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Resoconti stenografici delle audizioni

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Commissione XII
18.
Martedì 13 dicembre 2011
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Palumbo Giuseppe, Presidente ... 2

Seguito dell'audizione del Ministro della salute, Renato Balduzzi, sulle linee programmatiche del Governo in materia sanitaria (ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento):

Palumbo Giuseppe, Presidente ... 2 14 20
Argentin Ileana (PD) ... 6
Balduzzi Renato, Ministro della salute ... 15 19
Bossa Luisa (PD) ... 14
Burtone Giovanni Mario Salvino (PD) ... 3
D'Anna Vincenzo (PT) ... 19
D'Incecco Vittoria (PD) ... 14
De Nichilo Rizzoli Melania (PdL) ... 12
Farina Coscioni Maria Antonietta (PD) ... 6
Grassi Gero (PD) ... 5
Mancuso Gianni (PdL) ... 2
Mosella Donato Renato (Misto-ApI) ... 8
Roccella Eugenia (PdL) ... 12
Rondini Marco (LNP) ... 10
Sarubbi Andrea (PD) ... 13
Testa Nunzio Francesco (UdCpTP) ... 4
Turco Livia (PD) ... 10
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro per il Terzo Polo: UdCpTP; Futuro e Libertà per il Terzo Polo: FLpTP; Italia dei Valori: IdV; Popolo e Territorio (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, La Discussione): PT; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling; Misto-Repubblicani-Azionisti: Misto-R-A; Misto-Noi per il Partito del Sud Lega Sud Ausonia (Grande Sud): Misto-NPSud; Misto-Fareitalia per la Costituente Popolare: Misto-FCP; Misto-Liberali per l'Italia-PLI: Misto-LI-PLI.

COMMISSIONE XII
AFFARI SOCIALI

Resoconto stenografico

AUDIZIONE


Seduta di martedì 13 dicembre 2011


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GIUSEPPE PALUMBO

La seduta comincia alle 14,20.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).

Seguito dell'audizione del Ministro della salute, Renato Balduzzi, sulle linee programmatiche del Governo in materia sanitaria.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento, il seguito dell'audizione del Ministro della salute, Renato Balduzzi, sulle linee programmatiche del Governo in materia sanitaria.
Do la parola ai colleghi che intendono intervenire per porre quesiti e formulare osservazioni.

GIANNI MANCUSO. Saluto il Ministro che, tra l'altro, è stato docente presso l'Università del Piemonte orientale Avogadro e svolge anche un ruolo presso l'Ospedale maggiore di Novara. Venendo da Novara, professore, la conoscevo in queste altre vesti, ma oggi la saluto come ministro e la ringrazio per il suo intervento, che nella sua sintesi ha anche dimostrato di non volersi inoltrare in praterie che magari possono essere un po' perigliose per chi si occupa della salute dal punto di vista del diritto e non necessariamente come operatore della salute.
Mi riconosco completamente nell'intervento del mio capogruppo Barani e del collega Di Virgilio che sono entrati nel merito di alcuni dei temi che lei ha trattato. Mi vorrei soffermare su alcune questioni in particolare.
In primo luogo, l'importanza della prevenzione vede nel nostro Paese poche regioni avvicinarsi a quella percentuale del 5 per cento degli investimenti che sarebbe doveroso raggiungere ma che, in molti casi, sono un miraggio o una chimera. È evidente che un euro speso oggi in prevenzione probabilmente ne farebbe risparmiare al sistema, in prospettiva, magari cinque o dieci in terapie. Tuttavia, l'affanno di trovare la quadratura del bilancio tutti gli anni non consente forse di affrontare dei ragionamenti di maggior respiro per arrivare ad avere queste risorse spese in prevenzione oggi, sapendo che il risultato si consegue, magari, nell'arco di cinque o di dieci anni.
Nell'ambito di quegli organi che si occupano in modo particolare della prevenzione rientrano anche i servizi veterinari. Io sono medico veterinario, quindi vorrei approfittare di questa occasione per portare l'attenzione sul ruolo strategico che nelle filiere produttive degli alimenti di origine animale e non solo rivestono questi professionisti della sanità. Peraltro, tali professionisti hanno anche un'altra veste, poiché si occupano degli animali d'affezione che nella nostra società sono diventati ormai elementi insostituibili all'interno delle famiglie, arrivando ad essere, in qualche caso, quasi surrogato di figli, con tutto ciò che questo determina.


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In questi primissimi giorni del suo mandato, signor Ministro, forse non ha avuto modo di approfondire tutte le materie che sono transitate in questa Commissione in questi tre anni e mezzo, ma da circa un anno e mezzo ci stiamo occupando anche di una sorta di legge quadro nella quale, nell'attualizzare la legge n. 281 del 1991, che per la prima volta nel nostro Paese si è occupata del randagismo e del benessere degli animali, stiamo cercando di inserire una serie di temi che il Governo in questi tre anni e mezzo ha trattato con lo strumento dell'ordinanza ministeriale, con tutti i limiti del caso, nel senso che alcuni di questi argomenti andrebbero invece «stabilizzati» - mi passi il termine - in una norma precisa. Basterebbe pensare che ci sono cinquanta milioni di animali nelle case degli italiani, di cui quindici milioni solo cani e gatti, quindi tutto ciò che implica un rapporto con questi animali merita molta attenzione.
È ormai indubbio come negli anni Duemila gli animali svolgano un ruolo sociale che noi stiamo tentando, anche in questa sorta di testo unico, di valorizzare. È chiaro, tuttavia, che saranno le classiche nozze coi fichi secchi, dal momento che non ci saranno risorse da destinare, però vorremmo comunque che questo ruolo venisse sottolineato all'interno del testo. Auspico che anche da parte sua e del sottosegretario che la sostituirà in sua assenza possa esserci interesse per continuare a seguire questo argomento, che è già arrivato a buon punto di maturazione, ed è uno dei pochi argomenti che in questa Commissione non ci ha divisi fra centrodestra e centrosinistra.
Le auguro buon lavoro.

GIOVANNI MARIO SALVINO BURTONE. Signor Ministro, la ringrazio per questo ulteriore incontro e anche per l'attenzione che sta prestando e per l'ascolto che ha voluto dimostrare in questa Commissione.
I colleghi del Partito democratico che sono intervenuti hanno sollevato temi che io condivido e che quindi non ripeterò. Mi limito a fare una considerazione, innanzitutto, su qualcosa che per noi è stato rilevante ma che ha segnato l'insuccesso, finora, della Commissione. Mi riferisco alla questione relativa ai LEA: voglio qui sottolineare che se c'è una materia che rappresenta la cifra delle difficoltà che abbiamo avuto nel rapporto col Governo è proprio quella dei livelli essenziali di assistenza. Si è galleggiato troppo e noi vorremmo che ci fosse ora una risposta del Governo. Lo dico all'inizio del mio intervento, per sottolineare un sentire diffuso nella Commissione.
Su alcuni temi possiamo anche interloquire con le regioni, sapendo che abbiamo ambiti a volte ristretti dal punto di vista legislativo in base alle riforme che si sono fatte nel Paese, ma su questo tema la Commissione intende dire la propria ed esprimere il proprio parere essendo un tema direttamente collegato con la questione sanitaria complessiva del nostro Paese.
Svolgo anche una breve considerazione politica. Spesso parliamo del nostro sistema sanitario nazionale con toni enfatici, definendolo uno dei sistemi più significativi e più apprezzati dall'Organizzazione mondiale della sanità; altre volte con disfattismo ne mettiamo in rilievo i limiti. Penso, però, che con realismo dobbiamo guardare ai problemi che oggi sono presenti nel sistema sanitario nazionale e avere consapevolezza che alcuni princìpi sono costituzionali e noi dobbiamo difenderli, salvaguardarli e collegarli alla quotidianità dei nostri cittadini.
Dico questo, signor Ministro, perché il sistema non è omogeneo: per poter avere un farmaco un cittadino dovrà pagare un ticket diverso in Sicilia o in Lazio, in Lombardia probabilmente lo avrà gratuitamente, in un'altra regione lo dovrà pagare totalmente.
Un elemento ancora più negativo che registriamo - ognuno parla in base alle proprie esperienze regionali - è quello legato alle liste d'attesa. Oggi ci sono donne che attendono, in regioni come la Sicilia, più di un anno per poter fare la mammografia. Qualche volta le liste d'attesa


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- dobbiamo dirlo noi che abbiamo apprezzato e sostenuto questa norma - sono anche collegate a un modo distorto di interpretare l'intra moenia in alcune realtà. Dico questo, lo ripeto, avendo apprezzato pienamente quella norma, che però in alcune parti del Paese viene utilizzata in maniera sbagliata e distorta.
Infine, signor Ministro, ci sono questioni legate alla trasparenza delle scelte, cui a volte sono concatenati i temi concernenti gli errori sanitari. Signor Ministro, non voglio enfatizzare queste tematiche, tuttavia mi permetto di rilevare che tante parti della nostra comunità sono toccate da questi temi. Abbiamo pensato, in Commissione, di affrontare alcune tematiche, ponendo la questione del governo clinico, quindi la scelta dei manager - fiduciaria, sì, come lei dice - che però possa rientrare in un quadro di criteri che eviti la faziosità di alcune scelte. Su questo tema, come su quello della scelta dei primari, credo si debba ritornare, poiché molto spesso si è fatto leva sull'appartenenza politica più che sulla capacità professionale.
Noi abbiamo posto il tema del governo clinico, come abbiamo indicato tutte le questioni relative al rischio clinico. Nel nostro Paese, ancora, su questi temi registriamo tanti ritardi. Credo che la Commissione debba sottoporre alla sua attenzione queste tematiche che sono già state dibattute, sviluppate e possono essere riviste. Noi confidiamo nell'indirizzo che può dare il Governo, che può dare lei, signor Ministro, anche perché questo potrà servire per tentare di dare quella universalità al sistema sanitario che nel nostro Paese in questo momento vede, purtroppo, tanti limiti.
In una recente intervista, lei ha parlato del Patto per la salute. Io condivido quello che lei ha detto, perché il Patto per la salute, pur tra le tante difficoltà che ha dovuto registrare - lo dico a Livia Turco che ha promosso questo percorso, nel Governo Prodi - ha portato tante regioni a cercare di realizzare risparmi in settori importanti. Si è trattato di un patto tra regioni e Stato che ha cercato di evitare che si andasse avanti senza tener conto delle spese effettuate.
Probabilmente non si sono raggiunti obiettivi massimali così come erano stati auspicati, ma non c'è dubbio che alcuni cambiamenti si sono registrati e vanno sottolineati. Noi pensiamo che il signor Ministro potrà sviluppare questo percorso e portarlo sempre più verso un indirizzo virtuoso che possa servire seriamente alle nostre comunità.

NUNZIO FRANCESCO TESTA. Ringrazio anzitutto il signor Ministro per questo invito alla collaborazione che peraltro, anche in modo fattivo, si sta già realizzando. Lo accettiamo perché in quest'anno e mezzo che resta alla fine della legislatura speriamo di fare qualcosa di utile per il Paese.
L'aspetto che volevo sottolineare - tra l'altro ne hanno parlato già tanti colleghi - è l'equità nel trattamento dei pazienti. Parlo di equità di trattamento in Trentino-Alto Adige e in Calabria. Cito, ad esempio, la prevenzione del carcinoma della mammella, che è doppia in Trentino rispetto ai dati della Calabria; specie nel caso del carcinoma della mammella, anticipare la diagnosi significa salvare le donne. Il dato che ho citato significa che le persone che vivono in Calabria hanno il doppio delle possibilità di morire rispetto a quelle che vivono in Trentino. Siccome non si tratta di trasporti, ma di sanità, è importantissimo controllare questa situazione.
Il discorso è naturalmente collegato con quello dei LEA. Come diceva già il collega Burtone bisogna affrontare le questioni e non dico centralizzare, ma fare in modo che la sanità operi il controllo a cui è tenuta. In alcune regioni sono previste determinate prestazioni, ma non vengono effettuate e, anche in ragione del fatto che le condizioni economiche delle regioni sono quasi allo sfascio, succede che alcune prestazioni non vengono addirittura erogate.
La seconda questione che volevo sottolineare riguarda il direttore generale. Nella scorsa audizione lei parlava di un rapporto


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fiduciario. Capisco perfettamente, ma non deve esserci intercessione della politica. Molte volte il direttore generale è stato scelto con altri parametri, sicuramente non quelli che noi vorremmo fossero utilizzati.
Noi proponemmo - questa Commissione ha già lavorato al riguardo - un albo nazionale dal quale si possa attingere e per accedere al quale si devono avere requisiti specifici. Ho visto direttori generali che prima erano direttori della Cirio. Per carità, forse è utile per mettere a posto i conti.
Sottolineerei un aspetto che considero importante: secondo me si dovrebbe dare più importanza al direttore sanitario, poiché molte volte il direttore generale, per mancanza di conoscenze, non sa quali sono le priorità effettive di un ospedale o di una ASL.
Infine, un accenno alle liste d'attesa, che sono aumentate perché molto spesso i medici hanno paura di fare una diagnosi senza avere tutti gli accertamenti necessari. Tuttavia, non è detto che gli accertamenti siano effettivamente necessari, forse rappresentano un modo per proteggersi da quello che sta accadendo nell'ultimo periodo. È chiaro che il paziente deve avere sempre il meglio, ma se si facesse una campagna diversa rispetto ai medici di base, forse già quel filtro potrebbe essere un primo passaggio per risparmiare e per dare allo stesso modo un servizio adeguato. Grazie.

GERO GRASSI. Signor Ministro, ho ascoltato il suo intervento e quello dei colleghi, quindi cercherò di non duplicare. Un ex Ministro della giustizia recentemente scomparso, intervistato alcuni mesi prima della morte, alla domanda «qual è la riforma maggiore che lei ha fatto presso il suo ministero» rispose intelligentemente, mettendo sgomento nell'intervistatore «ho ridotto la grandezza delle buste». Mi riferisco a Mino Martinazzoli.
Io le auguro di fare una riforma superiore alla riduzione delle buste, ma mi accontenterei di questo. Lo dico certamente non per provocarla, Ministro, ma perché le cose che lei ha diligentemente ascoltato durante il dibattito sono tutte vere e dimostrano che l'impegno in questo delicato settore potrebbe essere a trecentosessanta gradi. Ci sarebbe tantissimo da fare, tanti ritardi da recuperare, però noi sappiamo bene il momento economico che viviamo e il realismo politico ci dovrebbe indurre ad accontentarci della riduzione dell'ampiezza di una busta, che sarebbe già un risultato, perché significherebbe aver fatto qualcosa.
Potrei parlarle dei LEA, dell'edilizia sanitaria; potremmo discutere di una serie di provvedimenti, di iter legislativi non ancora completati, ma non serve, perché lei li conosce come me, così come sa quanto me che una delle disparità maggiori che esiste in sanità, e verso la quale la classe politica si comporta da sorda, muta e cieca, è la distribuzione del denaro tra le regioni, che continua - l'onorevole Turco ride perché questo è un mio vecchio pallino - a mantenere pervicacemente livelli di sanità diversi da regione a regione.
L'onorevole Turco spesso ricorda che il bilancio del suo ministero è sottodimensionato rispetto ai parametri europei. Io credo che, in presenza di un Governo terzo - rispetto al mio partito ma anche agli altri partiti - si potrebbe tentare, ove lei fosse d'accordo, un'innovazione e prevenire probabilmente quello che succederà nei prossimi anni. Noi abbiamo un sistema sanitario che sappiamo bene ormai non regge più, dal punto di vista dei bisogni, dell'allungamento della vita, della qualità dell'offerta sanitaria e via dicendo: perché non pensa a immaginare, con il contributo del Parlamento, un servizio sanitario nel quale si inizi a far pagare qualche cosa in più a chi ha redditi alti per continuare a garantire il diritto alla salute a chi non ha un reddito? Se noi non provvediamo da soli a quest'operazione saremo chiamati eventualmente da un altro Governo tecnico, fra qualche anno, a comportarci così come questo Governo si sta comportando in questa finanziaria che nei prossimi giorni approveremo. Grazie.


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ILEANA ARGENTIN. Signor Ministro, desidero ringraziarla, scusandomi del ritardo. In primo luogo vorrei portare alla sua conoscenza che sono responsabile nazionale dell'handicap per il Partito democratico e da sempre mi occupo di disabilità.
Partendo da alcuni punti ben precisi, le parlerò necessariamente di sanità collegata alla disabilità. Cito innanzitutto la necessità di una norma socio-sanitaria che ridurrebbe notevolmente i costi della sanità. Noi abbiamo un mandato normativo in cui quasi sempre gli operatori sanitari che intervengono, in base alla norma, su persone che hanno degli handicap, potrebbero essere assolutamente sostituiti da personale sociale con una buona formazione. Per citare un esempio banale, per quanto concerne il cateterismo, visto che sono in grado di farlo i genitori, non si capisce perché un operatore sociale formato con costi ridotti non possa sostituire un infermiere.
So che esiste al riguardo una regola nazionale, ma considerato che siamo in crisi perché non parlarne ora? Effettivamente molte volte c'è un utilizzo improprio degli operatori, non tenendo conto che la malattia è storia diversa rispetto alla disabilità. La disabilità è uno status, non è una malattia che si vive perennemente, laddove la patologia sta a monte.
Credo di doverle sottolineare, oltre all'importanza della formazione in quanto tale, l'impossibilità per molte persone con disabilità di accedere ad alcune analisi o accertamenti molto semplici. Ad esempio, se io desiderassi fare una mammografia non posso farla perché sarei costretta a farla in piedi. Ora, non c'è strumento né ricerca da questo punto di vista. Tutto questo, peraltro, comporta un costo maggiore perché, non potendo fare la mammografia, si gira attorno al problema, con ecografie, biopsie eccetera.
In più, mi permetto di dirle che le regioni fanno «figli e figliastri». È una fortuna nascere nel Nord rispetto al Sud o viceversa per alcune situazioni. Le regioni si nascondono sempre dietro una mancanza di fondi, ma molte volte si tratta anche di una mancata buona prassi anche di confronto con le persone e con le difficoltà che affrontano.
Concludo parlando dell'importanza della domiciliarietà, nel senso che intervenire a domicilio dove c'è handicap costa molto meno. Basti pensare al trasporto per disabili, all'assistente che deve accompagnare, all'inaccessibilità della struttura e alla necessità di adeguarla. Insomma, sicuramente la domiciliarietà è un tema fondamentale.
Come dicevo prima, basta con gli accertamenti non necessari. Chi ha la distrofia muscolare o la Sla non necessariamente per tutta la vita deve sottoporsi ad accertamenti continui.
Considero importante - glielo dico con difficoltà, immagini il mondo che rappresento - una forma di redditometro: è necessario che il disabile ricco paghi più del disabile povero. Questo non deve fare la differenza. Io faccio il deputato, perché dovrei fare gratuitamente degli accertamenti, a differenza di una persona su sedia a ruote che vive sulle spalle dei genitori? Ovviamente questa misura va considerata con grande attenzione e tenendo conto del reddito individuale, non del reddito familiare.
Credo che dobbiate avere meno paura ad affrontare alcune categorie, perché alla fine sono molto più forti di quanto sembrano. Grazie.

MARIA ANTONIETTA FARINA COSCIONI. Benvenuto, signor Ministro.
Le intenzioni di aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza che lei, Ministro, ha messo in agenda tra gli altri provvedimenti (mi auguro di aver compreso bene) sono da accogliere con soddisfazione. I livelli essenziali di assistenza che, lei lo ha ricordato, sono immutati dal 2001, sono largamente insoddisfacenti e aspettano da molti anni una loro conclusione.
A me preme ricordare, ma penso che lei lo sappia bene, come si siano costituiti tantissimi tavoli tecnici dal 2001, che hanno lavorato più o meno bene. Tuttavia, come radicali, ma anche con il gruppo del


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Partito democratico, abbiamo rivendicato dall'inizio della legislatura - e oggi sinceramente sono contenta che anche colleghi degli altri gruppi si associno - l'urgenza dell'emanazione di nuovi livelli essenziali di assistenza. Credo, quindi, che l'atto cui procedere immediatamente sia l'emanazione di un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, che comprenderebbe anche l'aggiornamento del Nomenclatore degli ausili e delle protesi, che è fermo al 1999 ma contempla al suo interno una tecnologia che risale al 1995.
Credo che lei conosca bene questa situazione. Mi preme ricordare questo aspetto perché come gruppo del Partito democratico, fin dai primi mesi della legislatura, abbiamo sostenuto - con interpellanze urgenti, con ordini del giorno che sono stati accolti dal vecchio Governo - l'approvazione dei nuovi LEA.
Vorrei ricordarle, in ordine di tempo, gli ordini del giorno che il vecchio Governo ha accolto ma che in realtà non ha ritenuto di applicare. Gli atti a disposizione dell'opposizione, quali interpellanze, mozioni e ordini del giorno, una volta approvati dal vecchio Governo, non avevano alcun seguito. Questo riguarda l'emanazione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri sui nuovi LEA.
Posso citarle l'esempio dell'ordine del giorno firmato da numerosi colleghi del Partito democratico con il quale abbiamo chiesto al Governo di emanare il decreto sui LEA entro il mese di settembre 2010. È un ordine del giorno che è stato approvato e riportava un termine da considerarsi perentorio salvo che il Ministro dell'economia non comunicasse al Parlamento le ragioni che considerasse ostative all'emanazione del decreto in questione entro il termine indicato. Il termine è scaduto ma non abbiamo visto l'emanazione di quel decreto. Questo è stato l'ultimo in ordine di tempo.
Successivamente abbiamo presentato un ordine del giorno sulla legge di bilancio che è stato approvato, con il quale chiedevamo al Governo l'emanazione dei nuovi LEA entro e non oltre la fine di novembre del 2010. Questo evidentemente non è bastato, quindi il Governo di fatto non ha rispettato quanto in Aula aveva ritenuto di accogliere favorevolmente.
Ci sono voluti successivamente - mi riferisco sempre all'anno scorso - scioperi della fame che hanno interessato anche questa Commissione. Mi riferisco a un lungo sciopero della fame che ho personalmente condotto, ma che ha coinvolto questa Commissione a staffetta: dall'ex Ministro Livia Turco alla stessa Paola Binetti quando ancora sedeva nei banchi del Partito democratico e via dicendo. Tutto il gruppo del Partito democratico aveva sostenuto la richiesta dell'emanazione di questi LEA. Avevamo scelto di condurre un'azione non violenta perché avevamo chiesto, signor Ministro, che il Ministro dell'economia Tremonti venisse in questa Commissione per relazionarci sullo stato dell'arte circa l'emanazione di questo decreto. Voglio informarla che il Ministro dell'economia Tremonti in questa Commissione non ha mai messo piede e, comunque, dopo diciotto giorni di sciopero della fame che ha coinvolto questa Commissione, è venuto l'allora Viceministro Vegas. Noi volevamo chiedere semplicemente come stavano le cose. Alle nostre interpellanze il Ministro della salute Fazio ci rispondeva che il suo compito nell'elaborazione del decreto era stato completato e che la bozza di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di revisione dei livelli essenziali di assistenza conteneva innovative disposizioni che avrebbero potuto portare miglioramenti alle condizioni di vita di molti pazienti. Pertanto, la realtà è che siamo stati un po' sballottati (questo potevamo pure permettercelo), ma il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri sui livelli essenziali di assistenza, ad oggi, non sappiamo che fine ha fatto, in che mani si trova. Il Ministro della salute l'aveva passato al Ministro Tremonti e quest'ultimo non ha mai risposto.
Le cose fortunatamente sono cambiate, quindi spero che in qualche modo la sua presenza possa scongiurare e allontanare quella cultura che il Ministro Tremonti aveva manifestato. Mi riferisco a una cultura legata a una concezione del nostro


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Paese come un Paese non competitivo. Il Ministro Tremonti aveva detto che il nostro Paese non può essere competitivo a causa di 2.700.000 invalidi: l'invalidità è una condizione non produttiva, quindi il nostro Paese non si sviluppa perché c'è una percentuale molto alta di disabili e di invalidi e questo frena lo sviluppo del Paese.
Spero che in qualche modo lei possa garantirci che questa condizione può cambiare.
Tenevo a puntualizzare la questione dei livelli essenziali di assistenza perché il gruppo del Partito Democratico da sempre, dall'inizio della legislatura, ha sostenuto un'urgenza non più rinviabile.
La collega Argentin ha parlato della condizione di disabilità, che non ha impedito a tantissime famiglie, a tantissimi malati e disabili di riappropriarsi di una vita quotidiana serena. Tuttavia, di fatto, dietro la serenità di tante famiglie disabili non c'è lo Stato, ma la presenza di una famiglia che lotta e che è costretta troppo spesso a rivolgersi ai tribunali per rivendicare diritti che invece dovrebbero essere garantiti senza ricorrere a quella via.
Di fatto, l'unica legge che sembra essere applicata in tempi di crisi è quella dei tagli. Lei saprà bene come il Fondo per la non autosufficienza sia stato azzerato, come il Fondo per le politiche sociali sia stato più che dimezzato, come il Fondo per la famiglia abbia subìto sostanziali riduzioni.
Nella sua relazione non vi è stato alcun richiamo a una questione a cui tengo particolarmente, quella della salute mentale e, soprattutto, della salute mentale di chi ha commesso un reato ed è confinato negli ospedali psichiatrici giudiziari. Abbiamo avuto, all'inizio della legislatura, l'audizione dei soggetti che dovevano verificare il processo di transizione delle competenze che dall'amministrazione penitenziaria sono passate alle aziende sanitarie locali.
Credo che quella della salute mentale sia una questione importante che deve essere presa in considerazione per quanto riguarda gli ospedali psichiatrici giudiziari. Soprattutto si deve porre attenzione alla salute delle persone detenute, quelle che si trovano in carcere.
Lei sa bene che quest'anno il Presidente della Repubblica ha evidenziato, nell'ambito di un convegno che si è tenuto presso il Senato della Repubblica a fine luglio, l'urgenza della soluzione delle condizioni dei detenuti e della sanità nel carcere. Credo che garantire la tutela di chi sta dentro, così come di chi sta fuori, sia un principio costituzionale e, quindi, come tale chieda di essere rispettato. A me preme evidenziare quest'aspetto, in modo da avere nella replica, signor Ministro, qualche segnale, per costringerci a prendere in considerazione le condizioni di vita di alcune persone. Per quanto riguarda gli ospedali psichiatrici giudiziari si tratta di 1.500 soggetti, ma le condizioni delle sei strutture presenti nel territorio nazionale penso che, nel trasferimento delle competenze dall'amministrazione penitenziaria alle ASL, debbano essere prese in considerazione dal suo ministero o quanto meno si debba verificare l'applicazione di un decreto che già esiste ma che nella realtà non è integralmente operante.

DONATO RENATO MOSELLA. Signor Ministro, le assicuro che da parte mia, ma anche da parte di molti colleghi, c'è la piena consapevolezza del momento che stiamo attraversando e del compito che le è stato affidato. Faccio parte di quel numeroso gruppo di parlamentari che ha dato la fiducia al Governo, quindi in questa sede sentiamo di compartecipare a un nuovo inizio, dando alcune indicazioni che dovranno, a nostro avviso, far parte delle sue linee programmatiche, con la consapevolezza che il tempo è breve e che sono tempi difficili.
Ciò che ho già ascoltato potrebbe esimermi dall'intervenire, ma ognuno di noi ha nelle corde alcune sensibilità e alcune esperienze, quindi è giusto che in questo nuovo inizio lei ascolti per poi fare un sano discernimento, una sintesi, e proporre a noi e al Paese alcune indicazioni che diventino segno di speranza, almeno di poche cose che si possano immaginare.


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Non guardi, dunque, almeno da parte mia, a ciò che stiamo elencando come se tutto dovesse far parte di queste linee programmatiche che lei in poche settimane dovrà elaborare, ma come spunti di riflessione e di indicazioni che possano aiutarla a scegliere delle priorità.
In questo senso, noi vigileremo e collaboreremo anche per dare il nostro contributo.
Il primo tema che sottopongo alla sua attenzione è quello - che qualche collega ha già toccato - del pendolarismo sanitario. Si stima che 837.000 italiani nel 2009 siano andati in altre regioni per curarsi; il 45 per cento proviene dal Sud e di questi circa 150.000 emigrano al Nord. Il pendolarismo non è un segno positivo per un Paese civile, soprattutto perché rischia di scaricarsi sulle famiglie con difficoltà economiche, che pur di alleviare il dolore di un congiunto si sottopongono ai cosiddetti «viaggi della speranza», a volte privi di quella dignità fondamentale di cui i malati e i loro congiunti hanno bisogno.
Si emigra per le liste di attesa oppure per la mancanza di centri di riferimento. Tutto questo contribuisce a depauperare anche economicamente le strutture sanitarie delle zone di partenza, che in moltissimi casi vengono abbandonate. Crediamo che il Governo, insieme alle regioni che hanno competenza, in tal senso dovrebbe promuovere una lettura attenta dei dati del pendolarismo sanitario, per tentare di arginare il fenomeno, cioè cominciare a dare un segnale in questa direzione. Arrestarlo sarebbe un'utopia, perché siamo convinti che i tempi programmatici per arrestarlo sono molto più lunghi e articolati.
A questo si legano le liste di attesa, già richiamate da qualche collega. Secondo i dati di Cittadinanzattiva, che io seguo perché sono aggiornati con grande sensibilità, si attende un anno per la mammografia, quindici mesi per la MOC, dieci mesi per la TAC. Il fenomeno delle liste di attesa è cresciuto: nel 2010 il 16 per cento delle segnalazioni ha riguardato i tempi di attesa, con una crescita preoccupante. Non mi attardo a citare i dati perché lei li conosce, ma noi crediamo che agire sulle liste di attesa arrivando ad azzerarle significhi porre le basi per una tutela effettiva del diritto alla salute, così come viene sancito dalla Costituzione.
Nel rispetto delle competenze del Governo e delle regioni, noi pensiamo che ci siano i tempi e anche il clima - in una fase di crisi le persone guardano con maggiore disponibilità ad alcune azioni - per intervenire con urgenza su un male cronico della sanità italiana.
Al Senato lei ha parlato - e mi ha colpito - dell'appropriatezza delle prestazioni. In questo ambito gioca un ruolo fondamentale il tema della comunicazione medico-paziente: è un grande tema che potrebbe, anche in questa fase di nuovo inizio e di cambiamenti che il Paese si attende, diventare un tema forte per la sanità italiana. Occorre investire nel consolidamento di un dialogo forte tra medico e paziente. Questo, al fine di arrivare a quel passaggio che lei ha citato anche in questa relazione, significa agire nella direzione dell'appropriatezza delle cure a beneficio della salute dei pazienti e, contestualmente, di una riduzione degli oneri sanitari a carico dei bilanci pubblici, semplicemente perché un rapporto di fiducia che scientificamente viene organizzato porta ad evitare una serie di rivalse che spesso sono dispendiose economicamente e creano maggiori problemi di quanti ne vengono risolti.
Questo clima favorisce, dunque, il dialogo tra medico e paziente, soprattutto per i medici giovani che hanno la necessità di essere aiutati a conoscere la tematica, anche in chiave di prevenzione delle malattie. Più volte in Commissione abbiamo evidenziato e affrontato il tema del distacco nell'atteggiamento del medico di famiglia, che ormai è diventato, nella routine, tutto quello che in negativo possiamo immaginare. Questo è un tempo in cui è possibile ripristinare e riannodare alcuni fili per migliorare il servizio.
Infine, i consultori familiari sono spesso snobbati. Occorre, allora, agire per recuperare il loro ruolo di prossimità e


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soprattutto quell'azione di informazione e di prevenzione per i giovani, le famiglie, le donne (comprese le donne sole o le donne immigrate, spesso prive di qualsiasi orientamento).
Concludo sul tema del governo clinico, ma solo per elencarlo associandomi a quello che i colleghi hanno già detto. La promozione del governo clinico deve essere parte fondamentale dell'agenda sanitaria del Paese, perché significa parlare di ammodernamento del sistema. Questo è il tempo in cui si può e si deve parlare, oltre che di risparmio, anche di ammodernamento, di programmazione dei servizi, in coerenza con i bisogni dei cittadini, di valorizzazione del ruolo e della responsabilità dei medici e di tutti gli operatori sanitari.
Puntare sul governo clinico non costa nulla, anzi consente risparmi generati da una migliore programmazione e organizzazione, oltre che allocazione delle risorse umane e finanziarie già disponibili, circostanza quest'ultima che in tempi di rigore come questi credo possa essere colta ed apprezzata. Grazie.

MARCO RONDINI. Signor Ministro, la ringrazio per la presenza. Interverrò brevemente perché la nostra posizione è già stata evidenziata dall'intervento della collega Molteni.
Nel suo intervento, signor Ministro, ci dice che spera che sia l'inizio di un proficuo cammino di lavoro insieme. Noi riteniamo che questo Governo, anche se privo di legittimità, debba adoperarsi per garantire i piani di rientro delle regioni in disavanzo ed eventualmente applicare le sanzioni a quelle regioni che questi piani non rispettano. Questo per ottenere in modo trasparente ed equo, soprattutto nel rispetto delle regioni virtuose, un bilanciamento fra il momento del monitoraggio e verifica delle prestazioni e l'inevitabile equilibrio economico-finanziario al quale lei faceva riferimento nel suo intervento.
La partita per noi, però, si gioca interamente sul federalismo fiscale. Lo snodo cruciale è rappresentato dai costi standard, per evitare e prevenire le situazioni più volte denunciate dagli istituti di ricerca e dalle varie commissioni d'inchiesta, che non smettono di confermarci il trend di un'Italia a due velocità. La qualità dei servizi e delle prestazioni nelle regioni meridionali risulta nettamente inferiore alle altre aree del Paese. Al contrario, e nel contempo, regioni come il Lazio, la Calabria e la Campania si sono distinte per una gestione allegra che le ha portate ad occupare i primi posti nella graduatoria delle regioni maggiormente in deficit nell'intero Paese.
Per concludere, nonostante - lo ripetiamo - l'illegittimità di questo Governo, auspichiamo che la volontà da lei espressa di cogliere l'occasione importante del federalismo fiscale non rimanga semplicemente uno di quei buoni propositi che non si trasformano in realtà.
Il federalismo fiscale rappresenta l'unica occasione per superare il divario nord-sud, per superare ciò che viene evidenziato anche dall'ultimo rapporto Censis, che ci ricorda che la sanità è cristallizzata nel divario di performance regionali, tanto che nelle regioni del Mezzogiorno è più alta la percentuale di cittadini che parla di peggioramento.
Riteniamo che la riforma del federalismo fiscale sia l'unica riforma in grado di rispondere adeguatamente alla duplice esigenza di garantire la sostenibilità finanziaria e al contempo di dare a tutti i cittadini, ovunque risiedano, la qualità delle prestazioni attese. Grazie.

LIVIA TURCO. Il Ministro nella sua relazione ha parlato, secondo me molto opportunamente, di manutenzione del sistema, con particolare attenzione al rispetto delle regole, alla promozione della qualità. Inoltre, ha sottolineato in modo particolare l'impegno per i livelli essenziali di assistenza. Anch'io, come hanno fatto mie colleghe e colleghi, a partire da Margherita Miotto e adesso Farina Coscioni, sottolineo quanto sia importante il tema dei LEA, se non altro anche per averne vissuto, quando ero ministro, il percorso di aggiornamento, che è stato molto condiviso. Penso alla questione del Nomenclatore


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tariffario che aveva visto attorno a un tavolo lavorare intensamente sia le associazioni che il mondo imprenditoriale. Quello dell'aggiornamento dei LEA, purtroppo revocato, credo sia un lavoro prezioso.
Non c'è dubbio che c'è un rapporto tra LEA e risorse. Colgo l'occasione per dire che è molto importante che, in questo provvedimento difficile che affrontiamo, la sanità sia stata risparmiata. Lo sottolineo perché non sempre, nel discorso pubblico, questi aspetti emergono.
C'è un rapporto tra LEA e risorse e non c'è dubbio che quel decreto sui LEA presupponeva un livello di risorse, ma in quel decreto, come è stato detto, c'erano due emergenze - Nomenclatore tariffario e malattie rare - che penso meritino una risposta al di là del contesto generale.
Credo che questa azione di manutenzione così preziosa debba tradursi anche in una osservazione costante dell'evoluzione dei bisogni di salute. A questo proposito volevo sottolineare alcuni aspetti che considero particolarmente delicati e urgenti. All'interno dell'impostazione dell'Unione europea relativa a «La salute in tutte le politiche» e alla valutazione dell'impatto dei cosiddetti determinanti della salute, impostazione che considero una delle piste di lavoro più lungimiranti tra quelle proposte dall'Unione europea, anche alla luce delle riflessioni non recenti di epidemiologi molto attenti al rapporto tra salute ed eguaglianza, mi preme sottolineare anzitutto le ricadute del processo di impoverimento del nostro Paese sulla salute delle persone e in particolare di alcuni gruppi più vulnerabili.
Mi riferisco in particolar modo alla salute dei migranti. In questi ultimi mesi sono emersi alcuni dati e analisi preoccupanti. Mi permetto anche di raccomandare l'importanza dell'Istituto nazionale per la promozione della salute delle popolazioni migranti e per il contrasto delle malattie della povertà (INPM), che è stato costituito recentemente. Lo abbiamo difeso tante volte e mi pare che abbia impostato un importante lavoro.
Nel contesto dei determinanti della salute vi poi è l'aspetto della medicina di genere. Non è una stravaganza femminista, ma un modo per rendere universalistico il diritto alla salute. Le differenze di genere appaiono sempre più chiaramente. Le malattie tra donne e uomini sono diverse e il determinante del genere incide in modo significativo sui bisogni di salute. Il filone della medicina di genere nel nostro Paese ha avuto inizio nella precedente legislatura tramite un'iniziativa trasversale. Io ero Ministro della salute e recepii una mozione parlamentare discussa al Senato e proposta dalla senatrice Laura Bianconi.
Parlare di medicina di genere significa parlare di cose molto concrete. Le risorse che avevamo stanziato per la ricerca sono esaurite, quindi sarebbe importante che questo filone proseguisse, così come l'aggiornamento dei programmi di studi. Avevamo, infatti, previsto dei master con l'Università di Tor Vergata che avevano dato risultati positivi.
Sarebbe anche importante verificare - avevo presentato un'interrogazione parlamentare al proposito - come sono andate a finire alcune misure intraprese e che avevano trovato un ampio consenso. Mi riferisco, ad esempio, al vaccino per la prevenzione del tumore della cervice uterina. Era stato promosso un programma pubblico, che però presupponeva la condivisione da parte delle regioni, e gli ultimi dati mostrano un andamento piuttosto difforme.
L'ultima questione nell'ambito dei determinanti della salute è l'attenzione ai gruppi più vulnerabili. Cito il problema della salute in carcere. Il Ministro conosce bene la vicenda del trasferimento della sanità in carcere dal Ministero della giustizia al Ministero della salute. Esiste il DPCM n. 14 del 2008 ed esistono linee guida sulla salute in carcere e per il superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari (OPG), rispetto ai quali non è necessario assumere iniziative demagogiche quale quella di affermare che andrebbero chiusi, come è stato fatto recentemente al Senato.


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Sarebbe importante applicare queste linee guida. Credo che sia utile un'azione di monitoraggio della loro applicazione e dell'assunzione reale da parte del sistema sanitario della responsabilità della salute in carcere. Purtroppo continuano a esistere delle difformità. Questa Commissione più volte ha chiesto al Governo di fare il punto, ma so che la questione non è risolta. Mi permetto di cogliere questa occasione per sottolineare al Ministro l'importanza del tema.
Da ultimo, vorrei soffermarmi sulla già richiamata questione della salute mentale. Ci troviamo di fronte ad alcune emergenze silenziose. La crisi economica ha messo molto in risalto il disagio economico, ma esistono situazioni di disagio, come quelle della salute in carcere, della salute mentale e della disabilità, che sono cadute nel silenzio e sono meno visibili, ma pesano molto sulle famiglie.
Mi sembra molto importante essere consapevoli di queste emergenze e orientare l'attenzione ai bisogni di salute avendo presenti queste esigenze.

MELANIA DE NICHILO RIZZOLI. Vorrei fare una riflessione sull'articolo 32 di questa manovra economica, un articolo che interviene pesantemente sul sistema farmaceutico del Paese, senza però affrontare la ridefinizione di tutta la normativa vigente, di cui invece ci sarebbe necessità.
La verità è che questa è un'operazione ideologica e politica, che potremmo quasi definire un interesse di parte o di convenienza o di opportunità politica, come si può vedere anche dalla lettera datata 6 dicembre 2011 che l'onorevole Bersani indirizza ai presidenti del Forum nazionale delle parafarmacie e ai presidenti dell'Associazione nazionale delle parafarmacie, accreditandosi la titolarità dell'inserimento di questo articolo 32 nella manovra: «Condivido con voi la soddisfazione per il traguardo raggiunto con l'inserimento nel decreto legge del principio della liberalizzazione della vendita dei medicinali in fascia C, che fino a poco tempo fa sembrava di difficile raggiungimento in considerazione della situazione politica esistente».
Signor Ministro, senza entrare nel merito dell'articolo 32, noi riteniamo che l'unica decisione saggia di questo Governo sarebbe quella di procedere allo stralcio dell'intero articolo, con l'impegno di presentare in un tempo ragionevole e ravvicinato una riforma per l'ammodernamento di questo comparto, che presenta comunque un indice di gradimento degli utenti prossimo al 95 per cento. Ricordo che viene ritenuto all'avanguardia sia in Italia che nel mondo, tanto che in Europa si è chiesto con due interrogazioni parlamentari quale sia la ratio che ha indotto il Governo italiano a un siffatto e malfatto intervento.
Non è necessario ricordarle, signor Ministro, che grazie a questo articolo possono essere venduti nelle parafarmacie medicinali molto importanti, come quelli a base ormonale e per l'interruzione della gravidanza, e gran parte degli psicofarmaci. Mi rivolgo a lei affinché l'articolo sia stralciato. In quanto frutto delle scelte del Ministero dello sviluppo economico, il farmaco è stato trattato come un bene economico, come una merce e non come un prodotto per la salute, un prodotto etico e salvavita. Inoltre, non sono definiti gli ambiti di attività sui quali sono assicurate le funzioni di farmaco-sorveglianza da parte del sistema sanitario nazionale.
Concludo sottolineando che non siamo contrari alla possibilità di sviluppare la distribuzione dei farmaci da parte di esercizi commerciali diversi dalle farmacie, ma chiediamo di restare, tuttavia, allineati alla normativa europea senza abbassare, come nel caso di questo articolo 32, qualora fosse approvato, il livello di tutela e di controllo del sistema del settore farmaceutico italiano.

EUGENIA ROCCELLA. Anch'io ringrazio il Ministro di essere qui. Volevo associarmi a due interventi precedenti e in primo luogo alle preoccupazioni espresse dall'onorevole De Nichilo.


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Lei ha parlato giustamente di appropriatezza, il principio guida che fino adesso è stato seguito al Ministero per ridurre le disomogeneità e le problematiche che emergono molto chiaramente nella sanità nazionale. Tuttavia, non credo che in Italia ci sia un problema di incentivazione al consumo dei farmaci, anzi il problema è casomai opposto, e non mi sembra che il modo migliore per raggiungere o indirizzarci verso l'appropriatezza sia una liberalizzazione così anomala - in questa forma non esiste in nessun altro Paese d'Europa -, che spinge sicuramente a un consumo improprio e non appropriato del farmaco. Trovare il farmaco su ricetta medica in una catena di grande distribuzione mi sembra, infatti, un'incentivazione all'uso improprio.
L'altro invito a cui mi volevo associare è quello dell'onorevole Turco a considerare con particolare attenzione l'INMP. È l'unico strumento a disposizione del Ministero in questo ambito ed è stato un po' trascurato in tutto questo tempo. Anche se noi lo abbiamo recentemente rifinanziato e rinnovato, ha certamente bisogno di diventare operativo ed efficace in un contesto che richiede la massima attenzione.
Vorrei esprimerle un'altra preoccupazione e chiederle qualche rassicurazione in merito. Ci troviamo in una condizione di mancanza di risorse. L'onorevole Turco ha ricordato che ancora una volta in sanità si è cercato di risparmiare. È ciò che si è tentato di fare durante tutta questa legislatura, tant'è che il Fondo sanitario nazionale, in una situazione di tagli lineari ai ministeri, è stato incrementato. È una linea che si è cercato di seguire e che io mi auguro si continuerà a seguire anche nell'emergenza e data l'attuale penuria di risorse.
Non so quanto si riuscirà a fare in ordine ai livelli essenziali di assistenza (LEA) perché sappiamo benissimo che presentano un problema di costi molto pesante. Le chiedo però di essere rassicurata circa l'attenzione che sarà prestata, con gli strumenti a disposizione, alle situazioni di massima fragilità. Il nostro sistema sanitario è un buon sistema sanitario. Come sappiamo, è sempre ai vertici delle classifiche internazionali. È fondato sull'universalità e sull'accoglienza e la prova del nove la si ha certamente nelle condizioni di massima fragilità.
Noi abbiamo tentato di utilizzare gli strumenti a nostra disposizione e in primo luogo gli accordi Stato-regione, perché, come giustamente lei ricordava, in questi casi il problema è come e quanto appropriatamente vengono utilizzate le risorse. Altri mezzi d'azione sono le linee guida, cliniche e non, e gli obiettivi di piano. Con tutti questi strumenti avevamo avviato una serie di interventi, ad esempio, per gli stati vegetativi, per la non autosufficienza e - mi associo anch'io a una preoccupazione già espressa - per le malattie rare.
Le chiedo qualche rassicurazione in proposito, ma sono sicura che si cercherà di continuare su questa linea, utilizzando gli strumenti che già esistono e soprattutto monitorandone l'applicazione. Gli strumenti non sono tantissimi, ma ci sono. Il problema è quello del monitoraggio dell'applicazione delle linee guida, degli accordi Stato-regione e degli obiettivi di piano.
Non sempre si sa se i fondi destinati a specifiche aree, con specifiche linee guida per specifici progetti, vadano a buon fine e se le linee di indirizzo vengano rispettate.

ANDREA SARUBBI. Signor Ministro, sarò molto breve, ma mi sento di sottolineare un punto che riguarda il diritto alla salute degli immigrati.
È un problema che sembra inesistente soltanto perché non se ne parla, ma in realtà è più complesso di quanto normalmente si creda. In questa legislatura, che lei forse avrà seguito dall'esterno, ha fatto clamore il tentativo di obbligare i medici a denunciare gli immigrati irregolari, ma per fortuna il Parlamento è stato in grado di sventare questa operazione. Ciò non toglie che i problemi ancora sussistano.
Attualmente agli indigenti non regolari è assicurata la medicina di primo livello e


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sono assicurate cure ambulatoriali e ospedaliere urgenti ed essenziali attraverso il codice STP, cioè straniero temporaneamente presente. Il problema è che l'assegnazione di questo codice spetta alle ASL o alla struttura che eroga la prestazione, ma non alle associazioni di volontariato, che in molti casi fanno servizio ambulatoriale, ma spesso non dispongono nemmeno del ricettario rosso. Accade, quindi, che i pazienti vengano inviati presso ambulatori ospedalieri, dove purtroppo la prestazione talvolta viene respinta perché il paziente si presenta senza ricetta, ricetta che garantisce il rimborso da parte della regione. Di conseguenza il codice STP non viene assegnato.
Esiste poi l'altro nostro problema cronico tale per cui i due livelli delle disposizioni dello Stato, da un lato, e delle politiche di competenza regionale, dall'altro, producono situazioni ambigue. È vero che è stato abrogato l'obbligo di segnalazione, ma si è delegato alle regioni il compito di tutelare gli immigrati. A seconda della maggioranza politica presente in una regione o nell'altra talune disposizioni sono state adottate e altre no. La Lombardia, per esempio, non ha fatto nulla per tutelare gli immigrati, mentre in Puglia e in Umbria agli immigrati irregolari è stato assegnato un medico generico. È strano che in Italia anche il diritto alla salute per un immigrato irregolare dipenda dalla regione nella quale si trova in quel momento.
Non so come potremo uscirne. Volevo soltanto segnalarle l'esistenza di due problemi. Il primo è quello dell'ignoranza di alcuni operatori sanitari riguardo al codice STP. L'altro purtroppo è la disinformazione degli immigrati stessi, che non conoscono i servizi di cui possono disporre e che spesso non sanno a cosa serva il codice STP e che può essere utilizzato per più prestazioni. La conseguenza, come molti di noi hanno verificato sulla propria pelle, e in particolare l'onorevole Turco che è responsabile di questo tema per il Partito Democratico, è che molti immigrati non si curano per paura. Qualcuno, per esempio, non va a farsi togliere il gesso, ma è poca cosa. Nel caso di malattie potenzialmente trasmissibili, invece, il fatto che gli immigrati irregolari non si facciano visitare rappresenta un problema per tutti.
Io non le chiedo di essere buono, Ministro, le chiedo di essere lungimirante. Il diritto alla salute dei migranti non è soltanto una causa umanitaria, è anche un bisogno per il raggiungimento di un miglior livello di salute per tutti. Questa non è una mia frase. È la frase con cui si chiude la Conferenza di Lisbona nel 2007.
Le affido questo problema e sono certo che lo tratterà con cura.

LUISA BOSSA. Signor Ministro, sul riparto dei 108 miliardi per il 2012 le regioni del Sud chiedono nuovi criteri di assegnazione. Io le chiedo se ritirerà il decreto di riparto approvato dal Ministro che l'ha preceduta o se ne formulerà un altro.
In ogni caso, vorrà tener conto delle condizioni socio-economiche delle regioni del sud, notoriamente più critiche, dal peso degli anziani al conteggio della popolazione, pur in presenza del censimento Istat ancora in corso?

VITTORIA D'INCECCO. Non ero iscritta a parlare, ma gli interventi mi hanno sollecitato a rivolgere una raccomandazione al signor Ministro, anche se sicuramente non ne avrà bisogno.
Tante sono le criticità e mai come in questo momento se ne è potuto accorgere. L'importante è stilare regole ben precise per le regioni, signor Ministro, altrimenti qualcuna si comporta in modo proprio e si arroga il diritto di decidere secondo la propria comprensione.
Vorrei che ci fosse una costante supervisione sulle regioni, ma soprattutto sui manager, che a volte mostrano troppa discrezionalità.

PRESIDENTE. Ringrazio i colleghi che sono intervenuti.


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L'incidenza degli interventi in questa sessione è stata notevolissima. Ha parlato più del 50 per cento degli appartenenti a questa Commissione. Ringrazio il Ministro di essere ritornato una seconda volta e di non aver mai avuto fretta. Di questo gli do atto pubblicamente.
Mi permetto di ringraziarlo anche per aver citato nella sua relazione non solo la legge sul governo clinico da molti altri richiamata, ma soprattutto la legge sul parto, che in questo momento è accantonata e di cui io ero relatore. Questa legge implica la possibilità per le donne che partoriscono - entriamo quasi nella medicina di genere, onorevole Turco - di usufruire della analgesia peridurale, ora non assicurata in tutte le regioni. È un punto che il Ministro stesso ha sollevato e mi fa piacere che due leggi da noi discusse abbiano ricevuto la sua attenzione.
Visti tutti gli altri problemi che qui sono stati analizzati e che tutti conosciamo, le auguro buona fortuna, signor Ministro, perché il programma e i tempi sono quelli che sono. Sicuramente la collaborazione di questa Commissione non le mancherà.
Do, quindi, la parola al Ministro Balduzzi per la replica.

RENATO BALDUZZI, Ministro della salute. Sono io che ringrazio voi, presidente e onorevoli deputati, anzitutto per l'interesse, ma anche per il sostegno. Ho percepito, anche da parte di commissari che, nella loro libertà, hanno ritenuto di non concedere la fiducia al Governo del senatore Monti, un atteggiamento di interesse e di disponibilità a confrontarsi sui temi affidati al Ministro della salute.
Cercherò di rispondere, nella misura in cui sono capace, a tutti gli interlocutori, sapendo che, se dal resoconto emergerà che non sono riuscito a cogliere qualcosa, colmerò le lacune. Inoltre, data la qualità degli interventi che ho ascoltato, invito chi di loro avesse piacere di farlo a trasmettere alla mia attenzione presso il Ministero il contenuto degli interventi. Al di là della mia capacità di appuntarmeli, ve ne sarei ulteriormente grato. Cercherò anche di rispondere a quegli interlocutori che non sono qui presenti, ma che hanno preso la parola nel corso di questi due incontri. Se lo vorranno, saranno loro a utilizzare il resoconto stenografico.
Non c'è bisogno che vi dica che i vostri interventi costituiscono un importante arricchimento. Non è semplice presentarsi in una Commissione di merito dove gli interlocutori, quasi sempre, possiedono una competenza almeno pari a quella del Ministro pro tempore. Nella mia relazione, dunque, io avevo cercato non di attenermi ai primi danni, ma di evitare, anche in ragione della natura del Governo di cui faccio parte, programmi esageratamente ambiziosi. Ho colto, però, che gli interventi hanno costituito non solo un arricchimento importante sugli oggetti prioritari, ma anche un'interlocuzione su alcuni degli argomenti che avevo accennato.
Con l'onorevole Barani mi permetto un dialogo preliminare. Se le linee di fondo del sistema sono buone, come anch'egli riconosce, forse potremmo insieme condividere che il sistema sia più da manutenere che da rivedere. Non si tratterebbe soltanto - mi rivolgo anche all'onorevole Miotto e all'onorevole Patarino - di una manutenzione ordinaria. Almeno nel mio intendimento, quando parlo di manutenzione ho in mente alcune cose che non corrispondono semplicemente alla riparazione degli eventuali guasti. Una manutenzione può anche comportare la sostituzione di alcuni strumenti che non hanno più lo stesso significato dell'inizio con altri, sempre però in tale ottica. A mio avviso è l'approccio opportuno a un sistema maturo, quale è il servizio sanitario nazionale, e riconosciuto come tale. Ho avuto occasione in altre sedi di verificarlo, e mi fa piacere affermarlo in questa che è la sede istituzionale.
Come ministri del Governo Monti, nonostante la difficoltà delle agende specialmente in questi tempi di grossa pressione su di noi, stiamo cercando di partecipare direttamente agli avvenimenti internazionali e non semplicemente di avvalerci della pure


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importante e qualificata presenza dei collaboratori o delle rappresentanze. In entrambi gli avvenimenti a cui ho partecipato, cioè il Consiglio dei ministri della salute dell'Unione europea e la riunione annuale della Global Health Security Initiative (GHSI), l'iniziativa del G7 più Messico sulla sicurezza sanitaria globale, ho riscontrato una grande attenzione nei confronti non della mia persona o del Governo Monti, ma del sistema sanitario italiano e delle sue articolazioni. Quando prendevo la parola per spiegare il funzionamento del nostro sistema notavo un rilancio di attenzione. Da questo punto di vista evidentemente il sistema è maturo. Ha bisogno di interventi di manutenzione, ma nel suo insieme tiene.
Data la situazione, credo che uno dei provvedimenti di manutenzione straordinaria sia quello di ritrovare nel Patto per la salute lo spazio per il rifinanziamento degli interventi di edilizia sanitaria ex articolo 20, anche se mi rendo conto che risponda ad alcuni soltanto degli interrogativi sollevati dall'onorevole D'Anna.
Ringrazio l'onorevole Pedoto per avere ricordato il problema dell'applicazione della legge sulle cure palliative. È un discorso che evidentemente non vale solo in questa materia. Noi siamo abbastanza bravi a disegnare regole e talvolta anche accordi, poi però arriva il momento dell'attuazione, su cui tornerò. Posso dire che qualcosa è già stato fatto perché il Ministero ha creato all'interno della Direzione generale della programmazione un ufficio dedicato alla verifica dell'attuazione delle cure palliative. Capisco che non sia tutto, perché bisogna accertare davvero che siano prestate da Bolzano ad Agrigento, ma con gli strumenti di cui possiamo disporre mi sentivo di dire almeno questo.
In un sistema con ventuno sottosistemi sanitari credo si debba aiutare chi è più debole a fare meglio. È il criterio di fondo che ispira anche la mia azione, sapendo però che tutti devono stare a certe regole. A questo proposito nel decreto legge cosiddetto «salva-Italia» c'è una norma interessante che riguarda le regioni entrate in piano di rientro per non aver rispettato alcuni parametri e che chiedono accesso alle quote premiali incentivanti una volta dimostrato di avere imboccato una via che un po' paternalisticamente siamo abituati a definire virtuosa.
Ebbene, prima del decreto legge queste regioni potevano disporre di un numero di anni non predeterminato per rimettersi in regola. Il decreto legge, invece, prevede la tagliola di cinque anni. Mi sembra che questa norma abbia grande importanza moralizzatrice e vada incontro ad alcune delle sensibilità che sono state espresse in quest'Aula. Era peraltro sfuggita all'attenzione degli osservatori, che in materia sanitaria si sono concentrati più su altri profili, come ad esempio le farmacie, su cui poi tornerò.
A tutti coloro che lo hanno chiesto, tra i primi l'onorevole Di Virgilio, oltre che al presidente Palumbo, assicuro naturalmente il mio impegno sul governo clinico e sul rischio clinico. Credo che l'onorevole Binetti abbia ragione a dire che la materia è difficile. Forse potrebbero bastare alcuni segnali, come per esempio una clausola che incentivi quella che tecnicamente si chiama giustizia riparativa. Un progetto del Centro «Federico Stella» dell'Università Cattolica, che da alcuni anni lavora su questi temi, offre indicazioni utili, tanto più utili in questa situazione perché di per sé poco costose.
Se la Commissione deciderà di riprendere la questione dell'intra moenia, sarò lieto di presentare proposte che riconducano l'attività professionale intramuraria dentro il quadro dei principi di fondo del servizio sanitario nazionale. Mi sembra questo il problema alla base di tutta la discussione sul punto.
Sulla nomina dei direttori generali vorrei essere molto chiaro. Mi rivolgo in particolare agli onorevoli Palagiano e Testa. Non sono gli unici che hanno toccato questo tema, ma vi hanno insistito parecchio. Credo che la mediazione della legge delega n. 419/1998 sia ancora valida. Le regioni chiedevano libertà totale di nomina e revoca dei direttori generali, chiedevano


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un spoil system totale. L'ufficio legislativo dell'allora Ministero della sanità, sulla base delle indicazioni del Ministro pro tempore, disse di no e stabilì che la nomina fosse fiduciaria, ma che la revoca richiedesse di dimostrare gravi motivi all'interno di un dato procedimento.
Questa discussione si svolgeva nel 1997. A distanza di quattordici anni tutti potrebbero riconoscere che l'ordinamento ha dato ragione al Governo. La Corte Costituzionale ha in più occasioni validato quella posizione, annullando leggi regionali che invece riproponevano la nomina e la revoca fiduciarie. La mediazione del 1998, quindi, mi pare ancora valida. Certo è che bisogna attuarla in modo virtuoso.
Servono altre regole per attuarla in modo virtuoso? Forse sì, ma sempre rispettando la logica del sistema. Credo che un concorso pubblico per i direttori generali creerebbe più problemi di quanti ne aiuterebbe a risolvere. Potrebbero, invece, bastare trasparenza e una migliore precisazione dei requisiti, se necessario, ma il tema è delicato, differenziando tra requisiti richiesti a chi ha esperienza dirigenziale in sanità e a chi non ce l'ha. Non si chiude la porta in faccia a nessuno, ma una differenziazione in ordine ai requisiti potrebbe essere prevista. Pongo la questione dubitativamente. Per contro, una maggiore procedimentalizzazione potrebbe essere utile anche per il conferimento degli incarichi di direzione di struttura complessa e di struttura semplice.
Passando ad altro argomento, la prevenzione mi pare l'attività normale da promuovere e ritengo che vada declinata con un'attenzione particolare ad alcune direzioni prioritarie. Credo che questo soprattutto sia lo spazio elettivo per la medicina di genere. Ragionavo qualche giorno fa con l'Associazione italiana degli oncologi medici (AIOM) proprio del fatto che in questo campo occorre un'attenzione non episodica o pubblicitaria.
Una formula che personalmente ho sempre amato molto è quella secondo cui il sistema sanitario nazionale si pone tra autonomie e coerenze di sistema. Questa potrebbe essere una sintesi dell'organizzazione del servizio sanitario nazionale. Da questo punto di vista le regole sui piani di rientro sono già interessanti. Vorrei ricordare sommessamente sia all'onorevole Molteni sia all'onorevole Rondini che abbiamo un quadro di regole molto costrittive e già al limite della tenuta costituzionale, nel senso che impongono alle regioni «meno virtuose» obblighi al limite - parlo forse più da costituzionalista che da Ministro della salute - dell'assetto costituzionale in materia.
Sono regole molto costrittive che danno buoni risultati quando c'è una «corrispondenza di amorosi sensi». Se non danno buoni risultati, è importante che questo sia evidenziato, ma il sistema applica già sanzioni. Bisogna evitare di sanzionare i cittadini al posto di sanzionare eventuali governanti che abbiano avuto qualche distrazione, ma il sistema possiede una propria compattezza. Può essere migliorabile, ma non partiamo da zero. È questo che mi premeva dire ai due parlamentari, a cui peraltro rinnovo il mio ringraziamento per l'attenzione dimostrata a questi argomenti e a un confronto costruttivo con il Ministro della salute.
Non si tratta di una mediazione tra compiti impossibili, come dimostra - lo dico in particolare all'onorevole Mancuso - la grande autorevolezza italiana in materia di sanità animale e veterinaria e in materia di sicurezza alimentare. Fuori d'Italia questo si percepisce subito. È un elemento indubbiamente importante ed è un modo per riscontrare l'attenzione che mi è stata richiesta.
Esiste il problema, sottolineato da parecchi interventi e in particolare da quello dell'onorevole Burtone, di una maggiore omogeneità per LEA, ticket, liste d'attesa e così via. Credo però che il metodo per la soluzione sia sempre lo stesso e cioè stringere un patto. Circa un anno fa Governo e regioni hanno approvato il Piano nazionale di governo delle liste d'attesa, in cui sono menzionati i medici di medicina generale e tutte le sensibilità che sono state ricordate. Certo che poi si tratta di


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passare da un'idea innovativa all'acquisizione culturale e legislativa e dall'acquisizione culturale e legislativa all'attuazione pratica e alla sua verifica e valutazione. Sono tre passaggi differenti.
Una volta che emerge una nuova idea - e qui ne sono venute fuori molte -, quest'idea deve diventare patrimonio comune nonché tradursi in leggi. Questo passaggio non basta, perché una volta che si è tradotta in legge deve diventare operativa. E non finisce neanche lì, perché una volta diventata operativa deve essere valutata e rivalutata in modo da far emergere nuovi problemi e rimettere in movimento il circolo. Questo è il meccanismo davvero virtuoso, ma richiede che tutti i soggetti abbiano almeno la disponibilità a procedere in tale direzione.
Anch'io, onorevole Grassi, mi accontenterei di qualche piccolo cambiamento, come quel Ministro della giustizia a cui lei alludeva e con il quale ho avuto la fortuna di collaborare quando era Ministro della difesa quasi vent'anni fa. Da questo punto di vista vi invito a non esitare nel contattare me e i miei uffici in ordine a questi piccoli cambiamenti, che talvolta sfuggono. Dovendosi occupare di tante cose, la grandezza delle buste non si nota.
Un tema aperto è quello relativo al finanziamento del servizio sanitario nazionale. Senza immaginare, almeno da parte mia, impropri ricorsi a ulteriori pilastri, ma restando fondati sull'unico pilastro della fiscalità generale, è certamente possibile insistere ancora sul dato di equità che la fiscalità generale comporta, purché questo non diventi problematico. Uno stimolo all'opting out, all'uscita dal sistema, determinerebbe scompensi organizzativi e finanziari e sarebbe contraddittorio con l'obiettivo giustamente evidenziato.
Come applicazione particolare dell'attenzione al piccolo, credo anch'io, onorevole Argentin, che siano possibili - e se sono possibili, dal mio punto di vista sono doverosi - interventi razionalizzatori, specialmente in alcune zone d'ombra del sistema, quali quelle a cui lei alludeva. Anche sotto questo profilo, quindi, ben vengano proposte tecnicamente dettagliate.
A proposito dei cosiddetti nuovi LEA, su cui avete insistito in molti, non voglio fare professione di ottimismo, perché dopo tre anni e mezzo sarebbe quanto meno fuori luogo. Tuttavia, dovrebbe essere più semplice perché almeno i passaggi sono diminuiti, tenuto conto che si tratta di un decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri. In ogni caso, poiché in una Commissione parlamentare il Ministro di un governo tecnico non dovrebbe fare melina, ma dire dove stanno i problemi, se li avverte, io credo che servano alcuni ritocchi volti a rendere maggiormente credibile la compensazione tra LEA ristrutturati e LEA nuovi, perché nel frattempo la cosa è andata avanti.
In tre anni e mezzo i diversi tavoli si sono variamente sbizzarriti e da parte sua anche il Ministero aveva avanzato proposte nuove e ulteriori. Credo che a questo punto, per ottenere la necessaria «bollinatura» e il conseguente controllo positivo della Corte dei conti, occorrano ancora alcuni limitati e veloci - almeno spero che sia così - ritocchi. Non fisso termini, ma ho detto in più occasioni che si tratta di un impegno prioritario.
Quanto agli ospedali psichiatrici giudiziari, con la collega Paola Severino stiamo mettendo a punto, e lo dico soprattutto all'onorevole Farina Coscioni, un progetto operativo per la dimissione di internati per i quali non sia necessaria tale condizione e per procedere al superamento, almeno parziale, dell'attuale organizzazione degli OPG, grazie a un accordo con le regioni interessate. Ormai il tema e più che maturo. Il mantenimento di questa situazione è intollerabile. Inoltre, alcune problematiche riguardano in generale la sanità penitenziaria, anche non di tipo psichiatrico.
Le cose che si possono fare naturalmente sono tante. L'onorevole Mosella richiamava un punto nevralgico quale quello del ruolo delle cure primarie e dei medici di medicina generale. Abbiamo ormai acquisito una terminologia che non era la nostra. Qualche regione li chiama


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gruppi di cure primarie, altre regioni usano diverse definizioni. Il dato culturale è acquisito, così come è acquisito ormai da molto tempo il dato legislativo. Sono altresì acquisiti ulteriori accordi a cascata sia nell'ambito dell'accordo nazionale sia a livello bilaterale tra le regioni. Mi piacerebbe vedere anche qualche buona pratica concreta, credibile e capace di continuità. Qualcosa si muove, ma perché le buone pratiche possano fare massa servono passaggi ulteriori.
Ognuno di noi ha le sue passioni. A me ha sempre colpito un testo dell'ottobre del 1945 del Comitato di liberazione nazionale Alta Italia-Veneto (i parlamentari veneti potranno apprezzarlo e verificarlo, se vorranno), nel quale il professor Augusto Giovanardi proponeva un servizio sanitario nazionale, ma organizzato su base regionale.

VINCENZO D'ANNA. È parente del senatore Giovanardi?

RENATO BALDUZZI, Ministro della salute. Non lo so, non l'ho verificato.
A parte questa capacità di prevedere il futuro nell'ottobre del 1945 in mezzo alle macerie e di immaginare un servizio sanitario nazionale organizzato su base regionale, qualcosa che sarebbe stato difficile fare accettare in Assemblea costituente, anche se l'apertura sull'assistenza sanitaria e ospedaliera alle regioni ci fu, si parlava di un Ministero di propulsione e di indirizzo, ma non pletorico e accentratore.
Questa formula mi ha sempre colpito. È chiaro che non basta volere che accada. Bisogna anche creare le condizioni in positivo e in negativo. In negativo, come è stato colto soprattutto dall'onorevole Turco, credo che l'assenza della sanità nel decreto legge «salva Italia» stia a dimostrare un approccio di questo tipo. L'avvio giovedì prossimo del tavolo per il Patto per la salute tra Governo e regioni potrebbe essere, invece, l'elemento positivo di questo approccio a un Ministero non pletorico e non accentratore, ma di propulsione e di indirizzo, che riesce a svolgere un ruolo dentro ventuno sottosistemi sanitari. Sarà peraltro decisivo riuscire a trovare l'equilibrio fra risorse limitate e qualità delle prestazioni.
Vi sono alcune code, ma non minori. Gli onorevoli De Nichilo e Roccella mi invitavano a dire qualcosa sulla questione delle farmacie e sull'articolo 32 del decreto legge «salva Italia». Vorrei anzitutto rispondere alle preoccupazioni espresse dall'onorevole Roccella. Non esiste un problema per quanto riguarda i farmaci contenenti sostanze stupefacenti o psicotrope e i farmaci a base ormonale, come la pillola e la pillola del giorno dopo, perché sono medicinali, come si usa dire, «monoricetta» cioè la cui ricetta non è ripetibile, e sono già esclusi dall'articolo 32 con il riferimento all'articolo 89 del decreto legislativo n. 219 del 2006. Non c'è materia di discussione perché sono già stati esclusi da questa norma.
In ordine alla questione complessiva, il punto di vista del Ministro della salute è semplice. A me interessa che, quale che sia il dispensatore, sia tutelata la salute. Non è il Ministero della salute ad aver proposto l'articolo 32, però ha concorso ad approvarlo, nel testo uscito dal Consiglio dei Ministri, ponendo una serie robusta di regole per ricondurre al sistema della farmacovigilanza e della filiera del farmaco questa scelta di autorizzare la vendita dei farmaci in fascia C anche alle parafarmacie.
Si potrebbe anche andare oltre, consentendo l'esclusione dalla vendita di determinati farmaci quando, con un determinato procedimento, sia dimostrato che le esigenze di salute pubblica lo richiedono. Tale è il punto di vista del Ministro della salute su questa questione, che sta suscitando molto scalpore.
Sul diritto alla salute degli immigrati non posso che prendere atto di quanto afferma l'onorevole Sarubbi. Siamo in presenza di un problema che tocca al tempo stesso un diritto fondamentale della persona e un interesse della collettività, come prefigura l'articolo 32 della Costituzione. È un diritto fondamentale dell'immigrato godere


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di una tutela sanitaria ed è interesse della collettività che sia così. Sotto questo profilo, onorevole Sarubbi, cercherò di essere lungimirante, come lei mi chiede, ma anche di essere buono.
All'onorevole Bossa, volevo rispondere che il mio punto di vista sul riparto - poiché l'ho già dichiarato in pubblico, non avrebbe senso non ribadirlo in Commissione parlamentare - è il punto di vista di chi, prendendo sul serio la normativa sul federalismo fiscale, reputa il riparto 2012 come la fine di un ciclo. Sotto questo profilo, forse non è il caso di accapigliarsi su una nuova criteriologia da applicare per un solo anno.
Sarebbe utile o più opportuno che per il riparto 2012 le regioni realizzino le migliori pratiche degli ultimi anni, senza immaginare cambiamenti. Il Governo le aiuterà, se del caso, e la proposta che avanzeremo andrà in questo senso. È il segno di una costante attenzione non soltanto all'esistenza, ma anche al funzionamento dei sistemi regionali, il che significa anche costante attenzione a una maggiore omogeneità. Con ciò rispondo alle preoccupazioni da ultimo espresse dall'onorevole D'Incecco. Vi ringrazio.

PRESIDENTE. Ringrazio il Ministro Balduzzi e, nell'augurargli buon lavoro, dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 16,05.

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