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Resoconti stenografici delle audizioni

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Commissione VIII
3.
Martedì 1° luglio 2008
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Alessandri Angelo, Presidente ... 3

Audizione del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, Stefania Prestigiacomo, sulle linee programmatiche del suo dicastero, per le parti di competenza (ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento):

Alessandri Angelo, Presidente ... 3 12 17 31
Tortoli Roberto, Presidente ... 28
Bonciani Alessio (PdL) ... 21
Bratti Alessandro (PD) ... 22 25
Cera Angelo (UdC) ... 29
Di Cagno Abbrescia Simeone (PdL) ... 15
Dussin Guido (LNP) ... 20
Foti Tommaso (PdL) ... 22
Ghiglia Agostino (PdL) ... 15 25
Lupi Maurizio (PdL) ... 15 18
Monai Carlo (IdV) ... 26
Mondello Gabriella (PdL) ... 29
Motta Carmen (PD) ... 29
Nucara Francesco (Misto) ... 27
Prestigiacomo Stefania, Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ... 3 22
Realacci Ermete (PD) ... 12 15 27
Zamparutti Elisabetta (PD) ... 18 27
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Movimento per l'Autonomia: Misto-MpA; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.

COMMISSIONE VIII
AMBIENTE, TERRITORIO E LAVORI PUBBLICI

Resoconto stenografico

AUDIZIONE


Seduta di martedì 1° luglio 2008


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE ANGELO ALESSANDRI

La seduta comincia alle 13,35.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).

Audizione del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, Stefania Prestigiacomo, sulle linee programmatiche del suo dicastero.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento, del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, Stefania Prestigiacomo, sulle linee programmatiche del suo dicastero.
Avverto preliminarmente che, al fine di agevolare uno svolgimento ordinato dei nostri lavori, dobbiamo cercare di concentrare gli interventi dei deputati dopo la relazione del Ministro, tenendo presente che, a partire dalle ore 15,30 circa, potremmo essere chiamati in Assemblea per le votazioni.
Do quindi la parola al Ministro Prestigiacomo.

STEFANIA PRESTIGIACOMO, Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. Signor presidente, onorevoli colleghi, vi ringrazio per l'invito che mi avete rivolto e mi scuso se questo incontro è stato rinviato rispetto alla data originariamente fissata. Come sapete in queste settimane l'iter del decreto rifiuti ha impegnato sia la Commissione che il Ministero in un lavoro intenso, ma mi auguro che questo incontro rappresenti il punto di partenza di un confronto frequente e serrato fra Ministero dell'ambiente e Parlamento che ci consenta di lavorare in stretta collaborazione.
Sono convinta che oggi la grande questione ambientale - che è locale, nazionale e globale - debba essere assunta dalla nostra società come nodo centrale dello sviluppo, come parametro sul quale misurare le politiche complessive, come chiave di volta per programmare lo sviluppo, uno sviluppo che non potrà che essere «sostenibile».
Oggi infatti la sostenibilità ambientale si sta rapidamente sovrapponendo alla sostenibilità economica, specie in Paesi come il nostro che dipendono quasi integralmente da approvvigionamenti energetici condizionati dal prezzo del petrolio, che sta volando verso i 150 dollari al barile in una ascesa che non sembra destinata ad arrestarsi.
Penso, quindi, che sia necessario, prima ancora che opportuno, un mutamento culturale profondo, un cambiamento di cultura economica, ma anche un cambiamento di cultura ambientalista, capace di lasciarsi alle spalle visioni meramente economicistiche, in cui l'ambiente è considerato solo un costo, ma anche l'«ambientalismo dei no». Si tratta di impostazioni entrambe datate e, paradossalmente, oggi coincidenti, perché tendono a mantenere lo status quo, che è quello di una insostenibile dipendenza dai combustibili fossili,


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responsabili della principale emergenza ecologica planetaria, quella dei gas serra.
Credo che si debba voltare pagina e per farlo dobbiamo passare dall'ecologismo dei no, all'ambientalismo che non ostacola lo sviluppo, ma pone paletti e indica priorità e percorsi virtuosi, un ambientalismo che non è linea di confine della crescita socio-economica, ma è parte integrante delle politiche di sviluppo. Dobbiamo passare, insomma, dall'ambientalismo ideologico all'ambientalismo liberale, dall'economia che vede la tutela dell'ambiente come gravame collaterale, all'economia che considera l'ambiente come snodo fondamentale, risorsa, e anche business, della società del futuro.
Questo punto merita un approfondimento perché la nostra convinzione dell'esigenza di coniugare ambiente e sviluppo non può e non deve essere considerata un arretramento rispetto alle esigenze di tutela (considerazione questa che è apparsa più o meno strumentalmente sulla pubblicistica di queste settimane). Nessuno intende fare retromarce. Va invece mutata una impostazione che da un lato ha paralizzato molte opere essenziali per il Paese e dall'altro non ha prodotto apprezzabili vantaggi ambientali, se è vero che le emergenze esistono ancora tutte, che l'inquinamento nelle nostre città è lungi dall'essere diminuito e che, come vedremo in seguito, abbiamo disatteso clamorosamente gli impegni di riduzione dei gas serra.
Quel modello di sviluppo che vedeva l'ambiente come limite esterno ed estraneo allo sviluppo ha fallito. Crediamo che il requisito della sostenibilità ambientale debba innervare dall'interno ogni progetto, ogni programma.
L'Italia è parte di assetti comunitari in forza dei quali le valutazioni sugli impatti ambientali devono essere parte integrante del processo progettuale. Noi rivendichiamo e rivendicheremo in ogni sede tale meccanismo di controllo dall'interno del processo decisionale. Ogni proposta che nasce dovrà nascere con le stimmate della valutazione preventiva dell'interesse ambientale. Questo, a nostro avviso, è il ruolo del Ministero dell'ambiente: non un antagonista, con un ruolo subalterno e alla fine perdente, ma un protagonista della programmazione delle politiche di sviluppo del Paese, un ruolo che implica una forte assunzione di responsabilità ed una chiara funzione di garanzia che intendiamo assolvere fino in fondo.
Sono convinta che su questa strada sarà necessario un confronto serrato con l'opposizione, ma sono altresì certa che esista in Parlamento una consapevolezza diffusa su queste tematiche e credo che sarà possibile dialogare e trovare soluzioni condivise. Così come si avverte l'esigenza di un confronto altrettanto serrato con le associazioni ecologiste, che hanno il grande merito storico di avere sollevato la questione ambientale nel nostro Paese ed oggi rappresentano cultura storica e sensibilità specifiche che arricchiscono in maniera determinante il dibattito culturale e le pratiche di sensibilizzazione su questi temi.
L'ambiente del nostro Paese - quell'irripetibile e non replicabile, mix di natura, storia, cultura - è la principale risorsa dell'Italia, quella che è stata definita la nostra più grande infrastruttura immateriale, una risorsa che è anche uno straordinario volano economico e che, se sapremo adeguatamente tutelarla, è inesauribile nel tempo.
È intenzione e programma del Governo difendere e valorizzare al massimo questa risorsa e promuovere, con una adeguata azione culturale ma anche, ovviamente, con provvedimenti e progetti concreti, una politica ambientale che coniughi tutela e sviluppo, che consenta di difendere l'ecosistema, la natura e permetta di realizzare quegli interventi infrastrutturali e nel campo dell'energia di cui il Paese ha bisogno. Una politica, insomma, che consenta di traghettare il nostro Paese verso un modello di sviluppo eco-sostenibile, che rappresenta una scelta a favore della difesa della salute degli italiani e dell'integrità del nostro territorio, un impegno


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internazionale per la riduzione dei gas serra e un formidabile volano di crescita economica.
La scelta per l'energia sostenibile e quindi per le fonti rinnovabili per l'Italia non è più, come accennavo prima, un'opzione, è una necessità. Promuovere la ricerca in questo campo, riuscire ad elaborare tecnologie capaci di farci sfruttare sole, vento, biomasse in maniera sempre più efficace è essenziale per il futuro del nostro Paese, ma è anche una scommessa economica perché queste sono le tecnologie del futuro, quelle su cui nei prossimi decenni si giocherà la leadership mondiale nel campo dell'energia.
Sul fronte delle tecnologie si disputa una partita particolarmente delicata se vogliamo davvero che, come accade in altri Paesi europei, le fonti rinnovabili siano volano di crescita. Infatti, se da un lato va promosso nel nostro Paese l'uso di fonti rinnovabili, va parimenti promosso il potenziamento del comparto industriale che di tali energie consente lo sfruttamento. Oggi compriamo i pannelli solari in Germania e le pale eoliche in Danimarca, con il risultato che da un lato paghiamo le rinnovabili più di ogni altra forma di energia, a causa degli incentivi esistenti e dall'altro sosteniamo economie straniere.
Ciò a cui dobbiamo puntare, invece, è la produzione in Italia di materiali e tecnologie per le fonti rinnovabili, in modo da avere un doppio vantaggio: l'incremento dell'energia da fonti alternative e lo sviluppo di un comparto che guardi al nostro futuro energetico e che sia capace di competere sui mercati internazionali.
Il nostro impegno in questo campo sarà massimo. Fa parte del nostro programma di Governo far uscire dalla «nicchia» il settore delle fonti rinnovabili e farne la base per una grande sfida del sistema-Paese in chiave di sviluppo energetico e industriale. Un obiettivo questo che si inserisce nelle strategie comunitarie volte all'integrazione delle politiche energetiche e ambientali e ad incentivare la creazione di filiere nazionale delle rinnovabili, riducendo in questo modo i costi delle tecnologie.
La filiera italiana oggi sta muovendo i primi passi per entrare nel mercato e sta dando i suoi primi frutti, anche in termini di nuova occupazione.
Questa sfida può e deve essere raccolta e sostenuta soprattutto nel Mezzogiorno, ed in questa direzione un ruolo importante può essere svolto dalla nuova «Banca del Sud» e dalla sua funzione di promozione delle politiche industriali nelle regioni meridionali.
In questo panorama di politica energetica si inserisce anche la scelta del Governo a favore dell'energia nucleare, un'energia pulita, che non produce gas serra, che è ampiamente usata da tutti i nostri concorrenti europei e mondiali (che infatti pagano l'energia molto meno di noi, sia per i consumi privati che per quelli industriali, e questo penalizza gravemente il sistema Italia).
Sono consapevole che non sarà facile attuare un programma energetico che, nel medio periodo, ci consenta di arrivare ad un 25 per cento di energia prodotta da fonti rinnovabili e ad un ulteriore 25 per cento di energia prodotta dal nucleare, lasciando solo il restante 50 per cento all'energia prodotta da combustibili fossili. Ma, a chi ipotizza scenari da tregenda con decine e decine di centrali nucleari, io chiedo onestà intellettuale, l'onestà di ricordare, ogni volta che parlano della Germania che ha creato 300 mila posti di lavoro nel settore del fotovoltaico, che i tedeschi, così attenti all'ambiente, producono oggi oltre il 30 per cento della propria energia con il nucleare; l'onestà di ricordare che la virtuosa Francia che rispetta gli obiettivi di Kyoto è nucleare all'85 per cento; l'onestà di ricordare che la verde Inghilterra, che ha i giacimenti di petrolio nel Mare del nord e miniere di carbone, si affida al nucleare per il 20 per cento. Quel nucleare che ancora ieri Tony Blair sulla stampa riteneva una scelta ineludibile in alcune realtà nazionali.


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Questi nostri partner europei hanno mantenuto e consolidato le loro scelte energetiche con Governi di ogni colore. Questi Paesi, in cui la componente politica degli ambientalisti è sovente molto più forte che in Italia, hanno saputo anteporre gli interessi nazionali a scelte ideologiche che oggi tornano ad essere agitate come bandiera politica.
Noi intendiamo tutelare gli interessi dell'Italia e degli italiani. Ed in questo ambito si inserisce l'opzione nucleare. È una sfida che dobbiamo essere in grado di sostenere e che, se vinta, certamente avrà effetti straordinari sull'ambiente, riducendo in maniera decisiva le nostre emissioni di gas serra, ma avrà effetti altrettanto straordinari sulla bolletta energetica che pagano le famiglie italiane e le imprese.
Naturalmente il progetto per il ritorno al nucleare si svolgerà con le massime garanzie ed assicurando i massimi controlli di sicurezza, nei tempi che la complessità di un programma come questo richiede, programma di cui il Ministero dell'ambiente sarà attore partecipe e rigoroso.
La sfida italiana per l'ambiente è parte della più grande sfida globale che l'umanità si trova ad affrontare: come riuscire, con un numero crescente di persone (che ha superato i 6 miliardi e potrà raggiungere i dieci entro la fine di questo secolo), a vivere sul nostro pianeta in modo dignitoso ed equo senza distruggere i sistemi naturali dai quali traiamo le risorse per vivere.
Questa sfida epocale deve essere assunta nell'agenda di qualsiasi Governo e deve essere il centro degli obiettivi della comunità internazionale.
Si può osservare in proposito che siamo in ritardo: secondo molti osservatori stiamo perdendo la guerra per salvare il pianeta ed è necessario, quindi - lo ribadisco -, puntare rapidamente sull'economia sostenibile.
Ma dobbiamo organizzare secondo una nuova filosofia l'intervento pubblico ambientale che oggi appare frammentario, episodico, capace di vincere sporadiche battaglie, ma non di invertire il senso della marcia intrapresa dalle economie di mercato.
Per fare questo è necessario un cambio di paradigma, una rivoluzione copernicana nei rapporti fra ecologia ed economia. Occorre chiedersi come inaugurare la transizione da un modello di sviluppo incentrato sulla mera crescita economica ad un altro incentrato sullo sviluppo sostenibile.
Il punto essenziale, sul piano della politica del diritto, è che il diritto ambientale è impostato sul «prescrivi e controlla», su un'ottica che privilegia il cosiddetto command and control, e non riesce invece ad incidere sul mondo economico orientandone le scelte complessive. La crescita che non contabilizza i costi ambientali, la rincorsa del PIL che non tiene conto degli effetti secondari della produzione si traducono in una crescita di corto respiro perché costruisce, bruciando le proprie risorse ad esaurimento, il proprio declino.
Dobbiamo invece distinguere fra crescita e sviluppo, perché il cammino del progresso futuro è lo sviluppo sostenibile, non la crescita quale che sia.
Il punto fondamentale è iniziare a spostare gradualmente la tassazione dai redditi dei cittadini alle condotte dannose per l'ambiente, nell'invarianza della pressione fiscale complessiva. Solo in questo modo privati e imprese, potranno effettuare le loro scelte orientandole gradualmente verso comportamenti ambientalmente più virtuosi.
È necessario un grande lavoro sul fronte dell'individuazione dei sussidi ai comportamenti ambientalmente virtuosi, dell'utilizzo dei cosiddetti marchi di qualità ambientale, ma ciò si deve tradurre anche nell'adozione di stili di vita più sostenibili, a partire dalle scelte di ciascuno.
Le attività da considerare nel quadro della nuova tassazione ambientale in modo critico sono quelle legate all'utilizzo intensivo del carbone, all'estrazione del petrolio, allo sfruttamento delle foreste,


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alla produzione degli oggetti usa e getta, alla produzione di automobili ad alta emissione di CO2.
È evidente che l'attuale trend dei prezzi dei prodotti petroliferi implica di per sé una «tassa di mercato» per l'energia prodotta da combustibili fossili. Ma il sistema della tassazione ecologica potrà essere utilizzato in futuro elasticamente come strumento di governance della crisi.
La questione delle emissioni di gas serra ci porta ad aprire il capitolo di Kyoto, uno dei temi sensibili e controversi su cui si misura da un lato la capacità di imprimere alla nostra società quei cambiamenti necessari per innescare meccanismi di sviluppo eco-sostenibili, ma dall'altro anche la nostra capacità contrattuale nelle sedi internazionali, e soprattutto comunitarie, per far sì che lo sforzo comune di riduzione dei gas serra non si traduca in una penalizzazione per alcuni ed in un conseguente vantaggio per altri.
L'Italia, nell'ambito dell'attuazione degli accordi di Kyoto, si è impegnata in sede europea a ridurre entro il 2012 le emissioni di gas serra del 6,5 per cento rispetto al dato del 1990. Per questo Governo si tratta di un impegno molto maggiore perché rispetto al 1998, quando vennero definite quelle quote, le emissioni italiane non sono diminuite, bensì cresciute di circa il 12 per cento. Questa è la realtà che ho trovato, che peraltro è nota a tutti. Dire che stiamo sforando di oltre il 18 per cento gli impegni di Kyoto non è assumere una posizione politica, ma soltanto marcare il punto di partenza del nostro lavoro.
Ciò detto, mi sono formata la convinzione che la ripartizione degli impegni di riduzione non ha riflesso a suo tempo adeguatamente le «circostanze nazionali» e quindi il potenziale di riduzione dei diversi Paesi, ma è stato il risultato di un accordo politico, che ha finito per penalizzare il nostro Paese rispetto ad altri che avevano un carico inquinante più pesante del nostro. Per noi il raggiungimento dell'obbligo di riduzione comporterà costi superiori a quelli che mediamente dovranno sostenere altri Paesi europei, con significative conseguenze in termini di competitività, oltre al rischio di multe salatissime da parte dell'UE.
Alla luce di tale esperienza, il Governo si impegnerà affinché le quote di riduzione per il periodo 2012-2020 siano definite con criteri più equi e meno penalizzanti per il nostro sistema economico. Ma è evidente che tali considerazioni non inficiano l'esigenza di una sostanziale riduzione della produzione del gas serra da parte del nostro sistema-Paese.
Per raggiungere questo obiettivo, occorre intervenire su una molteplicità di leve che coinvolgono nel suo complesso la nostra organizzazione sociale ed economica. È quindi intenzione del Governo proseguire ed incentivare gli interventi di sostegno alla produzione di energie rinnovabili dal solare al geotermico, dall'eolico alle biomasse, dal riciclo dei rifiuti all'idroelettrico, ma anche favorire l'utilizzazione delle nuove tecnologie per la cattura e lo stoccaggio di CO2 (i cosiddetti CCS).
È opportuno altresì incentivare l'utilizzo del gas in sostituzione del petrolio. Il gas infatti produce quattro volte meno gas serra degli impianti a carbone e tre volte meno di quelli a petrolio ed ha standard di rendimento migliori.
In quest'ottica appare evidente l'esigenza di dotare il nostro Paese di un numero sufficiente di rigassificatori per affrancare la nostra dipendenza dall'approvvigionamento dai gasdotti che provengono o attraversano Paesi spesso politicamente instabili o soggetti a crisi.
Intendiamo, inoltre promuovere la diversificazione dei combustibili per il funzionamento degli impianti di generazione di energia elettrica anche attraverso il ricorso al carbone pulito.
L'intenzione è, comunque, quella di sostenere tutte le iniziative finalizzate alla disseminazione e industrializzazione delle soluzioni per l'uso sostenibile delle risorse naturali e per la riduzione delle emissioni, nonché avviare iniziative di sostegno all'innovazione tecnologica, anche in relazione all'adozione di tecniche «emergenti»,


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funzionali al processo di aggiornamento delle migliori tecnologie disponibili.
Ho accennato a rigassificatori e nucleare e ne approfitto per fare un inciso relativo ai prezzi per il territorio delle scelte energetiche, che ritengo opportuno e rilevante e che introduce un altro tema chiave, quello della governance. Credo che vada detto con franchezza che non c'è decisione, anche la più «ecologica», che non abbia un peso sull'ambiente. E va detto con la medesima franchezza che le decisioni vanno assunte, se non vogliamo andare incontro ad un rapidissimo declino dell'Italia. Credo che la retorica del solare o dell'eolico contrapposta ad altre infrastrutture energetiche vada profondamente rivista. C'è una parte che si oppone all'eolico, visto come grave elemento di turbativa del paesaggio e ritengo che la realizzazione di «centrali solari», di estensione tale da rendere significativa la produzione di energia, incontrerebbe analoghe resistenze culturali.
Va quindi «metabolizzata» la consapevolezza dei costi ambientali (anche per le rinnovabili), individuando le soluzioni migliori, quelle di minor impatto, quelle più condivise, che però devono essere attuabili.
In Italia, all'ambientalismo dei no, si è sommato «il localismo dei no». Non vi è infrastruttura, soprattutto energetica nel nostro Paese (dalla TAV, sulla quale finalmente nei giorni scorsi s'è raggiunta un'intesa, ai termovalorizzatori, ai rigassificatori, alle autostrade) che non venga paralizzata da istanze locali.
È necessario invece trovare un equilibrio nuovo e più avanzato che consenta, anche attraverso una strategia incentivante, di trovare un'intesa con i territori, perché da un lato c'è l'esigenza di realizzare opere strategiche per il Paese, anche sotto il profilo ambientale, dall'altra c'è tutto un versante, di spessore e rilievo, di interventi in materia ambientale che può essere affrontato solo d'intesa con le istituzioni locali. Il rispetto dei parametri di Kyoto è certamente questione che concerne il nostro apparato produttivo e industriale, ma, in percentuali decisive, anche il nostro sistema dei trasporti e i nostri assetti e stili di vita urbani. Io credo occorra promuovere stili di vita nuovi e ripensare le nostre città, con l'ausilio degli enti locali e nel rispetto del principio di sussidiarietà.
In questo contesto, si intende promuovere il raggiungimento degli standard della qualità dell'aria, con particolare riferimento alle città e ai sistemi urbani, privilegiando un approccio integrato alle politiche di sviluppo urbano (trasporti pubblici, mobilità sostenibile, logistica, efficienza energetica, qualità architettonica ed edilizia sostenibile), anche attraverso la predisposizione di linee guida da proporre ai comuni e a tutti gli enti interessati al problema. Peraltro, il 40 per cento dell'energia consumata annualmente in Italia è destinata ai cosiddetti usi civili (circa la metà per il riscaldamento delle abitazioni e degli uffici e l'altra metà per l'elettricità e gli altri usi domestici). Il 30 per cento di questa energia può essere risparmiata senza sacrificare né il comfort né il portafoglio, soprattutto nel contesto di un crescente costo del petrolio, ma facendo un'opera meritoria per l'ambiente.
Dalla riqualificazione dell'edilizia può venire infatti una riduzione non solo delle emissioni di CO2, ma anche degli ossidi di azoto (NOx) che sono i precursori delle temute «polveri sottili». La necessità di ridurre le emissioni inquinanti e il contesto di prezzi energetici alti rappresentano, dunque, due potenti motori per l'avvio di una politica di riduzione dei consumi specifici per abitazioni ed uffici.
Per questi motivi, il risparmio energetico nel comparto civile è considerato dal Governo un'area prioritaria di intervento.
Sono di imminente emanazione le linee guida per la certificazione energetica degli edifici. Saranno fornite ai cittadini informazioni ed elementi di orientamento per spiegare e quindi incentivare ed attivare interventi in questo settore, puntando alla semplificazione tecnica ed amministrativa.
Gli incentivi agli utenti consentono di attivare un mercato con nuove opportunità di lavoro per le aziende esistenti e l'incentivo alla creazione di nuove imprese.


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Sarà anche stimolata l'innovazione tecnologica in modo da consentire al «Sistema Italia» di reggere la competitività internazionale.
Attualmente, privati ed imprese possono usufruire di una detrazione fiscale pari al 55 per cento della spesa sostenuta per interventi che consentono di ridurre le dispersioni termiche, per l'installazione di pannelli solari e per la sostituzione di vecchie caldaie con nuove ad alta efficienza.
Il nostro obiettivo è di garantire la continuità a queste misure, rafforzando nel contempo gli aspetti legati all'informazione e alla formazione, per far crescere tra i cittadini una sempre maggiore conoscenza sui vantaggi dell'uso delle fonti rinnovabili e del risparmio energetico.
Proporremo, attraverso opportune consultazioni con le istanze locali, una campagna per la nascita - su basi volontaristiche e ben meditate - di un quartiere ecologico in ogni grande città italiana entro il 2020, come già accade in esperienze straniere (quartiere Vauban di Friburgo) e come si sta tentando di fare in alcuni centri anche in Italia: ad esempio, Renzo Piano e Carlo Rubbia a Milano, ma esistono anche iniziative del genere a Roma. Peraltro, l'esempio di Friburgo, è nato su un'area militare dismessa. In Italia le aree militari da dismettere esistono e non sono poche; spesso si trovano in zone urbanistiche di pregio. Sarebbe una sfida vincente per le amministrazioni e le comunità locali se si riuscisse a trasformare le dismissioni in opportunità di realizzazione di aree e quartieri ecologicamente corretti e ad impatto tendenziale zero.
In questa ottica, come accennavo, è decisiva la collaborazione, anzi la condivisione di obiettivi di nuova vivibilità, fra Governo e istituzioni locali. È fondamentale la diffusione di buone pratiche, lo scambio di esperienze, la valorizzazione del già fatto (in Italia esperienze-pilota non mancano).
Il Ministero dell'ambiente nei prossimi anni deve diventare il laboratorio di un nuovo patto fra Governo nazionale, istituzioni regionali e locali e comunità di cittadini, un patto per l'ambiente costruito sul principio del risparmio energetico, dell'uso di fonti alternative e rinnovabili e del risparmio, anche economico, per i cittadini di fronte a bollette sempre più care.
Inoltre, occorre migliorare l'educazione ambientale, anche all'occorrenza utilizzando le sanzioni già previste, ma che sono in gran parte inapplicate, per le condotte di abbandono incontrollato dei rifiuti nell'ambiente.
Con patti con i sindaci relativi alla sicurezza ambientale ed alla lotta alla maleducazione ambientale, occorre orientare le azioni dei corpi di polizia municipale sull'affermazione di un principio di autoresponsabilità nella gestione corretta dei rifiuti, fermi i doveri delle amministrazioni comunali nell'effettuazione della raccolta differenziata. Un cittadino che sa di poter essere sanzionato per scarico incontrollato dei rifiuti diventerà più attento e saprà anche come votare per l'amministrazione comunale che non abbia garantito un servizio di raccolta differenziata adeguato.
Restando nelle problematiche del territorio va indicata una linea sul tema dei rifiuti, al di là dell'emergenza campana. Si registrano infatti enormi ritardi nello sviluppo di una gestione efficace del ciclo diretto al corretto smaltimento dei rifiuti. Un problema che già si è evidenziato in tutta la sua gravità in alcune zone della Penisola.
Ferme restando le prevalenti competenze delle regioni in materia, gli indirizzi dell'attività del Ministero dell'ambiente vedono come priorità la promozione di interventi finalizzati alla riduzione della quantità e della pericolosità dei rifiuti attraverso: la realizzazione di sistemi efficaci di incentivazione della raccolta differenziata per il recupero della materia e dell'energia; il sostegno alle regioni per l'approvazione di piani regionali per la gestione del ciclo dei rifiuti, con particolare riferimento alla termovalorizzazione, nonché alla previsione di sistemi di monitoraggio e controllo per una tracciabilità dei flussi di gestione di tutte le tipologie di rifiuti; la promozione di atteggiamenti responsabili


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delle imprese e dei cittadini; il contrasto al traffico illegale dei rifiuti e alle ecomafie.
Su un piano parallelo, sempre al fine di contemperare gli obiettivi ambientali con gli obiettivi di sviluppo economico e governo del territorio, è necessario predisporre un «piano nazionale di bonifiche» per procedere al risanamento dei siti inquinati e alla valorizzazione e riqualificazione delle aree produttive industriali dismesse, con particolare riferimento ai siti di interesse nazionale, e garantire il completamento degli interventi di messa in sicurezza e bonifica delle aree pubbliche. Ciò anche attraverso la sperimentazione di nuove tecniche di bonifica da verificare in collaborazione con centri universitari e scientifici specializzati, sia a livello nazionale che internazionale.
Per fortuna, a fronte delle emergenze ambientali, l'Italia può contare anche su una rete di eccellenze ambientali. Mi riferisco alle aree protette, alle riserve marine e ai parchi. È necessario rilanciare il ruolo di questa rete di qualità ambientale e potenziare il sistema delle aree protette, attraverso la realizzazione di una nuova «conferenza nazionale per le aree protette», per garantire un approccio integrato che consideri unitariamente le aree protette, le risorse paesaggistiche e culturali, anche in attuazione della direttiva habitat e della Rete natura 2000.
Ma sul sistema dei parchi crediamo sia opportuno avviare una riflessione più ampia e di prospettiva. Oggi ci troviamo dinanzi ad una realtà che si scontra con croniche carenze di finanziamento a carico della fiscalità pubblica, con meccanismi di gestione condizionati dalla politica. Il risultato è un sovraccarico burocratico e una esiguità, quando non assenza di azioni concrete per la gestione e promozione del territorio.
Nei giorni scorsi grandi lamenti si sono innalzati dinanzi alla notizia, poi rivelatasi completamente falsa, che fra gli enti non economici con meno di 50 addetti interessati dai tagli fossero compresi anche gli enti parco, i quali non saranno ovviamente soppressi. Sarebbe invece utile sopprimere il «poltronificio» che essi rappresentano e pensare ad una gestione dei beni ambientali meno burocratica e più efficace ed efficiente, capace di fare promozione, di indurre e gestire uno sviluppo compatibile con i beni ambientali protetti, di coinvolgere i privati (penso ad esempio alle fondazioni), come accade all'estero, dove sovente i parchi sono grandi imprese anche economiche, in grado di produrre i fondi necessari per la protezione, tutela e valorizzazione dei beni ambientali, fondi che oggi mancano e inducono i nostri parchi ed aree protette ad una vita grama.
Il Ministero, inoltre, nell'ambito delle azioni di tutela del territorio, intende porre in essere misure preventive e di mitigazione degli effetti derivanti dalle variazioni climatiche e dalle modificazioni sull'utilizzo e l'assetto del territorio con particolare riguardo alla difesa degli abitati, delle infrastrutture, degli insediamenti produttivi e commerciali, all'erosione dei litorali e alla prevenzione dei fenomeni di desertificazione; contrastare la tendenza alla perdita di biodiversità sulla base degli obiettivi fissati in sede comunitaria al 2010 e mantenere alta la qualità dell'ambiente in termini di conservazione e gestione di risorse naturali, elaborando una strategia nazionale sulla biodiversità.
In questo ambito intendiamo assicurare il pieno raggiungimento degli obiettivi di qualità delle acque e di funzionalità ecologica fissati al 2015, in attuazione delle vigenti direttive europee e dare piena attuazione agli interventi per la gestione del servizio idrico integrato, al fine di garantire una corretta gestione del territorio attraverso la realizzazione di interventi integrati di difesa del suolo e di uso sostenibile delle risorse idriche, per assicurare la prevenzione dei disastri idrogeologici e dei fenomeni derivanti dalla siccità.
Un ragionamento simile, per alcuni versi, a quello fatto per i parchi, andrebbe avviato per le autorità di bacino, che rischiano di configurarsi come un agglomerato burocratico, costruito su una miriade di ATO, ma che poi non riesce a fornire servizi al territorio. Ed il caso


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dell'autorità di bacino del Po, che non ha risorse per gli interventi necessari sugli argini del principale fiume italiano, è emblematico di una situazione in cui il livello burocratico si sovrappone e, di fatto, si sostituisce a quello operativo, generando molti costi e pochissimi benefici. Su questo fronte appare necessaria una politica che tenga conto delle esigenze finanziarie in tali situazioni di estrema delicatezza. Infatti, i costi del non fare, del non intervenire laddove gli interventi sono necessari, rischia di generare poi costi molto maggiori ed i molteplici eventi calamitosi aggravati dalla mancata gestione delle emergenze del territorio ne sono la prova. Anche i piani finanziari dovrebbero essere sottoposti a VIA, in quanto i costi per la collettività non sono solo quelli a breve, ma anche quelli di medio e lungo periodo, e tagliare 10 oggi per spendere 200 domani non è una scelta né oculata né saggia.
Tornando alla visione generale, i programmi e gli obiettivi ambientali hanno bisogno di strumenti normativi adeguati ed anche in materia ambientale, nonostante i numerosi interventi che si sono stratificati nel tempo, esiste ancora oggi una forte ipertrofia legislativa che determina un quadro normativo complesso, disorganico e frammentato sul quale è necessario intervenire ulteriormente, al fine di migliorare la qualità della regolazione in materia ambientale.
Nell'ambito degli interventi di semplificazione, occorre valorizzare e razionalizzare il sistema dei controlli, al fine di assicurare una tutela integrata e complessiva dell'ambiente, con particolare riferimento alla valutazione ambientale strategica («VAS»). Si tratta di eliminare le duplicazioni, semplificare le procedure e ridurre le moltiplicazioni dei livelli amministrativi con la finalità primaria di coniugare le esigenze della necessaria salvaguardia ambientale con quelle dello sviluppo sostenibile.
Occorrerà, quindi, intervenire in tal senso sul codice ambientale, anche per riportare la normativa italiana nell'alveo europeo. In questo campo, infatti, richiamarsi all'Europa è una abitudine invalsa, soprattutto quando da Bruxelles arrivano critiche, vere o presunte, all'operato del Governo. Analogo riferimento comunitario non giunge però quando, come accade in parte della nostra normativa ambientale, le leggi italiane superano quelle europee, appesantendo il nostro sistema di oneri burocratici e di passaggi amministrativi che non giovano all'ambiente ma allungano tempi e forniscono ulteriori opportunità di veti e ritardi.
Nel contempo, come accennavo in apertura, sarà utile proporre iniziative in tema di fiscalità ambientale che abbiano come modello la riduzione delle imposte per chi risparmia energia e non inquina e, al contrario, aumenti l'imposizione nei confronti di chi non risparmia energia e inquina.
L'obiettivo delle misure fiscali del Governo sarà quello di valorizzare l'ambiente come bene economico.
Occorre favorire lo sviluppo delle imprese che si specializzano nella difesa dell'ambiente attraverso la costruzione degli impianti di termovalorizzazione, la realizzazione degli impianti di depurazione delle acque, la produzione di energie rinnovabili, eccetera. Secondo la logica del «fare ambiente», quindi, la protezione e la salvaguardia ambientale potranno diventare settori di attrazione di risorse per investimenti e occupazione, con tutti i vantaggi che ne derivano in termini di creazione di posti di lavoro e di rilancio del turismo.
Si potrebbe progettare, d'intesa con gli altri dicasteri competenti, un piano nazionale per gli interventi ambientali, su cui far confluire risorse pubbliche e private, indirizzandole principalmente verso le aree del Mezzogiorno che soffrono di un particolare deficit di infrastrutture ambientali e che costituiscono polo turistico. Il piano sarà sostenuto ricorrendo al cofinanziamento esistente o attivabile su base locale e comunitaria, mediante l'utilizzo dei fondi strutturali e del FAS e con il ricorso alla finanza di progetto.
Concludendo questa illustrazione degli indirizzi del Ministero dell'ambiente, mi preme ribadire ancora l'importanza che,


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anche alla luce di quanto ho detto, annetto al contributo ed al confronto con il Parlamento ed in particolare con questa Commissione. Sono convinta che l'importanza e la complessità dei temi, il fatto che riguardino questioni «di tutti» ci condurranno verso una proficua collaborazione, critica ma anche propositiva per il bene del Paese.

PRESIDENTE. La ringrazio, Ministro Prestigiacomo. Se è disponibile, possiamo far fotocopiare la relazione e farla distribuire.
Do ora la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti e formulare osservazioni.

ERMETE REALACCI. Vi ringrazio, signor presidente e signor Ministro.
La relazione, ovviamente, è molto ampia e avremo modo di confrontarci sui tanti temi che sono stati affrontati. In molti casi ci sono nella relazione degli stimoli interessanti e vorrei sottolinearne alcuni, per poi individuare qualche nodo critico d'attualità.
In primo luogo, al di là di una certa enfasi sul nucleare (ma avremo altre sedi per parlarne), è condivisibile - e credo sia stata parte integrante del lavoro di questa Commissione nella passata legislatura, ma anche in quella precedente - la volontà di cercare di «incrociare» le questioni ambientali con le questioni dello sviluppo e della competitività del Paese.
Se il Ministro avrà la pazienza di sfogliare le relazioni che questa Commissione ha prodotto nella passata legislatura (penso a quella sui mutamenti climatici e anche a quella sul riciclo e sull'industria del riciclo), troverà che in esse era fortissimo il nesso tra politica ambientale e competitività del «Sistema Italia» e che la Commissione ha anche cercato di tradurlo, al di là dell'attività del Governo, in misure che, seppur in modo parziale, poi sono state inserite nelle passate leggi finanziarie.
Penso, ad esempio, agli sgravi fiscali per il recupero e la messa in ordine dal punto di vista energetico degli edifici, col ricorso al risparmio energetico e alle fonti rinnovabili (mi fa piacere che il Ministro abbia confermato che li manterrà), alle misure che hanno riguardato, ad esempio, alcuni obiettivi su cui l'Italia è risultata addirittura più avanti rispetto ad altri Paesi europei (che poi l'hanno seguita), come, ad esempio, l'individuazione del divieto di commercializzazione dei sacchetti di plastica non biodegradabili, la fissazione, a partire dal 2011, di un divieto di immissione sul mercato delle lampadine a incandescenza o di frigoriferi ed elettrodomestici non di classe A.
Si tratta di campi in cui obiettivi ambientali avanzati coincidono con quello di un aumento di competitività dell'Italia, poiché questi sono settori in cui l'Italia è leader in Europa. Siamo leader nell'illuminotecnica e negli elettrodomestici «bianchi». Introdurre questi obiettivi avanzati rende il nostro Paese più capace di competere.
Il ragionamento potrebbe essere esteso a molti altri settori, come anche il Ministro ha detto. L'Italia è un Paese in cui bellezza, storia, natura e cultura fanno parte integrante del sistema di competitività, nonché della sua identità e dei suoi territori.
Segnalo qui un primo punto, signor Ministro, di consenso, ma anche di sconcerto. Lei, infatti, dice - giustamente - che le politiche ambientali dovrebbero attraversare l'attività dell'intero Governo e propone un'azione di grandissimo interesse sul fisco, che, culturalmente, non si può che considerare favorevolmente. Sostanzialmente, a parità di gettito, si tratta di spostare il carico fiscale sui settori che producono maggiore inquinamento e, dentro questi settori, favorire coloro che attuano misure virtuose.
È un'azione di grandissimo interesse, inclusa fra quelle indicate nella relazione sui mutamenti climatici della passata legislatura e di cui, però, non si trova traccia nel DPEF in esame. Nelle finalità del DPEF, questa - come altre questioni - è del tutto assente, non è neanche nominata.
Devo dire che in questa stessa sede, a suo tempo, cercammo di introdurre nel


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DPEF un allegato che tenesse conto delle misure necessarie per il raggiungimento degli obiettivi di Kyoto. Per essere onesti, non ci siamo riusciti in maniera seria neanche con il precedente Governo, che ha prodotto degli allegati estemporanei e un poco in «zona Cesarini». Risulta tuttavia chiaro che, o tutte le misure che lei ha citato fanno parte integrante delle politiche strategiche (economiche, fiscali, istituzionali, perfino internazionali) del Governo nazionale, oppure le politiche ambientali si svuotano e diventano politiche end of pipe che non sono di grandissima efficacia.
Su questo ci attendiamo, francamente, «un cambio di passo», proprio perché consideriamo interessante il tema che lei ha più volte richiamato nel corso della sua relazione. Aggiungo che si tratta di un tema che rende possibile una difesa delle produzioni italiane su una frontiera avanzata. Oggi esiste un dumping ambientale e sociale che arriva da Paesi emergenti e che può danneggiare le nostre imprese in tanti settori, dalla sicurezza dei prodotti, alle norme ambientali e sociali e che, invece, può essere una fonte di garanzia delle nostre produzioni, nonché di evoluzione positiva degli altri Paesi.
Vengo rapidamente a tre questioni di attualità. In primo luogo, in questo inizio legislatura abbiamo avuto modo di avviare un confronto sulle modifiche al sistema dei controlli, o meglio sulla ristrutturazione dell'APAT (Agenzia per la protezione dell'ambiente e per i servizi tecnici) e delle altre agenzie. Noi avremmo preferito un disegno di legge ad una misura che è stata stralciata dal decreto-legge sui rifiuti di Napoli, per poi essere introdotta di nuovo in un decreto-legge. Il problema dei controlli è serissimo, in Italia. Non difendiamo certo la situazione esistente, che presenta molti problemi di arretratezza, sia a livello nazionale, sia a livello delle agenzie regionali.
In Italia abbiamo eccellenti agenzie regionali e, al contempo, situazioni in cui le regioni risultano, per così dire, «non classificabili» dal punto di vista della politica dei controlli ambientali. Tuttavia, quest'ultima è una politica di straordinaria importanza per l'Italia, poiché se i cittadini non possono fidarsi di ciò che le istituzioni pubbliche affermano, se permane il dubbio che i giudizi avanzati siano segnati da un'opinione politica, o - peggio ancora - da incompetenza (come spesso capita), allora diventa difficile aprire le discariche a Chiaiano, realizzare la TAV in Val di Susa e compiere tutte le altre scelte alle quali siamo chiamati.
Per questo motivo, signora Ministro, la invitiamo ad avere un rapporto con il Parlamento molto efficace nel valutare la maniera più adeguata di organizzare il sistema dei controlli, anche assumendo l'impostazione che lei ha proposto - e che in gran parte condividiamo - di eliminare le norme ridondanti per semplificare e dare certezza del diritto ai cittadini. Sono infiniti gli esempi che potrebbero farsi in materia, ma quello che veramente è un punto di grande delicatezza, è che è fondamentale che sia il Ministero dell'ambiente che le agenzie regionali siano in grado di fornire certezze ai cittadini. In proposito, le cito solo il caso dell'enorme contenzioso aperto, riguardante l'autorizzazione integrata ambientale (AIA). Nella passata legislatura, in maniera un po' fortunosa, riuscimmo a prolungare i termini, che per l'Unione europea erano ultimativi, per il rilascio delle autorizzazioni integrate ambientali, che riguardano il cuore del sistema produttivo del nostro Paese: circa settemila aziende, metà delle quali dovrebbero essere certificate dalle agenzie regionali e metà (forse qualcuna in meno) dall'agenzia nazionale.
Ebbene, a livello nazionale non si è fatto quasi nulla, mentre nelle regioni registriamo una situazione «a macchia di leopardo»: credo, ad esempio, che la Lombardia e l'Emilia-Romagna abbiano svolto un lavoro abbastanza avanzato, il Veneto non ha fatto niente, il Sud non risponde neanche alla chiamata. In questa situazione, se un magistrato o un organo di polizia si recasse in queste aziende, troverebbe che esse non hanno l'autorizzazione


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per funzionare, non per colpa loro, s'intende, bensì per carenza del sistema dei controlli.
La seconda questione riguarda Kyoto. Lei ha ragione nel dire che l'obiettivo che l'Italia si è data risulta proibitivo. Non so se fossero tali sin dall'inizio gli obiettivi che l'Italia si era data, ma si tratta di un fatto influente, poiché anche se avessimo avuto un obiettivo di riduzione del 5 per cento oggi dovremmo comunque ridurre del 17 per cento.
Il problema vero, infatti, non è rappresentato dal mancato raggiungimento dell'obiettivo assegnatoci, bensì dall'avere aumentato le emissioni di CO2, a fronte dei grandi Paesi europei che, invece, le hanno diminuite.
Vorrei ricordare che, attualmente, la Germania si è data l'obiettivo di ridurre del 40 per cento le emissioni di CO2 entro il 2020, chiudendo tutte le centrali nucleari entro la stessa data.
L'Inghilterra si è data l'obiettivo di ridurre del 30 per cento le emissioni di CO2 entro il 2020 e del 60 per cento entro il 2050.
La stessa Spagna, che non è messa benissimo, nel mese di marzo ha registrato una produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili superiore a quella da centrali nucleari, che in ogni caso si è impegnata a chiudere nel 2014. E, anche se, a mio avviso, in Spagna allungheranno un po' quest'ultimo termine, resta il fatto che lo scenario del nucleare in Europa risulta quantomeno «abbastanza variegato». Resta, certamente, il fatto che in materia noi abbiamo fatto pochissimo e per di più solo in via indiretta. Lei, giustamente, ricordava il rapporto che esiste fra riciclaggio e risparmio energetico. Ebbene, i seri obbiettivi di riciclaggio raggiunti in alcune parti d'Italia hanno prodotto significativi risultati, in termini di risparmio energetico. Ricordo che soltanto dal riciclaggio del vetro e dell'alluminio ricaviamo, ogni anno, un risparmio di circa 4,5 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio (per capirci, l'equivalente di tre centrali nucleari da 1000 megawatt).
Dobbiamo, però, riconoscere che una politica in materia non è mai esistita. Le dico ciò, signor Ministro, perché questa è una battaglia che abbiamo perso con il precedente Governo: non si commetta l'errore, come è avvenuto nella passata legislatura, di organizzare una conferenza sul clima separata da una conferenza sull'energia. Se si deve promuovere una conferenza nazionale sull'energia, deve essere una conferenza in cui questi obiettivi fanno parte integrante dello scenario: uno scenario che è a breve termine e al quale - in ogni caso - il nucleare non porterà alcun contributo. È necessario stabilire che cosa l'Italia intende fare da qui a cinque anni, per poi assumere scelte coerenti.
E, ad esempio, a proposito di scelte coerenti, ricordo che per il reperimento delle risorse per l'abolizione dell'ICI, sono stati tagliati i fondi per il trasporto pubblico locale (credo ora, in parte, ripristinati, ma è evidente che, se si tagliano i treni pendolari e si tagliano i fondi per il trasporto pubblico locale, una delle misure principali per ridurre le emissioni di CO2 e per aiutare i cittadini a risparmiare anche dalle proprie tasche, con il ricorso al trasporto pubblico anziché privato, viene fortemente depotenziata.
Un ultimo punto riguarda una misura da lei stessa accennata, signor Ministro: il contrasto all'illegalità in campo ambientale. Prima, però, voglio dirle che, per quanto riguarda la partita dei rifiuti, trovo molto interessante e apprezzabile sul piano culturale l'iniziativa con Pino Daniele che il Ministero dell'ambiente sponsorizza a Napoli. Do atto anche al Ministero, pur essendo ciò indice della disattenzione del Governo, di aver bloccato all'ultimo momento la soppressione dei parchi, che pure era stata ventilata nel Governo, ad esempio dal ministro Maroni in un incontro con regioni, ANCI, UPI e UNCEM. Ad ogni modo, l'iniziativa del Ministero è stata positiva ed è appropriata l'analisi svolta sulla necessità di misure in grado di potenziare e rinnovare il sistema


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dei parchi. In funzione di questi obiettivi siamo disposti a considerare qualsiasi argomento.
Esiste, però, un punto che vorrei sottolineare, signor Ministro, a proposito degli incroci fra le varie politiche che ho citato.
È vero, il tema dell'illegalità in campo ambientale, in Italia, è importante. Ebbene, nel reperimento dei soldi per abolire l'ICI sono stati tagliati alcuni fondi riguardanti certi segnali destinati all'opinione pubblica italiana che, forse, sarebbe stato meglio mantenere. Alludo, in particolare, ai fondi destinati all'abbattimento degli «ecomostri», che avrebbe potuto rappresentare un segnale interessante contro l'illegalità.
Al di là di ciò, esiste una questione che ci sta ancora più a cuore. Non voglio entrare nel merito - ovviamente abbiamo punti di vista diversi - sui motivi che spingono a sospendere i processi per i reati che non prevedono una pena massima superiore ai dieci anni, o sui motivi che prevedono il divieto di intercettazioni telefoniche per le indagini sulle stesse tipologie di reato. Però, sorge un piccolo problema: tutti i reati ambientali appartengono a tali tipologie. Anche i reati ambientali più gravi e più pericolosi per la salute dei cittadini, per l'ambiente e anche per l'igiene e la legalità nel nostro Paese sono reati puniti con pene inferiori ai dieci anni. Per esempio, per lo smaltimento illegale dei rifiuti pericolosi si prevede una pena inferiore ai dieci anni. Lo stesso dicasi per lo smaltimento illegale di rifiuti radioattivi ad alta attività. Questi reati, che è stato possibile contrastare più efficacemente grazie ad una norma - lo voglio qui ricordare - introdotta, sul finire della XIII legislatura, tramite un emendamento presentato da un senatore di Forza Italia poi deceduto.

MAURIZIO LUPI. Potremmo aumentare le pene fino a 50 anni...

ERMETE REALACCI. No, no, collega, non è così! Non scherziamoci sopra, perché prima del marzo 2001 quei reati finivano tutti in prescrizione: non era possibile contestare il reato di associazione a delinquere, non si potevano usare le intercettazioni telefoniche e quindi quei reati, particolarmente pericolosi, erano difficilmente contrastabili.
Dopo il 2001 ci sono state oltre cento indagini che hanno permesso di mettere nel mirino questi reati. Mi riferisco a indagini effettuate dal NOE (Nucleo operativo ecologico), da altre forze di polizia e da magistrati, che oggi sono a rischio se non vengono eliminate le misure a cui ho accennato, oppure non si introduce una deroga per quanto riguarda i reati ambientali. Diversamente, con la loro approvazione, voglio dirlo con chiarezza al Ministro dell'ambiente, sarà difficile in futuro contrastare i reati ambientali.

SIMEONE DI CAGNO ABBRESCIA. Credo tuttavia che ci siano anche altri mezzi, oltre alle intercettazioni telefoniche, per contrastare i reati ambientali.

ERMETE REALACCI. Certamente, ma se andiamo a controllare concretamente un caso emblematico, quale lo smaltimento illegale di rifiuti pericolosi, noteremo che proprio l'introduzione di quella norma nel 2001 ha permesso un tipo di indagine che ha reso possibile un fortissimo contrasto di quei reati. Oggi quel tipo di contrasto sarà indebolito. Questa non è una buona notizia, alla quale bisognerà trovare un rimedio.

AGOSTINO GHIGLIA. Signor presidente, cercherò di essere sintetico, anche se tutti noi dovremmo sentire l'obbligo di una sintesi «europea»: declamiamo sempre gli esempi virtuosi provenienti dall'estero, senza peraltro mai imitarli.
Non ho letto approfonditamente come l'onorevole Realacci - lo farò nelle prossime ore - il DPEF per quel che riguarda le materie di nostra competenza, ma noto che nella sintesi del documento è scritto che l'obiettivo di legislatura del Governo è quello di promuovere la ricerca scientifica e l'innovazione tecnologica. Anche solo questo basterebbe a coprire, da un punto


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di vista economico e finanziario, gran parte delle misure che il Ministro Prestigiacomo ha illustrato all'inizio del suo intervento.
Già rientrerebbero in questo discorso, infatti, sia la scelta di investire sulle fonti rinnovabili e sulla produzione nazionale degli strumenti e delle tecnologie atte a perseguire tale obiettivo, sia la scelta a favore del nucleare.
Dal mio punto di vista, il discorso relativo al programma di legislatura dovrebbe essere affrontato da tutti noi in maniera - lo dico a me stesso, non sapendo se ne ho la capacità, poiché si tratterà di un work in progress - un po' più sistematica. Non possiamo citare solo le criticità, senza affrontare il problema a monte. Rispetto alle due affermazioni che mi hanno colpito di più, nella relazione del Ministro Prestigiacomo, che ringrazio per la disponibilità e l'ampiezza della sua illustrazione, individuo una chiara inversione di tendenza sulle politiche energetiche di questo Paese. Non esiste sempre un'altra sede in cui affrontare questi nodi. Questa è una delle sedi. Il Governo vuole improntare la politica dei prossimi anni ad una chiara scelta nucleare (o nuclearista, chiamatela come volete). Diciamo «sì all'atomo», anziché «no all'atomo». Si tratta di un forte cambiamento epocale e culturale, su cui occorrerebbe magari andare a confrontarci maggiormente nel merito.
Poi, alcuni citano gli esempi positivi, altri quelli negativi; alcuni citano i Paesi in cui si sta tornando indietro sulla scelta nucleare, ma si possono anche citare i Paesi in cui, invece, tale scelta va avanti e viene, anzi, rafforzata. Ovviamente, ognuno di noi sceglie gli esempi che più gli sono utili.
Il secondo punto che voglio sottolineare riguarda la filosofia che mi sembra abbia improntato l'intervento del Ministro Prestigiacomo, che va verso un cambiamento della cultura ambientale in maniera tale che, mutatis mutandis (come affermava ieri in un convegno a Torino il collega Bratti), l'ambiente possa essere considerato da tutti noi in modi diversi, ma non più postulando che chi vuole lo sviluppo sia contro l'ambiente. Oggi, ci si divide fra coloro che vogliono investire sulle tecnologie, e che per questo sono accusati di essere contrari all'ambiente, e tutti gli altri, i «buoni», coloro che difendono la foglia, o un pezzo di parco perché ci vive un tipo particolare di millepiedi, coloro che assolutamente vogliono che il parco rimanga chiuso perché è meglio che rimanga non vissuto e ci crescano gli sterpi, piuttosto che diventi una risorsa. Ecco, quel che vorrei sapere è se si intenda finalmente superare questa divisione manichea, che dura in Italia forse da più di venti anni, come mi è sembrato di cogliere anche nell'intervento del Ministro, questo manicheismo «verdista», un po' «no tutto», che tuttavia - occorre dirlo chiaramente in questa sede - è stato in questi anni sempre dalla parte del centrosinistra.
Prendo atto, con favore, con piacere e con grande soddisfazione (essendo piemontese e, quindi, interessato da alcune tematiche ambientali importanti), che è finita la linea del «no tutto».
Essendo esaurita tale impostazione, me lo auguro, per tutta la Nazione e non solo per il Piemonte, cerchiamo allora di affrontare in maniera più complessiva il tema dell'energia, dei costi delle fonti rinnovabili di energia, della sostenibilità per il nostro Paese di questi costi e infine (nonostante io sia perfettamente consapevole dei tempi di realizzazione delle centrali nucleari, delle scelte e delle difficoltà) anche il tema dell'accettabilità sociale del nucleare.
Mi domando se vogliamo finalmente considerare l'energia nucleare come uno degli strumenti energetici possibili, o se invece non mi resti altro che considerarmi un piemontese disgraziato, che vive a centocinquanta chilometri da una centrale nucleare francese e che deve continuare a pagare l'energia il 30 per cento in più, senza alcun beneficio, laddove la Francia continua, invece, a investire nel nucleare. Lo so, si tratta di una domanda banale. Però, a mio avviso, la sfida e il confronto vertono su questo, come anche sulle fonti di energia rinnovabili. Ma attenzione: non


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mi si venga a ricordare che il Ministro Matteoli voleva il 65 per cento di raccolta differenziata, poiché me lo ricordo benissimo e ribatto che tutto è perfettibile, che solo i paracarri restano fermi e che le migliori idee debbono poi confrontarsi con il sano pragmatismo della realtà.
Anche per le fonti di energia rinnovabili io dico che, come tutte le ottime idee, devono confrontarsi anche con le possibilità economiche di un consumatore finale che deve poter usufruire di servizi, a cominciare da quelli energetici, economicamente - non solo ecologicamente - sostenibili, cioè alla portata delle sue tasche.
Faccio solo un esempio. Sono un convinto federalista - nel 1997 presentai una proposta per fare del Piemonte una regione a statuto autonomo - ma vedo anche che le regioni, laddove hanno competenze specifiche, spesso ragionano e legiferano in maniera assolutamente casuale. Così, in Piemonte si fa una bellissima legge sul risparmio energetico - a cui ci siamo fermamente opposti - che impone la coibentazione degli edifici, anche in seguito al semplice rinnovo della tinteggiatura di una facciata. Parliamo anche di edifici storici di qualunque tipo, non delle nuove costruzioni, per le quali la misura sarebbe doverosa! Come conseguenza immediata, ciò ha comportato il blocco del mercato, poiché i cittadini non possono permettersi, oltre alla tinteggiatura di un edificio, che costa 30.000 euro, la coibentazione che ne costa 100.000.
Servono, dunque, approcci realistici e possibili, magari improntati alla ricerca di un equilibrio.
Ebbene, non mi è sembrato di cogliere la volontà di fare dell'atomo una bandiera, trascurando il resto. Quando un Governo si propone un mix che prevede il petrolio, più un 25 per cento di energia da fonti rinnovabili e, in prospettiva, un altro 25 per cento di energia dal nucleare, credo che esso stia conducendo una politica di grande equilibrio energetico che consentirà, non solo nei prossimi mesi, ma anche in prospettiva storica (se non ragioniamo con venti anni di anticipo, non ragioniamo affatto; la politica degna di tal nome deve ragionare sul domani e non guardare agli interessi solo dell'oggi), alla nostra Nazione di poter essere energeticamente indipendente e di disporre sempre e comunque di risorse alternative cui attingere. Non dimentichiamo che paghiamo oggi, e pagheremo ancora di più domani, gli effetti nefasti di questa nostra totale dipendenza.
Trovo ottima l'idea del quartiere ecologico, che proporremo anche a Torino in modo che, anziché essere sempre citati come esempio negativo per i quartieri a rischio sicurezza, avremo qualcosa su cui il nostro sindaco potrà cimentarsi in maniera opportuna.
Infine, ciascuno ha la propria sensibilità e sicuramente ci saranno colleghi che si diffonderanno su altre questioni, ma io intendo soffermarmi brevemente sulla politica dei parchi. Non so se mi sono sentito sollevato, o meno, quando ho saputo che i parchi non erano compresi fra gli enti da sopprimere, avendo meno di 50 dipendenti. Mi spiego: in termini generali sono contento, in quanto credo in una politica seria dei parchi (che lei ha evocato), credo in parchi che siano fruibili dalla popolazione e che, al pari dell'ambiente in generale, diventino anche - perché no - possibilità di business.
Quando, però, vedo lo stato di molti parchi della mia regione, mi chiedo se si tratti davvero di parchi e non piuttosto di sterpaglie di rovi; se siano parchi che vale la pena di tenere così, chiusi al mondo, per salvaguardare un presunto microsistema o se invece essi non debbano diventare un qualcosa di diverso, al servizio della collettività. Non siamo solo noi al servizio della terra, ma magari anche la terra e l'ambiente sono al servizio dell'uomo!
Credo che il Governo, stando anche a quanto ha detto il ministro Prestigiacomo, intenda muoversi in questa ottica e quindi ne condividiamo assolutamente la posizione.

PRESIDENTE. Ringrazio l'onorevole Ghiglia, che aveva promesso di essere


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sintetico, ma non lo è lo stato. Aveva anche dichiarato di seguire il modello europeo, e il suo comportamento conferma l'idea che ho io sull'Europa, una cosa molto lunga, che fa molte promesse, ma alla fine non le mantiene mai.

ELISABETTA ZAMPARUTTI. Signor presidente, ho apprezzato la centralità data dal Ministro Prestigiacomo al tema della politica ambientale quale nodo per lo sviluppo.
Proprio per questo, signora Ministro, sento come necessaria, in ordine a quell'aspetto energetico che nella sua stessa relazione ha avuto grande rilevanza e in analogia con i piani nazionali nel settore idrico di cui lei ha parlato, la predisposizione e presentazione di un piano strategico complessivo rispetto alla questione dell'energia. Sarebbe necessario, cioè, avere la rappresentazione di un quadro complessivo, in grado di indicare sia i problemi che occorrerà affrontare, sia le opportunità che ci si prospettano. Tutto ciò, in un chiaro rapporto tra costi e benefici delle scelte possibili, in funzione degli obiettivi che lei, nella sua relazione, ha annunciato.
La mia esigenza nasce dall'impressione che non si stia procedendo esattamente in questo modo. Lo dico, per esempio, in riferimento a ciò che ho visto nel corso dell'esame del primo provvedimento relativo ai rifiuti, qui in Commissione ambiente. Sulla questione del riassetto del Ministero dell'ambiente e degli enti ad esso collegati era stata annunciata infatti la presentazione di un disegno di legge per affrontare con un'impostazione complessiva (quindi, più ragionata) questa materia e invece mi accorgo che quella sorta di «maxiemendamento» che era stato inserito nel decreto-legge sui rifiuti ora è rientrato nel decreto-legge in materia fiscale.
Anche su questo, come in materia di energia, vorrei poter essere messa in condizione di capire meglio di quale riforma e di quali controlli si tratti.
Per quanto riguarda il nucleare, onestà intellettuale richiederebbe che si precisasse che su questa opzione (annunciata come fatto già acquisito e mi pare che ci si stia orientando verso le centrali di terza generazione, ma questo punto non è chiaro, poiché si tratta di una notizia che acquisisco dai giornali) non trovo un'informazione adeguata su che cosa questa scelta comporti, in termini di costi e di benefici.
Inoltre, la stessa onestà intellettuale richiederebbe che si precisasse anche che la Francia, portata come esempio principale della bontà della scelta nucleare, è in realtà un Paese che presenta una dipendenza dal petrolio superiore alla media europea.
Preciso tutto ciò, senza avere alcuna preclusione ideologica sulla scelta del nucleare, in quanto avverto la necessità di applicare il noto principio «conoscere per deliberare». Sono una radicale eletta nelle liste del Partito Democratico e segnalo che noi radicali, tra pochi giorni intraprenderemo un'iniziativa pubblica, che spero potrà essere d'aiuto per l'approfondimento di questi temi nell'ottica di cui parlavo un momento fa.
Chiudo con un'ultima considerazione. Come lei ha detto giustamente, ormai l'ambiente è una questione che non attiene soltanto alla dimensione nazionale e locale, bensì ad una dimensione assolutamente globale. Ebbene, credo che tutte le varie emergenze che ci troviamo a dover affrontare nel settore ambientale abbiano un'origine precisa, da rintracciare nella crescita demografica, a livello mondiale, che ormai avviene secondo tassi esponenziali. Avverto come necessaria l'elaborazione, sulla questione demografica, di una politica che dia a tutti la possibilità di scegliere, che consenta di poter procreare con amore e non come animali.
Ribadisco, dunque, la necessità di una chiara politica sull'emergenza demografica mondiale che, a mio avviso, è all'origine dei vari disastri ambientali in atto.

MAURIZIO LUPI. Signor presidente, ho apprezzato molto l'intervento del Ministro Prestigiacomo. Ricordo a tutti i colleghi che siamo all'inizio di una legislatura e


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che per forza di cose, quindi, l'intervento del Ministro deve spaziare a trecentosessanta gradi su un'impostazione generale e di ampio respiro che detti le linee programmatiche su cui innestare sia l'azione del Governo (e gli atti che di conseguenza ne deriveranno), sia il lavoro che il Parlamento - nella fattispecie, questa Commissione - dovrà compiere in un confronto serrato con il Governo stesso.
Mi sembra che il primo auspicio, ma anche il primo «cambiamento di passo» a cui faceva riferimento il collega Realacci, riguardi soprattutto l'instaurazione di un rapporto nuovo fra Governo e Parlamento. Nella passata legislatura, in questa Commissione, abbiamo sofferto fortemente - ma credo ne abbia sofferto il Paese tutto - «l'assenza» di un Ministero dell'ambiente, poiché nella passata legislatura non c'è stata interlocuzione tra il Parlamento e il Ministro Pecoraro Scanio. Mi sembra altrettanto palese che il Ministero non abbia svolto il suo necessario ruolo di protagonista positivo, nel rapporto con il Paese.
Per questo motivo, il primo aspetto positivo che voglio sottolineare nel tono e nei contenuti della sua relazione, signora Ministro, è la coscienza che questo «cambio di passo» sta innanzitutto nel ruolo che il Ministero deve svolgere nell'ambito del Governo, nel rapporto con il Parlamento e nel rapporto con il Paese. Da questo punto di vista, mi sembra importante che lei, come premessa fondamentale declinata nella relazione - giustamente sottolineata dal collega Ghiglia, abbia parlato di un cambiamento culturale.
Credo che i temi di lavoro possano essere riassunti in una concezione dell'ambiente non come costo, bensì come risorsa (con le azioni legislative e governative che ne dovranno conseguire), nonché nella convinzione che ambiente e sviluppo vadano di pari passo e non siano in contrasto. Insomma, è una pazzia che il Ministero dello sviluppo economico e il Ministero dell'ambiente non dialoghino e non si confrontino, oppure che uno sia ostativo all'altro! Negli anni precedenti abbiamo visto il povero Ministro Bersani porre rimedio, ogni volta, ai danni drammatici causati dal Ministro Pecoraro Scanio (beninteso, non in termini propositivi, bensì puramente ostativi).
È inoltre molto interessante l'accenno che lei ha fatto e che mi piacerebbe ulteriormente sviluppare con un'osservazione di approfondimento, sul fatto che, nell'ambito della politica ambientale, la leva fiscale diventa uno strumento fondamentale in termini non tanto impositivi, quanto propositivi.
Mi è piaciuta la sua relazione, proprio perché è tutta permeata dalla concezione per cui lo strumento dell'azione politica non risulta mai impositivo.
In questi ultimi anni, invece, il Ministro aveva portato avanti qualsiasi azione come se fosse diretta contro un nemico, o come se si volesse opporre un continuo ostacolo nei confronti di qualsiasi attività da parte di chiunque, con i risultati che abbiamo davanti e, ad esempio, con gli enti parco che oggi sono concepiti come un pericolo, poiché i vincoli imposti nei parchi rendono impossibile il normale svolgimento delle attività di chi nel territorio dei parchi vive.
Ormai è diventata una sfortuna anche l'essere stati inseriti nell'elenco dei siti di interesse nazionale per le bonifiche e i comuni fanno a gara nel rivolgersi al Ministero per farsi cancellare da quell'elenco! Se all'inizio si pensava infatti con quell'inserimento di ottenere qualche risorsa in più, l'iter burocratico è divenuto poi talmente pesante - non interessando affatto la riqualificazione ambientale e lo sviluppo, bensì innanzitutto il rispetto delle procedure, la burocrazia e quant'altro - che oggi (penso ad esempio ad alcuni siti del comune di Milano) è a tutti chiaro che quei siti non si bonificheranno mai!
Ben venga dunque un ruolo diverso del Ministero, come lei ha detto, quale protagonista dello sviluppo del nostro Paese.
Mi pare che lei abbia citato il codice ambientale: da riscrivere, da ripensare e da aggiornare. Esorto anche in questo caso a lavorare insieme e a confrontarci, affinché il codice ambientale sia esattamente


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quello che doveva essere, come dimostra peraltro il lavoro egregio che si è compiuto dal 2001 al 2006.
Apro e chiudo una parentesi: non è un caso che il collega Realacci abbia ricordato che dal 2001 sono iniziati finalmente nel nostro Paese controlli continui e una lotta alle discariche abusive e ai reati ambientali. Ciò è avvenuto proprio grazie al tipo di concezione culturale da lei ha illustrato, che non elimina affatto il ruolo e il protagonismo dello Stato, non impedisce i controlli e la lotta ai reati ambientali.
L'invito, quindi, da parte del nostro gruppo è che la riforma del codice ambientale rappresenti un'occasione propositiva, non lo strumento per aggiungere ulteriori lacci, lacciuoli e impedimenti. Si dica con chiarezza dove si vuole andare, quali sono le norme e le leggi da rispettare, per poi intervenire duramente contro chi le trasgredisce.
Sul tema delle bonifiche ho già fatto qualche accenno.
La preventiva valutazione di impatto ambientale (VIA) è fondamentale, ma anche in questo settore il Ministro Pecoraro Scanio ha rappresentato un modello: la VIA, come tutte le altre valutazioni, era in realtà lo strumento con cui il nostro caro Ministro impediva qualsiasi azione. I colleghi lo sanno meglio di me: basti pensare all'esperienza della Campania, o a numerosi altri esempi.
L'auspicio, signora Ministro, è che si possa lavorare insieme proprio nella linea da lei indicata e che la concezione culturale delineata possa concretizzarsi in un'azione legislativa propositiva e valorizzatrice dell'ambiente come risorsa per lo sviluppo, lavorare cioè per uno degli obiettivi fondamentali del Paese.

GUIDO DUSSIN. Signor Ministro, siamo partiti abbastanza bene, modificando la VIA: un tema importante è stato affrontato concretamente e di ciò la ringrazio.
Lei ci ha parlato di governance. Io dico che su questo tema si gioca la strategia del futuro e buona parte del successo, suo e nostro, in questo importante settore. L'ambiente deve costituire una risorsa: mi pare che lei lo abbia interpretato in questo senso e ciò ci convince, come ci convince ancor più l'affermazione che l'ambiente è sviluppo.
Ben venga, inoltre, la meritocrazia nella fiscalità: chi si comporta bene riceva e chi si comporta male paghi. Chiediamo alle aziende che operano nel settore il rispetto degli standard di certificazione ambientale, nonché la qualificazione complessiva di questo comparto produttivo, magari attraverso qualche forma di sostegno.
Chiediamo un sostegno molto forte al settore della casa, in quanto attraverso di esso passa la sostenibilità e il rinnovamento del «parco abitazioni», anche attraverso misure tipo «rottamazione», che potrebbe rappresentare uno strumento che soddisfa tali esigenze.
Ovviamente, chiediamo anche un sostegno alle aziende che devono produrre con mezzi appropriati. Sotto questo profilo, l'obiettivo da lei indicato di un sistema capace di produrre in Italia i materiali e le tecnologie per lo sviluppo delle fonti di energia rinnovabili, può costituire l'elemento forte che ci fornisce l'opportunità di uno sviluppo sostenibile, passando proprio attraverso il sostegno allo sviluppo. Siamo dunque d'accordo con la sua impostazione di fondo, come siamo d'accordo a mettere la parola fine alla linea del «no tutto».
Come Lega Nord Padania, però, siamo anche d'accordo alla fine della linea del «sì tutto», ad un'impostazione sbagliata che negli anni precedenti abbiamo adottato.
Teniamo molto al tema ambientale. Per quanto riguarda l'attuazione del Protocollo di Kyoto, sottolineo che per il nostro gruppo è importante che si vada ad una riduzione della burocrazia. Il perseguimento degli obiettivi di Kyoto - a nostro avviso - più che della nostra Commissione è forse di competenza della X Commissione. In ogni caso, visto che sussistono difficoltà anche solo per installare pannelli solari, fino ad un certo


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metraggio, anche noi possiamo operare per ridurre gli ostacoli burocratici e per liberare le opportunità.
Abbiamo parlato molto di energia e di rigassificatori. Sul nucleare non ci esprimiamo in questa sede, poiché riteniamo giusto e opportuno aspettare l'esito della discussione presso la X Commissione per poi assumere la nostra posizione e portare il nostro contributo anche al dibattito che si vorrà avviare in questa Commissione.
I rigassificatori possono e devono avere la valutazione di impatto ambientale, in modo tale da offrire garanzie e certezze. Sicuramente, il passaggio al metano ci convince fin da subito.
Concludo con due domande. Vogliamo capire meglio le tematiche e le intenzioni politiche riguardanti la salvaguardia di Venezia e dell'alto adriatico. Si è in presenza di elementi di novità di grande importanza, che a nostro avviso debbono essere tenuti in considerazione. La Commissione, peraltro, è stata sempre molto attenta a queste tematiche. La salvaguardia di quello che è considerato un bene di interesse mondiale è possibile sia attraverso l'impiego di fondi nazionali che dell'Unione europea. Credo che proprio attraverso lo strumento comunitario potremo raccogliere quei fondi che ci permetteranno di continuare nelle varie opere di bonifica e di salvaguardia di quella realtà territoriali.
Staremo inoltre molto attenti alla depurazione di laghi e fiumi, poiché la protezione delle acque ci è molto cara, al pari della difesa del suolo. Abbiamo avuto modo di vedere, nel corso del sopralluogo di qualche giorno fa in Piemonte, quanti soldi dobbiamo spendere perché manca un'adeguata prevenzione.
La sua relazione, in conclusione, ci convince e saremo qui per sostenerla, signora Ministro. Ovviamente, il gruppo della Lega Nord Padania saprà far tesoro dei suoi 60 parlamentari, come già è accaduto in occasione dell'approvazione del decreto-legge sui rifiuti. Il contrasto che in quella occasione si era determinato in aula si è poi risolto grazie all'approvazione di una nostra proposta, e questo è un buon segno perché vuol dire che qualcuno si è alla fine convinto della bontà delle nostre ragioni.
Sono sicuro che se in futuro si continueranno a raccogliere i nostri suggerimenti, magari con maggiore prontezza e capacità di intuizione da parte di tutti, arriveremo sicuramente a una buona intesa e il lavoro sarà molto proficuo.

ALESSIO BONCIANI. Signora Ministro, anch'io apprezzo molto la relazione che ho ascoltato. Un passaggio, in particolare, ha destato il mio interesse: quello relativo alla presenza nel nostro Paese di numerose eccellenze nel settore ambientale.
Queste eccellenze rappresentano una risorsa, così come diventerà una risorsa l'ambiente, se davvero si realizzerà il cambiamento culturale che lei ha auspicato. Per passare a un ambientalismo del fare, però, servono risorse. Per mettere in moto il sistema di incentivi e per utilizzare appieno la leva fiscale, lei dovrà riuscire a liberare risorse all'interno delle attuali allocazioni finanziarie, nonché a garantire un sistema di funzionamento efficiente ed efficace delle politiche ambientali.
Questo è un punto sul quale bisogna porre molta attenzione, soprattutto per quanto concerne il sistema dei controlli ambientali, di cui si è parlato, e di cui parleremo ancora in futuro in questa Commissione. Ne abbiamo parlato in occasione dell'ipotesi, ventilata nel decreto-legge sui rifiuti in Campania, di riordino del sistema agenziale. Forse, però, ci siamo lasciati sviare troppo dal fatto che tale riordino deve rimediare alla sostanziale inefficienza e inefficacia di quello attuale. A mio avviso, infatti, i controlli ambientali non si riescono ad effettuare anche per problemi quantitativi, di volume, per così dire, e non solo per questioni tecnologiche o di capacità scientifica od operativa.
In questo senso, ma anche nel senso di riacquisire la disponibilità di risorse economiche e finanziarie a vantaggio del Ministero, pongo una domanda, oltre che una sollecitazione, al Ministro: occorre verificare la disponibilità a valutare il ricorso al privato, anche in materia di


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controlli ambientali, in una condizione che possa assomigliare un po' a quella del sistema sanitario. Penso dunque ad un sistema di controlli ambientali al cui interno trovi posto anche un privato che lavori in convenzione con il pubblico, con l'auspicio che questa proposta possa trovare spazio già nella discussione, che affronteremo nei prossimi mesi, sul riordino del codice ambientale.
Vedo vantaggi in questa impostazione, anche in termini culturali, poiché essa garantisce l'avanzamento verso una concezione nuova di ambiente, molto più allargata, con una ricaduta positiva su tutti i vari territori interessati da questo tipo di attività economica. Essa diventa un volano in termini di sviluppo e, soprattutto, garantisce un miglioramento in termini tecnologici, di ricerca nonché, come avevo già detto, di risparmio economico.

TOMMASO FOTI. Ringrazio il Ministro Prestigiacomo per la relazione che ha svolto e soprattutto per il taglio culturale che le ha conferito. Ha parlato di ambientalismo liberale, cioè, a mio avviso, dell'unico ambientalismo possibile se si vuole tutelare l'ambiente e non ingessare l'esistente, come è capitato più volte.
Molto brevemente, passo a due considerazioni. La prima è riferita alla questione del nucleare. Non entrerò nel discorso che è stato sviluppato in precedenza, anche perché quello dell'energia e delle fonti alternative è tema di competenza della X Commissione. Tuttavia, ritengo che anche in questa Commissione si debba sviluppare un ragionamento serio.
Il nucleare - lo dice uno che ha votato a favore del nucleare, quando il 90 per cento degli italiani ha votato contro - presuppone alcune scelte coraggiose, come, ad esempio, la realizzazione del deposito nazionale per le scorie.
Penso che il deposito nazionale delle scorie debba essere una iniziativa da riprendere, uscendo dalla polemica politica. Il Ministro Matteoli aveva tentato di farlo, ma non c'è riuscito. Ebbene, la Commissione deve collaborare con il Ministro per raggiungere questo obiettivo, poiché è su di esso che si gioca la prima partita sulla credibilità dell'opzione pro-nucleare.
Sempre per restare sul nucleare, le chiedo, signora Ministro, se sia possibile velocizzare (visto che la commissione VIA dovrebbe essersi pronunciata in senso favorevole) l'adozione del decreto che dovrebbe consentire di avviare il decommissioning della centrale di Caorso.

ALESSANDRO BRATTI. È già iniziato.

TOMMASO FOTI. No: abito in zona e conosco bene la pratica. Per il momento, è stata fatta una serie di dismissioni di alcuni immobili e il trasferimento di alcune barre, ma occorre un decreto...

STEFANIA PRESTIGIACOMO, Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. Mi scusi se la interrompo. La prossima volta, quando verrò per la replica, credo possa essere utile fare un punto preciso sulla VIA, visto che sta per iniziare l'attività della nuova commissione.
Forse in questo caso non ho la risposta pronta per l'onorevole Foti, che però ha ragione quando dice che ci sono tantissime pratiche di VIA positive, le quali, non si sa perché, non sono ancora arrivate alla firma.
Per alcuni procedimenti sono previsti i pareri della regione, degli enti locali e via dicendo. Sto facendo redigere un quadro completo, che depositerò in Commissione, poiché credo che ciascuno sia interessato a sapere a che punto sono i diversi progetti e anche per capire da quale situazione ripartiamo.

TOMMASO FOTI. Mi sembra un ottimo modo per compiere una ricognizione sull'esistente.
Mi permetto di sollevare anche la questione del fiume Po. Due legislature fa svolgemmo un pregevole lavoro, un'indagine conoscitiva che portò anche a individuare uno slogan di grande concretezza: «Il Po fiume d'Europa».
Ebbene, a mio avviso troppe autorità si occupano del Po, creando una serie di incrostazioni che finiscono per impedire


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non soltanto di realizzare i progetti che tutti propagandano ma che rimangono sempre sulla carta, ma anche di avere un coordinamento serio che garantisca ai Ministri interessati di sapere esattamente che cosa succede al Po. L'attuale conflittualità e sovrapposizione di competenze, a mio avviso, deve essere eliminata, se necessario anche con un intervento legislativo che si preoccupi non di chi si va a colpire, ma del sistema di regole che è indispensabile realizzare.
In questo senso, occorre anche una rimeditazione del tema relativo all'estrazione di materiale naturale dai fiumi, che, in teoria, dovrebbe servire soltanto a rinvigorire i fiumi medesimi, ma che in pratica finisce per autorizzare cave anche a centinaia di metri di distanza dai fiumi stessi, con ben altri impatti ambientali. Anche questo potrebbe essere, infatti, uno dei temi di quell'ambientalismo liberale di cui lei ha efficacemente tracciato un ritratto e che potrebbe, ancora di più, sostanziarsi e trovare il nostro voto favorevole.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROBERTO TORTOLI

ALESSANDRO BRATTI. Certamente possiamo cavarcela attribuendo tutte le colpe al precedente ministro. Magari fosse così! Nel senso che se davvero fosse così, sarebbe molto facile risolvere le questioni delle politiche ambientali di questo Paese.
Diciamo allora, piuttosto, che sul versante delle politiche ambientali, il nostro Paese forse non ha, o non ha ancora, quella cultura tipica dei Paesi del nord Europa che oggi ci fa guardare ad essi con grande invidia, per tutta una serie di politiche e di azioni che vengono messe in campo in quella parte del continente.
Non ho alcun motivo per difendere il precedente Ministro, però sarebbe un po' semplicistico cercare di addossare ai 18 mesi di governo del Ministro Pecoraro Scanio tutte le problematiche - da Kyoto al problema dei rifiuti - che questo Paese si trascina dietro da 15-20 anni e che oggi dobbiamo affrontare.
Ciascuno avrà dato il proprio contributo, ma se dobbiamo parlare di «ambientalismo del no», allora devo riportare un esempio. Vengo da una regione dove il centrosinistra ha sempre governato e dove gli impianti sono stati costruiti. Ebbene, vi garantisco che in Emilia-Romagna i più grandi oppositori sono stati coloro che, dal punto di vista politico, sono rappresentati dal centrodestra.
Se vogliamo essere laici, dobbiamo dirci con franchezza che queste sono tematiche che fanno presa sulla paura dei cittadini e che, quindi, vengono utilizzate spesso - dalla destra e dalla sinistra - a seconda delle opportunità politiche del luogo e del momento. Se vogliamo essere seri fino in fondo, dobbiamo riconoscere la verità di questa considerazione.
Se è iniziata una nuova stagione, evidentemente siamo tutti contenti, poiché alcune problematiche riguardano tutti indistintamente, non una determinata parte politica.
Anche la sostenibilità, del resto, non la scopriamo oggi. Nel 1987 si sono svolti due grandi convegni mondiali (a Rio de Janeiro e a Johannesburg) e il tentativo di far dialogare economia e ambiente viene da lontano, non è una novità recente. Il fatto che ancora se ne parli significa che la situazione auspicata non si è avverata, quindi è giustissimo cercare di mettere in atto tutte quelle politiche che possano favorire questo dialogo.
Quando parliamo delle politiche ambientali, dobbiamo tener presente che nel nostro Paese - l'abbiamo detto quando abbiamo parlato dei rifiuti, ma vale anche per altre questioni ambientali - coesistono zone che procedono a velocità diverse.
Abbiamo un pezzo di Paese dove il tema della legalità ambientale, come è stato più volte ricordato, è ancora assolutamente attuale (e quando si parla di legalità ambientale non si deve solo intendere il reato, ma anche il rispetto minimo delle autorizzazioni, cosa di cui parlerò più avanti anche in rapporto alla questione dei controlli).
Esiste poi un altro pezzo di Paese, caratterizzato - per riprendere il ragionamento


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del collega Foti - dall'essere percorso dal Po, per cui parlerei proprio di Pianura padana, in cui abitano 16 milioni di cittadini, viene prodotto il 40 per cento della CO2, si svolge il 35-40 per cento dell'attività industriale e la gran parte dell'attività agricola (metà della quale è irrigua e quindi implica un forte uso d'acqua). Insomma, si tratta di un'area in cui le contraddizioni dello sviluppo tradizionale si manifestano tutte, con regioni variegate anche dal punto di vista del colore politico dell'amministrazione.
Il tema del Po da un lato e la difficoltà di dialogare e operare insieme alle regioni della Pianura padana dall'altro potrebbero essere sicuramente oggetto di un grande progetto e di una grande iniziativa da pare del Ministero dell'ambiente.
L'intervento sulla Pianura padana e il dialogo con le regioni di quella zona, fra l'altro, potrebbero essere intesi come una grande sfida raccolta e un impegno molto importante. Anche il tema della qualità dell'aria, ricordato dal Ministro nella sua illustrazione, è particolarmente grave in quell'area, perché, come sappiamo, essa è racchiusa fra due catene montuose; il traffico è molto intenso; l'insediamento urbanistico è molto elevato, con circa 7-8 ettari al giorno di terreno artificializzato, dal 1975 al 2003. Parliamoci chiaro: si tratta di un'area dove si sono raggiunti livelli di benessere elevatissimi. Però, oggi, di fronte ad una nuova sfida, dobbiamo trovare un meccanismo, un sistema, una proposta di sviluppo sostenibile, che potrebbe essere rivestire un assoluto interesse.
Con riferimento al tema dei controlli, io sono stato fra coloro che sono maggiormente intervenuti criticamente sul «famoso» articolo 7 del decreto-legge sui rifiuti in Campania, che adesso ci ritroviamo proposto in un altro provvedimento d'urgenza. Ritengo che si tratti di un tema assolutamente importante, e spero che ci sia data davvero l'opportunità di confrontarci al riguardo, essendo pienamente convinti della necessità di mettere mano al sistema.
Ricordo che in precedenza ho ricoperto il ruolo di direttore generale presso l'ARPA Emilia-Romagna e ho lavorato quasi un anno, insieme ai colleghi di tutte le altre regioni, anche quelle di centrodestra, per cercare di capire - in un'ottica federalista - come migliorare questa struttura che guida i rapporti tra livello regionale e livello centrale, soprattutto con riferimento ai temi del controllo e dell'informazione.
Personalmente sostengo, infatti, aggiungendo un ulteriore elemento a quanto affermato dal collega Realacci, che avere controlli omogenei su tutto il territorio nazionale significa garantire alle imprese lo stesso trattamento ed evitare di arrivare al dumping industriale.
Guardiamo, infatti, che cosa sta succedendo: certe industrie un po' border line vanno in certi territori e non vanno in altri, perché in questi ultimi sono controllate e verificate. Esistono in questi territori moltissime imprese, di grande qualità, che si autocertificano ambientalmente, sostenendo i relativi oneri. Vi porto alcuni esempi della mia regione, che conosco meglio come Scam per i fertilizzanti, Cerelia per le acque minerali, Hera che gestisce i rifiuti, Granarolo che produce latte - ma ce ne sono altrettante in Lombardia -. Ebbene, queste società spendono soldi, si applicano in politiche di miglioramento ambientale e soggiacciono ad un preciso sistema di controlli. Poi, ci si sposta di cinquecento chilometri e si può fare tutto quel che si vuole. Come si dice da noi sono «becchi e bastonati», perché si impegnano, credono nell'investimento sulla qualità e alla fine vedono che un altro pezzo di Paese di tutto ciò si fa allegramente un baffo!
C'è dunque, sicuramente, la necessità di svolgere su questi temi un ragionamento serio, tenendo anche presente che il concetto del controllo, se seguiamo le indicazioni europee, è andato ben oltre il tema del «comando e controllo». Il metodo dell'autorizzazione integrata ambientale (AIA) è certamente un po'difficile, per noi, da recepire. Ma in realtà, dove è stato adottato, esso ha consentito (sicuramente


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con qualche difficoltà per le imprese) di instaurare un rapporto fiduciario tra imprese e organismo controllore, che è il solo che consente di perseguire l'obiettivo di un miglioramento continuo del sistema. Questa è la filosofia che ci propone l'Europa e anche quella a cui personalmente ritengo si debba tendere.
Onestamente, vedo difficile che i privati possano fare i controlli, in quanto bisognerebbe cambiare tutto l'assetto normativo europeo e nazionale e perché il sistema non potrebbe funzionare in questo modo.
Le autorizzazioni devono essere pubbliche e devono essere rispettate; c'è già adesso un settore nel quale si adotta il metodo degli autocontrolli. Pensate agli inceneritori, che funzionano ormai, al 99 per cento, con autocontrolli, ai quali si aggiungono uno o due controlli fiscali all'anno. Non è vero, dunque, che tutti i giorni qualcuno va a ispezionare, a controllare e a «fare le pulci».
Spero che su questioni di questo tipo ci si possa confrontare, per cercare di trovare soluzioni in grado di andare nella direzione di un sistema di controlli omogeneo che, così come avviene per la sanità, definisca a livello nazionale un minimo comune denominatore valido per tutto il Paese, al quale abbinare una concezione di controllo-informazione, cioè un controllo che, insieme alle imprese, fa migliorare tutto il sistema ambientale.
Credo che questa sia la grande sfida che abbiamo davanti e che possiamo sicuramente vincere, se ci crediamo.
Il tema dell'accettabilità sociale, ricordato dall'onorevole Ghiglia, è importantissimo, al pari di quello delle tecnologie e anche del tema della governance, che il ministro ha prima ricordato, e rimanda alla questione delle relazioni con il sistema degli enti locali e delle regioni.
Questi temi sono stati dapprima evocati in positivo, salvo poi evocare il localismo del «no».
Abbiamo visto, tuttavia, che quando le cose iniziano con una progettualità, con il piede giusto, e si avvia un dialogo interattivo con i livelli istituzionali (a parte i casi estremi di grande emergenza, ai quali purtroppo abbiamo talvolta assistito), si riesce ad arrivare a una soluzione. Dialogare prima sembra che faccia perdere tempo, mentre in realtà ne fa risparmiare tantissimo.
Gli spiragli in Val di Susa, almeno nel metodo, che si sono aperti (come ha dichiarato l'altro giorno il Ministro Matteoli), nascono dall'essere riusciti a dialogare un po' di più con le comunità locali, le quali hanno avanzato richieste ragionevoli, come il potenziamento del trasporto locale pubblico.
Se davvero si vuole instaurare un rapporto di governance, come veniva ricordato, credo che questa sia la strada da percorrere.
Aggiungo solo che anche a me pare che la situazione dell'Adriatico sia molto preoccupante. Ho dato un'occhiata al «decretone» e, in merito al ragionamento di riprendere le attività di prospezione petrolifera, ricordo che la questione è molto delicata e complessa.
Concludo, dicendo che di esperienze positive in giro per il nostro Paese sulle questioni ambientali ce ne sono numerosissime, compresa quella di Torino che ha fatto interventi magnifici con le Olimpiadi.

AGOSTINO GHIGLIA. Su questo, se vuoi, apriamo un dibattito.

ALESSANDRO BRATTI. A Torino in quel periodo tutto è stato fatto da un comitato presieduto da un esponente di centrodestra.
Va benissimo guardare a Friburgo e alla Germania, ma anche nel nostro Paese esistono tantissime esperienze positive sul tema dell'edilizia sostenibile, dei quartieri ecologicamente attrezzati e su tante altre situazioni che devono essere messe in valore.

AGOSTINO GHIGLIA. Ma se ci siamo venduti il palazzo olimpico!

ALESSANDRO BRATTI. Dico semplicemente che, con la delegazione della


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Commissione, ho visto pochi giorni fa a Torino realizzazioni che in altri posti non ho visto! Tutto qui.

CARLO MONAI. Signor presidente, anch'io apprezzo alcune linee illustrate dal Ministro e le accolgo con favore. Tuttavia tengo a sottolineare alcuni aspetti che, dall'esperienza maturata anche in qualità di amministratore regionale, vedo piuttosto problematici.
In particolare, per quanto riguarda il tema delle incentivazioni sulla bioedilizia, che ho visto trattato nella relazione, voglio rappresentare come il panorama nazionale ci presenti ormai una costellazione di interventi legislativi delle varie regioni (Friuli Venezia Giulia, Veneto, Piemonte, Molise e altre), che hanno regolato con linee guida le modalità per accedere ai contributi pubblici, sia per l'edilizia privata che pubblica.
Occorre, forse, una migliore garanzia di uniformità sul territorio nazionale, se si conviene che effettivamente una politica di questo tipo sia funzionale al risparmio energetico, nonché a una migliore gestione del territorio. Mi chiedo, però, come assicurare una tale garanzia, nella logica di non scavalcare le competenze legislative regionali, l'articolo 116 della Costituzione e gli statuti autonomi che, sulla gestione del territorio hanno voce in capitolo, a volte anche escludendo del tutto la competenza statale.
Penso che, da questo punto di vista, sia opportuna una legge quadro o un atto di indirizzo generale e, soprattutto, sia funzionale l'uso della leva fiscale, dal momento che quest'ultima è di pertinenza esclusiva dello Stato e che rispetto ad essa le regioni non hanno possibilità di interferenza. Pertanto, ben vengano tutti quei provvedimenti di fiscalità ecologica che il Ministro ha richiamato e che penso possano essere incentivati in ambiti più ampi di quanto non siano quelli attuali.
Per esempio, stando all'esperienza di altri Paesi europei anche in materia del riciclo dei contenitori, se vi recate a Berlino, trovate che, nel momento in cui qualcuno acquista una bottiglia o una lattina in un supermercato o presso un bar, costui ha l'onere di pagare una cauzione, che poi gli verrà rimborsata nel momento in cui avrà l'avvertenza di restituire il contenitore nei centri di raccolta. Ovviamente si tratta di un'esperienza diffusa, che non ha solo la funzione di riciclo e di risparmio dei contenitori, ma anche una forte valenza di moral suasion di una collettività che, sempre più spesso, assume atteggiamenti di scarsa sensibilità ambientale dalle piccole alle grandi cose.
Gli interventi adottati dal decreto-legge sui rifiuti in Campania e finalizzati ad accrescere la consapevolezza, anche a livello scolastico, di una cultura ambientale del rifiuto domestico e quant'altro, potrebbero forse essere estesi, con più ampia valenza, all'intero territorio nazionale.
In ultimo, se è vero che il Ministro vuole adottare una politica diretta a riconoscere maggiore valenza alla gestione economica dei parchi, che sono una risorsa molto importante per il Paese (certamente sfruttati poco, come ricordava il collega Ghiglia nella vicenda a lui più nota, che è quella dei parchi piemontese dove, a suo dire, crescono gli sterpi piuttosto che i turisti), vorrei segnalarle due atout, due punte di diamante che potrebbero essere individuate nella politica del Governo. Mi riferisco alla partita che si sta aprendo sul Parco delle Dolomiti, candidato non più tardi di cinque mesi fa ad essere inserito nell'elenco dei siti UNESCO che appartengono al patrimonio dell'umanità e che vede già cinque province lavorare insieme con un accordo di programma, nel quale penso che il Ministero dell'ambiente abbia certamente dignità di ruolo e di intervento.
Un'altra punta di diamante potrebbe essere la foresta di Tarvisio, ossia quel complesso di 30 mila ettari, di cui 22 mila di proprietà demaniale, che potrebbe saldarsi con le vicine regioni austriache e slovene, in una logica di sistema internazionale di valorizzazione ambientale che avrebbe forte valenza simbolica, così come è stato ricordato non più tardi di un anno


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fa quando, nel luglio del 2007, in Friuli Venezia Giulia celebrammo il millenario di fondazione di quella foresta.
Ebbene, in quella circostanza l'allora Ministro dell'interno Amato ricordò come proprio la valenza simbolica di un parco che abbracciasse il Parco nazionale del Triglav, già costituito in Slovenia, il vicino comprensorio austriaco e la foresta di Tarvisio, potesse costituire un progetto di foresta europea nel quale il Ministro dell'ambiente potrebbe dare prova della propria abilità programmatoria e di capacità gestionale.

FRANCESCO NUCARA. Ho apprezzato molto la relazione del Ministro, specie sul piano culturale, prima ancora che su quello programmatico, come è giusto che sia in occasione del primo incontro con la Commissione. Lo apprezzo ancora di più se ricordo che, quando venne in audizione, il Ministro precedente ci lesse il programma dell'Unione. Tanto è vero che io dovetti chiedergli, visto che era anche il mio Ministro, se fosse possibile leggere piuttosto il programma del Governo, che era anche il mio Governo.
Dopo l'apprezzamento sincero per l'impostazione culturale che è stata data, devo fare alcune obiezioni sul risparmio energetico di modo che il Ministro, quando vorrà tornare, potrà rispondermi. Ella dice che l'edilizia va cambiata perché, in questo modo, si risparmia sia sull'energia che sul portafoglio. Se, tuttavia, in alcune zone d'Italia dobbiamo fare edilizia in modo da ottenere un risparmio energetico, sul portafoglio non si potrà risparmiare granché. Lei, signora Ministro, è meridionale come me e sa che se nell'area dello Stretto, ad un costo già maggiore delle abitazioni dovuto al fatto che è zona sismica di prima categoria, aggiungiamo i costi di un'edilizia per il risparmio energetico - che peraltro condivido - non possiamo poi affermare che si produrrà un risparmio.
Tutti sanno da tempo - anche i colleghi della Commissione - che sono un nuclearista arciconvinto. Non so come la collega Zamparutti possa dire che anche la Francia ha dipendenza dal petrolio, quando essa produce l'87 per cento dell'energia tramite il nucleare.

ELISABETTA ZAMPARUTTI. La Francia ha una dipendenza dal petrolio superiore alla media europea. Le porto i dati.

FRANCESCO NUCARA. Vorrà dire che gli altri Paesi non hanno alcuna dipendenza! Comunque, la vera dipendenza dal petrolio ce l'ha l'Italia. In ogni caso, io mi auguro che questa dipendenza aumenti e le spiego il perché.
L'edilizia nel Mezzogiorno, specie nelle zone costiere, è senza riscaldamento e aria condizionata. Avendo la zona del Mezzogiorno un reddito di molto inferiore a quello del nord, io mi auguro che il reddito dei meridionali diventi pari a quello dei settentrionali, cosicché anche i meridionali acquisteranno l'aria condizionata, le lavatrici, i frigoriferi e così via. In questo modo, vedrà che avremo bisogno di maggiore energia.

ERMETE REALACCI. La Calabria, come consumi energetici, è già sopra la media nazionale.

FRANCESCO NUCARA. Sarà così, ma nelle case in Calabria, come lei sa bene, non c'è l'aria condizionata e neppure il riscaldamento.
L'Italia, peraltro, finanzia la produzione di energia nucleare all'Europa. Per la realizzazione del Superphénix a Marsiglia entrano anche i soldi degli italiani. Finanziamo il processo tecnologico degli altri Paesi europei e non il nostro. Quindi, credo che il tema dell'energia nucleare, anche per la politica estera del Paese, non possa dipendere soltanto dai Paesi arabi.
Per quanto riguarda il sistema idrico, altra nota dolente del Mezzogiorno, lei sa, signor Ministro, che specie nelle città costiere meridionali l'acqua per usi civili è spesso acqua di falda. Quando le falde si vanno ad esaurire - lei lo sa meglio di me, perché vive anche lei in una città della costa - avviene l'infiltrazione del cuneo


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salino e l'acqua non è più potabile. Il problema è che nel Mezzogiorno non esistono i grandi invasi presenti al nord. Ebbene, come è stato cambiato l'assetto della società in generale (agricoltura, terziario e industria), anche in questo settore dobbiamo cambiare, poiché l'acqua viene utilizzata dall'agricoltura, dall'industria e per usi civili. Ma il problema vero è l'agricoltura, che utilizza la maggior parte dell'acqua. Per il 55-60 per cento l'acqua «buona» continua a venire utilizzata in agricoltura anche perché gli agricoltori quasi non la pagano, perché ha un costo bassissimo.
Probabilmente, se anche lei, come Ministro dell'ambiente, cominciasse ad avviare un processo per favorire lo sviluppo delle biotecnologie in Italia, troveremo che anche le piante idroresistenti potrebbero aiutare a consumare meno acqua in agricoltura. Il problema è il riequilibrio nell'utilizzazione delle risorse idriche tra agricoltura, industria e usi civili.
In ultimo, signora Ministro, lei ha detto che è necessaria la raccolta differenziata e su questo mi pare che siamo tutti d'accordo. Giusto anche quanto sostiene il collega Realacci, cioè che il cittadino che non provvede a fare la raccolta differenziata dovrebbe essere punito. Ma io chiedo anche che si punisca un comune che non attua la raccolta differenziata.
Vivo al centro di Roma e devo percorrere un tragitto di circa trecento metri tenendo in mano una busta dove metto il vetro, una busta dove metto la plastica e una terza busta dove metto i giornali, per fare la raccolta differenziata. Quando arrivo ai contenitori, trovo poi già pieni tutti i cassonetti per la raccolta del vetro, della plastica e della carta. Chiedo allora al collega Realacci se, a quel punto, debba riportare tutto a casa o se debba piuttosto abbandonare il tutto sul marciapiede!
È probabile che anche i comuni debbano attivarsi, perché io cittadino possa contribuire alla raccolta. Quindi, non soltanto il vigile urbano per i cittadini, ma magari - dico a caso - un sergente dell'esercito perché punisca il sindaco.

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE ANGELO ALESSANDRI

ROBERTO TORTOLI. Ho particolarmente apprezzato l'intervento del Ministro, che è stato a trecentosessanta gradi, com'era giusto che fosse, toccando un po' tutti i punti cruciali delle problematiche ambientali nel nostro Paese.
Ho, inoltre, particolarmente apprezzato la volontà di coniugare sempre più strettamente sostenibilità ambientale ed economica, il che, a mio avviso, è un qualcosa di diverso rispetto allo sviluppo sostenibile. In effetti, se si vuole attuare anche nel nostro Paese, come hanno fatto in tanti altri Paesi europei, un corretto governo dell'ambiente, bisogna saper coniugare la sostenibilità ambientale con la sostenibilità economica. Diversamente, non si riuscirebbe a realizzare neanche un concreto governo dell'ambiente.
Vorrei solo sottolineare due o tre punti che lei, signora Ministro, ha toccato, sui quali ritengo importante svolgere una riflessione ulteriore.
Il primo punto è legato al sistema dei controlli. Come lei sa e come è stato accennato anche da tanti colleghi, nel nostro Paese esiste il grosso tema, che spesso dimentichiamo, dei rifiuti pericolosi ex tossico-nocivi. Si tratta di 4,5 milioni di tonnellate prodotte ogni anno, che non sappiamo dove vadano a finire. Ciò rappresenta un grave problema per il nostro Paese, sul quale va posta l'attenzione a tutto campo del Ministero.
Un altro problema da non tralasciare, a cui anche lei ha fatto cenno velocemente, è quello dei trasporti: uno dei temi più complessi per quanto riguarda la qualità dell'aria e le emissioni di CO2.
Il nostro sistema industriale, in qualche modo, rispetta gli obiettivi di Kyoto, mentre il settore nel quale siamo completamente fuori da quegli obiettivi è proprio quello dei trasporti, sui quali va svolta un'attenta analisi, soprattutto per quanto riguarda certe zone del nostro Paese, come ad esempio la pianura padana, che, da questo punto di vista, sono sacrificate.


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Altro tema importante è quello delle bonifiche, che rappresentano una grandissima opportunità per il nostro Paese, a patto che si abbia la capacità di affrontarle nella maniera più corretta possibile. Quello delle bonifiche è un tema difficile e complesso, sul quale però è giusto confrontarsi.
Mi sembra di capire che, grazie anche agli stimoli che il Ministro ha portato in questa Commissione, sia possibile arrivare finalmente a un dibattito sereno, senza rinfacciarsi continuamente e stupidamente le responsabilità. Sappiamo benissimo che i danni che facciamo oggi all'ambiente si vedranno tra vent'anni, così come soltanto dopo un tempo analogo saranno visibili i risultati delle soluzioni migliori che possiamo decidere di adottare oggi.
Occorre, allora, una politica «con la P maiuscola», sia da parte del Ministro, sia da parte del Governo e di tutti gli attori, smettendo di rinfacciarsi responsabilità che, invece, sono condivise.
Se il nostro Paese è arrivato a situazioni di emergenza nel campo dei rifiuti, a situazioni di non soluzione dei problemi ambientali più significativi, ciò vuol dire che la responsabilità è di tutti noi, non di un Governo o di una maggioranza.
Credo che sia arrivato davvero il momento di affrontare i temi ambientali in maniera disincantata, serena e seria come si fa negli altri Paesi.

GABRIELLA MONDELLO. Desidero brevemente esprimere alcune considerazioni che, giungendo nella parte finale del nostro approfondimento, non potranno che risultare ripetitive di quello che è già stato detto.
Conoscendo l'ambiente ormai da molti anni - dal 2001 sono in questa Commissione - devo dire che ho imparato moltissime cose e devo anche dare atto che è una delle Commissioni in cui, tranne qualche momento di differenziazione, si è sempre trovato modo di discutere e di approfondire gli argomenti, avendo veramente a cuore le problematiche del nostro Paese.
Conoscendo la tenacia del Ministro Prestigiacomo e la sua capacità di approfondimento delle tematiche, le rivolgo un'ulteriore preghiera. Essendo il Ministero dell'ambiente uno dei più stimolanti e moderni, le chiedo di compiere uno sforzo di coordinamento nei confronti degli altri ministeri interessati per sviluppare al meglio gli argomenti che sono stati affrontati quest'oggi.
Occorre, infatti, un coordinamento sui temi del nucleare, che sicuramente è uno degli argomenti più all'ordine del giorno, per ciò che tutti i giorni noi vediamo riguardo ai costi dell'energia, così come sul turismo - tasto che mi sembra che nessuno abbia toccato - perché ritengo che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare abbia una valenza straordinaria per tutto ciò che riguarda, ad esempio, la pulizia delle acque del mare, la pulizia delle nostre coste, che sicuramente sono fondamentali. Si tratta di uno degli argomenti che ho affrontato negli scorsi due anni e che avrei molto a cuore che non venisse trascurato, in quanto i numerosi turisti, anche stranieri, che vengono nel nostro Paese, spesso esprimono lamentele sullo stato delle acque e delle nostre coste.
Concludo, dunque, il mio intervento chiedendo al Ministro di compiere uno sforzo e sono convinto che lo farà - per avere frequenti contatti con la Commissione. A quest'ultima raccomando, se possibile, di non affrontare tanti argomenti assieme, bensì di stabilire alcuni filoni tematici, cosicché si possa approfondire realmente ciascuno di essi e arrivare a conclusioni concrete.

ANGELO CERA. Signor Presidente, desidero solo comunicare che, come Gruppo dell'UdC, presenteremo sulla relazione del Ministro un nostro contributo di idee in forma scritta.

CARMEN MOTTA. Signor presidente, vorrei innanzitutto ringraziare il Ministro per questa disponibilità e scusarmi per non essere stata presente all'illustrazione della relazione, ma ero impegnata in


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un'altra Commissione. Tuttavia, ho letto velocemente il documento che ho trovato sicuramente stimolante e interessante. Credo rappresenti davvero un'occasione, per noi tutti, di riflessione e approfondimento.
Signor Ministro, vorrei focalizzare l'attenzione su un elemento che potrà sembrare magari un po' troppo prosaico, ma sul quale penso che, nella sua replica, ci potrà fornire qualche lume.
Per attuare quanto riportato nella sua relazione, per applicare l'ambientalismo liberale, per cambiare la cultura del nostro Paese e per tentare di fare del tema ambientale un tema legato allo sviluppo, che ne sia allo stesso tempo sprone e limite, penso che occorrano risorse certe, dedicate e importanti. Ebbene, non ho trovato traccia - forse ho letto la relazione in maniera disattenta, ma mi riprometto di farlo con maggiore attenzione - né nel DPEF né nel decreto-legge in materia fiscale, di queste importanti risorse che occorrerebbero per fare quello che lei, molto opportunamente, ha illustrato alla Commissione. Senza risorse, ancora una volta, i fatti potrebbero andare in tutt'altra direzione.
A tal riguardo, mi preme inoltre sottolineare (non lo dico per fare polemica) che l'intervento compiuto sull'ICI ha tagliato - vedremo se e in che misura è stato reintegrato - per una parte consistente i fondi per il trasporto pubblico, con una forte ricaduta, io credo, sui temi ambientali, nonché alcune voci riguardanti la tutela e la sicurezza del territorio. Ebbene, ci vuole coerenza. Altrimenti, qui parliamo una lingua mentre altrove se ne parla una diversa. Le chiedo, quindi, signora Ministro di darci rassicurazioni in merito, anche quantificando le sue rassicurazioni.
Con riferimento al nucleare, credo che lei abbia assolutamente ragione quando richiama l'esigenza dell'onestà intellettuale nell'affrontare questo tema. Ma allora è opportuno citare Rubbia. Ho letto un interessantissimo intervento di questo importantissimo scienziato, laddove lui cercava di dialettizzare questo tema domandandosi se fosse opportuno, in Italia, costruire adesso centrali di terza generazione, quando è chiaro che quelle di quarta generazione hanno ancora bisogno di tempo o se, forse, l'essere arrivati in ritardo potrebbe in questo specifico caso aiutarci. Siamo sicuri, aggiungo, che investire fortemente sulla ricerca e prevedere un ulteriore e ancora più forte investimento sulle energie rinnovabili non ci faccia arrivare ad una scelta maggiormente oculata rispetto a quella, che invece comporterà un po' di anni prima che possa essere attuata, di investire su centrali nucleari di terza generazione che, comunque, presentano un grossissimo problema relativo alle scorie.
Si tratta davvero di un tema che pongo con grande voglia di confronto, con desiderio di capire.
Vengo ora al tema dell'ambientalismo del «no» e alla questione del Po. Ho detto che sarei stata brevissima e, pertanto, non le posso illustrare la cartina che ho portato con me. Immaginavo, però, che molti colleghi avrebbero sollevato la questione. È giusto: l'ambientalismo del «no» non porta da nessuna parte, ma in Lombardia, in Veneto e nella stessa Emilia-Romagna, cioè nelle più importanti regioni dove si sono fatti progetti, anche con il passato Governo, per adeguare i territori con infrastrutture importanti, l'ambientalismo del «no» è stato spesso quantomeno bipartisan.
Dico ciò perché il «no» non viene solo da una parte, onorevole Foti. Si tratta veramente di compiere una rivoluzione a trecentosessanta gradi.
Attenuerei, dunque, l'accusa per cui l'ambientalismo del «no» sia venuto solo da una parte politica. Abbiamo avuto sindaci di centrosinistra che si sono trovati di fronte a veri e propri «muri», eretti da forze attualmente al Governo e all'opposizione in quei comuni.
Sono d'accordo con il collega Foti che il Po è il nostro grande fiume, a cui vogliamo bene e che versa in grandissima difficoltà. Bisognerebbe fare un ragionamento, ovviamente senza colpevolizzare nessuno, sul fatto che in questo fiume si scarica di tutto e, a monte, c'è anche il


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grande tema dell'agricoltura. Badate, non sto penalizzando e colpevolizzando il mondo agricolo, ma all'interno del fiume più importante d'Italia effettivamente si scarica ogni tipo di sostanza. Dico semplicemente ai colleghi che se davvero vogliamo farci carico di questo problema, tutti insieme - ed io sono assolutamente disponibile -, è necessario prendere coscienza che esistono interessi economici fortissimi da affrontare.

PRESIDENTE. Nel ringraziare il Ministro Prestigiacomo, dichiaro conclusa la discussione. Considerato che sono previste imminenti votazioni in Assemblea, avverto che il Ministro si riserva di svolgere le proprie considerazioni in replica in una prossima seduta, che potremmo fissare - d'intesa con lo stesso Ministro - per il prossimo mercoledì 9 luglio.
Rinvio il seguito dell'audizione ad altra seduta.

La seduta termina alle 15,55.

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