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Resoconti stenografici delle audizioni

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Commissione VI
15.
Mercoledì 16 settembre 2009
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Conte Gianfranco, Presidente ... 3

Audizione del presidente della Consob, Lamberto Cardia, nell'ambito dell'esame della Comunicazione della Commissione europea sulla vigilanza finanziaria europea (COM(2009) 252 definitivo) (ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento):

Conte Gianfranco, Presidente ... 3 12 19
Ventucci Cosimo, Presidente ... 18 26
Barbato Francesco (IdV) ... 15
Bernardo Maurizio (PdL) ... 12
Cardia Lamberto, Presidente della Consob ... 3 18 21 22
Contento Manlio (PdL) ... 12
Fluvi Alberto (PD) ... 13
Messina Ignazio (IdV) ... 18
Pagano Alessandro (PdL) ... 16
Strizzolo Ivano (PD) ... 16
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Repubblicani; Regionalisti, Popolari: Misto-RRP.

COMMISSIONE VI
FINANZE

Resoconto stenografico

AUDIZIONE


Seduta di mercoledì 16 settembre 2009


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
GIANFRANCO CONTE

La seduta comincia alle 14,40.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso e la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Audizione del presidente della Consob, Lamberto Cardia, nell'ambito dell'esame della Comunicazione della Commissione europea sulla vigilanza finanziaria europea (COM(2009)252 definitivo).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento, l'audizione del presidente della Consob, Lamberto Cardia, nell'ambito dell'esame della Comunicazione della Commissione europea sulla vigilanza finanziaria europea (COM(2009)252 definitivo).
Ringrazio per la sua presenza il professor Cardia, che è accompagnato dal dottor Antonio Rosati, direttore generale, dall'avvocato Michele Maccarone, funzionario generale, dalla dottoressa Nicoletta Giusto, responsabile dell'ufficio relazioni internazionali, dal dottor Manlio Pisu, responsabile dell'ufficio rapporti con la stampa e dal dottor Riccardo Carriero, funzionario dell'ufficio studi giuridici e rapporti con il Parlamento.
Do la parola al professor Cardia per lo svolgimento della relazione.

LAMBERTO CARDIA, Presidente della Consob. Signor presidente, ringrazio lei e tutti i parlamentari presenti. La Consob considera un onore intervenire alle audizioni programmate dal Parlamento. Pur comportando un certo impegno, tale doverosa partecipazione, alla quale guardiamo sempre con interesse, ci consente, infatti, di offrire il nostro contributo e anche di far conoscere il nostro modo di operare e di valutare.
È ormai imminente - probabilmente, avrà luogo già la prossima settimana - la presentazione, da parte della Commissione Europea, delle proposte di regolamento concernenti l'istituzione e la disciplina delle attività delle nuove autorità di vigilanza europee e del Consiglio europeo per il rischio sistemico. Tali proposte dovranno essere successivamente adottate dal Parlamento europeo e dal Consiglio secondo la procedura di codecisione.
Le proposte, com'è noto, si basano sul lavoro di analisi e di indirizzo concretizzatosi nella Comunicazione della Commissione europea del 27 maggio 2009, oggetto dell'odierna audizione. Sui contenuti della Comunicazione il Consiglio europeo si è espresso favorevolmente il 19 giugno e la consultazione pubblica si è chiusa lo scorso 15 luglio.
Un rilevante contributo di studio e di orientamento era stato fornito, in precedenza, dal cosiddetto gruppo de Larosière, che, incaricato di valutare ipotesi di riforma dell'architettura della vigilanza in Europa, ha rassegnato le proprie raccomandazioni alla Commissione - oltre che al Parlamento europeo e al Consiglio europeo - il 25 febbraio 2009.


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La proposta del gruppo ha raccolto ampio consenso.
La Commissione europea intende oggi imprimere la massima accelerazione possibile alla riforma prefigurata dal gruppo de Larosière, affinché il nuovo sistema di vigilanza possa essere operativo già all'inizio del 2011.
L'urgenza della riforma deriva dai problemi di stabilità e affidabilità che la crisi finanziaria ha creato nel funzionamento dei mercati internazionali.
Gli accordi di cooperazione e scambio di informazioni su basi volontarie e bilaterali, pur ispirati a standard comunitari, non hanno consentito di gestire in modo efficace i complessi problemi generati dalle difficoltà economico-finanziarie di importanti operatori con attività transnazionale.
Nei rapporti con gli Stati Uniti si è avvertita l'assenza di un interlocutore unico europeo, fatta eccezione per l'attività svolta dalla Banca centrale europea. Rapporti diretti - anche per lo scambio di informazioni utili alla gestione della crisi - sono stati invece instaurati con singoli Paesi europei. Proprio sotto quest'ultimo profilo la Consob è stata particolarmente attiva.
La crisi finanziaria si è potuta propagare, assumendo connotati di gravità senza precedenti, grazie anche ad un approccio regolamentare fortemente influenzato da una cultura giuridica che ha la propria matrice nel common law, la quale ha condizionato profondamente anche la produzione normativa dell'Unione europea.
La crisi finanziaria insegna che sono necessarie riforme degli assetti istituzionali e normativi che pongano al centro delle regole l'obiettivo della protezione degli investitori, presupposto fondamentale per ricreare un clima di fiducia atto a consentire il superamento della crisi e il ripristino di durature condizioni di stabilità dei sistemi finanziari.
È necessaria, però, una forte volontà politica per condurre a termine un siffatto processo, che, alla fine, potrà anche comportare una riduzione delle discrezionalità e delle competenze nazionali.
La rinuncia alla sovranità nazionale, relativamente a taluni ambiti della disciplina e della vigilanza sui mercati finanziari, è coerente con il dettato costituzionale laddove sia funzionale al perseguimento, in condizioni di parità, di un bene comune per il nostro Paese e per gli altri Stati membri dell'Unione europea. La nostra Costituzione non aveva certo previsto, all'articolo 11, una tale espansione, ma il dettato costituzionale ha una potenzialità molto ampia. Il bene comune è rappresentato da una piena armonizzazione del quadro normativo e regolamentare - un «libro unico delle regole» (single rulebook) applicabile in tutti i Paesi dell'Unione -, in grado di assicurare condizioni perfettamente omogenee di protezione degli investitori e di prevenire ogni forma di arbitraggio regolamentare.
La crisi ha messo a nudo l'incompiutezza del processo di armonizzazione delineato nel Financial services action plan e i limiti dell'approccio alla produzione normativa basato sul cosiddetto sistema Lamfalussy.
Per alcuni fenomeni non esiste una disciplina armonizzata a livello europeo, sebbene recenti iniziative della Commissione Europea abbiano colmato importanti vuoti normativi relativamente alle agenzie di rating e agli hedge fund.
Nelle aree dove è stato raggiunto un livello di armonizzazione più elevato sono rimaste frammentazioni, connesse a diversità nazionali nelle modalità interpretative della disciplina, nelle prassi di vigilanza e nei regimi sanzionatori, a loro volta riconducibili a compromessi raggiunti in esito a negoziati difficili e non equilibrati.
Obiettivo dell'ipotesi di riforma dovrà essere anche quello di superare un approccio condizionato - in positivo o negativo - dalle specificità di alcuni sistemi finanziari domestici. Dovrà essere trovato un bilanciamento di interessi che ripartisca in modo equo ed equilibrato sacrifici di tradizioni e prassi di regolamentazione nazionali e che possa trovare elemento unificante nei principi di tutela dei risparmiatori e di trasparenza e correttezza dei mercati. Tali principi rappresentano, in


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fatti, il presupposto per il recupero della fiducia sui mercati e - soprattutto in questo momento - non devono essere sacrificati ad altre finalità.
La riforma a livello europeo si inserisce in un contesto di ampia revisione dell'architettura della vigilanza e delle regole dei mercati globali.
Tali temi sono infatti nell'agenda dei Governi dei principali Paesi industrializzati e delle organizzazioni internazionali ed hanno già condotto al rafforzamento del ruolo di coordinamento del Financial stability forum, divenuto Financial stability board, che, congiuntamente con il Fondo Monetario Internazionale, dovrà assicurare che i nuovi standard regolamentari per la prevenzione di crisi future siano attuati in modo efficace ed omogeneo nei diversi Paesi.
Il prossimo G20 di Pittsburgh, che segue le determinazioni assunte dal G8 di L'Aquila per definire uno «standard legale globale», rappresenta una prima, forte opportunità per verificare i progressi effettuati dagli organismi internazionali che emanano standard normativi nel dare contenuto agli impegni di carattere generale.
L'attività della Commissione europea si inscrive nel predetto contesto, in quanto la Commissione rappresenta l'Europa, unitamente alla presidenza pro tempore del Consiglio, nei consessi internazionali nei quali si discute della crisi. È possibile che già al prossimo G20 la Commissione europea - oltre a fornire aggiornamenti sullo stato del dibattito a livello legislativo in materia di fondi speculativi, remunerazioni e requisiti di capitale per gli intermediari - intenda illustrare gli indirizzi della riforma istituzionale in Europa.
La riforma che la Commissione si accinge a porre sul tavolo di Consiglio e Parlamento europeo si ispira, come detto, direttamente alle raccomandazioni del gruppo de Larosière, assumendo solo per limitati aspetti connotati diversi.
Com'è noto, le raccomandazioni del gruppo configurano un percorso evolutivo articolato in tre fasi.
Nella prima, da realizzare nel biennio 2009-2010, si prevede la trasformazione dei comitati di livello 3 in autorità europee con il fine di dettare standard e prassi di vigilanza vincolanti, coordinandone l'applicazione.
Nella seconda fase, da attuarsi nel biennio 2011-2012, il ruolo delle tre nuove autorità europee viene considerevolmente rafforzato, affidando loro nuovi compiti, fra cui quelli di dettare modalità interpretative della disciplina comunitaria vincolanti per le autorità nazionali e di esercitare un ruolo di revisione a posteriori degli standard qualitativi della vigilanza delle autorità nazionali, anche attraverso un processo di cosiddetta «verifica tra pari» fra le stesse.
Nella terza fase, che abbraccia i tre anni successivi al completamento della seconda (2013-2015), si procederà alla revisione del funzionamento del sistema per valutare il passaggio ad un modello di vigilanza per finalità, con la creazione di un'autorità responsabile per i profili di microstabilità e di vigilanza prudenziale (che nascerebbe dalla fusione dell'autorità europea competente per il settore bancario e di quella competente per il settore assicurativo) e di un'autorità competente per la trasparenza, le regole di condotta e i mercati mobiliari (che nascerebbe sostanzialmente dalla previgente autorità competente per i mercati mobiliari).
La Commissione europea propone, nella Comunicazione del maggio 2009, un'accelerazione nell'attuazione delle raccomandazioni del rapporto de Larosière, accorpando le due fasi iniziali e prefigurando l'avvio delle attività delle nuove autorità europee a partire dal 2011.
L'architettura proposta dalla Commissione si fonda su due pilastri: l'istituzione di un Consiglio europeo per il rischio sistemico (ESRC), deputato alla vigilanza macroprudenziale e alla diffusione, ove necessario, di allarmi preventivi per la stabilità del sistema finanziario UE e di raccomandazioni specifiche, seppur non vincolanti (in tale organismo, che rappresenta una reale innovazione nel panorama europeo, siederebbero i governatori delle banche centrali, il governatore della BCE e i presidenti delle nuove autorità europee


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di vigilanza finanziaria); l'istituzione del Sistema europeo delle autorità di vigilanza finanziaria (ESFS), costituito da una rete delle autorità di vigilanza nazionali - aggregate in tre nuove autorità europee di settore, frutto della trasformazione degli attuali comitati di livello 3 (CESR, CEBS e CEIOPS) - deputata alla salvaguardia della solidità delle singole imprese finanziarie e alla protezione degli investitori.
Una delle novità più importanti del progetto di riforma - peraltro alla base delle proposte del gruppo de Larosière - prevede l'introduzione di una funzione di vigilanza di macrostabilità a livello europeo, cioè di una funzione che intercetti i rischi di natura generale derivanti dall'evoluzione del quadro macroeconomico che potrebbero potenzialmente colpire tutti gli intermediari e/o i mercati. In passato, tale aspetto era stato ritenuto di minore rilevanza rispetto a quello della microstabilità e della vigilanza sulla sana e prudente gestione dei singoli soggetti, mentre la crisi ha posto chiaramente in luce come l'analisi dei rischi sistemici sia fondamentale a fini di prevenzione. Affidare una funzione di tale natura alla Banca centrale europea avrebbe sollevato problemi molto complessi, in parte collegati alla circostanza che non tutti i membri dell'Unione appartengono alla zona dell'euro.
Il Sistema europeo delle autorità di vigilanza finanziaria comprende un Comitato di coordinamento (Steering Committee), tre nuove autorità di vigilanza europee dotate di personalità giuridica e le autorità di vigilanza nazionali. Le tre nuove autorità europee nascono dalla trasformazione e dal potenziamento degli attuali comitati di terzo livello.
Le nuove autorità possono intervenire in caso di manifesta violazione del diritto comunitario, emanando raccomandazioni vincolanti per le autorità nazionali e possono avere poteri di vigilanza pieni (compresi quelli di natura autorizzatoria e ispettiva) nei confronti di soggetti la cui attività è strutturalmente transfrontaliera (primi tra essi le agenzie di rating e le stanze di compensazione).
Inoltre, le autorità possono emanare regole vincolanti al fine di addivenire ad un «libro unico delle regole europee». A tale riguardo va rilevato come il nuovo sistema non si sostituisca al sistema Lamfalussy per la regolamentazione del mercato europeo, ma ne rappresenti un'evoluzione. La Commissione europea si accinge infatti ad emendare tutte le direttive di settore per prevedere - come attualmente stabilito dal sistema Lamfalussy - in quali casi e su quali materie le autorità potranno emanare regole vincolanti. Rimane ferma la possibilità, per le nuove autorità, di adottare linee-guida finalizzate al ravvicinamento delle prassi di vigilanza, che le istituzioni nazionali potranno attuare su base volontaria secondo il principio «adeguati o spiega», il quale prevede che vengano fornite pubblicamente le motivazioni nel caso in cui si decida di non applicare gli standard raccomandati.
Lo Steering committee ha il compito di favorire la cooperazione e la coerenza degli approcci di vigilanza adottati dalle tre autorità europee, soprattutto rispetto ai conglomerati finanziari e alle istituzioni attive su base transfrontaliera.
La vigilanza su singoli operatori rimane affidata alle singole autorità nazionali. Le ragioni sottostanti a detta decisione sono da ricercarsi innanzitutto nella prossimità rispetto ai soggetti vigilati e agli utenti dei servizi finanziari. Inoltre, per quanto riguarda gli aspetti di solidità patrimoniale degli operatori, è determinante la circostanza che le decisioni di eventuali interventi di sostegno rimangono inevitabilmente a carico dei bilanci statali e quindi dei contribuenti dei singoli Paesi, rispetto ai quali la legittimazione impositiva non può che essere ricondotta ai Governi nazionali.
Rimane ugualmente impregiudicata la massima discrezionalità degli Stati nel disegnare i propri sistemi sanzionatori.
Allo stato attuale non è ipotizzabile il trasferimento della sovranità delle decisioni di intervento pubblico dal livello nazionale a quello europeo. Sarebbe infatti necessario prefigurare una riforma


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strutturale della natura istituzionale delle nuove autorità, affidando loro competenze dirette su soggetti nazionali individuali, rivedendo contestualmente il sistema generale delle responsabilità istituzionali e politiche.
Nelle nuove autorità vengono invece centralizzati compiti specifici volti a promuovere regole armonizzate e prassi uniformi di vigilanza e applicazione delle norme.
I rapporti tra le autorità nazionali, basati sui principi di partnership, flessibilità e sussidiarietà, devono prevedere un maggiore coinvolgimento delle autorità dei Paesi ospitanti in materia di politiche di stabilità e di tutela dei consumatori, colmando i vuoti attualmente esistenti di fronte ai rischi diffusi in diversi Paesi da operatori transfrontalieri.
Continueranno a operare, e saranno centrali nella nuova architettura, i cosiddetti «collegi dei supervisori», costituiti dai rappresentanti delle autorità nazionali competenti a diverso titolo sulle attività di singoli operatori transfrontalieri. Importante è il collegio dei supervisori istituito per il gruppo Unicredit. Fino ad oggi tali collegi hanno svolto un'attività di raccolta accentrata di informazioni e di massimo coordinamento degli interventi di vigilanza; il loro concreto operare è rimasto tuttavia condizionato al consenso e all'iniziativa successiva delle singole autorità nazionali coinvolte nella vigilanza. Per questi motivi, la riforma sottolinea la necessità di un potenziamento dei collegi, prevedendo che le nuove autorità europee assumano un ruolo incisivo per favorire il consenso all'interno del collegio, componendo eventuali divergenze ed orientando le decisioni.
La proposta della Commissione europea si pone sostanzialmente in linea con le riflessioni maturate dal gruppo de Larosière, pur con qualche differenziazione, di cui dirò tra breve.
È utile distinguere due profili: quello della governance e della legittimazione istituzionale delle nuove autorità europee e quello della ripartizione dei compiti e delle responsabilità della vigilanza sui differenti comparti del sistema finanziario.
Per ciò che attiene al primo profilo, la proposta di riforma avanzata dalla Commissione Europea presenta ancora profili di indeterminatezza, rispetto ai quali è opportuno addivenire a orientamenti chiari e definiti.
È necessario, prima di tutto, definire la legittimazione politica e istituzionale delle nuove autorità rispetto alle fonti di rango primario della disciplina comunitaria. Il principale problema che emerge dal nuovo disegno è rappresentato, infatti, dal diverso livello al quale attualmente si collocano gli obiettivi delle autorità di vigilanza.
L'obiettivo di stabilità, sia a livello macroeconomico sia a livello microeconomico, ampiamente sottolineato nel rapporto de Larosière e nella Comunicazione della Commissione europea, trova già una codifica nel Trattato (i cui articoli prefigurano, peraltro, anche la possibilità - allo stato non sostenuta - di attribuire la vigilanza prudenziale delle banche alla Banca centrale).
La missione della protezione degli investitori - che è tipica delle autorità di vigilanza dei mercati mobiliari e viene assicurata attraverso la vigilanza su trasparenza e correttezza dei comportamenti - non trova, invece, analogo riconoscimento, contenendo il Trattato soltanto un generico cenno agli «interessi economici» dei consumatori.
È importante che il dibattito sulla nuova architettura europea della vigilanza e della regolamentazione, anche al di fuori di situazioni di emergenza ben comprensibili, non si focalizzi esclusivamente sui profili di stabilità, facendo passare in secondo piano la rilevanza degli obiettivi di tutela degli investitori, essenziali per garantire l'efficienza e la stabilità stessa dei sistemi finanziari.
Peraltro, è noto a tutti che la fiducia è alla base del consenso e del buon operare. Presupposto della stabilità è la fiducia generalizzata nel funzionamento del sistema, che a sua volta discende direttamente dall'efficacia delle tutele - in primis,


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dalla vigilanza sulla correttezza dei comportamenti degli operatori - e dalla trasparenza dei mercati.
È essenziale, dunque, da un lato, che anche per le autorità europee preposte ai controlli di trasparenza e correttezza si profili un percorso che porti a un'adeguata legittimazione politica e istituzionale degli obiettivi di protezione degli investitori nella disciplina comunitaria di rango primario e, dall'altro, che si arrivi ad un assetto istituzionale - di natura federale - analogo a quello disegnato per la Banca centrale europea.
La «costituzionalizzazione» all'interno del Trattato degli obiettivi della regolamentazione e della vigilanza dei mercati mobiliari costituisce una meta da perseguire con determinazione per qualunque sistema intenda ripristinare piena fiducia nei mercati finanziari. Soltanto una modifica del Trattato potrà infatti conferire alle nuove autorità, così come avvenuto per la creazione della Banca centrale europea, una dignità istituzionale atta a perseguire in pieno quegli obiettivi che oggi sono da più parti auspicati. La modifica del Trattato rappresenta un traguardo finale che, se perseguito, potrebbe dare efficacia all'operato comune.
È dunque opportuno che, con riferimento alle nuove autorità europee, siano definiti criteri di governance, modalità di nomina dei componenti, meccanismi di assunzione delle decisioni, modalità di finanziamento e reclutamento del personale e rapporti con gli altri organismi comunitari analoghi a quelli previsti per la Banca centrale europea, al fine di garantire alle stesse un elevato livello di indipendenza ed autonomia, sia pure contemplando meccanismi di elevata responsabilizzazione e rendicontazione dei risultati conseguiti nei confronti dei Governi e delle istituzioni.
La definizione di un sistema di relazioni formalizzate con Parlamento europeo, Consiglio e Commissione europea dovrebbe poter risolvere il problema senza ledere l'indipendenza delle autorità.
Rimane, tuttavia, da definire il «peso» nel sistema della Commissione europea, auspicando che ad essa venga assegnato un ruolo di «osservatore», piuttosto che di «attore» di rilievo, nelle riunioni e nell'iter decisionale delle nuove autorità. Considero questa una preoccupazione di particolare rilevanza.
Per ciò che riguarda il tema delle competenze e delle responsabilità delle nuove autorità europee, è da rilevare che la proposta della Commissione europea si pone pienamente in linea con quella del gruppo de Larosière.
Le autorità avrebbero due compiti fondamentali.
Il primo è quello di definire una serie di standard in materia di regolamentazione e vigilanza per le autorità nazionali. Le autorità di vigilanza europee dovrebbero definire un «codice» unico di regole armonizzate applicabili a tutte le istituzioni finanziarie, dettando orientamenti interpretativi e standard di vigilanza giuridicamente vincolanti per le autorità nazionali competenti.
Il secondo compito, invece, è di natura più operativa e di enforcement, avendo le nuove autorità il potere di raccomandare alle autorità nazionali le misure necessarie per far fronte a palesi violazioni della normativa comunitaria entro una determinata scadenza, e potendo applicare direttamente le misure raccomandate in situazioni di emergenza o qualora le autorità nazionali rimanessero inattive. Ulteriori compiti operativi riguarderebbero la composizione di controversie tra le autorità di vigilanza del Paese di origine e di quello (o di quelli) di destinazione, l'autorizzazione e la vigilanza di determinati organismi di dimensioni paneuropee (tra i quali le agenzie di rating) e il coordinamento delle misure in caso di crisi.
La proposta di riforma della Commissione europea non tocca, invece, il piano delle responsabilità e delle competenze dirette delle autorità dei singoli Paesi membri nell'esercizio della vigilanza su singoli operatori. Ha ottenuto ampi consensi una netta posizione favorevole a mantenere a livello nazionale l'attività di autorizzazione e di vigilanza continua sugli operatori, seppure sulla base di prassi


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di vigilanza armonizzate e vincolanti dettate dalle autorità europee e nell'ambito di una più efficace e migliore collaborazione tra autorità nel caso di operatori transfrontalieri.
Tale impostazione, nella fase attuale, appare condivisibile.
È da auspicare, peraltro, che il rafforzamento delle istituzioni europee sia efficace e non condizionato da compromessi e logiche di parte. È il momento di dimostrare una nuova attitudine degli Stati membri a dare la dovuta priorità alla salvaguardia dei superiori interessi collettivi europei, in un processo di trasferimento - parziale e progressivo, ma equivalente - della sovranità in materia di regole, vigilanza e sanzioni. Per realizzare ciò occorre una forte e convergente volontà politica.
L'emanazione di standard vincolanti in materia di modalità interpretative della disciplina comunitaria e di prassi di vigilanza presuppone il potere da parte delle nuove autorità europee di controllare l'attuazione delle regole e l'operato delle autorità nazionali. È da vedere con favore tale possibilità, come pure è da condividere l'attribuzione alle autorità europee di un ruolo di mediazione in caso di divergenze tra due o più autorità nazionali, anche per assicurare una maggiore protezione degli interessi delle autorità dei Paesi cosiddetti «ospitanti», nei quali vengono commercializzati su base transfrontaliera servizi e prodotti finanziari di intermediari autorizzati in altri Stati dell'Unione. L'Italia, tra l'altro, è tipicamente un Paese ospitante, così come il Regno Unito è tipicamente il Paese di origine dei principali operatori.
Una chiara definizione dei compiti, dei poteri, dei caratteri dei controlli e delle finalità di vigilanza spettanti alle nuove autorità rispetto a quelli delle singole autorità nazionali, unitamente all'individuazione dei reciproci rapporti, dovrebbe evitare o comunque aiutare a risolvere eventuali problemi anche nei rapporti con le magistrature nazionali.
La proposta della Commissione europea è incentrata sulla trasformazione dei tre comitati europei esistenti. Al momento, tali comitati realizzano una ripartizione dei compiti di vigilanza secondo un approccio settoriale, che distingue le autorità di controllo su attività bancaria, assicurativa e mercati mobiliari. La scelta effettuata tiene conto della maggiore fattibilità, in questa fase, di un progetto che trasformi strutture esistenti piuttosto che crearne di nuove, con competenze molto cambiate. D'altronde, occorre considerare che il dibattito volto a stabilire quale sia il modello di vigilanza più efficiente non ha prodotto ancora risultati univoci e, inoltre, che le nuove autorità non avranno compiti di vigilanza diretta sugli operatori (ad eccezione di quanto detto per le agenzie di rating).
Il rapporto de Larosière raccomanda che, passati tre anni dall'avvio della riforma, una revisione dell'architettura di vigilanza potrebbe muovere verso un sistema articolato in due sole autorità, secondo un approccio per finalità: la prima responsabile per le questioni prudenziali del settore bancario e assicurativo e, più in generale, per le questioni di stabilità; la seconda responsabile per le regole di condotta e disciplina dei mercati.
La stessa Commissione europea riconosce che, dopo un determinato numero di anni, si potrà procedere ad una revisione del sistema.
Sembra quindi che abbia prevalso un atteggiamento pragmatico, atto a consentire l'avvio più tempestivo della riforma, rinviando al futuro e alla verifica delle esperienze concrete, anche di singoli Paesi (si pensi in particolare al Regno Unito, dove è attualmente posto in discussione il modello di autorità unica), la possibilità di adottare, anche alla luce dell'attribuzione di poteri più diretti e incisivi alle nuove autorità, l'approccio per finalità, di cui la Consob è tradizionalmente promotrice e i cui benefici sono stati riconosciuti nel rapporto de Larosière.
Mi permetto di ricordare che, ogni qual volta ha avuto modo di rappresentare le proprie valutazioni, la Consob ha sempre sottolineato come le autorità debbano essere due (con competenze distinte per


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finalità) e non tre: ciò non per ampliarne i poteri, ma per assicurare una migliore funzionalità ed evitare squilibri nella regolamentazione. I limiti dell'approccio per settore, nell'attuale contesto di crescente integrazione tra intermediari e prodotti, sono noti. Tale approccio non consente a priori di definire la collocazione delle responsabilità di vigilanza su comparti trasversali e critici per il funzionamento dei sistemi finanziari. L'istituzione di due sole autorità potrebbe portare ad un sistema più snello e meno burocratizzato.
Si conferma quindi la condivisione dell'obiettivo di una progressiva revisione nel tempo del modello che vada in tale direzione.
Il processo potrebbe anche facilitare l'auspicata istituzionalizzazione nel Trattato degli obiettivi di tutela degli investitori e della trasparenza e correttezza, nonché la definizione di un nuovo modello di vigilanza europea che superi in modo diretto e fortemente legittimato quella frammentazione istituzionale che, nella prima fase individuata, sembra destinata a permanere.
Un sistema fondato su cinque nuovi organismi - il Consiglio europeo per i rischi sistemici, il Comitato di coordinamento e tre nuove Autorità europee di settore - rappresenta un assetto ancora troppo burocratico e rischia di non assicurare la reattività necessaria sia per prevenire e fronteggiare pericoli di gravi crisi di stabilità sia per tutelare in maniera tempestiva e adeguata i risparmiatori.
Nel definire il nuovo Consiglio per i rischi sistemici e i suoi rapporti con le nuove autorità europee si dovrà assicurare che le istanze di stabilità siano sempre compatibili con le finalità di protezione degli investitori e si pongano su un piano non differenziato di tutela.
Il Consiglio non deve essere interpretato come un organismo di vertice, o comunque come un interlocutore privilegiato delle istituzioni politiche, considerato, tra l'altro, che esso non si presenta dotato di poteri vincolanti in relazione ad istituzioni specifiche, potendo emanare solo raccomandazioni non vincolanti, seppur molto rilevanti ove rese pubbliche.
Dovranno essere ben chiariti, inoltre, il ruolo del Comitato di coordinamento e i rapporti che intercorreranno tra lo stesso e le autorità di vigilanza, al duplice fine di evitare un «appesantimento» del sistema, che ne renderebbe meno rapida la risposta, e di scongiurare la creazione di gerarchie istituzionali, che potrebbero di fatto porre in una posizione sottordinata l'autorità di vigilanza sui mercati mobiliari.
Le proposte della Commissione europea per la riforma del sistema della vigilanza sui mercati finanziari costituiscono un punto di partenza realistico e pragmatico, anche se certamente non perfetto. Le finalità del progetto sono per alcuni aspetti ambiziose, ma per la loro realizzazione occorre una forte determinazione politica. È necessario cogliere l'attimo e far partire adesso il motore delle riforme, prima che lo slancio in tal senso si affievolisca. Sarebbe un'occasione perduta lasciare che prevalga la forza d'inerzia e che ci si adagi sui primi segnali di una ripresa economica ancora incerta.
A tale proposito, si sente affermare da più parti che stiamo attraversando una fase di recupero rispetto al momento più acuto della crisi. Si tratta di una constatazione condivisibile. Tuttavia, occorre considerare - anche l'OCSE, da ultimo, ha richiamato l'attenzione su tale aspetto - che la crisi potrà produrre ulteriori effetti negativi sull'occupazione.
Ritengo quindi che il fatto di avere superato la fase più sfavorevole non debba in alcun modo indurre a rinviare o a diluire nel tempo la realizzazione delle soluzioni che sono state elaborate per rispondere alla crisi e per prevenirne altre. Prevedere tempi lunghi per l'attuazione della riforma, basata su un'organizzazione già molto complessa, potrebbe far dissolvere quella consapevolezza e quel senso di responsabilità che hanno persuaso gli Stati ad agire bene e presto. È uno stato d'animo che si comincia a cogliere. Probabilmente, la sensazione può essere frutto di una sensibilità eccessiva, ma pone


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in luce un aspetto che va evidenziato: se, superato il momento di maggiore asprezza, i segnali di ripresa dell'economia dovessero stabilizzarsi, credo che vi sarà bisogno di una volontà politica molto forte per realizzare le auspicate riforme.
Come sempre, si dovrà prestare particolare attenzione a quegli aspetti - solo apparentemente di natura operativa e applicativa - attraverso i quali si imprimono alla realtà connotati più o meno virtuosi: organizzazione, funzionamento, indipendenza e finanziamento delle nuove autorità; competenze reali delle diverse istituzioni comunitarie, anche rispetto ai singoli Paesi membri; scelta delle persone chiamate all'opera e spirito con cui queste opereranno. Colgo l'occasione per osservare come anche la scelta delle persone sia fondamentale. Spesso mi capita di constatare, in occasione di incontri internazionali, che alcuni Paesi schierano staff con una vasta esperienza, adeguati anche sotto il profilo numerico. In Italia vi sono senz'altro situazioni di eccellenza, ma non possiamo certo affermare che sia vasto il numero di coloro i quali sono in grado di affrontare, con nerbo e capillarità pari a quelli dimostrati dai rappresentanti degli altri Paesi, le problematiche di rilievo internazionale.
Su alcuni di questi aspetti desidero formulare brevi considerazioni, frutto anche dell'esperienza maturata sul campo.
Rimangono forti incertezze sulle modalità di applicazione del principio di responsabilità fiscale e sull'estensione che ad esso sarà data in concreto, soprattutto in occasione di nuovi sintomi di crisi. Alcuni Paesi - tra i quali sarebbe da includere, secondo taluni, il Regno Unito - potrebbero invocare il predetto principio per continuare ad assicurare alle istituzioni nazionali ampia discrezionalità, in modo da preservare al proprio mercato forza competitiva e capacità di attrazione, anche a detrimento del livello di tutela di soggetti di altri Paesi e, in definitiva, a scapito di una piena attuazione della riforma europea.
La mancata previsione delle nuove istituzioni nel Trattato e i rapporti intercorrenti con la Commissione europea rimangono elementi di debolezza istituzionale e si prestano ad una minore chiarezza nei rapporti con gli organi di governo dell'Europa. Una procedura di «riconoscimento formale», da parte della Commissione europea, degli standard emanati dalle autorità può, di fatto, condizionare la regolamentazione del mercato pure in aspetti di dettaglio.
Anche l'affidamento alla Commissione europea del potere di determinare le condizioni per l'esercizio di alcuni poteri di intervento in casi di urgenza potrebbe impedire che le autorità operino con piena indipendenza.
Un sistema di finanziamento totalmente a carico del budget comunitario può essere fonte di condizionamento dell'attività delle autorità. È preferibile immaginare un sistema misto, che preveda contributi a carico dei Paesi membri, del bilancio comunitario - a valere non sullo stanziamento della Commissione europea, bensì sul budget generale dell'Unione - e dei soggetti direttamente vigilati, come le agenzie di rating.
La procedura di selezione e nomina del Presidente da parte dei componenti delle autorità dovrà garantire la massima indipendenza e un elevato livello di competenza ed esperienza. Si potrebbe anche prevedere l'eventuale conferma della nomina da parte di istituzioni comunitarie con funzioni di garanzia.
Quanto al già evidenziato rischio di burocratizzazione, la nuova architettura del sistema europeo di vigilanza finanziaria prevede parecchi soggetti istituzionali e, per alcuni versi, appare molto complessa: infatti, richiede l'introduzione di diversi livelli di coordinamento dell'attività. Va rilevato tuttavia che, in questa prima fase, essa rappresenta una soluzione transitoria e immediatamente operativa, derivando dalla trasformazione di soggetti già esistenti. Il rischio da prevenire è che si favoriscano atteggiamenti volti a far prevalere, nelle decisioni, essenzialmente l'obiettivo finale di stabilità, segnatamente nelle fasi in cui i timori di ripercussione delle crisi sull'economia reale potrebbero


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spostare fortemente l'attenzione sulla necessità di garantire flussi di finanziamento adeguati (soprattutto dal punto di vista quantitativo).
Tutti gli aspetti citati dovranno essere strutturati in conformità agli standard internazionali di indipendenza, concernenti sia i rapporti con gli organi di governo, europei e nazionali, sia quelli con l'industria. Il requisito di indipendenza dal potere politico ha una doppia valenza, perché riguarda non solo il ruolo diretto della Commissione europea, ma anche gli organi interni di gestione delle autorità, che dovrebbero essere composti da personale - con requisiti e competenze tecniche adeguati - delle stesse autorità.
Pur supportando con convinzione la necessità che si pervenga tempestivamente alla prefigurata riforma, ritengo che due principi di fondo non debbano in alcun caso essere disattesi.
Il primo postula la pari dignità istituzionale degli obiettivi di tutela della stabilità e di tutela degli investitori, costituendo quest'ultimo l'indefettibile presupposto della fiducia nel funzionamento dei mercati. In tale prospettiva, il sistema si potrà dire compiuto quando sarà codificato nel Trattato un modello di vigilanza per finalità che attribuisca competenze di regolamentazione e vigilanza a due sole autorità, equiparate nello status istituzionale e responsabili, rispettivamente, per la stabilità e per la correttezza e trasparenza dei mercati.
Il secondo reclama un sistema di regole uniche, certe e da tutti egualmente applicate e sanzionate. L'unitarietà delle regole tecniche e delle prassi di vigilanza, senz'altro necessaria e già di per sé importante progresso rispetto all'attuale frammentazione, deve avere implicitamente anche la finalità di accompagnarsi ad un processo di uniformazione dei sistemi sanzionatori. Ciò allo scopo di rendere realmente neutrale la scelta del luogo di svolgimento dell'attività e le conseguenze di eventuali violazioni delle regole.

PRESIDENTE. Ringrazio il presidente Cardia.
Do ora la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti e formulare osservazioni.

MAURIZIO BERNARDO. Signor presidente, nel ringraziare il presidente Cardia (e i dirigenti e funzionari della Consob presenti) per averci illustrato in maniera ben approfondita le iniziative avviate e le proposte formulate, in sede europea, in materia di vigilanza finanziaria, non dimentico il ruolo che il presidente Cardia stesso ha svolto, in occasioni diverse, al servizio del Paese. Ricordo, ad esempio, le considerazioni che il presidente, affrontando il tema delicato della crisi, ha esposto a un vasto uditorio (tra gli astanti vi erano anche alcuni colleghi che presenziano all'odierna audizione) nel corso di un importante incontro tenutosi di recente a Milano. Oggi, egli ci invita nuovamente a cogliere - in una prospettiva ormai piuttosto vicina - gli aspetti più rilevanti della futura architettura degli organismi di vigilanza, tenendo anche conto delle specificità nostre e di altri Stati membri dell'Unione.
Ebbene, andando per un attimo anche al di là del contenuto della relazione, vorrei che il presidente ci fornisse ulteriori valutazioni in ordine agli elementi della struttura di vigilanza che appare ancora possibile modificare.
Penso, ad esempio, alla possibilità che le autorità di vigilanza siano due anziché tre, non tanto per attribuire a ciascuno di tali organismi più ampie competenze, quanto per assicurare un migliore funzionamento del sistema di vigilanza.
Presidente Cardia, ci aiuti a capire con riferimento a quali aspetti una realtà come la nostra potrebbe svolgere - anche grazie alla sua autorevolezza - un ruolo importante sul piano internazionale e in quale misura gli auspici da lei espressi potranno essere tenuti in considerazione all'esito di una fase così importante, volta a chiudere una stagione non felice della vita economico-finanziaria (non soltanto dell'Europa).

MANLIO CONTENTO. Nel ringraziare il presidente Cardia per l'esposizione, desidero


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innanzitutto formulare alcune osservazioni relative a un aspetto che suscita in me qualche perplessità.
Nella relazione si fa spesso riferimento all'obiettivo della tutela degli investitori, del quale si chiede addirittura una sorta di «costituzionalizzazione» nel Trattato.
In linea di principio, potremmo anche essere tutti d'accordo. Tuttavia, l'impressione è che, oggi, il problema specifico non sia più soltanto correlato all'operato delle autorità di vigilanza, che sono presenti in tutti i Paesi e che, pur svolgendo diverse funzioni ed essendo diversamente strutturate sotto il profilo funzionale, comunque non sono state in grado - com'è generalmente riconosciuto - di avvertire i sintomi della crisi poi manifestatasi.
Allora, la questione che pongo sul tappeto è la seguente: si tratta soltanto di organizzare in maniera diversa i sistemi di vigilanza o è necessario correggere, negli ordinamenti giuridici, un difetto di conoscenza e di approccio nei confronti di mercati che, non avendo confini nazionali - com'è stato ben ricordato - sono in grado di determinare effetti sia nei Paesi in cui i prodotti finanziari vengono emessi, sia in quelli in cui gli stessi sono commercializzati?
Nella proposta elaborata in sede comunitaria vedo un aspetto positivo: si comincia a discutere di un'organizzazione diversa sotto il profilo giuridico, di regole condivise e armonizzate. Rilevo, tuttavia, un ulteriore motivo di preoccupazione (ma spero di sbagliarmi). È stato posto l'accento sul peculiare statuto da riconoscere ai nuovi organismi di vigilanza nei confronti del potere politico. Ebbene, temo che l'invocata costituzionalizzazione del principio di indipendenza sia connessa non tanto con l'esigenza di fondo - la tutela degli interessi dei risparmiatori - quanto, piuttosto, con la questione dei poteri che le autorità dovranno esercitare. Il dibattito è aperto. Personalmente, ritengo che tale tematica sia estremamente delicata e complessa.
Più in generale, presidente Cardia, quale insegnamento abbiamo tratto dalla crisi? Inoltre, quali meccanismi giuridici potrebbero essere corretti, sul piano sostanziale, per limitare quei rischi di sistema che attengono al conflitto di interessi, genericamente inteso, nel quale sono coinvolti anche gli investitori? È investitore, infatti, anche colui il quale acquista un pacchetto azionario o si rivolge a un fondo, che poi effettua investimenti in altre società (sono comparsi all'orizzonte anche gli interessi dei fondi sovrani, che in questo momento non vanno per la maggiore).
In questo momento, ciò che mi interessa maggiormente non è l'architettura del nuovo sistema di vigilanza, ma l'insegnamento che abbiamo tratto da quanto è avvenuto. Da questo punto di vista, presidente Cardia, le chiedo se la Consob, nello svolgimento della propria attività, e soprattutto alla luce degli ultimi avvenimenti, abbia potuto sperimentare l'eccessiva debolezza di talune regole in materia di governance dei soggetti bancari e finanziari che emettono titoli e li commercializzano, coinvolgendo in tal modo l'ultimo anello della catena, l'investitore, dal quale sicuramente non possiamo pretendere alcunché.
A mio avviso, nel dibattito europeo si avverte questa profonda differenza.

ALBERTO FLUVI. Ringrazio il presidente Cardia per l'ottima relazione, che contiene spunti molto interessanti; essa sarà sicuramente utile per il lavoro che la Commissione si appresta a svolgere all'esito di questo ciclo di audizioni.
Voglio cominciare il mio intervento riproponendo una considerazione di carattere generale che ho già avuto modo di esporre nel corso dell'audizione del direttore generale della Banca d'Italia.
Ho la sensazione che, man mano che ci allontaniamo dall'epicentro della crisi finanziaria - siamo ormai a un anno dal fallimento della Lehman Brothers - sia diminuita, o stia diminuendo, la tensione verso la realizzazione di interventi comuni. Nei mesi successivi a quel 15 settembre, in effetti, si sono susseguite svariate iniziative e riunioni a livello tecnico e politico: il G7, il G20, gli interventi


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concordati fra la Banca centrale europea e la Federal Reserve, la Banca d'Inghilterra e via dicendo. Più si allontanano nel tempo quegli eventi, più sembra affievolirsi l'impulso che aveva indirizzato l'azione comune verso un coordinamento riguardante sia le politiche monetarie sia gli interventi sul sistema di vigilanza.
Ebbene, come il presidente potrà confermare, l'obiettivo di queste audizioni, almeno nelle nostre intenzioni, è quello di segnalare un orientamento favorevole alla realizzazione di un maggiore coordinamento, nonché all'istituzione di un sistema di vigilanza a livello sovranazionale.
Non voglio muovere una critica all'attuale maggioranza - avrei potuto fare le stesse considerazioni anche durante la scorsa legislatura -, ma devo dire che ci saremmo presentati in condizioni migliori al tavolo europeo se avessimo proceduto, anche in Italia, a una revisione per finalità dell'architettura istituzionale delle autorità di vigilanza. Il nostro peso sarebbe stato sicuramente maggiore se, riordinando il sistema delle autorità di vigilanza e ponendo alla sua base, come appare necessario, il pilastro dell'indipendenza, avessimo rimediato per tempo all'attuale frammentazione.
Pongo quindi una domanda, forse un po' provocatoria (ma di certo non nei confronti della presidenza della Consob): presidente Cardia, qual è il rapporto fra le autorità di vigilanza e l'applicazione delle direttive europee? Da una parte, a livello europeo, si va verso un sistema di vigilanza volto a garantire stabilità finanziaria, trasparenza e tutela degli investitori; dall'altra, a livello nazionale, le direttive sono recepite in maniera assai diversificata da parte dei Parlamenti (quindi, dalla politica). Ad esempio, la direttiva OPA è stata recepita dal Parlamento italiano in un modo, dal Parlamento inglese in un altro, dal Parlamento francese e da quello tedesco in altri modi ancora (e potrei continuare).
In definitiva, il tema del rapporto fra politica e autorità di vigilanza non è incentrato, a mio avviso, sull'invadenza della prima a scapito dell'autonomia della seconda.
Le chiedo, allora, presidente, in quale modo le future authority, quali che siano, pur uniformando le metodologie di vigilanza, potranno intervenire nel sistema finanziario se la legislazione, all'interno dei singoli Stati, è così diversa da un Paese all'altro.
Una seconda domanda riguarda l'architettura e si riaggancia alle considerazioni iniziali. Sono convinto che le proposte avanzate dal gruppo presieduto da Jacques de Larosière siano il massimo possibile in questo momento. Anche se, probabilmente, tutti noi che facciamo parte di questa Commissione avremmo auspicato molto di più, immagino che, alla fine di questo ciclo di audizioni, approveremo una risoluzione che sosterrà un disegno di natura analoga.
È chiaro che si pone il tema di una sorta di riequilibrio fra la vigilanza sulla stabilità e quella sulla trasparenza. Avendo riguardo all'architettura, vi saranno, da una parte, il Consiglio europeo per rischio sistemico, composto da tutti i governatori delle banche nazionali e, dall'altra, il Sistema europeo di vigilanza finanziaria, costituito dal comitato di pilotaggio e dalle tre agenzie (derivanti dalla trasformazione degli attuali comitati di terzo livello), nei cui organi siederanno i presidenti e i rappresentanti delle autorità nazionali di vigilanza interessate. Le chiedo, presidente Cardia, quale tipo di rapporto esista fra i due organismi menzionati, nonché fra le autorità europee e quelle nazionali.
Condivido in toto la necessità di mettere sullo stesso piano la tutela della stabilità e quella della trasparenza; tuttavia, lei sa meglio di me, presidente Cardia, avendolo ricordato anche nella relazione, che ciò presuppone la modifica del Trattato. Sono favorevole, comunque, a compiere un primo passo nella direzione giusta, senza peraltro dimenticare che è necessario perseguire l'obiettivo cui lei, presidente, faceva riferimento.


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Passando ad altro argomento, il Parlamento, a partire all'incirca dall'inizio della XIV legislatura, è intervenuto a più riprese sul Testo unico della finanza, da ultimo pochi mesi fa, quando ha nuovamente modificato la disciplina dell'offerta pubblica di acquisto. È parso, a volte - il rilievo riguarda tutte le maggioranze che si sono succedute dal 2001 in poi -, che si sia intervenuti senza badare alla necessaria coerenza dei diversi interventi.
Le chiedo, quindi, presidente Cardia, se non ritenga opportuno avviare, in concomitanza con il processo di definizione del sistema di vigilanza europeo, una riflessione sul testo unico della finanza nostrano.
Infine, con riferimento alla normativa sull'OPA finalizzata a mettere al riparo da scalate ostili le nostre aziende quotate, le chiedo, presidente, se ritenga possibile - e mi sembra che si sia espresso in senso positivo in occasione dell'incontro annuale con il mercato, pochi mesi fa - tornare alla normativa precedente e, quindi, eliminare le barriere difensive che erano state erette.

FRANCESCO BARBATO. Esprimo un ringraziamento non di circostanza al presidente Cardia e alla Consob, soprattutto per gli spunti interessanti che ci ha offerto nel corso dell'odierna audizione.
Italia dei Valori si sente rincuorata nel constatare di avere svolto proprio ieri, nel corso dell'audizione del direttore di Bankitalia, considerazioni simili. A mio parere, il punto cruciale della relazione va principalmente individuato nell'auspicio che alla Commissione europea sia assegnato, nelle riunioni e nell'iter decisionale delle autorità di vigilanza, un ruolo di osservatore piuttosto che di attore di rilievo.
Insomma, il nostro impegno nasce da un principio fondamentale: mi sento libero se sono prigioniero delle leggi. Questa è la ragione per la quale le costituende autorità di vigilanza devono avere il massimo di indipendenza, così come viene auspicato. In ciò la politica non deve entrare (alludo alla politica maneggiona ed invadente, a quella che vuole condizionare).
È significativo anche il riferimento, molto concreto, alla scelta delle persone e allo spirito con cui esse dovranno operare. Non è più il tempo di guardare con invidia i funzionari e il personale che gli altri Stati membri inviano alle riunioni degli organismi comunitari: tutta gente efficiente, preparata e capace, che occupa il proprio posto per effettivi meriti, per competenza e perché in grado di ben rappresentare gli interessi alla cura dei quali è stata preposta. Esattamente il contrario di ciò che molte volte si fa - ahimè! - nel nostro Paese, dove i posti di responsabilità sono assegnati a persone che più sono incapaci, più sono funzionali al «capo», meno sono dotate di intelletto, meno sono autonome, indipendenti, capaci e competenti e più facilmente si piegano ai condizionamenti esterni della politica (che, naturalmente, possono manipolare e fuorviare il percorso che i soggetti prescelti dovrebbero seguire all'interno delle istituzioni nelle quali sono chiamati ad operare).
Ecco perché difendiamo a spada tratta l'autonomia della magistratura. Ecco perché, a spada tratta, vogliamo che sia totale l'indipendenza degli organi che esercitano funzioni tecniche. Noi politici dobbiamo intervenire, quando voi tecnici ci segnalate che qualcosa è in corto circuito, che qualcosa non funziona, per approvare provvedimenti legislativi che vi aiutino a far funzionare meglio il sistema.
Non mi dilungo, anche perché vedo che la Consob consiglia, per le procedure di nomina, componenti che dovranno garantire la massima indipendenza, nonché un elevato livello di competenza e di esperienza.
Insomma, sono molti gli spunti provenienti da queste audizioni che riscuotono il nostro apprezzamento. Alcuni ce li ha offerti ieri Bankitalia. Ce ne ha forniti di consimili la Consob nell'audizione odierna e immagino che anche l'Isvap, nell'audizione che avrà luogo domani, avrà modo di portare un contributo altrettanto pregevole a questa Commissione. Ci serviranno per migliorare, per essere più utili


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ai cittadini, per cercare davvero di difendere efficacemente, in definitiva, gli utenti finali dei servizi finanziari.

IVANO STRIZZOLO. Signor presidente, mi associo al ringraziamento, veramente convinto e non formale, per l'esposizione fatta dal presidente Cardia.
È evidente che la Consob rappresenta un'autorità neutrale e indipendente. In quanto tale, essa espone le proprie valutazioni in maniera appropriata e dettagliata. Nulla vieta, tuttavia, a noi che siamo attori politici, di cogliere spunti e svolgere riflessioni che inevitabilmente hanno, appunto, carattere politico.
Alla relazione - come ha ricordato anche il nostro capogruppo Fluvi - è sottesa una raccomandazione di fondo: operare affinché intervenga, a livello europeo e comunitario, un vero e serio rafforzamento dell'attività di armonizzazione delle normative e delle prassi, dal punto di vista dei meccanismi autorizzatori e di vigilanza, ma soprattutto a livello sanzionatorio.
È inoltre evidente come la sua esposizione, presidente Cardia, presupponga un rafforzamento complessivo, non soltanto sotto il profilo tecnico-giuridico, delle strutture dell'Unione europea che sono chiamate ad operare in un settore complesso e delicato. È significativa, da questo punto di vista, la sostanziale condivisione per il lavoro svolto dal gruppo presieduto da de Larosière, mediante il quale si è cercato di rimediare alle insufficienze palesate, in occasione della crisi, dalla cosiddetta procedura Lamfalussy.
Il rafforzamento del ruolo della vigilanza a livello europeo, perseguito attraverso l'istituzione delle nuove autorità, è condivisibile. Registriamo, tuttavia, come nel nostro Paese - in particolare, quando si tratta di intervenire nel delicatissimo settore dei servizi finanziari - venga spesso manifestata, negli ambienti politici, una certa insofferenza rispetto alla necessità di fare riferimento alle autorità europee e, conseguentemente, di improntare a criteri di maggiore armonizzazione la disciplina dei predetti servizi.
Le considerazioni che ho appena svolto mi inducono a porre una domanda che, se vogliamo, è banale. La introduco riproponendo una preoccupazione già espressa dal collega Fluvi, alla quale accenna anche la relazione laddove mette giustamente in evidenza il rischio che, superato il momento più drammatico della crisi, alcuni segnali di ripresa, sia pure tenui, possano determinare un affievolimento dell'impegno ad andare verso la definizione delle nuove regole di dimensione europea.
Ebbene, anche in considerazione del fatto che viene citata, giustamente, la necessità di un'integrazione del testo del Trattato, vorrei sapere se lei, presidente Cardia, giudichi idonea la tempistica che oggi viene ipotizzata per realizzare l'armonizzazione della regolamentazione in materia di vigilanza, tenendo altresì conto che - senza voler citare Obama, come spesso ci viene rimproverato - potrebbero verificarsi di nuovo situazioni critiche. Chiedo, dunque, se tale tempistica sia adeguata e congrua rispetto alle nuove situazioni di difficoltà che potrebbero intaccare la trasparenza e la stabilità dei mercati finanziari.

ALESSANDRO PAGANO. La sua presenza, presidente Cardia, ci offre un'interessante occasione di confronto, nonché la possibilità concreta di aprire una finestra sui problemi reali della finanza e sul modo in cui l'Authority li sta materialmente gestendo.
Nutrivo alcune perplessità e, francamente, anche alcune preoccupazioni in merito al modo in cui si stava sviluppando l'azione volta a riformare il quadro europeo di vigilanza finanziaria. Dopo averla ascoltata, presidente, le mie preoccupazioni sono aumentate, né penso che lei possa fugarle. La sua autorevole relazione pone, infatti, tanti quesiti che, probabilmente, non hanno ancora trovato risposta; e se una soluzione non è stata ancora individuata al livello più elevato, si può immaginare quale possa essere il grado di serenità a un livello più basso.
Comunque, dal momento che il problema esiste, abbiamo il dovere di essere


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il più possibile attenti e, soprattutto, di cercare di intuire gli scenari futuri.
Personalmente, ritengo, in primo luogo, che si stia perdendo troppo tempo.
In materia di vigilanza sui mercati finanziari ogni giorno che passa è un giorno assolutamente perso. Mi pare stia passando il messaggio secondo il quale, tutto sommato, superata la fase più acuta della crisi, la situazione sta tornando alla normalità. Il messaggio mediatico, a un certo livello, è quello di essere sereni, di mantenere la tranquillità, di cercare di nutrire e infondere fiducia. Ciò è comprensibile: ci mancherebbe altro! Tuttavia, sappiamo bene che la crisi è strutturale e durerà anni. Quindi, il tema è: ogni giorno che si perde, in materia di controllo e di vigilanza, potrebbe far diventare i furbi ancor più baldanzosi, mentre i soggetti in buona fede resterebbero privi di più efficaci regole di salvaguardia e di più sicuri binari lungo i quali muoversi.
Quella che ho espresso è una preoccupazione oggettiva, ma vi è anche dell'altro.
Mi pare di cogliere una burocratizzazione eccessiva, oserei dire quasi autoreferenziale: come se tutti avessero immaginato la nuova architettura per mettersi a posto. In realtà, le condizioni per un controllo vero e autentico mi sembrano assolutamente lontane. Più che l'indipendenza dalla politica, sarebbe auspicabile che la riforma garantisse innanzitutto l'efficienza del sistema di vigilanza finanziaria.
Mi chiedo, peraltro, rispetto a quali Stati o a quali sistemi tale indipendenza possa essere conseguita. Se deve farsi riferimento a un'indipendenza vera, oggettiva, nobile, non mi pare di avere colto, in generale, ma anche nella sua relazione, presidente Cardia, indicazioni incoraggianti. Temiamo, insomma, che il rischio sia eccessivo. E la prova concreta che il nostro timore è fondato è offerta proprio da quanto è stato affermato con riferimento all'aspetto fiscale. Infatti, l'estensione che sarà data in concreto al principio di responsabilità erariale è tutta da definire. Ciò mi fa capire che alcuni Stati conserveranno margini di manovra eccessivi rispetto ad altri. Ma è lecito parlare di indipendenza se non la si immagina a tutto tondo? Già questo aspetto mi pare emblematico.
Meno problematico mi sembra il profilo della tutela del risparmiatore, che, tuttavia, è certamente da definire meglio.
Inoltre, mi chiedo come l'Authority si ponga all'interno di tale contesto. È indispensabile una riforma, poiché rileviamo un eccessivo numero di commissari e una disomogeneità percepibile. Le durate, poi, sono assolutamente insostenibili, nel senso che bisognerebbe immaginare qualcosa di diverso.
Se vogliamo, si coglie anche un'indipendenza eccessiva rispetto al Parlamento. A tale proposito, mi permetto di portare ad esempio quanto è avvenuto in materia di Sicav e di fondi lussemburghesi. Non vorrei andare fuori tema, però penso che possiamo approfittare della presenza di una persona come lei, presidente Cardia, che tutti stimiamo e consideriamo super partes, per affrontare anche una questione specifica di competenza della Consob.
Ebbene, quando ha espresso il proprio parere favorevole sullo schema di decreto legislativo recante modifiche al testo unico della finanza ed al decreto legislativo n. 164 del 2007, di attuazione della direttiva 2004/39/CE, relativa ai mercati degli strumenti finanziari, questa Commissione ha invitato il Governo a valutare l'opportunità di modificare gli articoli 113-bis e 113-ter del TUF, relativi alle modalità di pubblicazione del prospetto e delle informazioni che devono essere diffuse al pubblico dagli emittenti quotati, prevedendo la pubblicazione di tali informazioni su almeno un quotidiano a diffusione nazionale.
Tuttavia, la Consob ha espresso un avviso contrario. Quindi, i fondi italiani, da fine novembre, avranno l'obbligo di pubblicare sui giornali le anzidette informazioni, che non varrà, invece, per Sicav e fondi lussemburghesi. Forse ho capito male e, in tal caso, sarò sicuramente tranquillizzato dalle sue autorevoli parole, presidente; se, invece, l'orientamento di cui ho detto è confermato, allora esso


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risulta difforme rispetto a quanto la Commissione aveva stabilito. Lo dico senza spirito polemico, per dare un contributo positivo e anche perché non vorrei che pensassimo all'alta vigilanza quando poi, in casa nostra, abbiamo difficoltà di quest'ordine.

LAMBERTO CARDIA, Presidente della Consob. La considero un'ottima domanda, come peraltro tutte quelle che sono state poste.

COSIMO VENTUCCI. Mi associo ai ringraziamenti rivolti al presidente Cardia per la puntuale relazione.
Nella sua esposizione, il presidente ha svolto considerazioni di natura tecnica, riferite a un settore oltremodo delicato, che involge aspetti di comunicazione ed è sensibile ai «sussurri» della Borsa, ma ha anche espresso preoccupazioni, soprattutto riguardo alla tempistica di una regolamentazione armonizzata del sistema europeo di vigilanza finanziaria.
Condivido le domande poste colleghi, ma mi ha colpito, in particolare, la prima parte della relazione, laddove si fa cenno a un aspetto che ritengo di natura culturale.
Lei afferma, presidente - e anch'io ne sono pienamente convinto -, che la crisi finanziaria si è potuta propagare anche grazie all'influenza esercitata, sul piano regolamentare, dalla cultura giuridica che ha la sua matrice nel common law.
Le domando, quindi, come sia possibile elaborare nuove regole armonizzate che non abbiano rilevanza solamente europea (nell'insieme del discorso, un limite di questo tipo costituirebbe una sorta di capitis deminutio).
Occorre considerare che parliamo, innanzitutto, di ventisette Paesi e di una Unione europea la quale ha costruito, finora, soltanto una metà dei tre pilastri progettati (è stato realizzato quello del mercato comune ed è stato abbozzato quello della moneta comune, che, però, non può dirsi assolutamente completato). Guardando al di là dei confini dell'Europa, mi chiedo come si possa fronteggiare la crisi in presenza della evidenziata eterogeneità culturale tra Paesi dell'Europa e, soprattutto, tra l'Europa e quella parte del mondo che ha causato i guai con i quali tutti siamo costretti a fare i conti.
Se trascuriamo il problema, tutto quello che stiamo facendo rischia di rivelarsi insufficiente - come mi pare accenni anche lei, presidente Cardia - avendo riguardo tanto al numero delle nuove autorità quanto alla complessiva riorganizzazione del sistema di vigilanza.
Queste considerazioni, che meritano di essere approfondite, colgono un aspetto estremamente delicato, che lei, presidente, ha avuto il coraggio di mettere per iscritto e di segnalare a questa Commissione.

IGNAZIO MESSINA. Signor presidente, anch'io mi associo ai ringraziamenti espressi al presidente Cardia per il contributo offerto a questa Commissione, anche se, come osservato già da qualche collega, la relazione lascia più dubbi che certezze e rappresenta quindi, più che un chiarimento, uno stimolo ad approfondire le problematiche evidenziate.
Credo che il sistema di vigilanza finanziaria abbia dimostrato, sino ad oggi, una carenza sostanziale, tanto è vero che si tenta di riformarlo. Certamente, il sistema economico è precipitato in una crisi che la vigilanza, esercitata probabilmente in maniera inefficace, non è stata in grado di prevenire. In definitiva, vigilare ha un senso non soltanto nella fase sanzionatoria, ma anche nella fase di prevenzione. Se si interviene quando l'evento dannoso si è già verificato, si applica la sanzione, che sarà temuta da chi potrebbe commettere violazioni analoghe a quelle punite, ma, di fatto, non si limita il danno subito dagli investitori, la cui tutela mi è sembrata costituire, invece, il motivo conduttore della sua esposizione, presidente Cardia.
Mi sembra che la relazione evidenzi (a parte la tardività, sulla quale tornerò più avanti) la presenza, nell'attuale proposta di riforma, di eccessivi elementi di burocratizzazione.
Vorrei capire, presidente, se un sistema fondato su cinque nuovi organismi consenta


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di raggiungere l'obiettivo prefissato, cioè la tutela degli investitori, ovvero se, al contrario, non rischi di confondere maggiormente le cose, a danno degli investitori e a tutela, paradossalmente, di coloro i quali, invece, hanno contribuito a creare la crisi.
I nodi sono i seguenti: le regole condivise, un codice uguale per tutti e l'applicazione delle sanzioni.
A mio avviso, l'iniziativa è tardiva: la riforma del sistema europeo di vigilanza finanziaria avrebbe avuto un senso se fosse stata realizzata tempestivamente.
Lei, presidente, evidenziava anche una carenza di formazione, alludendo, probabilmente, a una scelta delle persone svincolata dalla politica e, quindi, improntata a criteri di indipendenza. Su ciò non si possono nutrire dubbi, poiché non si può fare della vigilanza un fatto, per così dire, «colorato»: la funzione di vigilanza deve essere esercitata in modo oggettivo e nell'interesse di tutti, indipendentemente dal colore politico di chi la svolge. A tale proposito ha segnalato, presidente Cardia, come abbia avuto modo di constatare, partecipando a riunioni internazionali, che i nostri rappresentanti risultano meno preparati degli altri. Ebbene, questo aspetto dovrebbe essere affrontato in via preventiva, non successiva. L'affrancamento da ogni condizionamento politico è essenziale.
Poiché molto è già stato detto, concludo il mio intervento ponendo una domanda che è, probabilmente, banale. A me sembra - lo dico, però, senza avere particolarmente approfondito la sua analisi, presidente - che la revisione del sistema europeo di vigilanza finanziaria sia utile non tanto per risolvere il problema, quanto per dimostrare agli investitori che si sta facendo qualcosa, che ci si sta adoperando per evitare loro un danno eccessivo. Ebbene, mi chiedo se sia effettivamente proficua una riforma probabilmente troppo complessa, di cui non si conoscono i contenuti ma solo l'impalcatura di carattere generale, ovvero se non sia sufficiente applicare le regole vigenti in maniera seria e competente.
Le domando, presidente, se un controllo preventivo, attuato in base alle regole esistenti, avrebbe potuto impedire la crisi di sistema.
Concludo ribadendo che, a mio avviso, la riforma, sostanzialmente tardiva, vuole puntare a cambiare tutto per non cambiare niente, dopo che sarà stata data in pasto agli investitori l'immagine di un sistema che cerca di tutelarli ma che, di fatto, finisce per danneggiarli.

PRESIDENTE. Se non vi sono altri interventi, desidero porre, innanzitutto, una domanda che investe l'impianto complessivo della riforma.
Premesso che sono sempre stato un europeista convinto (anche se, negli ultimi tempi, comincio a nutrire fortissimi dubbi sull'utilità dell'Unione europea), mi è ritornata alla mente, mentre ascoltavo i colleghi, la barzelletta del vecchio e della montagna (in seguito, magari, la racconterò).
Ho avuto la netta impressione che, quando sono stati avvertiti i prodromi della crisi, tutti abbiano aperto l'ombrello e aspettato che passasse. In sostanza l'agenda l'hanno gestita i media: finché si è «tenuto caldo» il tema sui giornali, se n'è parlato, se n'è discusso e sono stati anche pubblicati tantissimi saggi su quanto era successo e su quello che stava accadendo. Nessuno, tuttavia, si è cimentato nel compito di indicare cosa si dovesse fare per il futuro (anche quello meno lontano). Si è ragionato, nel pieno della crisi, di un coordinamento fra gli Stati Uniti, l'Inghilterra e l'Eurozona. Poi, quando ci siamo progressivamente allontanati dal momento più acuto della crisi, tutti i focus, le idee e le necessità che erano state rappresentate sono stati abbandonati.
Il gruppo presieduto da de Larosière ha presentato alla Commissione europea una proposta di revisione del sistema di vigilanza finanziaria all'interno della quale lei stesso, presidente Cardia, ha individuato elementi di eccessiva burocratizzazione.
Su un punto concordo pienamente con le analisi dei colleghi: non sembra sia stata


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trovata l'idea per mettere fine a un'anarchia finanziaria che persiste e che è stata obiettivamente osservata anche nel corso dell'ultimo periodo. Le chiedo quindi, presidente, a cosa servano, alla fine, tutte queste strutture di vigilanza.
Espongo un'ulteriore valutazione. Una volta c'era poca televisione, non c'erano i telefoni portatili e quello che succedeva in Parlamento era noto a pochi. Oggi, invece, per un eccesso forse di comunicazione, avviene che i parlamentari molto spesso apprendano dai giornali quello che succederà o si farà nei giorni successivi. Insomma, si ha poca cognizione di come maturino certi avvenimenti. Le chiedo, presidente Cardia, se il sistema di vigilanza finanziaria non si trovi in una condizione analoga, ovverosia se le autorità, vale a dire le persone che hanno determinate competenze e che, di conseguenza, dovrebbero mettere mano agli interventi preventivi come alle riforme, non vengano a sapere come si sono sviluppati certi fenomeni solo dopo che questi si sono verificati. In altre parole, si apre l'ombrello perché ci si accorge che sta piovendo e non si porta l'ombrello da casa in quanto si è in grado di prevedere che la pioggia è in arrivo.
Al di là della composizione degli organismi di vigilanza, che è anche sintomo dell'eccessiva influenza della tecnocrazia burocratica in Europa - ne parleremo subito dopo -, riceviamo riscontri veramente sconcertanti quando formuliamo osservazioni rispetto alle decisioni prese: purtroppo - questo è, più o meno, il tenore delle risposte - non si è raggiunto un accordo, e quanto deciso era il massimo che era possibile fare.
Orbene, se la creazione di una struttura di vigilanza finanziaria più complicata della precedente è il massimo che possiamo fare, le chiedo, presidente, cosa si possa fare per evitare di dover fare i conti con una nuova situazione di crisi. Le domando, in altre parole, se sia possibile individuare metodologie diverse, anche perché la Commissione europea intende accelerare i tempi di realizzazione del quadro rafforzato di vigilanza finanziaria dell'UE. Si era parlato di un orizzonte temporale al 2015, che adesso viene anticipato al 2010, ma rimane tutto esattamente com'era: le autorità rimangono le stesse, i componenti sono i soliti e si aggiungono due comitati che sono, sostanzialmente, la summa dei governatori delle banche e la summa dei rappresentanti nelle varie autorità. Mi chiedo dove sia la novità e se vi fosse bisogno di questo. Insomma, bastava telefonarsi, chiamarsi, un po' com'è successo in altri tempi di crisi, e vedere assieme cosa fare.
Dopo quello che è avvenuto, mi chiedo, altresì, se sia possibile che la politica debba intervenire sempre dopo e non abbia mai consigli per prevenire nuove situazioni negative.
In generale, la politica è chiamata a decidere, e lo ha fatto, poiché le decisioni vere, quelle importanti, che hanno portato al coordinamento, sono state prese a livello di G8, G20, G24 e, oggi, G30. Tuttavia, ciò avviene sempre dopo. Si studiano e si prospettano le diverse soluzioni ma, in definitiva, basterebbe organizzare un convegno di tanto in tanto: la politica può essere informata delle necessità anche senza mettere in piedi enormi strutture burocratiche che non portano da nessuna parte. Gradirei una sua valutazione al riguardo, presidente Cardia, anche se, in sostanza, ce l'ha già data quando ha fatto riferimento al rischio di un'eccessiva burocratizzazione.
Alla fine di questo ciclo di audizioni, infatti, inviteremo il Governo ad assumere specifiche iniziative nelle competenti sedi decisionali comunitarie, sperando che stavolta il nostro impegno sia premiato. Poiché la Commissione europea presenterà le proprie proposte normative il 23 settembre, cercheremo di manifestare per tempo i nostri orientamenti in merito alla nuova architettura del sistema europeo di vigilanza. Potremo assumerci, in tal modo, una responsabilità che compete al Parlamento nazionale, anche se il documento finale che approveremo potrebbe non avere - anzi, sicuramente non avrà - alcun seguito. Sotto il profilo anche culturale, comunque, potremo dire la nostra,


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lasciando che poi si decida come meglio si riterrà. D'altronde, occorre anche considerare che nei costituendi organismi di tipo assembleare, di cui faranno parte sessanta componenti (quasi lo stesso numero di una nostra assemblea regionale), confluiranno diverse sensibilità, sulla base delle quali non si addiverrà alla predisposizione di una normativa condivisa, bensì alla formulazione di mere raccomandazioni, che si potrebbero fare anche telefonicamente, senza mettere in piedi istituzioni che costano e che richiedono indipendenza. Mi domando, peraltro, cosa giustifichi questa continua richiesta di indipendenza, anche finanziaria: non mi pare che esista un interlocutore in grado di impedire alle autorità di vigilare.
Ho l'impressione che il ritardo della politica sia ancora più rimarchevole di quello delle istituzioni finanziarie: in fondo, bastava leggere l'andamento degli indici borsistici per capire dove stavamo andando. Tuttavia, la politica ha i suoi tempi e, a volte, impiega settimane, mesi o addirittura anni per fornire soluzioni.
Oggi possiamo cominciare a lavorare per il futuro. Lei, presidente Cardia, ci ha indicato la necessità di costituire le autorità per finalità. Le chiedo cos'altro dovremmo fare.

LAMBERTO CARDIA, Presidente della Consob. Spero di poter rispondere alle domande, che hanno tutte una specifica rilevanza.
Pur ribadendo il grandissimo rispetto che nutro da sempre per il Parlamento e per le autorità costituite, non sono fra coloro che si esprimono in un certo modo per compiacere il consesso al cospetto del quale si trovano. Ebbene, molte delle domande che mi sono state rivolte me le sono poste anch'io. Mi ha fatto molto piacere, quindi, ascoltare un dibattito che mi ha soddisfatto moltissimo, poiché in esso sono stati affrontati tutti gli aspetti delicati dell'ipotesi di riforma del sistema europeo di vigilanza finanziaria.
Spero che al termine di questa replica, quando mi presenterò alla prossima riunione delle autorità dei 27 Paesi dell'Unione europea, o a quella dei Paesi di ogni parte del mondo aderenti all'Organizzazione internazionale delle autorità di controllo dei mercati finanziari, non mi caccino via a furor di popolo.
Certamente, tra le mie convinzioni può esservi anche un particolare apprezzamento nei confronti di società che hanno pregi grandissimi, ma che non è detto non abbiano anche difetti.
Ciò premesso, in linea di principio, voglio dire che la Consob si è ripetutamente battuta per ottenere che fossero stabilite regole certe e uguali per tutti, da tutti ugualmente rispettate e applicate. Non voglio sostenere che la nostra sia stata una vox clamans in deserto, poiché abbiamo trovato alcune corrispondenze; comunque, per molto tempo non siamo riusciti a conseguire il risultato di una certa uniformità di regolamentazione, che è arrivato solo quando avevamo, per così dire, l'acqua alla gola.
Si percepiva da tempo, infatti, la difficoltà di realizzare una convergenza tra una normativa basata sul sistema del common law - fondamentalmente in uso nel Regno Unito, negli Stati Uniti, in Australia e anche in Canada - e quella basata sul diverso sistema del civil law, in uso in Italia. Personalmente, considero ciò un difetto; molti altri, invece, hanno dato un assenso entusiasta all'adozione del primo sistema, adducendo a sostegno della tesi secondo la quale era questa la linea da seguire l'argomento dell'assoluta prevalenza della lingua inglese quando si parla di finanza. Eppure, in una riunione organizzata anche per iniziativa della Consob, i rappresentanti dei Paesi del Nord Africa hanno accettato di partecipare a condizione che fosse data loro la possibilità di esprimersi nella propria lingua.
Può sembrare un aspetto di poca rilevanza, ma l'enorme diffusione della lingua inglese e della normazione di origine anglosassone (dato rispetto al quale, allo stato attuale, non ritengo assolutamente si possa tornare indietro) ha determinato una prevalenza di regole e di interessi che non erano molto vicini a quelli dei Paesi con tradizione di civil law. Dal mio punto


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di vista, potrei definirlo un difetto di base, anche se, probabilmente, il professor Spaventa obietterebbe che sono in errore (lo dico con rispetto e anche con amicizia nei confronti di Luigi Spaventa).
La Consob, ribadisco, ha sostenuto più volte - l'ho ripetuto anche negli incontri annuali con il mercato - che occorre avere norme uguali per tutti, da tutti ugualmente applicate.
Tuttavia, quando la fonte normativa comunitaria è la direttiva, già il recepimento della stessa negli ordinamenti nazionali può assumere fattezze notevolmente diverse; l'applicazione, poi, finisce per essere ancora più variegata. È stato qui citato, come esempio particolarmente negativo, il recepimento della direttiva OPA. Ebbene, si tratta di una delle direttive meno felici fra quelle che sono state approvate, che per di più è stata recepita in modi difformi nelle normative nazionali.
Cito un caso che mi è rimasto impresso, accaduto nel 2007. Due grandi enti nazionali erano stati interpellati dall'Autorità di vigilanza francese, alla quale avrebbero dovuto fornire notizie sulle loro eventuali intenzioni, per i successivi sei mesi, di scalare società francesi o anche soltanto di acquisire in esse partecipazioni.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE COSIMO VENTUCCI

LAMBERTO CARDIA, Presidente della Consob. I presidenti di entrambi gli enti si sono rivolti alla Consob, chiedendo come fosse possibile che l'autorità francese li avesse interpellati circa eventuali intenzioni di lanciare o meno un'OPA, ad esempio - faccio un nome a caso e, quindi, non si tratta di un'indicazione specifica - su Gaz de France. Ebbene, ho preso contatto con il presidente dell'Autorità francese, il quale mi ha risposto che, sebbene la direttiva OPA debba essere applicata ovunque, in Francia è stata emanata una regolamentazione aggiuntiva, in base alla quale se l'Autorità di vigilanza ritiene, anche soltanto sulla base di rumors, che una società intenda intraprendere operazioni di mercato nei confronti di un'altra, può interpellarla direttamente e la società interpellata ha l'obbligo di esplicitare subito le proprie intenzioni. Quando ho fatto notare che non si può obbligare una società italiana a rispondere a una richiesta francese - perché non vi è alcuna norma che preveda tale obbligo - mi è stato risposto che, ciò nonostante, se la società italiana non avesse risposto, per sei mesi non avrebbe potuto effettuare operazioni aventi ad oggetto titoli della società per la quale si era ipotizzato un interesse.
Ho richiamato la vicenda perché essa dimostra in maniera emblematica come la direttiva OPA sia stata recepita in modo diverso nei singoli Paesi membri e, inoltre, sia stata applicata in modo ancora più differenziato. Di fatto dunque l'armonizzazione in materia non esiste.
Mi è stato chiesto se alcune norme specifiche in materia di offerte pubbliche di acquisto, di durata prevedibilmente limitata in quanto emanate in un momento particolarmente difficile, siano destinate a permanere. Ebbene, ho già rappresentato al Governo e al Parlamento che, in un momento di grande difficoltà, in cui il valore delle azioni poteva diminuire moltissimo (com'è avvenuto), poteva essere opportuno, per difendere i nostri beni e le nostre società, specialmente quelle di maggiore valenza strategica, stabilire alcune norme di maggior tutela, che - a mio parere - hanno sortito risultati positivi.
Nel momento stesso in cui la progressione virtuosa si stabilizzerà, il Parlamento potrà deliberare che tali norme difensive abbiano una determinata vigenza temporale, oppure stabilire che si potrà fare ricorso a una normativa speciale soltanto nei momenti di particolare crisi.
Tutto ciò per dire che occorre flessibilità, che la normativa deve essere adattata ai tempi.
Per quanto riguarda gli organismi di vigilanza, resto personalmente dell'idea che sia necessario giungere - come ho sempre affermato - a una bipartizione per finalità, perché questa consentirebbe di


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concentrare normative, responsabilità ed esperienze, nonché di fronteggiare in maniera più idonea le situazioni di difficoltà che dovessero prodursi sia all'interno sia all'esterno del sistema di vigilanza. Si tratta di una mia convinzione, forse non da tutti condivisa; l'ho sempre affermata e non ho motivo per abbandonarla.
Per quanto riguarda l'interesse degli investitori e la sua costituzionalizzazione nel Trattato, tematica sulla quale si è soffermato l'onorevole Contento, le autorità di vigilanza, presenti in tutti i Paesi, non sono state in grado di prevedere la crisi per vari motivi: in primis, perché la stessa si è sviluppata all'esterno dell'Europa e ha dato luogo a un'invasione di prodotti finanziari che hanno messo in difficoltà l'intero globo.
L'ingente indebitamento su cui si fondava l'elevato tenore di vita di un Paese era stato esportato - diciamo così - mediante strumenti finanziari che, per la parte meno trasparente e di peggiore qualità, sono stati veicolati attraverso Paesi che fungevano da centri di smistamento (tra questi rientrano certamente l'Irlanda, il Lussemburgo e lo stesso Regno Unito). Così si è innescata l'esplosione che ha travolto tutti. Sarebbe stato possibile prevederla, a mio avviso, qualora fosse stata realizzata, prima che la deflagrazione si verificasse, una convergenza dalla quale fossero scaturite regole puntuali, uguali per tutti e generalmente applicate.
Probabilmente, non si riuscirà mai a stabilire regole siffatte, o comunque si tratta di sviluppi di lungo periodo.
L'Europa, tuttavia, può veramente far valere, oggi, la propria voce. L'Europa può darsi una normativa attraverso lo strumento del regolamento, che è immediatamente applicabile e non può vedere alterato il proprio contenuto a livello dei singoli Stati membri, come avviene, invece, quando si tratta di recepire direttive. Questo principio potrebbe essere tenuto nella massima considerazione, per lo meno dal mio punto di vista.
Per quanto riguarda l'indipendenza delle autorità di vigilanza, ritengo che essa debba essere assicurata sia in ambito nazionale sia, a maggior ragione, nei più ampi contesti europeo e mondiale. Se gli organismi di vigilanza sono finanziati da un centro, che può essere anche l'Unione Europea, la Commissione o un altro ancora (ad esempio, anche i Parlamenti nazionali, ove decidano di finanziare certe attività), si rischia di mettere in una posizione di soggezione coloro che devono svolgere tale attività. Di fatto, si può soffocare un'autorità diminuendo i mezzi a sua disposizione o anche individuando mezzi soltanto per finalità specifiche.
Da questo punto di vista, ritengo quindi che le autorità di vigilanza non debbano essere soggette ad organismi che possano scegliere come e quanto finanziare, oppure stabilire che il personale risponde direttamente non alle singole autorità, bensì a un potere centrale. Se si crede che un potere centrale debba esistere, lo si istituisca modificando il Trattato, com'è avvenuto per la Banca centrale europea: quando un organo è istituzionalizzato, ciascuno sa ciò che può fare, ciò che non può fare e ciò che è obbligato a fare. Se, viceversa, le dimensioni del sistema europeo di vigilanza devono rimanere quelle proposte dal gruppo de Larosière - che sono comunque degne di considerazione -, ritengo che il percorso sia piuttosto complesso e di lungo periodo.
Le modifiche, come ho precisato sin dall'inizio, sono necessarie: stare fermi per un ulteriore anno significherebbe correre il rischio, passato l'entusiasmo di fare, di ricadere nella situazione pregressa: sarebbe quanto di peggio possa accadere.
Non è questione di dare la parvenza di operare: si deve operare concretamente, perché soltanto in questo modo si arriverà a costituire un sistema in cui ciascuno saprà ciò che dovrà fare. Specialmente nel campo transfrontaliero, non può avvenire che siano vendute obbligazioni in un Paese senza che le stesse possano essere sottoposte alla normativa di vigilanza ivi vigente (ad esempio, non è accettabile che possano essere vendute in Italia obbligazioni emesse, magari, negli Stati Uniti e che i compratori italiani, come in qualche caso abbiamo avuto occasione di constatare


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si trovino in uno stato di soggezione rispetto a decisioni assunte all'estero, sulla base di norme diverse da quelle vigenti nel nostro Paese).
Quindi, è necessaria una normativa prevalente, uguale per tutti e da tutti tempestivamente ed ugualmente applicata: questo è ciò che la crisi ci ha insegnato.
La mancanza di norme cogenti - più volte segnalata dalla Consob, anche con molta determinazione, in campo nazionale e internazionale - ha consentito di utilizzare e diffondere con facilità prodotti finanziari che negli Stati Uniti (ma non solo lì) erano nati in un certo modo e che, invece, quando sono arrivati da noi, si sono dimostrati privi di valore.
Venendo al rapporto tra sistema europeo di vigilanza e autorità nazionali, rimango dell'idea che le funzioni proprie dell'organismo indicato nel rapporto de Larosière debbano essere ben delimitate, in modo da lasciare alle autorità nazionali l'indipendenza necessaria per operare nel proprio Paese. Ciò non per poter proclamare la mancanza di soggezione nei confronti di altri, quanto per il semplice fatto che ogni Paese ha specifiche normative fiscali, penali e giudiziarie.
In concreto, potremmo trovarci a sanzionare un soggetto per violazione della normativa vigente, ad esempio, nel Regno Unito. In tale Paese, la Financial services authority ha funzioni di carattere penale. Noi, invece, abbiamo soltanto un rapporto molto buono con l'autorità giudiziaria (che si è andato affinando, a partire dal 2001, anche grazie a normative che sono state progressivamente potenziate e migliorate), con la quale ci scambiamo segnalazioni aventi ad oggetto fatti ritenuti meritevoli di attenzione. Orbene, come dicevo, l'indipendenza è necessaria non soltanto per operare correttamente e senza soggezione ad altri, ma anche per fare funzionare il sistema nell'ambito di ciascun Paese. Diversamente, nell'affrontare, ad esempio, situazioni riguardanti il settore fiscale (che, peraltro, è stato messo sul tappeto per soddisfare l'interesse del Regno Unito) oppure, ancora peggio, di rilevanza penale, potremmo trovarci in situazioni inaccettabili. La nostra autorità giudiziaria, infatti, non potrebbe certo applicare norme cogenti di un altro Paese: sarebbe assolutamente impossibile.
L'onorevole Strizzolo mi domanda se la tempistica sia idonea. Quella indicata nel rapporto de Larosière è piuttosto lunga, anche se, attualmente, si pensa di accorciare l'itinerario di marcia attuando il progetto in due periodi anziché in tre.
Non sono in grado di indicare cosa togliere o cosa aggiungere, ma lo snellimento degli organismi di vigilanza sarebbe, secondo me, un beneficio per tutti.
Avendo riguardo alle finalità, piuttosto che agli strumenti o all'organizzazione (perché per far ciò occorre tempo e una struttura ad hoc; non se ne può parlare in modo superficiale o fantasioso), immaginerei una struttura snella. Gli argomenti fondamentali dovrebbero essere disciplinati da norme cogenti, introdotte con uno strumento idoneo, il regolamento, oppure con una diversa fonte normativa, fermo restando che anche in quest'ultimo caso l'applicazione delle norme dovrebbe essere verificabile sul campo. Se le normative devono essere applicate in maniera uniforme, deve esservi anche la possibilità di verificare che ciò accada. Con riferimento agli aspetti che hanno valenza finanziaria, che non sono legati a specificità del singolo Paese e che, di conseguenza, ricadono entro l'ambito della vigilanza europea, da esercitare secondo criteri uguali o equivalenti, devono esistere organismi delegati a effettuare verifiche, mediante strumenti non incompatibili con quelli dei singoli Paesi e da tutti concordati.
La costituzionalizzazione all'interno del Trattato degli obiettivi della regolamentazione e della vigilanza dei mercati mobiliari (lo stesso vale per l'inserimento della Consob nella nostra Carta costituzionale, al fine di assicurare una miglior tutela dei risparmiatori) consentirebbe di produrre normative uniformemente applicate e da tutti rispettate, stabilendo anche forme di responsabilità ed eventuali sanzioni a carico di chi dovesse disattenderle. In tal


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modo, il sistema di vigilanza si inserirebbe in un disegno che, mi sia consentito dirlo, potrebbe rappresentarsi come ideale.
Preciso che quanto ho affermato corrisponde pienamente alle mie convinzioni in proposito e, quindi, non rappresenta un tentativo di addivenire a un accordo all'interno del quadro che ci è stato prospettato. La proposta ha i suoi pregi ed ha la possibilità di essere sviluppata: potrebbe essere snellita e, inoltre, potrebbe avere come mete da perseguire il radicamento nel Trattato e, per quanto riguarda il nostro Paese, il radicamento nella Costituzione.
Questi mi sembrano i punti fondamentali.
È stato fatto un accenno alla competenza del personale, di cui ho parlato anch'io, alla composizione del comitato, alla durata in carica dei componenti.
Sulla base di una lunga esperienza, maturata non soltanto durante la mia permanenza alla presidenza della Consob, so che occorre un periodo lungo per sviluppare e affinare la capacità di valutare situazioni complesse - in relazione alle quali si ha la responsabilità di dover render conto a tutte le strutture e a tutti i soggetti che operano in un determinato settore -, nonché per cogliere la vera essenza della normativa applicabile a un determinato settore. Il Parlamento può stabilire che tale periodo debba durare cinque oppure sette anni, nel modo che ritiene più opportuno. Certamente, però, un periodo breve non consente di conseguire quell'esperienza qualificata che è richiesta per potersi assumere responsabilità di notevole rilievo (talvolta, ad esempio, abbiamo dovuto dire «no» a visioni diverse di grandi istituti bancari o, addirittura, della Banca d'Italia).
Per quanto riguarda il nostro sistema bancario, devo dire che esso ha reagito bene, perché la maturità e l'attenzione sono state, evidentemente, superiori a quelle registrate in altri Paesi. Devo aggiungere che, negli anni precedenti, la Consob, oltre ad avere espresso, come ho ricordato, valutazioni difformi rispetto a quelle dell'Istituto di via Nazionale (non credo vi siano casi analoghi nella storia del nostro Paese), ha anche effettuato ispezioni e verifiche presso numerosi istituti bancari. Questi ultimi hanno fatto tesoro dell'esperienza, nel senso che hanno potuto constatare l'esistenza di una struttura di vigilanza attenta, corretta e neutrale. Ciò ha fortificato in loro il dovere di operare bene. Infatti, anche quando è già radicato nelle convinzioni degli operatori, tale dovere può essere ulteriormente fortificato da una vigilanza veramente indipendente, rispettosa di tutti e collaborativa, che non soggiace a tentazioni omissive o di altro genere.
Tornando al tema delle persone, reputo indispensabile un esame dei requisiti di competenza dei candidati ad assumere incarichi delicati come quelli di cui ci stiamo occupando.
Sotto questo profilo, occorre tenere conto degli studi, delle esperienze, dell'attitudine e anche dell'età necessarie per affrontare responsabilità di particolare rilevanza. Senza scendere nei dettagli, è recente il caso di un'autorità giudiziaria che ha chiesto il fallimento di una società di intermediazione di grandi dimensioni. Ebbene, credo che per poter avere rapporti con l'autorità giudiziaria, correttissima in assoluto, ma anche riservata e prudente, occorre avere un background di solidità e di lunga esperienza nella valutazione delle persone e della loro competenza.
La durata in carica, pertanto, non può essere breve: non tanto per interessi personali o di chissà chi, quanto perché, oggi, non si può sostenere la responsabilità di autorità rilevanti (non parlo solo della Consob) senza che sia prevista una adeguata permanenza in carica degli organi di vertice, necessaria dapprima per maturare e poi per esercitare appieno e nel modo più idoneo le proprie competenze.
La scelta delle persone, nella quale il Parlamento è parte non indifferente, anche quando esprime soltanto il proprio parere, deve essere effettuata valutando la sussistenza di tutti i requisiti necessari per svolgere al meglio compiti tanto delicati.
Queste sono le mie opinioni personali.


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Per quanto riguarda il futuro, sono fiducioso: risultati migliori verranno. Vi è bisogno, come ho già detto, di una convergenza, di una forte volontà politica. Se le forze politiche riusciranno a snellire - magari progressivamente, altrimenti si potrebbe dare l'impressione di attuare un depotenziamento - i previsti apparati, in modo che i componenti possano passare da sessanta a ventisette o ventotto (non mi riferisco a un organismo specifico), sono convinto che si possa giungere ai risultati auspicati.
Occorre una struttura snella e con competenze precise, tra le quali la possibilità di verificare che le norme stabilite siano attuate da tutti, che i criteri siano equivalenti per tutti e che le sanzioni siano ugualmente applicabili nei confronti di tutti. Inoltre, una finalità non deve essere avvantaggiata rispetto all'altra. Entrambe sono necessarie: in alcune situazioni, la verifica della stabilità è dovuta andare di pari passo con la verifica della trasparenza e correttezza. Mi riferisco all'agosto del 2007, momento in cui le situazioni di difficoltà esplodevano una dietro l'altra. Proprio il corretto equilibrio tra l'attività di vigilanza per la salvaguardia della stabilità e quella per la salvaguardia della correttezza e della trasparenza ha consentito al nostro Paese di far fronte alla crisi in modo assolutamente proficuo.
Avendo risposto a braccio, non so se abbia risposto a tutte le domande. Confermo un grande apprezzamento per il dibattito svoltosi, che è stato ricco e approfondito. Rimango comunque disponibile a fornire più precise risposte per iscritto, relative ad aspetti specifici o a domande rimaste eventualmente senza risposta, pregando naturalmente la presidenza di avere un po' di comprensione per quanto riguarda i tempi.

PRESIDENTE. Mi pare che il presidente Cardia sia stato esaustivo anche nelle risposte. Devo dire che l'audizione odierna è stata un successo: tra i numerosi deputati presenti, molti hanno formulato osservazioni o hanno posto quesiti.
Ringrazio pertanto a nome di tutti il nostro ospite, anche per la disponibilità manifestata a integrare per iscritto le risposte.
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 16,35.

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