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Resoconti stenografici delle audizioni

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Commissione VIII
16.
Martedì 3 novembre 2009
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Alessandri Angelo, Presidente ... 3

Audizione del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, Stefania Prestigiacomo, in tema di politiche inerenti i cambiamenti climatici, la difesa del suolo, la gestione del ciclo dei rifiuti nelle aree a rischio di emergenza, la riorganizzazione dell'ISPRA e la revisione del codice ambientale (ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento):

Alessandri Angelo, Presidente ... 3 4 16 18
Libè Mauro (UdC) ... 4
Margiotta Salvatore (PD) ... 3
Prestigiacomo Stefania, Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ... 3 4 16
Realacci Ermete (PD) ... 3 4 16
Tortoli Roberto (PdL) ... 4

ALLEGATO: Relazione consegnata dal Ministro Stefania Prestigiacomo per la parte relativa alle politiche in materia di lotta ai cambiamenti climatici ... 19
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Repubblicani; Regionalisti, Popolari: Misto-RRP.

COMMISSIONE VIII
AMBIENTE, TERRITORIO E LAVORI PUBBLICI

Resoconto stenografico

AUDIZIONE


Seduta di martedì 3 novembre 2009


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE ANGELO ALESSANDRI

La seduta comincia alle 14,35.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso e la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Audizione del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, Stefania Prestigiacomo, in tema di politiche inerenti i cambiamenti climatici, la difesa del suolo, la gestione del ciclo dei rifiuti nelle aree a rischio di emergenza, la riorganizzazione dell'ISPRA e la revisione del codice ambientale.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento, l'audizione del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, Stefania Prestigiacomo, in tema di politiche inerenti i cambiamenti climatici, la difesa del suolo, la gestione del ciclo dei rifiuti nelle aree a rischio di emergenza, la riorganizzazione dell'ISPRA e la revisione del codice ambientale. Do la parola al Ministro Prestigiacomo.

ERMETE REALACCI. Presidente, scusi, chiariamo prima quanto tempo abbiamo a disposizione...

STEFANIA PRESTIGIACOMO, Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. Signor presidente, posso dedicare all'audizione quaranta minuti per affrontare tutti i punti. Ad ogni modo, non possiamo svolgere anche il dibattito, mentre credo intendiate pormi domande.

ERMETE REALACCI. Allora sentiamo solo il Ministro.

SALVATORE MARGIOTTA. Signor presidente, noi avevamo programmato due ore per questa audizione.

STEFANIA PRESTIGIACOMO, Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. No, io avevo programmato un'ora, perché dopo avevo preso degli appuntamenti. Poiché però ho ritardato, consideriamo un'ora da adesso.

ERMETE REALACCI. Se, però, sappiamo quando il Ministro torna, perché l'ultima volta è venuta un anno fa...

STEFANIA PRESTIGIACOMO, Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. Su questo punto, però, colleghi, capisco che abbiate l'esigenza di confrontarvi con il Governo, ma, sebbene non sia stata presente per un anno, qui il Governo è sempre stato presente attraverso il sottosegretario e dovete considerare che la situazione attuale nella quale operiamo è molto diversa rispetto al passato, giacché oggi siamo soltanto un Ministro e un sottosegretario.
Inoltre, l'attività internazionale è intensissima e sarebbe necessario recarsi all'estero tutte le settimane. Il lavoro presso il Ministero è gravoso e gli impegni parlamentari molto numerosi. Noi siamo due persone che lavorano a un ritmo incredibile. Vi preghiamo quindi di considerare anche la difficoltà di operare con un solo


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sottosegretario quando i due rami del Parlamento si riuniscono in contemporanea. Con questo non nego, tuttavia, l'opportunità di essere più presenti in Commissione, anche perché mi avete chiesto di riferire su alcuni punti.
Nel preparare questa relazione, ho sintetizzato al massimo i vari aspetti, laddove sarebbe stato possibile dire di più, anche su numerosi altri argomenti di attualità. In un anno, infatti, abbiamo fatto molto e approfondito numerosi problemi, che è giusto condividere con i parlamentari e con la Commissione attraverso un doveroso confronto, come finora non è avvenuto non per mancanza di rispetto o di attenzione nei vostri riguardi, quanto per la difficoltà di fare quadrare tutti i compiti da svolgere.
Stabiliremo quindi una data, che, trattandosi del seguito di un'audizione, dovrà essere la prossima settimana, quando però abbiamo anche degli appuntamenti internazionali.

PRESIDENTE. L'importante era avere un impegno per la settimana prossima.

ERMETE REALACCI. Scusi presidente, per capirci. Va bene se il Ministro legge la relazione, si sospende l'audizione ed entro una o due settimane torna per aprire il dibattito sulla relazione, mentre non trovo conveniente simulare un dibattito su una relazione...

STEFANIA PRESTIGIACOMO, Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. Va bene, va bene, così avete tempo di approfondirli. Ovviamente a mia volta se vi saranno temi nuovi in occasione della mia replica chiederò di poterli approfondire.

MAURO LIBÈ. Condivido e apprezzo la risposta del Ministro che parla già della prossima settimana, fatto che accogliamo con piacere. La Commissione è però già in difficoltà nei rapporti con le altre Commissioni per i lavori parlamentari, lotta per difendere il Ministero dell'ambiente dalle incursioni di tutti i suoi colleghi di governo, se poi il Ministro dell'ambiente ci viene a dire che la Commissione viene per ultima dopo tutti gli altri impegni, trovo questa affermazione poco rispettosa. La considero uno scivolone, però sia chiaro che noi siamo qui a lavorare per il Ministero dell'ambiente contro le incursioni degli altri ministri.

ROBERTO TORTOLI. Il Ministro non ha detto questo, comunque...

PRESIDENTE. Do la parola al Ministro Prestigiacomo per la relazione.

STEFANIA PRESTIGIACOMO, Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. Grazie presidente. Partirei dalla richiesta di approfondimento sulla questione dei rifiuti in Sicilia, facendo una piccola premessa che riguarda la realtà della raccolta della gestione dei rifiuti a livello nazionale.
La nostra situazione si inquadra in un contesto europeo che si muove a diverse velocità, per cui non è esatto considerare l'Italia come Cenerentola dal punto di vista della gestione del ciclo dei rifiuti. Per molti Paesi dell'Unione europea a 15 come Germania, Danimarca, Svezia, Belgio e Austria lo smaltimento in discarica è inferiore al 10 per cento. Nell'Europa a 25 la discarica resta la via di smaltimento più utilizzata. È in crescita comunque il ricorso all'incenerimento, aumentato del 51 per cento della quota pro capite fra il 1995 e il 2006. Per quanto riguarda il riciclo a livello continentale, siamo al 57 per cento.
In Italia, si registra una stabilizzazione della produzione dei rifiuti, dato incoraggiante, che risale al 2006-2007. Per quanto riguarda la raccolta differenziata, invece, sono gravi gli scompensi tra le varie parti del Paese. Al nord si differenzia il 42 per cento, il sud è molto indietro rispettivamente con il 20 e l'11 per cento. Lo smaltimento in discarica è comunque sceso dal 53 al 46 per cento tra il 2002 e il 2007.
Oggi, una politica efficace in tema di rifiuti deve svilupparsi secondo alcune linee direttrici precise: la realizzazione di


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sistemi adeguati di incentivazione della raccolta differenziata per il recupero della materia e dell'energia, il sostegno alle regioni per l'approvazione dei piani regionali per la gestione del ciclo dei rifiuti, con particolare riferimento alla termovalorizzazione nonché alla previsione di sistemi di monitoraggio e controllo, che assicurino una completa tracciabilità dei flussi di gestione per tutte le tipologie di rifiuti, anche grazie alle misure di semplificazione che stiamo realizzando in attuazione a quanto stabilito dalla legge n. 102 del 2009.
A questo proposito, vi informo che con la recente revisione introdotta dalla legge n. 102 del 2009 è stato finalmente varato il sistema SISTRI, il sistema informatico di controllo della tracciabilità dei rifiuti e siamo veramente a buonissimi livelli. L'obiettivo è la sostituzione per i rifiuti speciali pericolosi e non pericolosi dell'attuale sistema cartaceo fondato sul registro di carico e scarico e sul formulario dei rifiuti e sul modello unico di dichiarazione. I vantaggi per lo Stato saranno molteplici in termini di legalità, di trasparenza, di efficienza, di semplificazione normativa, come fortemente richiesto soprattutto dagli operatori privati, e la novità si tradurrà in una forte riduzione degli attuali oneri per le imprese.
Verranno a breve emanati i provvedimenti attuativi, per la cui predisposizione, vista la complessità della materia, l'amministrazione ha seguito una metodologia di lavoro che ha visto il coinvolgimento di tutte le categorie interessate. Si sono, infatti, susseguiti numerosi incontri con le categorie interessate che inizialmente non avevano compreso bene come questo sistema garantisse una notevole semplificazione grazie alla collaborazione di tutti i soggetti. Devo dire, tuttavia, che le categorie alle quali è stato illustrato il meccanismo del sistema di tracciabilità si sono dichiarate entusiaste, e quindi a breve finalmente entrerà in funzione.
Ai fini di una politica per la corretta gestione dei rifiuti, è anche necessaria la promozione di atteggiamenti responsabili delle imprese e dei cittadini. Siamo molto impegnati sul tema dell'educazione ambientale, che da quest'anno entra anche nelle scuole, all'interno della materia «Cittadinanza», e ci auguriamo che il prossimo anno possa essere una materia ad hoc. Per questo c'è una collaborazione con il Ministero della pubblica istruzione, stiamo predisponendo delle linee guida da dare a tutte le scuole, perché riteniamo che l'educazione ambientale debba partire dalle scuole.
Una corretta politica dei rifiuti deve vedere un'efficiente azione di contrasto al traffico illegale dei rifiuti e alle ecomafie. Come saprete, il Ministero ha sottoscritto un protocollo con la Direzione nazionale antimafia, perché abbiamo riscontrato la necessità di una ciclicità nello scambio delle informazioni tra il Ministero, il NOE, le altre forze di polizia e la Direzione nazionale antimafia.
Spesso, nel corso dei nostri interventi sul territorio ci imbattiamo in notizie, che per avere un seguito concreto devono essere correttamente veicolate tra le varie forze dell'ordine e le istituzioni preposte al contrasto dei citati fenomeni. Riteniamo che la lotta alle ecomafie debba essere una priorità del Governo, per cui è necessario che tutte le istituzioni competenti dialoghino tra loro. Abbiamo istituito un'apposita metodologia di trasferimento delle informazioni, a cadenza trimestrale e semestrale. L'obiettivo prefissato è che pubblicazioni come il famoso Rapporto ecomafia devono emergere dalle istituzioni, giacché anche in considerazione del fatto che, nonostante consideri lodevolissimo il lavoro svolto dalle associazioni ambientaliste, spesso tali associazioni non fanno altro che richiedere dati alle diverse istituzioni per realizzare un proprio lavoro di elaborazione. Viceversa, ritengo che, proprio perché il tema del traffico illegale dei rifiuti è delicato e vede coinvolte feroci organizzazioni criminali, una pubblicazione come il Rapporto ecomafia debba essere un atto istituzionale proprio del Governo e delle istituzioni competenti, un atto ufficiale.
In questa ottica di collaborazione, consideriamo decisiva la condivisione di obiettivi


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di nuova vivibilità tra Governo e istituzioni locali, che devono essere rese partecipi e protagoniste di un disegno nel quale ciascun attore istituzionale mette in gioco la propria capacità di affrontare e risolvere problemi, che coinvolgono anche il destino delle generazioni future.
Nel nostro Paese, da alcuni anni regioni come la Calabria, la Puglia, la Campania e in parte la Sicilia stanno vivendo una situazione di emergenza. In Calabria, la situazione più delicata riguarda la zona di Cosenza. In questa regione esiste un impianto di incenerimento che, però, deve essere potenziato. Il piano dei rifiuti è stato aggiornato di recente e un Commissario sta operando. Si tratta di una situazione delicata, ma, se si riusciranno a realizzare gli investimenti programmati, sarà possibile rientrare in una situazione di normalità.
Per quanto riguarda, invece, la regione Puglia, l'emergenza rifiuti risale al 1994 e si sta lavorando per realizzare il piano dei rifiuti, ma la situazione della Puglia è meno delicata di quella della Calabria.
In Campania si sta operando molto bene. È stato inaugurato ed è ormai funzionante il termovalorizzatore di Acerra, che è stato essenziale, ma si sta procedendo con il programma e il Commissario nazionale è il Sottosegretario Bertolaso.
Per quanto riguarda la situazione della Sicilia, alla quale la Commissione era più interessata. Lo stato di emergenza della regione siciliana nel settore dei rifiuti è stato dichiarato nel gennaio del 1999 a causa dell'inadeguatezza del sistema di smaltimento dei rifiuti urbani vigente nel territorio regionale ed è formalmente cessato nel maggio del 2006, ad eccezione del settore della rottamazione e demolizione dei veicoli fuori uso, per i quali si è protratto fino al 30 settembre 2008. Limitatamente alla Provincia di Palermo, tuttavia, permane lo stato emergenziale, dichiarato con ordinanza del 16 gennaio in materia di rifiuti urbani per il territorio di Palermo e Provincia e che va a scadenza a dicembre del 2009. Questa emergenza è disciplinata dall'ordinanza n. 3737 del 2009 e n. 3786 del giugno del 2009.
A distanza di quasi un anno dalla dichiarazione dello stato di emergenza, la situazione presenta tuttavia ancora gravi fattori di criticità, riconducibili in particolare a problematiche di natura tecnica, legate all'ampliamento della discarica di Bellolampo, che si trova sopra Palermo, e all'individuazione di un sito di stoccaggio provvisorio dei rifiuti urbani, nonché a problematiche di natura economico-gestionale afferenti l'azienda ex municipalizzata AMIA e connesse difficoltà del servizio di raccolta e smaltimento.
Per quanto riguarda le problematiche di natura tecnica, è già stato completato l'ampliamento della quarta vasca della discarica, che consentirà di abbancare i rifiuti fino a gennaio del 2010. Il problema della discarica di Bellolampo è infatti la sua saturazione. È quindi necessario intervenire con una messa in sicurezza dell'esistente, ma anche procedere all'ampliamento della quarta vasca, operazione per la quale il Ministro dell'ambiente sta collaborando con la gestione commissariale del Prefetto di Palermo.
Per quella data saranno completati i lavori della quinta vasca già cominciati, che consentiranno di abbancare i rifiuti per ulteriori 18 mesi. Qui si lotta contro il tempo, perché in Sicilia le discariche sono quasi tutte piene ed essendo fallito il piano di sviluppo per i termovalorizzatori si rischia il collasso.
Sono stati inoltre avviati i primi interventi di messa in sicurezza dell'intera discarica. Recentemente, si sono verificate temporanee chiusure della discarica da parte di AMIA in risposta al rifiuto dei Comuni di pagare il corrispettivo del conferimento, situazione che si è per fortuna, provvisoriamente, risolta grazie all'intervento finanziario della Regione siciliana.
La situazione economico-gestionale di AMIA, a cui è affidato il servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti di Palermo, nonché la gestione della discarica di Bellolampo, è particolarmente preoccupante. La società per la quale la Procura della Repubblica di Palermo ha recentemente chiesto l'amministrazione straordinaria e in subordine il fallimento è in una


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situazione di grave dissesto finanziario. Essa peraltro vanta un credito di circa 39 milioni di euro nei confronti dei comuni e delle società d'ambito.
Già nel mese di giugno 2009 la mancanza di liquidità aveva comportato l'impossibilità per l'azienda di pagare gli stipendi al proprio personale, con conseguenti agitazioni e astensioni dal lavoro da parte di questi ultimi. Conseguentemente, era stata attivata un'unità di crisi presso la Prefettura, che aveva determinato la ripresa del servizio. Permane, tuttavia, una grave situazione di criticità. Allo stato delle cose, dunque, la Sicilia presenta un sistema di gestione dei rifiuti caratterizzato ancora da gravi criticità.
Il piano per la gestione dei rifiuti in Sicilia, adottato nel dicembre del 2002, che prevedeva il passaggio da un sistema basato esclusivamente sullo smaltimento in discarica a un sistema di gestione dei rifiuti integrato, basato su un alto livello di raccolta differenziata a monte e sul trattamento del rifiuti residuo ai fini del recupero energetico mediante termovalorizzazione a valle, risulta in larghissima parte inattuato e tutti gli indicatori testimoniano una situazione del settore che desta fortissime preoccupazioni. In particolare, si rilevano livelli di raccolta differenziata molto bassi, spesso inferiori al 5 per cento, una situazione finanziaria degli ATO molto critica, spesso fallimentare, un'impossibilità di realizzazione di impianti di termovalorizzazione nel breve e medio periodo, la capacità di abbancamento nelle discariche esistenti in via di esaurimento.
In questo quadro fortemente negativo, la Regione ha istituito una Commissione tecnica, che si insedia oggi e che dovrà elaborare entro 45 giorni uno nuovo piano regionale per la gestione dei rifiuti. Esso suddividerà il territorio in soli 9 ambiti ottimali, con una riduzione di due terzi rispetto agli attuali 27 ATO. Oltre a questa riduzione a 9 degli ATO, il nuovo piano dovrà individuare una strategia per la realizzazione degli impianti di termovalorizzazione e per incrementare rapidamente i livelli di raccolta differenziata. È tuttavia indispensabile realizzare nel frattempo nuovi impianti di discarica regolarmente autorizzati o ampliare quelli esistenti, al fine di evitare situazioni di stallo simili a quelle che hanno generato la grave situazione di emergenza in Campania.
Per quanto riguarda i livelli di raccolta differenziata, sebbene siano state avviate in ambito regionale molte iniziative per incentivare la realizzazione degli obiettivi fissati dal Piano, tuttora si registrano risultati non soddisfacenti, poco omogenei e lontani dagli obiettivi fissati al 60 per cento dal Piano regionale. I dati ufficiali del rapporto rifiuti 2008 predisposto dall'ISPRA evidenziano nel 2007 il raggiungimento nella regione siciliana di un tasso di raccolta differenziata pari al 6,1 per cento, che, se conferma un trend di crescita rispetto agli anni precedenti, resta lontano dai valori a tendere e, nell'analisi dei dati di raccolta suddivisi per ATO rivela di nascondere una realtà a macchia di leopardo, in cui quattro autorità hanno superato il 15 per cento, tre autorità sono tra il 10 e il 15 per cento, sette autorità sono tra il 5 e il 10 per cento, le rimanenti tredici sono sotto il 5 per cento.
Analoga disomogeneità si riscontra anche all'interno dei singoli ATO, in cui esistono comuni in cui la raccolta differenziata è del tutto assente ed altri in cui la raccolta differenziata raggiunge percentuali molto al di sopra della media del proprio ambito.
Anche per stimolare un percorso di sviluppo che coinvolga istituzioni e cittadini, entro il 2009 saranno avviati progetti di raccolta differenziata in circa venti comuni della Sicilia anche grazie al sostegno del Ministero dell'ambiente, della Regione e del CONAI. Tra questi progetti, vogliamo segnalare in particolare Palermo differenzia, progetto pilota simile a quello realizzato a Salerno che ha dato ottimi risultati. Per la zona centrale della città di Palermo questo prevede il raggiungimento del 65 per cento di raccolta differenziata. Tale progetto, che in futuro dovrà essere esteso a tutte le città, consiste nel sistema della raccolta porta a porta, quindi della formazione di personale che deve a sua


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volta svolgere un'attività di formazione delle famiglie, e prevede l'eliminazione dei cassonetti dalla strada e la raccolta effettuata da chi gestisce il servizio direttamente all'interno dei condomini e delle case.
Il sistema della termovalorizzazione è legato alla sorte di AMIA, perché, se AMIA dovesse fallire, senza il suo supporto non potremmo andare avanti con questo progetto. Sarebbe forse il minore dei mali rispetto a un fallimento della società, ma è chiaro il progetto può funzionare solo se tutto il sistema funziona.
Anche per quanto riguarda l'attuazione del sistema per il trattamento dei rifiuti a valle della raccolta differenziata, che si basa sulla termovalorizzazione della frazione secca con recupero di energie, si registrano forti ritardi. Infatti, a seguito delle complesse e note vicende che hanno visto anche l'intervento della Corte di giustizia della Comunità europea, a tutt'oggi non sono ancora stati realizzati i quattro impianti di termovalorizzazione previsti dal vigente Piano regionale. L'esito negativo delle gare per gli impianti di termovalorizzazione ha poi impedito e ulteriormente ritardato la realizzazione del sistema di gestione integrata dei rifiuti previsto dal piano.
Questo ritardo comporta un sensibile allungamento del periodo in cui la regione siciliana dovrà fare ricorso esclusivo allo smaltimento in discarica. Stime prodotte dall'Agenzia regionale per i rifiuti e le acque prevedono la necessità di almeno altri sei anni prima che il sistema decolli definitivamente: tre per le eventuali nuove autorizzazioni e tre per la realizzazione degli impianti, lasso di tempo assolutamente inaccettabile, che porterebbe inevitabilmente la Sicilia al collasso ambientale.
Entro due anni e mezzo al massimo, almeno uno degli impianti di termovalorizzazione previsti dovrà entrare in funzione. Ovviamente, il ritardo complessivamente accumulato comporta la necessità di aggiornare la pianificazione, per prevedere nuove discariche da realizzare a norma di legge, idonee a soddisfare il fabbisogno per il periodo necessario al completamento del sistema.
Per quanto riguarda lo smaltimento in discarica, i dati forniti dall'Agenzia evidenziano come in base alla pianificazione regionale delle 13 discariche attualmente operative soltanto sette dovrebbero rimanere aperte in esercizio. Ciò non è possibile, perché tale previsione implicava l'operatività dei termovalorizzatori al 2008.
Preso atto dei ritardi nella realizzazione del sistema integrato di gestione e della necessità di realizzare nuovi impianti di discarica regolarmente autorizzati, appare dunque più che urgente procedere a un aggiornamento degli strumenti di pianificazione, adeguandoli a un quadro ricco di criticità.
Per quanto riguarda la gestione integrata dei rifiuti e la situazione delle autorità d'ambito, l'Agenzia regionale ha condotto un'attività di analisi dei dati gestionali ed economico finanziari delle attività delle singole autorità d'ambito relativamente agli anni 2007 e 2008, dai quali è emerso uno scenario caratterizzato da uno stato di crisi finanziaria, sovente conseguenza di inadempienze contrattuali verificatesi nei rapporti di gestione, che tocca punte di particolare criticità nelle province di Catania, Messina ed Enna.
La mia personale valutazione è che, a fronte di realtà efficienti che stentano a causa delle difficoltà strutturali e finanziarie del sistema, aggravate dalla recente sentenza della Corte costituzionale sulla natura giuridica della tariffa, siano necessari una valutazione attenta e un approccio positivo e di sostegno a chi ha bene operato. Non è invece più tollerabile una sofferenza finanziaria, che si traduce in pessimo servizio, derivante da gestioni clientelari che in molti casi hanno trasformato gli ATO in uffici di collocamento.
Queste considerazioni devono guidarci quando affrontiamo il problema della definizione del modello di gestione. Spesso, di fronte a disservizi con gravissime ripercussioni economiche, si tende a demolire il modello organizzativo e non a


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chiedersi se sia il cattivo uso fatto dalla politica a determinare la crisi di un sistema.
In questo quadro, non va dimenticato che le competenze in materia di rifiuti sono per quanto attiene la gestione del ciclo allocate a livello territoriale e che il compito del Governo per il tramite del Ministero dell'ambiente è quello della vigilanza e della regolazione del sistema. Per onestà, va detto che il Ministero ha storicamente trascurato queste competenze, mentre si tratta di compiti e di funzioni importantissime. Tale assenza ha contribuito al disordine e al moltiplicarsi di realtà disomogenee e talvolta ingestibili.
Questo ruolo assegnato sia all'Osservatorio nazionale sui rifiuti, sia alla Direzione generale competente è sempre stato sottopotenziato sotto il profilo delle risorse e dei mezzi. Oggi, tali funzioni sono oggetto di revisione normativa al Senato, per rispondere con forza all'esigenza ormai ineludibile di colmare quel vuoto.
Ribadisco quindi qui la ferma volontà di invertire questa tendenza. Al Senato, nel provvedimento «salva-infrazioni» abbiamo presentato un emendamento, che punta a modificare le competenze dell'attuale Osservatorio nazionale rifiuti, che abbiamo lasciato operare e non abbiamo voluto riformare, ma appare assolutamente inadeguato. Abbiamo quindi previsto la creazione di una Commissione tipo CoViRI che si occupi di regolazione e di vigilanza in tema di rifiuti e che abbia maggiori poteri per svolgere finalmente il ruolo richiesto da tutti gli operatori e dal mercato, soprattutto quel ruolo di vigilanza che è ormai improcrastinabile.
Quando affermo che è innegabile che il Ministero ha sottovalutato e sempre trascurato questa funzione affermo qualcosa di assolutamente dimostrabile. Purtroppo, numerose funzioni sono state assegnate al Ministero dell'ambiente, però senza i mezzi e le strutture adeguati. Il compito della vigilanza e della regolazione in tema di rifiuti in alcune realtà è in capo ad autorità esterne ai Governi. Ritengo che il Ministero dell'ambiente possa serenamente svolgere questa funzione con l'assunzione di responsabilità, ma per farlo occorre rivedere un Osservatorio che attualmente non è un organo in grado di intervenire sul mercato con i poteri necessari. Questo per quanto riguarda il capitolo più generale dei rifiuti, sul quale credo di avervi fornito tutte le notizie sulla situazione siciliana.
Per quanto riguarda il tema della delega ambientale, nel corso della XIV legislatura la maggioranza aveva promosso un'ampia riforma della normativa in materia ambientale. Era stata approvata la legge 15 dicembre 2004, n. 308, e il Parlamento aveva delegato il Governo a riordinare, coordinare e integrare la legislazione in materia ambientale. In attuazione di tale delega, nell'aprile del 2006, è stato emanato con il decreto legislativo n. 152 il cosiddetto «Codice ambientale», poi emendato da due decreti legislativi correttivi, uno del novembre 2006 e uno del gennaio 2008, oltre che da numerose disposizioni speciali contenute in vari provvedimenti legislativi d'urgenza.
Il decreto legislativo n. 152 del 2006 non ha avuto sinora vita facile sia per motivi di tecnica legislativa, relativi alla sua impostazione originaria, sia per motivi politici, essendo stato emanato alla vigilia delle elezioni dell'aprile 2006, a seguito delle quali si è verificato il cambio di maggioranza di Governo. L'esercizio della delega per le misure correttive e integrative operate nel corso della XV legislatura dal subentrato Esecutivo, con l'emanazione di una serie di decreti legislativi, ha comportato un completo cambio di rotta, che, al di là degli aspetti di merito, ha reso più arduo per gli operatori pubblici e privati orientarsi fra norme progressivamente sempre meno coordinate fra loro.
Nella consapevolezza di ciò, in questa legislatura Governo e Parlamento, essendo ormai scaduto il termine per l'adozione di ulteriori decreti legislativi correttivi o integrativi del decreto legislativo n. 152 del 2006, hanno ritenuto sussistessero motivate ragioni di opportunità per ulteriori modifiche e per il riordino del testo unico


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in materia ambientale, nonché della legislazione in materia ambientale non confluita nel testo unico.
Per tali motivi, l'articolo 12 della legge n. 69 del 2009 ha previsto che il Governo adotti entro il 30 giugno 2010, su proposta del Ministro dell'ambiente, uno o più decreti legislativi recanti disposizioni integrative e correttive dei decreti legislativi già emanati ai sensi dell'articolo 1 della legge n. 308 del 2004. Rimangono allo scopo fermi i princìpi e i criteri direttivi stabiliti dall'originale legge delega, cui se ne sono aggiunti alcuni nuovi in tema di utilizzo delle terre e delle rocce a scavo.
Una volta ottenuta la delega, il Governo non ha perso tempo: a pochi giorni dalla pubblicazione della legge n. 69 del 2009, infatti, abbiamo dato il via ai lavori per esercitarla tempestivamente, assicurandovi l'autorevole partecipazione di insigni esperti del settore. Con decreto ministeriale del 3 luglio del 2009, in particolare, è stato istituito il Comitato di studi presieduto dal professor Carlo Malinconico, con il compito di compiere gli approfondimenti necessari valutando le disposizioni normative in materia ambientale da modificare, integrare o abrogare, e di predisporre schemi di riforma della legislazione attualmente in vigore. Gli illustri componenti del Comitato stanno lavorando con grande intensità per perseguire nei tempi previsti l'obiettivo di armonizzare, aggiornare, semplificare e completare la normativa ambientale.
I settori sui quali il Comitato sta lavorando sono in particolare: il riordino delle procedure per la valutazione di impatto ambientale (parte seconda del codice); la difesa del suolo e tutela delle acque (parte terza); la gestione dei rifiuti e bonifica dei siti inquinati (parte quarta); la tutela dell'aria e la riduzione delle emissioni in atmosfera (parte quinta); la tutela risarcitoria contro i danni all'ambiente (parte sesta).
In riferimento a tali settori, il Comitato di studi sta ultimando la predisposizione di ipotesi specifiche di intervento idonee a consentire, nel rispetto dei termini di esercizio della delega, di pervenire alla definizione di un quadro normativo più completo ed efficace. Naturalmente, avremo cura di coordinare e armonizzare il lavoro di attuazione della delega con le attività di recepimento delle direttive comunitarie nelle quali siamo già impegnati da settimane, alcune delle quali - come la cosiddetta «direttiva rifiuti» - impattano in profondità sul tessuto del codice, senza lasciare al legislatore ampi spazi di scelta.
Si tratta di un punto che merita attenzione. Abbiamo ereditato procedure di infrazione e atti di messa in mora in numero elevatissimo, che rappresentano un forte monito a non ripetere gli errori dei nostri predecessori. Un esempio su tutti è offerto dalla controversa nozione di rifiuto considerata troppo restrittiva dalla Commissione europea. Tale aspetto rientra tra i profili su cui intendiamo intervenire tempestivamente nell'esercizio della delega, in armonia con quanto stabilito dalla nuova direttiva 2008/98/CE.
Assume dunque per noi valore prioritario la piena ed equilibrata attuazione delle direttive comunitarie con l'affermazione dei princìpi di precauzione, correzione e riduzione degli inquinamenti e dei danni ambientali. In questo ambito, un intervento mirato sarà dispiegato anche in chiave repressiva in sede di implementazione della direttiva comunitaria in materia di reati ambientali, ripensando e modulando un'apposita parte dedicata ai cosiddetti «crimini ambientali», in modo da prevedere figure di illeciti penali sufficientemente determinate quanto al precetto, con sufficiente tassatività quanto alla sanzione da erogarsi e con la previsione di sanzioni accessorie che intervengano come efficace deterrente. All'insegna della certezza della regola giuridica, dell'equità e della proporzione della sanzione, intendiamo sviluppare un'efficiente azione di contrasto anche del diffuso fenomeno dell'abbandono incontrollato di rifiuti nell'ambiente.
Nell'opera di riforma del diritto ambientale che ci si accinge a compiere, oltre ai princìpi e ai criteri direttivi fondamentali già individuati dalla norma di delega e a quelli di conformità al diritto comunitario,


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di rispetto del riparto delle attribuzioni territoriali, nonché di compatibilità con il quadro di finanza pubblica, saranno pienamente valorizzati anche i princìpi pure previsti dalla delega, ma in qualche misura sottorappresentati nel testo attuale del decreto legislativo n. 152 del 2006, relativi alla maggiore efficienza e tempestività dei controlli ambientali, allo sviluppo e al coordinamento delle misure che prevedono incentivi per sostenere l'introduzione e l'adozione di tecnologie disponibili, al risparmio e all'efficienza energetica, all'efficienza delle azioni di tutela dell'ambiente e di sviluppo sostenibile.
Rappresenta, inoltre, una ferma priorità per l'azione di governo che intendo sviluppare la semplificazione delle procedure relative agli obblighi di dichiarazione, comunicazione, denuncia o notificazione in materia ambientale, così come l'adozione di strumenti economici volti a incentivare le piccole e medie imprese al ricorso alla certificazione ambientale.
Finora il codice non ha funzionato come sarebbe stato necessario, anche per il ruolo svolto sin dall'inizio di questa legislatura da tanti decreti ministeriali di attuazione mai emanati oppure emanati ma non inviati agli organi di controllo e quindi rimasti improduttivi di effetti. Abbiamo fatto cessare questa situazione e diversi decreti sono stati già emanati. Gli altri, soprattutto quelli da adottare di concerto con altri Ministeri, sono in avanzato stato di definizione, e anche per i decreti che saranno previsti dalle norme di attuazione della nuova delega intendiamo assumere l'impegno di rispettare i tempi previsti dalla legge per la loro adozione.
Sotto il profilo finanziario, infine, l'articolo 2, comma 3, del decreto legislativo n. 152 del 2006 si preoccupa di salvaguardare, in ottemperanza all'articolo 81 della Costituzione, l'equilibrio finanziario, stabilendo che l'attuazione della legge debba avvenire sulla base delle risorse umane, strumentali e finanziarie esistenti, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica. Di qui emerge la nostra preoccupazione, che deve però essere condivisa anche dal Parlamento, di non cadere nell'ipocrisia della logora formula delle riforme a costo zero. Le riforme richiedono infatti coraggio, idee e senso di responsabilità anche nell'allocazione di quelle risorse finanziarie, che la pesante crisi internazionale ha reso ancora più scarse. Ma coraggio e idee da sole non bastano.
Per quanto concerne l'altro punto relativo alla difesa del suolo, non possiamo che partire dal disastro avvenuto poche settimane fa a Messina, ultimo di una lunga serie di tragici eventi, la cui origine è riconducibile a fenomeni di dissesto idrogeologico.
L'indagine di questa autorevole Commissione ha fatto emergere come circa il 10 per cento del territorio nazionale e più dell'80 per cento dei comuni italiani siano interessati da aree di criticità idrogeologica e come negli ultimi cinquanta anni siano stati spesi più di 16 miliardi di euro per far fronte ai danni derivanti dai soli fenomeni alluvionali.
Sotto il profilo istituzionale, riteniamo che gli interventi da intraprendere debbano essere concertati e condivisi con una forte cooperazione interistituzionale tra i diversi soggetti, nel rispetto dei rispettivi ruoli, al fine di rendere sempre più omogenei e diffusi gli interventi di manutenzione territoriale, che devono inserirsi all'interno di una strategia istituzionale di contrasto efficace ed efficiente al fenomeno del dissesto idrogeologico, costantemente ispirata a una visione di insieme e non improvvisata o del tutto decontestualizzata. Tali interventi devono essere accurati e garantire risultati esecutivi attesi.
Oggi, ci troviamo nella situazione a tutti ben nota anche perché questo per anni non è accaduto e ha prevalso una visione disunitaria, nell'ambito della quale nell'individuazione delle priorità su base territoriale l'aspetto strettamente tecnico seguiva a distanza il momento delle scelte squisitamente politiche in senso talora iperlocalistico.
Diffusa cultura fra gli amministratori locali di propensione al contrasto reale dei fenomeni di dissesto idrogeologico, visione strategica su scala ultraprovinciale delle istituzioni chiamate a fare da filtro alle


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richieste provenienti dagli enti territoriali, accuratezza e rigore nelle politiche statali di supporto finanziario degli interventi indicati dal territorio: questi sono gli ingredienti necessari per evitare il ripetersi di tragedie come quella di Messina, ingredienti che oggi mancano e occorre ripristinare senza cullarsi nell'illusione che possa risultare allo scopo sufficiente rimettere in moto il processo a legislazione vigente.
Consideriamo improcrastinabile promuovere un programma straordinario di prevenzione e di manutenzione del territorio, proprio al fine di scongiurare il ripetersi di eventi drammatici come quelli di Messina o di Sarno, e di assicurare la realizzazione efficiente di misure di salvaguardia delle molte aree idrogeologicamente dissestate. È quindi all'esame del Consiglio dei Ministri uno schema di decreto legge, che prevede un sistema coordinato di interventi in coerenza e ad integrazione delle azioni pianificate e programmate in sede di piani stralcio di bacino per l'assetto idrogeologico.
Desidero insistere su questo punto. L'iniziativa è necessaria, perché investire risorse nell'azione di contrasto dei fenomeni di dissesto idrogeologico non basta. Di fronte ai fatti di Messina, pur nell'ambito di risorse finanziarie drasticamente ridotte, il Ministero non ha esitato a mettere a disposizione circa 20 milioni di euro. Occorrono tuttavia gli strumenti di intervento adatti giacché il Paese versa in una situazione di forte criticità.
In considerazione di tutto ciò, lo schema di decreto legge prevede in particolare che il Ministero dell'ambiente predisponga rapidamente un apposito piano nazionale straordinario per il rischio idrogeologico, che consentirebbe in tempi brevissimi di individuare gli interventi più urgenti per le aree a maggiore rischio, in considerazione anche delle proposte delle Regioni, degli enti locali e delle autorità di bacino.
A tal fine, si è proposta l'istituzione di una Commissione tecnica per il rischio idrogeologico, composta da rappresentanti delle amministrazioni centrali e delle autonomie territoriali, che dovrà redigere il piano entro sessanta giorni dal suo insediamento, individuando altresì le strutture destinate a svolgere in seno al programma funzioni di coordinamento, attuazione e vigilanza anche attraverso il ricorso a strutture commissariali.
Lo schema di decreto legge è all'esame del Consiglio dei ministri. Ovviamente, il problema è la copertura finanziaria. Ho verificato che negli ultimi dieci anni mediamente sono stati spesi circa 250 milioni di euro all'anno per il dissesto idrogeologico. Ritengo che con queste cifre non si potrà mettere mano alle reali emergenze a livello nazionale, perché con questi soldi polverizzati ogni anno in mille rivoli spesso non si riesce nemmeno ad avviare le opere necessarie.
Inoltre, il finanziamento di queste opere deve necessariamente essere coordinato con i piani di bacino, quindi con le Regioni, giacché non si può pensare che il Ministero possa erogare direttamente ai comuni questi fondi senza tenere conto dei piani di assetto idrogeologico (PAI).
Tornando alla questione delle risorse da reperire, io ho formulato una richiesta per una cifra ben più consistente di quelle attualmente disponibili, chiedendo al Governo di poter contrarre un mutuo decennale per circa 300 milioni di euro, che ci consenta di mettere subito in campo una cifra intorno ai 2-3 miliardi di euro, in grado di farci avviare e concludere almeno i primi 150-200 interventi urgenti. E si tratterebbe, comunque, di un inizio, perché le esigenze a livello nazionale sono enormemente superiori sul tema del dissesto idrogeologico.
Al momento ho anche bloccato le somme del dissesto idrogeologico di quest'anno, ma non potrò farlo a lungo. Quest'anno, i finanziamenti sono circa 197 milioni di euro, però noi siamo riusciti ad aggiungere altri 50 milioni di euro, per cui anche quest'anno l'intervento sarà di 250 milioni di euro come negli anni precedenti. Quello che chiediamo, quindi, sono 50 milioni di euro in più rispetto all'andamento medio degli ultimi dieci anni, per poterli però fare fruttare di più attraverso


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la sottoscrizione di un mutuo. Esistono precedenti di questo tipo. Siamo in attesa di risposte dal Tesoro. Ma è evidente che con i soldi previsti nella legge finanziaria, che alla voce «difesa del suolo» per il prossimo anno prevede una somma di 50 milioni di euro, è assolutamente impensabile fare una politica contro il dissesto idrogeologico. Sono quindi fiduciosa e in attesa di risposte. Lo schema di decreto legge ha tutti i crismi della necessità e dell'urgenza, ma da tre settimane si attende una risposta e mi auguro che per questa settimana si possa trovare una soluzione con il Tesoro per avviarlo in Consiglio dei Ministri, e poi lo discuteremo nelle Commissioni parlamentari.
Per quanto riguarda le autorità di distretto, le complesse problematiche relative alla governance delle risorse idriche, al dissesto idrogeologico, agli aspetti ambientali e socioeconomici dei bacini idrografici presentano un rilievo parimenti importante nell'intero territorio nazionale e richiedono un'interlocuzione costante tra amministrazione centrale, enti territoriali e autorità di bacino.
Desideriamo per questo che il Ministero dell'ambiente sia di nuovo protagonista della programmazione nella governance delle risorse idriche, ruolo che il Ministero intende assolvere addivenendo a scelte che siano il risultato di un dialogo con i soggetti istituzionali a vario titolo coinvolti. Desidero ricordare in proposito che, a pochi mesi dall'insediamento al Governo, ci siamo fatti carico del problema delle autorità di bacino, istituite nei bacini idrografici di rilievo nazionale dalla legge n. 183 del 1989, che attualmente continuano a operare solo grazie a una disposizione di proroga inserita nel decreto-legge n. 208 del 2008, recante misure straordinarie in materia di risorse idriche e di protezione dell'ambiente.
Non da ora dunque la creazione delle future autorità di distretto e la predisposizione di un modello ottimale di assetto organizzativo dei distretti idrografici rappresentano un obiettivo prioritario della nostra agenda. In particolare, per un'efficace governance istituzionale dei distretti occorre muovere da taluni presupposti fondamentali. Il primo presupposto è dato dalla necessità di semplificazione del sistema di governance istituzionale e contestuale potenziamento del sistema di cooperazione interistituzionale attualmente presente nelle autorità di bacino. Il secondo presupposto è relativo al superamento della distinzione tra autorità di bacino di rilievo nazionale, interregionale e regionale. In questo, però, attendiamo dalle regioni una maggiore collaborazione, perché il problema della nascita dei distretti passa anche da una condivisione da parte delle regioni. Non possiamo, tuttavia, procedere ancora con questo schema che vede suddiviso il territorio, oltre che in autorità nazionali, anche in autorità interregionali e regionali.
Comprendiamo bene che c'è un problema relativo al personale, perché, se la costruzione di un livello distrettuale dovesse rappresentare solo la creazione di un ulteriore livello, che è quello del coordinamento tra i livelli nazionale, regionale e interregionale, avremmo aggiunto soltanto un nuovo ente, mentre dobbiamo tendere alla creazione di un distretto di bacino, che metta insieme le diverse realtà. Senza la collaborazione degli enti locali, però, sarà difficile realizzarlo. Capisco che il trasferimento del personale non possa essere immediato, ma è necessario individuare un percorso al quale tendere, che può essere anche a medio termine ma che deve essere individuato, sottoscritto e condiviso con gli enti locali.
Il terzo presupposto è la creazione di un sistema integrato di governo delle risorse acqua e suolo. Il quarto presupposto è il potenziamento del ruolo tecnico delle autorità con l'attribuzione di maggiori competenze deliberative ai comitati tecnici e conseguente ridimensionamento dei comitati istituzionali permanenti, attraverso lo snellimento della rappresentanza politico-istituzionale. Il quinto presupposto, infine, è il recupero della centralità amministrativa sulla ripartizione annuale dei finanziamenti da erogare.
Per quanto riguarda i piani di gestione dei distretti idrografici, la direttiva in


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materia di acque (2000/60/CE) e il decreto legislativo n. 152 del 2006 hanno previsto che gli obiettivi di qualità ambientale per i corpi idrici superficiali e sotterranei siano perseguiti attraverso l'adozione di un apposito atto di pianificazione strategica, il cosiddetto «Piano di gestione del distretto idrografico», con l'obiettivo di adeguare anche territorialmente i piani di tutela delle acque già predisposti dalle Regioni con integrazioni di dettaglio e approfondimenti tecnico-economici, che opportunamente il piano della direttiva Acque prevede.
Al fine di ottemperare alla scadenza comunitaria del 31 dicembre 2009, il Ministero ha predisposto un atto di indirizzo, che assegna a un comitato composto dalle regioni e dalle autorità di bacino il compito di predisporre, sulla base dei piani di tutela, il piano di gestione a livello distrettuale. La realizzazione del piano di gestione nei termini fissati dalla direttiva, oltre a evitare il rischio di incorrere in procedura di infrazione comunitaria, porrà tempestivamente e finalmente l'Italia in linea con gli standard comunitari in tema di governo delle risorse idriche e dei processi di definizione dell'assetto idrogeologico.
L'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA), posto sotto la vigilanza del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, ricordo che è stato istituito con il decreto-legge n. 112 del 2008 per svolgere funzioni con le inerenti risorse finanziarie, strumentali e di personale già proprie dell'Agenzia per la protezione ambientale, dell'Istituto nazionale per la fauna selvatica, dell'Istituto centrale per la ricerca scientifica e tecnologica applicata al mare. In virtù di tale rinvio, l'ISPRA svolge le attività tecnico-scientifiche di interesse nazionale connesse all'esercizio delle funzioni pubbliche di protezione dell'ambiente già intestate ai tre enti in esso confluiti.
Per quanto attiene alla natura giuridica del nuovo soggetto istituzionale, nel marzo 2009 il Consiglio di Stato ha ritenuto che i soggetti soppressi che confluiscono nel nuovo istituto configurino una nuova soggettività giuridica, riconducibile alla figura dell'ente di ricerca. Tale indirizzo risulta ora espressamente confermato dalla legge n. 99 del 2009, che include espressamente l'ISPRA tra gli enti pubblici di ricerca. In tal modo, abbiamo inteso far cessare una situazione di assoluta incertezza, che si protraeva dannosamente da anni, come dimostra il fitto contenzioso nel frattempo instauratosi, per l'ente e per i qualificati tecnici che in esso operano.
Per quanto riguarda la gestione della fase commissariale, per garantire l'ordinaria amministrazione e lo svolgimento delle attività istituzionali fino all'avvio dell'ISPRA, in conformità con quanto è stato citato dall'articolo 28 del decreto-legge n. 112 del 2008, sono stati nominati un commissario e due subcommissari. Dal suo insediamento avvenuto il 24 luglio del 2008, la struttura commissariale ha garantito la continuità delle attività ordinarie e straordinarie di funzionamento e di gestione, nonché di quelle tecnico-scientifiche di tutti e tre gli enti soppressi, realtà particolarmente eterogenee per le differenti problematiche e culture operative.
Parallelamente, sono state poste in essere le azioni necessarie per assicurare il rilancio del sistema delle agenzie per l'ambiente, che hanno ricevuto ampia condivisione nell'XI Conferenza nazionale tenutasi a Roma lo scorso aprile e che si sono sviluppate anche attraverso una rinnovata operatività del Consiglio federale dell'ente, il cui ruolo di importante momento di raccordo fra le strutture statali e le strutture regionali ha finalmente ricevuto, per impulso di questo Governo, un espresso riconoscimento legislativo nel decreto Abruzzo.
Per quanto riguarda la materia organizzativa, la struttura ha intrapreso sin dall'insediamento un'attività finalizzata alla più approfondita conoscenza delle varie realtà interne agli enti soppressi, procedendo al monitoraggio, alla raccolta e all'esame dei dati concernenti il fabbisogno economico e di personale, al fine di individuare le peculiarità dei singoli enti e conseguentemente sviluppare i più opportuni


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interventi per procedere a una loro più efficace e spedita integrazione, con l'obiettivo di snellire le strutture.
Nell'ambito del processo di avvio dell'ISPRA sotto la gestione commissariale, si è dunque intrapresa l'unificazione della gestione di numerosi servizi di supporto. Particolarmente complessa è stata la gestione delle questioni afferenti il personale dei tre enti soppressi. I commissari hanno provveduto alla definizione della dotazione organica del nuovo istituto e del conseguente fabbisogno triennale di personale, per attivare i coerenti piani occupazionali. Queste azioni sono state poste in essere al fine di assicurare all'Istituto un'adeguata dotazione di risorse umane sotto il profilo sia di una migliore distribuzione interna, sia di una maggiore rispondenza dei profili alle attività assegnate dalle varie strutture.
In questo quadro si inseriscono anche le procedure concorsuali, di cui all'articolo n. 3 del decreto legge n. 208 del 2008, ormai in corso di svolgimento nell'ambito dell'organizzazione, nelle quali si è prestata attenzione nei limiti consentiti dalla legge anche al tema del qualificato personale precario in servizio presso gli enti soppressi.
Una volta completata la prima fase tesa all'approfondimento delle peculiarità e delle criticità dei tre enti confluiti in ISPRA, in raccordo con la struttura commissariale, il Ministero ha posto in essere le attività tese a fornire gli strumenti per la piena operatività del nuovo istituto. Per quanto concerne in particolare il suo regolamento di organizzazione, la norma istitutiva ha previsto che con decreto interministeriale siano determinati, in coerenza con obiettivi di funzionalità, efficienza ed economicità, gli organi di amministrazione e controllo, la sede, le modalità di costituzione e di funzionamento, le procedure per la definizione e l'attuazione dei programmi, per l'assunzione e per l'utilizzo del personale nel rispetto del contratto collettivo nazionale di lavoro, del comparto degli enti di ricerca e della normativa vigente, nonché per l'erogazione delle risorse dell'ISPRA.
La medesima norma ha altresì previsto che in sede di definizione di tale decreto si debba tenere conto dei risparmi derivanti dalla riduzione degli organi di amministrazione e controllo degli enti soppressi, dalla razionalizzazione delle funzioni amministrative e dal conseguente minore fabbisogno di risorse strumentali e logistiche.
All'esito di un accurato lavoro preparatorio, una volta acquisito il prescritto concerto del Ministero dell'economia, in raccordo con i vertici commissariali, il Ministero ha provveduto a informare le organizzazioni sindacali sul percorso formativo del testo del decreto, il cui schema è stato inoltrato al Consiglio di Stato lo scorso 20 settembre 2009. Non appena acquisito il parere del Consiglio di Stato, il provvedimento sarà trasmesso a questa Commissione e a quella del Senato per l'esame di competenza. Nel frattempo, sulla base dello schema di decreto all'esame del Consiglio di Stato, stiamo già lavorando in raccordo con la struttura commissariale alla redazione di una bozza dello Statuto, con l'intendimento di completare l'entrata a regime dell'intera nuova architettura normativa dell'ente entro la scadenza del mandato commissariale prevista per il 31 dicembre 2009.
La natura dell'istituto quale ente di ricerca riassume l'auspicio e l'ambizione dell'intero disegno di riorganizzazione: coniugare ricerca applicata e controlli, allo scopo di creare un riferimento istituzionale autorevole sia in Italia che all'estero in materia ambientale. Questa prospettiva non può non avere ricadute dirette sugli assetti organizzativi del nuovo ente. L'organizzazione degli uffici non deve rispondere a una logica di riproduzione speculare dell'organizzazione del Ministero, altrimenti avremmo solo duplicato l'assetto della ex APAT rispetto al Ministero come appunto era in passato, mentre è invece necessario individuare le macroaree che sintetizzano elevate competenze tecnico-scientifiche ed efficienti modelli organizzativi e amministrativi.


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L'ISPRA potrà così divenire lo strumento cardine attraverso cui il Ministero vigilante renderà effettive le politiche nazionali sull'ambiente.

PRESIDENTE. Signor Ministro, vorrei fare una proposta se lei è d'accordo: rinviare alla prossima seduta la relazione sui cambiamenti climatici e lasciare spazio adesso alle domande dei deputati...

ERMETE REALACCI. No, presidente, vorrei, invece, chiedere al Ministro di consegnarci la parte relativa a questo punto.

STEFANIA PRESTIGIACOMO, Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. Vi lascio la relazione anche sui cambiamenti climatici, che è molto dettagliata e abbastanza lunga. Posso dire però che nell'ultimo anno il negoziato internazionale ha visto fasi piuttosto negative, ma anche momenti di slancio. Ci deve inorgoglire come Paese la constatazione di come dal G8 dell'Aquila che si è tenuto a luglio, dopo il G8 ambiente che si era tenuto a Siracusa, il negoziato abbia preso un nuovo slancio, che, come posso confermare sul piano politico, si è manifestato durante l'assemblea generale dell'ONU sullo sviluppo sostenibile, che si è tenuta a settembre di quest'anno, nella quale i Capi di Stato e i Presidenti dei Paesi più importanti hanno pronunciato parole molto incoraggianti e impegnative.
Non sempre questi auspici di natura politica si sono immediatamente tradotti nel negoziato, però ci sono speranze di arrivare a un accordo quadro a dicembre, di cui poi venga rinviata la definizione di tutti gli aspetti giuridici. Possiamo essere ottimisti.
Il Consiglio europeo riunitosi pochi giorni fa e ha stabilito la posizione europea e ha dato mandato ai negoziatori che saranno i Ministri dell'ambiente, anche se forse ci sarà una sessione, perché la presidenza svedese sta spingendo molto affinché vi sia la partecipazione anche dei Capi di Stato e di Governo. Questo dipenderà dall'evoluzione del negoziato, laddove, se ci saranno i presupposti per un accordo, avremo la presenza dei Capi di Stato, altrimenti no.
Attualmente, peraltro, le posizioni sono abbastanza chiare. L'Europa ha messo sul tavolo la possibilità di ridurre le emissioni fino al 95 per cento entro il 2050, ma ovviamente ha vincolato tutto ciò al raggiungimento di un accordo globale. Resta aperto il tema del finanziamento. Nella relazione vi ho indicato gli scenari attuali. L'Europa ha effettuato una stima, considerata addirittura insufficiente da altri Paesi, che si aggira intorno a una spesa di 100 miliardi mondiali all'anno per raggiungere gli obiettivi al 2050, mentre altri Paesi parlano di 350 miliardi all'anno.
Resta aperto questo capitolo delle risorse, che è strettamente legato alla necessità di una nuova governance di questi fondi, perché c'è un problema di necessità di trasparenza e di efficacia nella gestione di risorse così ingenti. Nella relazione vi accenno anche al lavoro che l'Italia sta effettuando o non effettuando per raggiungere i precedenti obiettivi di Kyoto e del pacchetto 20-20-20.
Molte iniziative sono in campo, soprattutto a carico del mondo privato. Abbiamo sottoscritto il Patto per l'ambiente, che evidenzia la presenza di investimenti del mondo privato per miliardi di euro nei prossimi tre anni, molti dei quali derivano dallo straordinario lavoro della Commissione AIA, perché nelle 70 autorizzazioni integrate ambientali sono previste obbligatoriamente ambientalizzazioni di impianti, che attualmente hanno consistenti emissioni.
Nella relazione ho accennato anche alla questione relativa al problema dell'Italia rispetto ai permessi di emissioni dei cosiddetti «nuovi entranti». A livello europeo, infatti, abbiamo negoziato una quota di emissioni annue, che interessano gli impianti industriali esistenti - non sono gli obiettivi di Kyoto, che sono fatti anche da altri emettitori, ma sono solo impianti industriali - e una quota riservata ai nuovi entranti, cioè alle nuove attività che devono entrare in esercizio. Purtroppo, nonostante le stime tecniche del Ministero


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dell'ambiente di allora e del Ministero dello sviluppo economico, in sede europea è stata negoziata una quota assolutamente insufficiente, che necessita di un'integrazione di almeno il 30 per cento.
Nell'accordo siglato in sede europea è stata tuttavia prevista una clausola, che prevede la possibilità per il Governo di coprire la differenza attraverso l'acquisto sul mercato di nuovi permessi. Questo ci pone in una situazione drammatica, perché abbiamo contabilizzato in circa 800 milioni di euro il valore dei permessi da acquistare eventualmente sul mercato europeo.
A parte l'assenza di queste risorse, ci sconforta molto l'ipotesi di dover spendere circa 1 miliardo di euro per acquisire permessi di emissioni in Paesi come la Germania o la Polonia, che ha una rilevante quantità di permessi di emissione grazie non già a interventi virtuosi in campo ambientale, ma alla chiusura di numerose industrie.
Questo problema è stato posto a livello europeo dal Presidente Berlusconi attraverso una lettera inviata al Presidente Barroso, mentre io l'ho posto al Commissario europeo per l'ambiente, ma non abbiamo ottenuto l'attenzione necessaria. Confidiamo dunque nella nuova Commissione europea, perché pur rilevando la presenza di problemi giuridici, questo è un problema non solo italiano, che riguarda anche altri Paesi. Questa Unione deve quindi farsi carico di problemi che purtroppo derivano da un'errata valutazione del precedente Governo. In una fase di crisi economica, infatti, non possiamo impedire a nuovi impianti di entrare in funzione perché non abbiamo i permessi di emissione, né possiamo ricorrere al mercato europeo dei permessi di emissione, perché questo significherebbe investire non nella riduzione delle emissioni, come doverosamente il Governo deve fare, ma nell'acquisto di nuovi permessi.
Deve essere effettuata anche una valutazione molto cauta e attenta sulle quote in eccesso, attualmente detenute da alcune importanti industrie italiane. A causa della crisi, infatti, molti impianti sono stati chiusi, per cui molti permessi già in possesso di alcune industrie italiane potrebbero essere venduti sul mercato e il Governo dovrebbe acquistare nuove quote. Questo è un enorme problema che abbiamo dietro l'angolo.
Abbiamo anche problemi relativi all'avvio del fondo di Kyoto. Nel mese di giugno abbiamo trasmesso al Ministero dello sviluppo economico e al Ministero dell'economia gli schemi di decreti che mettono in moto il fondo rotativo di Kyoto, come sapete si tratta di provvedimenti per 600 milioni di euro che dovrebbero muovere investimenti per oltre 3 miliardi di euro. Sollecitiamo continuamente la firma di questi decreti, che però credo si trovino ancora al Ministero dello sviluppo economico. Anche lo schema di decreto sulla mobilità sostenibile e sullo sviluppo sostenibile, che muove 40 milioni di euro, è fermo da molte settimane sul tavolo del Ministro dell'economia.
Avevamo avviato l'istituzione del registro delle quote di carbonio, ma il fondo di 10 milioni di euro è stato tagliato. Abbiamo sopperito con altre risorse che abbiamo spostato da altri capitoli, ma la possibilità che ci è stata riconosciuta di contabilizzare quote di assorbimento di CO2 da parte del nostro patrimonio forestale, che è consistente, perché si tratta di 10 milioni di tonnellate che noi possiamo compensare, potrebbe risultare inutile se non viene attivato il registro e non vengono assicurate risorse ordinarie a questa struttura che dovrebbe aggiornarlo.
Noi abbiamo da una parte molti investimenti, perché sappiamo che gli obiettivi di Kyoto e quelli più ampi della riduzione delle emissioni di CO2 non possono essere basati esclusivamente su fondi pubblici. Rileviamo un forte interesse del nostro mondo privato verso la green economy, quindi interventi interessanti. Dopo la sottoscrizione del primo patto, abbiamo avuto molte altre richieste, quindi c'è la voglia di vincolarsi a realizzare nel prossimo triennio investimenti verdi, dimostrando come le imprese trovino conveniente investire in questo settore, quindi senza risorse pubbliche, nell'intento di


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stabilire un diverso rapporto di dialogo tra chi deve rappresentare la tutela dell'ambiente e il mondo produttivo. Questo induce a fare una valutazione diversa della realtà italiana, che a livello europea sembra sempre essere ultima in campo ambientale, mentre abbiamo un'economia verde interessante almeno quanto quella di altri Paesi, che invece appaiono più virtuosi.
È urgente però mettere in moto tutti i meccanismi statali attualmente esistenti, che devono essere anche garantiti per i prossimi decenni, giacché l'obiettivo al quale dovremo tendere se ci sarà accordo a Copenaghen è un impegno al 2050, che deve però vedere da subito investimenti anno per anno. Confido nello sblocco del fondo di Kyoto a breve, ma dobbiamo pensare a come rifinanziare il fondo di Kyoto almeno nei prossimi tre anni, come previsto dalla nostra legge finanziaria di bilancio.
A questo punto, stabiliremo a quando riaggiornarci. Ovviamente, se potrò replicare ai vostri interventi, lo farò in diretta. Qualora, invece, voleste avere informazioni più di dettaglio, mi riserverò anch'io di tornare successivamente per la replica. Tuttavia, ritengo che, se i vostri interventi saranno orientati ai temi trattati dalla relazione, non ci saranno problemi.

PRESIDENTE. Nel ringraziare il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, Stefania Prestigiacomo, autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna della parte della relazione del Ministro relativa alle politiche in materia di lotta ai cambiamenti climatici (vedi allegato).
Rinvio, quindi, il seguito dell'audizione ad altra seduta, fermo restando che il Ministro, in base ai propri impegni, indicherà una data, fra martedì 10 e mercoledì 11 novembre, per il prosieguo dell'audizione.

La seduta termina alle 15,50.


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ALLEGATO

5. Riduzione delle emissioni e cambiamenti climatici in vista del vertice di Copenahagen.

Introduzione.

Mancano ormai poche settimane all'atteso appuntamento di Copenaghen e si susseguono incontri a tutti i livelli e le diplomazie di tutto il mondo sono a lavoro per tentare, nel rush finale, di definire un accordo sul quale sono alte le aspettative dell'opinione pubblica mondiale.
È stato un anno molto complesso questo per il negoziato e se i primi mesi sono stati caratterizzati da chiusure nette da parte dei paesi cosiddetti emergenti Cina, India e Brasile e da poca chiarezza al di là dei proclami pubblici da parte degli Stati Uniti, progressivamente le posizioni si sono ammorbidite e con il G8 Ambiente di Siracusa prima e dell'Aquila poi abbiamo visto segnali nuovi che hanno riaperto alla possibilità di una intesa. A luglio i Capi di Stato e di governo riuniti a l'Aquila nel Mef e nel G8 hanno concordato sulla necessità di contenere l'aumento della temperatura entro i 2 Gradi entro il 2050 e a tal fine di ridurre le emissioni dell'80 per cento se i paesi in via di sviluppo assumeranno anche loro impegni di riduzioni.
A settembre l'assemblea Generale dell'Onu sullo sviluppo sostenibile ha dedicato una apposita sessione al tema del clima. Io credo che sul piano politico quel giorno a New York si è riaccesa la speranza di riuscire a sottoscrivere un accordo di storica portata.
Da Obama al Hu Jintao al nuovo premier giapponese al presidente Lula, da Sarkozy a Berlusconi che ha valorizzato il risultato dell'Aquila, da tutti i premier, sono venute parole impegnative che non potranno essere disattese e che sono destinate a pesare positivamente nelle ultime settimane di negoziato, pur nelle difficoltà che permangono.

Le questioni negoziali aperte.

Ad oggi i paesi sviluppati, pur concordando con un obiettivo di riduzione delle proprie emissioni compreso tra l'80 per cento e il 95 per cento, non riconoscono un anno base comune (il 1990 per la UE) e non sono in grado di definire un obiettivo intermedio (2020) giuridicamente vincolante: né il Giappone, che pure si è dichiarato disponibile a considerare un impegno del 25 per cento senza tuttavia chiarire la scelta definitiva dell'anno base e le procedure di approvazione dell'impegno; né gli USA che hanno difficoltà sia sull'anno base che in merito alla procedura di approvazione dell'impegno da parte del Parlamento (Senato).


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Dal canto loro, i maggiori Paesi in via di sviluppo, a cominciare da Brasile, Cina, India, non intendono assumere impegni vincolanti nel medio periodo, non ritengono che le proprie eventuali misure nazionali debbano essere sottoposte ad un meccanismo di verifica internazionale ed hanno difficoltà ad accettare un obiettivo al 2050 (- 50 per cento).
In generale, non sono stati ancora definiti criteri condivisi per valutare la «comparabilità» degli impegni di riduzione che saranno adottati da gruppi di paesi diversi e con modalità differenti l'uno dall'altro. Inoltre, mentre la UE e i maggiori Paesi in via di sviluppo preferiscono per il post 2012 un'architettura simile al protocollo di Kyoto, USA e Canada hanno difficoltà ad accettare un trattato internazionale che vincoli le politiche interne, in particolare in materia energetica, e che non preveda obblighi comparabili con le economie emergenti di Brasile, Cina, India, Messico.

Gli aspetti finanziari e la governance.

La questione finanziaria è al centro del negoziato per Copenaghen. È infatti necessario aumentare in modo graduale ma significativo i flussi supplementari di finanziamento pubblici e privati per aiutare i paesi in via di sviluppo ad attuare strategie ambiziose di mitigazione e adattamento.
Sulla base della stima della Commissione, il costo incrementale netto totale della mitigazione e dell'adattamento nei paesi in via di sviluppo potrebbe ammontare a circa 100 miliardi euro/anno fino al 2020, da sostenere mediante la combinazione delle azioni nazionali dei singoli paesi, i finanziamenti pubblici internazionali e il mercato internazionale del carbonio.
Il finanziamento pubblico per il clima dovrà essere aggiuntivo a quello per la lotta contro la povertà e la promozione dello sviluppo sostenibile, specialmente nei paesi più poveri e vulnerabili.
Il finanziamento pubblico internazionale dovrebbe essere anche diretto all'assistenza per l'adattamento ai cambiamenti climatici nei paesi in via di sviluppo, in particolare in quelli più poveri e vulnerabili dotati di capacità nazionali limitate, sulla base di piani nazionali, valorizzando le possibili sinergie con altre forme di assistenza ai paesi in via di sviluppo.
Tutti i paesi, con l'eccezione di quelli meno avanzati, dovrebbero contribuire al finanziamento pubblico internazionale secondo un criterio di ripartizione globale e completo, basato sui livelli di emissione e sul PIL, per rispecchiare sia la responsabilità nelle emissioni globali sia la capacità contributiva.
Il livello totale del sostegno pubblico internazionale per il clima è stimato attorno ai 22-50 miliardi euro/anno entro il 2020: questa «forchetta» sarà ridotta prima del vertice di Copenaghen.
La UE è disposta ad assumersi la sua parte dello sforzo.
I paesi emergenti e quelli in via di sviluppo considerano non adeguata la stima della Commissione Europea in merito ai fabbisogni finanziari: il «gap», secondo le diverse valutazioni, è compreso tra 350 miliardi euro/anno e oltre 1000 miliardi euro/anno.


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La possibilità che partecipino ai finanziamenti anche le economie emergenti, nonostante che questa fosse la proposta del Messico, è ancora controversa e in gran parte legata all'entità del finanziamento annuale ed alla governance.
È in ogni caso ancora oggetto di discussione il criterio per la ripartizione degli impegni di contribuzione basato su PIL ed emissioni.
Tuttavia, un quadro istituzionale di governance efficace ed efficiente deve essere elaborato in anticipo sui finanziamenti, e a questo fine la UE appoggia l'istituzione di un forum/organismo di alto livello, sotto la guida della Convenzione sui cambiamenti climatici (UNFCCC).

Sull'attuazione del protocollo di Kyoto - l'impegno del Governo.

Il Governo Berlusconi ha ricostituito la Commissione interministeriale del CIPE per aggiornare il quadro di riferimento delle politiche e misure di riduzione delle emissioni fino al 2020. È prevedibile che il rapporto finale della Commissione sia approvato entro marzo 2010. Nel frattempo, il Paese non è rimasto fermo, anche se si riscontrano difficoltà non da poco nella attuazione di programmi già individuati e finanziati di cui dopo accennerò.
Primo gli investimenti nel settore dell'efficienza energetica stanno crescendo sempre di più stimolati tra l'altro da iniziative quali il Patto per l'ambiente; l'attività della Commissione Aia che ha rilasciato ben 70 autorizzazioni integrate ambientali che significano ambientalizzazioni di impianti esistenti che emettono CO2; dai tanti interventi sull'efficienza energetica degli edifici incentivati con benefici fiscali.
C'è però da segnalare che una iniziativa importante come l'istituzione del Registro Nazionale dei serbatoi di carbonio, essenziale per contabilizzare l'assorbimento del carbonio dalle foreste, per quanto finanziato dalla LF 2008, non è ancora partito perché nel frattempo i fondi stanziati (10 milioni euro) sono stati cancellati. Il Ministero ha coperto in parte i costi utilizzando le risorse ordinarie del proprio bilancio, ma è necessario un finanziamento stabile nel tempo, perché il registro è una infrastruttura necessaria per certificare annualmente le emissioni equivalenti di CO2 ridotte attraverso l'assorbimento forestale: al momento si stima che il controvalore economico degli assorbimenti di carbonio sia pari a circa 150 milioni euro/anno, ovvero ad un risparmio equivalente per le finanze pubbliche;
Analoghe difficoltà incontra il Fondo rotativo di Kyoto, istituito dalla LF 2008, che con 600 milioni di euro può finanziare investimenti nelle fonti rinnovabili e nell'efficienza energetica per oltre 3 miliardi di euro, ma, nonostante il Ministero dell'Ambiente abbia firmato il decreto nel giugno del 2009, non è ancora concluso l'iter presso gli altri Ministeri competenti.
Segnaliamo inoltre il problema delle quote di emissione CO2 per gli impianti nuovi entranti. In ambito europeo è aperta la problematica delle quote di emissione di CO2 per gli impianti «nuovi entranti» dell'Italia e di altri Stati Membri.
Le quote disponibili sono inferiori alle necessità e, nonostante la crisi delle produzioni industriali, mancano 56 Mt CO2 per i nuovi impianti che sono entrati in funzione o entreranno in funzione nel


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2009 e fino al 2012, di cui l'80 per cento centrali termoelettriche strategiche per la sicurezza energetica del paese. Questi impianti hanno livelli di efficienza e performance ambientali superiori alla media europea, e pertanto la mancanza di quote penalizza gli investimenti già effettuati nelle migliori tecnologie in aperto contrasto con gli obiettivi della direttiva europea.
Per effetto delle modalità di applicazione di detta direttiva, l'Italia dovrebbe acquistare le quote di emissione dalle imprese europee che ne hanno disponibilità. Tale disponibilità non è però, di per se stessa, il risultato di investimenti in nuove tecnologie, ma deriva principalmente da eccessi di quote assegnate dai rispettivi PNA, evidentemente meno stringenti di quello italiano. In definitiva: al costo elevatissimo per l'acquisto delle quote non corrisponderanno vantaggi ambientali, ma distorsioni nel mercato interno europeo che non hanno nulla a che vedere con la riduzione delle emissioni.
Per queste ragioni il Presidente del Consiglio, lo scorso 16 settembre, ha richiesto al Presidente Barroso di assumere un'iniziativa per evitare costi inutili e ricercare una soluzione che abbia l'obiettivo primario della protezione dell'ambiente. Fino ad oggi la Commissione Europea si è trincerata dietro motivazioni giuridico-formali senza fornire risposte nel merito della richiesta italiana.
Sul punto, l'Italia ha già confermato di non voler destinare all'acquisto di quote sul mercato europeo risorse pubbliche che sarebbe invece necessario destinare ad investimenti per l'innovazione tecnologica e la riduzione delle emissioni.

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