, politica e bancaria di uno Stato che non esiste. Si cerca di stipulare accordi fra Stati che, però, finora probabilmente non sono stati recepiti come risolutivi da parte del mercato, altrimenti lo spread sarebbe per noi per lo meno diminuito e non ci sarebbero tutti questi atti speculativi in corso.
Lo strumento che viene a essere proposto, oltre al Fiscal Compact, è il MES, che però, avendo comunque una finalità positiva, presenta alcuni limiti, rappresentati dalla probabile incapienza del fondo, stante che i 500 miliardi, a fronte già solo del debito pubblico italiano, di cui dobbiamo rientrare per 400 miliardi a breve, diventano un volume probabilmente non sufficiente per tutta l'area euro. Manca poi la licenza bancaria che possa implementare questa possibilità economica del MES, nonché soprattutto l'automatismo che avrebbe probabilmente messo più con le spalle al muro i mercati, in modo tale da non dover attendere tutto il procedimento dell'accordo e della domanda per l'accesso a questo tipo di aiuto.
Anche la BCE trova i suoi limiti rispetto al compito che le fu attribuito al momento della sua istituzione, che era quello di implementare squisitamente il rigore e di andare contro l'inflazione. Non vi è, invece, alcuna politica attiva diretta della BCE, come, invece, avviene con la Federal Reserve in America e, pertanto, questo può essere un limite all'interno del nostro continente, oltre alla mancata possibilità di essere prestatore di ultima istanza.
Sono tutte questioni la cui soluzione molto probabilmente a noi servirebbe e


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che probabilmente non serve alla Germania, la quale sta facendo un po' troppo il bello e il cattivo tempo all'interno del nostro continente.
Vi è ovviamente poi tutto il valore della democrazia. Lei ha svolto un passaggio in merito e l'ha messa un po' in secondo piano. Per noi, invece, il fattore democratico è sostanziale. Avremmo voluto maggior dibattito all'interno del Parlamento, nonché della politica nazionale, e metodologie di votazione più pregnanti. Questo non dipende da lei, però, ma dalla struttura parlamentare.
Noi notiamo che, purtroppo, le organizzazioni intergovernative che vengono a crearsi ledono la democrazia dei popoli. Si sta costruendo un'Europa non dei popoli, ma, purtroppo, delle economie.

GIORGIO LA MALFA. La ringrazio e pongo solo tre brevissime osservazioni.
Ascoltando i dati sui diritti di voto nell'ESM citati dal Ministro, emerge che un solo Paese, la Germania, detiene il diritto di veto sulle decisioni. L'onorevole Crosetto, che ringrazio, suggerisce anche la Francia. Noi, invece, abbiamo il 17 per cento. Può chiarirci, per favore, in replica, come stanno le cose?
In secondo luogo, la ragione per cui era stato fissato il termine del luglio 2012 per l'ESM era che evidentemente si temono le turbolenze estive. Alla luce del fatto che lei ci ha comunicato che il meccanismo non potrà entrare in funzione se non dopo la ratifica della Germania, che avverrà, speriamo, a settembre, dopo la decisione della Corte, le pongo una domanda a cui non so se lei possa o voglio rispondere oggi: che succederà nel mese di agosto, se le condizioni valutarie fossero tali da richiedere la sua applicazione? Non so se lei sia in condizione di rispondere a questa domanda, ma di certo l'aspetto più allarmante della situazione che abbiamo davanti agli occhi è questo buco dell'ESM nelle settimane a venire.
Come terzo punto, e concludo, l'Italia è sola con i suoi problemi, perché non ha assistenza né sulla stabilita, né su altri fronti. Anche il meccanismo della crescita non entra in funzione subito. L'Italia è, dunque, sola. Con i nuovi dati che voi stessi vi preparate a fornire di una caduta del reddito dell'ordine del 2 per cento e una situazione di crisi così profonda, che cosa ha intenzione di fare il Governo circa il problema della condizione congiunturale dell'economia italiana?

RENATO CAMBURSANO. Io avrei voluto trattare anche il tema dell'economia reale, con le ricadute su quanto stiamo discutendo, cioè i rapporti del nostro stare in Europa. Dalla Germania, dall'Olanda e dalla Finlandia i segnali sono chiaramente nel senso che tali Paesi vorrebbero che l'Italia lanciasse l'SOS, chiedesse agli aiuti e intervenisse la Troika.
Giustamente il Presidente del Consiglio ha riferito che noi non abbiamo bisogno né di tutele, né, al momento, per fortuna, di risorse, ma solo di meccanismi anti-spread. Il richiamo è, come è già stato ricordato, su quanto sta avvenendo in Germania, con riferimento al rinvio della decisione della Corte costituzionale tedesca, con tutti i rischi che ciò comporta, ma anche ai risultati, positivi sicuramente, di quanto avvenuto a fine giugno e inizio luglio, che sono stati valutati positivamente, ma pongono anche alcune domande.
La prima è qual è il livello in termini di aumento dei rischi di insolvenza per le banche e del rendimento sui titoli pubblici oltre il quale scatterebbe l'operazione di salvataggio? A quali condizioni di miglioramento di tale indicatore l'assistenza finanziaria verrebbe fornita? Sino a quando l'intervento di supporto deve e soprattutto può continuare?
Inoltre, quali criteri di informazione sui rischi, nel caso delle banche, e sull'omogeneizzazione delle contabilità pubbliche, per quanto riguarda gli Stati, devono essere rispettate da tutti gli aderenti del patto?
Infine, chi governa l'intero processo? Se non lo si sa, non si capisce dove finisca la democrazia e inizi una sorta di autoritarismo.


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Io credo che queste domande colgano esattamente i punti deboli delle risposte ancora non definite degli appuntamenti di fine giugno e inizio luglio.

ROCCO BUTTIGLIONE. Grazie, signor Ministro, per la sua presenza e la sua cortesia e per il grande lavoro che sta svolgendo in Italia e in Europa.
Io vorrei chiedere prima di tutto se lei ha capito quali garanzie vuole la signora Merkel, tema sul quale ella torna ripetutamente in questi ultimi tempi. Non è chiaro se faccia riferimento semplicemente al Fiscal Compact, nel qual caso le garanzie da noi sono già state fornite, o se ritenga che lo scudo salva spread abbia bisogno di particolari e specifiche garanzie. Sono quelle della Troika? Immagino di no. Allora quali sono?
Io credo che bisogna compiere uno sforzo per spiegare all'opinione pubblica italiana, tedesca ed europea in generale che non si tratta di sostegni, ma di solidarietà verso chi ha eseguito i cosiddetti compiti a casa e che, quindi, chi compra titoli italiani compra un prodotto che vale il denaro che viene speso. Non c'è alcun sostegno a carico del contribuente tedesco e, quindi, si è fuori del dibattito costituzionale che è adesso in corso in Germania.
Su tutto questo tema vedo poca chiarezza, come vedo poca chiarezza, ma in merito si è già molto bene espresso l'onorevole Cambursano, sui meccanismi di questo Fondo salva spread. Lei correttamente non ne ha parlato, perché non ricade nell'oggetto formale immediato della riunione, ma certamente è rilevante per l'Italia e almeno su alcuni aspetti una chiarezza sarebbe necessaria.
Passo alla seconda domanda. Leggo sulla stampa notizie molto allarmanti sullo stato della finanza regionale italiana. Il Governo ha sotto controllo la situazione? Possiede dati accurati? Ritiene che questo possa diventare un problema a livello europeo? Sarebbe bene agire rapidamente, prima che divenga elemento di allarme. In Italia lo è già, ma bisogna evitare che lo diventi a livello europeo.
Peraltro, per portare effettivamente sotto controllo questa finanza regionale è necessaria una riforma legislativa e costituzionale? Sono tutte valutazioni sulle quali bisognerebbe avere un'idea.
Vado alla terza questione. Sento affiorare voci di una banca europea prestatore in ultima istanza. A me sembra una follia. È proibito dal trattato all'articolo 123 e l'analogia con la Federal Reserve è impropria. La Federal Reserve presta non all'Iowa, all'Idaho o alla California, ma agli Stati Uniti d'America.
Al limite il richiamo a questo tema ci porta ad affermare che abbiamo un'architettura giuridica ormai barocca e complicatissima. Abbiamo un Trattato sull'Unione europea consolidato e abbiamo un altro trattato, che, però, non è consolidato, meccanismi i quali portano ad attribuire a poteri non legittimati direttamente dal voto popolare il diritto di intervenire sulla questione più sostanziale dalla sovranità, che è il bilancio dello Stato. Il dibattito giuridico in Germania verte su questo punto.
Il Governo italiano non pensa che bisognerebbe compiere un passo decisivo verso gli Stati Uniti d'Europa e rendere questo un tema effettivo di discussione per semplificare un quadro che è diventato assai difficilmente controllabile giuridicamente e politicamente insostenibile?
Il paragrafo sulla legittimazione democratica è il più debole del recente Rapporto dei quattro presidenti. Bisognerebbe intervenire su quello, anche con un europeismo che non abbia paura di parlare ai popoli e di esporsi a un referendum. Non si può costituire l'Europa di nascosto, mentre il popolo non capisce di che si tratta e, proprio perché non capisce, magari è contrario. Bisogna spiegare e chiedere il consenso necessario.
Concludo con un'ultima osservazione di dettaglio, ma non tanto. Esiste una duplicità di indicazioni della Banca centrale europea e dell'EBA. Vedo che il tema è oggetto di attenzione. Come si pensa di risolverlo?


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FABIO EVANGELISTI. Mi fa piacere conoscere di persona il Ministro Grilli, a cui auguro buon lavoro.
Mi permetta di ricordarle, signor Ministro, che lei ha davanti i commissari di affari esteri, bilancio e politiche dell'Unione europea. Se io fossi un commissario delle politiche dell'Unione europea, oggi mi sentirei assolutamente soddisfatto della sua relazione. Se fossi un componente della Commissione bilancio, avrei difficoltà a ritenermi soddisfatto. Faccio parte, però, della Commissione affari esteri e, quindi, mi trincero dietro un non del tutto insoddisfatto.
La sua esposizione, molto chiara e molto lucida, mi è sembrata, infatti, un tantino decontestualizzata, rispetto soprattutto ai dati macroeconomici e al fatto che, nonostante gli sforzi di questi mesi, in questa settimana lo spread è tornato a sfiorare i 500 punti base. È in atto una situazione di recessione drammatica, che ieri è stata palesata dai dati sulla povertà del nostro Paese e la settimana scorsa dai dati sulla disoccupazione sopra il 10 per cento, nonché dalla montagna di interessi che paghiamo sul debito pubblico.
Io sono andato a ricercare i contenuti della mozione che noi, ma anche altri gruppi, abbiamo presentato in vista del vertice del 28 e 29 giugno, in cui noi ponevamo, per esempio, la necessità di modificare il mandato della Banca centrale europea, conferendole prerogative simili a quelle delle più importanti banche centrali mondiali, e proponevamo di promuovere una riformulazione degli articoli 3 e 4 della bozza del Trattato sull'unione economica rafforzata, che tenesse conto dei fattori nazionali rilevanti, quali l'ammontare del debito nel settore privato, del risparmio delle famiglie e dell'andamento del ciclo economico, l'esclusione dal computo, ai fini della determinazione dei parametri rispetto ai trattati, di alcune fattispecie di investimenti pubblici nazionali concordati in sede europea, la costituzione di un Fondo europeo di redenzione per la parte degli stock dei debiti accumulati in passato superiore al 60 per cento del PIL di ogni singolo Paese.
Mi sarebbe piaciuto ascoltare, nel momento in cui siamo riuniti a interrogarci sulla ratifica di importanti trattati, se nel frattempo ci sia stato da parte italiana un impegno su questi temi e che risposta è venuta dai partner in tale sede. La ringrazio.

MARIO PESCANTE, Presidente della XIV Commissione. Approfitto dei tempi guadagnati dall'intervento di Evangelisti per porre solo un quesito rapidissimo. Signor Ministro, noi siamo in attesa dell'intervento della Corte costituzionale tedesca il 12 settembre. Francamente, qual è la sua opinione? Ci sono rischi? Qualcuno ha già sospettato che questo rinvio fosse legato a una strategia tedesca per premere un po' sugli altri Paesi, in modo tale da presentarsi con le carte più in regola.
Passo all'ultima considerazione, che non è una domanda. Ieri in Commissione, nel valutare il capitale dell'ESM, abbiamo rilevato, e l'ha fatto rilevare anche lei, che l'Italia è il terzo contributore, con il 17,8 per cento, e, per quanto riguarda il valore assoluto, per 125 miliardi.
Cito un dato che probabilmente conosce, ma che segnalo anche ai colleghi: il contributo rappresenta per l'Italia, secondo dati del 2010, l'8 per cento del PIL rispetto al 7,6 per cento della Germania, al 7,3 della Francia e al 7,8 della Spagna. L'aspetto più stravagante è che i Paesi rigoristi, quali la Finlandia e i Paesi Bassi, concorreranno rispettivamente con l'1,92 e il 6,12 per cento del capitale, pari ad appena il 6,9 e il 6,7 per cento del rispettivo PIL. È inutile riferirle che in testa alla graduatoria del rapporto tra PIL e quota di capitale dell'ESM c'è addirittura il Portogallo, con il 10,1 per cento, seguito dalla Grecia, con l'8,5 per cento.
Capisco che tutto ciò non dipende da specifiche decisioni, ma probabilmente dalla maggiore incidenza della crisi del PIL su questi Paesi. Non è una domanda, bensì una riflessione, ma, se mi dà una risposta, mi fa piacere: con riferimento alla situazione del nostro Paese in termini sia assoluti, sia di percentuale, non ritiene


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che questa situazione possa essere fatta valere nei confronti dei Paesi cosiddetti più virtuosi, che hanno assunto una posizione di resistenza sull'introduzione del meccanismo salva spread?

PRESIDENTE. Ci sono alcune richieste di interventi brevissimi, cui concederò un minuto e mezzo.

GUIDO CROSETTO. Mi basta anche meno. Mi censuro. Signor Ministro, la somma di Fiscal Compact ed ESM, eseguendo i conti, prevede un'uscita di 70 miliardi all'anno. Dove li prendete?

FRANCO NARDUCCI. Volevo cogliere l'opportunità della presenza del Ministro Grilli per porre una domanda. Il Governo italiano e gli altri Governi che stanno lavorando sul MES si stanno chiedendo - certamente sì, ma gradirei una risposta - alla luce delle dichiarazioni che ha svolto Cameron sulla fine dell'euro e, quindi, sulla fine della libera circolazione delle persone, nonché di tutte le offerte che stanno circolando per creare due poli finanziari in Europa, Zurigo e Londra, che cosa c'è di vero? Credo che il popolo italiano abbia bisogno di avere notizie rassicuranti. Naturalmente io credo che il MES sia l'antidoto a questa politica, però gradirei veramente sapere che cosa pensa il Governo di queste situazioni.

MASSIMO POLLEDRI. Ministro, noi abbiamo posto un argine legislativo sulla vendita di Parmalat. Ultimamente stiamo vendendo, o forse svendendo, il settore energia, ci sono interessi sui gioielli di famiglia e c'è una legge che prevede una tutela dell'interesse nazionale. Avete intenzione di evitare lo shopping?
In secondo luogo, abbiamo visto quanto ci costa il Fiscal Compact. Il PIL in meno ci costa 18 miliardi in meno. C'è una linea di confine tale per cui possiamo pensare di stampare anche noi moneta, come stanno facendo l'Inghilterra e gli Stati Uniti, che stanno vincendo la guerra del debito? È una guerra giocata molto slealmente con lo spread, che è uno strumento di guerra e un colpo sleale, secondo me.

PRESIDENTE. Do la parola al Ministro Grilli per la replica.

VITTORIO GRILLI, Ministro dell'economia e delle finanze. Grazie, presidente. Ho tantissima carne al fuoco. È molto complicato riuscire a rispondere a tutto nel dettaglio, però mi sembra che molte osservazioni e commenti abbiano punti in comune, tra cui innanzitutto la consapevolezza della difficoltà del momento e della grande sfida che l'Europa e l'Italia in Europa devono vincere in questi momenti.
Per prima fornisco una piccola risposta tecnica rispetto ad un aspetto che ha dato adito a confusione. Il voto con procedura d'emergenza richiede l'85 per cento dei votanti e, quindi, chi ha più del 15 per cento ha un potere di blocco, in questo caso anche l'Italia. È un piccolo dettaglio in una costruzione molto complessa.
Cercherei ora di fornire una risposta, anche generale, alle diverse tematiche. La prima, che viene da diversi commissari, è che stiamo procedendo nella direzione giusta, ma con la sensazione, come i mercati dimostrano attraverso un atteggiamento ancora di grande nervosismo, di fare forse ancora troppo poco e troppo in ritardo. Colgo un'osservazione dell'onorevole Boniver, che ho sentito ripetuta in altri commenti.
Dobbiamo prendere atto che la costruzione europea, la costruzione dell'area dell'euro, è una costruzione complessa e che, quindi, i meccanismi decisionali di diciassette nazioni che devono convenire in modo unanime a progressi nella direzione di maggiore integrazione ed efficacia di meccanismi di salvaguardia sia dei bilanci, sia della stabilità dei mercati finanziari, sono meccanismi complessi e che, quindi, la velocità può sembrare, anzi forse è, nel momento di estrema urgenza odierna, non sufficiente. Bisogna, però, dare atto che questa è la realtà dell'Europa e io penso che, guardata con gli occhiali di tre anni fa, ci sarebbe sembrata quasi impensabile.
Vista con gli occhiali di oggi, ci sembra una velocità troppo bassa. Bisogna anche dare atto, però, che c'è stata una fortissima


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accelerazione nei meccanismi decisionali. Io la colgo con un occhio di ottimismo. Meccanismi molto lenti, che non avrebbero fornito alcuna garanzia di risposta tre o quattro anni fa, ora la stanno fornendo. Forse molti di noi auspicherebbero che questa velocità fosse maggiore, però c'è stata un'accelerazione e io dichiaro che noi per primi stiamo cercando di sollecitare e lavorare affinché ci sia un continuo aumento di tale velocità.
Nella costruzione ci sono diversi aspetti che sono stati trattati. Il primo è che bisogna distinguere, secondo me, ciò che è costruzione europea di medio-lungo periodo rispetto a ciò che, invece, è strumento di gestione emergenziale.
Io penso che tutti i Paesi, compresa la Germania, che è stata esplicitata da questo punto di vista più volte, lavorino in questo senso. Come è stato ricordato, nel Rapporto dei quattro presidenti si parla di una costruzione europea che deve essere completata e che parte dal progetto iniziale proprio della nascita dell'Europa, che è quella di un'unione politica da cui derivano unione fiscale e bancaria. Questo è l'obiettivo ed è un obiettivo concreto, su cui è stata data non solo ampia disponibilità, ma anche volontà politica, anche dalla Germania, che l'ha posto, infatti, come obiettivo da raggiungere.
L'obiettivo del Rapporto dei quattro presidenti è anche quello di tracciare una cosiddetta roadmap su come arrivare in maniera credibile all'unione politica e fiscale, da cui poi possono derivare tante soluzioni. Su quale sia il costrutto giusto per le regole fiscali o monetarie le risposte sono differenti, come se ci sia una vera unione politica o se, invece, abbiamo ancora una federazione non troppo integrata.
Nel frattempo sappiamo che questa è una strada su cui ci siamo incamminati, con un'accelerazione dovuta anche alla presa d'atto che i tempi richiedono maggiore velocità. Ci sono gestioni di crisi che devono avere gli strumenti di breve periodo come capacità di intervento, ma ben inquadrati - a questo servono i trattati su cui oggi discutiamo - in una costruzione a sua volta di lungo periodo.
Occorre passare da una gestione di emergenza con strumenti temporanei ed emergenziali a una gestione dell'emergenza con strumenti permanenti. Questa è la visione della cornice fiscale del Fiscal Compact e del meccanismo permanente, cioè dell'istituzione del MES.
Il dibattito europeo, che io auspico essere in continua evoluzione, riguarda gli obiettivi e gli strumenti che questa gestione delle emergenze oggi, ma anche nel futuro, deve essere in grado di consentire. Il dibattito su questo tema e la posizione che noi abbiamo portato avanti e che è stata, secondo me, un po' troppo semplificata giornalisticamente con l'idea dello scudo anti spread sono, a mio parere, più articolati e cercano, se vogliamo parlare sempre di etichette un po' troppo semplicistiche, di andare anche al di là di questo concetto del Fondo salva Stati. L'etichetta «salva Stati» offre, secondo me, una visione limitata e limitante di che cosa significa provvedere alla gestione della crisi e avere tutti gli strumenti necessari a disposizione.
Ci sono due potenziali casi su cui è necessaria una gestione comune. Uno è quello di Paesi che si trovano in posizione problematica, i quali, per esempio, hanno sbilanci fiscali che si trasformano in grandi deficit. Vista la difficoltà, in questo momento, dei mercati, tali Paesi incontrano difficoltà a finanziarsi e, quindi, si sente la necessità di avere strumenti del tipo «programmi Paese» che offrano la possibilità a un Paese di coprire il proprio deficit attraverso gli aiuti degli altri Stati membri.
Io penso che questo tipo di strumenti sia completo, o almeno discretamente articolato. Quello che noi abbiamo cercato di portare avanti, con discreto successo, a giugno - secondo me, è un successo importante, perché abbiamo tutti capito il problema e siamo disponibili a lavorarci, come stiamo lavorando adesso sugli strumenti - è il concetto che ci sono circostanze in cui il problema non è la questione


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di un singolo Stato che ha un grande deficit e che ha bisogno di soldi per finanziare il deficit, ma un'instabilità generale dei mercati dell'euro, la quale rende difficile l'ordinarietà di operazioni che sarebbero assolutamente nella disponibilità di alcuni Paesi, tra cui l'Italia. In una situazione di tranquillità dei mercati l'Italia non avrebbe assolutamente alcun problema di sorta.
L'idea è, quindi, quella di cercare di cambiare e di aggiungere all'ottica salva Stati, cioè di Paese punto a punto, una logica più complessiva di governance dei mercati finanziari europei in senso lato.
Secondo noi, infatti, uno dei problemi che ci sono in questo momento è quello di una tale volatilità dei mercati da portare a problemi non soltanto al Paese più in difficoltà, ma a tutti. Quando si verificano determinate disfunzioni, in cui i tassi di interesse non sono più governati, in alcuni casi, dalle politiche monetarie della Banca centrale, ma dall'evoluzione degli spread, la trasmissione necessaria delle politiche monetarie diventa problematica.
Quando ci si domandava prima come si fa a gestire la congiuntura economica, io rispondo che uno degli strumenti - mi sono già espresso in proposito - che normalmente aiutano la gestione della congiuntura economica è rappresentato dai meccanismi automatici che, in un momento di recessione, abbassano i tassi d'interesse. I tassi di interesse bassi incentivano imprese e consumatori a prendere a prestito e ciò aumenta la domanda aggregata, portando all'uscita dalla crisi. In questo momento, però, a questo meccanismo di trasmissione in molti Paesi non è consentito funzionare, perché i bassi tassi della Banca centrale non si vedono nemmeno, essendo dominati dagli alti spread.
Questo non è un meccanismo punto a punto, Stato a Stato, ma un meccanismo di salvaguardia della funzionalità dei mercati europei in senso lato. Questi sono il nostro impegno, la nostra spinta e il nostro contributo al dibattito europeo per uscire da un'ottica punto a punto, di solidarietà di tanti rispetto a uno, per passare a una lotta di solidarietà di tutti rispetto al mantenere integri i nostri mercati finanziari.
L'altro pezzo del nostro grande impegno, che è stato ricordato, è che abbiamo un costrutto europeo che deve andare verso l'unione politica e fiscale, costrutto che deve avere diverse gambe. Una gamba è quella della disciplina fiscale, l'altra è quella di avere strumentazione efficace di gestione della crisi e di solidarietà da Stati, un'altra ancora quella di garantire alcune regole, essendo anche consapevoli che dal modo in cui si scrivono le regole dipendono le potenzialità di crescita dell'area dell'euro.
Lo scorso giugno questo sforzo, non solo nostro, ma anche di altri partner europei, ha portato, secondo me, un buon risultato, quello di mettere in un'agenda che negli ultimi anni era stata dominata soltanto dalle prime due gambe anche il capitolo importante della crescita, del Growth Compact, e di un'attenzione nuova e rinnovata ai problemi del finanziamento degli investimenti e del ribilanciamento del bilancio europeo verso programmi che possono garantire crescita in maniera più innovativa.
Abbiamo cercato di continuare a tenere aperto il dibattito su come poter individuare alcune regole garantiste per tutti, dal punto di vista della disciplina fiscale, che però consentano di incentivare veramente l'attività di investimenti produttivi, la cosiddetta golden rule. Su questo fronte il dibattito è ancora aperto, come su molti altri, e l'impegno dell'Italia insieme ad altri Paesi sarà continuo. Penso di avere risposto a gran parte delle vostre preoccupazioni su questo tema.
C'erano poi alcune preoccupazioni forse più tecniche. L'ESM, così com'è, è sufficiente o non è sufficiente? Io penso che non esista una dimensione assoluta che può essere definita sufficiente o insufficiente. Fa parte della capacità di arricchire lo strumentario in modo tale da poter rendere ovvio il fatto che questi 500 miliardi di per sé non finiscono in se stessi, perché c'è la possibilità di «levereggiarli» e di renderli più flessibili. Non


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è solo l'ammontare che conta, ma anche il modo in cui operativamente tale ammontare può essere usato.
Un passo in questo senso, con tutto il rispetto dell'autonomia della Banca centrale, su cui è difficile poter tenere un dibattito approfondito, e uno dei risultati dell'ultimo vertice è stato quello di sostenere che le operazioni sui mercati sono operazioni complesse e difficili, che richiedono flessibilità, immediatezza e capacità di intervento. Il fatto che sia stato firmato questo protocollo d'intesa tra l'EFSF e il futuro ESM, con la Banca centrale europea come agente tecnico, è a sua volta un passo nella direzione giusta per garantirci che gli strumenti che abbiamo siano usati in maniera efficace, immediata e con grande capacità tecnica dalle istituzioni europee.
Io sono molto ottimista. Tutte le discussioni pubbliche di tutti i Paesi dell'area dell'euro sono state assolutamente unidirezionali e convinte ad approvare i trattati e a farlo velocemente. Pause dovute a discussioni e ad alte Corti non destano, a mio avviso, motivi di allarme. L'anticipo al luglio di quest'anno rispetto al luglio del 2013 non è dovuto alle preoccupazioni rispetto a quanto può accadere ad agosto. Si è trattato semplicemente dell'anticipo di un anno e, quindi, un anno dal luglio del 2013 ha portato al luglio del 2012.
Il fatto che l'ESM non sia operativo già dal luglio di quest'anno, a mio parere, non deve preoccupare, perché nel frattempo l'EFSF è attivo e continuerà a essere attivo anche dopo l'entrata in vigore dell'ESM per la continuazione dei programmi in essere. I meccanismi di gestione ci sono, dunque. Ricordiamoci che l'ESM è un'evoluzione dell'EFSF, che già esiste.
Peraltro, nel mese di agosto ormai da anni nelle nostre aste centrali noi non siamo presenti. Non abbiamo aste di medio-lungo termine, ma soltanto aste di BOT e da tempo siamo consapevoli che nei mercati di agosto, essendo molto sottili, è meglio essere prudenti. Da questo punto di vista, dunque, non si tratta di una decisione di quest'anno. Normalmente noi teniamo questo punto nella giusta considerazione.
Se me lo permette, presidente, anche per motivi di tempo, concluderei. Spero di essere stato utile e rispettoso delle domande.

GUIDO CROSETTO. Signor Ministro, ne manca una: dove pensa di trovare i 70 miliardi?

VITTORIO GRILLI, Ministro dell'economia e delle finanze. Poiché non ho capito il calcolo con cui si arriva a 70 miliardi, non so nemmeno rispondere. Eventualmente ne discutiamo bilateralmente.

PRESIDENTE. Ringraziando il Ministro Grilli per la sua disponibilità, dichiaro conclusa l'audizione.
La seduta termina alle 9,45.

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