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Resoconti stenografici delle audizioni

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Commissione XIV
3.
Mercoledì 23 febbraio 2011
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Pescante Mario, Presidente ... 2

Audizione del parlamentare europeo Roberto Gualtieri sulle iniziative per l'istituzione di un meccanismo permanente di stabilizzazione dell'area euro (ai sensi dell'articolo 127-ter, comma 1, del Regolamento):

Pescante Mario, Presidente ... 2 7 10 15 16
Formichella Nicola (PdL) ... 9
Gottardo Isidoro (PdL) ... 9 15
Gozi Sandro (PD) ... 7 14
Gualtieri Roberto, Parlamentare europeo ... 2 11
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Futuro e Libertà per l’Italia: FLI; Italia dei Valori: IdV; Iniziativa Responsabile (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, La Discussione): IR; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.

COMMISSIONE XIV
POLITICHE DELL'UNIONE EUROPEA

Resoconto stenografico

AUDIZIONE


Seduta di mercoledì 23 febbraio 2011


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
MARIO PESCANTE

La seduta comincia alle 14,35.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione del parlamentare europeo Roberto Gualtieri sulle iniziative per l'istituzione di un meccanismo permanente di stabilizzazione dell'area euro.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, ai sensi dell'articolo 127-ter, comma 1, del Regolamento, del parlamentare europeo Roberto Gualtieri sulle iniziative per l'istituzione di un meccanismo permanente di stabilizzazione dell'area euro.
Si tratta di temi di particolare interesse per la Commissione.
Vorremmo veramente capire, con riferimento al meccanismo europeo permanente di stabilizzazione, come la sostituzione di questo regime transitorio, che scade nel 2013, si ripercuota anche, non sul nostro Paese, ma sui Paesi che sono al limite tra i Paesi PIGS e quelli virtuosi. Io credo che questo sia un problema delicato dal punto di vista giuridico, ma soprattutto dal punto di vista politico.
Penso sia giusto assecondare pragmaticamente l'esigenza del Paese che più contribuisce e contribuirà ai meccanismi di stabilizzazione: in questo caso, tra l'altro, si deve parlare di più Paesi.
Lei sa tuttavia meglio di me - tenendo conto della sua nazionalità - che c'è il rischio che purtroppo la severità delle iniziative possa strangolare ulteriormente l'economia di certi Paesi, che hanno bisogno di meccanismi diversi. Io ho avuto un incontro con il Viceministro degli esteri tedesco, che è delegato alle politiche europee e che ha sottolineato che adesso la strada deve essere quella della stabilità, che ha prodotto per l'economia tedesca il balzo di produttività che conosciamo.
Le sarei molto grato se potesse darci delle indicazioni sui contenuti delle regole, tenendo presente che si sono delineate varie posizioni. Mi pare - se non ho capito male - che ormai la Germania condizioni il suo accordo sul fondo di soccorso agli Stati (chiamiamolo così) a dei punti che abbiamo avuto modo di apprendere dalla stampa. Comunque, nulla di meglio dell'incontro di oggi, in cui lei potrà illustrarci meglio la situazione; le do quindi volentieri la parola.

ROBERTO GUALTIERI, Parlamentare europeo. Grazie, presidente, per l'opportunità di discutere con il Parlamento italiano un tema così rilevante.
Lei, giustamente, ha collocato la questione della riforma del Trattato nell'ambito della più generale discussione in atto sui temi della governance economica europea. Sicuramente, questi elementi sono strettamente collegati tra loro. Per esporre brevemente la posizione del Parlamento europeo e la mia personale su tali temi, vorrei provare sinteticamente a fissare i principali elementi di questa procedura


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che si è avviata, per cercare anche di sottolineare quelli che mi sembrano i nodi più problematici, sia in una dimensione europea, sia anche dal punto di vista di un Paese come l'Italia.
Com'è noto, il Consiglio europeo del dicembre scorso ha dato avvio a una procedura di revisione semplificata del Trattato di Lisbona, sulla base, formalmente, di una proposta del Governo belga - il presidente del Consiglio europeo non ha diritto di iniziativa - la quale propone un emendamento all'articolo 136 del Trattato, per dare la possibilità agli Stati nazionali, con moneta euro, di costituire un meccanismo di stabilità permanente.
La decisione è stata quella di realizzare questo emendamento al Trattato di Lisbona, attraverso la procedura semplificata, che prevede - dal punto di vista del Parlamento europeo - un semplice parere, così come da parte della Commissione e della Banca centrale europea, e un voto unanime del Consiglio europeo. Naturalmente, essa prevede, poi, una complessa e inevitabilmente lunga procedura di ratifica, che, in seguito, variamente - ora non entro nel dettaglio - si incrocia con specifiche modalità, diverse nei diversi Paesi: insomma, la procedura prevede ventisette ratifiche per questa riforma del Trattato.
Noi, come Parlamento europeo, abbiamo da subito manifestato una certa preoccupazione e anche alcune perplessità, sia per la procedura prescelta, sia per il merito della proposta. Preoccupazioni e perplessità che non rappresentano una contrarietà all'istituzione di un meccanismo permanente di stabilità, che, anzi, ci sembra una cosa utile e importante e un ulteriore passo avanti sulla strada dell'integrazione europea e della capacità di dotare l'euro di un effettivo governo economico. Tuttavia, il tipo di procedura prescelta e la formulazione dell'emendamento al Trattato sollecitano alcune riflessioni.
Non mi addentro in una disamina giuridica, ma fisso soltanto alcuni paletti. Innanzitutto, noi abbiamo già - come lei ha giustamente ricordato - un meccanismo di stabilità, che non è permanente, ma che tuttavia esiste. Esso ha solamente una base giuridica diversa, che è quella dell'articolo 122, paragrafo 2, del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea che effettivamente lega quest'intervento a circostanze eccezionali, che vadano oltre il controllo degli Stati membri. Tuttavia, noi abbiamo attualmente un meccanismo che si regge su due gambe, una intergovernativa, la EFSF (European Financial Stability Facility) che ha 440 miliardi di euro, e una comunitaria, l'EFSM (European Financial Stabilisation Mechanism), che emette titoli sulla base di una garanzia del bilancio dell'Unione europea. Tra l'altro - apro una parentesi - i mercati sembrano preferire questa seconda opzione alla prima, perché gli spread dei titoli emessi dall'EFSM sono più bassi, ossia si collocano con più facilità i titoli della gamba comunitaria, rispetto a quelli della gamba intergovernativa.
Aggiungo che il Trattato di Lisbona dice chiaramente che la politica monetaria dei Paesi di moneta euro è una competenza esclusiva dell'Unione europea e che anche gli Stati membri devono coordinare le politiche economiche all'interno dell'Unione europea. Quindi, il Trattato è abbastanza chiaro, dal punto di vista dell'attribuzione delle competenze.
Secondo noi, il Trattato poteva consentire anche di rafforzare, rispetto all'articolo 122, qualora lo si ritenesse necessario, la base giuridica degli attuali meccanismi anche in altri modi, sia all'interno dello stesso articolo 136 del medesimo Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, sia utilizzando la clausola di flessibilità, ovvero l'articolo 352, che avrebbe avuto dei meccanismi di ratifica meno complessi e rischiosi. Inoltre, si potrebbe pensare addirittura ad una combinazione degli articoli 352 e 136, ovvero un'attivazione della flessibilità solo da parte dei Paesi di moneta euro.
C'è, quindi, una prima riflessione relativa al fatto che, dal nostro punto di vista, non è strettamente necessaria questa riforma, nella prospettiva di ciò che affermano i trattati, nel senso, forse, che questi ultimi avrebbero potuto offrire altri strumenti,


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meno rischiosi, per ottenere lo stesso risultato. La preoccupazione è quella di un eventuale problema nel corso delle procedure di ratifica, che inevitabilmente avrebbe delle conseguenze drammatiche, se non devastanti. Infatti, quando è stata bloccata la ratifica della Costituzione europea è stato possibile fare una versione ridotta del Trattato di Lisbona, ma in questo caso, trattandosi di una modifica di poche righe, varando la quale si dice anche che l'attuale meccanismo non è sufficientemente solido dal punto di vista giuridico, in qualche modo ci stiamo legando le mani. E a quel punto, se non si realizzano le ratifiche non si può né più attuare il meccanismo attuale - o almeno lo si potrebbe in seguito contestare - né fare una versione ridotta di una cosa che è già stringata: quindi se uno dei 27 Parlamenti nazionali crea dei problemi, l'euro - a tale punto - avrebbe delle grandissime difficoltà. In questo modo, inoltre, noi mettiamo l'euro nelle mani di Paesi che non hanno tale moneta e che potrebbero anche decidere di alzare il prezzo e di avviare delle trattative, condizionando la loro ratifica all'ottenimento di concessioni su altri fronti. Insomma, si tratta di una strada che lascia perplesso il Parlamento europeo. Quindi, io tenevo innanzitutto ad esporre le ragioni di questa perplessità. Questa strada invero è stata percorsa - lo diceva il presidente - per ragioni strettamente inerenti alla politica tedesca, tant'è vero che, quando essa è stata prospettata per la prima volta, ventisei Paesi su ventisette - all'ECOFIN - hanno detto di no, compresa la Commissione. Esiste anche un parere giuridico della Commissione, che poi è scomparso, ma che c'era ed era negativo, con gli stessi argomenti. Poi, su forte insistenza - a livello di Consiglio europeo - del Cancelliere tedesco, alla fine l'unanimità si è formata, ma si trattava di un'unanimità che partiva da un 26 a 1. Questa era, infatti, la posizione originaria, stando a quanto abbiamo avuto modo di sapere. Ebbene, la Germania ha insistito così, per ragioni in parte giuridiche e in parte politiche.
Le motivazioni giuridiche derivano dal fatto che a Berlino si ritiene che a maggio potrebbe arrivare una sentenza della Corte costituzionale che dichiari incostituzionale, dal punto di vista tedesco, l'attuale meccanismo. Invece, in presenza di una decisione del Consiglio che avvii una procedura di riforma del Trattato, stabilendo una diversa base giuridica, si ritiene che la stessa Corte tedesca - il cui presidente andrà in pensione a dicembre e probabilmente il suo successore non avrebbe comunque la stessa linea, ma attualmente è questa - avrebbe una linea più morbida, e quindi, non dichiarerebbe incostituzionale l'attuale meccanismo.
La seconda ragione è di natura politica, perché la strada alternativa - che, ai sensi della sentenza della Corte costituzionale tedesca sulla ratifica del Trattato di Lisbona, a detta di molti, avrebbe potuto, in ogni caso, mettere in sicurezza il meccanismo di stabilità, e cioè l'utilizzo della clausola di flessibilità dell'articolo 352 - richiederebbe una procedura parlamentare di autorizzazione al Cancelliere pesante come quella di una riforma del Trattato, se non più pesante, con la differenza che il voto del Bundestag - con la maggioranza dei due terzi - sarebbe richiesto prima del Consiglio europeo, quindi anche prima delle elezioni regionali tedesche, già avviate con il voto di Amburgo e che seguiranno fino alla fine di marzo. Quindi, ci sono ragioni per ritenere che abbiano prevalso considerazioni di natura giuridica, ma anche di politica interna, nell'indurre la Germania a percorrere questa specifica strada di una riforma con la procedura semplificata del Trattato di Lisbona.
Naturalmente, il Parlamento europeo può dare solo un parere e quindi non ha il potere di impedire al Consiglio di percorrere questa strada. Esso deve, perciò, agire con un certo realismo e anche con senso di responsabilità, perché i mercati sono molto sensibili a tale vicenda.
Io e il collega Elmar Brok siamo relatori sulla modifica dell'articolo 136 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea e abbiamo avuto consultazioni


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con i presidenti Van Rompuy, Trichet e Barroso e con il Commissario europeo Olli Rehn. Quindi, c'è la consapevolezza della notevole sensibilità del tema.
Il Parlamento europeo non deve impedirsi di esporre le proprie perplessità, ma non deve neanche agire in modo eccessivamente irresponsabile, rispetto ad una questione altamente sensibile.
L'altra gamma di perplessità che abbiamo riguarda il merito concreto della proposta di emendamento, che voi avete nel dossier che è stato preparato dal servizio giuridico del Parlamento e della Commissione. Si tratta di un meccanismo, così come viene delineato, di natura eminentemente intergovernativa. In altre parole, si autorizzano gli Stati membri a stabilire tra di loro, non all'interno della struttura istituzionale dell'Unione europea, un meccanismo. Quindi, qualcosa di analogo all'attuale EFSF e non all'attuale EFSM. Questa natura esclusivamente intergovernativa del meccanismo di stabilità pone alcuni problemi, innanzitutto di natura istituzionale. Infatti, bisogna anche capire se siamo di fronte a una procedura come quella prevista dall'articolo 2, paragrafo 1, del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, in cui si dà il potere a degli Stati di legiferare su argomenti su cui c'è una competenza esclusiva dell'Unione - in questo caso non sarebbe necessaria una riforma del Trattato - anche se il presidente Van Rompuy dice che non è questo il caso. Occorre capire se siamo di fronte a una diminuzione di competenze dell'Unione europea. Si tratta - ripeto - di una competenza esclusiva dal punto di vista della politica monetaria e di una competenza da esercitare nell'ambito dell'Unione, dal punto di vista della politica economica. Quindi, nel momento in cui lo si attua fuori dall'Unione europea, si potrebbe dire che questa è una riduzione delle competenze. Ebbene, l'utilizzo della procedura semplificata è molto controverso nel caso di una diminuzione delle competenze, perché si dice chiaramente che l'aumento o la diminuzione di competenze richiederebbe la procedura ordinaria, non la semplificata.
È vero che, alla fine del paragrafo 6 dell'articolo 48 del Trattato sull'Unione europea, si dice che la procedura semplificata è espressamente vietata solo per l'aumento delle competenze, quindi non si dice espressamente che è vietata per la loro riduzione. Tuttavia, in realtà, la lettura congiunta col paragrafo 2 - dove invece si dice che la riduzione di competenze richiede la procedura ordinaria - fa dire alla maggior parte dei giuristi che una riduzione di competenze dell'Unione richiederebbe una procedura ordinaria. Tant'è che anche qui, su richiesta, il presidente Van Rompuy, il Consiglio europeo, ci dice che questa non è una riduzione di competenze.
Tuttavia, nel momento in cui si attribuisce agli Stati membri, da soli, al di fuori dell'Unione europea e senza alcun ruolo per le istituzioni europee, il compito di occuparsi di una cosa che in parte è competenza esclusiva dell'Unione e in parte richiede agli Stati membri di agire all'interno dell'Unione, il fatto che non siamo di fronte ad una riduzione di competenze dell'Unione è obiettivamente discutibile, ossia tutt'altro che assodato. Dunque, in primo luogo, il modo in cui è formulato l'emendamento pone dei problemi di natura costituzionale, ma soprattutto - perché poi qui siamo dei politici innanzitutto - problemi di natura politica. Ci si domanda, quindi, quale strada sta prendendo l'Unione europea, rispetto a questo rafforzamento positivo della sua integrazione e soprattutto rispetto ai meccanismi di governance economica. In altre parole, fare ciò per via intergovernativa rischia di creare potenzialmente quasi un dualismo tra l'Eurogruppo da una parte e l'Unione europea, con le sue istituzioni, dall'altra, quando il Trattato prevede in realtà di collocare all'interno dell'Unione europea delle procedure specifiche per i Paesi dell'euro, come appunto all'articolo 136.
Quindi, se il Trattato lo consente, perché invece si sceglie questa strada di collocare al di fuori delle istituzioni dell'Unione europea degli elementi così sostanziali di integrazione e di governance


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economica? Questa preoccupazione politica cresce se si guarda anche il testo, poi ritirato - quindi formalmente inesistente, ma tuttavia esistente - presentato dalla Germania e dalla Francia nello scorso Consiglio europeo sul patto per la competitività. Il testo, in lingua tedesca, prevede dei meccanismi stringenti, che tuttavia anch'essi hanno la forma - anche se c'è un paragrafo non chiaro su un tentativo di coordinamento con l'assetto del Trattato - di un accordo stipulato tra un gruppo di Paesi, di un sorta di trattato, senza un ruolo per le istituzioni europee e per la Commissione europea. Questo determina, tra l'altro, un rischio di discrezionalità maggiore, perché poi i meccanismi per essere non discrezionali devono sorreggersi su istituzioni terze. Trattandosi, invece, di accordi tra Stati risulterebbe molto più difficile capire chi garantisce che non si adottino due pesi e due misure, a seconda che magari lo Stato che non rispetta l'accordo sia importante o meno importante.
Quindi, il rischio di una tendenza a collocare gli strumenti e i meccanismi di crescente integrazione, dal punto di vista della governance economica, al di fuori della struttura istituzionale dell'Unione europea - quindi andando anche al di là del metodo comunitario, perché qui lo mettiamo proprio fuori dall'Unione e non solo dal metodo comunitario propriamente detto, ovvero la procedura legislativa ordinaria, e così via - è un rischio politico che noi segnaliamo.
Da questi elementi scaturisce la linea - non ancora formalizzata in un draft, che stiamo per licenziare in queste ore - che è quella di un consenso, che non nasconde le perplessità giuridiche, ma che è vincolato a due condizioni. La prima è quella di una riformulazione dell'emendamento, che lo collochi all'interno dell'Unione europea. Qui la proposta è quella di farne una lettera c) dell'articolo 136, paragrafo 1, e non un punto 3, e quindi collocare materialmente il meccanismo e dare un ruolo alla Commissione, con formulazioni come «su raccomandazione della Commissione o informando il Parlamento europeo». Poi ci sono dei modi diversi in cui ciò si può fare, ma, insomma, il concetto è quello di un emendamento all'emendamento.
La seconda condizione è quella di un impegno del Consiglio europeo, attraverso l'esito di una discussione col Parlamento, a definire delle modalità operative e concrete di funzionamento del meccanismo, che in qualche modo stabiliscano un ponte tra esso e le istituzioni europee. Ciò al fine di avviare un processo analogo magari a quello che si ebbe con Schengen, in cui un meccanismo iniziato come intergovernativo, finì, poi, per avere un effetto sull'intera struttura comunitaria. Quindi, a questo riguardo, noi proponiamo di dare un ruolo alla Commissione nella definizione delle modalità operative del meccanismo e che il segretariato sia dato dalla Commissione, quindi senza creare un segretariato esterno. Infatti, una volta create delle istituzioni esterne, queste hanno una loro inerzialità. Insomma, una serie di elementi non presenti nel Trattato, ma che in qualche modo aiuterebbero a collegare di più il futuro meccanismo permanente di stabilità finanziaria (ESM) alle istituzioni europee. Questa è la linea che, come Parlamento europeo, stiamo prendendo. A ciò devo aggiungere - e concludo - che è stata già votata dalla Commissione ECON (affari economici e monetari) del Parlamento europeo l'opinione al rapporto della Commissione AFCO (affari costituzionali) del medesimo Parlamento europeo, di cui siamo relatori io e Brok. Nell'opinione della Commissione ECON si propone lo stesso tipo di emendamento, ovvero collocare l'emendamento al Trattato nella lettera c) e non nel punto 3, inserendo ciò nell'ambito di alcune considerazioni che riguardano il rafforzamento dei meccanismi di governance economica, soprattutto concernenti la gamba preventiva e correttiva del patto di stabilità. Inoltre, vi si prefigura la possibilità dell'emissione di eurobond. Quindi, questa della Commissione ECON è un'opinione positiva.
Infine, la Commissione europea ha dato il suo parere. Noi abbiamo discusso con la Commissione e abbiamo anche ravvisato - devo dirlo francamente - una certa debolezza


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politica della Commissione stessa, rispetto alla difesa delle proprie prerogative. Tuttavia, la Commissione ha dato alla fine un'opinione, che è favorevole ma che, anche grazie agli interventi dell'ultimo minuto sul suo testo, pone una serie di paletti. In particolare, la Commissione solleva tre aspetti importanti. Il primo è che l'istituzione del meccanismo non fa venir meno la possibilità di utilizzare l'articolo 122, come si sta facendo attualmente. In altri termini, contrariamente a quello che dice il Consiglio europeo, secondo la Commissione non viene meno la possibilità di fare quello che si sta continuando a fare. Il secondo punto è che la governance economica dell'Unione europea costituirà la base sulla quale il meccanismo di stabilità dovrà necessariamente appoggiarsi. Naturalmente, noi ci chiediamo in che modo questo avverrà. Si tratta, infatti, di un auspicio, ma il problema è che concretamente la formulazione dell'emendamento al Trattato non contempla il caso di questa possibilità per il meccanismo di appoggiarsi sulla governance economica. Infine, la Commissione si riserva di prendere tutte le iniziative legislative o altre iniziative per garantire la coerenza tra questo meccanismo e l'insieme delle misure connesse al pacchetto della governance economica, su cui - come sapete - ci sono 6 proposte legislative della Commissione sul tappeto.
Quindi, da questo punto di vista, al di là del fatto che forse le altre considerazioni potevano essere formulate con maggiore incisività, questi elementi sono positivi. Tuttavia, dalle informazioni che ci giungono circa i negoziati in corso sulla concreta definizione del meccanismo, il documento che abbiamo avuto informalmente definisce un meccanismo che non dà un particolare ruolo alle istituzioni europee, non si appoggia sulla governance europea ed è totalmente intergovernativo. Quindi, su ciò bisognerà lavorare ancora e io spero che anche il Parlamento italiano dia il suo contributo, per cercare di fare in modo che questo passaggio, così delicato, costituisca un passo avanti verso un rafforzamento dell'Unione europea e delle sue istituzioni e non, invece, un passo indietro, verso una maggiore «intergovernamentalizzazione» di funzioni politiche essenziali, chiaramente definite dai trattati come competenze dell'Unione europea.

PRESIDENTE. Onorevole Gualtieri, è un piacere ascoltarla, per la coniugazione della sua esperienza di esperto di affari costituzionali con il suo background di scrittore e ricercatore non solo in storia contemporanea, ma anche in storia dell'integrazione europea, se ho ben capito. Lei ha detto che noi siamo anche politici, ma ascoltarla sul piano rigorosamente giuridico e tecnico ci fa ancora più piacere, perché questa è una Commissione in cui le differenziazioni degli schieramenti politici contano fortunatamente meno. Quindi, le siamo grati di aver avuto un approccio così diretto e tecnico.
Do ora la parola ai colleghi che vogliano porre quesiti o svolgere osservazioni.

SANDRO GOZI. Innanzitutto, voglio ringraziare il collega Gualtieri, per la sua presenza e per l'ottima esposizione di un tema che è particolarmente rilevante. Se dovessi dare un titolo a questa audizione, direi: «Purtroppo c'è un giudice a Berlino, in Germania, ma per fortuna va in pensione a dicembre!».
Visto che ieri nella discussione sulla legge comunitaria abbiamo invocato la responsabilità civile dei giudici, non introdurrei oggi l'argomento. La mia era una battuta che purtroppo corrisponde alla realtà, perché è evidente che questa vicenda ha molto più un sapore tedesco piuttosto che europeo.
Credo che questo sia il primo punto su cui dobbiamo riflettere. Questa vicenda nasce in Germania, per un dibattito interno alla CDU/CSU e per le difficoltà politiche e giuridiche del Cancelliere Merkel. Questo è il primo punto politico da considerare.
È evidente, infatti, che dal punto di vista italiano inevitabilmente questo dibattito sul meccanismo di stabilizzazione permanente deve incrociarsi con i difficili


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negoziati in corso sulla governance economica; difficili anche per quanto riguarda l'Italia, per deficit e debito pubblico.
Io credo che dovremmo chiedere al Governo - e avremmo potuto approfittare della fugace apparizione di questa mattina in Parlamento del Ministro Tremonti - di prendere una posizione, perché è evidente che il conto alla rovescia è cominciato: da qui all'11 marzo per noi si prospettano dei negoziati molto difficili. Credo, quindi, che l'Italia dovrebbe approfittare proprio dell'esigenza tedesca di avere, attraverso questa procedura di revisione in via semplificata, un meccanismo di stabilizzazione permanente, per ottenere delle contropartite in un negoziato che è giuridicamente distinto, ma politicamente collegato, ovvero quello sulla governance economica.
Io credo che questo sia il primo punto politico, che emerge chiaramente dalle informazioni che il collega Gualtieri ci ha dato e sul quale mi permetto, presidente, di tornare a chiederle un'audizione del Ministro Tremonti prima dell'11 marzo.
Lo ricordo anche perché, dopo tutto, l'Italia è il terzo contribuente nel meccanismo di stabilizzazione. Quindi, anche dal punto di vista dell'impegno finanziario nazionale, dovremmo avere qualcosa da dire in più, rispetto a questa vicenda.
In secondo luogo, io condivido in pieno le preoccupazioni del Parlamento europeo, dell'onorevole Gualtieri e dell'onorevole Brok, perché è palese che questa vicenda poteva essere benissimo risolta positivamente restando all'interno dell'alveo comunitario, utilizzando la clausola di flessibilità e gli strumenti che il Trattato predispone. Diciamo sempre di sfruttare pienamente le potenzialità del Trattato di Lisbona, e questa era un'occasione, anche per evitare quei rischi di frammentazione dell'azione esecutiva, che già sono presenti all'interno dell'Unione europea e che già incidono in maniera rilevante in alcuni settori critici, come l'economia, che uscirà ancora più accentuata, addirittura stando proprio fuori dall'Unione europea, secondo quanto emerge dalla posizione del Consiglio.
Anche su questo dovremmo chiedere al Governo di prendere una posizione, che cerchi di tutelare al massimo il nostro interesse, che consiste nell'avere un meccanismo che rientri, per quanto possibile, all'interno dei meccanismi comunitari.
Certamente, è positiva la proposta di dare la possibilità alla Commissione di esprimere una raccomandazione nella procedura in corso e nel meccanismo permanente che verrà, e anche quella di stabilire almeno la previa consultazione del Parlamento europeo.
Chiedo al collega Gualtieri se è possibile o se è già previsto che, anziché di Stati membri, si parli di Consiglio, nel momento in cui si dovranno indicare i luoghi in cui si prendono le decisioni relative al meccanismo permanente.
Inoltre, sebbene io comprenda che politicamente sia difficile, in ogni caso chiedo - e credo che dovremmo chiederlo al Governo - di collegare in qualche modo, non a livello giuridico ma in dichiarazioni politiche allegate, la questione del nuovo meccanismo di stabilizzazione e la questione del bilancio comunitario. Se, in questi giorni, avevamo bisogno di un esempio sul costo della non Europa comunitaria, lo abbiamo avuto nel momento in cui ci viene riferito che gli spread dei prestiti fatti attraverso il meccanismo comunitario sono più vantaggiosi di quelli fatti attraverso il meccanismo intergovernativo, che però è di 7-8 volte maggiore per quanto riguarda i fondi predisposti. Non dobbiamo lasciar passare inosservato questo punto, poiché è di grande rilevanza politica.
I meccanismi comunitari sono considerati più affidabili dai mercati in questo campo. Nonostante ciò, i Governi privilegiano un approccio intergovernativo che, peraltro, mi preoccupa ancora di più, perché purtroppo è un'applicazione - assieme al patto di competitività, come è stato ricordato - della nuova dottrina Merkel, che ha teorizzato (vi invito a leggere il discorso di Bruges) questo metodo dell'Unione, non intergovernativo né comunitario, ma dell'Unione.


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Purtroppo Angela Merkel non ha il pregio del coraggio politico, ma quello della coerenza, e così sta dando seguito, sia attraverso il patto di competitività, sia attraverso la linea del meccanismo permanente, a questa sua nuova dottrina. Una dottrina che è sbagliata per l'Europa e pericolosa per l'Italia. Infatti, nel momento in cui, come Italia, al di là del dibattito interno tra maggioranza e opposizione, accettiamo di uscire dai meccanismi comunitari e agiamo in una logica intergovernativa di direttorio, risultiamo sempre sconfitti. Anche per questo, dunque, avremmo interesse a collegare politicamente questi aspetti.
Infine, è evidente - lo ricordo ai commissari - che questo dibattito rende ancora più urgente il lavoro che stiamo conducendo di revisione della legge n. 11 del 2005. Ricordo, infatti, che una serie di Parlamenti hanno già previsto la procedura di ratifica per le decisioni che scaturiranno da questo procedimento: addirittura con legge costituzionale, come la Germania, oppure con procedure di approvazione in via legislativa come Francia, Regno Unito e Spagna. Dal momento che stiamo concludendo il nostro lavoro, grazie all'azione del relatore Gottardo, teniamo presente che se avessimo già adottato la revisione della legge n. 11 del 2005 avremmo, come Parlamento, uno strumento in più, vincolante, per orientare il Governo in questo negoziato.

NICOLA FORMICHELLA. Sono d'accordo con la prima parte dell'intervento dell'onorevole Gozi: la modifica del Trattato di cui ci stiamo occupando - come riconosciuto anche nella bozza di relazione - non è necessaria sul piano giuridico ed è essenzialmente una questione che riguarda ragioni interne alla politica tedesca.
Credo che, per questi motivi, si tratti di un precedente molto pericoloso. C'è, infatti, il rischio che in futuro altri Stati, soltanto perché si sentono più autorevoli di altri, invochino modifiche dei trattati. Non credo che questo sia positivo.
L'Italia, che pure avrebbe avuto interesse o ha interesse a ottenere modifiche specifiche - per esempio su emissioni di eurobond ed altre questioni - si è responsabilmente astenuta dall'avanzare richieste di questo genere.
Alla luce di queste considerazioni, io ritengo che il Parlamento europeo dovrebbe avere il coraggio di esprimere un parere negativo, ma poiché credo che non lo avrà, a mio avviso si deve subordinare questo parere a delle condizioni stringenti. Il progetto di relazione Gualtieri-Brok sicuramente ne prospetta alcune condivisibili, soprattutto ai fini della predisposizione delle regole di condizionalità. Tenuto conto, però, della rilevanza della modifica, si potrebbe forse osare di più e chiedere, in particolare, che il Consiglio europeo di marzo dia un espresso mandato alla Commissione e all'Ecofin affinché presentino uno studio di fattibilità in merito alla proposta di istituire un'agenzia europea per il debito avanzata dal nostro Ministro Tremonti insieme al presidente dell'Eurogruppo Juncker.
Su questi temi siamo sensibili e attenti, e credo che questo possa essere un modo per l'Italia, ma anche per l'Europa, di evitare di subordinarsi a un Paese soltanto.

ISIDORO GOTTARDO. Vorrei ringraziare innanzitutto l'onorevole Gualtieri perché la sua audizione è stata utile, anche in relazione al lavoro che abbiamo in corso per la revisione della legge n. 11 del 2005 e a conferma, a mio giudizio, della necessità di superare un certo approccio provinciale dell'Italia rispetto alle questioni europee.
Personalmente, sono convinto che i princìpi stabiliti nel trattato che ha portato alla Costituzione europea hanno un valore universale e sono i punti di riferimento da tenere presenti. A parte ciò, riguardo all'idea che spesso noi abbiamo, o che qualche volta ci costruiamo, che l'Europa, nell'emanazione delle proprie direttive e delle proprie decisioni, prescinda da condizionamenti e che rappresenti il bene assoluto, dobbiamo ricordare che, in


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realtà, ogni atto è il frutto di compromessi datati che in quel momento ne condizionano l'emanazione con il suo contenuto.
A mio avviso, anche questo dato relativo alla Germania è assolutamente scontato. Chiunque abbia esperienza in materia sa perfettamente che non vi è nessuna storia degli atti dell'Unione europea che in quel momento non abbia dovuto fare i conti con una condizione particolare di quel Paese. Del resto, le regole internazionali sono sempre state leggi assolute per i deboli e mai per chi è in grado con la forza di interpretare quelle leggi o di cambiarle secondo il proprio bisogno.
L'ONU, ad esempio, è un organismo che impone le regole per chi non ha la possibilità di avere qualcuno che ponga il veto rispetto ad esse. Credo, perciò, che questo approccio debba essere molto realistico, rispetto sia a questo percorso sia a quello che abbiamo davanti.
Mi scuso per il mio intervento - soprattutto con l'onorevole Gualtieri - ma ovviamente io sono anche molto condizionato dal dibattito che abbiamo in corso rispetto alla revisione della legge n. 11 del 2005, alla citata ratifica e con quale procedura, alle questioni dei trattati. Spesso, a sproposito, si chiamano a riferimento storie di altri Paesi, perciò è del tutto evidente che forse sarebbe più utile sospendere il procedimento in corso, attendere le elezioni dei Länder in Germania e riprenderlo in un momento successivo.
Voglio concludere il mio intervento con un ragionamento rispetto al finanziamento. Sono rimasto colpito da una frase che sembra così banale e allo stesso tempo così terribilmente vera, considerando quello che sta succedendo nel Mediterraneo e anche - mi si consenta - la disattenzione ripetuta, grave, colpevole dell'Europa rispetto alle questioni del Mediterraneo. Ogni volta che si è tentato, in passato, di porre l'attenzione sul Mediterraneo, diventava sempre un'attenzione bilaterale, cioè Baltico e Mediterraneo, come se le due questioni avessero, in qualche maniera, un'analogia di problemi e di prospettive.
Credo che il Ministro Tremonti, da Parigi, abbia dato, come sempre con una battuta, una lettura terribilmente realistica di questa vicenda del Maghreb, figlia di una globalizzazione che ha consentito ad alcuni di avere di più, di poter sviluppare di più, e a chi aveva il minimo di non aver più neanche quello. Sappiamo che quando alla gente si tocca il prezzo del pane, si tolgono i cereali e le cose essenziali, non rimane alla stessa che andare in piazza e fare la rivoluzione. L'altra dichiarazione terribile è stata quella della consigliera del Presidente brasiliano che, in un convegno forse proprio a Roma, ha dichiarato che l'Europa deve riflettere sul suo welfare, di cui noi siamo convinti che sia giusto, mentre lei diceva che è compatibile solo se tutto il resto del mondo che sta crescendo e sta conquistando i suoi diritti potrà permetterselo nella stessa misura e che, diversamente, anche noi dovremo rivederne il modello. Questa è, a mio avviso, la riflessione che l'Europa ha davanti.
Il meccanismo del finanziamento, infatti, tutto quello a cui stiamo lavorando, continua a porci un'illusione: non vogliamo affrontare il tema di una regressione della quota di finanziamento dell'Unione europea perché i Paesi si sono impoveriti. Il welfare europeo nel suo complesso dovrà fare una marcia indietro. Questi sono i temi con cui, a mio avviso, anche la stabilità dell'euro e la stabilità economica dovranno fare i conti.
Non è un problema che riguarda solo chi governa. Potrà essere oggi un problema per la Cancelliere Merkel, per il Ministro Tremonti e non per chi è all'opposizione, ma deve esserci la consapevolezza comune di tutti. Io vedo in tutti questi dibattiti, in queste regole, la mancanza del vero senso pratico delle questioni che abbiamo davanti: è come spiegare ai nostri cittadini che evidentemente l'Europa dovrà fare i conti con una condizione economica che sarà sicuramente molto favorevole - con riferimento al welfare - rispetto a quello che abbiamo avuto in tutti questi anni.

PRESIDENTE. Siamo andati un po' fuori tema, ma ne approfitterei anch'io,


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onorevole Gualtieri. Ho un'ammirazione sconfinata per il Ministro Tremonti, ma francamente non credo che si possa ridurre tutto in termini di economia e di finanza.
L'onorevole Formichella era con me in Libia, circa tre mesi fa. Forse bisognerebbe andare anche sul posto e capire che gli aspetti salienti a volte non sono quelli del welfare. In quelle zone esistono anche problemi politici. Se si fosse parlato con i giovani libici, forse ci si sarebbe accorti che esistono aspetti che vanno al di là.
Quello che volevo dire, onorevole Gottardo, è che lei dà una lettura solo legata alla dimensione economico-finanziaria: certo, alla base, in taluni Paesi, è così, ma in altri non sono proprio sicuro che lo sia.
Onorevole Gualtieri, continuo a portarla fuori oggetto. Vorrei chiedere la sua opinione sulla vicenda eurobond e la questione dell'Agenzia del debito, che passa come una teoria sostenuta da Juncker, oltre che da Tremonti, ma che a me, per quel poco che ricordo dei miei studi europeisti - parlo di cinquant'anni fa - sembrava che fosse già stata anticipata da Delors.
Inoltre - forse troverà banale questa domanda - vorrei sapere qual è la differenza tra l'eurobond «tremontiano» e la possibilità, invece, dell'emissione di alcuni titoli che comunque l'Europa può emettere e che, se non ho capito male, potranno arrivare a 500 milioni di euro. Questa è una domanda fuori tema, ma è un dato che ci farebbe piacere conoscere.
Infine, lei ha fatto riferimento anche all'importanza dei Governi nazionali. Vorrei conoscere il suo punto di vista su questa materia.
Do la parola all'onorevole Gualtieri per la replica.

ROBERTO GUALTIERI, Parlamentare europeo. Ringrazio i colleghi per i loro interventi e contributi. Andrò nell'ordine degli interventi che si sono susseguiti.
È ancora aperta la questione sollevata dall'onorevole Gozi su Consiglio o Stati membri come soggetto che stabilisce il meccanismo in base all'emendamento che il Parlamento proporrà. Nella mia formulazione originaria, in effetti, c'era l'introduzione di una lettera c) che lasciasse come soggetto sempre il Consiglio, oltre che nelle lettere a), e b). Naturalmente, pensavo a un Consiglio nel formato specifico dell'euro, come stabilito dall'articolo 136. Questa sarebbe sicuramente la formulazione ottimale.
L'altra è una formulazione che, in qualche modo, va incontro alla situazione politica di fatto. Ho ragionato, infatti, in maniera anche molto ancorata al Trattato. È ovvio che ci sono poi i 27 Paesi e i loro Governi, in particolare la posizione molto combattiva del Governo britannico e i paletti che questo ha messo alle possibilità di ratifica. Mi riferisco sia all'imposizione di una procedura semplificata - che sarebbe per loro l'unica strada con cui evitare un referendum, ammesso che ci riescano - sia al punto di vista del merito; per cui il punto politico del Governo britannico, che su queste cose ha un potere di veto essendo richiesta l'unanimità, è di non accettare nulla che impegni anche indirettamente i contribuenti di Sua Maestà. Tutto ciò che investe l'Unione europea come tale e il bilancio comunitario può indirettamente toccare, anche se non di fatto, il popolo britannico. Questo carattere intergovernativo è, dunque, in primo luogo una condizione britannica. Mettere, quindi, il Consiglio come emendamento del Parlamento - ci stiamo riflettendo in queste ore - è la posizione ottimale per noi, ma è sicuramente irrealizzabile. Se scegliamo gli Stati membri, su raccomandazione della Commissione, sentito il Parlamento, facciamo un'operazione che probabilmente è molto difficile che il Consiglio europeo accetti, ma che in qualche modo previene l'obiezione di non discuterne neanche perché i britannici non accetterebbero mai, in quanto, a loro avviso, sarebbe necessaria la revisione ordinaria, per la quale però c'è il referendum e così via. Siamo nel campo della tattica, però l'onorevole Gozi ha colto un punto molto importante.
Questo mi riporta anche al collegamento col bilancio comunitario, che, ap


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punto, a nostro avviso, è una garanzia di solidità rispetto ai mercati, ma che tuttavia sconta proprio questa obiezione britannica. Tuttavia, in questo caso, rispetto al racconto che ci viene fatto, non tutto torna perché, ad esempio, non risulta un'obiezione britannica sulla incostituzionalità dell'attuale meccanismo, che pure impegna il bilancio europeo. È impossibile, quindi, continuare a procedere col consenso del Regno Unito come si sta procedendo perché i britannici non lo vogliono nella misura in cui devono sancirlo in una riforma del Trattato. Da qui deriva l'argomento sulla non necessità. Eppure, stiamo comunque già utilizzando il bilancio comunitario come componente di una garanzia col consenso del Regno Unito.
Per questo continuiamo a dire, e ci appoggiamo anche al Parlamento e alla Commissione, che non riteniamo, in ogni caso, che la riforma del Trattato faccia venir meno la base giuridica e la possibilità di continuare a operare con gli attuali meccanismi, anche se, naturalmente, non nascondo che l'obiettivo è proprio quello di chiudere l'EFSM e ciò perché c'è una forte spinta, soprattutto da alcuni Paesi del nord Europa, in primis la Gran Bretagna, a tagliare pesantemente il bilancio comunitario. Si discute, cioè, di andare allo 0,9-0,8 del PIL. Naturalmente, ciò danneggerebbe l'Europa e, credo, anche e soprattutto l'Italia.
Perché la perplessità sulla procedura? È forse addirittura una malizia aver parlato di 2013, perché questa data non è scritta da nessuna parte. Contemporaneamente nel 2013 si completerebbe la procedura e si chiuderebbe la partita sul nuovo quadro pluriennale finanziario. È chiaro che andare a negoziare un quadro finanziario pluriennale sotto la spada di Damocle dei Parlamenti che minacciano di non ratificare l'ESM dà un'arma in più a quei Paesi che vogliono un taglio del bilancio comunitario. Questo dobbiamo saperlo. Sarà un altro degli elementi che ci rendono perplessi e preoccupati.
L'onorevole Formichella faceva riferimento al coraggio del Parlamento europeo. Io non penso sia una questione di coraggio perché è vero che si può anche dare un parere negativo e lavarsi la coscienza, però il nostro problema è capire cosa possiamo fare concretamente per contribuire a migliorare la situazione. Noi cerchiamo, quindi, di avere una posizione che si fondi su dei dati di realtà, che si basi anche sulle nostre effettive prerogative in questo ambito, che sono quelle di un parere. Abbiamo un'arma, a dir la verità, che è quella di non dare il parere, ma si tratta di un'arma atomica perché, se non si decide su questo, l'effetto sarà molto pesante per l'euro. Oltretutto, si tratta di un'arma che in realtà stiamo anche già usando. Abbiamo, infatti, un po' ritardato la procedura, dicendo anche che potremmo rimandare la decisione anziché alla prima sessione di marzo del Parlamento europeo, alla seconda mini sessione dello stesso mese che si svolge proprio la mattina del Consiglio europeo. Stiamo cercando, quindi, nei limiti di un atteggiamento responsabile, anche di utilizzare l'arma finale, ossia minacciare addirittura un non parere, un parere non in tempo, ma questo gioco sui tempi e sulle procedure non può portarci comunque a conferirci il ruolo di coautori di una riforma del Trattato che il Trattato non ci dà.
È chiaro, quindi, che il punto non è il coraggio, ma i nostri poteri effettivi e il fatto che dobbiamo avere una maggioranza in Parlamento. Ci sono molti parlamentari tedeschi - ma ce ne sono altri che hanno un atteggiamento combattivo come il tedesco Brok - che sostengono a spada tratta la linea. Ci sono poi i parlamentari di tutti i partiti dei Paesi più interessati, Grecia, Spagna, Portogallo, che sono legittimamente preoccupati delle conseguenze. Neanche sotto questo profilo, dunque, si tratta di coraggio, ma di poteri del Parlamento e di formazione di una maggioranza. Alla fine si formerà in Parlamento una maggioranza su una linea che esprimerà le perplessità, che sottolineerà tutti i punti problematici e cercherà di avviare un negoziato sulla base di alcune condizioni, sperando naturalmente che il Consiglio europeo accetti di avviare questa discussione.


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Da qui deriva anche l'invito al Parlamento italiano, nella misura in cui ritengo che la posizione del Parlamento in questo caso coincida con l'interesse dell'Italia, a sollecitare il Governo italiano nella sua veste di membro del Consiglio europeo ad avere una posizione aperta all'avvio di una discussione col Parlamento europeo su questi temi. Va quindi sottolineato sia il rischio che un no secco alle richieste del Parlamento potrebbe anche portarlo a formare una maggioranza che decide di non dare il parere, e quindi a riceverne complessivamente un danno, riflesso anche sull'Italia - in questo caso l'Italia potrebbe sostenere di non voler sottovalutare il Parlamento, perché in assenza di parere non si potrebbe varare il cosiddetto fondo salva-Stati permanente - sia la legittimità di alcune preoccupazioni, con riferimento a chi ritiene che questo meccanismo debba essere il più possibile collegato alle istituzioni comunitarie.
Dal nostro punto di vista, e io non potrei che dirlo dal punto di vista del Parlamento europeo, sarebbe molto auspicabile che il Governo italiano, come tutti gli altri Governi che hanno a cuore il metodo comunitario, eserciti questa funzione all'interno della discussione che è in corso proprio in questi giorni, in previsione dei due appuntamenti di marzo, che saranno decisivi.
L'onorevole Gottardo poneva anche delle questioni più generali, ma giuste, che riguardano il rapporto tra questo specifico passaggio, la governance economica e, in generale, il futuro dell'economia sociale e di mercato europea. Personalmente, non voglio aprire questa discussione, ho una visione meno «malthusiana»: posso dire - da storico - che non sono mai stati veri gli argomenti secondo i quali il miglioramento delle condizioni di vita della popolazione, da una parte, dovrebbe portare celermente alla diminuzione delle condizioni di vita di altri, per cui l'economia sarebbe un gioco a somma zero.
Non ritengo, quindi, che l'ascesa di nuove potenze e nuovi attori debba necessariamente far venir meno qualcosa. Credo che l'economia sia, appunto, un meccanismo che porta uno sviluppo complessivo delle forze produttive, rispetto al quale anche meccanismi di economia sociale di mercato, come l'Europa ha formato in modo bipartisan nella sua storia, si sono rivelati, lo dice anche la crisi, elementi propulsivi per la crescita e lo sviluppo e tutt'altro che un freno.
Detto questo, è chiaro che un'integrazione maggiore non potrà che portare una tendenza a un maggior rigore a livello nazionale. Questo è inevitabile. Il keynesismo nazionale diventa non praticabile. Personalmente, l'altra critica che muovo alla linea di una parte della CDU tedesca che si richiama al rigore e alla via intergovernativa è che, lo dico in un modo molto colloquiale, «non si possono fare le nozze con i fichi secchi»: nel momento in cui, giustamente, si pretende un maggior rigore a livello nazionale e si ha anche l'euro come valuta apprezzata a livello internazionale, quindi in grado anche di fare debito, di essere una leva, bisogna rafforzare la dimensione europea, e quindi il bilancio europeo deve essere più consistente e servono strumenti per canalizzare investimenti a livello europeo.
Diversamente, la stretta rigoristica a livello dei bilanci nazionali, se non accompagnata da questa seconda gamba, rischia di strozzare l'Europa e di creare un confine tra il centro-nord e l'Europa meridionale, un confine che taglierebbe il nostro Paese a metà e ci renderebbe, anche dal punto di vista delle conseguenze sociali, sempre più parte integrante dell'attuale turbolenza mediterranea. Questo è un punto per l'Italia in cui, come avrebbe detto De Gasperi, interesse europeo e interesse nazionale coincidono pienamente.
Segnalo l'articolo di Axel Weber sul Financial Times di ieri, presidente uscente della Banca federale tedesca (definito appunto outgoing President), che muove una critica dal lato opposto al Governo tedesco. Ho richiamato l'articolo per dire che bisogna muoversi con equilibrio e anche, nel momento in cui si critica il corso attuale del Governo tedesco, sapere che dobbiamo incoraggiare e non sparare a zero


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sui meccanismi di integrazione. Dobbiamo, infatti, apportare correzioni dal punto di vista sia del rigore e delle risorse sia dell'integrazione all'interno delle istituzioni europee. Non dobbiamo dire di no e basta. Esiste, infatti, anche chi sostiene, come Axel Weber, che questo ESM non debba lavorare sul mercato secondario, come invece chiede Papandreu alla Merkel proprio sul Financial Times di oggi, né ridurre i tassi di interesse del suo borrowing perché in questo modo si introdurrebbero gli eurobond più o meno dalla porta di servizio. Weber viene mandato via proprio per la sua opposizione, quindi, comunque, il processo è interessante.
Gli eurobond, in realtà, esistono già, già si emettono titoli, gli eurobond finalizzati a sostenere la posizione dei singoli Paesi e a finanziare progetti di sviluppo. Ci sono poi varie sotto proposte e si sta lavorando su questo: faccio, tra l'altro, pubblicità al think-tank Astrid, che ha organizzato una giornata di riflessione sugli eurobond, tra l'altro aperta dal professor Grilli, quindi semistituzionale, in cui sono stati analizzati i vari tipi di proposte con le varie implicazioni. Esiste, quindi, un lavoro, che ora non avrei tempo di approfondire, sulle varie tipologie rispetto alle quali anche la proposta Juncker-Tremonti, giusta, è una delle varianti possibili di un'idea che nasce da Delors - lei ha perfettamente ragione, presidente - variamente declinata.
Quella di Tremonti e Juncker ha dei punti di forza e, a mio avviso, anche dei problemi che paradossalmente la rendono, da una parte, non utilizzabile per il finanziamento di progetti, e quindi debole dal punto di vista delle politiche di investimento, dall'altra, troppo indigesta forse per la Germania, perché non prevede dei meccanismi di premialità per i Paesi più virtuosi. Altri modelli, invece, li prevedono, attraverso un gioco complicato tra tassi, spread, titoli nazionali ed eurobond, che potrebbero favorire tali Paesi, mantenendo un vantaggio per i Paesi che hanno uno spread migliore, come appunto la Germania.
C'è, dunque, anche uno spazio per un lavoro sugli eurobond e c'è una oggettiva necessità politica ed economica di questo sviluppo. Ci sono, però, anche delle forti resistenze che si incardinano anche su degli elementi che hanno una forma giuridico-costituzionale, ma che hanno questa forma proprio perché toccano problemi di fondo di sovranità, che sono soprattutto interni al dibattito tedesco. Anche per questo, torno al punto da cui eravamo partiti, questa vicenda della riforma del Trattato, settoriale rispetto all'intero pacchetto, non è secondaria, ma centrale. Proprio, infatti, a seconda di quale strada si prenderà dal punto di vista istituzionale, e quindi a seconda di come verrà declinato il rapporto tra sovranità nazionale e dimensione europea su questa vicenda, sarà condizionata molto anche la possibilità o meno di dare all'Unione europea un'effettiva capacità di essere un attore economico, e quindi anche di poter emettere questi famosi eurobond superando definitivamente resistenze e riflessi sempre più ingiustificati rispetto alle performance e alle scelte compiute. Le scelte compiute, infatti, nella notte di maggio, permettendo alla Banca centrale europea di fare quello che sta facendo, di fatto sono delle strade di non ritorno. Adesso si vuole in parte tornare indietro, ma allo stesso tempo andare avanti. Si vede che c'è proprio una difficoltà interiore nel modo con cui alcuni Paesi, in primo luogo la Germania, concettualizzano il rapporto tra la loro sovranità e la dimensione europea. Si tratta, dunque, di un passaggio delicatissimo e molto importante e credo che il suo esito condizionerà anche gli sviluppi futuri.

SANDRO GOZI. Vorrei fare una brevissima constatazione, ma voglio approfittarne perché mi sembra importante, anche per la presenza del collega Gottardo, rispetto al lavoro di revisione che stiamo facendo della legge 4 febbraio 2005, n. 11. Vorrei invitare i colleghi a riflettere su quanto emerge chiaramente da quanto detto dal collega Gualtieri: i Governi i cui Parlamenti svolgono un ruolo importante e incisivo in via legislativa, o comunque


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previa in via vincolante, hanno un potere contrattuale maggiore. Teniamolo in considerazione.
Considerando anche la larga condivisione su certi fondamentali di politica europea dell'Italia che c'è tra le nostre forze politiche, al di là degli scontri che possiamo avere sui singoli temi, io credo che, colleghi, dovremmo utilizzare l'introduzione di un meccanismo vincolante dell'intervento del Parlamento nella procedura di revisione ordinaria, così come noi stiamo utilizzando il controllo di sussidiarietà. Lo stiamo utilizzando non, come i Paesi nordici, per bloccare, ma per incentivare, incoraggiare, abbiamo addirittura dato dei pareri in cui dicevamo che la Commissione era troppo timida.
Credo che in quest'ottica dovremmo vedere la possibile introduzione di meccanismi vincolanti, non perché dobbiamo essere dei danesi, o degli inglesi, ma proprio per contrastare come Parlamento questo tipo di peso negativo sui negoziati. È chiaro, infatti, che se il Governo italiano un domani potesse dire ai colleghi inglesi, danesi o tedeschi di avere un problema col suo Parlamento, eguale e opposto al loro, renderemmo un servizio ai fondamentali della politica europea dell'Italia.

PRESIDENTE. Non voglio influenzare l'onorevole Gottardo, che ho visto annuire, ma non dimentichiamo che il nostro sistema bicamerale perfetto, che non è quello inglese, potrebbe portare a tempi molto lunghi in sede europea per certe soluzioni.
Preferirei, piuttosto, investire la Corte costituzionale, che è più rapida nelle decisioni. La mia sembrerebbe una battuta, ma non lo è. Quello che ci preoccupa è l'immobilità del nostro sistema, in cui quello che dovrebbe essere il cavallo - come ha detto oggi stesso il Ministro Tremonti - si è trasformato in un ippopotamo.

ISIDORO GOTTARDO. Ribadisco che sono molto contento dell'audizione dell'onorevole Gualtieri perché ha stimolato nella mia mente alcune riflessioni, quindi è sempre utile rispetto al lavoro che andiamo a fare.
Sono totalmente d'accordo sul meccanismo dinamico, per cui se un Paese aspetta e arriva ultimo e impedisce all'Unione europea di muoversi, poi l'Unione europea arriva col Piano Marshall per comprare quel parere che le consente di muoversi. Si tratta di meccanismi che conosciamo.
Il problema è che noi, oltre che essere legislatori italiani, siamo anche cittadini dell'Unione europea; allora ho sempre questo conflitto in me stesso, se sia più giusto che si operi per consentire un'accelerazione del più giusto processo di coesione europea o se, invece, da legislatore italiano, debba creare le condizioni perché nel negoziato l'Italia abbia un valore aggiunto.
La risposta può essere semplice: siccome siamo europei, se abbiamo un valore aggiunto nel negoziato, meglio per l'Europa. Tuttavia, mia nonna, che io cito spesso, diceva che si guardava allo specchio e si vedeva bella, ma che era anche consapevole di avere una gobba dietro la schiena e che quando andava in giro per la strada la gente, oltre che la sua faccia, vedeva anche la sua gobba. Qui credo di aver fatto un po' la sintesi dal nostro problema.
È tutta qui la mia preoccupazione rispetto al tema della ratifica. Altro sarebbe se potessimo fare la ratifica con legge in questa Commissione, dove il dialogo è tra persone che hanno, al di là degli schieramenti, un comune sentire. Ciò che mi preoccupa è quello che diceva prima il presidente della Commissione: noi sappiamo che scattano dei meccanismi, soprattutto nel sistema bicamerale, che consistono nell'andare, nel venire, nei tempi e nei condizionamenti dei procedimenti.
Noi non abbiamo dato un giudizio positivo della Germania. Anche nel dibattito di oggi abbiamo spiegato che la ragione per cui la Germania si sta muovendo in questo modo non è nobile, o almeno in parte non lo è, è dettata da questioni interne, da convenienze elettorali e così via. La Germania agli occhi dell'Europa


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non sta certamente dando l'impressione di essere un Paese pienamente responsabile del processo europeo. A me non piacerebbe che gli altri pensassero così di noi. Io non ho la chiave per la soluzione, la rimetto al ragionamento; però - da relatore - onorevole Gozi e colleghi tutti, anche rispetto ai noti punti su cui stiamo ragionando io non ho una certezza; sento la responsabilità di pensare a quale sia la strada più giusta non rispetto a quello che pensiamo e vorremmo fare oggi, ma a ciò che accadrà, una volta scritte queste norme, nell'interpretazione e nell'uso che verrà fatto nel divenire. Questo è un problema molto serio.
Concludo dicendo che so benissimo che il nostro Governo, qualunque esso sia, sarà molto più forte quando al tavolo della trattativa dirà che se non otterrà certe cose, non vi sarà la ratifica. Personalmente, non credo che si possa, nell'interesse dei nostri figli, costruire un'Europa migliore se alla fine, anziché modificare, anche noi ci adeguiamo a pensarla così.

PRESIDENTE. L'onorevole Gualtieri ha avuto un esempio delle dinamiche nazionali. Mi pare, comunque, lo dico con molta sincerità, che il problema che stiamo scontando concerne una maggiore autorevolezza, e che si debbano trovare dei sistemi ibridi per poterla sostenere. In queste cose sono più europeista dell'onorevole Gottardo.
Onorevole Gualtieri, credo e temo che in futuro avremo il coraggio e l'improntitudine di disturbarla di nuovo. Peraltro, questa audizione è stata molto interessante anche per come lei l'ha posta. Siccome, oltretutto, ci sono delle scadenze molto ravvicinate, credo che prima della fine di questo semestre avremo novità molto significative al riguardo, quindi sarebbe opportuno darsi un appuntamento per il futuro.
Ringrazio l'onorevole Gualtieri per il suo contributo e dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 16.

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