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Resoconti stenografici delle audizioni

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Commissione VI
37.
Martedì 17 maggio 2011
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Conte Gianfranco, Presidente ... 3

Audizione del Direttore dell'Agenzia delle dogane, Giuseppe Peleggi, sulle problematiche concernenti il regime IVA dei beni introdotti in un deposito fiscale e la riduzione dell'accisa sui carburanti (ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento):

Conte Gianfranco, Presidente ... 3 5 7 8 9 11 12 15 20 22
De Santis Walter, Direttore centrale gestione tributi e rapporto con gli utenti ... 9
Di Maio Pasquale, Direttore centrale affari giuridici e contenzioso ... 8
Libeccio Alberto, Direttore interregionale delle Dogane per la Campania e la Calabria ... 12 15
Fogliardi Giampaolo ... 9 10 18 20
Peleggi Giuseppe, Direttore dell'Agenzia delle dogane ... 3 5 7 8 9 10 11 15 20 22
Ventucci Cosimo ... 7 9 21
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro per il Terzo Polo: UdCpTP; Futuro e Libertà per il Terzo Polo: FLpTP; Italia dei Valori: IdV; Iniziativa Responsabile (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, La Discussione): IR; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.

COMMISSIONE VI
FINANZE

Resoconto stenografico

AUDIZIONE


Seduta di martedì 17 maggio 2011


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GIANFRANCO CONTE

La seduta comincia alle 14,10.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso e la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Audizione del Direttore dell'Agenzia delle dogane, Giuseppe Peleggi, sulle problematiche concernenti il regime IVA dei beni introdotti in un deposito fiscale e la riduzione dell'accisa sui carburanti.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento, l'audizione del Direttore dell'Agenzia delle dogane, Giuseppe Peleggi, sulle problematiche concernenti il regime IVA dei beni introdotti in un deposito fiscale e la riduzione dell'accisa sui carburanti, due temi di particolare interesse.
Il dottor Giuseppe Peleggi, Direttore dell'Agenzia delle dogane, è accompagnato dall'ingegner Walter De Santis, Direttore centrale gestione tributi e rapporto con gli utenti, dalla dottoressa Cinzia Bricca, Direttore centrale area verifiche e controlli, dal dottor Pasquale Di Maio, Direttore centrale affari giuridici e contenzioso, e dal dottor Alberto Libeccio, Direttore interregionale Campania e Calabria.
L'argomento ha impegnato la Commissione anche in molte discussioni con il Governo. Ci sembrava opportuno, dopo aver ascoltato il parere del Direttore dell'Agenzia delle entrate, ascoltare anche il Direttore dell'Agenzia delle dogane, competente sulla materia.
Do la parola al dottor Peleggi.

GIUSEPPE PELEGGI, Direttore dell'Agenzia delle dogane. Grazie. Mi chiedevo se fosse preferibile partire dalla questione delle accise sui carburanti e lasciare più spazio ai temi relativi ai depositi fiscali.
Abbiamo una documentazione da consegnare alla Commissione. Al suo interno si trovano: un fascicolo sulla fiscalità petrolifera e sulla sua incidenza sul prezzo dei carburanti; una relazione generale sulle attività e sullo stato dell'Agenzia, ivi compresa la riforma che abbiamo attuato per l'innovazione amministrativa in conseguenza della riforma Brunetta e sui risultati acquisiti; un documento che riguarda la problematica dei depositi doganali fiscali e accise abilitati anche a essere utilizzati come depositi IVA; un documento della Direzione interregionale Campania e Calabria sull'attività che abbiamo posto in essere per il contenimento di un fenomeno fraudolento legato a una gestione non corretta del deposito fiscale; un documento generale che riguarda i capitoli a rischio frode dei prodotti più squisitamente made in Italy e uno che riguarda i risultati del 2010; infine, il nostro cosiddetto Libro azzurro, che riguarda l'organizzazione delle attività e le statistiche dell'Agenzia delle dogane.
Cominciando dalla questione della fiscalità, l'audizione riguarda la norma che prevede la possibilità, attraverso un decreto, di compensare la maggiore IVA che può essere acquisita in conseguenza della variazione del prezzo industriale del carburante, in seguito ad una variazione del prezzo del petrolio a livello internazionale.


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Occorre osservare che la norma è di difficile applicazione. Basta leggerla per comprenderlo, in quanto il meccanismo previsto nel secondo comma è complesso. Ad esempio, il periodo di riferimento non è ben qualificato, chiede di commisurare un'eventuale variazione superiore al 2 per cento e presenta un riferimento del prezzo per barile di petrolio come definito nel documento di economia e finanza. In realtà, però, sappiamo anche che il Documento di economia e finanza, il vecchio Documento di programmazione economico-finanziaria, è soggetto a revisione in corso d'anno. Applicare una norma di questo tipo richiederebbe una riduzione dell'accisa compensativa dell'effetto derivato sull'IVA che grava sull'accisa, per un gettito pari alla maggior IVA pagata per effetto di una variabile esogena, con effetti anche sulle previsioni del capitolo cui afferiscono le accise nella componente entrate del bilancio dello Stato.
È un meccanismo complicato, perché il terzo comma della norma dispone che si deve operare avendo cura di non alterare i saldi, il che, anche se la norma fosse meglio definita, rende difficile applicarla in corso d'anno e relativamente più semplice solo nell'ultimo trimestre: in quel momento, infatti, sarebbe già possibile avere una cognizione dei saldi a fine anno.
Personalmente trovo che questa norma non ci aiuti; essa è assimilabile ai vincoli esistenti nelle previsioni di bilancio per i capitoli di entrata, che spesso si riflettono nell'andamento erratico che potremmo notare quando confrontiamo al tempo t il consuntivo rispetto alle previsioni per lo stesso anno.
Il meccanismo di formazione delle previsioni nel bilancio dello Stato è estremamente complicato e si avvia prima della metà dell'anno t-1. Oggi si comincia, quindi, a lavorare di fatto per le previsioni per l'anno prossimo e ciò può portare ad alcune conseguenze rispetto alla capacità di prevedere le entrate dell'accisa per l'anno prossimo. Potremmo costruire idealmente una tassonomia di quelli che potrebbero essere gli errori che commette chi compie le previsioni. Era un lavoro che svolgevo alcuni anni fa, un lavoro appassionante, ma i problemi sono enormi.
Pensate soltanto oggi al «piede di appoggio» che si usa per effettuare la previsione sul dato dell'anno prossimo. È un piede d'appoggio non stabile, perché siamo ancora in corso d'anno. Se leggete la stampa economica, vedete che i consumi di petrolio in Italia stanno riducendosi dell'1,6-1,8 per cento nel corso del 2011. Ciò significa che già sul piede d'appoggio di quest'anno rispetto alla previsione nel bilancio dello Stato si dovrebbe rimodulare l'entrata da accise per effetto del calo dei consumi. È un dato sul quale non si ha possibilità di manovra, perché sono i consumatori, i nostri cittadini, che decidono se comprimerli o meno.
Nelle previsioni di entrata, peraltro, esistono meccanismi automatici, nel senso che sulle imposte dirette esiste un modello in cui agiscono le elasticità dei diversi tributi alla crescita del PIL. Di quale PIL si tratta, però? Di quello nominale? Il PIL nominale è legato a sua volta a variabili esogene che, per esempio, possono essere il valore del barile del petrolio o il commercio mondiale: variabili su cui il Governo di un solo Paese difficilmente riesce ad agire in prima battuta in tempi rapidi.
Piccoli errori di decimali su tali variabili possono comportare un'ipotesi di inflazione attesa e, quindi, di PIL nominale relativamente più alto, di alcuni decimi, rispetto al PIL reale. Ciò significa avere una previsione errata, ossia superiore al consuntivo che si verifica nel bilancio di previsione tendenziale, e mettere in moto una spesa pubblica coperta solo per un errore di un decimale su una variabile esogena esterna alle variabili che determinano il modello di previsione.
In corso d'anno si possono verificare altri errori sul bilancio di previsione delle entrate, per esempio con manovre che non si sono potute prevedere. Il Parlamento, ad esempio, può affrontare una manovra che modifica il gettito ed essa rappresenta un'altra variabile esogena rispetto alla previsione, ma decisa all'interno del Paese. Un altro effetto può riguardare la stima delle manovre.


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L'insieme di questi errori, che si bilanciano e si compenetrano, può portare a tali differenze. In questo caso è estremamente complicato garantire un sistema di compensazione in corso d'anno, garantendo allo stesso tempo l'effetto nullo sul fabbisogno a fine anno. La norma contiene alcune regole, così come è disegnata nel secondo comma, eccessivamente lasche per poter prevedere un automatismo di quel tipo.
Si tratta, peraltro, di una norma in cui le competenze sono disegnate in modo diverso. Da una parte abbiamo un Osservatorio dei prezzi al minuto, alla pompa, dall'altro c'è l'effetto ricaduta, che può essere quello sull'Agenzia delle dogane, nella misura in cui noi siamo tenuti a modificare l'accisa per compensare un effetto, già realizzatosi, che incide sulla previsione dell'IVA.
Non esiste alcun Paese che abbia un modello IVA per prodotto. Non posso sapere qual è la previsione dell'IVA sul prosciutto San Daniele, nel caso in cui il consumo di prosciutto San Daniele venga triplicato in corso d'anno. Gli esercizi di previsione si possono compiere, ma a livello di previsione non esiste una previsione specifica per i 570 beni prodotti nel paniere dell'ISTAT. Si lavora su macro grandezze e su quella che sarà la previsione dei consumi o la previsione del PIL.
Le difficoltà di applicazione sono quelle esposte, il che non significa comunque che norme di questo tipo non siano mai state applicate. Lo sono state, però ritengo che avessero un percorso più fluido.
Un'altra difficoltà, al di là di come è strutturata la norma, consiste nella ripartizione delle competenze.

PRESIDENTE. Il tema della fiscalità è stato oggetto di alcune interrogazioni basate sul presupposto che esiste una norma che prevede ogni tre mesi una revisione. Passato il primo trimestre, indipendentemente da quanto era stato stabilito e dal costo del barile a inizio anno, una variabile obiettivamente indefinibile, la questione che emerge è la seguente: è la norma a essere sbagliata? Se, alla fine, non siamo in grado di stabilire il prezzo, o la norma è deficitaria o è oggettivamente impossibile intervenire su un meccanismo di aggravamento dell'IVA sulle accise in considerazione della variabilità del costo.
Domando, quindi, se esista un sistema per neutralizzare l'effetto derivante dall'incremento dei prezzi, sapendo che è allo studio presso il Ministero dello sviluppo economico ormai da decenni, un meccanismo per evitare questo gap di costo fra noi e gli altri Paesi europei.
Gli altri Paesi europei come si comportano? Esiste un sistema per sterilizzare l'impatto dell'IVA sulle accise?
Per esempio, nel settore dei tabacchi si è stabilito un criterio di modificabilità delle accise in relazione al prezzo minimo, che pone comunque in condizione di fissare alcune barriere o paletti. Se il prezzo continua ad aumentare, ci sarà anche da aspettarsi una riduzione dei consumi: si tratta di una variabile non indipendente.

GIUSEPPE PELEGGI, Direttore dell'Agenzia delle dogane. L'altra difficoltà era proprio questa, ossia il ritorno del prezzo amministrato. Se introduciamo una formula automatica che comporta la riduzione dell'accisa in modo tale che con l'IVA legata alla riduzione si compensi la maggiore IVA maturata sul prezzo industriale, di fatto stiamo introducendo il prezzo amministrato. Il prezzo amministrato è una scelta che è stata in vigore in Italia per anni. Sarebbe una soluzione, ma nel settore si è fatto molto per abbandonare il prezzo amministrato.
Rispetto agli altri Paesi esiste una differenza nei costi industriali, con riferimento al prezzo industriale da raffineria, da distribuzione e alla pompa, inclusa la parte di spettanza dei benzinai. L'Antitrust sta attualmente conducendo indagini su più settori. Una verte sull'utilizzo del prezzo Platt come prezzo di riferimento internazionale, ed è conseguente a un'indagine già svolta relativa al prezzo industriale del bitume. Inoltre, l'Antitrust sta lavorando sulla rete di distribuzione per riuscire a capire, rispetto alla diffusione


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delle pompe «bianche», l'effetto che si può ottenere.
Nella documentazione consegnata alla Commissione vi sono numerose tabelle; una di esse riguarda la rete distributiva e può essere indicativa. Da essa si evince come nel 2009 - anno per il quale disponiamo dei dati di altri Paesi - in Italia esistessero 22.900 impianti, in Francia 12.500, in Germania 14.700, in Gran Bretagna 9.000, come anche in Spagna. Evidentemente l'erogato per pompa da noi risulta la metà di quello degli altri Paesi.
Abbiamo inoltre messo a confronto la fiscalità dell'Italia con quella degli altri Paesi. Rispetto alla Spagna la fiscalità della benzina è del 15,9 per cento più bassa. Rispetto al gasolio la Spagna ha una fiscalità inferiore del 19,85 per cento. Regno Unito, Germania e Francia sulla benzina riscuotono più di noi a livello fiscale. Regno Unito e Germania riscuotono di più anche sul gasolio, mentre la Francia è leggermente al di sotto.
Quanto al differenziale sui prezzi industriali, il nostro prezzo industriale è del 3,69 per cento superiore a quello spagnolo, dell'11,79 per cento rispetto a quello del Regno Unito, dell'11 per cento rispetto a quello della Germania e del 6 per cento rispetto a quello della Francia. Lo stesso avviene sul versante del gasolio.
Il differenziale si può in parte spiegare, essendo il prezzo industriale tutto compreso, rispetto al Regno Unito che può utilizzare il petrolio del Mare del Nord, mentre si spiega poco rispetto agli altri Paesi, se non con problemi di inefficienza della rete distributiva, di una minore efficienza delle nostre raffinerie e anche di approvvigionamento del carburante, ossia dei punti di distribuzione, visto che la nostra è una rete doppia rispetto a quella degli altri Paesi. Presumibilmente abbiamo più cisterne che circolano tutti i giorni per strada. Mettendo insieme questi tre fattori, forse si riesce a capire quale pesa di più, quale di meno e quali sono i motivi. È uno studio estremamente complesso, però ci stanno lavorando sia il MISE, attraverso la direzione competente, sia l'Autorità per l'energia elettrica e il gas. Sono temi sotto analisi. Ultimamente è stata avviata un'analisi anche da parte della Corte dei conti - ci hanno audito alcuni giorni fa - che sta lavorando esattamente su questa questione, ovvero sul differenziale del prezzo industriale.
La documentazione mostra inoltre l'accisa nei diversi Paesi, l'aliquota IVA vigente e il prezzo alla pompa. Come vedete, in relazione al prezzo della benzina al 9 maggio, data cui i risultati sono aggiornati, siamo preceduti da molti altri Paesi. A fronte di una media di 1,526 euro, il 9 maggio, mediamente, il prezzo di vendita era di 1,556. Avendo presente qual è la collocazione italiana sul prezzo finale, se guardate il prezzo industriale, notate subito come nella hit parade del costo più elevato abbiamo scalato posizioni e ci collochiamo al terzo posto.
La rilevazione sul carico fiscale complessivo, cioè il sacrificio fiscale legato a un litro di benzina, mostra come sia un luogo comune l'affermazione che abbiamo le più alte imposte su un litro di benzina: non è vero. Se confrontate l'Italia con gli altri Paesi, vedete che abbiamo davanti l'Olanda, la Gran Bretagna, la Germania, la Francia, il Belgio. I Paesi con costi maggiori sono comunque sempre quattro o cinque, nel senso che i consumi più alti sono quelli inglesi, tedeschi, francesi; poi ci siamo noi e gli spagnoli.
La documentazione indica altresì quanto incida il fisco sul prezzo alla pompa: in Italia esso ammonta al 53,4 per cento e anche gli altri Paesi si attestano intorno a questa cifra. Come vedete il range dei grossi consumatori è compreso tra 51 e 58,9 (Gran Bretagna), ma la differenza esiste e anche in tal senso non deteniamo il primato.
Sul gasolio si rileva più o meno la stessa distribuzione. Il costo industriale è relativamente più alto nel confronto con gli altri Paesi dell'Unione europea di quanto rifletta il prezzo alla pompa. Riguardo alla fiscalità, perdiamo invece alcune posizioni, fortunatamente, e ci collochiamo esattamente nella media comunitaria. Attenzione: la media comunitaria è ponderata per i consumi. Si è rilevato


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uno sfasamento di un anno sui consumi quando è stata ricavata la media ponderata, perché non è semplice ottenere tutti i consumi. Non avevamo ora a disposizione i consumi al 9 maggio.

PRESIDENTE. Il differenziale così forte sul gasolio tra noi, la Francia, la Germania e i grossi Paesi non incide anche sul costo dei servizi?

GIUSEPPE PELEGGI, Direttore dell'Agenzia delle dogane. Assolutamente sì. La domanda di trasporto è una domanda cosiddetta derivata, nel senso che entra nella distribuzione di tutti i prodotti, ragion per cui sicuramente, nella misura in cui si riflette sul prezzo alla pompa, il maggiore costo industriale verrà trasferito in passaggi che producono comunque inflazione: è evidente. Il gasolio per autotrasporto pesa su tutti.
Questo è il prezzo alla pompa che troviamo al distributore. Per l'autotrasporto pesante, sopra le 7,5 tonnellate, esiste un sistema agevolativo di rimborso che abbatte i costi. Alcune ricadute sono state dunque sterilizzate.

COSIMO VENTUCCI. Mi sembrano dati estremamente utili, perché ci consentono di capire finalmente come stanno le cose in Italia anche in rapporto con gli altri Paesi. La domanda, che deriva anche dall'interrogazione del collega Fluvi, era relativa proprio alla norma, che lei afferma essere di difficile interpretazione, sulla revisione trimestrale, che dovrebbe consentire consentire di modificare l'IVA in relazione ai prezzi e ai consumi.
L'audizione odierna si svolge davanti a soggetti che possono modificare le leggi, io lo ripeto sempre a voi, che siete la pubblica amministrazione e gestite le norme. Queste norme, come lei sostiene, sono di difficile interpretazione: è possibile avere un suggerimento affinché noi possiamo intervenire e modificarle a beneficio della chiarezza nei confronti dell'utente?
Non è un problema filosofico su come applicare o non applicare le norme, ma si tratta di vedere le risultanze pratiche nei confronti dell'utente. Se invece che operare su una periodicità trimestrale, come mi pare di averle sentito proporre, si può intervenire a consuntivo, credo che la norma si potrebbe anche modificare in tal senso. A vantaggio di chi o come, però? Alla fine questi soldi vengono incassati da qualcuno, ma questo qualcuno è lo Stato o è un privato? Si pone anche questo dubbio: se prevedere che i conti vengono fatti a consuntivo fa sì che sia lo Stato ad incassare, si potrebbe anche prevedere una norma per cui il gettito in più o in meno venga utilizzato secondo l'indirizzo che il Parlamento voglia dare. Altrimenti che cosa succede a consuntivo? Al di là del fatto che trimestralmente è più difficile l'applicazione della previsione, alla fine questi soldi in più o in meno - credo che siano sempre in più - dove vanno a finire? Come vengono gestiti, in quale capitolo entrano?

GIUSEPPE PELEGGI, Direttore dell'Agenzia delle dogane. Non so se siano sempre in più, perché, per esempio, tra il 2 e il 9 maggio il prezzo alla pompa del gasolio è sceso del 2,2 per cento.

COSIMO VENTUCCI. Il problema deriva dalla trimestralità: se, anziché a livello trimestrale, la previsione si applica a livello annuale, si può agevolare l'applicazione? È questo il punto che volevo sottoporre. Ne riceve un danno lo Stato, il fisco, oppure no?

GIUSEPPE PELEGGI, Direttore dell'Agenzia delle dogane. Ribalterei la questione. Io credo che sia corretto non tornare al prezzo amministrato. Introdurre un meccanismo automatico significa portare al prezzo amministrato, seppure con correttivi periodici. Significherebbe avere un'accisa mobile in funzione del costo di produzione.
Tutte le analisi che si stanno compiendo conducono a una conclusione generale per cui non è stato rintracciato un colpevole, ma una filiera che ha al suo interno alcune inefficienze. Se tutte le analisi conducono a rintracciare queste


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inefficienze in un comparto, seppure vastissimo, non credo sia corretto introdurre un meccanismo che riduca automaticamente l'accisa per compensare un'eventuale crescita di inefficienza.
Significherebbe, peraltro, trattare il gettito dell'accisa quasi come un'imposta di scopo che va a coprire le inefficienze di un determinato settore. Oggi l'accisa finisce nel calderone della fiscalità generale e dà luogo a tutta l'attività di socializzazione che, attraverso le imposte, viene condotta dalla ricchezza nazionale attraverso spesa pubblica e imposte.
In questo senso non sono la persona adatta a cui chiedere una soluzione: si dovrebbe considerare una formula in cui si aggiusta periodicamente, anche una volta al mese in funzione del mese precedente, l'accisa, riducendola o aumentandola, per compensare l'IVA. Ma una formula di questo tipo significa stabilire un prezzo amministrato mensile. A nulla servirebbe compiere uno sforzo per introdurre le pompe «bianche», per realizzare il contenimento della rete distributiva e per andare verso una rete distributiva più efficiente ed efficace, così come si è tentato in anni passati, quando si cercava di far chiudere alcuni benzinai dando loro aiuti. A nulla servirebbe l'idea di collocare oggi i distributori di fianco ai supermercati.
Questo sforzo finirebbe nel nulla nel momento in cui si stabilisce che l'accisa compensa eventuali inefficienze. Le inefficienze possono essere di qualsiasi tipo, compresa l'idea di costruire un profitto di cartello. Non vi è nulla di provato e non c'è alcun colpevole, immagino che sia soltanto una somma di inefficienze marginali a condurre a tale risultato, però costruire un prezzo amministrato in cui l'imposta si riduce in modo automatico potrebbe significare anche questo, cioè garantire un'extrarendita in un mondo governato non da una diffusa attività imprenditoriale, ma da un'imprenditoria molto concentrata, che magari comprende anche il leader del mercato. Non è un mondo semplice. Tecnicamente, comunque, è fattibile.

PRESIDENTE. L'ipotesi dell'acquirente unico per il settore dei carburanti semplificherebbe la vicenda. Stabilire che, come per l'energia elettrica, ci sia un ente pubblico che compra il prodotto a tutti i livelli e poi lo distribuisce ai grossisti, con un prezzo che chiaramente viene fissato una volta per tutte, non potrebbe risolvere il problema?

GIUSEPPE PELEGGI, Direttore dell'Agenzia delle dogane. Io credo che esista una differenza forte rispetto al settore dell'energia elettrica che rende molto più complesso un meccanismo di questo tipo: l'energia elettrica non si può stoccare. Esiste invece la possibilità di acquistare petrolio da stoccare e di costruire sistemi di derivati - chiamiamoli in modo semplice - o scommesse in pronti contro termine. Per l'energia elettrica non ci sono queste possibilità.
Non ho considerato un'ipotesi di questo tipo, anche se l'argomento è interessante. Se volete, ci ragioniamo e ci torniamo sopra, ma non credo che sia praticabile. Ho l'impressione che sia diverso il tipo di prodotto.

PRESIDENTE. Svolgevo un ragionamento anche perché se ne sta discutendo a diversi livelli. Nel momento in cui oggi si ha la filiera: produttore di petrolio - raffinatore - grossista - distributore, è chiaro che, se ci si rivolge alle «Sette sorelle», si ha un prezzo definito. Se esistesse un'entità pubblica che compra direttamente e fissa il prezzo, nella fase successiva - questo richiederebbe, però, lo spacchettamento fra i produttori, i raffinatori e i distributori, che adesso «fanno filotto» perché sono allo stesso tempo produttori, raffinatori e distributori - si avrebbe un prezzo stabilizzato sul quale fissare il prezzo e i conseguenti prezzi della distribuzione. Si tratta di una sorta di «Progetto Mattei.»

PASQUALE DI MAIO, Direttore centrale affari giuridici e contenzioso. È una sorta di calmiere che assicura allo Stato la possibilità di intervenire su prezzi che,


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proprio in quanto calmierati e gestiti dalla mano pubblica, fungono da deterrente.

GIUSEPPE PELEGGI, Direttore dell'Agenzia delle dogane. Siamo a un passo dalle partecipazioni statali e, quindi, va bene anche il prezzo amministrato.

PRESIDENTE. Come ne veniamo fuori rispetto alle richieste che vengono avanzate?

GIUSEPPE PELEGGI, Direttore dell'Agenzia delle dogane. A proposito di complessità, possiamo leggere il secondo comma.

WALTER DE SANTIS, Direttore centrale gestione tributi e rapporto con gli utenti. Il decreto di cui al comma 290 è adottato - prima la norma parlava di possibilità, ora invece di obbligo - con cadenza trimestrale se il prezzo di cui al medesimo comma aumenti in misura pari o superiore, rispetto alla media del periodo, a due punti percentuali rispetto esclusivamente al valore di riferimento espresso in euro indicato nel Documento di programmazione economico-finanziaria, che ora però è il DEF. La norma è già piena di vaghezze elementi piuttosto vaghi, secondo me.

PRESIDENTE. Le interrogazioni indicavano che il prezzo era fissato a 75 dollari, se ricordo bene. Siamo arrivati ora a un prezzo che viaggia intorno ai 100 dollari, fino a punte di 110, però se il periodo di riferimento è il trimestre, con un prezzo di 75 è chiaro che si rileva una variazione notevolissima che ha inciso sui prezzi. D'altra parte, il prezzo alla pompa è cresciuto in maniera straordinaria.
Se il valore è calcolato su base trimestrale, ci si aspetta che venga emanato un decreto, con riferimento al trimestre precedente. Se ciò non è successo è evidente che, pur dovendo tener conto che alla fine dell'anno il meccanismo deve essere neutro, esiste un'obiettiva differenza riscontrabile. Si può sempre fare in tempo il trimestre successivo a verificare se la situazione è cambiata. Vogliamo parlare dell'Euribor a tre o a sei mesi? Una volta stabilito poi le differenze si compensano. Il trimestre successivo si diminuisce o aumenta in relazione alla necessità.

GIAMPAOLO FOGLIARDI. Intervengo solo per confermare la riflessione, l'obiezione e la valutazione che svolgeva il presidente. Questa incertezza e impotenza a intervenire sotto alcuni aspetti preoccupa molto, perché mi pare di capire che non si riesca ad afferrare il bandolo della matassa.
Evidenzio solo una questione. Sono molto interessanti le statistiche e i confronti con gli altri Paesi europei, però non dimentichiamo che in questo momento sull'economia delle famiglie italiane questo problema incide in maniera pesantissima ed è forse una delle voci più pesanti. Siamo un Paese in cui i mezzi pubblici non hanno la rilevanza e il peso che hanno in altri Paesi, come la Germania, l'Inghilterra o la Svezia, dove esiste un efficientissimo servizio di mezzi pubblici, che compensa l'incidenza del costo sui carburanti.
Noi siamo un Paese che, per sua natura e non solo per carenza di servizi, deve molto usufruire del trasporto privato e questo è un dato sul quale nelle prossime settimane occorrerà riflettere. Parlo non solo delle grandi città, dove forse ancora si riesce a gestire il problema, ma della periferia del Paese, di quei distretti industriali in cui tutte le mattine si deve prendere l'automobile per andare al lavoro: in tale ambito il problema incide non poco.
È un dato sul quale servirebbe un dovuto approfondimento, perché, come si ricordava poco fa, siamo qui anche per legiferare. Se esiste la possibilità di farlo, aspettiamo anche un input per poter intervenire.

COSIMO VENTUCCI. Oltre alla parte fiscale, che il dottor Peleggi e i suoi collaboratori ci hanno illustrato in maniera chiara, credo che il problema investa anche il Ministero dello sviluppo economico.


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Non possiamo domandare a chi deve applicare la norma come deve farlo.
Credo che il dottor Peleggi sia stato molto chiaro, ed io lo ringrazio, anche perché ci ha anticipato che la Corte dei conti sta esaminando il provvedimento. Probabilmente anche a loro questa norma di difficile interpretazione creerà problemi dal punto di vista dell'amministrazione delle accise e delle entrate.
Presidente, le chiedo di sentire a questo proposito anche come il Ministero dello sviluppo economico possa contribuire a chiarire la questione, perché la norma è di difficile interpretazione. La parola «interpretazione» accende ovviamente un campanello d'allarme estremamente delicato nei confronti della gestione della norma stessa.

GIAMPAOLO FOGLIARDI. Volevo aggiungere solo una considerazione. Per riprendere ciò che affermava poco fa il dottor De Santis sul calmiere, e sul fatto che in questo modo torneremmo alle partecipazioni statali, vorrei sottolineare, da un punto di vista politico, visto che viene tirato in mezzo il Ministero dello sviluppo economico, che in riferimento alla questione Parmalat e Lactalis, la scorsa settimana, e con l'intervento che si prevedeva di fare con la Cassa depositi e prestiti, pur essendo un altro settore e un altro campo, non eravamo tanto distanti.
Stiamo ascoltando dei dirigenti dell'Amministrazione finanziaria, che chiaramente non hanno voce in capitolo, ma lo rilevo come riflessione: in determinati momenti di emergenza questi interventi erano quanto meno ipotizzati. Nulla toglie che un domani vi si possa ancora ricorrere.

GIUSEPPE PELEGGI, Direttore dell'Agenzia delle dogane. Chi è che decide quali sono i settori interessati? Il mondo è cambiato molto, forse l'approccio del liberismo assoluto va un po' ridimensionato (parlo da cittadino, non da rappresentante dell'Agenzia delle dogane).
Sicuramente quello petrolifero ed energetico sono settori strategici. In una politica industriale che compila un elenco di settori strategici inserirei anche i porti. Oggi ho letto sui giornali che Gioia Tauro sta per essere abbandonata dalla Maersk. Magari in alcuni casi bisogna trovare soluzioni più coerenti con il mercato, più pratiche. La politica industriale deve essere vitale e forse questo settore può essere interessato.
Noi comunque analizzeremo la possibilità di costruire un meccanismo, anche se alla fine come Agenzia delle dogane il nostro compito è limitato: rispetto a questa norma a noi si deve indicare di abbassare l'accisa di un tot, in modo tale da garantire un tot di gettito. Non si può chiedere all'Agenzia delle dogane di mettere in moto un meccanismo per delineare uno scenario possibile. È un'altra questione, che attiene all'Osservatorio, al tavolo dei petrolieri e ad altri ministeri. Ciascuno ha le proprie competenze all'interno dello Stato.
In ogni caso la gestione di un'imposta come questa, un'imposta sulle quantità, ha delle ricadute anche sulle innovazioni introdotte nel mercato dell'energia elettrica; non sono pochi i problemi che ci siamo posti e che ci poniamo tuttora. Quando si bandiscono le gare, le aste per il concessionario della rete dell'anno successivo, avendo un'imposta magari commisurata ai consumi dell'anno precedente, il vincitore della gara non ha più la base sulla quale deve pagare l'imposta. Dobbiamo quindi valutare anche le questioni connesse con le modalità di acquisizione dell'imposta e le modalità e i tempi di riscossione.
Noi svolgiamo le analisi e cerchiamo anche di prevenire alcuni fenomeni. Ci assumiamo l'impegno di verificare come il sistema può funzionare. L'approccio è affascinante, perché ripercorre da una parte forse un sistema che era stato introdotto quando la politica industriale negli anni del boom economico italiano era in forte crescita e vigeva l'idea di riuscire a gestire in modo strategico un settore come questo e, dall'altra, può consentirci di individuare nella storia una soluzione per il futuro.
Osservando questi numeri, è difficile pensare che esistano inefficienze tanto


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forti legate alle sedici grandi raffinerie in Italia. È un fatto, però, che la rete distributiva è molto più articolata, capillare e numerosa. È evidente che tutto ciò riguarda ciò che ricordavamo prima: la gestione di un prezzo più elevato ha delle ricadute sulle famiglie, su tutti i prodotti, un piccolo zoccolo di inflazione che esiste comunque; tutto ciò condiziona la mobilità.
Strumenti di questo tipo sono stati effettivamente utilizzati nel passato. Quando fu introdotta la carbon tax, il 16 gennaio del 1998, il prezzo del petrolio era di 11 dollari al barile. Nell'ottobre del 1998 il prezzo del petrolio era di 33 dollari al barile. La carbon tax aveva prefissato nei cinque anni successivi soglie di crescita ponderate per prodotto a seconda dell'emissione di CO2 in fase di combustione, per cui esse erano più alte per il prodotto più inquinante e più basse per quello meno inquinante, il metano: un chilo di metano comportava 2,63 chili di CO2 emessa per combustione e un chilo di carbone 4 chili di CO2. L'imposta avrebbe dovuto crescere in modo maggiore per il prodotto più inquinante, ma la carbon tax fu sterilizzata dopo dieci mesi di vita con dieci decreti successivi, uno al mese.
Rompere lo schema della carbon tax, restituendo le 50 lire di maggiore imposta, comportò una decina di decreti nel corso del 1999, uno dietro l'altro, uno al mese. Erano molto semplici e banali, però erano necessari, perché era triplicato improvvisamente, in dieci mesi, il prezzo del petrolio estratto, del brent, e, di conseguenza, si era verificata una crescita vertiginosa dei prezzi al consumo. L'impatto inflattivo era stato forte e, peraltro, si era aggiunto l'effetto «scalino». Alla fine si doveva intervenire per forza e si intervenne. Trovo questo meccanismo più complesso.

PRESIDENTE. Abbiamo capito che dovremo ragionare su questa tematica. Vogliamo passare agli altri argomenti, che sono, peraltro, anch'essi interessanti?

GIUSEPPE PELEGGI, Direttore dell'Agenzia delle dogane. Se il presidente è d'accordo, chiederei all'ingegner De Santis di svolgere una ricognizione dell'attività dell'Agenzia delle dogane rispetto alla normativa riguardante i depositi doganali e fiscali ai fini delle accise.

WALTER DE SANTIS, Direttore centrale gestione tributi e rapporto con gli utenti. L'Agenzia delle dogane gestisce i depositi doganali e i depositi fiscali ai fini delle accise. Si tratta di luoghi nei quali le merci vengono detenute, con il vantaggio di avere i dazi o le accise sospesi dopo che si è già creato il momento generatore dell'obbligazione tributaria e non si è ancora perfezionata l'esigibilità, la quale si perfezionerà con l'estrazione dai depositi per l'immissione al consumo.
La caratteristica di questi depositi è data dal fatto che essi sono istituti che assolvono, per dettato comunitario, alla funzione di deposito fisico delle merci ivi introdotte. Per norma nazionale, in recepimento delle direttive comunitarie sull'IVA, questi depositi sono anche abilitati a essere utilizzati come depositi fiscali ai fini IVA. Svolgo questa breve premessa per sottolineare che si tratta di depositi fiscali abilitati a essere gestiti in regime di deposito IVA sui generis, perché sono depositi che già esistono per altre finalità e che vengono abilitati a essere usati anche come deposito fiscale ai fini IVA.
L'Agenzia delle dogane, d'intesa con l'Agenzia delle entrate, sin dalla fine degli anni Novanta ha sempre perseguito una linea interpretativa secondo la quale il momento assolutamente indispensabile è quello dell'introduzione delle merci in deposito, anche se la prassi amministrativa ha elaborato alcune semplificazioni a tal riguardo, disponendo che per l'introduzione in deposito non fosse indispensabile che le merci fossero scaricate dai contenitori, perché stoccate in container o in autobotti che poi sarebbero ripartite; non era, inoltre, necessario, perché non individuato, stabilire un tempo minimo di giacenza nel deposito.
Da ultimo, la prassi amministrativa si è adeguata alla norma di legge di interpretazione autentica del gennaio del 2009, la


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quale ha chiaramente stabilito che si intende come introduzione in deposito anche l'esecuzione di alcune operazioni previste espressamente dalla norma, quali il controllo dei suggelli, il controllo della quantità e della qualità delle merci, il cambio della documentazione, che possono essere eseguite negli spazi antistanti, limitrofi o adiacenti al deposito, purché siano spazi dei quali il depositario abbia comunque la disponibilità. Anche queste operazioni integrano la fattispecie di introduzione in deposito e, quindi, coerentemente, danno attuazione al principio di introduzione nel deposito delle merci. Questa è la prassi amministrativa dell'Agenzia delle dogane, concordata sempre, peraltro, con l'Agenzia delle entrate, competente per quanto riguarda l'IVA.
Su alcune questioni riguardanti casi di deposito cosiddetto virtuale, cioè di iscrizioni solo contabili delle merci in deposito senza che le merci stesse fossero transitate nemmeno negli spazi adiacenti al deposito, sono intervenute alcune pronunce della Corte di Cassazione, le quali, in aggiunta alla decisione sui casi specifici, hanno anche indicato alcuni princìpi nelle loro motivazioni che, in effetti, rendono, al momento, fortemente necessario un grosso impegno da parte dell'amministrazione per attuare la prassi amministrativa elaborata nel corso del decennio cui prima accennavo.
Per salvaguardare la fluidità delle operazioni - che sono la stragrande maggioranza e costituiscono la fisiologia del sistema - sarebbe necessario un grosso impegno da parte dell'amministrazione, soprattutto dopo le pronunce della Cassazione, affinché si possa continuare ad applicare la prassi amministrativa di interpretazione che aveva, peraltro, avuto riscontro anche nella norma di interpretazione autentica dei primi mesi del 2009, fermo restando naturalmente che, quando ci sono attività che costituiscono una patologia nel sistema, l'amministrazione interviene contestando le irregolarità e ponendo in essere tutti gli adempimenti a contrasto delle illiceità di tali operazioni.
Finora la parte di deposito che rimarrebbe comunque esclusa dalla possibilità di essere autorizzata è quella del deposito cosiddetto virtuale, cioè la mera presa in carico contabile delle merci, senza avere contezza dei luoghi e dei soggetti presso cui le merci si trovano nei diversi momenti. È un'operazione dal punto di vista fiscale estremamente pericolosa, anche per i profili che riguardano attività che sono state condotte nella Direzione regionale della Campania e della Calabria, cui magari successivamente si accennerà.

PRESIDENTE. Do la parola al dottor Libeccio.

ALBERTO LIBECCIO, Direttore interregionale delle Dogane per la Campania e la Calabria. L'analisi condotta a livello di Direzione interregionale prendeva essenzialmente le mosse dal fenomeno della sottofatturazione. Affinando le nostre analisi abbiamo constatato negli ultimi due anni, nel 2009-2010, che al fenomeno della sottofatturazione si accompagna sempre più un utilizzo fraudolento del regime 45, cioè dell'introduzione in deposito IVA.
Ci parve evidente che i nostri risultati, come in una partita a scacchi, venivano vanificati da un'altra mossa, che era quella di entrare nel deposito IVA e di utilizzare i benefici previsti per tale tipo di regime. Abbiamo anche rilevato che tale utilizzazione si accompagnava quasi sistematicamente ad alcuni fenomeni illeciti noti come missing trader e frodi carosello.
Abbiamo ritenuto, pertanto, di approfondire le analisi su questo fenomeno con uno strumento primario: abbiamo di creato profili di rischio specifici per le società che effettuavano importazioni utilizzando questo regime al solo fine di evadere l'imposta finale, con lo scopo di intercettare al momento dello sdoganamento «in linea» tutte le operazioni effettuate dalle società che dai nostri accertamenti risultavano essere a rischio, in quanto era molto probabile che non avrebbero pagato l'IVA dopo l'introduzione nel deposito IVA.
Abbiamo indirizzato l'attività di analisi dei singoli uffici, indicando loro di prestare


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molta attenzione a questo fenomeno e di utilizzare in modo sapiente tutti i dati che avevamo a disposizione nelle banche dati, incrociandoli per ottenere concreti target su cui indirizzare le successive attività di verifica.
In particolare, abbiamo segnalato agli uffici alcuni indicatori di rischio che potevano essere presi in considerazione, come la breve storia fiscale di un'azienda che, pur costituita da poco tempo, disponesse però di volumi di affari notevoli e di un cospicuo numero di operazioni di importazione; società che importavano beni che non avevano nulla a che vedere con l'attività dichiarata all'Agenzia delle entrate al momento dell'apertura della partita IVA; oppure che avessero indirizzi incongruenti o, peggio ancora, costituiti da mail boxes, depositari che avessero avuto un indirizzo di mail box, o ancora rappresentanti legali che fossero risultati rappresentanti di società cessate in poco tempo negli anni precedenti. Oltre a individuare questi indicatori di rischio, abbiamo anche suggerito ai nostri uffici di compiere accessi conoscitivi sul territorio, per avere una completa mappatura e identificazione dei soggetti che avevano a che fare con noi.
Sulla base delle analisi condotte dalla Direzione interregionale della Campania e della Calabria, sono arrivate anche le risultanze degli accertamenti effettuati dall'Ufficio centrale antifrode, che ci ha fornito preziose informazioni, perché ci ha fatto notare come a Napoli passasse il 60 per cento del traffico di merci di origine cinese che transitava sistematicamente nel deposito IVA, utilizzando il regime 45. Abbiamo sviluppato l'analisi e ci siamo resi conto che negli anni precedenti, nel 2008-2009, si era passati già da un significativo 75 per cento addirittura a un 92 per cento di queste operazioni effettuate prevalentemente nel porto di Napoli. È emerso che le imprese che utilizzavano questo regime avevano una storia molto breve, di 6-9 mesi, poi scomparivano e non pagavano mai l'IVA.
Nel frattempo sono intervenute alcune pronunce giurisprudenziali, a livello nazionale e comunitario. In particolare, a livello nazionale, la Corte di Cassazione, con una recentissima sentenza del 2010, ha distinto l'IVA all'importazione dall'IVA interna e, specificamente in relazione al fenomeno del deposito IVA, ha affermato che, laddove l'IVA non fosse stata assolta dopo l'utilizzazione del regime 45, essa andava considerata IVA all'importazione e, quindi, un diritto di confine.
Dopo la lettura di questa importante decisione, abbiamo pensato che fosse opportuno dare un nuovo senso a una decisione già assunta a livello comunitario dalla Corte di giustizia nel 2006, nella causa C/255, che verteva in tema di abuso del diritto. L'organo di giustizia comunitario ha affermato un principio importante, ossia che, laddove le operazioni integrassero un comportamento abusivo, esse devono essere ridefinite in maniera da ristabilire la situazione quale sarebbe esistita senza le operazioni che hanno fondato tale comportamento. In buona sostanza, per quanto riguarda il deposito IVA, essa affermava che il beneficio connesso all'uso di tale istituto non può essere il non assolvimento dell'imposta, ma deve essere semplicemente il differimento della corresponsione dell'imposta.
Sulla base delle analisi condotte, dei dati che avevamo rilevato, della decisione della Corte di cassazione e della rilettura della decisione della Corte di giustizia, nonché di un assunto incontrovertibile per chi lavora in dogana, cioè che i diritti in dogana o si pagano o si garantiscono, abbiamo stabilito che, se questo era un diritto doganale, un diritto di confine, esso doveva essere o pagato o garantito.
Abbiamo, quindi, calato queste considerazioni in una disposizione di servizio, la n. 25 emanata alla fine del 2010, la quale aveva l'ambizione di trovare un punto di equilibrio tra le esigenze dei contribuenti di poter continuare a utilizzare il meccanismo del regime 45 del deposito IVA e l'interesse, altrettanto primario, dello Stato e dell'Erario comunitario e nazionale. Come trovare tale punto di equilibrio? Abbiamo pensato che lo si potesse fare prevedendo di richiedere una


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garanzia per l'IVA, ovviamente in determinate condizioni, che allungasse nel tempo la certezza della riscossione effettiva dell'IVA stessa.
Considerando, come si è ricordato, che l'IVA è un diritto di confine, anche per questa IVA dovevano essere validi i princìpi e le regole contenuti nel Codice doganale comunitario e, in particolare, la previsione dell'articolo 190 per cui, qualora l'Autorità doganale veda in pericolo l'adempimento dell'obbligazione tributaria, essa può chiedere la prestazione di una garanzia, anche al di fuori dei casi di prestazione obbligatoria di una garanzia, sulla base di una valutazione rimessa all'Autorità doganale.
La disposizione ha richiesto agli operatori la costituzione di una garanzia, ma con delle eccezioni, altrimenti si sarebbe verificata una crisi del sistema. Abbiamo fatti salvi tutti i soggetti che fossero stati già certificati come AEO, cioè Operatore economico autorizzato, tutti i soggetti che avessero già avuto una certificazione audit delle proprie imprese, una certificazione di affidabilità, e tutti i soggetti che già usufruissero del beneficio previsto dall'articolo 90 del Testo unico delle leggi doganali, cioè dell'esonero dal prestare la cauzione.
A maggior ragione, rispetto alla categoria degli spedizionieri doganali, era stato anche suggerito che, laddove essi l'avessero ritenuto opportuno e avessero potuto avere sicurezza del proprio cliente, avrebbero potuto dichiarare le operazioni in dogana in rappresentanza indiretta, essendo responsabili in solido con l'importatore del tributo da pagare, senza ovviamente la prestazione della garanzia, in quanto la presenza dello spedizioniere, professionista noto all'amministrazione doganale, era da sola sufficiente a garantire l'amministrazione doganale.
La garanzia prestata sarebbe stata poi svincolata solo in seguito alla presentazione della dichiarazione periodica IVA o alla dichiarazione annuale IVA. Inoltre - e ciò fornisce la misura della disposizione - sono state esentate dal presentare la garanzia tutte le società che potessero dimostrare una storia fiscale, una fedeltà fiscale, ossia un grado di tax compliance. Come potevamo accertarla? Abbiamo chiesto la presentazione di alcuni documenti: l'iscrizione alla Camera di commercio, il bilancio e le note integrative degli ultimi due anni e la dichiarazione IVA degli ultimi due anni, con una copia dei versamenti dell'IVA a debito. Sono state dettate istruzioni operative agli uffici ed è stata creata una banca dati web a livello locale che è andata via via crescendo: oggi abbiamo una mappatura del territorio molto importante. Forse non ci aspettavamo neanche, quando abbiamo emanato la disposizione, di ottenere questo tipo di risultato, adesso abbiamo uno spaccato del territorio molto chiaro.
Dopo la diramazione della disposizione si è creato un allarme, una preoccupazione diffusa tra gli operatori, che forse non avevano ben colto la dimensione della disposizione. Abbiamo tenuto un incontro allargato che è stato molto interessante, e inizialmente tumultuoso, con tutti gli operatori e gli spedizionieri, ed è stata ulteriormente chiarita la portata della disposizione.
Con soddisfazione abbiamo anche ricevuto una nota di plauso dalla Confindustria Campania, la quale da subito, sin dal dicembre del 2010, ha condiviso l'iniziativa assunta, che definì una scelta coraggiosa, la quale avrebbe generato lo scontento di tante aziende sleali ma, allo stesso tempo, sollecitato il plauso da parte di tanti imprenditori corretti. Questa presa di posizione ci ha rinfrancato.
Abbiamo, quindi, analizzato i risultati ed effettivamente c'è stata una forte riduzione del numero di società che utilizzano il predetto regime 45. Si è pertanto dimostrato che l'utilizzazione di tale regime a Napoli non aveva affatto una valenza economica, ma era soltanto uno strumento utilizzato da imprese di malfattori per accumulare ingenti capitali e poter poi utilizzare questo strumento per spiazzare tutte le altre ditte sul mercato. Era un fenomeno devastante.
Fino all'aprile del 2011 hanno presentato istanza 751 società. L'aspetto che ci


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ha colpito è stato che, in particolare presso l'Ufficio delle dogane di Napoli, sono risultate 1.378 le società che avevano effettuato operazioni utilizzando il regime 45 nel 2010, le quali nel 2011 non si sono più presentate: parliamo di ben 1.378 società. Ciò è dovuto a due ragioni: o a una deviazione di traffico verso altri porti nazionali e comunitari, o che esse hanno ritenuto di pagare l'IVA in dogana subito, senza aspettare e senza poter utilizzare il beneficio del differimento dell'imposta. L'aspetto incredibile è che nonostante 1.378 ditte non abbiano più utilizzato questo regime, abbiamo riscosso IVA per circa 68 milioni di euro a fronte di 51 milioni di euro dello stesso periodo dell'anno precedente e che addirittura la percentuale tra valore imponibile e IVA riscossa nel 2010, la quale era del 15,75 per cento, nel 2011, nello stesso periodo, è salita al 23 per cento.
Allo stato attuale ci risultano 354 società che stanno utilizzando il regime 45, usufruendo del beneficio di non prestare la garanzia, quindi 1.378 società in meno rispetto al 2010, e 41 società nuove che per la prima volta hanno utilizzato il regime 45 e che, purtuttavia, possedevano i requisiti per non prestare una garanzia perché avevano una storia di fedeltà fiscale. Allo stato attuale, quindi, sono soltanto 15 le società che stanno operando con il regime 45 e che hanno sopportato l'onere del costo della garanzia, perché non avevano una storia fiscale ed erano di nuova costituzione. Penso che nel giro di un anno, al massimo, esse avranno la possibilità di dimostrare la loro fedeltà fiscale, sempre che prima non abbiano scelto una strada di certificazione e di affidabilità.

PRESIDENTE. Che cosa ne è stato di quelle oltre 1.300 aziende? Le avete rincorse con i forconi?

ALBERTO LIBECCIO, Direttore interregionale delle Dogane per la Campania e la Calabria. La Campania si ferma al Garigliano, la Calabria è un pozzo senza fondo. A parte gli scherzi, noi non abbiamo la competenza per andare oltre. Abbiamo condotto alcune prime analisi che ci hanno mostrato che ci sono state deviazioni di traffico verso porti nazionali, ma anche comunitari. È una questione che dovrebbe essere approfondita. Già in altre occasioni il Direttore dell'Agenzia delle dogane ha reclamato con i nostri colleghi europei.
Ci dovrebbe essere un'eguale attenzione in altri Paesi, altrimenti corriamo il rischio che le merci che noi mettiamo in fuga ritornino nel sistema dell'IVA intracomunitaria. In quel caso saremmo «becchi e bastonati», come si suol dire.

PRESIDENTE. Non è, dunque, vostra competenza verificare che cosa ne sia stato di queste società?

GIUSEPPE PELEGGI, Direttore dell'Agenzia delle dogane. Il dottor Libeccio sosteneva che non è di sua competenza perché tracciava il confine tra la regione Calabria e la Campania. In realtà, sa benissimo come funziona l'antifrode centrale. Abbiamo una struttura fortemente centralizzata di analisi che viaggia in parallelo al circuito doganale di controllo, il quale, essendo telematizzato, è centralizzato e generale. Ciò significa che quei soggetti, per la loro anagrafica, sia come società, sia come individui, sono tracciati, in qualsiasi dogana essi si presentino per operazioni. Su questo punto non c'è pericolo, non li abbiamo sparpagliati in ordine sparso e incontrollato. In alcuni casi, non appena abbiamo evidenziato, attraverso operazioni compiute tramite società alle stesse collegate, che tali società stavano lavorando su un porto francese o spagnolo, abbiamo trasmesso l'elenco alla dogana del partner comunitario.
Su questo fronte la sensibilità di spagnoli e francesi sta crescendo fortemente. Ho avuto con loro l'ultimo incontro circa un mese fa e il primo degli argomenti è stato proprio quello della sottofatturazione. In effetti, sono due dei Paesi in cui esiste un po' di manifattura da difendere, a differenza di altri, in cui la situazione è molto più complessa. Pensate che stiamo


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parlando sostanzialmente di importazione di capitoli 61, 62 e 64, cioè di abbigliamento, accessori, borse e scarpe. Sono prodotti del made in Italy, ma anche prodotti francesi, e pure gli spagnoli hanno una industria manifatturiera.
Immaginate che in questo settore le importazioni italiane rappresentano il 9 per cento delle importazioni comunitarie di origine cinese. Il 60 per cento è diviso tra Germania, Gran Bretagna e Francia. Si tratta di uno dei settori più colpiti, per esempio, dalla contraffazione. Il paradosso è che noi normalmente eseguiamo i sequestri sulla contraffazione per un terzo o a volte per un quarto - quello è il range - del totale del monte sequestri dell'Unione europea, a fronte però di un traffico di merci che è soltanto del 9 per cento.
La dogana italiana sotto questo aspetto ha sicuramente un sistema più efficace. Si potrebbe sostenere che tali merci entrano solo dalla nostra porta, ma non è così. Credo che Napoli sia una delle porte più sorvegliate a livello comunitario. Dal 2004 in poi è diventata una delle porte più sorvegliate, e uno dei motivi è la situazione che ci ha illustrato adesso il dottor Libeccio, allorché ha spiegato come abbiamo aumentato i controlli sulla sottofatturazione, in modo particolare al porto di Napoli dove c'era un fenomeno un po' più esteso.
A quel punto è intervenuto l'utilizzo del deposito fiscale come metodo per scavalcare lo sdoganamento «in linea» e aggirare quel controllo operato dal sistema automatico in tempo reale attraverso il circuito doganale di controllo, rinviando il problema successivamente o aggirandolo definitivamente.
Il fenomeno può produrre effettivamente una distorsione di traffico. È evidente che stiamo tracciando queste società dall'inizio dell'anno per capire come agiscono. Se superano Napoli e si presentano a Livorno o a Venezia, lì vengono fermate, perché il sistema funziona utilizzando profili soggettivi. Il profilo di identificazione non è, infatti, più legato solo alla merce, all'origine o al valore, ma al soggetto, che viene controllato dovunque si trovi ad agire. Perlomeno controlliamo se tale soggetto tenta l'aggiramento, come faceva a Napoli, su un altro porto.
Il problema serio è quando il soggetto finisce in un altro porto comunitario, e questa distrazione di traffico esiste effettivamente. Ho alcuni dati, riportati nella documentazione consegnata alla Commissione, come conseguenza della sottofatturazione, laddove il prezzo al chilo dell'abbigliamento di origine cinese è indicato da una striscia rossa che cresce dal 2003 al 2010 in Italia. Si tratta della più ampia performance di crescita del valore, anche perché partivamo dalla peggiore posizione, però oggi l'abbigliamento di origine cinese in Italia è sdoganato a 17 euro a fronte dei 5,29 euro del 2003.
Che cosa è successo dopo la stretta che abbiamo effettuato sulla sottofatturazione? Le quantità sono cresciute dappertutto meno che in Italia. La striscia verde è la variazione che abbiamo impresso al valore. Il rosso è dovuto al fatto che le nostre quantità tra il 2003 e il 2010 sono leggermente scese. Di fatto noi oggi abbiamo 200.000 tonnellate di abbigliamento che arriva dalla Cina nel 2010, mentre ne avevamo 248,000 nel 2003. Nel frattempo l'Unione ha raddoppiato gli arrivi dell'abbigliamento dalla Cina, passando da 1 milione a 2,2 milioni di tonnellate.
Di fatto noi abbiamo perso il traffico che veniva sdoganato sotto costo, ma altri Paesi ne hanno fruito. Infatti oggi ci sono Paesi che stanno sdoganando l'abbigliamento cinese a 3 euro al chilo: a 2,20 euro la Bulgaria, a 1,99 la Repubblica Ceca e a 1,85 la Romania. È un problema che abbiamo posto all'OLAF, perché ciò comporta una riduzione delle risorse proprie dell'Unione europea, risorse in meno per gli agricoltori dell'Unione europea e per tutte le forme di finanziamento che utilizza la Commissione europea.
Inoltre, si pone un problema. Pensate, per esempio, alla politica di tutela attraverso il vecchio sistema di protezionismo, il dazio. Immaginate un dazio introdotto sulle scarpe. In Italia si sdoganano a 20 e in Romania a 2. Metteteci sopra un dazio


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del 40 o del 50 per cento. Da 20 arriviamo a 30. Le scarpe in Italia entrano a 30 e in Romania a 3. La differenza tra 20 e 2, cioè la differenza di prezzo relativo prima dell'introduzione del dazio comunitario, è più bassa di quella che si ha dopo l'introduzione del dazio. Ciò significa che una politica di protezione daziaria non fa altro che invitare a sdoganare altrove e non in Italia, perché il valore all'entrata è più elevato e rende ancora più appetibile un altro porto.
Siamo al paradosso per cui, se ci si mette a tavolino e si guardano questi dati dalla parte, per esempio, dell'olandese, si vede che l'Italia ha chiesto i dazi sulle scarpe. Diamoglieli subito, si pensa, considerato che cresce il nostro porto. È chiaro? Il dazio rappresenterà un'opposizione in altro modo, però di fatto uno degli aspetti collaterali è questo, che forse è un paradosso, ma che matematicamente è incontrovertibile. Questa disparità di prezzo rende inutile una politica protezionistica, perché non fa altro che danneggiare porto alcuni porti.
Questo discorso è volto a mostrare tutti i fenomeni di controllo che possono creare distorsione. Partiamo da una base diversa, però, perché c'è chi deve difendere un po' di manifattura e chi vive solo di commercio, per cui alla fine ha meno interesse o è meno pressato da un comparto produttivo che chiede protezione a tutela del made in Italy e contro la contraffazione. Noi siamo tenuti a tenere alto alte le difese, dobbiamo cercare di ridurre al minimo i controlli per non ostacolare la velocità di traffico, però il fronte va conservato. Per altri Paesi la situazione è più semplice. Se la scelta dichiarata è quella per cui la logistica ha il sopravvento rispetto alla manifattura e si decide che si è in un Paese postindustriale, se lo schema mondiale prevede che la produzione sia tutta in Medioriente e, in particolare, in Cina, e che risorse e materie prime sono prodotte in Brasile e Russia, mentre un po' di tecnologia e di design può essere fornito dalla vecchia Europa e dagli Stati Uniti, e il petrolio sapete dov'è, perché esiste un monopolio geografico, se il mondo, dicevo, è diviso in questo modo e si decide che anche l'Italia con il resto d'Europa non fa più manifattura, è più semplice fare dogana. Finché siamo operativi, però, un livello di controllo nella manifattura va mantenuto.
Per tornare alla questione, il fatto è che abbiamo bisogno di più Europa. L'Unione doganale esiste del 1968 e va ricostruita. Bisogna spiegare che dobbiamo convergere verso un'armonizzazione più stringente dei livelli e della qualità dei controlli. Non è possibile che il controllo doganale diventi un elemento di distorsione dei traffici, perché la convenienza relativa rende più favorevole l'approdo su alcuni porti rispetto ad altri.
Detto ciò, torniamo alla questione dei depositi. L'esigenza è quella, come vedete, da una parte di continuare a difenderci da eventuali atteggiamenti scorretti, ma dall'altra di essere consapevoli che dobbiamo costruire uno schema in cui l'utilizzo del deposito sia consentito, non sia ostaggio di controlli esasperati, sia agevole e soggetto a controlli sotto l'aspetto commerciale, ossia costruiti secondo regole precise.
Lo «schema Libeccio», che abbiamo visto prima, introduceva l'elemento della fideiussione aggiuntiva. Sembrava uno schema opprimente e pesante, ma, in realtà, alla fine si è rivelato leggero per le organizzazioni e le società strutturate che utilizzano il deposito fiscale in modo leale, corretto e legittimo. Alla fine, l'integrazione è stata chiesta solo a 15 soggetti, perché attraverso il sistema della certificazione, l'articolo 90 o la fedeltà fiscale riconosciuta negli anni, per il solo primo anno questi 15 soggetti si troveranno ad avere un aggravio rispetto alla fideiussione, ma con uno schema preciso.
Dall'altra parte, in Europa esistono attualmente circa 13.000 depositi fiscali di merci. Esistono depositi pubblici e privati: il tipo A, B ed F sono i depositi pubblici, i tipi C, D ed E sono i depositi privati. Il deposito E, che non è un deposito virtuale, è molto utilizzato in Olanda e in Germania. Io credo che dovremmo studiare se esistano già depositi di tipo E anche in Italia. Se esistono, sono però poco diffusi


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rispetto al deposito di tipo C, che peraltro è il più diffuso a livello comunitario. Può darsi che un approfondimento sul deposito di tipo E possa consentire un'ulteriore facilitazione per alcuni settori. Il deposito di tipo E non prevede la presenza fisica della merce al suo interno ma, per sintetizzare, prevede più registrazioni contabili. L'aspetto interessante è che esso prevede sempre, in ogni momento, l'individuazione del responsabile ai fini IVA dell'IVA connessa alla merce. Il rischio, come abbiamo visto, è che, in alcuni casi, nella gestione del deposito di tipo C, a meno che non si utilizzi un'accortezza di quel tipo, tale IVA può venire meno. Uno dei fattori di rischio scompare, dunque, perché sappiamo sempre chi è responsabile.
Questo tipo di depositi è utilizzato oggi da alcune società produttrici. Prendiamo il caso di un cantiere navale che produce navi da crociera (sono ipotesi, ma più o meno il sistema funziona in questo modo); poniamo che debba importare da un Paese terzo i televisori da installare in ogni camera della nave da crociera che poi vende a uno Stato estero. In questo caso, il deposito è l'intero cantiere: non esiste un luogo fisico autorizzato, come nel deposito di tipo C, in cui ci si presenta e si dichiara di aver utilizzato quel deposito e di voler vedere la merce che è stata scaricata dentro la striscia gialla. Esistono le registrazioni della merce in arrivo da un Paese terzo; sappiamo, perché viene dichiarato e registrato, che i televisori verranno montati laddove ci sono tre navi in costruzione; sappiamo, inoltre, che sono una materia prima che verrà incorporata in un prodotto destinato a un Paese terzo in esportazione.
In questo senso, quel deposito consente una grande facilitazione. È evidente: sospende il pagamento dell'IVA e del dazio, sapendo, peraltro, che si tratta di merce destinata all'esterno e che, quindi, il Paese di destinazione non sarà intracomunitario. In casi di produzione di questo tipo il deposito E funziona benissimo. Non escludo, però, che altri settori della produzione nazionale possano essere interessati al deposito di tipo E. È un tipo di deposito comunque poco conosciuto e poco utilizzato. Ci saranno 1.800 depositi che funzionano in Italia, una quarantina sono depositi di tipo E, ma per trovarli abbiamo difficoltà anche noi. Abbiamo pochi conoscitori del meccanismo del deposito di tipo E, proprio perché è poco utilizzato.
Con l'esplosione della globalizzazione negli ultimi dieci anni anche altri settori, nella misura in cui oggi l'approvvigionamento di semilavorati o di materie prime è più rivolto a Paesi terzi, potrebbero essere dal interessati al deposito di tipo E. A mio avviso, dunque, ci serve un'indicazione per superare la sentenza della Corte, che era riferita a una situazione specifica, stressando un caso limite fuori regola. Da una parte c'è questo problema, dall'altra occorre una più attenta analisi da parte nostra, ma soprattutto delle associazioni. Se le associazioni saranno da voi ascoltate in audizione, potrete chiedere loro che cosa sappiano del deposito di tipo E. Credo che cadranno tutte dalle nuvole. Ferma restando la possibilità di introdurre il meccanismo applicato dal dottor Libeccio sui depositi del porto di Napoli, nei casi in cui in alcuni porti si manifestino situazioni come quella.
Dobbiamo trovare una linea che ci consenta di tenere sotto controllo il meccanismo, agevolando forme di sospensione e dilazione del pagamento dell'imposta, producendo un beneficio finanziario per gli operatori e velocizzando l'utilizzo e il traffico attraverso i depositi e la reazione dei nostri porti. Alla fine a noi interessa anche snellire il traffico sul molo e il deposito che opera velocemente e correttamente funziona quasi come una banchina virtuale.
Tutto ciò per noi può andare bene. Può essere una linea che può impegnarci strategicamente nel prossimo futuro.

GIAMPAOLO FOGLIARDI. Direttore, la ringrazio, perché quello di oggi è un excursus estremamente interessante, soprattutto per gli addetti ai lavori, un approfondimento dovuto. Sono tantissime le questioni sulle quali bisognerebbe intervenire.


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Ne svolgo una brevissima carrellata.
Il dottor Libeccio ha messo bene in risalto tutti gli aspetti relativi al controllo delle frodi. Partiamo da una considerazione: in tutti i porti, in Campania ma anche altrove, ne succedono di tutti i colori, basta sentire gli operatori. Se si è sul campo tutti i giorni e si conosce un po' la materia, si sa che entrano gli autotreni pieni di merce senza controlli, altro che porti franchi. Gli imprenditori riportano particolari precisi e dettagliati e spesso sono spazientiti e amareggiati proprio per l'impotenza ad intervenire di fronte a determinate situazioni. Concordo con quanto affermava il Direttore sul come intervenire, perché questi soggetti si spostano in altri porti.
Avete toccato diversi aspetti fondamentali. Si è parlato di breve storia fiscale di un'azienda, di importazioni di beni da parte di società che non li hanno neanche nell'oggetto sociale, di mail box, di rappresentanti legali cessati in poco tempo. Avete citato un'analisi dell'Ufficio centrale antifrode grazie alla quale siete riusciti a impostare una strategia di azione che ha portato a far scomparire 1.378 società che nel 2010 avevano operato in modo fraudolento e a riscuotere IVA per 78 milioni di euro.
Ci chiediamo chi ci sia dietro a quelle 1.378 società. Esiste una figura: il commercialista. Ho già fatto presente l'anno scorso, e anche quest'anno, la questione: pensiamo alle brevi storie di imprese operanti sul nostro territorio, anche di origine cinese, che nel giro di 8-9 mesi o un anno aprono e chiudono. Non c'è neanche la possibilità di chiedere loro i contributi dei dipendenti o l'IVA che non hanno versato, e tutto ciò si ripercuote sui lavoratori italiani. Alcuni lo fanno in buona fede, altri in mala fede, ma anche chi opera in buona fede dovrebbe pagare quei contributi INPS e quell'IVA, che in virtù della norma si ripercuotono sull'utente.
Avevo già fatto presente l'anno scorso, con un ordine del giorno e con un emendamento che poi non è stato approvato, che in Italia se si deve rogitare un immobile, si va dal notaio, il quale certifica che quell'immobile ha o non ha ipoteche ed è iscritto in un determinato registro con determinate caratteristiche, e si esce tranquilli; se si deve andare davanti al giudice, si va dall'avvocato, perché solo l'avvocato può rappresentarci e risponde della questione; se si deve essere operati, si va dal chirurgo. La figura che in questo caso potrebbe essere di supporto e di garanzia, e sopperire anche a molti aspetti che giustamente il dottor Libeccio ha evidenziato, è la figura del dottore commercialista o del consulente tributario, che deve certificare e garantire in prima persona penalmente la veridicità di quanto dichiarato.
Come si autentica una dichiarazione dei redditi o un bilancio, come oggi si risponde per antiriciclaggio di denaro se le nostre impiegate non segnalano movimenti di cassa per determinate imposte, altrettanto si può fare in questo settore. Lo affermo a salvaguardia della categoria e nell'interesse anche dell'ottimo lavoro che state svolgendo. Esistono studi organizzati per svolgere queste attività, soprattutto in determinate città. Dobbiamo cominciare a introdurre la responsabilità del pubblico ufficiale nel certificare queste situazioni, perché sono situazioni che inequivocabilmente si vedono passare dalle contabilità, dalle dichiarazioni dei redditi, dai bilanci che vengono stilati; si percepisce lontano un chilometro quando qualcosa non va bene o se alcune questioni non sono chiare. La situazione, a mio giudizio, può essere risolta.
I legislatori siamo noi, ragion per cui potete risponderci giustamente di predisporre la norma e che voi la farete applicare. Tuttavia ritengo che in una audizione, costruttiva, riflessiva e valida come quella di oggi, si possa cogliere l'occasione per sottolineare il ruolo dei liberi professionisti in questo specifico settore. L'abbiamo fatto presente anche in Commissione parlamentare di vigilanza sull'anagrafe tributaria per altre valutazioni che sono state effettuate; anche gli Ordini lo


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hanno fatto presente, ci potrebbe essere un supporto eccezionale. Concordo con tutto quanto voi affermate.
Giustamente sostenete che non avete le competenze per andare oltre quando tali soggetti escono dalla Campania, vanno in Toscana o da altre parti o all'estero.

GIUSEPPE PELEGGI, Direttore dell'Agenzia delle dogane. Vorrei cogliere l'occasione per invitarvi a vedere la sala di monitoraggio flussi delle dogane, vi renderete conto che stiamo parlando di un'altra dogana rispetto a quella tradizionale. Noi lavoriamo con il 90 per cento dei manifesti telematici in partenza e in arrivo anticipati. Noi svolgiamo l'analisi dei flussi prima che la nave arrivi in rada. Siamo su un altro pianeta rispetto alla situazione descritta.

GIAMPAOLO FOGLIARDI. Operando tutti i giorni sul campo, le posso assicurare che quando arriva un'azienda in studio in odore di frodi non si può essere in buona fede. Si è in malafede se la si accetta, la si porta nel proprio studio e si avallano determinate situazioni.
Il ruolo dei professionisti, mi creda, in questo campo può essere fondamentale, perché si percepisce quando si tratta di persone di malaffare, poco trasparenti o che hanno messo in atto posizioni e operazioni di un dato tipo. Se ci fosse una presa di responsabilità diretta credo che avrebbe un peso enorme. Potrebbe forse far aumentare determinati costi, ma la resa da parte dello Stato ci sarebbe senza dubbio.

PRESIDENTE. Se qualcuno apre e chiude in nove mesi, non ha nemmeno bisogno del commercialista, perché opera a prescindere. Il dottor Peleggi ci riferirà se siamo in grado di affrontare questo tema con banche dati trasversali.

GIUSEPPE PELEGGI, Direttore dell'Agenzia delle dogane. Nulla si perde nel sistema delle società che rileviamo le quali commettono frodi o atteggiamenti fraudolenti. Oggi esiste la cabina di regia: noi ci riuniamo mensilmente con la Guardia di finanza e con l'Agenzia delle entrate. Quello che per noi è un reato di sottrazione del valore in dogana, il dichiarato, il sottofatturato che andiamo a contestare per l'IVA e i dazi, viene comunicato all'Agenzia delle entrate, la quale verifica che cosa sia successo in quei bilanci. È evidente che quando noi contestiamo la sottofatturazione ciò significa che quell'azienda, ai fini IVA, ha preso in carico nel proprio bilancio un valore inferiore a quello che poi è stato riscontrato dalla dogana, con una ricaduta sulle imposte sui redditi. Questo lavoro di filiera oggi viene svolto. Esistono il filtro che verifica se quelle società si spostano e il lavoro di filiera con la Guardia di Finanza.
Rispetto alla responsabilità del professionista è questione di Codice civile ed è un'altra storia, però credo che l'abbia affermato anche lei. Quando si va in tribunale, si ha bisogno dell'avvocato, ma l'avvocato difende anche il pluriomicida. Come possiamo imporre al commercialista di non accettare il cliente cattivo? La questione è più complicata quando si sta dentro un porto, perché quando c'è un container chiuso e l'importatore dà il mandato allo spedizioniere, quest'ultimo può lavorare sulla dichiarazione doganale, ma io credo che non ci sia nessuno che si assuma la responsabilità sul contenuto del container che non può aprire, in quanto sigillato. Non lo farebbe nessuno. Chi si assume la responsabilità sulla merce?
C'è poi l'altro punto sulle oltre 1.300 aziende che muoiono e cambiano nome. Ci sono 600.000 partite IVA che nascono e muoiono in un anno in Italia e siamo un Paese da 7 milioni e mezzo di partite IVA, quando la Francia - che è la madre dell'IVA - ne ha 2 milioni. La questione è un po' più complicata. Emerge poi un altro fenomeno che abbiamo riscontrato. Come affermava mio padre a proposito dei furfanti, la prima generazione fa il furfante, la seconda il professionista, la terza il poeta. Siamo già alla seconda generazione: in molti casi il professionista non è portato a compiere la distinzione tra onesto e


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disonesto; vige ormai la seconda generazione, con un effetto di scolarizzazione del furfanteggio.
Sembra un paradosso, ma non è così, perché girando sul territorio ce ne accorgiamo. In molti casi è piuttosto semplice e ci aiuta anche nelle indagini, perché a volte arriviamo al rappresentante legale e interveniamo su coloro che lui rappresenta: ci accorgiamo che siamo di fronte ad una tana di pirati, c'è il pirata con il gancio e quello con l'occhio bendato. In tal caso va benissimo perché significa che abbiamo messo le mani nel posto giusto.
Io continuo a invitarvi a venire presso i nostri uffici, perché prima ho sentito, per esempio, che l'onorevole Fogliardi affermava che alcuni imprenditori raccontano di camion che entrano in dogana ed escono indisturbati. Io credo che nei porti italiani, per la contezza che ne ho io, ciò non accada. Vediamo alcuni porti con le telecamere in tempo reale. Io vedo porti a 700 chilometri dalla mia saletta a Roma e non c'è un gran movimento. Il varco è presidiato, le merci sono tracciate prima di arrivare in porto, fino al varco, e dopo il varco stiamo costruendo un altro sistema per tracciarle anche in autostrada attraverso GPS, sia sul carico, sia sull'autotreno. Dentro il porto si capisce poco, si vedono le merci che viaggiano, ma esiste un tracciamento. Il sistema CARGO, il Trovatore, il sistema in cui siamo leader a livello comunitario, è il sistema di tracciamento dentro al deposito nel porto, per cui io so dove si trova in quel momento un container. Inviterei la Commissione a compiere un sopralluogo, può essere un'esperienza interessante.
Per quanto riguarda Gioia Tauro vi invito a guardare semplicemente la rassegna fotografica dell'anno scorso e a leggere qualche comunicato stampa. Ce n'è uno interessante di settembre in cui si da conto che AISE e dogana intercettano 7.000 chili di T4. Intercettare in un porto che fa transshipment 7.000 chili di esplosivo che non era destinato in Italia, ma era di puro passaggio, non credo sia un'operazione che tutte le dogane sono in grado di compiere.
Non posso aggiungere altro, però, se venite, vi mostro come funziona il sistema.

COSIMO VENTUCCI. Dottor Peleggi, ringrazio tutti i suoi collaboratori, perché effettivamente, come ha affermato il collega Fogliardi, avete fornito un'ampia documentazione con dati che forse vanno anche oltre il tema della nostra audizione. Molte questioni che lei ha illustrato sono state da me riferite in Aula la settimana scorsa, a proposito della distorsione di traffici. Prendo i suoi dati; noi in Parlamento dobbiamo utilizzare i dati dall'amministrazione e, poiché io sono un frequentatore dell'amministrazione doganale, l'ho fatto.
Tecnicamente, conoscendo un po' il problema, non mi è sfuggito lo sforzo compiuto dal dottor Libeccio e da tutta la direzione nell'emanare quella circolare, ma parliamo comunque di una circolare. Le vorrei far notare che si è lasciato sfuggire che in Europa, o meglio nell'ordinamento disciplinare dell'Unione europea, ci sono molti tipi di deposito, compresi il deposito E e F.
Io mi sono trovato con l'onorevole Fassino a Torino in un convegno in cui si parlava di commercio con l'estero. Avendo operato presso la SACE - stiamo parlando di più di dieci anni fa - la citai e molti imprenditori presenti mi chiesero che cosa fosse: io e Fassino ci guardammo. Poi lui divenne anche Ministro del commercio con l'estero. I piccoli imprenditori non sapevano che cosa fosse la SACE.
Le posso confermare che, come giustamente lei ha sostenuto, i depositi E in Italia non li conosce nessuno, se non l'industria cantieristica per un motivo alquanto ovvio. Non si è neanche pensato al motivo per cui esistono i depositi IVA, la cui giustificazione era quella di garantire agli importatori quel 20 per cento, e non i diritti doganali, la maggior parte dei quali sono esenti. Il 20 per cento è una cifra enorme: su un milione sono 200.000 euro che si possono gestire per quasi tre mesi, se per tre mesi non si vende la merce. È un grosso vantaggio di natura finanziaria per gli imprenditori.


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Noi sappiamo anche che il 95 per cento degli imprenditori italiani sono piccole e medie imprese, gente che occupa quattro o cinque persone, per lo più familiari, un comparto che porta l'Italia ad essere la seconda società manifatturiera. Ce l'ha rammentato il Ministro Tremonti due settimane fa. Dopo la Germania ci siamo noi. Lei ha sostenuto, però, che l'Olanda e la Germania questi depositi li usano, e ci sarà un motivo.
In questo contesto voglio dire che non possiamo andare avanti con le circolari, dobbiamo utilizzare uno strumento di cui il Parlamento sia edotto e che approvi. La invito a fornirci una memoria sulla gestione dei depositi di tipo E. Non voglio parlare a nome dei colleghi, ma suggerirei di superare le circolari, con una risoluzione parlamentare che impegni il Governo ad attuare anche le disposizioni che il dottor Libeccio ha sperimentato su Napoli.
Mi è arrivata una nota della Confindustria su cui era scritto: «Cacciata da Napoli la merce cattiva». È un fatto estremamente positivo, ma se cacciare da Napoli la merce «cattiva» significa farla finire non a Livorno, ma a coloro che utilizzano i depositi di tipo E, è evidente che qualcosa non va. Non significa che le dogane non debbano compiere il loro mestiere di controllo, né che non sia vero ciò che sostiene Fogliardi, ossia che i professionisti che conoscono le aziende potrebbero essere coinvolti - questo riguarda un discorso di natura generale -, ma è importante ciò che io e altri colleghi abbiamo riferito in Parlamento, cioè che esiste una distorsione di traffico probabilmente perché noi applichiamo le norme dell'Unione europea, mentre gli altri o non le applicano, oppure utilizzano normative diverse dalla nostra, avendo un sistema di controllo che non va fino al Garigliano, come sostiene Libeccio, ma oltre.
Se i colleghi sono d'accordo e se lei ci vuole fornire questa ulteriore documentazione sui depositi E, credo che noi siamo in grado - lo propongo ai colleghi Fluvi e a Fogliardi - di elaborare una risoluzione in merito.

PRESIDENTE. Caro Ventucci, sarei un po' più realista del re. È già in corso di presentazione una risoluzione e in considerazione del fatto che, a quanto ho capito, esiste un'apertura da parte dell'Agenzia delle dogane su questa vicenda, se i colleghi sono d'accordo, metterei in votazione la risoluzione entro la prossima settimana. Chiedo al dottor Peleggi se basta una risoluzione o se ci vuole una norma: se basta la risoluzione, la settimana prossima la inseriamo all'ordine del giorno della Commissione.
Se occorresse un intervento legislativo, bisognerà inserire nell'articolo 7 del decreto-legge n. 70 del 2011, recante «Semplificazioni di carattere fiscale», una norma specifica. Trattandosi di una semplificazione, ed essendo pienamente coerente con il testo del decreto-legge, attualmente all'esame del Parlamento, potremmo tentare di risolvere in questo modo.

GIUSEPPE PELEGGI, Direttore dell'Agenzia delle dogane. Il deposito di tipo E è previsto dall'Unione europea ed è solo una questione di diffusione culturale. Per quanto riguarda le possibilità di utilizzo che avevamo prima della sentenza della Corte di cassazione, se viene approvata una risoluzione, e non una norma di legge, possiamo intanto ripristinare le modalità con cui si poteva parcheggiare il camion non scaricandolo nel parcheggio antistante legato al deposito, con tutte le aperture possibili.
L'altro punto è la formula che ha usato il dottor Libeccio per i casi gravissimi. Possiamo applicarla senza una norma: di fatto lo «schema Libeccio», in caso di allarme, è già conforme alle norme e può essere esteso addirittura a livello nazionale. L'abbiamo utilizzato territorialmente a livello sperimentale per tamponare una situazione grave. Tutto sommato forse non serve una nuova norma, ma un forte sostegno con una risoluzione, un atto di indirizzo forte.

PRESIDENTE. Bisogna essere chiari. La risoluzione potrebbe essere di invito al


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Governo a dare disposizioni perché emani una circolare che chiarisca la vicenda, ma tale circolare potrebbe prevalere su un indirizzo della Cassazione? Penso proprio di no. Se voi vi accontentate, noi siamo tutti pienamente d'accordo ad approvare la risoluzione e immagino che lo sia anche il Governo, che ci ha dato piena copertura anche con l'Agenzia delle entrate, la quale ha rimandato la questione a voi.
Se voi ritenete che un atto di indirizzo sia sufficiente a far sì che voi emaniate una circolare che inquadri la questione, possiamo orientarci in questo senso. Se ci fate pervenire le indicazioni per le vie brevi, io inserirei immediatamente la risoluzione all'ordine del giorno della Commissione della settimana prossima.
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 16,15.

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