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Resoconti stenografici delle audizioni

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Commissione VI
32.
Martedì 18 gennaio 2011
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Conte Gianfranco, Presidente ... 2

Audizione del sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze, Luigi Casero, sulle problematiche relative all'operatività della giustizia tributaria (ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento):

Conte Gianfranco, Presidente ... 2 7 12 13 14 16
Barbato Francesco (IdV) ... 12
Casero Luigi, Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze ... 2 13 14 16
Comaroli Silvana Andreina (LNP) ... 11
Del Tenno Maurizio (PdL) ... 13
Fluvi Alberto (PD) ... 9
Leo Maurizio (PdL) ... 8 9 13
Ventucci Cosimo (PdL) ... 7 9
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Futuro e Libertà per l’Italia: FLI; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l’Italia: Misto-ApI; Misto-Noi Sud Libertà e Autonomia, I Popolari di Italia Domani: Misto-Noi Sud-PID; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.; Misto-Repubblicani, Azionisti. Alleanza di Centro: Misto-RAAdC.

COMMISSIONE VI
FINANZE

Resoconto stenografico

AUDIZIONE


Seduta di martedì 18 gennaio 2011


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GIANFRANCO CONTE

La seduta comincia alle 12,45.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione del sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze, Luigi Casero, sulle problematiche relative all'operatività della giustizia tributaria.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento, l'audizione del sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze, Luigi Casero, sulle problematiche relative all'operatività della giustizia tributaria.
L'onorevole Casero è accompagnato dalla professoressa Fabrizia Lapecorella, direttore generale del Dipartimento delle finanze del Ministero dell'economia e delle finanze, la quale ci ha già fornito, nella precedente audizione, un quadro delle questioni più rilevanti concernenti il tema di nostro interesse.
Oggi si concluderà il ciclo di audizioni e, anche alla luce delle considerazioni che saranno svolte dal sottosegretario, verificheremo la possibilità di elaborare qualche proposta volta ad affrontare i problemi del settore.
Do la parola al sottosegretario Casero, affinché ci esponga, al riguardo, la posizione del Ministero.

LUIGI CASERO, Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze. Signor presidente, premetto che il mio intervento sarà basato sulla relazione che la professoressa Lapecorella ha svolto nel corso della precedente audizione e sui dati che ella ha fornito in tale occasione, la cui conoscenza darò, quindi, per scontata. In particolare, utilizzerò tali dati per impostare un ragionamento in chiave prospettica.
Ritengo che finora sia stato fatto un buon lavoro, e che si possa fare ancora molto.
Ho ascoltato con molta attenzione le parole del presidente Conte a proposito della volontà della Commissione di lavorare, in collaborazione con il Governo, alla definizione di un testo di riforma della giustizia tributaria. Secondo noi, vi sono il clima giusto e la possibilità per farlo, anche interagendo con i tavoli tecnici per la riforma fiscale costituiti presso il Ministero dell'economia e delle finanze, ai quali partecipano le parti sociali.
Insomma, credo che in tale contesto si possa fare un lavoro utile per il Paese.
I dati contenuti nella relazione della professoressa Lapecorella ispirano una prima considerazione: la giustizia tributaria italiana presenta luci ed ombre.
Da un certo punto di vista, i dati sono positivi, nel senso che quello tributario è sicuramente il sistema giurisdizionale più veloce ed efficiente tra quelli operanti nel Paese. Sono stati fatti tanti progressi nel corso degli anni, e i tempi di definizione dei giudizi si sono ridotti. Dal punto di vista della tempistica, quindi, tenendo


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conto dei numeri complessivi della giustizia nel nostro Paese, si può esprimere una valutazione positiva.
Da un altro punto di vista, tuttavia, vengono in rilievo quelle che ho definito le ombre del sistema.
Innanzitutto, poiché quello tributario è, in larga parte, un contenzioso di tipo economico-aziendale, i tempi sono pur sempre troppo lunghi, soprattutto se confrontati con quelli che caratterizzano la giustizia tributaria negli altri Paesi europei. È necessario, quindi, che il processo tributario acquisti una maggiore speditezza.
Inoltre, occorre intervenire per superare un certo clima, alimentato da vicende indecorose verificatesi presso alcune commissioni tributarie. Situazioni simili rischiano di creare nella maggioranza dei contribuenti una percezione negativa nei confronti della giustizia tributaria. È importante, invece, per lo stesso suo funzionamento, che la giustizia tributaria sia percepita come giusta ed equa (del resto, questo è l'obiettivo prioritario di qualsiasi forma di giustizia). Se comincia a diffondersi l'idea che il settore sia pervaso da fenomeni di corruzione e non riesca ad assolvere le funzioni ad esso attribuite, si rischia che tale rappresentazione negativa danneggi l'intero sistema. Invece, bisogna riconoscere che i giudici tributari, nella quasi totalità dei casi, lavorano bene e con piena coscienza della delicatezza del proprio ruolo.
È necessario, dunque, che si adottino le opportune iniziative, nelle sedi e nei luoghi a ciò deputati.
Ho accennato al confronto europeo, dal quale deve partire, a mio avviso, il nostro ragionamento.
Sappiamo benissimo che occorre portare avanti, in sede europea, una discussione già affrontata molte volte, in questa e nelle altre sedi in cui si trattano, a livello istituzionale, le questioni di politica economica. Per fare in modo che, anche in futuro, sia mantenuta una moneta europea comune, è necessario che l'euro non sia visto, come qualcuno lo considera, svincolato dalle politiche economiche dei Paesi aderenti. Al contrario, si deve proseguire nel processo di unione politica dell'Europa, fino a giungere alla definizione di una comune politica economica e fiscale. Questa è l'unica strategia che ci può permettere di costruire un'Europa realmente unita e sempre più forte.
Una politica economica comune, con una moneta unica, significa anche una politica fiscale unitaria. Già nel breve periodo si dovrebbe realizzare un ravvicinamento tra le politiche fiscali dei diversi Stati. Dobbiamo lavorare per far sì che i vari sistemi fiscali europei siano sempre più armonizzati, in maniera tale che le norme, le consuetudini e i regolamenti vigenti nella maggior parte dei Paesi europei diventino anche i nostri. Richiamerò queste considerazioni nella parte conclusiva del mio ragionamento, quando cercherò di avanzare alcune proposte, basandomi sulle informazioni che la dottoressa Lapecorella vi ha fornito nella precedente audizione.
Partirò da alcuni dati numerici, per formulare, in seguito, qualche conclusione.
Come sapete, in Italia, nel 2009, sono pervenuti alle commissioni tributarie provinciali e regionali circa 360.000 ricorsi: si tratta di un dato consistente, se non pesante.
Vediamo, invece, cosa succede negli altri Paesi, nei quali esistono sistemi diversi (sui quali, poi, dovremo svolgere qualche considerazione).
In Spagna, nel 2008, sono stati presentati circa 143.000 ricorsi agli organi amministrativi regionali e locali del contenzioso tributario e circa 9.000 all'organo centrale (come si vede, i numeri sono già nettamente più bassi rispetto ai nostri). In Germania, sono circa 3.400 i ricorsi pervenuti nel 2009 alla Corte federale (corrispondente ai nostri organi giurisdizionali di secondo grado). In Francia, sempre nel 2009, sono circa 16.000 i ricorsi proposti in sede amministrativa, e soltanto 562 quelli pervenuti all'organo giurisdizionale di primo grado. Sono dati totalmente diversi da quelli che caratterizzano il sistema italiano.


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Per prima cosa, quindi, bisogna cercare di limitare il numero dei ricorsi giurisdizionali. Per farlo, è necessario che si abbandoni la logica, oggi dominante, secondo la quale il commercialista (sono presenti rappresentanti della categoria, i quali sanno benissimo a cosa mi riferisco), quando un cliente riceve un accertamento, per buttare la palla avanti e per prendere un po' di tempo, come si suole dire, predispongono immediatamente un ricorso alla competente commissione tributaria provinciale. Naturalmente, in sede giurisdizionale si tende a far valere ogni cavillo procedurale, per affrontare soltanto eventualmente, e comunque il più tardi possibile, l'esame del merito.
Per il bene comune, è necessario modificare queste abitudini. Da un lato, gli accertamenti dell'amministrazione devono acquistare, anche da questo punto di vista, una maggiore solidità. Dall'altro, occorre garantire che, in sede giudiziale, si affronti il merito delle controversie, evitando che l'esito dei processi possa essere condizionato da questioni di natura procedurale.
Il confronto tra i dati del contenzioso tributario italiano ed europeo ci obbliga a intervenire, al fine di semplificare il sistema e di allinearlo a quello degli altri Paesi.
La semplificazione deve riguardare innanzitutto le norme. A tale proposito, credo che dal lavoro svolto ai tavoli tecnici e in sede parlamentare debba scaturire un sistema molto più semplice e molto meno basato sull'impugnativa giurisdizionale.
Nel contempo, però, occorre insistere sull'efficienza e sull'efficacia del sistema, affinché i processi siano definiti in tempi brevi: il contribuente e l'amministrazione devono avere la certezza che, nella fase processuale, ci si concentrerà sugli effettivi motivi di contrasto e non, invece, su questioni create ad hoc, a scopo dilatorio.
La professoressa Lapecorella vi ha esposto i dati relativi ai flussi e alle giacenze presso le commissioni tributarie provinciali e regionali, nonché alla produttività dei giudici e ai tempi di definizione dei ricorsi in primo e in secondo grado. L'efficienza delle commissioni è a macchia di leopardo: in alcune zone, lavorano più efficacemente, in altre meno.
Una considerazione complessiva di tali dati mi induce a ritenere che sia necessario porre in essere due tipi di interventi.
Il Ministero dell'economia e delle finanze ha costituito alcuni tavoli tecnici, per affrontare, con i giudici tributari, specifici problemi che è possibile risolvere a breve. Tale azione, che dovrebbe svilupparsi velocemente, permetterà al sistema, così come strutturato, di funzionare meglio e di garantire una maggiore certezza del diritto nell'ambito dell'ordinamento tributario.
Vi sono, poi, interventi a medio e lungo termine.
A mio parere, la Commissione dovrebbe considerare entrambe le tipologie di interventi, poiché un lavoro legislativo unitario e il più possibile ampio risulterebbe sicuramente più utile.
Quanto agli interventi a breve, il primo tema su cui invito a riflettere è quello dell'introduzione della telematica nel processo tributario.
Si tratta di un'iniziativa che stiamo già attuando nel settore della giustizia civile, nel quale abbiamo proceduto a una semplificazione dell'architettura dei servizi telematici. Il processo civile telematico è in una fase di attuazione più avanzata, ma a breve tireremo le somme della sperimentazione di un applicativo informatico che consentirà la gestione telematica anche dell'iter processuale tributario.
Voglio citare un esempio per far comprendere come possa essere risolto velocemente un primo problema.
Voi sapete che il nostro sistema fiscale è uno dei più avanzati del mondo dal punto di vista telematico. Basti pensare che tutte le comunicazioni tra contribuenti e fisco avvengono per via telematica. Questo è sicuramente un aspetto positivo del nostro sistema. Ebbene, in base ai dati che mi sono stati forniti dal Dipartimento delle finanze, la comunicazione telematica ai contribuenti da parte delle commissioni tributarie comporterebbe, oltre che una riduzione dei tempi e una semplificazione delle procedure, un risparmio di circa 5 milioni


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di euro, mentre la notificazione telematica dei ricorsi agli uffici impositori (il cui lavoro si svolge già, fondamentalmente, per via telematica) permetterebbe un risparmio di 1.200.000 euro. Si tratta di piccoli importi nell'ambito del bilancio dello Stato, ma è pur sempre meglio risparmiarli.
Sarebbe assurdo non consentire che gli uffici finanziari, i quali utilizzano essenzialmente modalità di comunicazione telematiche, ricevano per via telematica anche le notificazioni o le comunicazioni concernenti attività processuali. Peraltro, è noto che nel giudizio tributario, di norma, l'assistenza tecnica del contribuente è affidata a professionisti abilitati, iscritti in albi ed elenchi, i quali hanno l'obbligo di avere un indirizzo di posta elettronica certificata.
Non vi sono, dunque, limiti tecnici all'introduzione del processo tributario telematico, ma limiti normativi, che possono e devono essere superati a breve.
Ho citato gli esempi delle notificazioni e delle comunicazioni, ma il progetto che il Governo intende attuare comprende, naturalmente, anche il deposito e la consultazione telematica del fascicolo d'ufficio del processo. L'impiego della telematica accrescerà sicuramente la trasparenza, la certezza e l'efficienza del procedimento giurisdizionale tributario nel suo complesso.
Ritengo, quindi, che il processo tributario telematico debba essere implementato, come sta avvenendo, del resto, anche nel settore della giustizia ordinaria.
Il secondo intervento è relativo alla retribuzione e alla produttività dei giudici.
Il nostro ordinamento prevede un compenso commisurato ai ricorsi definiti. Il sistema funziona, anche se si avverte la necessità di definirlo meglio, probabilmente legandolo all'andamento complessivo dei costi e risolvendo il problema della certezza dei fondi necessari. A tali fini, sono necessarie piccole modifiche, che possono dare una motivazione maggiore a quanti svolgono il lavoro di giudici tributari con impegno, onestà e correttezza. Queste risposte possono essere date a breve.
Un terzo problema al quale è necessario prestare la dovuta attenzione è quello che, con espressione sintetica, si può definire «conflitto di interessi». Come sapete, l'organico dei giudici tributari (al 31 dicembre 2009, in numero di 4.193) è costituito, per un quarto, da magistrati di carriera e, per tre quarti, da professionisti che svolgono il lavoro di giudici tributari.
A tale proposito, occorre riprendere il discorso relativo alla necessità di avere certezza del diritto, nonché di fugare ogni dubbio circa la terzietà del giudice, in quanto anche un piccolo scandalo rischia di pregiudicare l'intero sistema. Per questa ragione, è necessario porre dei punti fermi ancora più rigorosi di quelli previsti dalla disciplina vigente: chi è in rapporti di affari con il giudice tributario, chi lavora nel suo studio o è con lui in rapporto di parentela non deve poter trarre alcun vantaggio dall'esistenza di tali rapporti.
Da questo punto di vista, penso all'introduzione di cause di incompatibilità di tipo geografico, ovvero che tengano conto di determinate relazioni. Ad esempio, la convivenza con persone che esercitano l'attività di consulenza tributaria nella sede della commissione tributaria non è considerata, attualmente, motivo di incompatibilità a svolgere la funzione di giudice tributario.
A mio avviso, quello del conflitto di interessi è uno degli aspetti sui quali il legislatore deve intervenire, per eliminare ogni possibile dubbio in merito all'imparzialità del giudice tributario.
Un ultimo punto sul quale è necessario intervenire nel breve periodo è quello della composizione dell'organico dei giudici tributari. Poiché le nomine sono bloccate da troppo tempo, l'età media dei giudici tributari è notevolmente aumentata, attestandosi sui 60-65 anni. A mio avviso, è necessario l'inserimento di forze fresche e più giovani, anche di giudici togati disponibili ad assumere l'incarico di


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componenti delle commissioni provinciali e regionali, i quali potrebbero portare nuova linfa alla giustizia tributaria.
Connessa al tema dei compensi è la necessità di una maggiore formazione: dobbiamo avere una giustizia tributaria motivata, innovativa e caratterizzata da un livello di formazione molto alto.
Con ciò non voglio dire che l'attuale sistema non garantisca un'adeguata formazione; desidero porre in risalto, piuttosto, che l'esigenza di una preparazione sempre aggiornata e il più possibile completa emerge dalla necessità, per i giudici tributari, di confrontarsi con una realtà e con parametri estremamente mutevoli e molto diversi da quelli che connotano altri settori dell'ordinamento.
Ho già accennato alle conseguenze dell'inserimento in un ambito europeo delle politiche economiche e fiscali dei Paesi membri. Alle considerazioni già svolte posso aggiungere che il fisco va acquistando una dimensione sempre più internazionale e che i rapporti tra i soggetti economici appaiono sempre più svincolati dalle realtà locali.
In un contesto di globalizzazione, la formazione diventa fondamentale. Anche da questo punto di vista potrebbe rivelarsi utile l'introduzione di incentivi collegati alla formazione.
È mia opinione che siano quelli indicati i temi da affrontare nel breve periodo.
Tenendo conto del clima positivo che si è creato e della necessità di adeguarsi agli altri Paesi europei, esiste la possibilità di una revisione complessiva del sistema della giustizia tributaria. Mi rendo conto che si tratta di un discorso complesso, che richiede riflessione, ma la realizzazione di un simile progetto rappresenta anche un forte stimolo.
Le legislazioni dei principali Paesi europei contemplano, prima del giudizio, rimedi amministrativi da proporre dinanzi a organi collegiali che garantiscono terzietà e indipendenza. È evidente che, più estesa ed efficace è la fase precontenziosa, più può essere sfoltito il numero delle controversie che approdano in sede giurisdizionale. In altre parole, con un procedimento amministrativo di tipo conciliativo che funziona bene, il giudizio diventa più semplice e veloce. A mio avviso, procedimenti siffatti devono essere introdotti anche nella legislazione italiana.
Tra gli istituti deflativi previsti dal nostro ordinamento, quello che riscuote maggiore successo, l'accertamento con adesione, si svolge all'interno degli uffici impositori. La procedura, pur ispirandosi ai principi della conciliazione, non prevede l'intervento di un terzo, ma comporta un confronto fra il contribuente e l'ufficio accertatore.
Devo dire che lo strumento funziona bene, come testimoniato, indirettamente, dal raddoppio dell'importo delle riscossioni negli ultimi tre o quattro anni (si è arrivati, infatti, a circa 12 miliardi di euro, dai circa 6 miliardi di euro del 2007). La riscossione, dunque, è andata molto bene, anche grazie al successo dell'accertamento con adesione.
Abbiamo visto, tuttavia, che la soluzione concordata di una controversia tributaria in sede non contenziosa avviene, in Europa, non all'interno dell'ufficio accertatore, ma davanti a un soggetto terzo e imparziale, il quale valuta il comportamento dell'amministrazione e del contribuente e formula una proposta conciliativa. Al di là dei risultati positivi dell'istituto dell'accertamento con adesione, ritengo che si possa fare un salto di qualità anche in Italia, adottando strumenti simili a quelli già sperimentati negli altri Paesi europei, in grado di favorire la soluzione delle controversie in sede non giudiziale e, conseguentemente, di deflazionare e semplificare il processo tributario. Chiaramente, se ci si dovesse orientare per l'introduzione di una fase conciliativa obbligatoria, si dovrebbe anche risolvere il problema dell'applicabilità della procedura a tutte le controversie, ovvero soltanto a quelle entro una certa soglia di valore.
La previsione di una fase precontenziosa davanti a un organo terzo migliorerebbe sicuramente il nostro sistema di giustizia tributaria. Per rendersene conto, basta por mente ai seguenti dati, comunicati


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dall'Agenzia delle entrate: dei circa 183.000 ricorsi proposti contro provvedimenti emessi dagli uffici dell'Agenzia nel 2009, circa 157.000 - quindi, un numero molto elevato - sono relativi a controversie di valore inferiore a 51.000 euro. Ciò dà un'idea degli effetti positivi che un rimedio di tipo conciliativo ben strutturato potrebbe produrre: sarebbe possibile filtrare buona parte del contenzioso che, attualmente, si riversa sulle commissioni tributarie.
In seguito, si potrebbe anche valutare di ridurre i gradi di giudizio. In altri Paesi, ad esempio, esistono un rimedio amministrativo forte e due soli gradi di giudizio. Comunque, questo specifico aspetto potrà costituire oggetto di discussione e di approfondimento in un secondo momento.
L'introduzione di una fase conciliativa obbligatoria dovrebbe alleggerire in maniera significativa il processo, soprattutto qualora si codificasse la regola secondo la quale la parte che non accetta la proposta conciliativa, se risulta soccombente in giudizio, è tenuta a pagare tutte le spese. Occorrerebbe fare qualcosa anche per limitare l'abitudine di ricorrere fino al terzo grado (anche se, come ho già detto, dell'eventuale limitazione dei gradi di giudizio si potrà discutere in seguito).
A mio avviso, se verrà introdotta una fase conciliativa in sede amministrativa, ad essa si potrebbe anche spostare una parte consistente dei giudici non togati, lasciando prevalentemente ai magistrati di carriera la gestione della fase giudiziale, più congeniale alla loro formazione e alla loro esperienza.
Quelli che ho illustrato sono spunti di riflessione che dovranno essere approfonditi con la necessaria serenità in questa Commissione, per verificare se esista la volontà di intervenire per introdurre maggiore efficienza ed efficacia nel sistema.
Un'ultima considerazione merita il giudizio di cassazione. Dovremo capire se sia possibile smaltire l'arretrato e, inoltre, trovare il modo di evitare che tutte le controversie arrivino in Cassazione, dove si crea una sorta di collo di bottiglia. È necessario intervenire almeno sull'arretrato. Questo è un altro dei temi che dovranno essere affrontati.
Ho voluto presentare alla Commissione le idee sulle quali stiamo lavorando. Peraltro, ho chiesto al presidente Conte di non considerare concluso l'argomento, ma di lasciare in qualche modo aperta la discussione, per sentire l'opinione dei componenti la Commissione e per cominciare a capire a quale obiettivo si possa mirare. Opereremo su due binari, se così si può dire, ma potremo sicuramente sviluppare, insieme, un lavoro proficuo.

PRESIDENTE. Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

COSIMO VENTUCCI. Ringrazio il sottosegretario Casero per la chiarezza della sua relazione.
I dati che egli ha esposto, se inseriti nel panorama europeo, appaiono a tal punto impressionanti da farmi sovvenire quelli di cui abbiamo appreso nel corso delle audizioni dedicate al tema delle frodi assicurative.
Intervengo soprattutto per manifestare la mia condivisione in merito alla cosiddetta fase conciliativa precontenziosa, che dovrebbe drasticamente ridurre il carico di lavoro delle commissioni tributarie.
Con il narcisismo che un po' caratterizza il parlamentare, mi fa piacere ricordare che l'accertamento con adesione acquistò una fisionomia simile a quella attuale a seguito dell'approvazione di una mia proposta emendativa: poiché l'istituto, così com'era, non funzionava, introducemmo nel decreto-legge n. 564 del 1994, in sede di conversione, l'articolo 2-bis, comma 5, ai sensi del quale l'accertamento definito con adesione non era soggetto ad impugnazione, non era integrabile o modificabile da parte dell'ufficio e non rilevava ai fini penali ed extratributari (era vicepresidente della 5a Commissione permanente del Senato il professor Filippo Cavazzuti). Insomma, ci ispirammo alla logica della definizione «tombale»: quando si arriva davanti al funzionario


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dell'ufficio, se si individua una soluzione concordata, si chiude ogni problema con il fisco per quanto riguarda il provvedimento definito.
L'istituto sta funzionando. Se, dunque, si prevedesse un intervento dei magistrati anche nella fase precontenziosa, allo scopo di definire gli accertamenti, si perverrebbe a una soluzione analoga a quella cui ha fatto riferimento lei, signor sottosegretario, quando ha richiamato i sistemi vigenti in Germania, in Francia e in Spagna.

MAURIZIO LEO. Anch'io ringrazio il sottosegretario Casero per la lucida illustrazione delle tematiche concernenti il contenzioso tributario.
Svilupperò il mio ragionamento seguendo l'impostazione che egli ha dato alla relazione, nella quale ha fatto riferimento a interventi da realizzare in due tempi: nel breve periodo e nel medio e lungo periodo.
Per quanto riguarda il breve periodo, penso che il tema più pressante sia quello dell'adeguamento dei compensi da corrispondere ai componenti delle commissioni tributarie. Se dobbiamo avere piena consapevolezza delle questioni sottese all'argomento di cui ci stiamo occupando, non possiamo sottacere che, tra tutte le giurisdizioni, quella tributaria ha una rilevanza economica maggiore. Ciò nonostante, rispetto alle altre, la giurisdizione tributaria è, attualmente, una sorta di cenerentola, sia per la composizione dell'organo giudicante sia per il diverso trattamento economico di cui godono i giudici.
Concordo, quindi, con il sottosegretario: uno dei temi da affrontare in maniera decisa è quello dei compensi. Tuttavia, non mi limiterei a un intervento minimale, ma affronterei la questione in maniera radicale.
Più specificamente, potrebbero essere due le soluzioni per remunerare adeguatamente i giudici tributari, in modo che rendano una prestazione - consentitemi di utilizzare un termine dall'intonazione civilistica - adeguata alla funzione svolta.
La prima è quella di istituire l'obbligo del pagamento di un contributo unificato, vale a dire di una somma di un certo ammontare da corrispondere all'avvio del procedimento. Tuttavia, poiché il contributo unificato potrebbe essere percepito come una sorta di tributo parallelo, motivi di opportunità consigliano di scongiurare un effetto di questo tipo, soprattutto in una fase come quella che stiamo attraversando.
La seconda soluzione, a mio avviso più praticabile, è quella di far pagare le spese di giudizio alla parte soccombente. Per la verità, il principio è già codificato nell'articolo 15 del decreto legislativo n. 546 del 1992, ma i giudici tributari fanno uso troppo spesso della facoltà di compensazione totale delle spese. Tale atteggiamento appare in controtendenza rispetto alle disposizioni generali del nostro ordinamento processuale, richiamate dall'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 546 del 1992, ai sensi del quale i giudici tributari applicano le norme del decreto medesimo e, per quanto non disposto e con esse compatibili, le norme del codice di procedura civile. Orbene, l'articolo 91 del codice di procedura civile prevede che la parte soccombente debba essere condannata a pagare le spese di giudizio, mentre l'articolo 92 del medesimo codice è stato oggetto, nel tempo, di interventi del legislatore volti ad ancorare a presupposti sempre più rigorosi l'esercizio, da parte del giudice, del potere di compensare le spese, parzialmente o per intero.
A mio avviso, la soluzione migliore è, dunque, la seguente: chi si rivolge al giudice tributario non deve essere tenuto a corrispondere alcunché a titolo di contributo unificato; tuttavia, con la sentenza che chiude il processo davanti a lui, il giudice tributario, anche per scoraggiare liti temerarie (non soltanto da parte del contribuente, ma anche dell'amministrazione), condanna la parte soccombente a rimborsare all'altra parte le spese di lite. Le somme in tal modo raccolte potrebbero essere utilizzate a vantaggio sia dei giudici sia del personale delle segreterie delle commissioni tributarie. Non si tratterebbe, pertanto, di versare un balzello iniziale, ma di costituire un fondo che potrebbe essere ripartito a vantaggio di tutti. Penso


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che, lavorando a questa ipotesi, anche nell'immediato, si verrà incontro alle legittime e giuste esigenze dei giudici, senza creare aggravi per le casse erariali.
Con riferimento alle proposte volte a modificare la natura e la denominazione degli organi di giustizia tributaria, mi permetto di segnalare l'opportunità di sostituire alla dizione «tribunale tributario» quella di «corte d'appello tributaria». Si tratta di una modifica nominale, ma credo che l'attribuzione agli organi di giustizia tributaria di un rango diverso, evocato dalla locuzione da ultimo menzionata, possa avere risvolti pratici non del tutto secondari.
Inoltre, il sottosegretario si è soffermato su un argomento che richiede la massima attenzione. A proposito del giudizio di cassazione, egli ha parlato di «collo di bottiglia», affermazione la cui portata concreta è agevole cogliere ove si consideri che un terzo delle controversie pendenti in Cassazione è di natura tributaria.
D'altra parte, la Corte di cassazione sta pronunciando sentenze che hanno effetti dirompenti nel sistema tributario. Basti pensare alle pronunce in tema di abuso del diritto, che stanno determinando sconvolgimenti nei rapporti tra amministrazione finanziaria e contribuenti. Dobbiamo, dunque, assolutamente rivedere il giudizio di cassazione. Ho molto rispetto per i giudici, ma quella tributaria è una materia particolare, che richiede conoscenze specifiche. I problemi che attengono alla determinazione del reddito di impresa, alle fusioni o ad altre operazioni di riorganizzazione aziendale presuppongono la conoscenza anche dell'economia aziendale.

COSIMO VENTUCCI. La sentenza in materia di depositi IVA genera molte perplessità.

MAURIZIO LEO. In effetti, si tratta di materie estremamente complesse.
Bisognerà pensare a qualche intervento - forse, nel contesto della riforma generale della giustizia -, altrimenti potrebbero diventare sempre più numerosi i casi in cui i contribuenti, dopo aver percorso tutti i gradi di giudizio, vedano contraddetti dall'organo di ultima istanza (che è giudice di legittimità, non di merito), senza poter fare più nulla, comportamenti posti in essere su consiglio di professionisti, i quali, naturalmente, verrebbero a trovarsi in imbarazzo nei confronti dei propri clienti.
Invito, quindi, a riflettere anche su questo tema. Se non si pone immediatamente rimedio alla descritta situazione, il sistema rischia di finire fuori controllo.
Infine, per quanto riguarda la disciplina delle cause di incompatibilità, ritengo giuste le considerazioni svolte dal sottosegretario a proposito del conflitto di interessi. Bisognerà studiare un meccanismo di incompatibilità anche a livello regionale. Si dovrà evitare che soggetti aventi determinati rapporti con i giudici tributari possano in qualche modo inquinare l'attività giurisdizionale.
Concordo con il sottosegretario anche sulla possibilità di muoversi nella direzione indicata in tempi brevi.
Un altro tema da affrontare, sul quale si è espresso anche il collega Ventucci, è quello della conciliazione. Anche in questo caso, lo strumento esiste già: l'articolo 48 del decreto legislativo n. 546 del 1992 disciplina, infatti, l'istituto della conciliazione giudiziale. Mi sembra di capire che l'intenzione sia quella di creare una fase conciliativa autonoma rispetto al processo, prima che questo abbia inizio. Penso che una scelta in tal senso sia opportuna: essa consentirebbe di deflazionare sempre di più il contenzioso, di portare davanti al giudice le controversie effettivamente meritevoli di un esame da parte dell'organo giurisdizionale e di evitare le liti temerarie.

ALBERTO FLUVI. Anch'io ringrazio il sottosegretario per la chiarezza con la quale ha esposto le riflessioni e le linee di azione elaborate dal Governo in vista di una revisione complessiva della giustizia tributaria.


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Devo dire subito che affrontare le problematiche relative all'operatività della giustizia tributaria - è questo, infatti, il tema dell'audizione odierna - significa entrare nel vivo delle vicende economiche del Paese. Da questo punto di vista, tutti possiamo immaginare quanto sia importante per la vita delle imprese che i tempi di conclusione del processo tributario siano brevi, sebbene, almeno nei primi due gradi di giudizio, tale processo sia tra i più rapidi di tutto il sistema della giustizia del nostro Paese.
Un'altra riflessione importante riguarda - se ho ben compreso - l'auspicio che sia possibile procedere a una revisione complessiva, il più possibile condivisa, della giustizia tributaria. Condivido questa impostazione: quando si tratta di porre mano a riforme di sistema, è sempre auspicabile la ricerca della più ampia convergenza. Se, quindi, si ha veramente intenzione di riformare l'ordinamento processuale tributario, l'impostazione proposta e l'auspicio che si abbia una larga convergenza su un progetto di riforma è certamente condivisibile.
Fatta questa premessa di carattere generale, credo che ciascuno di noi avverta la necessità - almeno, per quanto ci riguarda è così - di svolgere una più approfondita riflessione sulle considerazioni testé sviluppate dal sottosegretario Casero.
Proprio allo scopo di stimolare la riflessione, desidero porre alcune domande, fermo restando che ci riserviamo di entrare nel merito, eventualmente, al momento opportuno.
Credo che una revisione complessiva della giustizia tributaria implichi innanzitutto la consapevolezza, da parte di tutti, dell'ampia portata di un simile progetto, nella cui realizzazione non si potrà non tenere conto della tradizione e della storia del nostro Paese.
Il Governo propone, se non erro, un cambiamento radicale, nei confronti del quale non abbiamo pregiudizi di sorta. Più specificamente, mi sembra che si proponga un'attuazione della riforma in due fasi - una più immediata, un'altra di prospettiva -, tra le quali vi è, a mio avviso, qualche punto di contatto. Ad esempio, tra gli interventi immediati vi è quello volto a garantire un turn over all'interno della magistratura tributaria. Ebbene, se vogliamo realmente conseguire tale obiettivo, dobbiamo risolvere anche il problema della remunerazione dei giudici tributari, sul quale si è soffermato l'onorevole Leo.
Accennerò, ora, ad alcuni temi che ci stanno particolarmente a cuore.
Il primo è quello della terzietà del giudice. Anche i diretti interessati hanno posto la questione, probabilmente forzandone un po' i termini. Tuttavia, dal punto di vista degli equilibri istituzionali, il ragionamento mi sembra correttamente impostato nei seguenti termini: se vogliamo che il giudizio sia affidato a un soggetto in posizione di terzietà, la magistratura tributaria non può dipendere dal Ministero dell'economia e delle finanze, vale a dire da una delle parti in causa. È vero che le agenzie fiscali sono dotate di personalità giuridica ed hanno autonomia regolamentare, amministrativa, patrimoniale, organizzativa, contabile e finanziaria. Ciò nondimeno, si tratta di enti di diretta emanazione del Ministero, il quale vigila sugli stessi e ne coordina le funzioni.
Come dimostrano recenti vicende, che hanno interessato alcune commissioni provinciali, un altro tema rilevante è quello del conflitto di interessi.
Al riguardo, ritengo necessario un chiarimento preliminare. Al di là della questione relativa ai gradi di giudizio, si pensa a collegi giudicanti a composizione mista, oppure, come mi è parso di capire, a collegi amministrativi di primo livello con funzioni conciliative, di cui faranno parte soggetti con competenze professionali, e, inoltre, a un organo giurisdizionale superiore composto esclusivamente da giudici togati?
A mio avviso, poiché le controversie tributarie hanno indubbiamente a che vedere con l'attività economica, come sottolineato dall'onorevole Leo, le competenze professionali potrebbero aiutare a risolvere problemi non esclusivamente giuridici, intimamente connessi con gli accadimenti


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economici che influenzano la vita delle singole aziende. Mi pare che ci si stia orientando - mi corregga se sbaglio, signor sottosegretario - verso una riorganizzazione della giustizia tributaria sul modello di quella amministrativa, ossia strutturata su base regionale. Se così fosse, vi sarebbe un solo grado di merito, davanti al tribunale tributario, o alla corte d'appello tributaria, mentre alle attuali commissioni provinciali sarebbero affidati compiti amministrativi di conciliazione in sede non contenziosa. Neanche da questo punto di vista ho pregiudizi, ma vorrei capire meglio.
Passando a un altro tema, ritengo che la telematizzazione del processo tributario sia urgente. Mi sembra che il progetto possa andare avanti anche a prescindere dalla configurazione che il processo tributario assumerà in futuro. Peraltro, è probabile che i costi necessari per implementare il processo tributario telematico siano compensati dai risparmi che si realizzeranno. L'attuazione delle disposizioni in materia di posta elettronica certificata sta già procedendo con risultati positivi. Anche se non sono un tecnico, penso che non dovrebbe essere molto complicato attivare i servizi telematici concernenti le notificazioni e le comunicazioni, nonché il deposito degli atti processuali e la formazione del fascicolo d'ufficio del processo.
Il tema che, invece, grida vendetta, come si suole dire, è quello della remunerazione dell'attività prestata dai magistrati tributari.
È inutile ripetere cose già dette: conosciamo tutti sia l'entità dei compensi percepiti dai giudici tributari sia la difficoltà di affrontare la questione. Con riferimento alle considerazioni svolte dall'onorevole Leo, pur precisando che solitamente abbiamo posizioni opposte, devo dire che registro una sostanziale condivisione in ordine alla necessità di dettare una disciplina legislativa relativa all'abuso del diritto in materia tributaria, fenomeno che ha raggiunto dimensioni finanziarie notevoli, cui corrispondono minori entrate per il bilancio dello Stato.
Ho ripreso il tema perché, proprio di recente, è stata pubblicata una sentenza con la quale la Commissione tributaria provinciale di Reggio Emilia ha respinto il ricorso proposto da una banca avverso un accertamento che ha fatto applicazione dei principi elaborati dalla giurisprudenza in materia di abuso del diritto. Ebbene, fa un certo effetto pensare che, per la redazione della sentenza, l'estensore abbia guadagnato qualche decina di euro: non c'è assolutamente proporzione tra il compenso percepito dal giudice e l'importanza della tematica affrontata dalla sentenza (peraltro, in analoghe vertenze tributarie sarebbero coinvolti alcuni tra i più grandi gruppi bancari italiani; una banca milanese, invece, ha deciso di risolvere la questione in via stragiudiziale). Si tratta, comunque, di importi che vanno ben oltre i 51.000 euro cui si faceva riferimento.
Concludendo, ribadisco il mio apprezzamento per l'impostazione proposta. Prima di entrare nel merito, però, ritengo necessario avere i chiarimenti richiesti.

SILVANA ANDREINA COMAROLI. Ringrazio anch'io il sottosegretario Casero, al quale desidero sottoporre qualche considerazione in merito ai prospettati interventi di riforma, di breve e di lungo periodo.
Tali interventi mi sembrano condivisibili. Tuttavia, mi chiedo se, tra le azioni da intraprendere a breve, non sia anche il caso di considerare una più razionale distribuzione dei giudici. Infatti, dall'esaustiva relazione della professoressa Lapecorella emerge che, in alcune commissioni tributarie, il numero di giudici è sproporzionato rispetto a quello dei ricorsi, mentre in altre, a fronte di una quantità elevata di ricorsi, il numero dei giudici è ridotto. Peraltro, è stata già evidenziata anche la difficoltà di procedere a una più equa distribuzione dei magistrati.
Inoltre, desidero porre una domanda che potrebbe apparire, forse, un po' provocatoria (in tal caso, mi scuso preventivamente). Il fatto che i ricorsi pervenuti alle commissioni tributarie nel 2009 siano circa 360.000, molti di più che negli altri


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Paesi europei - fa riflettere, in particolare, il dato di 2.450 ricorsi pendenti della Germania -, non potrebbe essere dovuto a un accanimento, a volte, nei confronti del contribuente, soprattutto del piccolo contribuente, nonché alla circostanza che gli uffici sono costretti ad aumentare il numero degli accertamenti per raggiungere gli obiettivi fissati dal Ministero? Vorrei avere, se possibile, qualche delucidazione al riguardo.

FRANCESCO BARBATO. Ringrazio il sottosegretario per la relazione, anche se, dal punto di vista politico, considero fin troppo evidente una responsabilità del Ministero dell'economia e delle finanze in ordine a quella che, a mio parere, è una patologia nel nostro Paese.
Signor sottosegretario, lei si dice preoccupato per il clima determinato nel Paese da talune vicende indecorose, le quali rischiano di creare nei contribuenti una percezione negativa nei confronti della giustizia tributaria; inoltre, afferma che il sistema funziona, pur tra luci e ombre. Insomma, le sue considerazioni, ispirate alla logica del «volémose bene», alla quale ci propone di adeguarci, si pongono in netto contrasto con la situazione nella quale ci troviamo.
A proposito di riforme, tanto propagandate quanto disattese, quella relativa alla giustizia tributaria era una delle più urgenti, probabilmente anche più di quella relativa alla giustizia ordinaria.
Prima di proseguire, desidero raccontarvi un episodio, accaduto lo scorso anno, che mi ha sconcertato. Mi ero recato nel carcere di Bellizzi Irpino, nei pressi di Avellino, in cui era detenuto, all'epoca, un certo Pasquale Lombardi, un ex magistrato tributario coinvolto nell'inchiesta sulla cosiddetta loggia P3. È mai possibile che nella magistratura tributaria fossero rappresentati i vertici della P3? Incidentalmente, sembra che in Campania vi sia addirittura una P4... e mi fermo qui per amor di patria. Ebbene, non avendomi riconosciuto, Pasquale Lombardi mi invitò a seguirlo nel suo partito, che era Forza Italia. Insomma, forse, sarebbe meglio evitare che nelle istituzioni del nostro Paese si insinuino simili personaggi.
Ricordo che una delle associazioni dei magistrati tributari ha avuto modo di riferire in audizione, con riferimento al tema delle incompatibilità, vicende altrettanto inquietanti. Ad esempio, ci hanno informati che si era reso necessario l'intervento del giudice ordinario per rimuovere alcuni magistrati tributari, i quali, pur trovandosi in una situazione di incompatibilità, non volevano proprio saperne né di rimuovere le cause che l'avevano determinata né di lasciare l'incarico.
Signor sottosegretario, da uomo di Governo, non le sembra che i dati da lei stesso forniti - circa 360.000 ricorsi pervenuti in Italia, contro i circa 16.000 della Francia e i 2.450 pendenti della Germania - dovrebbero suscitare allarme? Come mai in un Paese pervengono, in un anno, 360.000 ricorsi e, in tutti gli altri, molti di meno?
Inoltre, lei ha fatto riferimento alla necessità di accertamenti dotati di maggiore solidità, come se la Guardia di finanza o le agenzie fiscali incorressero solitamente in errori. Signor sottosegretario, analizzando «scientificamente» i dati, non le sembra che nell'opinione pubblica si sia formata la percezione che è molto più semplice evadere, perché, anche quando si viene «beccati», basta fare un ricorso e tutto va a posto?
Peraltro, lei ci ha parlato del numero dei ricorsi, ma non ci ha detto quanti di essi siano stati accolti.

PRESIDENTE. Onorevole Barbato, questi dati sono stati forniti dalla professoressa Lapecorella nella precedente audizione. I ricorsi accolti corrispondono a quasi la metà di quelli presentati.

FRANCESCO BARBATO. Signor sottosegretario, poiché le incompatibilità e le ombre di cui abbiamo parlato rischiano di screditare l'intero sistema, non ritiene sia il caso che il Ministero dell'economia e delle finanze ponga mano alla questione una volta per tutte?
Peraltro, considerato che l'organico dei giudici tributari è costituito per tre quarti


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da soggetti non togati, i quali sono remunerati in base al numero dei ricorsi definiti, non pensa che possa esserci un'azione mirata a incentivare la proposizione di ricorsi? Infatti, più ricorsi significa più sentenze e, quindi, più soldi. Come vede, signor sottosegretario, siamo di fronte a un'anomalia: l'attuale configurazione della giustizia tributaria è tale da incoraggiare, anche dal punto di vista della remunerazione dei giudici, la proposizione dei ricorsi.
Se a questo aggiungiamo i conflitti di interessi determinati da legami di parentela o di amicizia, la frittata è fatta! Signor sottosegretario, secondo me, è il caso di evitare a questo Paese ulteriori frittate...

PRESIDENTE. Sottosegretario Casero, in occasione dell'audizione della professoressa Lapecorella abbiamo ottenuto informazioni obiettivamente molto interessanti, riferite tuttavia al numero, non al contenuto dei ricorsi presentati. Se, invece, disponessimo di una casistica formata secondo un criterio contenutistico, saremmo in grado, da un lato, di individuare le normative che generano maggiore contenzioso e, dall'altro, di intervenire su quelle che producono tale effetto in quanto poco chiare. Insomma, potremmo produrre un effetto di deflazione attraverso una migliore regolamentazione.
L'onorevole Fluvi si è soffermato sulla questione della terzietà del giudice tributario. Tuttavia, se i dati sono quelli che ci sono stati forniti, il problema segnalato dal collega, pur rilevante in astratto, risulterebbe di portata molto limitata in concreto, dal momento che circa la metà dei ricorsi viene accolta dalle commissioni tributarie.
Ciò mi induce a svolgere un'ulteriore considerazione. Premesso che condivido la proposta, formulata dall'onorevole Leo, di condannare al pagamento delle spese di giudizio la parte soccombente, nei casi in cui risultano vincitori i contribuenti - e sono circa la metà - a pagare dovrebbe essere l'Agenzia delle entrate...

MAURIZIO LEO. Gli accertamenti sarebbero più mirati.

MAURIZIO DEL TENNO. La mia preoccupazione, da imprenditore, è che l'attuale rapporto, più o meno di parità, possa squilibrarsi a favore dell'Amministrazione finanziaria.

PRESIDENTE. Il Ministero non ritiene che la proposta di far pagare le spese di giudizio alla parte soccombente - che, spesso, è proprio l'Amministrazione finanziaria - possa indurre quest'ultima a non scegliere la strada del contenzioso soltanto per deresponsabilizzarsi, anche in relazione ad accertamenti non formati nel migliore dei modi?
Se ottenere l'annullamento in sede di autotutela di un accertamento o di un'iscrizione a ruolo risulta estremamente problematico, perché nessuno vuole assumersi la responsabilità di riconoscere o di ravvisare un errore, è chiaro che, poi, ci ritroviamo sempre con una massa enorme di ricorsi.
Vorrei che i nostri ospiti mi aiutassero a chiarire qualche dubbio che ancora nutro in materia di deflazione del contenzioso.
Attesa la diversa consistenza degli organici delle commissioni tributarie provinciali e il principio dell'inamovibilità dei magistrati, mi piacerebbe sapere cosa osti - forse, la professoressa Lapecorella potrebbe aiutarmi a rimediare alla mia ignoranza - al trasferimento di una parte delle controversie che ingolfano alcune commissioni tributarie. Ad esempio, se Aosta, come ci è stato riferito, ha quattordici giudici che trattano una quarantina di cause, mentre una commissione calabrese, non ricordo quale...

LUIGI CASERO, Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze. Cosenza.

PRESIDENTE. ...deve lavorare su migliaia di ricorsi, perché non si possono trasferire i giudizi?
Nell'immediato, può sembrare una sciocchezza, ma credo che dobbiamo porci anche il problema di un intervento deflattivo rispetto allo stock esistente.


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LUIGI CASERO, Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze. Signor presidente, ipotizza di spostare i giudici o le cause?

PRESIDENTE. Le cause.

LUIGI CASERO, Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze. Il contribuente calabrese, però, dovrebbe andare fino ad Aosta...

PRESIDENTE. Capisco la difficoltà del contribuente a spostarsi, per seguire da vicino la propria causa. Tuttavia, a prescindere dal tema delle cause di incompatibilità, se un organismo nazionale distribuisse le cause a seconda dei carichi e della produttività delle commissioni tributarie, ciò potrebbe servire a sfoltire i ruoli in alcune sedi e a velocizzare la definizione di giudizi fermi da anni.
La mia è una semplice curiosità. Poiché il problema di fondo è quello di ridurre il contenzioso, mi chiedevo se, considerata l'inamovibilità dei giudici, non si possano trasferire le cause. Ad esempio, ad Aosta si potrebbe trasferire una parte delle controversie pendenti a Torino, affinché quei quattordici giudici siano messi in condizione di produrre.
Non so se la mia idea sia realizzabile, ma le proposte, anche se sbagliate, si formulano per cercare di risolvere i problemi.
Do la parola al sottosegretario Casero per la replica.

LUIGI CASERO, Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze. Premetto che risponderò soltanto ad alcune delle domande poste, in quanto, come rilevato giustamente dall'onorevole Fluvi, alcuni temi potranno essere trattati in maniera compiuta, eventualmente, in occasione di un successivo incontro, dopo che saranno stati oggetto di una riflessione più approfondita.
Partirei dalla questione, sollevata dall'onorevole Comaroli e ripresa dal presidente, relativa alla distribuzione dei giudici in relazione al numero dei ricorsi, per passare poi a valutazioni più generali.
Ho già accennato in precedenza alla necessità di introdurre negli organici elementi giovani, considerata l'elevata età media dei giudici. Vi è, insomma, e non posso che ribadirlo, la necessità di immettere nella magistratura tributaria persone ed esperienze nuove. Questo è uno dei temi su cui bisogna riflettere, valutando tutte le proposte che possono apparire interessanti.
Se è vero che il giudice non si può spostare, si potrebbe trasferire la causa in una sede vicina. E poiché sia la distribuzione dei giudici sia il numero dei ricorsi non seguono una suddivisione per area geografica, ma sono disomogenei, a macchia di leopardo, il problema si potrebbe risolvere trasferendo da Cosenza non ad Aosta, ma a una sede più vicina. Questa è una delle possibilità su cui si dovrebbe riflettere.
È stato chiesto perché il numero dei ricorsi sia così elevato.
Le ragioni sono diverse (e preciso subito che non risponderò alla provocazione dell'onorevole Barbato relativa alle ragioni che determinerebbero un aumento dei ricorsi). Se partiamo dalla considerazione che onestà, serietà e senso di responsabilità sono doti che appartengono alla quasi totalità dei magistrati tributari - i casi patologici cui si è fatto riferimento sono senza dubbio preoccupanti, e su di essi dobbiamo intervenire, ma pur sempre eccezionali -, il fatto che circa la metà delle cause si concluda con esiti favorevoli ai contribuenti significa che gli uffici dell'Amministrazione finanziaria devono porre molta attenzione nello svolgimento dell'attività di accertamento, la quale deve essere mirata a scovare sacche di evasione.
Sempre a proposito di numeri, si chiede perché l'Italia sia, in Europa, il Paese con il più alto numero di ricorsi. A mio avviso, non possiamo dimenticare, quando affrontiamo tale questione, che l'entità dell'evasione fiscale è, da noi, di gran lunga superiore a quella che si registra negli altri Paesi europei. Per questo motivo, non basta constatare che in Germania,


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ad esempio, i ricorsi pendenti sono poco meno di 2.500, ma occorre chiedersi anche a quanto ammonti l'evasione in tale Paese. Insomma, ritengo che non si tratti di individuare un singolo rimedio, ma di elaborare un piano d'azione che riguardi il sistema fiscale nel suo complesso.
Senza dubbio, gli accertamenti devono essere condotti meglio, ma si devono anche prevedere norme che non diano la possibilità di appellarsi a cavilli procedurali. Ad esempio, molti ricorsi si concludono a favore dei contribuenti per irregolarità relative alla delega e, in generale, per questioni di legittimazione processuale. L'azione di contrasto dell'evasione non può, entro certi limiti, essere condizionata da esiti negativi connessi a vizi di natura procedurale. Se un contribuente ha evaso, non ha senso che il ricorso venga definito in base alla circostanza che l'avviso di accertamento reca la sottoscrizione non del titolare dell'ufficio o di un suo delegato, bensì di un diverso funzionario. Dobbiamo introdurre norme che permettano di superare i predetti vizi formali e di colpire chi effettivamente evade.
Il numero altissimo di ricorsi, dunque, è determinato da una serie di ragioni: gli accertamenti sono troppi, ma ha un ruolo importante anche la propensione a ricorrere, che è tipicamente italiana. Chi ha fatto il commercialista sa perfettamente che, quando l'ufficio tributario notifica un accertamento, le prime verifiche che il professionista effettua riguardano il rispetto dei termini e la regolarità della notificazione e della sottoscrizione. Soltanto dopo si passa a esaminare il merito dell'atto. Comunque, fino a che non sono state introdotte, la scorsa estate, le nuove norme in materia di contrasto all'evasione fiscale e contributiva, grazie alle quali anche i tempi della riscossione sono stati velocizzati, il ricorso era proposto, spesso, a meri fini dilatori.
Bisogna fare in modo, da un lato, che l'attività di accertamento si concentri sull'evasione e, dall'altro, che i ricorsi siano presentati non per allungare i tempi, ma per far valere errori compiuti dagli organi accertatori: le disposizioni recate dal decreto-legge n. 78 del 2010, che il Parlamento ha convertito a luglio 2010, vanno in tale direzione.
Per quanto concerne gli istituti deflativi, ho già detto qualcosa a proposito dell'accertamento con adesione. Posso aggiungere che il numero dei provvedimenti annullati in autotutela è aumentato, dal 2005 al 2009, del 400 per cento, mentre gli accertamenti con adesione sono aumentati del 25 per cento. Indubbiamente, l'utilizzo di tali strumenti è da auspicare, perché evita che si arrivi alla fase giudiziale.
Anche l'introduzione di una fase conciliativa precontenziosa potrebbe deflazionare il sistema. Si tratta di un intervento da realizzare nel lungo periodo. Tuttavia, è agevole immaginare come possa essere più facile, per il contribuente e per l'ufficio finanziario, confrontarsi davanti a un soggetto terzo con funzioni conciliative, fuori della sede giudiziaria, dove tutto è reso molto più complicato dalla necessità di rispettare le norme procedurali.
Passando a un tema strettamente collegato a quello ora trattato, io stesso ho posto la questione se il giudizio tributario debba svolgersi in unico ovvero in doppio grado. A mio avviso, più tecnici operano nella fase precontenziosa, più esiste la possibilità di individuare soluzioni tecniche ai problemi. Su questo aspetto, però, occorre riflettere, perché la presenza dei tecnici è necessaria anche negli organi giurisdizionali.
La rilevanza economica delle controversie tributarie richiede senza dubbio una specializzazione nella magistratura (del resto, vi sono altri organi giurisdizionali speciali o specializzati in alcune materie). È mia opinione che anche i magistrati togati possano specializzarsi. In questo modo, si dovrebbero risolvere i problemi di organizzazione delle commissioni di secondo grado e, nel caso in cui si decida di mantenere il sistema attuale, della Cassazione.
Comunque, il giudice chiamato ad affrontare problematiche caratterizzate da un'elevata rilevanza economica deve avere conoscenze economiche. Non stiamo guardando a quello che accadrà domani, ma


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un'evoluzione in tal senso è sicuramente possibile. Stiamo discutendo, però, di processi che matureranno nel lunghissimo periodo.
D'altro canto, se volgiamo lo sguardo al settore della giustizia civile, ci accorgiamo che anche i magistrati ordinari, soprattutto coloro i quali si occupano di procedure fallimentari o di controversie societarie, devono pronunciare sentenze che hanno una grande rilevanza economica. Quindi, l'aspetto economico è fondamentale anche fuori del campo tributario.
Quelli che ho finora riferito sono gli spunti e le idee sui quali potremo aprire una discussione.
Quanto agli interventi di breve periodo, mi sembra che sulla telematizzazione del processo tributario si sia d'accordo.
L'onorevole Leo ha centrato esattamente il tema sotteso alla questione dei compensi da corrispondere ai giudici tributari: abbiamo un problema di copertura.
Devo dire che il giudizio tributario è l'unico per il quale non è previsto il pagamento del contributo unificato, la cui istituzione potrebbe attenuare la smania di ricorrere del contribuente italiano.
Una soluzione alternativa potrebbe essere rappresentata da un'applicazione più rigorosa del principio secondo il quale la parte soccombente deve essere condannata al pagamento delle spese del giudizio. Probabilmente, ciò consentirebbe di non introdurre il contributo unificato. Nel contempo, la prospettiva di una condanna alle spese potrebbe scoraggiare le liti temerarie e stimolare gli uffici finanziari a produrre accertamenti più attendibili. È un'ipotesi alla quale si può lavorare.

PRESIDENTE. Poiché gli importi del contributo unificato, tutto sommato, sono modesti, non credo che l'estensione dell'istituto al processo tributario possa scoraggiare le liti di un certo valore.

LUIGI CASERO, Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze. Di questo tema potremo discutere meglio in un prossimo incontro di tipo più operativo.
Sono stati sollevati i problemi della terzietà e del conflitto di interessi.
Anche se non dovrei essere io a dirlo, in quanto parte in causa, ritengo che da parte del Ministero non vi sia, né vi sia mai stata, alcuna forzatura o induzione in direzione della non terzietà.
È reale, invece, l'esigenza di intervenire velocemente sul conflitto di interessi, eliminando alcune storture che rischiano di alterare il funzionamento complessivo del sistema. Una sola «pecora nera» può rovinare il lavoro di tante persone perbene. Si tratta di un aspetto al quale il legislatore deve prestare molta attenzione.
Ringrazio ancora il presidente e tutta la Commissione per questo primo incontro, immaginando che ne seguirà un altro. Spero di aver risposto alle vostre domande.

PRESIDENTE. Ringrazio il sottosegretario Casero e la professoressa Lapecorella.
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 14.

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