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Resoconti stenografici delle audizioni

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Commissioni Riunite (III Camera e 3a Senato)
21.
Mercoledì 14 settembre 2011
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Stefani Stefano, Presidente ... 3

Audizione del Ministro degli affari esteri, Franco Frattini, sui recenti sviluppi del processo di pace in Medio Oriente (ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento della Camera dei deputati):

Stefani Stefano, Presidente ... 3 8
Dini Lamberto, Presidente ... 17 19
Adornato Ferdinando (UdCpTP) ... 11
Boniver Margherita (PdL) ... 10
Colombo Furio (PD) ... 8 16
Compagna Luigi (PdL) ... 15
Frattini Franco, Ministro degli affari esteri ... 3 17
Nirenstein Fiamma (PdL) ... 12
Pistelli Lapo (PD) ... 8
Tempestini Francesco (PD) ... 14
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro per il Terzo Polo: UdCpTP; Futuro e Libertà per il Terzo Polo: FLpTP; Italia dei Valori: IdV; Popolo e Territorio (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, La Discussione): PT; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling; Misto-Repubblicani-Azionisti: Misto-R-A.

COMMISSIONI RIUNITE
III (AFFARI ESTERI E COMUNITARI) DELLA CAMERA DEI DEPUTATI
E 3A (AFFARI ESTERI, EMIGRAZIONE) DEL SENATO DELLA REPUBBLICA

Resoconto stenografico

AUDIZIONE


Seduta di mercoledì 14 settembre 2011


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DELLA III COMMISSIONE DELLA CAMERA DEI DEPUTATI STEFANO STEFANI

La seduta comincia alle 14,30.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione del Ministro degli affari esteri, Franco Frattini, sui recenti sviluppi del processo di pace in Medio Oriente.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 143, comma 2 del Regolamento, l'audizione del Ministro degli affari esteri, Franco Frattini, sui recenti sviluppi del processo di pace in Medio Oriente.
Saluto e do il benvenuto a tutti i colleghi presenti, soprattutto ai senatori. Ringrazio il Ministro Frattini per la consueta disponibilità a tenere aggiornato il Parlamento in generale sulle materie di sua competenza e in particolare sul Mediterraneo e sul Medio Oriente.
Faccio presente che l'importanza del tema oggi in discussione, anche in vista dell'Assemblea generale dell'ONU convocata per la prossima settimana, ha indotto me e il presidente Dini a confermare l'audizione odierna nonostante le modifiche intercorse al calendario dei lavori della Camera a seguito della posizione della questione di fiducia.
Ricordo che alle 15 iniziano i lavori d'Aula con la discussione degli ordini del giorno. Noi siamo in contatto diretto con l'Aula attraverso un circuito televisivo. Mi riservo, pertanto, di comunicare ai colleghi deputati il momento in cui sarà richiesta la loro presenza in Aula e l'imminenza della prima votazione.
D'accordo con il presidente Dini, penso che l'audizione potrà essere eventualmente conclusa dai colleghi senatori, a meno che non ci sia opposizione da parte di qualcuno. Sono sicuro che il Ministro Frattini al suo ritorno da New York sarà certamente disponibile a riferire su questa materia in Parlamento.
Prego, pertanto, l'onorevole Ministro Frattini di svolgere la sua relazione.

FRANCO FRATTINI, Ministro degli affari esteri. Grazie molte, presidente. Vi sono particolarmente grato di permettermi oggi di informare il Parlamento e di ascoltare la voce delle Commissioni riunite su un tema che, nelle prossime settimane, sarà probabilmente uno dei più delicati e complessi che nella politica internazionale abbiamo affrontato negli ultimi anni.
Si tratta, come sapete, di assumere una posizione, durante i lavori dell'Assemblea generale dell'ONU che si aprirà tra qualche giorno, sulla prospettiva e sull'ipotesi che si debba discutere in Assemblea generale, se non addirittura dinanzi al Consiglio di sicurezza, una proposta per l'istituzione, tramite risoluzione, di uno Stato sovrano palestinese.
L'idea che oggi vi trasmetterò è quella di una valutazione aperta, sulla quale sarò particolarmente grato se vorrete farmi conoscere le valutazioni, le opinioni, i


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suggerimenti, rispetto a una situazione in cui né l'Italia né gli altri Paesi europei hanno ancora formalmente assunto una posizione nelle sedi ufficiali, poiché evidentemente stiamo lavorando tutti - come ora vi dirò - per gestire una fase, durante i lavori dell'Assemblea generale e dopo la loro conclusione, che non solo non danneggi ma, al contrario, migliori le prospettive di una riconciliazione in Medio Oriente, anche alla luce delle forti attese dei popoli e dei Paesi del mondo arabo intorno a questa vicenda.
Qual è lo scenario in cui ci muoviamo? Vi sono forti attese che derivano da richieste di ormai lunghissima data per acquisire risultati concreti nel negoziato israelo-palestinese, ma si tratta di attese che presso i Paesi e i popoli arabi si stanno moltiplicando alla luce di alcuni sviluppi della cosiddetta «primavera araba», che ha portato nuovamente il tema all'attenzione della dirigenza palestinese ma soprattutto della Lega Araba.
A questo si oppone una situazione attuale di stallo dei negoziati. È una situazione che tutti conoscete, quindi non c'è bisogno di soffermarsi su uno stato di fatto che ha finora impedito il ritorno al negoziato diretto, malgrado dichiarazioni positive e assunzioni di impegno, e malgrado soprattutto il forte e continuo incoraggiamento di due attori che sono e restano fondamentali in questa vicenda e in questa partita: l'Unione europea e gli Stati Uniti d'America.
Il terzo elemento dello scenario è certamente la situazione in Israele, alla luce di alcuni sviluppi della cosiddetta «primavera araba» in alcuni Paesi, sviluppi che avremmo auspicato tutti di non vedere e che, invece, abbiamo visto. Mi riferisco all'assalto all'ambasciata israeliana al Cairo, con le violenze gravissime, e certamente all'aggravarsi della situazione siriana, oltre che a un'aggravata tensione tra Turchia e Israele.
Questi elementi regionali inducono evidentemente a prendere atto - perché di questo si tratta - che la dirigenza israeliana, anche quella maggiormente incline al dialogo, tiene oggi in particolare considerazione un senso di progressivo isolamento, se non accerchiamento, e il timore di un uso della vicenda tale da contribuire a un ulteriore isolamento, dinanzi all'Assemblea generale dell'ONU, dello Stato di Israele.
Questo sentimento è percepito non solo in Israele. Al di là delle dichiarazioni ufficiali, esso è percepito in Paesi non secondari membri della Lega Araba che comprendono come l'interesse comune sia non certamente quello di isolare Israele ma, al contrario, quello di definire una prospettiva in cui esso sia rassicurato e certamente non isolato o marginalizzato.
Devo dire che il proattivismo turco delle ultime settimane è un elemento che in questo ha una connotazione particolare. Non sfugge la presenza alla Lega Araba del Primo ministro Erdogan che ha infuocato l'Assemblea con applausi a scena aperta, laddove ha invocato l'obbligo internazionale di punire Israele - così egli ha detto - per i suoi crimini. Mi permetto di dire che questo forse è uno degli effetti (apro e chiudo subito una parentesi) delle posizioni sbagliate di coloro che in Europa hanno lasciato per troppo tempo la Turchia guardare a est senza fortemente coinvolgerla in una prospettiva europea che sicuramente avrebbe visto quel Paese giocare un ruolo diverso.
Io resto nondimeno ottimista sulla indispensabile necessità di continuare a tenere vicina la Turchia, proprio in un momento in cui non abbiamo affatto bisogno, nel Medio Oriente, di una saldatura turco-araba in nome dell'isolamento di Israele. Al contrario, abbiamo bisogno anche in questo di più Europa che ravvivi il dialogo e il negoziato per l'adesione con la Turchia, per assumere insieme una maggiore responsabilità e una maggiore responsabilizzazione che faccia attenuare le tensioni turco-israeliane che ci preoccupano moltissimo.
In questo scenario c'è un aspetto di cui quasi non si parla più, ed è un tema che per Israele è ancora una volta simbolico, ma fondamentale: non si parla quasi più della liberazione del soldato Shalit, che si allontana insieme alle prospettive di una


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riconciliazione palestinese in nome di un'equilibrata composizione del Governo palestinese, che come sapete non ha fatto molta strada.
Tutti questi elementi di scenario certamente si inseriscono in un contesto in cui il ruolo americano è stato particolarmente attivo: due interventi a brevissima distanza del Presidente Obama, con alcune sfumature certamente diverse tra il primo e il secondo intervento, ma con una chiarissima volontà degli Stati Uniti di mantenere l'impegno per una ripresa del negoziato e per evitare in questo scenario soluzioni unilaterali che potrebbero portare al deteriorarsi e non al migliorare della prospettiva regionale.
Da ultimo, sempre a proposito dello scenario, sono importanti il ruolo della nuova dirigenza della Lega Araba e quello dell'Egitto, che certamente sta cercando di riprendere il ruolo che aveva con un governo e con un contesto politico interno profondamente cambiati. In tutto questo si inserisce l'azione attuale dell'Europa. Su questo abbiamo condotto un'approfondita riflessione soltanto qualche giorno fa al vertice informale che abbiamo tenuto in Polonia.
Quali sono le opzioni che sono state considerate? Si tratta di opzioni che sono sul tappeto, alcune già presentate, alcune circolate attraverso documenti informali. La prima opzione è che si affronti il tema con una forte e articolata risoluzione del Quartetto. Ci sta lavorando Tony Blair, ci stanno lavorando i membri del Quartetto. Si sta ipotizzando una dichiarazione del Quartetto che, anzitutto, spinga con forza le due parti al ritorno al negoziato; delinei le caratteristiche di uno Stato palestinese e dei suoi contenuti (molto abbiamo parlato di uno Stato palestinese, poco abbiamo parlato del contenuto di questo Stato, vi sono state idee molto diverse e nessuno ancora ha messo a fuoco la questione di sostanza); tocchi ancora una volta il tema dei confini rispetto a una soluzione che l'Europa ha condiviso e che il Presidente Obama ha ripetuto - quella di un ritorno ai confini del 1967, con scambi di territorio conseguenti a una negoziazione tra le parti -; riaffermi il diritto di Israele al riconoscimento come Stato ebraico, o come Stato del popolo ebraico, in un contesto di sicurezza; richieda un impegno dei Paesi della Lega Araba alla normalizzazione con lo Stato di Israele, a cominciare dalle controversie commerciali e dai rapporti economici.
Una dichiarazione del Quartetto di questo genere non sappiamo se potrà essere o sarà indicata come la soluzione idonea a sbloccare il negoziato e a dare una prospettiva concreta perché lo Stato palestinese nasca effettivamente in tempi ragionevoli.
La seconda opzione è quella più netta ed ha a sua volta due versioni: una risoluzione da presentarsi al Consiglio di sicurezza o, in alternativa, all'Assemblea generale, che sancisca la nascita dello Stato palestinese, indicandone le caratteristiche e rimettendo a un negoziato successivo la definizione contenutistica e di aspetti che la risoluzione di principio non potrebbe affermare. Sapete già che sulla prima versione di questa seconda opzione - Consiglio di sicurezza - vi è un preannuncio quasi formale, diciamo così, di veto americano e sapete anche che il veto al Consiglio di sicurezza pregiudicherebbe ovviamente l'efficacia anche legale di una risoluzione ove presentata al Consiglio. Quanto alla presentazione all'Assemblea generale, sappiamo già ora, al di là di quello che dirò sul ruolo dell'Europa, che vi è un largo numero di Paesi membri che hanno già preannunciato il sostegno a un'eventuale risoluzione all'Assemblea generale; probabilmente si tratta di un numero di Paesi importante e probabilmente di una maggioranza.
La terza opzione di cui anche si è parlato concerne un upgrading dello status attuale dell'Autorità nazionale palestinese - che, come sapete, è ente che ha ricevuto un invito permanente a partecipare come osservatore - a un livello di Stato non membro osservatore permanente; quella che tutti quanti avete sentito nominare come «ipotesi Vaticano», cioè lo status della Città del Vaticano.


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Questa opzione ha già evidenziato punti di incertezza da parte palestinese. Non sappiamo, in altri termini, se la leadership palestinese la riterrebbe sufficiente. Non abbiamo una posizione chiara della Lega Araba su questo tema, ma abbiamo con certezza un'obiezione israeliana e non solo israeliana: questa opzione consentirebbe, anche senza il riconoscimento dello status di Stato membro, la possibilità di adesione al sistema della Corte penale internazionale, ivi compreso il diritto di sollevare casi e di presentare denunzie. La preoccupazione emersa nei lavori della nostra discussione europea e in altre sedi internazionali in cui abbiamo discusso di questo, è che lo strumento, pur senza attribuire lo status di Stato membro dell'Assemblea generale, consentirebbe l'apertura di un numero potenzialmente indeterminato di casi contro Israele dinanzi alla Corte penale internazionale. Si tratta ovviamente di un elemento tale da infiammare piuttosto che calmare la situazione dell'area.
Vi è stato, l'altro ieri, un incontro importante in cui, dinanzi alla Lega Araba, l'Alto Rappresentante dell'Unione europea, Lady Ashton, nella sua missione al Cairo ha avuto modo di esprimere quali siano oggi le posizioni su cui l'Unione europea intende attestarsi: posizioni - lo dico subito - che l'Italia, per sua parte, come Governo condivide e su cui la voce del Parlamento è a mio avviso estremamente importante in questo momento.
Il primo punto della posizione europea è evitare una divisione dell'Unione europea. Essa avrebbe effetti catastrofici per la credibilità dell'Europa se, in altri termini, si cominciasse con l'esplicitazione e la sommatoria di posizioni nazionali che - è già emerso in Polonia - non sarebbero coincidenti oggi sull'ipotesi di una risoluzione di proclamazione dello Stato palestinese indipendente. Inoltre, tale idea sarebbe catastrofica per la divisione che si creerebbe qualora gli Stati Uniti ponessero un veto e l'Unione europea non solo non mantenesse la sua unità ma si trovasse in una posizione di divergenza con gli Stati Uniti d'America in alcuni suoi membri e di sostegno in altri dei suoi Paesi membri.
Quindi, è assolutamente indispensabile la ricerca di una piattaforma comune accettabile. Questo, a mio avviso, è possibile perché l'Unione europea ha già più volte - non soltanto con la citata risoluzione adottata nel 2009 sotto presidenza svedese, ma anche in molti altri casi - indicato una linea unitaria su cui tutti i Paesi membri si sono ritrovati, ma anche perché il valore aggiunto di un'unità europea (non svelo un segreto) è una delle richieste principali che ci vengono rivolte dagli Stati Uniti, dalla Lega Araba, dai palestinesi, dagli israeliani. Un'Europa divisa sarebbe non solo incapace di essere credibile ma anche incapace di sostenere quello che tutti credo dobbiamo mettere al primo punto dell'agenda, ossia la ripresa urgente di un negoziato per la definizione in tempi brevi delle caratteristiche di uno Stato palestinese accanto a uno Stato ebraico di Israele.
Il secondo punto che la signora Ashton ha sottolineato è quello di facilitare le iniziative che favoriscano la ripresa urgente del dialogo anziché le iniziative che lo farebbero finire. Voi sapete che vi sono state ipotesi, addirittura anticipazioni, che noi scongiuriamo, di una sospensione dei finanziamenti all'Autorità palestinese da parte degli Stati Uniti, qualora la risoluzione fosse approvata. Dico che scongiuriamo tali ipotesi perché i finanziamenti degli Stati Uniti sono ad oggi assai maggiori di quello che gli Stati arabi, pur sostenendo la Palestina, hanno finora dato alla stessa. Ad onor del vero, bisogna riconoscerlo.
La seconda linea rossa dell'Europa, allora, è lavorare per ciò che favorisce la ripresa rapida del dialogo e non per ciò che mette a rischio il dialogo (non solo il negoziato, ma il dialogo).
Il terzo elemento è evitare che l'Unione europea dia la sensazione di non comprendere quelle fortissime attese che nello scenario che ho descritto vengono da Israele ma anche da milioni e milioni di giovani nel mondo arabo, che nella primavera araba non hanno bruciato le bandiere


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di Israele ma che, ove fossero frustrate - o questa fosse la percezione - per sempre le aspettative di nascita in tempi rapidi di uno Stato palestinese, potrebbero davvero trasformarsi in sentimenti diffusi difficilmente governabili anche in Paesi che non sono stati attraversati finora dalle cosiddette «rivoluzioni» nei Paesi arabi.
Un quarto punto estremamente importante è considerare il giorno dopo, ossia cosa accade dopo l'assunzione di decisioni, dopo una risoluzione del Quartetto, dopo una risoluzione presentata e bocciata al Consiglio di sicurezza, dopo una risoluzione, ancorché votata all'Assemblea generale, che determini un'interruzione del negoziato o, peggio, azioni scongiurabili da parte di grandi attori globali, ad esempio, sul fronte del sostegno economico alla Palestina. Guardare al giorno dopo e non solo al giorno prima è un compito che l'Europa si è data e che, a mio avviso, impone di considerare un pacchetto di proposte e di iniziative, non solo risoluzione sì o risoluzione no.
Occorre considerare cosa accade nella definizione delle caratteristiche dello Stato palestinese che deve nascere, cosa accade nel governo regionale della sicurezza, quali azioni concrete i Paesi arabi assumono per la normalizzazione delle posizioni con lo Stato di Israele. Tutto questo è inscindibile in un pacchetto in cui l'Europa vuole davvero giocare la sua parte.
Queste sono alcune delle suggestioni che sono emerse nella nostra discussione europea. Certamente l'Europa avrebbe difficoltà ad andare oggi su una posizione diversa da quella su cui anche recentemente abbiamo raggiunto l'unanimità, anche negli scorsi mesi; le divisioni esisterebbero, l'Europa si dividerebbe.
Il quinto aspetto che sottopongo alla vostra attenzione è come aiutare la dirigenza palestinese a superare una situazione estremamente difficile. Ho avuto colloqui con tutti gli esponenti di tale dirigenza, da ultimo con l'ex collega, oggi negoziatore palestinese, Nabil Shaath, che fu Ministro degli esteri tra il 2003 e il 2005, il quale mi ha rappresentato la sua grande preoccupazione, ovviamente la determinazione palestinese, logica e comprensibile, di non poter perdere la faccia dinanzi a un'azione che da decenni i palestinesi conducono, ma anche la consapevolezza che su alcuni temi se l'Europa e gli Stati Uniti insieme, di stretto concerto con il mondo arabo e con la Lega Araba, trovano una conclusione accettabile anche per lo Stato di Israele questa può essere una straordinaria occasione, trasformando quella che è la grave responsabilità di tutti noi in una grandissima opportunità.
Ecco, allora, quali sono i punti su cui credo che tutti ci sentiamo impegnati: l'impegno a sostenere la dirigenza palestinese nel rilancio economico, l'impegno a sostenerla anche comprendendo le forti frustrazioni che cominciano a serpeggiare sulla mancata riconciliazione, quindi con la situazione di Gaza, che non è stata affatto risolta, con la dirigenza di Hamas, l'impegno a comprendere che da parte palestinese vi è un'idea che non è forse totalitaria, ma è forte nell'opinione pubblica, che dopo decenni di sforzi forse i palestinesi non avrebbero niente da perdere andando dinanzi all'Assemblea generale a chiedere il riconoscimento pieno.
Questi sono i termini di una questione su cui noi stiamo lavorando. Sapete bene qual è la posizione dell'Europa, poiché ne abbiamo parlato molte volte. Vi sono dei documenti chiari che sottolineano la centralità del metodo del negoziato per acquisire il risultato statuale, che sottolineano il principio dei confini e quindi del blocco degli insediamenti come elemento da includere nel pacchetto negoziale, che comprendono quanto due Stati e due popoli significhi due Stati per i palestinesi e per gli ebrei, senza che questo possa cancellare il principio forte che vi sono arabi israeliani che vivono, desiderano vivere e vorranno continuare a vivere nello Stato e nelle istituzioni dello Stato di Israele. Si tratta di elementi importanti che certamente nell'azione europea sono stati sempre considerati e dovranno esserlo ancora.
Vengo alla mia conclusione, sulla quale desidero ascoltare la vostra opinione, anticipando sinora che l'Italia seguirà su


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queste linee l'obiettivo principale di tenere unita l'Europa, di far giocare all'Europa un ruolo politico proattivo, di lavorare nel Quartetto e con la Lega Araba affinché si trovi una soluzione che permetta al negoziato di pace di avere successo e non metta a rischio il negoziato stesso.
Questo è l'impegno della signora Ashton, questo è l'impegno del Comitato internazionale dei donatori per la Palestina guidato dalla Norvegia, il cui Ministro Store ha confermato in Polonia questa determinazione; questo credo debba essere l'impegno della comunità internazionale.
La questione non ha oggi una soluzione sul tappeto, ma dobbiamo lavorare perché la soluzione non sia divisiva, non contribuisca all'aggravarsi della crisi, ma ad attenuare gli effetti di una situazione di crisi che ovviamente esiste.

PRESIDENTE. Ringrazio il Ministro Frattini.
Do la parola ai colleghi che intendono intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

FURIO COLOMBO. Signor presidente, vorrei un chiarimento sui tempi di cui disponiamo in relazione agli impegni dell'Assemblea.

PRESIDENTE. Ricordo ancora che i lavori d'Aula dovrebbero iniziare alle 15, ma non sono ancora iniziati. Appena si ravviserà la necessità di scendere in Aula per votare - siamo in collegamento con l'Aula attraverso il circuito chiuso - l'audizione proseguirà, sotto la presidenza del senatore Dini, con i senatori.
Comunque, abbiamo ancora almeno mezz'ora di tempo.

LAPO PISTELLI. Nei limiti di tempo che i lavori dell'Aula ci lasciano, vorrei esprimere al Ministro Frattini le valutazioni del Partito Democratico, ricordando che questo intervento per alcuni aspetti non è soltanto individuale, ma tiene conto anche di conversazioni avute con i due capigruppo di Camera e Senato, Francesco Tempestini e Giorgio Tonini. So che nell'economia del dibattito non ci sarà la possibilità di ascoltare molti interventi.
Ringrazio il Ministro perché l'esame che ci ha fatto del quadro è un'analisi degna di ciò che merita ogni quadro complesso, e quindi complessa, con molte variabili di cui tener conto, nella valutazione non soltanto dei fatti che si sono snodati fino a oggi, ma anche delle possibilità di negoziato diplomatico e di esito del voto da oggi all'Assemblea generale della prossima settimana.
Affermo subito con molta franchezza che questo tipo di audizione e di dibattito ha senso se ciascuno di noi, e noi facciamo la nostra parte, evita di attribuire a questa discussione il carattere partigiano che talvolta si dà questo tipo di tema, perché un tema rispetto al quale agire come nelle curve dello stadio non aiuta, esattamente per la descrizione che lei ha tracciato.
Noi ci sentiamo, da sempre, un Paese equivicino in questo conflitto, nel senso che ci sono fondatissime ragioni per un'amicizia con lo Stato di Israele, così come fortissime motivazioni per sostenere un'aspirazione che da tanti decenni cerca un compimento nella realizzazione del principio di due popoli, due Stati.
Procedo brevissimamente per punti. Ovviamente non potrò argomentarli tutti, anche se l'analisi del Ministro è stata molto ricca.
Sul contesto dell'area anche noi esprimiamo un'enorme preoccupazione per l'evoluzione del contesto regionale, dove non è difficile poter consigliare agli amici israeliani la presa d'atto più rapida possibile di come sta cambiando il mondo intorno a Israele. Ci sono state, e lo rileviamo purtroppo oggi, occasioni nel passato in cui vi era un atteggiamento proattivo da parte di confinanti importanti, come l'Egitto e la Turchia - addirittura, risalendo a prima della rivoluzione khomeinista, ci si potrebbe infilare anche l'Iran negli anni Settanta - ma abbiamo visto come via via, passando ai nuovi decenni, diminuiscano gli alleati di un processo negoziale. È una preoccupazione


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alla luce dell'interazione che questo stallo negoziale ha nei confronti dell'evoluzione delle primavere arabe.
Il secondo elemento che voglio sottolineare sul contesto, perché mi permette di passare al secondo capitolo, è che noi siamo davanti a uno stallo assoluto del negoziato da due anni a questa parte. Non mi interessa in questo momento, perché ricadrei nella partigianeria, indicare chi ha la responsabilità di tale stallo, ma è un fatto che da diversi anni si sia scelto il metodo del confidence building preventivo, che si sia scelto il tema del timing da dare per raggiungere l'obiettivo. Che si fosse sulla scia di Oslo o di Annapolis, il fatto è che gli insediamenti sono proseguiti, le violenze sporadiche anche, sui confini non si è trovata un'intesa, sul diritto al ritorno nemmeno e sulla capitale meno che mai.
Il gesto di andare alle Nazioni Unite è un gesto che rompe uno stallo nel quale tutti abbiamo responsabilità e che obbliga la comunità internazionale, in forma aggregata o nazionale, ad assumersi alcune responsabilità.
Il Ministro affermava prima giustamente che si preoccupa su che cosa accadrà il giorno dopo in un caso e nell'altro. È ovvio che le nostre preoccupazioni sul giorno dopo sono testimonianza delle nostre inerzie del giorno prima. Se non fossimo stati tutti insieme troppo inerti in passato, non avremmo oggi questo rischioso, perché tale è, redde rationem.
Io mi compiaccio che questa battaglia politica avvenga davanti alle Nazioni Unite, perché è la sede sovrana in cui si affermano la legalità internazionale e il diritto internazionale. Per questo motivo mi unisco alle parole di apprezzamento che per primo il Segretario generale Ban Ki-Moon ha espresso sul fatto che quella sia la sede in cui la comunità assumerà alcune decisioni.
Aggiungo anche che, dato che vi sono state in passato stagioni durante le quali la battaglia politica palestinese presentava margini di ambiguità sull'uso degli strumenti della lotta politica, il fatto di averla interamente trasferita in quella sede, la sede sovrana della politica mondiale, è, secondo me, una scelta che va, come metodo, incoraggiata.
Aggiungo, peraltro, che, in fondo, anche all'origine della nascita dello Stato di Israele vi sono esattamente la stessa sede, la stessa dinamica negoziale sulle risoluzioni, la scelta di anticipare di alcune ore l'annuncio di una sovranità rispetto al pronunciamento del voto. Ci sono alcuni paralleli storici che ritornano.
Sul tema della pace, signor Ministro, le voglio parlare con molta franchezza. È evidente che questa è una necessità oggi oggettiva, alla luce di ciò che abbiamo affermato, e vorrei intrattenermi mezzo minuto su un'espressione che lei ha utilizzato e che non credo sia un neologismo, quanto un'abile espressione diplomatico-politica, quando ha fatto riferimento allo Stato ebraico di Israele.
Diciamo la verità: a oggi la politica indica che siamo davanti allo Stato di Israele e la politica del Governo israeliano, davanti a questo passaggio politico, accentua il carattere di focolare del popolo ebraico, cosa che, come lei sa, è oggetto anche di un negoziato fra le due parti, perché per primo il Presidente Truman, alla vigilia del voto dopo il secondo conflitto mondiale, fece modificare la denominazione di Jewish National State in State of Israel.
Ciò è indicativo molto del dilemma che oggi Israele ha davanti a sé, ossia se l'unica condizione per mantenere la caratteristica che tutti riconoscono a questo Paese, quella di essere una democrazia in quell'area, ma al tempo stesso di avere una prevalente natura di focolaio del popolo ebraico, si concilia soltanto con un ritorno ai confini del 1967, con tutti gli scambi che lei ha prospettato.
Il primo che sostiene questa tesi, tanto per non citare nomi, è il professor Della Pergola, che tutti conosciamo come importante esponente della comunità ebraica italiana di Gerusalemme, il quale ha scritto tomi molto impegnativi sulle tendenze demografiche, che indicano che questa è l'unica condizione per conciliare il carattere democratico con il prevalente


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carattere ebraico dello Stato. La pace è una necessità innanzitutto per Israele.
In secondo luogo, il negoziato diretto è insostituibile a prescindere da quello che succederà, perché è necessario, se il voto abortisce, ma anche se esso sancisse il riconoscimento maggioritario di uno Stato. Tutti gli sforzi che la comunità internazionale a matrioska può compiere, il Quartetto, l'Europa dentro il Quartetto e l'Italia dentro l'Europa, devono essere comunque finalizzati. Tutti noi, signor Ministro, abbiamo incontrato Nabil Shaath, Fayad, Abu Abbas, Nethanyahu. Come lei sa, siamo stati sempre in contatto per stimolare le parti a ritornare a questo negoziato diretto.
Chiudo con un'ultima questione sul voto nostro e sul posizionamento italiano. Lei ha tracciato un quadro del quale la ringrazio, perché è molto aggiornato, sulle ipotesi, dopo l'incontro avuto a Varsavia, che l'Europa e l'Italia dentro l'Europa hanno davanti a sé su come condurre il negoziato sul testo. È ovvio che noi oggi non possiamo giocare come nella schedina un sistema su come voteremo in ciascuna di queste circostanze, perché come verrà composta quella risoluzione è oggetto di negoziato.
Senza usare il politichese, esprimo però una considerazione. Apprezzando la scelta che lei ha compiuto di venire prima del voto non a comunicare una scelta, ma un metodo e un modo di lavorare per le prossime settimane, le consiglio di tenere conto di tre aspetti.
Il primo è stare dentro il mainstreaming europeo, come lei ha ribadito tutte le volte, pur sapendo, perché va detto a onor del vero, che le parti che ci hanno incontrato, israeliane e palestinesi, chiedono ovviamente l'unità dell'Europa, ma su ipotesi opposte. È evidente che noi invece dobbiamo tenere l'unità dell'Europa sull'ipotesi europea, non sull'ipotesi che ciascuna delle due parti ci chiede.
Inoltre, i governi, come spesso capita, cambiano, durano, vengono riconfermati; è la storia della politica, ma questo non è un voto passeggero. Non essendo un voto passeggero, l'invito in questa circostanza, più che in altre, è che il Governo tenga conto di una posizione Paese, non di una posizione Governo. La posizione Paese, che tutti conosciamo, è il consolidato di un insieme di atteggiamenti plurale, che ci ha visto giocare in questo scacchiere tenendo conto delle molte sensibilità. Non allontanarsi dal mainstreaming europeo significa anche evitare di stare sugli archi estremi dell'1-X-2.
Da ultimo, teniamo conto del momento contingente in cui ci troviamo e della nostra geopolitica. L'Italia è un Paese mediterraneo e tutti noi abbiamo informazioni su come eventualmente si orienterebbero i Paesi contermini all'Italia che sanno di dover operare in un contesto in cui, dalla Tunisia all'Egitto, alla Turchia, partner geopolitici ed economici molto importanti, il nostro atteggiamento di equilibrio in questa vicenda verrà tenuto sotto ferma osservazione per caratterizzare lo sviluppo delle nostre relazioni bilaterali e multilaterali con quell'area. È una ragione in più per tenere davanti a questa scadenza importante un atteggiamento di grande equilibrio e lungimiranza.

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DELLA 3a COMMISSIONE DEL SENATO DELLA REPUBBLICA LAMBERTO DINI

MARGHERITA BONIVER. Signor presidente, svolgerò un intervento molto conciso, perché sicuramente vorrà parlare per il nostro gruppo anche l'onorevole Nirenstein, alla quale cedo molto volentieri una parte del tempo più o meno assegnato.
Preciso subito che abbiamo ascoltato una straordinaria relazione del Ministro degli affari esteri Frattini, non soltanto per la completezza, ma soprattutto per la cautela con la quale ha illustrato le diverse opzioni.
Vorrei subito aggiungere che una delle questioni di cui siamo più fieri nella politica estera del nostro Paese è la limpida posizione italiana di questo Governo a fianco dello Stato di Israele, cosa che, anche in questa occasione sicuramente


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non verrà smentita e che rappresenta un punto di forza.
Ciò è sempre stato spiegato anche nel dettaglio nei confronti dei nostri amici palestinesi, però io credo che non ci possa essere una politica migliore nei confronti dell'intricatissima questione mediorientale israelo-palestinese di questa presa di posizione, che non è mai venuta meno, a fianco di Israele, per la costituzione di uno Stato palestinese attraverso negoziati.
Io credo che ci troviamo alla vigilia di un vero e proprio fait accompli. Credo di aver capito anche dalle parole del Ministro che viene dato per scontato. Sappiamo anche quali sono i numeri, che sono imponenti, che si sono già espressi prima del voto dell'Assemblea generale.
Sono anche convinta che questa dichiarazione che diamo per scontata farà perdere tutti i soggetti coinvolti: perderanno certamente i palestinesi, i quali, abbandonando la via del negoziato in modo più o meno definitivo, avranno soltanto da perderci, perderanno naturalmente i nostri amici israeliani, i quali probabilmente finiranno anche per rimproverarsi alcune lentezze degli ultimi tempi da parte dell'attuale Governo, ma certamente, e su questo vorrei soffermarmi, perderemmo noi europei, se non avessimo una posizione univoca, convinta e convincente.
Di più, nella malaugurata ipotesi di vedere un'Europa divisa su una questione così importante, noi continueremmo a procedere su quel cammino, che sembrerebbe quasi inevitabile, di un declino non soltanto economico per via delle tempeste finanziarie, ma anche politico. L'Europa ha cominciato a dividersi all'inizio della guerra in Iraq; la questione non si è mai sopita, ma una divisione su un punto così delicato, come quello che verrà discusso nell'Assemblea generale dell'ONU, sancirebbe definitivamente la nostra irrilevanza come Europa.
Sono molto grata per le questioni che lei ha illustrato, signor Ministro, e sono sicura che la posizione italiana finirà per essere una posizione prevalente e convincente anche nei confronti di quei nuovi Paesi membri dell'Unione europea i quali hanno avuto modo di esprimere posizioni che non erano del tutto condivisibili. Su questo punto credo che l'intransigenza della nostra posizione debba essere mantenuta e condivido con lei anche le sue conclusioni, quando afferma testualmente che «da questa contingenza può venir fuori una grande opportunità». Ci mancherebbe solo che l'Europa si dividesse dagli Stati Uniti: sarebbe definitivamente un atto molto negativo.

FERDINANDO ADORNATO. Signor Ministro, sarò brevissimo e la ringrazio della sua costanza nel tenersi in rapporto col Parlamento italiano. Non è la prima volta che glielo riconosco e spero che non sia l'ultima. La ringrazio anche di essere venuto con una posizione aperta, come lei ha sostenuto. Del resto, questa posizione aperta corrisponde all'incertezza europea.
La pregherei di sostenere presso l'Unione europea una posizione non in coerenza con gli atteggiamenti filopalestinesi né con quelli filo-israeliani, ma con gli atteggiamenti dell'Unione. Non vedo perché l'Europa non debba assumere una posizione netta e unitaria - condivido le preoccupazioni su questo punto - rispetto a se stessa e alla sua linea politica.
L'Unione europea è impegnata da anni nell'avere un ruolo positivo, che non si riesce probabilmente ad avere del tutto, per il raggiungimento dell'obiettivo di due popoli e due Stati, per un negoziato che abbia questo come fine. Se l'ONU assegnasse un seggio allo Stato palestinese vorrebbe dire che è finita la controversia, che è finita la trattativa, che è finito il negoziato. Dunque in questi anni di che cosa abbiamo parlato?
Se le Nazioni Unite assegnano un seggio allo Stato palestinese, ciò significa che in questi anni abbiamo parlato di nulla, del vuoto, che non esiste un negoziato per avere due popoli e due Stati, perché due Stati ci sarebbero già, nel momento in cui si votasse questa risoluzione dell'ONU. Ci saremmo presi in giro. Significherebbe che non c'erano problemi internazionali delicati


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che potessero mettere a repentaglio la salute geopolitica del mondo o l'equilibrio mondiale.
Io penso che, in nome di una diplomazia che riconosce il diritto allo Stato palestinese a essere rappresentato alle Nazioni Unite, si indichi la circostanza che l'autorizzazione delle Nazioni Unite invita a concludere in modo rapido il negoziato per arrivare a due popoli e due Stati. Dopodiché, è chiaro che, raggiunta la situazione che tutte le potenze del mondo desiderano e auspicano, si può dare uno Stato al popolo palestinese.
Farlo prima significherebbe mettere, in modo assolutamente non diplomatico e pericoloso, il mondo di fronte a una situazione in cui l'Organizzazione delle Nazioni Unite dichiara che non esiste alcuna controversia, che non esiste alcun negoziato, che non esiste alcun problema fra palestinesi e israeliani, tanto che si dà un seggio allo Stato palestinese. Mi sembrerebbe una contraddizione di enorme rilevanza.
D'altra parte, mi sembrerebbe talmente limpida la posizione europea rispetto a se stessa da non capire, con un po' di ingenuità, quale è il problema per non raggiungere questa posizione. È ovvio che noi dobbiamo impegnarci perché i palestinesi abbiano un seggio all'ONU dopo che questo negoziato, nel quale noi abbiamo voluto avere un ruolo, avrà luogo. Non sarà l'Europa a negare il suo ruolo nel negoziato.
Credo che il Governo italiano dovrebbe rappresentare questo agli altri Governi europei. Ove non si assumesse questa posizione, si negherebbe non il diritto israeliano, non il diritto palestinese, ma il diritto all'esistenza dell'Unione europea, perché veramente non si capirebbe che cosa abbia fatto l'Unione europea in questi anni. Avrebbe partecipato a un negoziato fantasma, a una controversia inesistente, a una questione che non aveva logica nell'equilibrio mondiale.
Aggiungo e concludo che il giorno dopo che si assumesse questa posizione da parte delle Nazioni Unite - lei, signor Ministro, ha giustamente chiesto di riflettere sul giorno dopo e sul giorno prima - non succederebbe assolutamente nulla, perché questa è una posizione ragionevole, che indica la continuazione di un negoziato e non si può pensare di bypassare tale negoziato. Non può pensarlo Hamas, non può pensarlo Israele, ma nemmeno l'ONU.
Se, invece, si assegnasse uno Stato palestinese, bypassando il negoziato, si prenderebbe una posizione assolutamente pericolosa per la salute politica e anche «fisica» delle relazioni diplomatiche. Se l'ONU potesse giocare un ruolo positivo nella soluzione delle controversie - cosa che personalmente non credo e non sono il solo a pensarlo - certamente potrebbe anche indicare una data sicura per la conclusione di questo negoziato e anche immaginare interventi presso le parti, ove questa data sicura non venisse rispettata.
Su questo punto davvero mi rendo conto di parlare di fantapolitica, perché l'ONU, ahimè, non ha alcun potere, né politico, né tanto meno militare, per imporre la soluzione rapida delle controversie, che però, signor Ministro, e lei lo sa meglio di me, era nel suo Statuto, segno evidente che anche lo Statuto di questa grande organizzazione andrebbe rivisto.

FIAMMA NIRENSTEIN. Vorrei dividere il mio intervento in due parti. Vorrei avere la capacità di esprimere in così poche parole quello che mi sembra davvero importante per l'Italia e per il mondo intero; non mi sento all'altezza del compito che mi sto proponendo in questo momento, ma naturalmente è mio dovere provarci.
Prima di tutto ringrazio il Ministro perché ha dato la sensazione che la questione sia ancora aperta. È estremamente importante se ancora in queste ore si può arrivare a una conclusione per la quale l'Europa assuma una posizione unitaria nel senso di impedire un errore terribile che potrebbe portare a conseguenze catastrofiche. Questo è il mio punto di vista e credo che tutto sommato sia anche quanto ha affermato Margherita Boniver e, in un dato modo, anche il collega Adornato. Sarebbe veramente molto importante.


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Ho l'impressione che le cose siano ancora in movimento anche stando a ciò che ho letto stamattina e al fatto che Hillary Clinton ha di nuovo compiuto un intervento oggi stesso. Gli interventi si succedono da parte degli americani. Obama ci tiene moltissimo e l'ha affermato subito; ha sostenuto che gli atti simbolici per isolare Israele alle Nazioni Unite non creeranno uno Stato indipendente. Più chiaro di così non poteva essere e questo è ciò che la Clinton ripete da ore, tornando alla carica proprio adesso.
Userò prima di tutto quattro argomenti fattuali riferiti al perché tale atteggiamento non può funzionare.
Prima di tutto, un accordo deve essere negoziato. Ci si deve guardare negli occhi, ci si deve dire su che cosa non siamo d'accordo, come su Gerusalemme e sui profughi, e trovare un accordo. Altrimenti la possiamo chiamare con un nome proprio, con un nome comune, con un aggettivo, ma non sarà pace, ma sarà un'altra cosa. Uno sosterrà di appropriarsi di qualcosa, ma l'altro non sarà d'accordo. Uno potrà stabilire che ci saranno i confini del 1967, ma l'altro potrà ribadire che tali confini non sono tali da garantire la sicurezza dell'aeroporto Ben Gurion. Si potrà sparare sugli aerei che arrivano, se questo dovesse avvenire veramente.
Ci vuole un accordo. L'accordo ci deve essere e questo è il primo motivo per cui una soluzione unilaterale non può mai funzionare. Non funziona nelle relazioni umane, non funziona nei matrimoni e nemmeno quando si fa la pace fra due soggetti che hanno elementi di contrasto.
Il secondo elemento riguarda la delegittimazione dello Stato di Israele. Se io affermo che non mi posso sedere con qualcuno per parlare, significa che lo considero indegno. Vado da un altro per farmi dare ragione perché considero il mio oppositore un deficiente, oppure un cattivo, oppure uno con il quale non si può avere a che fare.
Con Israele, invece, si può avere a che fare eccome: ha appena sgomberato Gaza, dall'Egitto se ne andò non appena si raggiunse l'accordo di pace, dal Libano se ne è andato nel 2000. Israele se ne va quando si arriva a un accordo che gli garantisce - o che crede che gli garantisca, perché a Gaza purtroppo ciò non ha funzionato - la sicurezza. Questo è ciò che Israele cerca, la sicurezza.
Non si deve delegittimare Israele in questa maniera, come interlocutore, perché la delegittimazione di Israele, che è quella che fa sostenere che Israele è uno Stato di apartheid e tutta una quantità di sciocchezze che fanno sì che con Israele non si possa parlare, ha creato una situazione di odio che non può essere supportata da nessuna persona civile. La delegittimazione non deve essere accettata: bisogna parlarsi perché ci si rispetta, perché si ha fiducia nel fatto di parlare.
Un altro elemento fattuale è la questione del diritto internazionale. Non è vero che non esistano accordi riferiti al rapporto tra Israele e il resto del mondo: la risoluzione 242, adottata nel 1967, che dispone che si deve arrivare a un accordo fra le due parti, la risoluzione 383, gli accordi di Oslo, gli accordi fra Olmert e Abu Mazen. Sono tutti accordi che esistono e, nel momento in cui all'ONU venisse sancito un riconoscimento unilaterale, questa pletora di accordi, che riguardano il Quartetto e gli inviati americani, verrebbero cancellata. Che facciamo allora, delegittimiamo tutto ciò che è stato legittimamente stabilito dal contesto internazionale nella sua più larga misura? Non è possibile.
Mi fermo sugli aspetti fattuali e vi do un ultimo elemento, perché capisco che il mio tempo sta per concludersi, un elemento che riguarda lo scenario politico. Voi vi rendete conto dello scenario? L'ambasciata di Israele è stata chiusa al Cairo perché una folla inferocita e impazzita l'ha attaccata urlando «Morte agli ebrei!».
In Turchia, dopo che la Commissione Palmer, una Commissione dell'ONU, aveva stabilito che Israele non doveva scuse alla Turchia - anche se doveva dire «mi dispiace», cosa che Israele ha detto mille volte - sulla questione della flottiglia, che cosa ha fatto Erdogan? Ha chiuso l'ambasciata


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israeliana e poi è andato in Egitto a farsi applaudire a piazza Tahrir al grido «Bisogna punire Israele!».
Nel contempo, scusate se lo ricordo a chi sostiene che i palestinesi hanno completamente cambiato modo di esistere, dal 18 al 24 agosto da Gaza dentro Israele sono volati 200 missili di lunga portata. Li ha lanciati Hamas, che, fino a prova contraria, fa parte integrante di questo contesto.
Potrei aggiungere ancora molti episodi, ma me ne astengo. Se interessa sono pronta a tornarci sopra, ma ci tengo a ricordarli, perché tengo all'onore dell'Italia, che mi sembra sia stato ottimamente descritto e difeso. Difendere in questo momento la necessità di una soluzione negoziata, a negotiated solution, come è scritto in tutti gli accordi internazionali, mi pare la questione basilare che debba essere tenuta in conto, la bandiera che deve essere tenuta alta perché la legalità internazionale venga salvata e anche per salvare lo Stato di Israele da un urlo di rabbia e di aggressività che si leverebbe da un mondo arabo che in questo momento appare terribilmente eccitato e portato in questa direzione.
Sarebbe quello che accadrebbe dopo ciò che abbiamo visto avvenire a causa del discorso di Erdogan, dell'episodio di piazza Tahrir, della cacciata degli israeliani da due ambasciate contemporaneamente. È una questione veramente preoccupante.
In questo momento salvaguardiamo il negoziato e la legittimità sia di Israele, sia della negoziazione come principio di legalità internazionale. A me sembra che l'Italia sia molto bene impostata in questa direzione e penso che vincerà la sua battaglia anche in Europa. Colgo l'occasione per preannunciare, in vista dei lavori della 66a Assemblea Generale dell'ONU, la presentazione di una risoluzione per proseguire l'azione di contrasto al riconoscimento unilaterale di uno Stato palestinese.

FRANCESCO TEMPESTINI. Io penso che noi ci atterremo, come ha fatto in modo puntuale l'onorevole Pistelli, al quale faccio riferimento nel mio intervento, a una posizione che abbiamo tenuto nel corso degli anni e che è sempre stata caratterizzata dall'idea che questo Paese debba assumere posizioni non partigiane e riuscire ad avere nei confronti del contesto mediorientale e, in particolare, della questione israelo-palestinese una posizione fattiva che porti al dialogo e alla conclusione positiva, senza sposare le posizioni precostituite di ognuno, ma cercando di portarle a conclusione positiva.
È un approccio naturalmente meno visibile, che ha caratteristiche di maggiore difficoltà comunicativa, ma penso che sia quello giusto e, quindi, vorrei riferire all'onorevole Nirenstein, ma anche all'amico Adornato, che noi dovremmo tentare di rifuggire da soluzioni rigide anche dal punto di vista dell'analisi. Ci sono molti elementi condivisibili nelle considerazioni di Adornato, ma naturalmente senza trasformare l'assunto del collega in una sorta di rigido sillogismo. Se così fosse, non ci sarebbe via d'uscita.
La storia del rapporto tra Israele e le Nazioni Unite e tra i palestinesi e le Nazioni Unite comporta una soluzione molto complessa, piena di tante cose che non ho ovviamente il tempo di approfondire e di tanti spunti giuridici e diplomatici che non si possono chiudere nella considerazione per cui qualunque processo che vada in questa direzione è negativo nei confronti della possibilità di continuare il negoziato.
Non è così. La storia ci dovrebbe insegnare ad avere un atteggiamento più aperto rispetto alla complessità che gli sviluppi che si potranno determinare all'ONU potrebbero produrre anche sul terreno del negoziato tra le parti.
Come ha ben ricordato il collega Pistelli, abbiamo indicato al Ministro una posizione che ci sembra assolutamente equilibrata e che vorrei non ripetere, ma illustrare sotto una luce. Noi dobbiamo certo essere preoccupati del fatto che alle Nazioni Unite possano determinarsi elementi, come ha detto il Ministro, in grado addirittura di rendere sconvolgente la gestione del futuro rapporto tra gli attori in


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campo. Ma è anche vero che non possiamo continuare a restare in questa condizione di stallo.
La nostra coscienza si è indignata nel vedere la rimobilitazione di alcune centinaia di giovani e non al Cairo contro l'ambasciata israeliana, ma dobbiamo anche sapere che il crinale su cui procede questo movimento sorto in alcuni di quei Paesi non può prescindere da una ripresa conclusiva del processo di pace tra Israele e Palestina, cosa su cui invece non riceviamo segnali.
Non c'è il tempo di affrontare il nodo della sicurezza e il modo con il quale lo approccia Israele. Ci sarebbero tante questioni da dibattere. Quello che mi pare di poter dire è che la nostra posizione tiene conto anche del fatto che il Mediterraneo, nel quale noi operiamo e nel quale abbiamo e vogliamo avere giustamente una funzione pacificatrice e di sviluppo, è un'area nella quale la questione dell'accordo da troppo tempo latitante rende tutto sempre più difficile.
Alla luce di questo si giustificano, lo ripeto brevemente, i tre punti conclusivi della nostra posizione, in primis l'intesa seria che possiamo trovare tra di noi e che può essere implementata nel corso delle prossime giornate sul fatto che l'Italia giochi davvero fino in fondo la carta europea. Da questo punto di vista abbiamo apprezzato le parole del Ministro.
Chiediamo inoltre un approccio unitario dell'Europa che, per tornare alla formulazione calcistica dell'onorevole Pistelli, si deve muovere rifuggendo gli estremi e compiendo così una scelta nella direzione di non considerare immutabile il quadro, tra l'altro nella previsione assolutamente sbagliata che questo movimento possa rifluire miracolosamente.
Anche da questo punto di vista, se non ci fossero risposte - si tratta di vedere come queste si possono calibrare, di che entità e di quale misura siano - un eventuale e puramente ipotetico ritorno indietro avrebbe conseguenze altrettanto negative e probabilmente assai più devastanti, sino al punto di essere considerate davvero irrealistiche.
La strada che oggi l'Italia e l'Europa debbono percorrere è la strada che, partendo dalla necessità che anche alle Nazioni Unite si possa compiere un passo avanti e che questo passo avanti rientri nella logica con la quale l'Europa si è sempre mossa e misurata, cioè quella del negoziato da portare avanti, colga nel passaggio all'ONU non solo un momento di pura e semplice certificazione dell'esistente, ma la possibilità di un'iniziativa positiva.
Come ripeto, nelle proposte noi cogliamo spazi di mediazione che l'Europa deve esplorare. Sono spazi sui quali giustamente il Ministro si è mantenuto prudente, ma vanno esplorati rifuggendo sillogismi e rigidità che non ci porterebbero lontano e che certamente non offrirebbero alcuna chance alla costruzione di una ipotesi unitaria dell'Europa in questo frangente.

LUIGI COMPAGNA. Per non irrigidire la complessità dello scenario, come direbbe l'onorevole Tempestini, non trarrei però ragione per smetterla di porci davanti ragionamenti e argomenti di priorità e di compatibilità. Anzi, quello che avevo particolarmente apprezzato nell'introduzione del Ministro Frattini era il tentativo di delineare un quadro di priorità e di compatibilità.
Tutti gli argomenti della situazione in Israele, richiamati con passione dall'amica Fiamma Nirenstein, erano già presenti nell'esposizione del Ministro Frattini e la sua diagnosi era di isolamento, se non accerchiamento, della condizione politica e diplomatica di Israele, dalla quale bisogna cercare di uscire.
Lasciamo stare al momento quali e quanti sono gli europei che insieme all'Italia percepiscono questo sentimento. Ma questo sentimento si sintetizza in un'immagine drammatica che il Ministro Frattini ha avuto l'eleganza di richiamare con molta sobrietà: Gilad Shalit ignobilmente dimenticato, non dai suoi genitori per fortuna, ma dalla comunità internazionale.


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Da questo punto di vista, in considerazione di questa vicenda delle Nazioni Unite, io credo che l'Italia abbia scelto anche metodologicamente un atteggiamento di grande responsabilità, non solo per gli argomenti sapientemente evocati ieri da Hillary Clinton e, si licet, oggi da Nando Adornato in questa aula. Perché - penso all'amico onorevole Pistelli - chi ritiene che le Nazioni Unite siano sede irrinunciabile di ogni battaglia di legalità internazionale non si domanda se negli ultimi cinque anni questa sede non sia stata quanto meno opaca sui diritti di Gilad Shalit, sul farli valere in sede di Croce rossa internazionale?
È chiaro che non possono essere né Frattini né il suo collega ceco a trascinare i Governi a battaglie di questo tipo, se le Nazioni Unite vogliono fare dimenticare la loro immagine faziosa e fuorviante, ahimè legata proprio - uso un termine storico, collega Pistelli - a quando divenne Segretario Generale il futuro presidente dell'Austria. E mi fermo qui perché con la storia e con i lessici bisogna essere abbastanza cauti.
A me dispiace, anche come autore di un libro su Theodor Herzl e sul passaggio del sionismo da questione ebraica a questione di diritto internazionale, evocare con tanta antipatia l'espressione «focolare ebraico», il linguaggio di quella dichiarazione Balfour che avrebbe consentito alla Società delle Nazioni di far diventare Stato Israele dopo la prima guerra mondiale, risparmiando alla generazione dei nostri padri e forse dei nostri nonni una tragedia tremenda.
E il fatto che oggi alle Nazioni Unite si riproponga con tanta complessità quella questione, il fatto che non è bastato proclamare il diritto di Israele a essere Stato nazionale nel 1948, dimostra come nel linguaggio si debba essere molto cauti e molto tolleranti. E se una comunità internazionale vuole avere voce in capitolo sul serio è troppo semplice scavalcare gli accordi e proclamare gli Stati in sede di Assemblea generale, guardando dall'altra parte quando la Croce rossa internazionale consente quello che ha consentito in questi cinque anni sul destino del caporale Gilad Shalit.
Di qui la mia gratitudine e il mio consenso ai termini e alle considerazioni del Ministro.

FURIO COLOMBO. È un caso raro nel quale trovo precisa, puntuale e coerente la presentazione che ha fatto il Ministro Frattini.
Non ho obiezioni importanti da fare a ciò che ha detto, se non il fatto che mancano dei pezzi. Probabilmente l'ambientazione ristretta in un tempo che sembrava dovesse durare un po' meno di questo lo ha indotto a essere il più rapido possibile per consentire a deputati e senatori di intervenire.
È certo che un discorso di questo genere richiede ben altra ambientazione del problema di ciò che è avvenuto in Turchia, ben altra ambientazione di ciò che è avvenuto in Egitto e ben altro inserimento in tutto il quadro della cosiddetta «primavera araba». Non sappiamo nulla di ciò che sta per avvenire dall'Egitto alla Tunisia, alla Libia.
Leggevo oggi sul New York Times un lungo reportage sulla Libia infinitamente meno preciso e sicuro di ciò che lei, Ministro, ha detto l'altro giorno alle Commissioni riunite. Per esempio, il New York Times usa per Jibril la definizione di de facto leader e non Primo ministro come abbiamo preteso noi che fosse quando è venuto in visita a Roma. Continua a definirlo de facto leader, a quanto pare utilizzando il linguaggio del Dipartimento di Stato.
In questa de facto situation poche cose sono chiare, poche cose sono in equilibrio, poche cose ci hanno rivelato dove stanno andando. Prendere una posizione sulla situazione di Israele nella stessa Assemblea che per molti anni ha tenuto in vita la posizione «sionismo uguale razzismo», lo stesso ambiente, lo stesso mood e la stessa cultura è abbastanza pericoloso.
Il tutto avviene mentre l'Europa tace e mentre i governi europei sono abbastanza distanti. E il tutto avviene mentre non ci


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sono iniziative. Ogni tanto ci si domanda che cosa stia succedendo e bisogna che o da parte palestinese si violi la situazione di relativa pace e di relativa calma, come è avvenuto durante l'estate con il lancio dei missili ricordato da Fiamma Nirenstein, oppure che ci siano dei sommovimenti dentro il governo israeliano, altrimenti passano intere settimane senza che i media diano notizie di ciò che accade.
Abbiamo il problema dell'isolamento, abbiamo il problema dello squilibrio e abbiamo il problema della sede così incerta come è quella dell'Assemblea generale, che ha potuto sostenere «sionismo uguale razzismo» per un bel po' di anni prima che cadesse questa scandalosa posizione.
Io trovo che la posizione di prudenza e di attesa del Ministro sia ragionevole. Credo che manchino dei pezzi senza i quali non si può pervenire a dire che questa sarà una buona cosa.
Dal momento che tutti vogliamo prima di tutto e soprattutto la pace, dal momento che tutti vogliamo prima di tutto e soprattutto la convivenza, dal momento che non c'è alcun dubbio che noi si voglia, da qualunque parte (magari quest'aula fosse rappresentativa!) nel mondo di cui abbiamo nozione, che ci sia lo Stato palestinese accanto allo Stato ebraico e che vivano in pace per sempre, c'è da domandarsi se quello che sta per accadere non sia un danno invece che un vantaggio, e non sia uno scarto dentro una situazione di squilibrio, un terribile passo indietro invece che un promettente passo in avanti.
Questo è il tipo di ansia con la quale le sto parlando in questo momento. Autocitandomi ricorderò che un anno fa ho pubblicato un libro che si intitolava La fine di Israele, e mi è costato molto non metterci il punto interrogativo perché volevo essere il più provocatorio possibile. Mi trovavo a indicare una serie di situazioni che sono quelle che stiamo discutendo. Se queste situazioni si verificheranno la fine di Israele diventerà maledettamente probabile. Siccome è una tragedia che molti di noi non riescono neppure a concepire, questo è lo spirito con il quale ho voluto fare queste osservazioni e questo intervento.
Ha poco a che fare o meglio ha molto a che fare con quello che lei ci ha detto, perché lo riconosco e lo apprezzo. Ha poco a che fare con la conclusione, perché mi rendo conto che la conclusione non è stata tratta. Io raccomando un'immensa prudenza e cautela, nella quale si dovrà tenere conto che non tutto quello che sembra meglio è meglio davvero se il fine è la pace.

PRESIDENTE. Prima di restituire la parola al Ministro Frattini, vorrei fare un commento e porre una domanda.
Nella mia esperienza, nell'Unione europea è sempre difficile trovare una posizione univoca quando si tratta dei rapporti mediorientali o con Israele. In questo caso non ho dubbio che una posizione univoca l'Unione europea la troverà sull'importanza di riprendere il negoziato rapidamente, vista anche l'evoluzione dei Paesi limitrofi di cui si è parlato. Non so quale posizione univoca possa raggiungere l'Unione europea nel caso in cui andasse avanti la presentazione di una risoluzione in Assemblea generale.
Il Ministro Frattini ha detto che il negoziato è ancora aperto. Io mi auguro che si eviti la presentazione e che quindi tutta l'azione diplomatica che può svolgere anche l'Unione europea serva a evitare che sia presentata una risoluzione all'Assemblea generale.
Signor Ministro, lei non pensa che, nonostante il negoziato sia aperto, possa essere già troppo tardi per fermare la presentazione di una risoluzione in Assemblea generale?
Do la parola al Ministro Frattini per la replica.

FRANCO FRATTINI, Ministro degli affari esteri. Grazie, presidente, e grazie a tutti coloro che hanno preso la parola.
Non ci sono divergenze di sostanza sulla necessità che l'Italia esprima, sulla


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base di una consolidata posizione nazionale di equilibrio e quindi di partecipazione a un ruolo positivo per la pace, una posizione di sostegno all'unità europea. Questo credo che sia il primo punto che emerge e su cui evidentemente io lavorerò.
Quanto al modo in cui l'Europa sta lavorando in queste settimane e come noi possiamo aiutare a confermare la posizione comune europea, è evidente che le missioni frequenti e i contatti ancora più frequenti che molti di noi stanno avendo con l'una e l'altra parte servono proprio a scongiurare ciò che il presidente Dini da ultimo ha detto, cioè che si presenti un testo di risoluzione che sia insensibile o impermeabile alle suggestioni comuni dell'Europa.
Ripetendo la nostra posizione, indicando quali sono i punti fermi su cui francamente, senza rigidità ma con coerenza verso noi stessi, non possiamo indietreggiare - il primo punto è quello del negoziato come strumento per arrivare alla pace -, io credo che le parti in causa, ma direi in questo i palestinesi che stanno preparando una risoluzione, saranno sensibili.
Penso che ci sia uno spazio perché entrambe le parti hanno detto con grande chiarezza che tengono a che l'Europa sia unita, anche se è vero che negozialmente e tatticamente ognuna delle due parti chiede che l'Europa sia unita sulla sua posizione.
Faccio qualche richiamo alle ultime occasioni in cui l'Europa ha adottato conclusioni al Consiglio dell'Unione europea. L'Europa si è ritrovata unita su posizioni che certamente non hanno rappresentato la piena soddisfazione dell'aspettativa israeliana e dell'aspettativa palestinese, ma in tutti i colloqui che abbiamo avuto gli uni e gli altri ci hanno detto di poter vivere con questa posizione europea.
Gli israeliani hanno colto nel riferimento al negoziato la considerazione delle proprie ragioni; i palestinesi hanno colto il principio fermo della realtà di uno Stato che non può essere pregiudicato nella sua dimensione territoriale da una politica di insediamenti, con scambi territoriali che possono avvenire solo tramite il negoziato. Evidentemente queste posizioni hanno lasciato gli uni e gli altri insoddisfatti per alcuni aspetti, ma non irrimediabilmente contrari.
Dobbiamo cercare di essere coerenti con questa linea. Io penso che il tempo ci sia, anche se il negoziato dovesse continuare con un testo di risoluzione presentato. Come tutti sapete, gli accordi si fanno quando c'è un testo conosciuto, e oggi non c'è un testo noto. Non sappiamo, ad esempio, se i palestinesi hanno compreso le suggestioni europee a evitare una proposta tout court di riconoscimento di uno Stato pienamente membro dell'Assemblea generale, il che certamente sarebbe elemento che mette fine al negoziato, non che lo fa riprendere, o se invece si attesteranno su una posizione che fissa i parametri di sostanza per il futuro Stato palestinese, introducendo un impegno vincolante dell'una e dell'altra parte a sedersi al tavolo del negoziato, il che ovviamente cambierebbe di molto la prospettiva.
Noi questo non lo sappiamo. Il tema è ancora aperto, la situazione è fluida. Nessuno dei negoziatori scopre le carte fino all'ultimo secondo. Il nostro impegno continua a essere quello di far sì che non vi siano da parte dell'Europa fughe in avanti che possano danneggiare il processo negoziale, e che, al di là delle dichiarazioni formali, anche gli Stati della Lega araba comprendano che non è interesse di nessuno creare una situazione che infiammi il contesto regionale ancora di più.
Come sapete, tornando alla situazione israeliana, oggi purtroppo in Giordania sette partiti hanno costituito un comitato che ha manifestato nelle strade di Amman contro qualsiasi ipotesi di normalizzazione delle relazioni con Israele. È chiaro che questo effetto domino negli Stati della regione di azioni di isolamento politico e di minaccia vera e propria a Israele sono elementi che dovrebbero moltiplicare le nostre preoccupazioni verso situazioni, come è stato detto da alcuni di voi, rigide che potrebbero aumentare la frattura e non ricomporla.


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Questo è lo sforzo dell'Italia. Io tornerò in Parlamento su queste linee se, come credo, vi sarà uno spazio ulteriore di riflessione - dal momento della presentazione al momento di un'eventuale decisione passerà del tempo; non immagino che il voto si terrà nella prima settimana di apertura dell'Assemblea generale dell'ONU - e quindi una possibilità, una volta depositato un eventuale testo, di capire come, sulle posizioni dell'Europa, l'Italia possa svolgere semmai un ulteriore passo incisivo per confermare quell'equilibrio a mio avviso indispensabile per essere credibili.
Un'Europa che si dividesse dinanzi a una prospettiva di voto perderebbe totalmente la sua credibilità. Questa non sarà certamente la posizione dell'Italia. Grazie.

PRESIDENTE. Ringrazio tutti gli intervenuti e dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 16.

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