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Resoconti stenografici delle audizioni

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Commissioni Riunite (V Camera e 5a Senato)
1.
Lunedì 23 aprile 2012
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Occhiuto Roberto, presidente ... 3

Audizione del Vice Ministro dell'economia e delle finanze, Vittorio Grilli (Attività conoscitiva preliminare all'esame del Documento di economia e finanza 2012, ai sensi dell'articolo 118-bis, comma 3, del Regolamento della Camera e dell'articolo 125-bis, comma 3, del Regolamento del Senato):

Occhiuto Roberto, presidente ... 3 7 9 12 18
Baretta Pier Paolo (PD) ... 12
Brunetta Renato (PdL) ... 8 9
Ciccanti Amedeo (UdCpTP) ... 10
Giaretta Paolo (PD) ... 10
Grilli Vittorio, Vice Ministro dell'economia e delle finanze ... 3 13
Marchi Maino (PD) ... 7
Marsilio Marco (PdL) ... 10
Nannicini Rolando (PD) ... 12
Tancredi Paolo (PdL) ... 11
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro per il Terzo Polo: UdCpTP; Futuro e Libertà per il Terzo Polo: FLpTP; Popolo e Territorio (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, La Discussione): PT; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling; Misto-Repubblicani-Azionisti: Misto-R-A; Misto-Noi per il Partito del Sud Lega Sud Ausonia: Misto-NPSud; Misto-Fareitalia per la Costituente Popolare: Misto-FCP; Misto-Liberali per l'Italia-PLI: Misto-LI-PLI; Misto-Grande Sud-PPA: Misto-G.Sud-PPA.

COMMISSIONI RIUNITE (V CAMERA E 5A SENATO)
V (BILANCIO, TESORO E PROGRAMMAZIONE) DELLA CAMERA DEI DEPUTATI E
5A (PROGRAMMAZIONE ECONOMICA, BILANCIO) DEL SENATO DELLA REPUBBLICA

Resoconto stenografico

AUDIZIONE


Seduta di lunedì 23 aprile 2012


Pag. 3

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE DELLA V COMMISSIONE
DELLA CAMERA DEI DEPUTATI ROBERTO OCCHIUTO

La seduta comincia alle 11,05.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione del Vice Ministro dell'economia e delle finanze, Vittorio Grilli.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'attività conoscitiva preliminare all'esame del Documento di economia e finanza 2012, l'audizione, ai sensi dell'articolo 118-bis, comma 3, del Regolamento della Camera dei deputati e dell'articolo 125-bis, comma 3, del Regolamento del Senato della Repubblica, del Vice Ministro dell'economia e delle finanze, Vittorio Grilli.
Cominciamo le audizioni sul Documento di economia e finanza 2012 con quella del Vice Ministro Grilli, che è nuovamente nostro ospite a distanza di pochissimi giorni dall'ultimo incontro. L'abbiamo, infatti, audito nell'ambito dell'indagine sull'analisi annuale della crescita che la V Commissione della Camera ha recentemente svolto.
Oggi, signor Vice Ministro, lei ha davanti a sé le Commissioni bilancio della Camera e del Senato. Avverto i colleghi che il Vice Ministro ha una disponibilità di tempo limitata per impegni istituzionali. Gli darò subito la parola per la relazione sul Documento di economia e finanza 2012, che è da tutti voi conosciuto. Raccoglieremo poi le domande, alle quali il Vice Ministro risponderà in un'unica sessione di risposte.
Do la parola al Vice Ministro Grilli.

VITTORIO GRILLI. Vice Ministro dell'economia e delle finanze. Grazie, presidente. Ringrazio le Commissioni riunite. Grazie per la tempistica ristretta che tutti siamo costretti a rispettare.
Il documento presentato è il secondo Documento di economia e finanza redatto secondo i termini del cosiddetto semestre europeo. Dopo l'approvazione di diverse misure comunitarie aggiuntive, come quelle del Six Pack e del Fiscal Compact, l'Europa ha raggiunto una condivisione sia sugli obiettivi di bilancio, sia sulle procedure di monitoraggio da parte della Commissione e dei partner europei ormai molto consolidata. Ovviamente, questi accordi sono stati stipulati in ragione della crisi finanziaria cominciata nel 2008, che si è poi evoluta, come tutti sappiamo, in una crisi dei debiti sovrani e, in generale, delle finanze pubbliche europee.
L'Europa ha fatto anche di più. Sappiamo che alcuni Paesi europei sono in una posizione particolarmente delicata, tra cui l'Italia. Per questi Paesi, e quindi anche per l'Italia, la Commissione europea ha presentato recentemente all'Eurogruppo e all'Ecofin un documento nel quale sono esposte in modo dettagliato le problematicità relative e i passi da compiere in termini sia di consolidamento


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delle finanze pubbliche, sia di riforme che possano consentire loro, e in particolare all'Italia, di ritornare a crescere a un passo molto più soddisfacente e spedito di quello che sono riusciti a realizzare negli ultimi dieci anni.
Tutto ciò si inserisce in uno scenario di estrema urgenza, dettata ovviamente non soltanto dalle analisi europee, condivise anche da altri istituti multilaterali come l'OCSE e il Fondo monetario internazionale, da cui sono tornato ieri, ma anche dalla condizione di estrema fragilità dei mercati, che ancora oggi presentano spread elevati in relazione ai titoli sovrani dell'Italia, della Spagna e di altri Paesi. Oggi, prima di uscire dall'ufficio, ho visto che lo spread era sopra i 400 punti base, in aumento rispetto ai valori precedenti.
Il DEF è diviso, come sapete, in tre sezioni. La prima è rappresentata dal Programma di stabilità, che delinea gli obiettivi e le misure di finanza pubblica, la seconda dall'analisi e dalle tendenze della finanza pubblica, cioè dal dettaglio dei nostri conti pubblici, e la terza dal Programma nazionale di riforma.
Illustro brevemente il Programma di stabilità. Abbiamo visto che nel corso del 2010, nella prima parte dell'anno, l'economia italiana aveva presentato alcuni buoni spunti di crescita economica che lasciavano sperare in una ripresa consistente. Purtroppo, con l'acuirsi della crisi sui mercati a partire dall'estate scorsa, questi sintomi positivi dell'economia italiana sono andati affievolendosi e nel 2012 tale affievolirsi si trasformerà in una crescita negativa.
Già al momento della presentazione del cosiddetto decreto-legge «Salva Italia», quando abbiamo attuato l'ultimo aggiornamento del quadro sia macroeconomico, sia finanziario, prevedevamo una crescita negativa del PIL nel 2012 dello 0,4 per cento. Il primo elemento di variazione oggi presente nel DEF è una revisione al ribasso di questa previsione negativa di crescita dallo 0,4 ad almeno l'1,2 per cento, con un aggravamento di 0,8 punti percentuali.
Per il 2013 ancora prevediamo una ripresa dell'economia di segno positivo, con una crescita debole, ma positiva, del PIL dello 0,5 per cento. Tale crescita del PIL dovrebbe rafforzarsi nel 2014 e nel 2015, raggiungendo, rispettivamente, l'1 per cento e l'1,2 per cento.
La variazione delle previsioni di crescita ha ovviamente un impatto sugli aggregati di finanza pubblica. Come vi ricorderete, nello scorso dicembre avevamo previsto per il 2012 un deficit in forte riduzione, all'1,2 per cento del PIL, per giungere al sostanziale pareggio in termini nominali nel 2013. Tale rallentamento della crescita economica ha un impatto di circa 0,5 punti percentuali di PIL sul nostro deficit, ragion per cui oggi abbiamo rivisto anche le stime nominali del deficit, in aggravamento dello 0,5 per cento sia nel 2012 sia nel 2013, che passano dall'1,2 all'1,7 per cento nel 2012 e dal pareggio allo 0,5 per cento nel 2013.
È, però, importante affiancare a quest'analisi del livello nominale del deficit anche un'analisi strutturale del livello del deficit, perché l'impegno dell'Italia e di questo Governo in sede europea era quello di riportare in termini strutturali - e, quindi, al netto del ciclo e di potenziali una tantum - e in maniera permanente il deficit italiano a zero. Tutto ciò andava rafforzato dalla modifica alla Carta costituzionale appena approvata - ed il Governo è grato per la forte accelerazione e la velocità con cui è stata discussa dal Parlamento - con l'introduzione nella Costituzione del principio del pareggio di bilancio in via permanente.
Se analizziamo i dati di finanza pubblica con riferimento al deficit in termini strutturali, vediamo che, sebbene in termini nominali, come ho accennato, ci sarà ancora un piccolo deficit nel 2013, pari a mezzo punto percentuale di PIL, in termini strutturali vediamo che nel 2013 ci sarà un surplus di bilancio di circa lo 0,6 per cento del PIL, confermando che la manovra di bilancio, l'aggiustamento progressivo che è stato apportato nelle nostre finanze pubbliche, è di natura strutturale e, quindi, solida già dal 2013.


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È chiaro che il nostro impegno è sia sul deficit sia sul debito. Come sappiamo, il nostro tallone di Achille è la dimensione di questo debito e il peggioramento congiunturale fa sì che dal 2011 al 2012 il debito aumenti. Tuttavia, già dal 2013 avremo un andamento decrescente del nostro debito che raggiungerà nel 2015 circa il 110 per cento del PIL, avendo raggiunto circa il 120 per cento quest'anno.
Svolgo una sottolineatura. Quando si considerano i dati del debito, è importante avere presente due diverse serie. Una prima serie è rappresentata dal debito lordo globale, che contiene anche le nostre obbligazioni derivanti dai programmi di aiuto alla Grecia, al Portogallo e all'Irlanda. D'accordo con l'Europa, però, si è deciso che, per quanto riguarda i nostri impegni legati al Fiscal Compact e alla regola della riduzione dell'eccedenza di debito di un ventesimo all'anno, ciò che conta è il debito al netto di questi programmi di aiuto. La serie al netto di questi programmi è di circa tre punti percentuali di PIL inferiore. Al lordo di questi aiuti essa sarebbe nel 2012 circa il 123 per cento del PIL e al netto circa il 120 per cento.
Queste due serie sono più o meno parallele, ma il balzo del debito dal 2011 al 2012 è molto più contenuto se lo si guarda, come penso sia giusto farlo, al netto di tali misure. Questo è il punto per quanto riguarda i saldi di finanza pubblica.
È bene ricordare che il 2011 è stato un anno molto importante di profonda ristrutturazione delle nostre finanze pubbliche, in cui sono stati compiuti diversi interventi. In realtà, ci sono stati tre provvedimenti legislativi di aggiustamento delle finanze pubbliche, i primi due a luglio e a settembre, che hanno portato a un aggiustamento cumulato tra il 2011 e il 2014 del 3,4 per cento del PIL, ai quali è seguito il cosiddetto decreto «Salva Italia» dello scorso dicembre, che ha disposto un intervento aggiuntivo dello 1,4 per cento del PIL, portando il nostro processo di aggiustamento cumulato tra oggi e il 2014 a quasi 5 punti percentuali del PIL, per la precisione a 4,9 punti.
Ciò significa che il processo di aggiustamento passa attraverso un importante aumento del nostro avanzo primario, che già da quest'anno raggiungerà i tre punti percentuali circa, per crescere fino al 2014 a oltre il 5,5 per cento del PIL. Si tratta, quindi, di un aggiustamento molto importante.
Questo ci consente di raggiungere già dal 2013 non soltanto il nostro impegno del bilancio in pareggio, ma anche gli obiettivi di medio termine, i cosiddetti MTO, che prevedono per l'Italia un saldo strutturale in pareggio.
Si tratta di un aspetto importante, perché il raggiungimento del nostro obiettivo di medio termine consente anche di calcolare gli altri due obiettivi, cioè il contenimento della spesa pubblica e la riduzione del debito, all'interno, ma con una premessa.
Sapete che il Fiscal Compact e il Six Pack prevedono non soltanto il raggiungimento di obiettivi in termini di saldo, ma anche alcuni obiettivi qualitativi in termini di contenimento della spesa. Ci sono, dunque, alcuni obiettivi di riduzione o di contenimento della dinamica della spesa la cui rigidità dipende dal raggiungimento o meno dell'obiettivo di medio termine. In caso di raggiungimento dell'obiettivo di medio termine, i vincoli alla crescita della spesa pubblica sono positivi di circa lo 0,3 per cento, il massimo di crescita complessiva della spesa pubblica in termini nominali, mentre, nel caso di mancato raggiungimento dell'obiettivo di medio termine, i requisiti di contenimento della spesa pubblica sono molto più stringenti e prevedono una riduzione della spesa di quasi un punto percentuale. L'importanza di raggiungere gli obiettivi di medio termine è che essi consentono più flessibilità, per quanto contenuta, nella dinamica della spesa pubblica.
Nel DEF facciamo presente che, nel caso in cui la finanza pubblica mantenga l'approccio disciplinato e rigoroso che viene presentato, gli obiettivi di medio


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termine, come ci indicano oggi i numeri, saranno raggiunti e, quindi, che anche gli obiettivi di contenimento della spesa pubblica saranno raggiunti, come pure gli obiettivi di riduzione del debito, secondo la regola del ventesimo prevista dal Six Pack.
Passando, nella brevità del tempo, al nostro Programma nazionale di riforma, si tratta di un documento molto complesso e articolato, nel quale vi sono tre parti. La prima è dedicata all'identificazione dei vincoli, degli imbuti e delle rigidità della nostra economia che limitano il potenziale di crescita e, quindi, identificano le aree di intervento per le riforme strutturali, per riuscire a liberare il potenziale di crescita della nostra economia.
La seconda parte è un'analisi delle riforme che sono già state introdotte in questi mesi dal Governo in termini di liberalizzazioni, di riforma del sistema pensionistico e di semplificazioni di procedure sia amministrative, sia fiscali.
La terza parte consiste nelle riforme ancora da introdurre in termini prospettici. La questione da ricordare è che nel documento, come ho anche accennato brevemente a proposito del Programma di stabilità, abbiamo cercato di svolgere un esercizio di quantificazione dell'impatto delle riforme sulla crescita economica. L'abbiamo fatto con più precisione per quanto riguarda le riforme già introdotte e dalle nostre elaborazioni il risultato emerso è che da oggi al 2020, nei termini del nuovo Six Pack e della Strategia Europa 2020, c'è una potenziale di crescita aggiuntiva di circa 2,4 punti percentuali di PIL, cioè di circa lo 0,3 per cento all'anno in più rispetto a una situazione di non introduzione di tali riforme. Un impatto simile potrebbe, dunque, derivare dall'introduzione di ulteriori riforme.
Come ho già accennato, il Governo si è concentrato in questa prima parte di azioni su un programma importante di liberalizzazione, a voi tutti noto, soprattutto per la liberalizzazione degli esercizi commerciali, per quanto riguarda sia gli orari di apertura degli esercizi, sia la vendita di alcuni prodotti - mi riferisco a quelli farmaceutici - e per la separazione che riguarda un settore energetico importante, quello del gas, tra il trasporto e lo stoccaggio e l'esplorazione e l'acquisto di carburanti, petrolio e gas. Mi riferisco alla separazione della SNAM dall'ENI.
Si aggiungono i vincoli di riordino per quanto riguarda i servizi pubblici locali, la razionalizzazione degli ambiti territoriali di riferimento, le regole più stringenti per ciò che si può fare in-house e ciò che, invece, deve essere lasciato al mercato, una maggiore tutela dei consumatori attraverso l'introduzione di un più rigoroso principio generale di trasparenza in tutti i settori merceologici e della rimozione di alcuni limiti soggettivi procedurali per l'esercizio della cosiddetta class action, l'avvio di una rinnovata e rafforzata strategia di supporto alla crescita delle nostre piccole e medie imprese.
A proposito di queste ultime, sappiamo che esse sono una delle componenti di maggior dinamicità della nostra economia, su cui si può costruire il nostro futuro di crescita, e anche che la loro piccola dimensione è fattore di flessibilità, ma oggi, con il nuovo scenario di crescita globale, anche un forte limite per la loro scarsa capacità strutturale di accedere a mercati lontani e con caratteristiche molto diverse da quelli europei, nei quali non sono abituate a operare.
Per quanto riguarda il decreto-legge relativo alla semplificazione, con esso si è cercato di continuare l'azione di riduzione del contatto tra privato e pubblico e, quindi, di rendere meno necessario il processo autorizzativo da parte delle autorità pubbliche in una più ampia area di attività economiche e anche di attività del cittadino, in ambito non necessariamente economico, ma semplicemente civile.
In questo caso, per quanto riguarda, per esempio, il cambio di residenza in tempo reale, nei termini di riuscire a contenere i tempi di erogazione del servizio per il cittadino, abbiamo cercato di rafforzare e velocizzare soprattutto il livello di informatizzazione della pubblica amministrazione, in modo tale da rendere


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molto più semplice ed efficace, quasi da casa, il rapporto tra il cittadino e la pubblica amministrazione.
In parallelo a ciò ci sono altri programmi in sede sia di ricerca, sia di scuola, che sono stati presentati.
Sapete ancora che oggi, in aggiunta a questi provvedimenti già assunti, è in discussione al Senato, per la sua approvazione definitiva, il decreto in materia di semplificazione fiscale. Siete al corrente del disegno di legge di riforma del mercato del lavoro che è stato presentato dal Governo al Parlamento, così come del disegno di legge delega per il riordino e la semplificazione di alcuni aspetti del nostro sistema fiscale e tributario al fine di renderlo più semplice e adeguato a stimolare i nostri potenziali di crescita.
Spero di non aver impiegato troppo tempo e mi fermo a questo punto. Grazie, presidente.

PRESIDENTE. Grazie a lei, professor Grilli. Avverto i colleghi che il Vice Ministro Grilli ha reso disponibile per i membri delle Commissioni riunite il testo della sua relazione.
Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

MAINO MARCHI. Grazie, presidente. Ringrazio il Vice Ministro e gli pongo due domande.
Una parte dalle strategie del DEF, ossia rigore, crescita ed equità, che condivido pienamente. Mi soffermo su quella della crescita, in merito alla quale si afferma che per il nostro Paese si devono aggredire le criticità del suo sistema economico e produttivo e impostarne una trasformazione profonda. Credo che questo obiettivo sia condivisibile e che lo si possa raggiungere solo se ci sono anche politiche industriali. Nel documento questo termine non si usa, ma su diversi piani trovo alcuni elementi riconducibili alle politiche industriali.
Su alcune di queste, però, vorrei porre questioni. Sul settore della ricerca, visto che parliamo del 2020 e che l'Unione europea si pone l'obiettivo del 3 per cento del PIL, non è opportuno cercare di modificare l'obiettivo che ci si è prefissati l'anno scorso, che era dell'1,53 per cento al 2020, e ridurre il gap che rimarrebbe tra noi e il resto dei Paesi europei su una questione strategica?
Analogamente, sulla quota delle energie rinnovabili rispetto ai consumi energetici, dal momento che l'obiettivo europeo è il 20 per cento, io credo che per le politiche che sono in atto anche l'Italia si possa prefiggere un obiettivo simile. Nel testo si propone il 17 per cento, ma credo che, anche se non si tratta del 20 per cento, potremmo avere le condizioni per avvicinarci a tale traguardo.
Sulle infrastrutture e sugli investimenti la concentrazione dell'attenzione verte sulle questioni di carattere nazionale. Penso, però, che sia fondamentale anche il livello degli investimenti degli enti locali. Da questo punto di vista, credo che sia strategica una revisione del Patto di stabilità interno che permetta agli enti locali di compiere gli investimenti che negli ultimi anni non hanno potuto affrontare.
Una questione che, invece, non trovo nel DEF è quella concernente le politiche a sostegno delle filiere produttive strategiche per il futuro. Io non credo che proporci questo obiettivo sia dirigistico. Significa piuttosto cercare di capire che ruolo può avere l'Italia nel futuro, dove già ha una sua presenza forte, dove può essere accompagnata e sviluppata, senza lasciare le imprese da sole, con riferimento a quelle che sono presenti nei settori strategici per il futuro.
Tutto ciò non deve significare aumento della spesa pubblica nel suo complesso e politiche in deficit spending, ma deve scaturire dalla revisione del Patto di stabilità interno, entro una riqualificazione della spesa pubblica, tenendo fermi tutti gli obiettivi relativi al rigore.
Passo alla seconda questione. Nei giorni scorsi sono apparse valutazioni sulla sostenibilità del debito nel futuro dei diversi Paesi. L'Italia è tra quelli che incontrano maggiori difficoltà ma oggi, per le riforme


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già varate, risulterebbe essere anche tra quelli che hanno il debito più sostenibile nel lungo termine.
Poiché nel documento si svolgono anche valutazioni sul lungo termine, anche se sappiamo che esse lasciano, per alcuni versi, il tempo che trovano - è sufficiente che i mercati cambino orientamento; se emerge un problema, questi aspetti vengono dimenticati - credo che, se anche da parte del Governo si conferma questa valutazione, inserirla rappresenterebbe un aiuto per convincere i mercati che il debito pubblico italiano, per le politiche e per le riforme già assunte, è ampiamente sostenibile.

RENATO BRUNETTA. Professor Grilli, intanto la ringrazio per la sua presenza e per la puntualità della sua relazione. È passato un anno, lo ricordava lei, dal primo DEF, dal primo PNR e dal primo semestre europeo e al termine di quest'anno si possono compiere alcuni bilanci.
Mi consenta, ma l'estensore del DEF e del PNR è rimasto lo stesso, ossia lei, con l'intero staff del Ministero. Il Governo è cambiato. Lei ha affermato, professor Grilli, che le politiche hanno avuto una loro continuità, con un'accelerazione in termini di rigore.
Se potessi esprimere un giudizio, l'Italia di oggi è molto più rigorosa dell'Italia di un anno fa, l'Italia di oggi ha i conti più a posto di quelli di un anno fa, l'Italia di oggi può guardare con orgoglio al proprio deficit e ai propri andamenti strutturali al netto della congiuntura. I titoli del debito pubblico dell'Italia oggi hanno un rendimento doppio di quello di un anno fa. La Germania di oggi ha un rendimento dei propri titoli del debito pubblico che è la metà di quello di un anno fa e tutta l'Europa è una condizione opposta. I titoli del debito tedesco hanno rendimenti all'1,6-1,7 per cento, quasi al di sotto dell'inflazione, e tutti gli altri Paesi in un anno hanno raddoppiato i rendimenti dei loro titoli del debito sovrano.
Tutti i Paesi, chi più chi meno, in un anno son diventati più seri, più rigorosi, più virtuosi dal punto di vista della finanza pubblica, ma tutto ciò è stato giudicato negativamente dai mercati. Come è possibile? Diventiamo più rigorosi, l'ha sostenuto lei, abbiamo varato tre manovre quasi della stessa dimensione tra luglio, agosto e dicembre dello scorso anno che hanno inciso per quasi cinque punti di PIL, eppure, al di là di impennate momentanee, dal punto di vista strutturale, se guardiamo il dato strutturale, vediamo che un anno fa lo spread tra i BTP decennali e Bund tedeschi era di 150-160-170 punti base e che oggi, stamattina, è di 406 punti base, con punte che ben conosciamo, di novembre e di dicembre scorsi, oltre i 500.
Forse servirebbe, oltre all'approccio «riduzionistico», cioè analisi per analisi, punto per punto, politica per politica, come citava il mio collega, anche un approccio olistico, di sintesi. Che cosa sta succedendo a questa nostra Europa, che diventa più virtuosa ed è sempre più sull'orlo del baratro, che compie manovre restrittive ed è sempre più attaccata dalla speculazione? Probabilmente c'è qualcosa che non va, certamente anche all'interno dei singoli Paesi. Ci sono più rigore, più serietà, più controllo della spesa pubblica, riforme che si stanno attuando in tutta Europa, ma evidentemente ciò non basta. Non basta mai.
L'analisi che io non trovo nel DEF è quella relativa alla situazione in cui ci troviamo, e a che cosa è successo rispetto all'ultimo Consiglio europeo del 23-24 giugno dell'anno scorso. Che cosa è successo senza considerare la Grecia? Che cosa è successo che ha portato a raddoppiare lo spread in tutti i Paesi dell'Eurozona tranne la Germania e a ridurre della metà i rendimenti, per dei suoi titoli.
Che cosa è successo con riferimento alla Germania, che ha un surplus della bilancia commerciale del 5,9 per cento, un decimale in meno del 6 per cento, soglia che fa scattare, come lei ben sa, operazioni di redistribuzione e di riequilibrio nel Fiscal Compact? Che cosa è successo? Che cosa sta succedendo?
Che cos'è successo per cui la BCE con due aste ha immesso liquidità per 1.000 miliardi di euro, finalizzati all'economia


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reale, quando questi 1.000 miliardi non sono arrivati all'economia reale, ma sono stati intermediati dalle banche e sono serviti loro per ricapitalizzarsi e magari per realizzare buoni dati trimestrali, come vedremo nei prossimi giorni. Non solo le banche europee, ma anche quelle americane, come lei ben sa, hanno realizzato strabilianti trimestrali.
Le banche si sono messe a posto, hanno messo a posto i loro conti, le stesse banche che erano sull'orlo del baratro alcuni anni fa hanno rimesso a posto i loro conti e, guarda caso, l'economia reale dell'Eurozona sta precipitando. Si affermava che in un anno la disoccupazione è peggiorata di un punto percentuale e si parlava dei tassi di crescita che lei aveva scritto un anno fa.
Poiché mi fidavo di lei un anno fa, mi fido di lei anche quest'anno. Non si può essere differenti e scrivere cose differenti. La dinamica della nostra crescita, come quella dei nostri tassi di disoccupazione, è peggiorata. Forse un approccio olistico su dove siamo e che cosa sta succedendo, prima di mettere in moto la cassetta degli attrezzi di keynesiana memoria all'interno per svolgere i compiti a casa che ciascuno deve svolgere e varare le riforme, sarebbe utile. Occorrerebbe un approccio che consenta una comprensione di tipo macroeconomico di ciò che sta succedendo.
Ormai è opinione comune, di Christine Lagarde, del Fondo monetario internazionale e di Krugman - lei è appena tornato da una riunione del Fondo monetario internazionale e, quindi, ha percepito l'aria che si respira - che la politica economica dell'Unione europea, la politica economica del duo Merkel-Sarkozy, la politica economica della signora Merkel non godono di buona stampa, al di là di chi ha approfittato di questo masochismo europeo. Si diffonde anche la preoccupazione, a Occidente come a Oriente, che questo masochismo possa far male non solo all'Europa, ma anche all'America e alla Cina, per citare i due poli.
Non sarebbe il caso, professor Grilli, in parallelo al DEF, ma anche alla ratifica del Fiscal Compact, rilanciare quella riflessione, che, del resto, il Presidente Monti aveva rilanciato con la lettera dei dodici più uno, cioè cominciare, proprio perché abbiamo svolto e stiamo svolgendo i compiti a casa, con la credibilità di chi sta svolgendo i compiti a casa, a chiedere all'Europa che svolga anch'essa i propri compiti a casa? I compiti a casa dell'Europa sono presto elencati: mi riferisco agli eurobond, che io vorrei chiamare euro-Bund. Basterebbe tornare ai tassi di rendimento dei Bund degli ultimi cinque anni, tra il 3,5 e il 4 per cento, e avremmo titoli del debito sovrano europeo assolutamente credibili e appetibili all'universo mondo.
Penso al nuovo ruolo della BCE, al di là delle supplenze che, pur meritoriamente, ha svolto. Concludo, presidente, e mi scuso. Non sarebbe il caso, mentre stiamo faticosamente e dolorosamente, con grande sofferenza sociale, svolgendo i compiti a casa, di guardare un po' all'Europa? Se non guardiamo noi all'Europa, lo faranno gli stessi tedeschi, che il 25 maggio discuteranno il Fiscal Compact al Bundestag e dovranno avere una maggioranza dei due terzi. Ne stanno discutendo i francesi. Non vorrei che noi approvassimo questo DEF e la ratifica del Fiscal Compact con i paraocchi, senza guardare ciò che sta succedendo in Europa.
Non voterò un DEF di questo tipo, lo annuncio in questa sede, se non sarà accompagnato da un impegno da parte del Governo di andare alle cause strutturali della crisi finanziaria che ha colpito l'Europa e il nostro Paese.
Grazie, professor Grilli.

PRESIDENTE. Grazie, onorevole Brunetta. Grazie per aver introdotto la discussione. Risulta evidente a lei, come agli altri colleghi, che, se ciascuno che rivolgesse una domanda al Vice Ministro Grilli impiegasse il tempo che ha impiegato l'onorevole Brunetta, il Vice Ministro non potrebbe rispondere, alla fine. Anche per un atto di riguardo verso i tanti colleghi che intendono porre le domande al Vice Ministro, chiedo a chi interverrà d'ora in poi di stare nei tempi suggeriti.

RENATO BRUNETTA. Scusi, presidente. Anche se il momento - non so se


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ce ne rendiamo conto - è di una drammaticità e di una delicatezza spaventosa, capisco gli impegni del professor Grilli. Questo, però, è il primo momento in cui si passa dall'emergenza alla strategia. Ringrazio il Vice Ministro e mi auguro che ritorni, ma questo è un momento assolutamente dirimente. Finora abbiamo gestito l'emergenza, oggi passiamo alla strategia di lungo periodo.

PAOLO GIARETTA. I due interventi, in effetti, stimolerebbero un dibattito, ma non è questa la sede. Mi soffermo, invece, su un punto specifico: i vincoli esistenti portano naturalmente ad assegnare un ruolo centrale alla capacità di riduzione, o meglio di riqualificazione, della spesa pubblica in direzione di una maggiore produttività e meglio individuando le priorità.
Il decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 prevedeva la presentazione al Parlamento da parte del Governo di un programma per la riorganizzazione della spesa pubblica entro il 30 novembre 2011. Vorrei avere notizie sui tempi e sui modi della presentazione di questo programma, che è uno strumento decisivo per il raggiungimento degli obiettivi previsti.

AMEDEO CICCANTI. Pongo solo due domande. La prima riguarda che cosa pensate lei e il Governo di una patrimoniale con carattere di emergenza, non permanente, tenendo conto che, sulla base del rapporto del 2010 della Banca d'Italia sulla ricchezza delle famiglie italiane, come è a lei ben noto, applicando il cosiddetto indice di Gini, ci troviamo di fronte a un valore dello 0,62, se si computano redditi e patrimoni immobiliari, ma che diventa dello 0,33 per cento, se si computano soltanto i redditi, posto che zero rappresenta il massimo di uguaglianza e uno il massimo di disuguaglianza? Ci troviamo con una forbice enorme tra ricchi e poveri sui grandi patrimoni immobiliari, che sono calcolati al netto intorno a 8.600 miliardi nel nostro Paese. Se per tre anni si dovesse immaginare una tassa di scopo, quindi finalizzata alla crescita, tale strada sarebbe percorribile?
La seconda domanda riguarda il Piano per l'occupazione di cui si è parlato al Consiglio europeo dello scorso 30 marzo. Lei ha citato, in relazione alla terza parte delle riforme che fanno parte del PNR, il modo in cui sono state messe in piedi alcune riforme di carattere strutturale. Il Governo ha in mente o ha già in elaborazione un intervento che richiami questo Piano per l'occupazione? Grazie.

MARCO MARSILIO. Grazie, presidente. Dottor Grilli, devo iniziare con un inciso un po' scontroso. Non vorrei che il Governo tecnico, sostenuto da una larghissima maggioranza - oggi non vedo, o forse mi sbaglio, deputati o senatori di opposizione; non so se ciò sia casuale o meno - abusasse un po' di questa immunità dalla polemica di parte. Se oggi al posto del dottor Grilli ci fosse il Ministro Tremonti del Governo Berlusconi o il Ministro Padoa Schioppa del Governo Prodi, le rispettive posizioni avrebbero molto rumoreggiato per i tempi e i modi con cui è stato calendarizzato un documento così importante e per lo scarso tempo che viene concesso ai parlamentari per poterlo discutere.
Ciò premesso, vorrei porre domande puntuali su alcuni aspetti. Una riguarda la riduzione del debito pubblico. Noi abbiamo spesso discusso e anche impegnato la Camera, con ordini del giorno che sono stati accettati dal Governo, l'adozione di un Piano straordinario per la riduzione del debito. Quando parlo di Piano straordinario, intendo un intervento più esteso che non l'attuale programma concordato a livello europeo di riduzione del 2 per cento per un certo numero di anni, un intervento che imprima una scossa forte al rapporto tra debito e PIL, un Piano che possa prevedere nel giro di quattro o cinque anni una riduzione di 4-500 miliardi dello stock del debito per portarlo nettamente al di sotto del rapporto del 100 per cento o per avvicinarlo al 90 per cento, in modo da uscire velocemente da questo cono d'ombra dell'insostenibilità o della difficoltà nella sostenibilità del debito che nei momenti di crisi colpisce l'Italia più di


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altri Paesi. Nonostante l'Italia sia più ricca e anche industrialmente più attrezzata di tanti altri Paesi, come abbiamo visto e sperimentato in questi tempi, la speculazione ha colpito duramente e ciò vanifica molte manovre.
La domanda va nell'ottica di evitare di dover inseguire il risultato con manovre successive, che spremono successivamente la nostra ricchezza e stressano il sistema produttivo e la tenuta delle famiglie. Di volta in volta si inventa magari una nuova tassa, un nuovo prelievo, un nuovo gettito o si appesantiscono quelli che esistono, ma alla fine si insegue una crescente curva di esplosione della spesa per interessi, perché, se gli spread non diminuiscono in maniera sensibile, alla fine tale fatto si paga e si vanificano anche i sacrifici e gli sforzi compiuti.
La domanda è se il Governo sia intenzionato a rispondere all'appello e, quindi, all'ordine del giorno approvato dalla Camera per adottare un Piano straordinario di riduzione del debito pubblico in tempi brevi e in maniera significativa.
Vi è poi un altro elemento, su cui si era pronunciata, a sua volta, la Camera. Le rivolgo questa domanda perché, quando l'ho rivolta ai rappresentanti della Banca d'Italia, la loro risposta è stata molto semplice e anche comoda: toccava alla politica decidere e la politica non l'ha fatto. Mi riferisco alla completa attuazione della legge di riforma del credito, che prevedeva il ritorno in mano pubblica della proprietà della Banca d'Italia. Banca d'Italia ha risposto che la delega era del Governo.
Poiché i Governi precedenti non hanno provveduto, vorrei sapere se questo Governo sia intenzionato a procedere lungo quella strada. Tecnicamente la delega per l'adozione del regolamento previsto dall'articolo 19 della legge 28 dicembre 2005, n. 262 sarebbe scaduta, ma non c'erano termini imperativi da questo punto di vista e comunque il Parlamento ha di nuovo impegnato il Governo ad andare avanti verso questa strada. Io ritengo che sia necessario farlo perché, se si è varata una legge, ciò significa che dietro c'era una logica e, quindi, è opportuno, se non si vuole pensare che il Parlamento scherzi, ma compia operazioni serie, che, se la legge dispone che la Banca d'Italia deve tornare in mano pubblica, sia dovere del Governo e delle forze politiche e del Parlamento andare avanti su questa strada, a meno che qualcuno non ritenga il contrario. In tal caso lo affermi: se ne discuterà e si varerà una legge che disponga in tal senso.
Tale approccio serve anche a migliorare il rapporto di fiducia che i cittadini devono avere verso le istituzioni finanziarie e anche sovranazionali. Svolgo un accenno, uscendo forse fuori tema, al Meccanismo europeo di stabilità, di cui è appena iniziata la discussione al Senato.
Si tratta del Meccanismo europeo di stabilità, per il quale abbiamo lungamente lavorato e la cui assenza ha provocato gravi problemi nell'affrontare prima la crisi greca e poi quella di altri Paesi. È bene che si strutturi un sistema europeo e dell'area dell'euro che serva a mettere in sicurezza la nostra moneta e i nostri debiti, però non aiuta nel rapporto con i cittadini il fatto che nel trattato che istituisce questo meccanismo europeo ci siano articoli e clausole che prevedono la totale immunità, impunità e inviolabilità per tutti gli atti che vengono compiuti e per le responsabilità che si assumono il Consiglio di amministrazione e i governatori.
A me sembra un po' inquietante quest'ombra per cui, premesso che si tratta di un organismo pubblico, i cui governatori sono di fatto i ministri delle finanze, sotto controllo democratico e con un rapporto stabilito anche con la Commissione europea, esiste, però, una zona d'ombra, come se tali soggetti dovessero commettere chissà quali attività scorrette, illegali o illecite o comunque a rischio, sulle quali nessuno può eccepire nulla, né chiamare alcuno alla sua responsabilità. Vorrei sapere qual è il giudizio del Governo su questo aspetto.

PAOLO TANCREDI. Grazie. Intervengo molto velocemente, perché le mie domande sono state assorbite già da quelle degli altri colleghi in precedenza.


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La prima richiesta velocissima, signor Vice Ministro, è se può fornirci ulteriori elementi sul quadro previsionale e sul fatto che esso è in parte smentito, ma non è una novità, da altri organismi internazionali importanti. Mi riferisco sostanzialmente al Fondo monetario internazionale, che pochi giorni fa ha elaborato previsioni sulla crescita del PIL e, di conseguenza, sulla dinamica dell'indebitamento netto, diverse da queste, mettendo in dubbio il pareggio di bilancio. Chiedo, quindi, se ci può parlare più estesamente sul quadro previsionale.
Le rivolgo poi una domanda che in parte è stata già formulata. Da ciò che lei ci ha riferito sull'attuale dinamica prevista dell'avanzo primario, ammesso che sia quella reale, essa garantirebbe senza misure straordinarie il raggiungimento dell'obiettivo di diminuzione del debito pubblico secondo il parametro di un ventesimo all'anno. È proprio così, cioè la previsione è quella di non adottare misure straordinarie sulla riduzione dello stock di debito, al di là delle dinamiche dell'avanzo primario? Grazie.

PIER PAOLO BARETTA. A seguito dell'abbassamento delle previsioni lei ha affermato che il prossimo anno il deficit sarà dello 0,5 per cento, anziché raggiungere il pareggio completo di bilancio, però mi pare di capire, e vorrei un'eventuale conferma, che voi considerate questo un punto accettabile e che, quindi, non prevedete manovre correttive per annullarlo. È così oppure potete valutare che lo 0,5 per cento per voi non rappresenta comunque il raggiungimento dell'obiettivo?
Passo alla seconda osservazione. È ben messo in evidenza nel testo il ruolo che hanno avuto le entrate nel risanamento dei conti pubblici. Poiché, però, è anche messo in rilievo il peso della pressione fiscale ed è evidente che siamo arrivati, salvo per la patrimoniale, a un punto limite della pressione fiscale, bisognerà ben agire sugli altri versanti, soprattutto se il debito è da considerare, come a me pare, una vera priorità.
Da questo punto di vista, rispetto al taglio dalla spesa pubblica - mi associo alle osservazioni del collega Marsilio - vorrei capire se c'è un'idea anche un poco più determinata.
Inoltre, mi sfugge la ragione per la quale complessivamente c'è una scarsa attenzione da parte del Governo alle dismissioni del patrimonio pubblico o se questo tema fa parte di un programma che avete in mente di perfezionare in corso d'opera.

ROLANDO NANNICINI. Ritorno sul quadro previsionale. Nella vostra impostazione c'è una riduzione del prodotto interno lordo per il 2012 pari all'1,2 per cento e una crescita dello stesso pari allo 0,5 per cento nel 2013, all'1 per cento nel 2014 e all'1,2 per cento nel 2015, sufficientemente compatibile con il quadro del Fiscal Compact, che scatta nel 2015. Con la crescita pari all'1,2 per cento nel 2015, l'obiettivo di riduzione del debito verso la soglia del 60 per cento del PIL è ritenuto raggiungibile, come esposto in una tabella del DEF.
Vorrei sapere se la tabella è legata agli impegni che abbiamo assunto e se è una tabella reale. È preferibile che il Paese conosca la verità oggi rispetto al nostro lavoro e non si proceda a zig zag. Io opto per la prima opzione, ossia la ritengo compatibile con gli impegni assunti, che sono uno sforzo eccessivo per tutto il quadro europeo, perché la riduzione del debito all'80 per cento del PIL sarebbe stata più credibile rispetto all'obiettivo del 60 per cento.
Va bene comunque la soglia del 60 per cento, così come va bene la tabella, purché questa, che è un impegno del Parlamento nei confronti dei cittadini italiani e delle imprese, nell'economia reale, sia veritiera.

PRESIDENTE. Prima di dare la parola al professor Grilli per la replica, vorrei aggiungere una piccola questione. Le pongo una domanda, professore, non nella qualità attuale di Vice Ministro, ma per la sua copiosa esperienza anche in Europa, avendo lei coordinato tavoli tecnici negli anni passati.


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Alcune settimane fa, nel corso di una sua un'audizione presso la Commissione bilancio della Camera, e anche oggi lei ha evidenziato come la Commissione - ha spesso utilizzato un termine molto attuale oggi, nell'epoca di Twitter - sia follower rispetto ai mercati, ovvero come non sia nella condizione di guidare i mercati, ragion per cui spesso si sente invocare un intervento maggiore da parte dell'Europa nella direzione della crescita. Anche se l'Europa ci concedesse la possibilità di spendere creando nuovo debito, ci si porrebbe poi il problema di collocare i titoli di debito sul mercato, stanti queste condizioni del mercato stesso.
In ragione dell'esperienza che lei ha compiuto anche negli anni passati, secondo lei ci sono alcune leve di politica economica di crescita che l'Europa potrebbe davvero porre in essere oggi, a parte gli eurobond, che potrebbero rappresentare una soluzione da tutti o dalla maggior parte auspicata? Ci sono leve di politica economica per indurre la crescita? È solo l'egoismo tedesco che oggi condiziona le scelte o c'è comunque, anche in tale ambito, un problema di difficoltà nel reperire strumenti per generare crescita a livello europeo e consentirla anche nel nostro Paese?

VITTORIO GRILLI, Vice Ministro dell'economia e delle finanze. Grazie a tutti per le domande. È un dibattito che ha veramente natura non banale e, quindi, apprezzo molto sia lo spirito, sia il contenuto delle domande, che pongono seri problemi, alcuni dei quali penso siano già, nelle attese degli onorevoli deputati e senatori, considerati come domande aperte. Di certo non possono terminare in questo contesto con una risposta, perché i temi sono molto complessi e complicati e risolvibili solo con strategie da perseguire nel medio periodo.
Cercando di procedere per domande, è vero che le politiche industriali non vengono citate. È un nome forse un po' passato nella nomenclatura del dibattito economico, ma la sostanza di ciò che si ha in mente è ancora attuale.
Secondo me, c'è una continuità rispetto a una politica industriale fondamentale, che è quella di una trasformazione del nostro sistema industriale, ma soprattutto economico, per quanto riguarda la dimensione. Secondo noi e secondo me, un problema di grande debolezza della nostra economia è rappresentato dalla piccola dimensione delle nostre imprese, aggravata anche dalla loro scarsa patrimonializzazione.
In generale sia piccole, sia medie, sia grandi imprese in Italia hanno seguito negli anni una strategia di finanziamento basata molto più sull'indebitamento bancario che non sulla raccolta e sulla ricerca di capitali veri e propri dal mercato privato o anche dall'imprenditoria stessa. Questo è un aspetto di fragilità e di debolezza che ha agito da freno alla crescita delle nostre imprese. Oggi, come ho accennato, nel mercato globale si tratta di un handicap forte.
Negli ultimi anni sono state assunte misure per cercare di agevolare, incentivare e consentire l'aumento della patrimonializzazione e, quindi, la crescita anche internazionale delle nostre imprese. Penso che questa sia una politica fondamentale, che non è industriale, nel senso che non è una scelta di un settore, ma una scelta che riguarda la struttura di tutte le nostre imprese.
Sulle domande specifiche e, in particolare, sulla ricerca rispondo che certamente si tratta di uno degli obiettivi fondamentali per un Paese come il nostro, che non ha risorse naturali. Le nostre risorse naturali sono il nostro capitale umano e, quindi, la ricerca è uno degli obiettivi fondamentali.
L'obiettivo del 3 per cento è l'obiettivo globale di spesa nel settore della ricerca, pubblico e privato. Se la scomponiamo tra pubblico e privato, la parte pubblica di sostegno è in media con la spesa europea. Non è forse la best practice, ma è in media. Ciò che non è in media è la componente privata. Forse il nostro sistema complessivo non incentiva sufficientemente questo tipo di spesa, però non è un problema che


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possiamo compensare con uno stanziamento di spesa pubblica, bensì un problema sistemico complesso.
Lo stesso discorso vale per la quota di risorse per le energie rinnovabili. In realtà, visto che il Parlamento ha assunto determinate decisioni nel passato, si tratta di uno dei settori in cui si sono concentrati molto gli incentivi pubblici. La crescita nelle «rinnovabili» è stata quasi esponenziale, ragion per cui noi riteniamo che già oggi probabilmente l'obiettivo del 17 per cento sia superato in prospettiva.
Sulle infrastrutture capisco bene che dobbiamo agire a due livelli, come molto spesso dobbiamo fare, uno a livello di infrastrutture nazionali e l'altro di infrastrutture locali, che sono entrambe carenti. Il Ministro Passera ha impresso una forte accelerazione a entrambe.
Per quanto riguarda il nostro rapporto con gli enti locali e una possibile revisione del Patto di stabilità, come viene riconosciuto anche dall'onorevole Marchi, non possiamo compiere revisioni che prevedano sforamenti e, quindi, aperture al deficit spending.
Nelle ultime settimane abbiamo svolto un grosso lavoro insieme all'ANCI, col presidente Delrio, per riuscire a ridisegnare all'interno di questa precondizione, cioè di non effettuare deficit spending, nuovi spazi di flessibilità in cui consentire agli enti locali di ritrovare capacità operativa. Io penso che le modifiche che abbiamo introdotto nel decreto-legge concernente la semplificazione fiscale consentano già un buon percorso in quella direzione.
Vengo all'analisi del debito, compiendo un salto tra questa e l'ultima domanda sul fatto se la tabella sia veritiera e se effettivamente il nostro debito sia sostenibile. Effettuare previsioni da oggi a tre anni sul PIL è molto difficile. Come ricordava l'onorevole Brunetta, quando le abbiamo effettuare l'anno scorso, l'abbiamo fatto in totale buona fede e in condivisione con i maggiori previsori del mondo.
Le situazioni poi cambiano, purtroppo. A volte cambiano in meglio e siamo tutti contenti, ma a volte cambiano in peggio. In questo caso, non bisogna guardare solo la tabella, anche perché c'è più che una tabella. Nel documento figura una sezione importante dedicata proprio a questa analisi di stabilità.
Sono svolte, dunque, un'analisi di stabilità e un'analisi di sostenibilità del debito pubblico, entrambe per rispondere a queste domande. Si tratta di analisi svolte per capire che cosa accadrebbe se questa impostazione puntuale, come tutti sappiamo può accadere, non fosse corretta. Sicuramente ci saranno errori. Abbiamo, quindi, svolto un'analisi dei conti pubblici sotto diverse assunzioni, a seconda che la crescita dovesse peggiorare o - speriamo - migliorare rispetto a queste previsioni centrali, per quanto riguarda sia l'andamento del deficit, sia i vincoli di spesa pubblica, sia l'andamento del debito. Ci sembra di poter affermare che per queste caratteristiche di grande rigore di medio-lungo periodo, grazie alla nostra riforma pensionistica, la stabilità del debito, nell'ipotesi che non avvenga una catastrofe mondiale, viene rispettata.
Il discorso dell'onorevole Brunetta è sicuramente importante e io lo dividerei in due parti: il dibattito economico e politico europeo e mondiale, con tutti i suoi risvolti importantissimi per quanto riguarda il futuro dell'Europa, e l'azione di Governo sull'Italia in particolare.
Non voglio minimizzare assolutamente l'importanza del dibattito in corso in Europa e nel mondo su quale sia la strategia migliore per la crescita dell'Europa e dell'area dell'euro, una discussione che è cominciata più di un anno fa, un dibattito intenso, in cui chiaramente ci sono posizioni divergenti, o perlomeno non convergenti, sull'impostazione da prediligere tra una posizione più keynesiana, rivolta più alla creazione di domanda interna, rispetto a una posizione più strutturalista, tesa alla riduzione della domanda interna perlomeno di origine pubblica e alla sottolineatura di rendere il sistema sempre più competitivo ed efficace per quanto riguarda la competitività esterna.
Sono scelte che, in realtà, non sono contraddittorie, ma su cui bisogna trovare


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la convergenza. Io ritengo che ciò sia possibile e che molti passi avanti siano stati compiuti anche in Europa. Mi sento di affermare, però, che sia il dibattito odierno in Europa, sia quello svoltosi ieri al Fondo monetario internazionale per quanto riguarda la strategia dell'Italia è assolutamente convergente. Non c'è una voce dissonante sul percorso che l'Italia debba intraprendere - e c'è anche una voce di apprezzamento a livello sia globale, da parte del Fondo monetario internazionale, sia a livello europeo - che prevede assolutamente il rigore dei conti pubblici e, quindi, il bilancio in pareggio e le strategie di crescita.
Le strategie di crescita, tuttavia, non devono essere in contrasto, ma anzi si fondano sul primo presupposto, cioè su quello di un ritrovato e rafforzato rigore nei conti pubblici. Da questo punto di vista mi sento con la coscienza a posto. La strategia di rigore dei conti pubblici contenuta nel DEF non è messa in dubbio da nessuno, anzi ci sarebbero forti preoccupazioni se ci fossero ripensamenti in merito a questo aspetto.
È chiaro, però, che l'altro aspetto, quello su come rafforzare la crescita, dipende innanzitutto dalle politiche interne, ma anche dal dibattito europeo. Quanto alle politiche interne, io penso che non ci sia alternativa, anzi che ci debbano essere il rafforzamento e la prosecuzione dell'azione per quanto riguarda le riforme, che dovranno ridisegnare il quadro strutturale della nostra economia.
Queste riforme, come è stato sostenuto, possono e devono passare anche attraverso un ridimensionamento del peso relativo della finanza pubblica. Alcuni di voi hanno giustamente osservato che il peso fiscale è forse troppo alto e che ci sarà bisogno di un alleggerimento operando dal lato della spesa pubblica, quando arriveranno i risultati della spending review.
Io penso che questo obiettivo e questo appello siano assolutamente sacrosanti. La strategia della spending review e i passi relativi saranno resi noti a breve. Sarà il Presidente del Consiglio a comunicare la tempistica precisa, ma non dobbiamo illuderci. Soprattutto dal punto di vista congiunturale qualsiasi taglio importante alla spesa pubblica ha un impatto che non facilita la crescita, perché stiamo tagliando domanda aggregata. La sfida non è quella di tagliare la spesa pubblica, in modo che conseguentemente l'economia vada meglio, perché l'impostazione keynesiana a noi tutti nota, è che, se tagliamo in maniera importante e repentina la spesa pubblica, l'impatto è negativo.
L'importante è che questo taglio della spesa pubblica sia accompagnato nel medio periodo da un nuovo bilanciamento; il taglio della spesa pubblica deve accompagnarsi a una riduzione dell'imposizione fiscale e deve prevedere un taglio delle risorse in alcuni settori ritenuti meno importanti di altri sui quali investire. Alcuni sono stati ricordati esplicitamente, come l'impegno per il rafforzamento delle nostre infrastrutture, e altri implicitamente, come la riduzione del carico fiscale sia per le imprese, sia per le famiglie, soprattutto per quelle meno abbienti, le più vicine alla soglia di povertà. Più che a un taglio fiscale bisogna pensare ad agevolazioni che non passino per una riduzione delle imposte se già i beneficiari rientrano nella categoria della no tax area.
Tutto ciò richiede un'analisi e una condivisione politica con il Parlamento di quali siano effettivamente le aree di spesa pubblica su cui si possono apportare tagli importanti. Io penso che ci sia non tanto e non solo una necessità di raggiungere un consenso in merito alle modalità di aiuto all'economia, se ciò deve avvenire attraverso una riduzione fiscale o un aumento di spesa nel settore delle infrastrutture e in quello della ricerca o mediante un sollievo alle famiglie o agli individui nelle situazioni più critiche, quanto di arrivare a una condivisione nell'identificare dove effettuare questi grandi risparmi di spesa pubblica, perché le due dimensioni devono essere commensurabili.
Se parliamo di alleggerimenti fiscali o di grandi investimenti pubblici, parliamo di miliardi di investimenti o di tagli fiscali e, quindi, ci vuole una condivisione su dove trovare i risparmi di miliardi nella


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spesa pubblica. Il Governo ovviamente si farà proponente di alcune misure, lo faremo sicuramente, però tali misure, se di dimensioni importanti, dovranno trovare un consenso e una condivisione.
L'Europa deve trovare una sua strategia e ciò è emerso sia nell'intervento dell'onorevole Brunetta, sia in quello del presidente. Ci sono aree nell'Europa che possono essere chiaramente identificate per la loro capacita sia di rendere efficiente la macchina economica europea, sia da fungere come motori di crescita. Mi sembra che, con la lettera dei 12 già firmata su iniziativa italiana, un'area si identifichi chiaramente. Se la nostra strategia è quella di rimuovere i vincoli a una crescita economica forte di mercato, è chiaro che i mercati europei devono funzionare, nel senso di diventare veramente parte di un mercato unico.
Da questo punto di vista, l'Europa deve ancora compiere passi importanti, soprattutto nell'aspetto dell'integrazione del mercato dei servizi. Quando si parla di servizi, si tratta di un'area un po' fumosa, perché contiene tutto ciò che non è manifattura o agricoltura e, quindi, per residuo, ci troviamo un'area dei servizi che, per definizione, è molto disomogenea, ma che, pur essendo disomogenea, rappresenta la gran maggioranza dell'economia.
A seconda degli Stati, si tratta del 70 per cento ed oltre del valore del PIL. Si tratta, dunque, di un'area che non può essere sottovalutata e che non può essere considerata solo un residuo. L'azione che questa lettera sollecita è di vera integrazione dell'area dei servizi, dove in termini di crescita europea si può generare molto.
È un dibattito che diventa immediatamente politico, perché quello dei servizi è un settore, sia per costruzione storica, sia per realtà odierna, molto domestico, in cui si stratificano non solo molti interessi, ma anche molti usi e costumi di un Paese. Riuscire a sciogliere queste barriere anche «infraeuropee» è una sfida importante, che richiede una volontà politica forte a livello di tutti i Paesi dell'Europa.
Ci sono poi settori che concernono il bene pubblico, in cui ha molto più senso, o avrebbe molto più senso, attuare determinate iniziative insieme che non ciascun Paese per conto proprio. Ne ricordo due, perché sono stati già citati da voi.
Uno è il settore delle infrastrutture, su cui esiste già il cosiddetto Programma Ten-T, di individuazione delle infrastrutture transeuropee che hanno valore non solo nazionale, ma anche economico per l'insieme dell'Unione europea. Forse bisognerebbe passare, come l'Italia ha più volte suggerito, da una strategia basata su una modalità di individuazione tale per cui ciascun Paese realizza per sé i pezzi di competenza, a un vero programma europeo, anche finanziato attraverso l'emissione di eurobond. Penso che la prima modalità d'impiego ovvia della finanza europea sia quello di usarla per finanziare le infrastrutture europee.
Il secondo è l'ambito della ricerca, perché anche nell'ambito della ricerca, e diversi passi sono stati compiuti in Europa, vi sono disfunzioni, come quella di avere programmi nazionali su aspetti della ricerca che diventano sempre più complessi e su cui è assolutamente inefficiente avere gruppi nazionali, magari medio-piccoli, che lavorano sui problemi in maniera non integrata.
Anche in questo caso occorre avere forti programmi e io spero che il prossimo programma europeo possa destinare più risorse a questo scopo, vale a dire trovare un modo di scegliere gli obiettivi e di finanziarli insieme nella ricerca. È un aspetto fondamentale, su cui, considerato che le economie europee saranno sempre più dipendenti dal contenuto tecnologico dei propri prodotti, grandi progressi debbono essere compiuti.
È stata posta una domanda sulle patrimoniali. Non abbiamo in programma patrimoniali o altri interventi di tipo fiscale. Devo andare a riguardare anch'io l'indice di Gini, ma l'indicazione è che la grande disparità sembra essere sul patrimonio immobiliare dei cittadini. Mi sembra che ci sia già stato un forte intervento del Governo con l'IMU proprio sul patrimonio immobiliare. In futuro si può riconsiderare la questione, però è stata


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proprio questa l'idea di base che ha portato a raddoppiare l'imposta sulla seconda casa rispetto alla prima, ossia che i patrimoni immobiliari sono parte della ricchezza e che, soprattutto a partire da coloro che possiedono una seconda casa in poi, occorre che contribuiscano tutti. Non ci sentiamo in debito sotto questo punto di vista.
Quanto al Piano per l'occupazione, grandi parti sono incentrate sulla riforma del lavoro che è stata presentata, la quale nel dibattito dei media si è concentrata forse sulla riforma dell'articolo 18 dello statuto dei lavoratori, ma che in realtà contiene molto di più, in termini sia di riduzione della segmentazione del nostro mercato del lavoro, sia di rafforzamento o di miglioramento del tipo di ammortizzatori sociali che fanno parte del nostro sistema, nonché di riduzione delle discriminazioni e delle disuguaglianze rispetto alle donne e ai giovani e alle altre categorie che sono ritenute più a rischio nel mercato del lavoro. Mi sembra che nel dibattito sulla riforma del mercato del lavoro ci sia molto di questo aspetto e il Parlamento sarà in grado di contribuire.
L'ultimo gruppo di domande importanti riguardano l'opportunità di aggredire ulteriormente il debito pubblico. Sebbene l'analisi che abbiamo presentato, che io ritengo sia la parte fondamentale, perché senza di essa qualsiasi acceleratore in termini di ulteriori riduzioni non sarebbe neanche considerato, indichi che occorre svolgere la disciplina sul deficit e, quindi, portare il bilancio in pareggio, anche con assunzioni di crescita del nostro PIL non fantasmagoriche, ma praticamente uguali a quelle del passato, con l'1,2 per cento di crescita reale, anche in quello scenario il bilancio in pareggio ci consente una riduzione del debito in rapporto al PIL in linea con quanto l'Europa e i mercati si aspettano.
Ciò non significa che un Paese a forte debito come il nostro non debba cercare di fare di più e di accelerare. Come il Presidente del Consiglio e io stesso abbiamo ribadito, non c'è alcuna dimenticanza da questo punto di vista, ma, anzi, ci sono la volontà e lo studio di modi per accelerare tale riduzione.
I numeri che ho letto e che sono stati accennati come esemplificativi, i 4-500 miliardi in quattro anni, sono numeri che non sono nelle carte. È impossibile riuscire a ottenere 4-500 miliardi in tre, quattro o cinque anni. Ciò non significa, però, che non si debba essere determinati nel riuscire a reperire risorse, quelle possibili, in questo settore. Bisogna, però, essere chiari, come è stato ribadito più volte, e nel presentare le nostre strategie lo saremo sempre di più anche nel dettaglio.
Quando parliamo di dismissione e di «efficientamento» del patrimonio pubblico, dobbiamo avere in mente ciò che ancora rimane di competenza dello Stato e ciò che, invece, è di competenza delle amministrazioni territoriali. Questo è vero con riferimento sia al patrimonio, sia alla spesa pubblica. Bisogna essere assolutamente chiari e, quindi, bisogna avere la volontà e il coinvolgimento di tutti, altrimenti questi obiettivi, sia di riduzione della spesa pubblica, sia di «efficientamento» e di riduzione del debito pubblico attraverso le dismissioni, non saranno raggiunti. L'obiettivo può essere individuato dal Governo centrale, ma poi la realizzazione deve trovare la sua applicazione a tutti i livelli di governo. Penso che questo punto debba essere chiaro a tutti.
Passando alla questione concernente la Banca d'Italia, ovviamente la delega non è più esercitabile e comunque non ci deve essere una preoccupazione. Se si pone il tema di come far ritornare la Banca d'Italia in ambito pubblico, bisogna specificare bene che cosa si intende. Deve essere chiaro che non ci deve essere una preoccupazione sul fatto che già oggi la Banca d'Italia non abbia tutte le tutele necessarie per un istituto di natura pubblicistica, come lo sono tutte le banche centrali al mondo. L'aspetto formale della proprietà anche oggi non ha alcun impatto sulla missione e sull'azione pubblicistica all'interno del sistema delle banche nazionali europee nell'area dell'euro. Ovviamente la volontà e le decisioni del Parlamento


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saranno sicuramente tenute in conto, anche perché qualsiasi riforma della Banca d'Italia deve coinvolgere il Parlamento. Volevo ribadire, però, che oggi la Banca d'Italia non è assolutamente un istituto privato, ma un istituto di diritto pubblico che viene regolato nei minimi dettagli dal Sistema di banche centrali dell'area dell'euro.
Arriviamo all'ESM (Meccanismo europeo di stabilità) e alle regole sull'immunità. Anche in questo caso bisogna capirsi. Come in tutte le istituzioni esiste una normativa sull'immunità, anche se «immunità» è forse il termine sbagliato. È meglio parlare di «discarico». In caso di dolo o di colpa grave non si pone il problema dell'immunità. In caso di provato dolo e colpa grave, ciò che vale in qualsiasi istituzione nazionale vale anche nelle istituzioni internazionali.
Come potete immaginare, un istituto come l'ESM, e come è stato l'ESFS, lavora in termini ristrettissimi a fronte di crisi gigantesche. Quello che forse si intende è che le decisioni assunte nel momento della grande crisi devono essere immediate e non hanno la possibilità di essere supportate dalla qualità di analisi che può essere svolta un anno dopo. Penso che si voglia proteggere l'istituto dalle situazioni per cui, uno o due anni dopo, col senno di poi, avendo in mano dati e analisi molto superiori, si possa sostenere che le azioni assunte sono state sbagliate e che, quindi, esiste una responsabilità.
Penso che si voglia riuscire a distinguere tra questi due aspetti. Ci possono essere decisioni su cui ex post, dopo due o tre anni, si potrebbe affermare che si sarebbe potuto agire diversamente, ma che in quel momento non era possibile farlo. Questa distinzione intende ribadire come, per definizione, questo sia un organismo che, quando assume le sue decisioni, non ha la possibilità di avere la quantità di dati e di analisi necessaria, poiché agisce in situazioni di estrema crisi e, quindi, deve prendere decisioni in tale contesto.
Arrivando all'ultima domanda, rivolgendomi all'onorevole Baretta, come è già stato ribadito, noi riteniamo che, oltre al livello nominale di deficit, che, come ho accennato, sarà dello 0,5 per cento nel 2013 e non sarà zero, è necessario guardare anche i livelli strutturali, che sono quelli che garantiscono se le nostre finanze pubbliche siano in ordine o no. Secondo noi, il fatto che le nostre finanze pubbliche siano in surplus è la prova che la nostra correzione c'è ed è sufficiente.
Ciò mi riporta alla domanda sulla differenza delle previsioni tra noi e il Fondo monetario internazionale. Gli altri istituti di ricerca non hanno espresso dati molto diversi dai nostri, mentre il Fondo monetario internazionale tende a essere sempre un pochino più estremista, se me lo consentite, degli altri. L'importante è il modo di leggere questi dati, anche guardando ai dati strutturali. Sebbene ci siano divergenze, che sono dello 0,6 per cento - e non grandissime - sui livelli nominali, se andiamo a guardare a livello strutturale, vediamo che anche loro osservano che noi riportiamo le nostre finanze in pareggio. Non c'è divergenza sull'efficacia della nostra azione, ma sui livelli nominali, non quindi sul raggiungimento degli obiettivi strutturali.
Anche quando eravamo a Washington non c'è stato un grande dibattito sulle differenze nominali, anche perché le differenze ci possono stare ex ante. L'importante è una condivisione sia dei risultati in termini strutturali, sia del fatto che il percorso del Governo dell'Italia è quello giusto.
Spero di aver risposto a tutte le domande in modo esaustivo.

PRESIDENTE. Grazie, professor Grilli, per la sua partecipazione e soprattutto per le risposte che ha fornito.
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 12,35.

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